Ho ritenuto opportuno, a due anni di distanza, ripresentare il bilancio economico del sito.
A fronte di € 6.207,00 di spese, ho registrato € 1.307,00 di entrate in contributi volontari. Andamento analogo a quello registrato nel 2024.
Ringrazio sentitamente i circa quindici contributori, parte dei quali, per altro, collaboratori del sito, che hanno risposto all’appello durante l’anno. Non riesco a nascondere, però, la delusione e amarezza per l’esiguo numero di contribuenti a fronte di circa 1200 accessi dichiarati giornalieri al sito, 2300 iscritti al canale omonimo di YouTube, 600 iscritti al canale Telegram ed alcune migliaia su X. Gli accessi reali in realtà, come segnalato da aziende specializzate, sono almeno 7/8 volte più alti.
La differenza grava, quindi, interamente sulle tasche del responsabile, normalissimo cittadino, titolare della testata.
Il sito continua a subire continui e documentabili intralci, intromissioni, interferenze ed ostracismiche, oltre ad ostacolare la fluidità di gestione e la trasparenza del traffico reale di utenti, impediscono totalmente, con vari pretesti, di fruire di introiti pubblicitari. Una condizione che non potrà essere procrastinata ancora per molto tempo.
I fruitori professionali del sito, che so numerosi e molto spesso di orientamento opposto (diciamo istituzionale), dovrebbero sentirsi in dovere di contribuire. Agli altri rimane il segno di una partecipazione che consenta il proseguimento di una attività su base volontaria e particolarmente impegnativa.
Qui sotto le coordinate bancarie disponibili; in allegato il prospetto completo del bilancio. Un saluto, Giuseppe Germinario
Escalation nel Mar dei Caraibi: Analisi OSINT della Crisi USA-Venezuela al 18 Dicembre 2025
L’osservatore attento delle dinamiche geopolitiche latino-americane non può non notare come il Mar dei Caraibi, teatro storico di confronti tra potenze, sia tornato a essere un punto di tensione massima. Al 18 dicembre 2025, il dispiegamento militare statunitense sotto il comando SOUTHCOM – ribattezzato in parte Operation Southern Spear – rappresenta la più significativa concentrazione di forze navali e aeree nella regione dagli anni della Guerra Fredda. Fonti OSINT multiple, incrociate tra tracking navale (AIS data aggregati da piattaforme indipendenti), report di think tank come il Council on Foreign Relations e articoli da Reuters, New York Times e Al Jazeera, delineano un quadro di postura offensiva calibrata, ma non ancora irreversibilmente cinetica.
Il cuore del dispositivo è la USS Gerald R. Ford, la supercarrier più avanzata della US Navy, repositionata nel Caribe meridionale da ottobre con il suo strike group: cacciatorpediniere Arleigh Burke-class, cruiser missilistici, sottomarini Virginia-class e oltre novanta velivoli imbarcati, inclusi F-35C e F/A-18 Super Hornet. A questi si aggiungono asset anfibi come l’USS Iwo Jima, con capacità di proiezione di Marines, e una flotta ausiliaria che porta il totale a 12-15 navi maggiori. Il personale stimato supera i 15.000-20.000 uomini, con munizioni stoccate per campagne prolungate (oltre otto milioni di libbre, secondo leak da fonti militari riportati da Military.com). Asset aerei complementari includono squadroni di EA-18G Growler per guerra elettronica, P-8A Poseidon (almeno sei unità con transponder spesso disattivati), MQ-4C Triton per sorveglianza persistente e tanker KC-135 per estensione raggio.
Le operazioni recenti non sono mera deterrenza. Dal settembre 2025, SOUTHCOM ha condotto oltre venti strikes su imbarcazioni presunte narco-trafficanti, con un bilancio di decine di morti (ultimi episodi il 16-17 dicembre, riportati da Stars and Stripes e DW). Il 16 dicembre, l’annuncio di Trump di un “total and complete blockade” su tanker petroliferi sanzionati ha elevato la posta: navi venezuelane hanno scortato convogli in defiance, senza scontri diretti ma con rischi di incidente crescenti. Il sequestro di una tanker da parte USA, valutata 10 milioni di dollari, segnala una strategia di interdizione economica aggressiva.
Maduro risponde con mobilitazione: ispezioni personali alle unità costiere, esercizi di difesa aerea con sistemi russi (S-300VM, Buk-M2E) e iraniani, e dispiegamento di 4,5 milioni di miliziani. La FANB regolare, circa 125.000 effettivi, soffre però di degradazione cronica: sanzioni hanno eroso manutenzione e morale, con diserzioni ricorrenti. Russia e Cina offrono supporto retorico, ma nessun asset militare significativo; Mosca è assorbita dall’Ucraina, Pechino preferisce canali economici indiretti.
In questo contesto, la domanda centrale per l’analista OSINT è la natura dell’endgame statunitense: si tratta di pressione incrementale per forzare negoziati, o preludio a regime change attivo? Qui entra un ragionamento bayesiano strutturato, basato su evidenze storiche e attuali.
Definiamo due ipotesi principali:
• H1: Operazione di terra su larga scala (invasione/anfibia per occupazione, simile Panama 1989 o Iraq 2003).
• H2: Attacchi mirati e ibridi per regime change (strikes precision, cyber, supporto opposizione interna, decapitazione leadership senza occupazione prolungata).
Prior probabilistici, derivati da pattern storici USA post-1945 in America Latina (Grenada 1983, Panama 1989, Haiti 1994, non-interventi in Cuba/Venezuela precedenti):
P(H1) prior ≈ 0.15 (bassa, data avversione pubblica USA a ground wars post-Iraq/Afghanistan; sondaggi Quinnipiac/YouGov 2025 indicano ~60-65% opposizione a boots on ground).
P(H2) prior ≈ 0.65 (alta, coerente con dottrina recente: strikes droni, cyber come Stuxnet, supporto proxy come Siria 2010s).
P(evidence | H1) elevato per surge truppe terrestri pre-invasione (es. 100.000+ Marines buildup); osservato: solo addestramento jungle limitato a Puerto Rico, nessuna divisione corazzata/meccanizzata repositionata.
P(evidence | H2) elevato per air/naval dominance, EW assets, strikes stand-off: pienamente osservato (Ford group ottimizzato per SEAD, JASSM-ER/Tomahawk range copre Caracas da Caribe).
Posterior P(H2 | evidence) ≈ 0.75-0.82 (rinforzata: postura consente neutralizzazione difese aeree in ore, seguita da strikes su command nodes, supporto a opposizione come María Corina Machado).
Scenario intermedio (H3: collasso interno forzato da pressione economica/militare) assorbe resto probabilità (~0.10-0.15).
Rischio escalation: incidente navale/aereo potrebbe forzare risposta cinetica, ma doctrine ROE USA privilegiano de-escalation se non provocati direttamente. Timeline critica: deadline implicita Trump (“Maduro non vedrà Natale”) suggerisce finestra dicembre-gennaio per picco pressione.
Conclusione OSINT: la crisi è ibrida per design. USA sfruttano superiorità asimmetrica (air/naval/cyber) per erodere regime senza costi politici di occupazione. Maduro resiste con asimmetria propria (milizie, terrain urbano), ma sostenibilità economica è il tallone d’Achille. Monitorare AIS/ADS-B per repositioning Ford group e voli RC-135: indicatori leading di fase attiva. La regione trattiene il fiato; l’esito modellerà dottrine intervento USA per il prossimo decennio.
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Questo sarà l’ultimo saggio del 2025, ed è il momento giusto per ringraziare collettivamente tutti coloro che mi hanno inviato messaggi di supporto, alcuni con abbonamenti a pagamento, altri con Coffee, e altri ancora semplicemente come messaggi. Lo apprezzo molto.
Abbiamo guadagnato circa 2.500 nuovi abbonati nell’ultimo anno, il che è gratificante. Benvenuti a tutti i nuovi arrivati, e in particolare a coloro che hanno gettato qualche moneta nella ciotola. E un ringraziamento speciale a coloro che forniscono instancabilmente traduzioni nelle loro lingue. Maria José Tormo pubblica traduzioni in spagnolo sul suo sito qui , e Marco Zeloni pubblica anche traduzioni in italiano su un sito qui , e Italia e il Mondo le pubblica qui . Sono sempre grato a coloro che pubblicano occasionalmente traduzioni e riassunti in altre lingue, a patto che citino l’originale e me lo facciano sapere.
E non dimenticare che puoi continuare a sostenere il mio lavoro mettendo “Mi piace” e commentando, e soprattutto condividendo i saggi con altri e i link ad altri siti che frequenti. Se desideri sottoscrivere un abbonamento a pagamento, non ti ostacolerò (ne sarei molto onorato, in effetti), ma non posso prometterti nulla in cambio, se non una calda sensazione di virtù. La mia pagina “Offrimi un caffè” si trova qui .Grazie a tutti coloro che hanno contribuito di recente. E ora:
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Quando ero molto più giovane, ero un po’ un telegiornalista. Per gran parte di quel periodo non c’era una TV facilmente reperibile, e in ogni caso gli orari di trasmissione erano limitati. Quindi, inevitabilmente, ascoltavo molto la radio, e la mia giornata era scandita dal telegiornale del mattino, se ero sveglio, e da The World at One (“con William Hardcastle”) e The World Tonight (“con Douglas Stuart”) di Radio 4. Ricordo questi programmi, pur dimenticandone un’infinità di altri, per il modo calmo e autorevole con cui trattavano gli eventi del Paese e del mondo. I resoconti dall’estero provenivano da corrispondenti esteri già presenti sul posto, che vivevano nella regione da anni, se non decenni. La copertura della politica britannica era affidata a corrispondenti politici di lunga data, che sapevano tutto e tutti. Entro i limiti della natura umana, e tenendo conto della costante possibilità di influenze esterne, hai davvero avuto la sensazione, dopo aver ascoltato un pezzo di cinque minuti del “corrispondente della BBC per l’Africa orientale”, di aver compreso meglio di prima il conflitto degli anni ’70 tra Etiopia e Somalia nel Corno d’Africa.
A quei tempi, le barriere all’ingresso nel mondo dei media radiotelevisivi erano molto elevate. Non mi riferisco solo alla possibilità di trasmettere, che era strettamente regolamentata dalla legge nella maggior parte dei paesi, ma semplicemente alla possibilità di farsi notare e di qualificarsi per il numero limitato di minuti disponibili in TV e radio, e per i pochi spazi di colonna sui giornali. Questo aveva i suoi inevitabili svantaggi, ovviamente, come qualsiasi sistema limitato, ma, nel migliore dei casi, faceva due cose. La prima era quella di concentrare i servizi di trasmissione su argomenti che i redattori consideravano più significativi. In un sistema del genere, soprattutto per i canali finanziati dal governo, la quota di pubblico e l’attrazione dell’attenzione non erano la priorità principale. Fu solo in questo modo, ad esempio, che l’innovativo Civilisation di Kenneth Clark o i primi episodi di Flying Circus dei Monty Python avrebbero potuto essere trasmessi: ciascuna era un’impresa rischiosa a modo suo, e nessuna delle due sembrava un successo garantito all’inizio.
L’altro era quello di incoraggiare i formatori di opinione, e in particolare i politici, a concentrarsi sulle questioni più importanti quando venivano intervistati, perché potevano avere solo uno spazio di novanta secondi ogni tanto. Certo, a quei tempi i politici si attaccavano a vicenda con la stessa ferocia di oggi, ma c’erano meno insulti personali e protagonismi, perché non c’era tempo per questo. La copertura mediatica della politica rifletteva anche l’organizzazione politica relativamente semplice dell’epoca: c’erano, in generale, partiti consolidati di sinistra e di destra, che dicevano cose diverse e, quando erano al governo, si comportavano in modo diverso. Le politiche di una parte venivano difese da loro e criticate dall’altra, in modi generalmente comprensibili.
A livello internazionale, il quadro della Guerra Fredda forniva una grammatica per comprendere il mondo, che spesso era anche comprensibile. Un movimento o un paese veniva sostenuto da una parte, quindi il suo avversario favoriva automaticamente l’altra. La fine del dominio portoghese in Angola, ad esempio, significò che i vari movimenti di resistenza di diverse convinzioni etniche e politiche potevano ora dedicare tutto il loro tempo a combattersi tra loro senza la distrazione di dover combattere anche contro il potere coloniale. Poiché l’Unione Sovietica sosteneva il partito marxista MPLA, in gran parte il partito dell’élite costiera meticcia , l’Occidente sostenne istintivamente i suoi avversari. Questo fu in gran parte il modello per comprendere anche altre parti del mondo e, sebbene fosse un po’ superficiale, non era del tutto sbagliato. Come vedremo, però, le complessità sottostanti, in qualche modo nascoste dall’euristica della Guerra Fredda, tornarono a tormentarci in seguito, e i conflitti in Algeria, in Rhodesia o in Vietnam si rivelarono molto più complessi e sfumati di quanto la gente fosse disposta ad ammettere all’epoca, o di cui addirittura non fosse consapevole.
Non che il mondo fosse necessariamente “migliore” allora, né in Occidente né altrove. Dopotutto, era l’epoca della guerra del Vietnam, dei Khmer Rossi in Cambogia, dei colpi di stato militari e delle dittature in America Latina e Africa, di una brutale guerra civile in Nigeria e di molti altri orrori. Anche in Europa, ci furono la sanguinosa rivolta in Ungheria nel 1956 e quella pacifica di Praga nel 1968, un colpo di stato militare/politico in Francia nel 1958 e un tentativo di colpo di stato nel 1961, per non parlare della disperata crisi politica del 1968, del rovesciamento del regime di Salazar in Portogallo nel 1974 e della morte di Franco l’anno successivo, e naturalmente del terrorismo dilagante negli anni ’70, per non parlare del conflitto in Irlanda del Nord.
Eppure la maggior parte di questi conflitti e crisi poteva essere spiegata in modo razionale. (La Cambogia era un’eccezione anche all’epoca). Le dinamiche della decolonializzazione, la rivalità tra le Grandi Potenze, le dispute sui confini e sul territorio, le lotte economiche e le nefaste attività della superpotenza di cui più si diffidava, sembravano sufficienti a spiegare la maggior parte delle cose. E anche allora, conflitti complessi come quello dell’Irlanda del Nord, che sembravano non finire mai, erano visti dall’opinione pubblica britannica principalmente con esasperazione e incomprensione (“bombardiamolo e basta!”) e, per lo più, con totale indifferenza alle questioni. A un livello più quotidiano, le proteste politiche su larga scala dell’epoca erano normalmente dirette a obiettivi tangibili e relativamente facili da comprendere, che si fosse d’accordo o meno.
Ora, è banalmente facile liquidare tutto questo come nostalgia (ho deciso che le accuse di nostalgia per il passato sono l’ultima spiaggia di chi è costretto a difendere un presente indifendibile). Ma non solo, come ho sottolineato, il mondo allora era tutt’altro che ideale, ma era anche molto diverso strutturalmente, e più facile da capire, o almeno da spiegare. Non si trattava solo del confronto Est-Ovest sostanzialmente stabile: c’erano altre influenze strutturali, come tassi di cambio fissi e prezzi delle materie prime stabili, così come ogni sorta di pratiche economiche concordate a livello internazionale e nazionale, e sindacati forti nella maggior parte dei paesi con un ruolo formale di negoziazione. Nel complesso, i governi sono riusciti a gestire le loro economie in modo pragmatico, con una crescita costante e una bassa disoccupazione. Et cetera.
Come siamo arrivati da lì a dove siamo è una storia interessante e deprimente, e una in cui, curiosamente, i media svolgono probabilmente un ruolo almeno altrettanto importante delle persone e delle istituzioni che ne erano l’oggetto. Tutto inizia, ovviamente, con la mania di deregolamentazione e privatizzazione che ha travolto i governi occidentali dall’inizio degli anni ’80. Insolitamente, questo radicale cambiamento di politica non si basava su un’esigenza evidente o addirittura su una richiesta popolare, ma su pura ideologia. Negli anni ’30, i governi britannici cercarono di affrontare i problemi di alloggi precari e disoccupazione utilizzando i disoccupati per costruire case dignitose che i poveri potessero permettersi di affittare. (Io sono nato in una di queste). Cinquant’anni dopo, quando c’era di nuovo urgente bisogno di nuove abitazioni e la disoccupazione era di nuovo aumentata bruscamente, un successivo governo britannico decise di svendere il patrimonio di edilizia popolare a chi aveva soldi. Un simile comportamento era razionalmente inspiegabile, e fu un primo esempio di eventi che sembravano provenire da un’altra dimensione, e lasciavano la gente a grattarsi la testa e a chiedersi perché .
Era possibile fornire qualche giustificazione borbottata per “una nazione di proprietari di case”, ma in realtà, proprio come l’idea che il settore privato potesse gestire le risorse nazionali “in modo più efficiente”, non si trattava altro che di un gigantesco atto di fede, e i suoi inevitabili fallimenti venivano accolti, come sempre, con la scusa che le varie politiche semplicemente non erano state sperimentate abbastanza bene o per abbastanza tempo. Fu questa sensazione di essere improvvisamente governati da marziani – routine oggi nella maggior parte dei paesi – che diede inizio alla lunga discesa verso un sistema interno ed estero che oggi appare semplicemente incomprensibile.
Nessuno ha mai cercato di spiegare all’epoca perché la deregolamentazione dei media radiotelevisivi fosse una buona idea, o almeno razionale. Si mormorava di solito che la “concorrenza” fosse una cosa positiva, per ragioni diverse, eppure i sondaggi d’opinione mostravano che molto rapidamente le persone diventavano meno soddisfatte della produzione televisiva e radiofonica rispetto a prima. Le spiegazioni, ovviamente, sono banalmente economiche. I nuovi canali televisivi, in particolare, dovevano trovare un modo per autofinanziarsi, e questo significava pubblicità. Ma la pubblicità effettivamente disponibile era solo una certa quantità, e ora doveva essere distribuita su molti più destinatari. E gli introiti pubblicitari dipendevano dagli ascolti, e c’era solo un numero limitato di persone che guardavano, ora divise tra molti più canali. Pertanto, l’unico modo per i nuovi canali di sopravvivere era acquistare (dato che raramente potevano permettersi di produrre) programmi al prezzo più basso possibile. Nella maggior parte dei casi, questo significava acquistare e, se necessario, doppiare programmi dagli Stati Uniti, perché le economie di scala li rendevano molto economici. Me ne accorsi per la prima volta, se non ricordo male, in una stanza d’albergo a Parigi alla fine degli anni ’80, quando dei venti canali TV disponibili, quattro trasmettevano versioni doppiate di diversi programmi americani di poliziotti e ladri degli anni ’70. Mi chiesi quante persone stessero effettivamente guardando. In teoria, i canali meno “efficienti”, qualunque cosa ciò significasse, avrebbero dovuto chiudere, ma in pratica la maggior parte di loro resisteva tenacemente. (Inutile dire che nessuno ha mai voluto guardare un canale televisivo solo perché è “efficiente”.) Quindi, come osservò all’epoca Springsteen, si potevano avere 57 canali e niente in onda. Per la prima volta, iniziammo a confrontarci con il paradosso che una maggiore scelta apparente significasse una minore varietà reale.
Ben presto, la TV 24 ore su 24 divenne la norma, con gli stessi vincoli economici. I budget pubblicitari e il pubblico non aumentarono, ma si ridussero ulteriormente. Il risultato fu in parte la fuga dalla qualità (ad esempio, i “reality TV”), ma anche le conseguenze del semplice fatto che nel mondo accadevano molte più cose di quante i canali TV potessero coprire. Per i canali di informazione 24 ore su 24 come la CNN, le limitazioni di budget significavano coprire solo poche notizie importanti, e doverle ripetere più e più volte durante il giorno, magari con piccole variazioni e aggiornamenti. Questo poteva essere meno ovvio se si passava per un aeroporto o si era seduti in un bar, ma ricordo di aver lavorato in clandestinità, a volte per giorni interi, durante una crisi di lunga durata, ed essere stato portato alla distrazione dall’infinita ripetizione delle stesse storie sui numerosi televisori che ci circondavano. Gran parte della copertura si basava, in realtà, su nient’altro che speculazioni, o su presunte storie che poi si rivelarono false. Così un esperto blaterava su qualcosa che poteva o non poteva essere accaduto, e un’ora dopo un altro esperto presentava un’opinione diversa ma altrettanto ipotetica, mentre i produttori si davano da fare freneticamente per trovare un terzo esperto che dicesse qualcosa di diverso. Dopo alcune settimane, e quando ogni giorno provavo a lavorare, soffrivo della terza o quarta ripetizione di questo ciclo, ero pronto a sbattere la testa contro il muro.
Tutto questo accadeva prima di Internet, ma segnava l’inizio della mercificazione delle informazioni sul mondo, e della loro presentazione su larga scala, ma in singoli pezzi di dimensioni ridotte, interrotti di continuo dalla pubblicità e quasi sempre privi di profondità o contesto. L’obiettivo, dopotutto, non era qualcosa di così antiquato come informare, ma attrarre spettatori e vendere pubblicità e abbonamenti. Il declino probabilmente è iniziato con lo scoppio dei combattimenti nell’ex Jugoslavia, e soprattutto dopo il crollo della Bosnia nel 1992. Qui abbiamo iniziato a imbatterci nel problema di fondo che persiste e si è aggravato fino a oggi: troppi eventi, troppe opinioni, ma troppa poca conoscenza ed esperienza effettiva. E, del resto, troppo poco interesse ad acquisire qualsiasi conoscenza effettiva. Sei un politico o un “analista strategico” e ti viene offerto uno spazio di due minuti in TV o alla radio il giorno dopo per parlare degli sforzi di pace europei in Bosnia (che erano incalcolabili). Dirai modestamente “Mi dispiace, non ne so niente” o passerai il resto della giornata a leggere velocemente una storia della Jugoslavia? Certo che no: aprirai bocca e vedrai cosa ne uscirà. Verrai pagato per quello che dici.
Credo che questo sia stato l’Anno Zero della tendenza verso la nostra attuale situazione di informazione infinita e scarsa conoscenza reale. Quasi nessuno aveva qualcosa di interessante o di valore da dire, quasi nessuno conosceva il Paese o ne parlava la lingua, ma la richiesta di opinioni era tale che quasi chiunque poteva contribuire. Il risultato è stato una sorta di rabbioso caleidoscopio di resoconti e impressioni sconnessi, mescolati a giusta indignazione e non poco odio. Per la prima volta, forse, la gente scriveva articoli sui giornali non sugli eventi in sé, ma su come quelle immagini in TV li facevano sentire. Non sorprende che i tentativi di “discutere” i problemi reali si siano trasformati in litigi. Poiché il tempo via satellite era costoso, le notizie arrivavano a pezzetti e spesso prive di contesto (ironicamente, lo stesso vale oggi, ma per ragioni diverse). I politici, così come gli esperti e il pubblico in generale, avevano difficoltà a comprendere cosa stesse succedendo, a partire dai frammenti sconnessi trasmessi dai giornalisti appena scesi dall’aereo, in un momento in cui quei giornalisti stavano appena iniziando a considerarsi i legislatori non riconosciuti del mondo. A volte questo poteva essere gravemente fuorviante. Per molto tempo, la BBC ha iniziato la sua copertura notturna dei combattimenti in Bosnia con pochi secondi di filmato d’archivio di una granata che colpiva un grattacielo. Ciò è effettivamente accaduto in diverse occasioni (ho visto i risultati), ma ha dato l’impressione fuorviante che tali eventi accadessero quotidianamente, o almeno frequentemente. Eppure, in realtà, la maggior parte delle vittime musulmane a Sarajevo erano soldati uccisi e feriti nei combattimenti. Ma queste impressioni persistono.
Va detto, però, che il problema non era solo l’ignoranza e la distorsione mediatica. Anche a posteriori, la fantasmagorica miscela di violenza, crudeltà, opportunismo, cinismo e corruzione di quel conflitto sembra inspiegabile – l’ho definita più volte come Hieronymus Bosch interpretato dai Fratelli Marx. Lentamente, i più perspicaci hanno iniziato a rendersi conto che nel mondo stavano accadendo cose oscure e terribili che non potevamo, o non volevamo, comprendere in termini tradizionali. E gli eventi raccapriccianti della guerra civile e le sue conseguenze in Ruanda sembravano sfidare qualsiasi tipo di spiegazione, lasciando la gente senza fiato. Non molto tempo dopo, degli aerei si schiantarono contro alti edifici e la gente cominciò a chiedersi se il mondo fosse davvero impazzito. L’invasione russa dell’Afghanistan nel 1979 era sembrata almeno comprensibile in termini di Grande Potenza, ma chi diavolo erano i Talebani e da dove venivano? Del resto, com’era possibile che in Iran alla fine del XX secolo ci fosse una Repubblica Islamica? Ormai niente aveva più senso.
Ciò che cominciò a essere evidente fu che il mondo era sempre stato più complicato di quanto la camicia di forza ideologica del confronto Est-Ovest lo avesse fatto apparire. Sì, questo era un fattore importante, persino dominante in alcuni casi, ma tutti i tipi di gruppi sul campo avevano un’agenzia e perseguivano i propri interessi, riuscendo spesso a mettere le due parti l’una contro l’altra. Sì, inoltre, il confronto forniva una sorta di stabilità e impediva che alcuni degli episodi più pericolosi sfuggissero al controllo. Ciononostante, anche all’epoca, la storica antipatia culturale tra il Nord del Vietnam (la Corte) e il Sud (i mercanti), o la complicata politica interna dei movimenti di liberazione africani non erano esattamente un segreto, ma tendevano a essere relegati in secondo piano per ragioni ideologiche e, a dire il vero, anche razziali. Non si pensava davvero che i leader non occidentali potessero avere un’agenzia, o che potessero avvalersi di grandi potenze per ottenere sostegno e finanziamenti in cambio di qualche superficiale osservazione pro o antisovietica o di un voto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Quando il quadro intellettuale della Guerra Fredda crollò, ci fu un periodo di totale disorientamento politico e intellettuale
Ci furono due reazioni ampie e correlate, che perdurano ancora oggi. Una fu una sorta di nostalgia intellettuale (sì, la parola è appropriata qui) per le certezze della Guerra Fredda, e il desiderio da parte di politici ed esperti di vedere gli eventi mondiali ancora come una lotta tra grandi nazioni con ambizioni imperialistiche in competizione, e di liquidare il ruolo degli attori locali come insignificante. L’altra è la ricerca disperata di una qualche narrazione strutturante – qualsiasi – che renda la confusione del mondo odierno meno totale. La finanza internazionale, la competizione per le risorse energetiche e minerarie, la religione, la City di Londra, il sionismo mondiale, lo Stato Profondo, lo Stato ancora più Profondo, gli UFO e le basi aliene, e una dozzina di altre spiegazioni competono e a volte si sovrappongono, nel tentativo di far sembrare il mondo comprensibile come un tempo. E naturalmente tutte forniscono quadri interpretativi prefabbricati che possono essere facilmente imposti agli eventi della vita reale: non è necessario sapere nulla della situazione in sé, perché si può sempre trovare qualcosa a supporto di qualsiasi argomentazione.
Ho suggerito che l’attuale confusione intellettuale derivi sia dalla complessità non riconosciuta e spesso rifiutata del mondo moderno, sia dai cambiamenti nel modo in cui ne veniamo informati. Ma è necessario sottolineare che i problemi del mondo moderno si riscontrano tanto, se non di più, in Occidente quanto al di fuori di esso. (In effetti, molti stati non occidentali sono ora governati meglio di noi.) Il collegamento, a mio avviso, è che qualcosa di simile alla deregolamentazione è stato applicato anche alla politica. Se ci pensate, i partiti politici tradizionali erano collettivisti: dovevano esserlo, poiché un partito politico in cui ognuno pensa per sé è un’assurdità logica. E in effetti i politici di oggi si comportano sempre più come dirigenti di un’azienda privata, fregandosi a vicenda per andare avanti, passando da un partito all’altro mentre i loro colleghi si spostano da un’azienda all’altra, e in alcuni casi abbandonando il partito per fondare una start-up altrove. Non che la politica sia mai stata priva di faide e lotte intestine – sarebbe sciocco dirlo – ma almeno c’era il riconoscimento che i conflitti palesi e la slealtà flagrante erano dannosi per il partito che si rappresentava. Ora a nessuno sembra importare.
Se ci pensate logicamente, un sistema politico basato sugli interessi del singolo politico è piuttosto bizzarro. Ad esempio, le politiche effettivamente attuate dai governi, o persino annunciate dai governi, sono questioni secondarie. Ciò che conta sono gli interessi e la promozione dell’individuo, anche se quella persona sostiene cose del tutto ridicole. Ciò ha portato, ad esempio, a una grottesca competizione tra i leader europei per essere più radicali del loro vicino riguardo all’Ucraina. Le assurdità perpetrate sono comprensibili solo se si presume che queste persone vivano in una sorta di mondo virtuale, dove nulla di ciò che dicono ha implicazioni pratiche, e comunque tutto verrà dimenticato domani, quindi chi se ne frega? Ciò che conta sono i titoli, lo status e il successo nel radicalizzare i propri rivali. In effetti, non ci sono ricompense per le tradizionali virtù della calma e del buon senso: tutto ciò che conta è fare più rumore degli altri. Siamo ormai alla fine della politica razionale in Occidente, e i marziani apparsi per la prima volta negli anni ’80 sembrano aver preso completamente il sopravvento. È difficile immaginare una combinazione più pericolosa di un mondo complesso e instabile e di governi occidentali che non si comportano più in modo razionale.
Questa irrazionalità si estende naturalmente anche alla politica interna. In molti casi, ciò che fanno i governi non ha alcun senso, che lo si approvi o no. Di nuovo, mi sembra il caso di alzare il volume a undici su ogni argomento. L’idea non è più, come lo è sempre stata, quella di fornire una buona leadership e un buon governo, ma piuttosto di fare carriera gridando più forte e avanzando proposte più oltraggiose dei propri avversari, o persino dei propri alleati fittizi. I politici non sentono più il bisogno nemmeno di fingere di servire gli interessi nazionali: dopotutto, la politica è solo una voce nel loro curriculum prima di passare ad altro, e non può portare ricompense maggiori dell’essere ben noti. Quindi si potrebbe ragionevolmente supporre che il signor Trump voglia distruggere l’economia americana, ma ciò presuppone uno scopo e un obiettivo razionale. Per quanto ne so, a lui semplicemente non importa, purché riceva la copertura mediatica. E in effetti la politica moderna nelle nazioni occidentali sembra in gran parte una questione di ottenere maggiore copertura mediatica gridando più forte ed essendo più oltraggiosi dei propri concorrenti, ed è per questo che l’attuale gruppo di leader occidentali sembra sempre più una parodia o una caricatura dei politici tradizionali, come bambini che competono per attirare l’attenzione.
Ciò non sarebbe possibile, ovviamente, senza i cambiamenti nei media di cui ho parlato prima e le loro recenti evoluzioni patologiche. Oggigiorno, le barriere all’ingresso, un tempo considerevoli, si sono ridotte praticamente a zero. Supponendo di riuscire a raccogliere i fondi (un punto su cui torno), si può creare un canale YouTube, con più spettatori di molti canali televisivi convenzionali. Gestire questo Substack non mi costa praticamente nulla, e i miei saggi vengono in genere letti da 12.000-15.000 persone, ovvero circa la tiratura di una piccola rivista cinquant’anni fa. Di conseguenza, le barriere all’ingresso sono praticamente minime: non è necessario sapere nulla e non costa nulla.
Ma allora come si fa ad avere successo, che si misuri il successo in base a lettori e spettatori o in base ai guadagni? Come si finanzia la propria catena YouTube? Come si fa a farsi notare tra le centinaia o addirittura migliaia di persone che producono contenuti simili? Come in politica, come in ciò che resta dei media tradizionali, bisogna gridare più forte di chiunque altro. A volte, questo può essere un semplice scambio: ho visto questa storia sul web oggi, non ne so molto sull’argomento, ma ecco un articolo d’opinione pieno di oscenità e insulti, quindi mandatemi dei soldi. A volte basta. Consciamente o inconsciamente, questi scrittori capiscono che costruire un brand di successo, proprio come essere un politico di successo oggi, dipende dal dire alle persone ciò che vogliono sentirsi dire, preferibilmente a volume alto, ed evitare di dire loro ciò che non vogliono sentirsi dire. Questo include confortarle con la convinzione che la responsabilità delle cose brutte del mondo ricade su persone di cui hanno sentito parlare, e che quindi possono fischiare, fischiare e ritenere responsabili, piuttosto che sulla gente del posto di cui non hanno sentito parlare. Dopotutto, le persone sono generalmente disposte a pagare almeno qualcosa per vedere i propri sentimenti istintivi legittimati da qualcuno con un nome e una reputazione che sappia scrivere frasi coerenti.
In primavera, il mercato era sconvolto dall’idea che una guerra nucleare con la Russia fosse inevitabile perché, ehm, gli ucraini avevano lanciato un attacco con droni contro un aeroporto di cui nessuno ora ricorda il nome, dove i russi avevano di stanza alcuni aerei con capacità nucleare. Naturalmente, se dici “questo è irresponsabile e provocatorio” o “questo rappresenta un’escalation potenzialmente pericolosa”, il tuo commento si perde nel clamore, quindi devi praticamente dire “siamo a pochi giorni dalla guerra nucleare!” solo per essere notato. (Certo, se fossimo a pochi giorni dalla guerra nucleare non avrebbe senso fare appello agli abbonamenti a pagamento, ma allora sei razionale.) E naturalmente, l’incidente ora è dimenticato, ma, come con le infinite iniziative nate male di Trump, il valore effimero, la pubblicità e gli abbonamenti a pagamento sono stati guadagnati.
I politici e i demagoghi carismatici lo hanno sempre saputo. Non ha senso parlare a bassa voce quando si può urlare, non ha senso urlare quando si può urlare a tutto volume. Tali individui disdegnano la logica e la razionalità: il loro fascino è comunque rivolto in gran parte ai propri sostenitori e, se mai sperano di convincere altri, lo fanno sottomettendoli a forza. Gran parte di Internet (e, del resto, gran parte della vita politica odierna) è così. Mi chiedo spesso cosa succederebbe se prendessi alcuni elementi da una delle diatribe di Hitler contro la City di Londra, l’Impero britannico e le ambizioni degli Stati Uniti e li pubblicassi nella sezione commenti di uno o due siti Internet “alternativi” che mi vengono in mente. Sospetto che verrebbe tutto ben accolto.
Naturalmente si tratta di un processo di escalation, almeno verbalmente, quindi il vostro linguaggio deve essere estremo quanto quello del prossimo esperto, altrimenti non verrete presi sul serio sul mercato. Quindi, se le nazioni europee vengono descritte come “stati clienti” per l’Ucraina da un esperto, qualcuno deve intensificare la tensione chiamandole “vassalli”, e qualcun altro le battezzerà “possedimenti imperiali”, e quindi dovete ricorrere a un termine come “burattini”. Naturalmente, né voi né alcun altro esperto ha esperienza diretta della realtà delle relazioni dell’Europa con gli Stati Uniti, ma il vostro obiettivo non è informare o spiegare, bensì confortare le reazioni istintive dei vostri lettori, intrattenere e guadagnare denaro. Abbiamo assistito allo stesso processo di inflazione verbale su Gaza, che contribuisce a spiegare, anche se non giustifica minimamente, l’antipatia dei governi occidentali per le proteste correlate, e che ha alienato alcuni di coloro che altrimenti potrebbero essere sostenitori. Ma d’altronde non c’è retromarcia in questo tipo di polemica. Tutto deve essere sempre più radicale.
Ed è un processo su cui nessuno ha più il controllo. I politici sono felicissimi di poter raggiungere direttamente la massa degli elettori, probabilmente per la prima volta nella storia, senza passare attraverso il meccanismo di selezione delle interviste e senza dover rispondere alle noiose domande dei giornalisti. In un colpo solo, tutta la complessa attività che conoscevo, quella di garantire che i governi trasmettessero il loro messaggio, si riduce alla possibilità di inviare un tweet a qualsiasi ora del giorno e della notte. Il problema, ovviamente, è che prima dei social media, i ministri venivano accuratamente istruiti su cosa dire e su come evitare di fare brutta figura. Ora, nulla può impedire a un ministro o a qualsiasi altro politico, dopo un pranzo particolarmente buono, di sparare un messaggio sui social media di cui si pente cinque minuti dopo. Ma chi se ne frega? Si dicono: domani sarà tutto dimenticato.
Lo stesso Hitler sosteneva che la gente crederebbe più facilmente a una grande bugia che a una piccola: avrebbe fatto bene su YouTube, perché le spiegazioni generiche sono più attraenti e facili da assimilare di quelle attente e sfumate. (Ironicamente, l’esempio di Hitler della Grande Bugia – che l’esercito tedesco fosse stato sconfitto sul campo di battaglia nel 1918 – era ovviamente vero, ma d’altronde è così che vanno le cose). Pertanto, i politici in difficoltà hanno sempre attribuito la colpa dei problemi del paese a una potenza straniera, come hanno fatto Hitler e molti altri, che si tratti di russi, americani, francesi, cinesi o di astrazioni come il “neoimperialismo” o la “finanza internazionale”. Ma perché fermarsi qui? Con un po’ di impegno, si possono escogitare interi schemi paranoici, più sono radicali, meglio è. Dopotutto, una teoria che spiega tutto sarà sempre più attraente di una che spiega solo poche cose. E come per la dottrina religiosa (che è l’origine intellettuale ultima di questo modo di pensare), le apparenti contraddizioni possono sempre essere risolte a un livello superiore, con spiegazioni sempre più complesse che implicano sempre più strati di ipotesi. Ma se si parte dalla convinzione emotiva che Tutto è Connesso e Tutto Era Previsto, allora non resta che escogitare una spiegazione che sia il più ampia possibile e che comprenda assolutamente tutto. E in effetti, tali spiegazioni hanno un chiaro vantaggio di Mercato, in termini di tempo necessario per assimilarle, rispetto alla ricerca autonoma, che è difficile.
Ma supponiamo che tu decida di farlo. Supponiamo che tu decida di scrivere qualcosa sul nuovo governo in Siria e sulla reazione occidentale. Non sei mai stato nella regione e non parli la lingua, ma perché questo dovrebbe impedirtelo? Poi inizi a sfogliare Wikipedia e già tutto inizia a sembrare complicato. Non hai tempo di parlare degli Ottomani (ottomani?) e del periodo del Mandato, ma sembra che Assad fosse un tipo piuttosto cattivo, ma tollerato dall’Occidente perché il suo governo era laico, e poi questo tizio si è dato fuoco in Tunisia nel 2011, se n’è dimenticato, e l’Occidente ha fatto un pasticcio grosso sostenendo Ben Ali per troppo tempo, e poi quando sono iniziate manifestazioni simili in Siria e il regime ha reagito con estrema violenza e le unità dell’esercito sunnita si sono ribellate, non lo sapevano, e poi sono iniziati seri combattimenti, l’Occidente ha deciso che Assad era spacciato, quindi entriamo in gioco ora in modo da poterci prendere il merito e influenzare un nuovo governo in un’area strategica, ma Assad è riuscito a resistere e l’iniziativa è passata nelle mani dei jihadisti, e l’Occidente, che ora aveva bruciato le sue navi con Assad e voleva disperatamente liberarsi di lui, ha iniziato a offrire armi e addestramento a chiunque si opponesse a lui e questo si è rivelato avere delle brutte ripercussioni in seguito, questo sta iniziando a darmi il mal di testa. Ma da dove viene questo tizio di Al-Sharaa? Beh, a quanto pare è più complicato di quanto pensassi, perché non ha mai fatto parte di Al Qaeda, che a quel tempo era praticamente a pezzi e stava perdendo consensi a favore di una generazione più giovane di populisti che volevano il Califfato come adesso, senza saperlo, e hanno preso il controllo di parti dell’Iraq (Iraq?) saccheggiando armi e veicoli statunitensi dall’esercito iracheno, espandendosi in Siria con jihadisti stranieri, dimenticandosi di tutto questo, ma poi sono intervenuti i russi (i russi?) e hanno stabilizzato la situazione. E poi alla fine Assad cade, ma questo coinvolge anche i curdi ( chi? ) e in qualche modo Hezbollah e gli iraniani sono coinvolti, e mi fa male il cervello. No, c’è molto di più da dove viene e darò la colpa di tutto alla CIA. È più facile.
Sembra che siamo ormai intrappolati in una sorta di escalation mediatico-politica inarrestabile, un treno senza freni che procede a valle. La classe politica ha rinunciato a ogni pretesa di essere un’autorità politica e agisce in modi che nessuno al di fuori può comprendere, e forse non ha comunque una spiegazione razionale, senza sapere veramente o preoccuparsi di ciò che sta facendo. Questo è il risultato finale della politica deregolamentata, proprio come le teorie paranoiche, le lotte sui social media e l’escalation isterica del linguaggio sono sintomi della deregolamentazione dei media e della fine delle barriere all’ingresso. Ogni aspetto di questo processo alimenta ogni altro aspetto, e non riesco a immaginare come andrà a finire, se non male. Non c’è più discussione: non so da quanto tempo la gente scriveva o parlava nel tentativo di convincere e persuadere, o persino di informare. Ora, questo processo di deregolamentazione ha raggiunto il suo inevitabile stadio finale di totale frammentazione: piccoli gruppi, politici o esperti che si urlano contro e cercano di sottomettersi a vicenda. Ci stiamo sicuramente avvicinando a una sorta di climax, come la fine di un’opera di Ionesco o di una farsa di Feydeau, in cui tutto crolla completamente. Non torneremo mai più al mondo del Mondo Uno.
Per quanto mi riguarda, non sono bravo a urlare e scrivo per cercare di informare e spiegare, solo quando penso di avere qualcosa da aggiungere. Ho intenzione di continuare a farlo anche l’anno prossimo.
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NIMA ALKHORSHID: Ciao a tutti. Oggi è giovedì 13 novembre 2025 e i nostri amici Michael Hudson e Richard Wolff sono tornati con noi. Bentornati.
RICHARD WOLFF: Sono felice di essere qui.
NIMA ALKHORSHID: Michael, vorrei iniziare con te e con quanto è successo con Donald Trump e le sue politiche in Asia centrale. Donald Trump dice che riconquisterà il cuore dell’Asia centrale. Davvero? Cosa sta succedendo secondo te? Sta parlando di un investimento di 35 miliardi di dollari in Uzbekistan. E si parla anche del Kazakistan e forse del ritorno della base in questi paesi.
Qual è secondo te l’importanza dell’Asia centrale?
MICHAEL HUDSON: L’obiettivo apparente di cui ha parlato è quello di convincere le aziende americane a investire nel tungsteno e nelle terre rare. Il Kazakistan possiede ingenti riserve di tungsteno e l’America ritiene di poter sostituire la dipendenza dalla Cina per questo minerale. Il sogno di Trump, quasi un’ossessione, sono le terre rare, ma non credo che il Kazakistan sia davvero una fonte significativa di questo minerale.
Le compagnie petrolifere americane hanno investito molto in Kazakistan e in Kirghizistan, ma è stato un disastro. È stato definito un ecocidio. I sindacati dei lavoratori petroliferi si sono ribellati e hanno combattuto contro questo fenomeno. In tutta l’Asia centrale c’è un forte sentimento anti-americano, sicuramente contro le compagnie minerarie e petrolifere americane.
Questo è fondamentalmente ciò per cui Trump si batterà. E spera che il finanziamento non provenga dal governo degli Stati Uniti, ma dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale. Sono stati loro a introdurre il neoliberismo in Kazakistan e in Asia centrale, e il risultato è stato un disastro.
Quello che è successo in Asia centrale è più o meno quello che è successo nei Paesi Baltici: le cleptocrazie locali hanno preso il potere. Hanno registrato le proprietà a loro nome. Hanno stretto accordi con le aziende occidentali per ottenere tangenti e hanno tenuto i loro soldi in Occidente. Si sono appropriati di tutte le migliori abitazioni. E il FMI e la Banca Mondiale hanno introdotto lo “stato di diritto”, consentendo ai governi di pignorare i debitori, ovvero le persone che avevano acquistato le loro case a credito.
Il microcredito era la grande novità promossa dagli americani, dal FMI e dai neoliberisti. Funzionava soprattutto grazie alle donne, perché era possibile esercitare una pressione sociale su di loro affinché ripagassero tutti i debiti. Il tasso di suicidi aumentò, quindi furono proprio le donne a guidare l’opposizione all’influenza occidentale in Kazakistan, Kirghizistan e negli altri paesi della regione.
La reazione iniziale contro l’Unione Sovietica ha ormai lasciato il posto alla sensazione generale che allora le cose andassero molto meglio. Almeno la gente aveva la sicurezza di un alloggio. Non c’era polarizzazione, né una classe di miliardari (che invece è emersa in questi paesi), né il nepotismo dei governanti nei confronti delle loro famiglie. In un certo senso, è come tornare indietro al XIX secolo.
Quindi quello a cui stiamo assistendo ora riguarda più che altro i minerali. Il XIX secolo era incentrato più sulle colture, sull’oppio e cose simili. Ma tutto questo non è altro che una ripetizione di quello che veniva chiamato il Grande Gioco (gli inglesi lo chiamavano la Questione Orientale): la lunga lotta tra Gran Bretagna e Russia – e ora tra Stati Uniti e Russia e Cina – per il controllo di tutto, dall’Iran, attraverso l’Asia centrale, fino alle regioni uigure della Cina occidentale. Si assiste a questo gioco geopolitico, in cui le compagnie minerarie svolgono un ruolo importante; le compagnie minerarie sono probabilmente le [aziende] più impopolari dell’intera regione.
Non abbiamo sentito nulla su ciò che stanno facendo Cina e Russia – penso che stiano semplicemente lasciando che l’America giochi le sue carte – ma la settimana scorsa il ministro degli Esteri del Kazakistan era a Washington per cercare di promuovere il Kazakistan e concludere accordi. Sembra che, certamente, l’attuale governo stia cercando di concludere un accordo che gli sia vantaggioso. Credo che abbiano incontrato il segretario al Commercio Howard Lutnick, che in passato aveva negoziato un accordo per le ferrovie del Kazakistan. Ora c’è una proposta tra Cove Kaz (un fondo di capitale) per investire nel settore minerario, una sorta di accordo di partecipazione agli utili con il Kazakistan che forse non conosce tutte le complessità della contabilità “hollywoodiana” che in realtà non lascia molti profitti da condividere, dopo aver pagato tutti gli interessi, le spese di gestione e le altre spese che vengono tutte addebitate.
Il Grande Gioco ora è tra gli interessi minerari neoliberisti (e quello che il popolo kazako definisce ecocidio: la distruzione dell’ambiente causata dall’inquinamento e dalle fuoriuscite provocate dalle compagnie petrolifere) e la Cina (l’iniziativa cinese Belt and Road, su termini molto diversi e con una filosofia diversa dal neoliberismo).
Ora non si tratta più solo di un gioco geopolitico, ma di un gioco che riguarda il tipo di accordi economici che verranno stipulati. Saranno accordi di tipo BRICS (più o meno di stampo socialista) o saranno gli accordi neoliberisti che gli Stati Uniti stanno cercando di promuovere in questo momento?
RICHARD WOLFF: Vorrei aggiungere due aspetti.
In primo luogo, mi sembra incredibilmente una replica dell’imperialismo del XIX e XX secolo. Si tratta dei paesi occidentali, in questo caso gli Stati Uniti, che vedono l’opportunità di trarne profitto, sia attraverso l’estrazione mineraria – che è antica quanto l’imperialismo, risalente all’epoca dell’oro e dell’argento e di tutte le altre cose che hanno attirato gli europei in tutto il mondo alla ricerca di luoghi dove poterli ottenere a basso costo, o rubarli – sia attraverso qualsiasi altro mezzo necessario, perché è così facilmente liquidabile da poter essere utilizzato nel modo che preferiscono.
Certo, aggiungete tungsteno, aggiungete terre rare. È sempre cambiato con le tecnologie che abbiamo a disposizione, che determinano quale risorsa nel sottosuolo è più interessante dal punto di vista estrattivo, per il profitto, rispetto alle altre. Quindi ora ci sono queste nuove risorse, e ora c’è un nuovo posto dove andare a prenderle, e gli Stati Uniti cercheranno di farlo – facendo pagare gli altri – sapete, saccheggiando l’ambiente. È quello che hanno sempre fatto. Non è una novità.
Vorrei ricordare a qualcuno una lezione. E la lezione è che i paesi che sono riusciti a staccarsi dall’assetto imperialista capitalista globale – la Russia nel XX secolo e ora la Cina – sono esempi di successo. La Russia era allora sotto l’Unione Sovietica…
Vorrei ricordare alla gente, dato che è così di moda non saperlo, che la crescita economica sovietica, dal momento della rivoluzione nel 1917 fino al momento della dissoluzione nel 1989, è stata la storia di successo del XX secolo. Il Paese europeo più arretrato, che ha dovuto affrontare (pronti?) la sconfitta nella prima guerra mondiale, poi una guerra civile e una rivoluzione, quindi la collettivizzazione dell’agricoltura e infine la seconda guerra mondiale, è comunque uscito alla fine del secolo con una crescita superiore a quella di chiunque altro, nonostante tutte queste battute d’arresto. Una storia straordinaria! E la Cina, come tutti sappiamo, è l’altro esempio.
Cosa hanno in comune? Si sono staccati dal sistema capitalista coloniale. Sono esempi di successo, quelli che non hanno permesso ciò di cui si sta discutendo per il Kirghizistan o il Kazakistan, a questo punto. E questa è la prima cosa.
La seconda osservazione (che va ad aggiungersi a quanto detto da Michael) è che sono ben consapevole – forse mi sbaglio – di tutte le macchinazioni: i 76 – perché tengo il conto – i 76 morti che sono stati uccisi su quelle imbarcazioni, le cosiddette narco-barche, nei Caraibi e nel Pacifico. Sono consapevole che si tratta di un processo, insieme al posizionamento della portaerei Gerald Ford che ora si trova al largo delle coste del Venezuela. Sono consapevole che c’è un piano per attuare un piccolo cambio di regime in Venezuela, al fine di riaffermare la Dottrina Monroe e di impossessarsi di uno dei più grandi giacimenti di petrolio del pianeta.
Ecco il colpo di scena: i russi, con il tacito sostegno dei cinesi, hanno avvertito gli Stati Uniti di non farlo.
Ora, questo è un passo importante, certamente ancora simbolico, ma comunque importante. È che la Dottrina Monroe è stata appena invalidata. Gli Stati Uniti non hanno alcun diritto implicito di dominare l’emisfero occidentale. I russi stanno annunciando che anche loro sono presenti. E se i russi sono lì con navi e marina militare, come sembra, allora i cinesi non sono molto indietro.
Il mio sospetto è che parte dell’attrattiva di tenere questi incontri alla Casa Bianca sia per il signor Trump poter dire: Ok, se devo prendervi sul serio nell’emisfero occidentale, beh, voi dovrete prendere sul serio me, anche più di quanto pensavate di fare. Guardate, sto facendo cose proprio qui vicino a voi, con i governi dell’Asia centrale.
Quindi, ci sono queste manovre geopolitiche in atto: fanno parte dell’adeguamento fluido del mondo al fatto che l’Occidente non è più l’attore economico dominante. E tutti, compreso l’Occidente, stanno riorganizzando le proprie strategie, cercando di capire come rimanere a galla in questa situazione globale in rapido mutamento.
MICHAEL HUDSON: Penso che tu abbia ragione a citare la Dottrina Monroe, perché il rovescio della medaglia era la promessa che l’Europa sarebbe rimasta fuori dall’emisfero occidentale e noi saremmo rimasti fuori dal suo emisfero, ma questo non sta affatto accadendo. Quindi hai perfettamente ragione quando dici che la Russia e la Cina stanno affermando: avete infranto l’accordo. Siete venuti qui. Ok, occhio per occhio: quello che stiamo facendo è simmetrico alle vostre reazioni e alle vostre azioni. In sostanza, state vedendo la Russia e la Cina reagire contro l’Occidente.
Ma ancora una volta, tutto questo ci riporta alla contrapposizione tra il cuore del continente di [Halford] Mackinder e le zone costiere e commerciali controllate dagli inglesi.
L’idea alla base dei piani della Cina e della Russia (ma soprattutto della Cina) negli ultimi 20 anni è stata quella di espandersi via terra attraverso l’Asia centrale. C’è un intero tentativo di costruire ferrovie. Tutto questo [è una ripetizione] della fine del XIX secolo, a partire dalla Persia. Era l’Impero persiano a controllare la maggior parte di questa regione. E alla fine del XVIII secolo, la Russia riconquistò quella che era stata la parte settentrionale dell’Impero persiano: l’Azerbaigian, la Georgia e parte del Daghestan. I Qajar, una dinastia tribale locale, presero il potere dello scià dell’Iran [Persia] nel 1789 e lo governarono fino al 1925, riconquistando essenzialmente questa zona. La Russia la riconquistò e utilizzò questa conquista di quella che era stata la Persia settentrionale per estendere la ferrovia attraverso il Kazakistan e l’Asia centrale, più a est.
Ebbene, la Gran Bretagna si oppose a tutto ciò e combatté la guerra di Crimea contro la Russia per affermare che quest’ultima era il suo nemico esistenziale. Si possono guardare gli Stati Uniti e la Cina oggi: erano la Russia e la Gran Bretagna ai tempi della guerra di Crimea; e il seguito di quella guerra fu la guerra anglo-persiana (1856-1857) per il controllo della rotta verso l’Afghanistan, che era controllata dalla Persia. E fu combattuta per la città di Herat, nell’Afghanistan occidentale. Gli inglesi dissero: dobbiamo impedire alla Russia di accedere all’India, perché l’India era ancora il gioiello della corona che forniva sostegno finanziario all’Impero britannico. In sostanza, la Gran Bretagna sconfisse la Russia, sconfisse la Persia e ne prese il controllo. E nel mezzo secolo successivo, fino alla fine del XIX secolo, sia la Russia che la Gran Bretagna chiesero concessioni per costruire una ferrovia attraverso questa regione, che era ancora in gran parte sotto il controllo persiano.
Beh, riuscirono a bloccarsi a vicenda; e la Persia non fu in grado di costruire una ferrovia fino a quando, finalmente, a metà degli anni ’30, lo fece lo Stato. Aveva paura di ottenere concessioni straniere. Il trauma degli investimenti britannici – provenienti dalla Persia, più a est – fu così distruttivo che si diffuse un sentimento generale filo-russo. Dopo la Rivoluzione russa, i russi avevano il sostegno della popolazione in queste regioni; c’era una guerra in corso per il controllo della Persia (che solo più tardi sarebbe diventata l’Iran) e dell’Asia centrale. E, in sostanza, gli inglesi intervennero con l’esercito e risolvettero la questione rovesciando la dinastia tribale dei Qajar con i due scià (la dinastia Pahlavi), padre e figlio, che instaurarono uno Stato di polizia.
Quando nel 1901 la Persia concesse una concessione petrolifera a [William Knox] D’Arcy dell’Inghilterra, ciò portò alla scoperta del petrolio un decennio dopo; e penso che ciò che accadde dopo in Persia è ciò che accadrà in Asia centrale. All’inizio degli anni ’50 gli iraniani elessero Mossadegh come loro leader. L’MI6 britannico e la CIA lo rovesciarono e lo scià instaurò uno stato di polizia così terribile e oppressivo che l’unico luogo in cui la gente poteva riunirsi per opporre resistenza erano le moschee. Il risultato fu una rivoluzione sciita che rovesciò lo scià.
Questo è più o meno ciò che accadde negli anni ’90 del XIX secolo, quando l’opposizione alla conquista britannica del commercio di tabacco e oppio in Persia fu guidata principalmente dai leader religiosi, che imposero una fatwa contro il fumo; tutte le pipe ad acqua furono distrutte e, in sostanza, lo scià (lo scià tribale Qajar che aveva governato per 50 anni) fu assassinato e i britannici insediarono i propri rappresentanti.
Questo è il tipo di lotta che vedrete, con quella che ora viene chiamata la “rivoluzione colorata”, nel Sud-Est asiatico. Se i piani degli Stati Uniti per l’estrazione mineraria e il controllo, e il sostegno alla cleptocrazia neoliberista avranno successo in questa zona, ci sarà lo stesso tipo di rivoluzione che c’è stata in altri paesi. Questa sarà la dinamica che darà forma al prossimo decennio.
NIMA ALKHORSHID: Sì. Richard, cosa sta succedendo con il caso del Kazakistan e dell’Uzbekistan? Entrambi sono profondamente legati alla Belt and Road Initiative cinese e all’Unione economica eurasiatica russa.
E, guardando alla realtà della regione, questi paesi possono realisticamente orientarsi verso Washington senza compromettere le loro attuali dipendenze strategiche?
RICHARD WOLFF: Ne dubito. Ne dubito fortemente, e vi dirò due motivi. Uno, c’è una parte della storia (che posso aggiungere a tutto ciò che ha appena detto Michael), ovvero che in Persia, come forma di resistenza contro ciò che stavano facendo gli inglesi e quelle parti della società persiana alleate con gli inglesi, si sviluppò uno dei partiti comunisti più grandi e più evoluti al mondo, il partito Tudeh. Questo tipo di comportamento da parte dell’Occidente non ha solo provocato l’opposizione religiosa – cosa che ha fatto, e che per il momento è diventata piuttosto dominante, fino ad oggi – ma quell’opposizione religiosa esisteva e coesisteva con un’opposizione laica molto potente, che nel caso dell’Iran/Persia era il partito Tudeh, che doveva essere distrutto senza pietà affinché l’opposizione religiosa potesse sopravvivere. E questo continua ancora oggi. Le opposizioni all’interno dell’Iran, ancora oggi, hanno le loro radici in quel partito Tudeh in molti, molti modi, come mi hanno spiegato innumerevoli volte gli iraniani.
Quindi, starei attento perché penso che questo tipo di comportamento che stiamo vedendo – questa sorta di rinnovamento dell’imperialismo classico, se vogliamo – possa rafforzare, in qualche modo, l’opposizione religiosa; ma darà anche nuova linfa vitale alla resistenza non religiosa, socialista laica o comunista, che ha radici profonde in quella zona.
Il secondo motivo per cui mi aspetto questo è che la capacità della Russia e della Cina, separatamente e insieme, di aiutare l’opposizione guidata dal Tudeh a rinascere è molto maggiore di qualsiasi cosa la Russia o la Cina siano state in grado di fare in passato. E ora avranno un interesse acquisito nel sostenere una base anti-occidentale che già esiste qui, a molti livelli. Quindi, sì, potresti riprendere quella vecchia battaglia nel modo in cui Michael l’ha descritta; ma le condizioni e la forza dei relativi attori in gioco non sono più quelle di allora. E quindi, penso che ora, la seconda volta, il risultato sarà molto diverso.
MICHAEL HUDSON: C’è un ottimo libro pubblicato, credo, nel 2021, da Balihar Sanghera ed Elmira Satybaldieva: Rentier Capitalism and its Discontents: Power, Morality, and Resistance in Central Asia (Il capitalismo rentier e i suoi malcontenti: potere, moralità e resistenza in Asia centrale). Ho scritto l’introduzione a quel libro (e la pubblicherò oggi sul mio sito web) perché descrive esattamente il trauma che si è verificato quando le compagnie petrolifere statunitensi sono entrate in questa regione, in concomitanza con le regole neoliberiste che hanno portato questa regione ad essere più ricettiva alla Belt and Road [Initiative] cinese.
Chevron ha messo gli occhi su queste vaste riserve petrolifere, in particolare sul giacimento di Tengiz in Kazakistan. Il Kazakistan voleva semplicemente avvalersi delle competenze occidentali. Voleva svilupparle autonomamente. Ma ciò che voleva Chevron era il controllo. Ed è proprio questo che vorrà qualsiasi compagnia mineraria statunitense in questa regione: lo stesso tipo di controllo. Prometterà il controllo al governo, ma il modo in cui il FMI e la Banca Mondiale hanno imposto le regole del libero mercato è tale che lo Stato non può davvero fare nulla per penalizzare questi paesi per tutto l’inquinamento che la loro attività mineraria causerà, in particolare per le terre rare.
E Trump ha detto: Beh, possiamo soddisfare metà del fabbisogno di terre rare dell’America solo dal Kazakistan! Beh, è davvero folle, se si considera quanto tempo ci vorrà per costruire tutte queste strutture minerarie. Chi si occuperà della raffinazione? Verrà effettuata in Kazakistan? Oppure verrà inviata, come avviene attualmente con i minerali, in Cina? Chi si occuperà della produzione? L’accordo sembra così semplice nel modo in cui Trump e gli americani lo descrivono.
E mettono sempre nei dettagli del contratto delle clausole che danneggiano i paesi ospitanti, che in pratica dicono: qualsiasi cosa facciate per far pagare i costi di bonifica e qualsiasi danno che controlliamo, vi faremo causa davanti alla Corte internazionale per le controversie in materia di investimenti. E voi dovrete semplicemente pagarci, non solo dovrete pagarci i danni, ma arresteremo il vostro avvocato, come abbiamo fatto in Ecuador con l’avvocato [Steven Donziger] che ha difeso il Paese dall’inquinamento causato dalla Chevron. Capite? Vi renderemo la vita un inferno.
E non mi sorprenderebbe vedere Russia e Cina presentare uno scenario completo di ciò che potrebbe accadere a questi paesi se permettessero alle nuove compagnie minerarie di fare loro ciò che ha fatto Chevron.
Chevron promise [al Kazakistan] l’accordo, l’80% della produzione, e rifletté questo accordo di ripartizione degli utili 80-20%. Ma alla fine il Kazakistan si è ritrovato con solo il 2% dei ricavi del progetto. È stato un disastro – il 2%! – per tutto il petrolio che stava ottenendo. È stato il contratto petrolifero più sfavorevole che sia stato negoziato negli ultimi decenni. E il Kazakistan ne sta ancora subendo le conseguenze. Quindi, non ha avuto una buona esperienza con gli investimenti occidentali.
Lo stesso è accaduto in Kirghizistan. Anche questo Paese ha subito danni simili a causa dell’inquinamento causato dall’estrazione dell’oro. Anche in questo caso sono arrivate le compagnie minerarie – e l’estrazione dell’oro è molto inquinante, così come lo sono, ovviamente, quella delle terre rare e del tungsteno – e si è verificata una situazione molto spiacevole. Gli autori del libro che ho appena citato scrivono: “Il regime neoliberista delle regole di investimento vincola i governi agli accordi firmati con le multinazionali. Se gli accordi vengono violati, gli investitori si sentono giustificati nel portare gli Stati ospitanti davanti a un tribunale arbitrale internazionale per ottenere il risarcimento dei danni. Lo Stato di diritto ha affermato che lo Stato non può violare i diritti e le libertà individuali e che il dominio della proprietà privata deve essere protetto dalla politica maggioritaria”.
Quindi, il neoliberismo non ha eliminato la pianificazione statale. Ha semplicemente trasferito quella che era la pianificazione sovietica alle grandi società e alle multinazionali presenti in questi paesi.
È quello che hanno già sperimentato. E sono sicuro che i governi vogliono soldi adesso. E sono sicuro che, come nel caso degli investimenti passati, a partire dalla Persia del XIX secolo, con le sue concessioni sul tabacco, fino alle concessioni minerarie di oggi, ci sono ogni sorta di tangenti ai funzionari e di attività segrete. È così che funziona il sistema. Il crimine fa parte del libero mercato.
Credo che [R. H.] Tawney abbia detto: «La proprietà non è un furto, ma gran parte dei furti diventano proprietà», e penso che sia proprio quello che si è visto finora in Asia centrale; ed è proprio questa la strategia degli Stati Uniti per quella regione.
RICHARD WOLFF: E bisogna tenere presente il diritto internazionale. Stanno proteggendo la proprietà privata dalla “maggioranza” — Che parola meravigliosa! Avresti potuto dire “democrazia”, ma non l’hai fatto. Hai eliminato quel termine e l’hai sostituito con qualcosa che suona diverso: “maggioranza”. Non dovremmo permettere alla maggioranza di avere un ruolo decisivo in questo caso.
Quando fai questo, non fai altro che rimandare la rivoluzione che arriva per pretendere ciò che il sistema maggioritario avrebbe dovuto darti, come modo pacifico per risolvere questo tipo di differenze. Devi sempre scuotere la testa con stupore per ciò che era possibile.
E non mi sorprende che quelli di Trump… quale altro modello potrebbero avere? Non hanno altro in testa che gli ultimi due o tre secoli di imperialismo capitalista. Cos’altro potrebbe venir loro in mente? Non sono critici. Non sono permeati da un modo di pensare rivoluzionario, ribelle, socialista o (qualunque parola vogliate usare) alternativo. No, si occupano di ciò che esiste – il sistema capitalista – e di come mantenerlo in funzione. E se hanno bisogno di tungsteno e di terre rare, allora guardano in giro per il mondo e vanno a investire nel controllo, ovunque esso sia.
Mi viene in mente il modo in cui funzionava l’Impero britannico. Sapete, una volta che gli Stati Uniti divennero indipendenti e poterono svilupparsi, scoprirono che nel loro territorio c’era qualcosa che il capitalismo mondiale voleva. E nel XIX secolo, ciò che il capitalismo mondiale voleva sopra ogni altra cosa era il cotone, perché il mondo stava imparando a vestirsi con tessuti di cotone di un tipo o dell’altro. E il sud degli Stati Uniti, una volta che si riuscì a portare gli africani neri a lavorarci, era una fonte di cotone. E l’Impero britannico si trovò ora di fronte al fatto che doveva pagare per il cotone perché non aveva più la colonia; quindi, avrebbe dovuto pagare questi americani.
Così, nell’Impero britannico si diffuse la voce che bisognava lavorare ai Kew Gardens (alle porte di Londra) per piantare cotone in ogni modo possibile, al fine di capire dove potesse crescere in tutto il mondo, in modo da poterlo raccogliere per la propria industria cotoniera. Ecco perché l’Uganda è una piantagione di cotone e l’Egitto è la fonte del cotone. Hanno provato ovunque. Dove non funzionava, hanno lasciato perdere. Dove funzionava, arrivarono con il loro regime coloniale per assicurarsi di ottenerlo. E ottennero un secolo di guadagni davvero ottimi dai loro tessuti di cotone, dando ai piccoli agricoltori africani dell’Uganda… niente, sapete, e dando alla maggior parte della popolazione egiziana… niente, e così via.
Stiamo semplicemente ripetendo quel vecchio gioco, in nuovi ambiti, con nuove questioni da affrontare. Ma la struttura è esattamente la stessa.
MICHAEL HUDSON: E alla fine si tratta di un quadro a breve termine. Voglio dire, l’imperialismo, il neoliberismo è, fondamentalmente, estrattivo: cerca guadagni a breve termine – mordi e fuggi – e, a un certo punto, sei costretto a scappare perché alla fine c’è una rivoluzione che li rovescia. La Cina sta giocando (e la Russia) in questa regione, [loro] stanno giocando una partita a lungo termine; e la partita a lungo termine alla fine funziona sempre.
La domanda è: quanto tempo ci vorrà perché l’Asia centrale entri a far parte del gioco a lungo termine? E cosa possono fare ora Cina e Russia per contrastare il tentativo di un cambio di regime contro qualsiasi paese che resista all’espansione degli interessi minerari degli Stati Uniti?
Hai l’equivalente del tuo esempio sul cotone: gli Stati Uniti vedono semplicemente l’Asia meridionale e centrale come una fonte di minerali per sostituire la Cina. La Cina può dire: “Beh, noi vogliamo andare oltre la monocultura: essere una monocultura è ciò che vi ha impoverito; essere una monocultura (una monocultura mineraria, che si tratti di petrolio, tungsteno o terre rare) creerà un piccolo strato di oligarchia clientelare, una cleptocrazia clientelare, come quella che avete avuto in tutti gli Stati sovietici, oppure avrete una rivoluzione sociale?
Beh, ovviamente è quello che ha fatto la Russia in Persia, dove (come dici giustamente) il Partito Comunista era molto forte prima degli omicidi di massa e dell’assassinio (in stile Pinochet) dello scià per mano dell’MI6 e della CIA. Quindi, potrei immaginare che da tutto ciò possano derivare una guerra sporca e una politica sporca, tutto questo.
Il Sud-Est asiatico avrà uno Stato burocratico centralizzato e cleptocratico? Oppure sarà una sorta di Stato – mi piace il termine maggioritario – che probabilmente è la tattica politica che la Cina userà per dire: se avete la nostra Belt and Road, preferirete di gran lunga che siamo noi a concedervi i fondi per sviluppare la vostra economia, piuttosto che farlo attraverso il FMI e la Banca Mondiale, e le società che prenderanno in prestito il denaro a Wall Street, investiranno lì, e poi tutti i profitti saranno assorbiti dal pagamento degli interessi (per noi che paghiamo gli interessi ai nostri banchieri e alle nostre società finanziarie offshore e società di gestione), senza lasciare davvero nulla a voi. Questa è la contabilità “hollywoodiana” – o potremmo semplicemente dire la contabilità neoliberista – che viene utilizzata per impedire ai paesi ospitanti di ottenere i benefici delle loro risorse naturali.
E l’intero tentativo degli Stati Uniti in questo senso è quello di impedire a questi paesi di utilizzare il loro patrimonio, le loro risorse naturali, come base imponibile.
Beh, ovviamente, questo è proprio ciò che Adam Smith e tutti gli economisti classici – John Stuart Mill, [Karl] Marx e i socialisti – sostenevano per l’Europa: sbarazzarsi della classe dei rentier, sbarazzarsi dei proprietari terrieri, utilizzare la rendita fondiaria e la rendita delle risorse naturali come base imponibile. Questo è ciò che [David] Ricardo ha chiarito molto bene nella sua analisi. E la Cina può riprendere questa idea economica classica di libero mercato: un libero mercato è un mercato libero dall’estrazione di rendite – risorse naturali – o dall’estrazione di rendite fondiarie o minerarie. La Cina vuole che l’Asia centrale sia in grado di tassare i proventi del suo petrolio, tungsteno [e] altre materie prime, per utilizzarli per pagare gli investimenti di capitale nell’iniziativa Belt and Road che la Cina vuole costruire.
Quindi quello a cui stiamo assistendo in Asia centrale è una lotta: chi otterrà i proventi delle risorse naturali? Saranno versati alle compagnie petrolifere e minerarie private occidentali? E i governi dell’Asia centrale rimarranno senza queste risorse naturali come base imponibile significativa? E dovranno tassare la popolazione in generale, impedendo il decollo industriale? Oppure diranno: no, tutto questo appartiene allo Stato. Faremo ciò che volevamo fare originariamente con il petrolio – e ciò che ci era stato promesso – quando abbiamo parlato per la prima volta con gli interessi americani; che ci avrebbero fornito le competenze per sviluppare il nostro petrolio. Otterremo quindi i profitti – e li useremo per sviluppare il nostro Paese.
Questo non è successo la prima volta. Ci deve essere una curva di apprendimento. E ora la Cina ha tutto l’interesse a promuovere questa curva di apprendimento per dire: utilizzate le vostre risorse naturali. Potete esportare tutte le materie prime che volete in Occidente. Vogliamo che esportiate: fonte di guadagni, fonte di guadagni in dollari. Questo è ciò che vi consentirà di compensarci per gli investimenti Belt and Road che stiamo cercando di fare per sviluppare la vostra intera economia; ciò andrà a beneficio della popolazione in generale, non solo come industria estrattiva, ma anche creando piccole industrie, industrie su larga scala, modernizzando la vostra agricoltura, ecc.
Questo è ciò che accadrà nel prossimo decennio.
NIMA ALKHORSHID: Richard, gli Stati Uniti stanno già affrontando un sovraccarico di impegni in Europa e nell’Indo-Pacifico. La domanda è: possono competere in modo significativo in Asia centrale senza distogliere l’attenzione da altri teatri strategici?
Considerando che la presenza della Cina in Asia centrale non è solo economica, ma anche infrastrutturale e istituzionale, attraverso la SCO e il BRICS.
RICHARD WOLFF: Sì, stavo per dire la stessa cosa da una prospettiva diversa. Nell’imperialismo classico, i paesi europei – Gran Bretagna, Francia, Germania, Belgio e così via – utilizzavano tutti la stessa logica, lo stesso sistema. La cosa straordinaria ora è che la Cina e la Russia (in particolare la Cina) hanno un sistema diverso, ma questo da solo non basta. Sono anche il blocco economico più ricco del mondo. Hanno più soldi da fornire all’Asia centrale, se necessario. Se si sommano i PIL dei paesi BRICS, si ottiene un risultato di gran lunga superiore al PIL totale del G7. Non si tratta più di concorrenti alla pari.
I cinesi hanno… guardate cosa stanno facendo. La Belt and Road è un enorme investimento di denaro, che i cinesi devono fare. Non è solo un bel progetto. Non è solo una ricerca di profitto. È un investimento a lungo termine di una somma enorme di denaro.
E ora che gli Stati Uniti hanno, in sostanza, dichiarato guerra al resto dell’economia con quella follia dei dazi, hanno creato un incentivo per i cinesi, per i BRICS, ma anche per quasi tutti gli altri paesi, a cercare altrove rispetto agli Stati Uniti, nei prossimi anni, per fare affari; perché trattare con gli Stati Uniti, ora che sono diventati un sistema nazionalista e ossessionato dalla sicurezza nazionale, è un partner inaffidabile: È un luogo inaffidabile in cui vendere – guardate cosa possono fare i dazi – è un luogo inaffidabile in cui acquistare, perché ora tutto è strumentalizzato in questo sistema americano e non si sa se la propria dipendenza dall’importazione di qualcosa – voglio dire, non ci sono più molte cose che gli Stati Uniti esportano in modo significativo; ma qualunque cosa sia, non è affidabile.
Tutti cercano di trovare partner commerciali affidabili. Dove? Nell’orbita cinese o, almeno, in quella non americana, perché è più sicuro diversificare per non dipendere dagli Stati Uniti. Ciò significa che gli Stati Uniti (come hai detto tu, Nima, e hai ragione) non sono in una buona posizione per impegnarsi in una lotta con la Russia e la Cina in Asia centrale, mettendo da parte un impegno militare; ma in una competizione economica le probabilità non sono così buone per gli Stati Uniti a questo punto. Anche il Kazakistan e il Kirghizistan devono chiedersi se quello che stanno per fare, ovvero guadagnare un sacco di soldi, estrarre un sacco di minerali e vendere un sacco di esportazioni agli Stati Uniti, li porterà a diventare sempre più dipendenti, quando tutto il mondo ti dice: vai nella direzione opposta, riduci la tua dipendenza da loro.
Ecco la battuta che potrebbe venirvi in mente: gli americani li inducono a chiedere un prestito al FMI; loro sviluppano tutti questi strumenti; fanno una rivoluzione e vendono tungsteno e terre rare alla Cina. Pensateci, perché ora dovete ragionare in questo modo. Ed è un modo ragionevole di interpretare la legge degli eventi. È proprio questo che è cambiato nel mondo.
MICHAEL HUDSON: Nima, stavi per fare un annuncio?
NIMA ALKHORSHID: Sì, prego.
MICHAEL HUDSON: No, pensavo che ce l’avresti fatta.
NIMA ALKHORSHID: Per il nostro pubblico: se volete seguire Michael Hudson e Richard Wolff, potete visitare i loro siti web: per Richard, andate su “Democracy At Work” https://www.democracyatwork.info/; e per Michael, andate su https://michael-hudson.com. [Notate il trattino.] [Sia Michael che Richard hanno un sito Patreon: visitate https://www.patreon.com/home e cercate “Michael Hudson” e “Democracy at Work”.] [Democracy at Work ha anche un canale YouTube: @democracyatwrk.]
E l’altro punto è, Richard, come ne stavamo parlando prima di salire, che molte persone stanno rubando i video che stiamo realizzando, questi discorsi che stiamo facendo, e non possiamo perseguire questi ladri, perché sono davvero tanti.
RICHARD WOLFF: Vorrei dire due parole su Nima, solo per ribadire il concetto.
Li chiamo video falsi. Cosa sono (e mi riferisco principalmente a quelli del mio lavoro, ma sospetto che sia lo stesso per tutti): Se sei bravo con i computer, se sei bravo con i video, se sai come usare l’intelligenza artificiale e così via, quello che viene prodotto sono video che hanno il mio volto (o qualcosa che gli assomiglia), che articolano un intero ragionamento; ed è la mia bocca, e le parole suonano come la mia voce —
Tutto questo è artificiale. Non sono io.
Altre persone stanno prendendo (ad esempio, in un caso) la parte superiore del mio viso, quindi sono riconoscibile (per le persone che sono abituate a vedermi); e poi la parte inferiore è la bocca di qualcun altro, che articola un copione che non ho scritto e che non ha nulla a che fare con me. E il tutto viene confezionato come “Ecco Richard Wolff”. E le persone conoscono abbastanza il lavoro che faccio da poter, immagino, far pagare un biglietto a chi vuole vedere quel video, e poi incassare i soldi – e mi hanno semplicemente usato come materia prima.
Ora ero molto preoccupato, come potete immaginare, perché potevano inserire letteralmente l’opposto di ciò che stavo dicendo. Finora non l’hanno fatto, anche se forse ora riceverò delle e-mail che mi dimostreranno il contrario, ma finora ciò che abbiamo visto non è ideologicamente o analiticamente opposto, è solo finzione. È solo la creazione di qualcun altro.
Quindi, se volete essere sicuri che sia davvero io? Sì, andate su democracyatwork.info; oppure andate su @democracyatwrk (canale YouTube); oppure andate su @democracyatwork su Substack. Tutti questi sono nostri. Sono di nostra proprietà e pubblichiamo solo cose nostre. In questo modo, potete essere sicuri che non si tratti di un falso.
MICHAEL HUDSON: Beh, è lo stesso sul mio sito, ma in particolare per quanto riguarda i programmi di Nima. La gente mi ha inviato copie dei programmi di Nima, con Richard e me, e in fondo c’è un altro conduttore (un quarto conduttore!) che è lì sul loro sito, con tutto il programma che abbiamo appena fatto.
Potrebbero decidere di utilizzare o meno la trascrizione che preparo per questi programmi, che pubblico sul mio sito e che invio a voi. E così sembra che il tuo programma, Dialogue Works, appaia su un sito che non è Dialogue Works, un sito completamente diverso con Richard e me, con qualcun altro che lo presenta. E hanno anche avuto la sfacciataggine di scrivermi dicendo: Abbiamo ricevuto molte risposte dagli spettatori ai video che abbiamo mostrato di te, Richard e Nima. Vuoi essere ospite sul nostro sito? Come se in qualche modo questo potesse legittimare tutto.
Quindi, abbiamo a che fare con un furto enorme, sponsorizzato da YouTube, perché YouTube otterrà più pubblicità da questo – e lascerà che fioriscano cento fiori.
E sospetto che gli spettatori di questi siti plagiati non siano il tipo di spettatori che di solito guardano il programma di Nima o che leggono ciò che Richard e io scriviamo sui nostri rispettivi siti web. Si tratta di michael-hudson.com 1, per essere precisi. È lì che dovete andare. E io ho un gruppo Patreon. Richard ha un gruppo. Abbiamo i nostri siti, ma loro stanno piratando ciò che facciamo. E sono siti falsi. E, come sottolinea Richard, sono arrivati persino a falsificare i nostri contenuti.
Questa è la rivoluzione dell’intelligenza artificiale. Chi controlla la piattaforma, la piattaforma di intelligenza artificiale, controlla i contenuti. Ed è l’equivalente di [George] Orwell: chi controlla il [passato], controlla il [futuro]. Ma chi controlla il sistema di intelligenza artificiale? Se immettiamo spazzatura, otterremo spazzatura, è quello che stiamo vedendo.
NIMA ALKHORSHID: Sì. Il problema è che stanno ottenendo più visualizzazioni del video originale!
Prima di concludere, Richard, vorrei mostrare un video di Donald Trump che parla delle tariffe doganali. Ecco cosa ha detto Donald Trump.
DONALD TRUMP (CLIP): Ho incassato centinaia di milioni di dazi. Ho imposto dazi alla Cina sin dall’inizio. Poi, quando siamo stati colpiti dal COVID, abbiamo combattuto. Abbiamo fatto un ottimo lavoro. Ma quello era il COVID. Proveniva da un determinato luogo in Cina.
LAURA INGRAHAM (CLIP): Un altro grande regalo dalla Cina.
DONALD TRUMP (CLIP): … è un altro piccolo regalo che abbiamo ricevuto. Ma guardate, io vado molto d’accordo con il presidente Xi. Vado molto d’accordo con la Cina. Ma l’unico modo per andare d’accordo con la Cina è trattare da una posizione di forza. Abbiamo una forza enorme grazie ai dazi. Abbiamo una forza enorme grazie a ciò che ho fatto. Ho ricostruito il nostro esercito; loro hanno molti missili, ma anche noi ne abbiamo molti. E non vogliono avere a che fare con noi.
RICHARD WOLFF: Sì, beh, sai, questo è il Paese che ha inventato il cowboy. E la mentalità da cowboy è molto diffusa. Molti ragazzini crescono con l’immagine di un tipo molto impressionante a cavallo che spara alla gente, che di solito ha la pelle più scura, e il cowboy, e tutto il resto. Ed è quello che abbiamo qui.
Avresti potuto mostrarci un filmato in cui spiega, con gioia negli occhi, come sta uccidendo quei trafficanti di droga che spara dalle barche. E che quando avrà finito con loro, saranno morti. E dice la parola “morti” con tutta l’intensità che riesce a raccogliere. Sai, uccidere i trafficanti di droga. Negli Stati Uniti arrestiamo ogni giorno persone coinvolte nel traffico di droga. In questo Paese c’è un enorme traffico di droga e ogni giorno arrestiamo persone, in un luogo o nell’altro. Non li uccidiamo mai. Che siano colpevoli o innocenti, non abbiamo la pena capitale per le persone coinvolte nel traffico di droga – fino a quando il signor Trump ha deciso di essere il giudice, la giuria, l’avvocato e la prova, e di passare direttamente da “vedo una persona su una barca” alla sua esecuzione. È così grave che l’agenzia di intelligence britannica –
Beh, quello che vediamo qui con la sua discussione sulla Cina – e lui ha ricostruito l’esercito – è sempre la stessa cosa. È tutta una messinscena elaborata del signor Tough Guy. Non è una cosa seria, tranne per il fatto che questo è ancora un Paese ricco, ha ancora un esercito potente, può ancora causare danni. Per lo più, quello che ha fatto il programma tariffario è stato causare danni.
E vorrei concludere con una cosa: ora stiamo tutti aspettando la decisione della Corte Suprema per sapere se le tariffe sono un’azione legale o meno.
Ecco perché è importante, indipendentemente dal risultato. Il presidente degli Stati Uniti ha attaccato e danneggiato innumerevoli paesi e aziende, danneggiati dai dazi doganali. E lo ha fatto sapendo che potrebbero essere incostituzionali. Ha sottoposto il paese a un’esperienza i cui costi saranno enormi – e lo sono già – senza nemmeno saperlo, né prendersi il tempo o la briga di informarsi, perché è un cowboy e punta subito alla pistola…
Quindi ha applicato i dazi doganali e ora, tra l’altro, una delle sue difese, recentemente presentata alla Corte Suprema, è stata quella di spiegare quanto sarebbe stato destabilizzante per l’economia mondiale se avesse dovuto annullare tutti i…
Esatto! Come hai potuto farlo? Che razza di leader politico farebbe una cosa del genere? Wow. Stiamo parlando di agire d’impulso in modi che sono già, e possono essere incredibilmente autodistruttivi.
MICHAEL HUDSON: Aha, Richard, questo è esattamente ciò che Trump sta pianificando, la spada che Trump sta tenendo sospesa sull’Asia centrale. Può dire che, beh, se avete intenzione di riorientare le vostre esportazioni verso gli Stati Uniti, possiamo applicare dazi sulle vostre esportazioni e creare caos nel vostro Paese, se fate qualsiasi mossa per accontentare la Cina, la Russia, l’Iran o chiunque altro sia nella nostra lista dei nemici. Investendo nei minerali, nel petrolio e in altri prodotti dell’Asia centrale, Trump ha la possibilità di creare il caos in quei paesi e di usare il rifiuto del mercato statunitense per ottenere il controllo.
La citazione di Nima mostrava Trump che parlava di missili. Non userà missili nel Sud-Est asiatico. Userà al-Qaeda. Questa è la guerra del terrore dell’America. La chiamano guerra al terrorismo, ma è una guerra di terrore. Si sta ricorrendo agli omicidi di al-Qaeda, agli omicidi della CIA, al cambio di regime del National Endowment for Democracy e tutto il resto; e cercheranno di portare al-Qaeda in tutti i paesi dell’Asia centrale che agiscono in modo sgradito agli Stati Uniti. E in Asia centrale vedrete esattamente ciò che al-Qaeda ha fatto in Iraq e in Siria.
E il fatto che, due giorni fa, il leader di al-Qaeda, [Abu Mohammad al-]Jolani, sia apparso alla Casa Bianca, stringendo la mano a Trump e giocando a basket con i generali del CENTCOM statunitense!
Ora che, come sapete, non c’è più una taglia di 10 milioni di dollari sulla vostra testa, continuate a uccidere i cristiani. Va bene così. È vero che accusiamo altri paesi di uccidere i cristiani e ci opponiamo a loro, ma voi potete uccidere i cristiani perché siete i nostri assassini di cristiani, non i loro.
Si sta assistendo all’ipocrisia di tutta questa finzione, questa maschera di carta degli Stati Uniti che sta cadendo, che è stata strappata via negli ultimi giorni, sotto gli occhi di tutti.
NIMA ALKHORSHID: Sì. Credo che siamo quasi alla fine. Grazie mille, Richard e Michael, per essere stati con noi oggi. È stato un grande piacere parlare con voi due.
RICHARD WOLFF: Anche qui. Speriamo di aver fatto qualche progresso anche contro i video falsi.
NIMA ALKHORSHID: Sì, lo spero.
MICHAEL HUDSON: Sì.
NIMA ALKHORSHID: Non ne sono sicura, ma spero di sì. A presto. Ciao ciao.
Trascrizione e diarizzazione: https://scripthub.dev
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L’ultimo post ha trattato alcuni dei fondamenti dell’economia, in particolare il fatto che l’economia è una controparte egocentrica della politica nella lotta per la vita. L’economia riduce gli uomini a individui preoccupati di riempire la propria pancia, ma l’introduzione di una vocazione a qualcosa di più elevato, come lavorare per la famiglia, gli obiettivi e le convinzioni, la rende politica, poiché tali convinzioni vengono ereditate dalle generazioni future. L’obiettivo politico, quindi, determina la dimensione e il tipo di economia necessaria per sostenerlo, e quando le risorse diminuiscono, il movimento politico è messo a dura prova, poiché la sua organizzazione vacilla a causa della fame. Questo post analizzerà più da vicino il rapporto tra politica ed economia.
Nel mondo vegetale, l’economia è esercitata in modo del tutto inconscio da ogni singola pianta. Un albero ha meccanismi naturali per nutrirsi e sostenersi senza mai pensare a come farlo. Nel mondo animale, invece, esiste un bisogno consapevole di preservare la propria vita, che spinge l’animale a percorrere lunghe distanze per trovare risorse per sostentarsi. Un esempio più esplicito di ciò è quando gli uomini vanno a caccia per procurarsi il cibo, ma Spengler identifica anche nelle donne le loro diverse azioni per accaparrarsi le risorse degli uomini. C’è, quindi, una certa astuzia nell’animale che si procura le risorse, che crea una complessa rete di interazioni e comportamenti nascosti mentre le persone giocano alla guerra e alla diplomazia per la propria sopravvivenza.
Con la Rivoluzione Neolitica arrivò una nuova forma di economia. L’uomo si radicò in un luogo e iniziò a coltivare il proprio cibo, diventando contadino. A questo punto, gli atteggiamenti animali dell’uomo si invertono, trasformandosi in istinti vegetali. Questo tipo di economia è pura produzione, e ciò che viene prodotto cattura l’attenzione di altri che lo vedono come una preda da rubare o controllare. La politica primitiva è tutt’uno con l’economia. Rappresenta il desiderio predatorio di preservare il proprio patrimonio appropriandosi di quello altrui. Le guerre primitive sono quindi sempre incentrate sul bottino, sul bottino e sulla pirateria, e raramente su qualcosa di idealistico, come nelle fasi successive di una cultura avanzata.
Nella politica e nell’economia superiori, la diplomazia e il commercio diventano sostituti della guerra. I Normanni furono prima conquistatori e poi mantennero i loro possedimenti diventando abili finanzieri. La famiglia Medici governò la città di Firenze grazie alle sue capacità bancarie. Crasso usò le sue ricchezze per finanziare le elezioni dei suoi candidati preferiti. In economia, bisogna essere come un generale per costruire un impero commerciale. Il terzo stato è composto da quelle famiglie che divennero potenti grazie alle regole della vita cittadina, ovvero attraverso il denaro, il commercio, il commercio, utilizzando i materiali che affluivano dalla terra.
C’è una differenza, però, tra chi vuole governare attraverso la propria ricchezza e influenza e chi vuole semplicemente essere ricco. Uno statista conquisterà perché sente di avere una missione da compiere e governa i suoi beni con un obiettivo in mente. La sua politica economica serve solo a garantire il raggiungimento di questi obiettivi. Nel frattempo, coloro che sono puramente interessati alla ricchezza e nient’altro – Spengler cita i Cartaginesi e gli Americani del suo tempo – sono incapaci di pensiero politico e vengono spesso ingannati e sfruttati da altri. Per passare da questi ultimi ai primi, Spengler afferma che bisogna “cessare di percepire la propria impresa come “affare proprio” e il suo scopo come il semplice accumulo di proprietà”. Probabilmente, questo fu il cambiamento avvenuto in America durante il periodo tra le due guerre, che la catapultò dall’isolazionismo alla Pax Americana in pochi decenni. Ma questa tendenza a ripiegarsi su se stessa per regolare da sola i propri affari economici sta sempre riportando l’impero degli Stati Uniti alla sua condizione originaria.
Qui emerge anche un altro problema politico, ovvero il pericolo che le élite di una nazione degenerino in egocentrici sostenitori della propria ricchezza a spese di tutti.
‘ Ma, al contrario, gli uomini del mondo politico sono esposti al pericolo che la loro volontà e il loro pensiero per i compiti storici degenerino in una mera provvista per il sostentamento della loro vita privata; allora una nobiltà può diventare un ordine di ladri, e vediamo emergere i tipi familiari di principi e ministri, demagoghi ed eroi della rivoluzione, il cui zelo si esaurisce in pigrizia e nell’accumulo di immense ricchezze ‘ (Vol. 2, p. 476)
Quando gli istinti politici di uno Stato si indeboliscono, la sua popolazione si sottomette a una mentalità economica. Il cambiamento è invisibile in superficie, ma si manifesta nel tempo in decisioni che non fanno altro che danneggiare l’intera nazione. Questo perché l’obiettivo non è più il progresso dello Stato-nazione nel suo complesso, ma la preservazione di un gruppo nidificato a scapito del resto. Quelle famiglie aristocratiche che detenevano il potere durante gli imperi europei ora si ritraggono e si insinuano silenziosamente attraverso scappatoie legali per preservare le proprie fortune. Quando minacciati, i “milionari”, le cui fortune hanno accumulato in un Paese, semplicemente se ne vanno per un altro. Nessuna ancora alla loro nazione supera il loro desiderio di preservare la propria ricchezza, come dimostrano le migliaia di milionari britannici in fuga dalle tasse elevate. Per quanto riguarda i lavoratori, la spinta della sinistra per sempre più cose gratuite è infinita, e qualsiasi opposizione più concreta viene esaminata e respinta. Poi c’è l’intero concetto di lavoratori in fondo alla scala sociale che “ce la fanno”, che tradisce il desiderio di lavorare nella misura in cui non dovranno mai più farlo. Può trattarsi del pensionato del boom che ha lavorato tutta la vita per vivere dei propri interessi, o dello zoomer che desidera disperatamente un 1000x sul suo portafoglio di criptovalute. Invece di un uomo che acquisisce un tipo di essere attraverso doveri, struttura e stile – che, certo, gli sono stati forniti in altri secoli da un forte senso di identità nazionale, comunitaria e religiosa – c’è semplicemente il telos che gli permette di vivere a suo agio per sempre, mentre il mondo intorno a lui viene cambiato da fazioni più vivaci. Sia nel contesto individuale che collettivo, questa mentalità è esattamente ciò che ci impedisce di aggrapparci anche a ciò che abbiamo attualmente.
Spengler ha affermato altrove di considerare il lavoro un dovere dalla nascita alla morte. Il che è una cosa piuttosto sgradevole e antiquata da sentire con le nostre orecchie moderne. Ma con la bocca, noi – in particolare gli americani – ci lamentiamo spesso dei baby boomer che si sono seduti come draghi sulla loro ricchezza, bruciandola lentamente per decenni. Sono consapevoli che i loro figli e nipoti non riceveranno altro che un’economia paralizzata e gonfiata dopo la loro morte, eppure ripetono ripetutamente le stesse frasi ad effetto su bootstrap e lavori estivi. La civiltà faustiana, forse a causa della sua tecnologia, sembra avere la propensione a esagerare davvero alcuni dei sintomi che Spengler identifica nel declino di una cultura, e non c’è esempio migliore nella storia di ciò che accade quando una generazione di persone “ce l’ha fatta” e ha abbandonato prematuramente il gioco che nel nostro Occidente moderno. Molti dei problemi del mondo moderno possono essere attribuiti alle generazioni più anziane e alla loro mancanza di istinto di tramandare il proprio mondo ai discendenti diretti, con il risultato che viene invece tramandato ad altri. In altre culture, solo le élite potevano permettersi il lusso di andare in pensione; ora assisteremo a ciò che un’intera generazione di pensionati fa a una civiltà avanzata.
Grazie per aver letto Spenglarian.Perspective! Questo post è pubblico, quindi sentiti libero di condividerlo.
Interessante questo articolo di Big Serge. Dal punto di vista geostrategico, dimostra una cosa essenziale: la Germania accese la WW2 senza conoscere né il suo nemico né se stessa!
E allora, non solo la dirigenza tedesca rimase infatti per tutta la guerra abbacinata dall’idea di trovare un “modus vivendi” con chi l’aveva spinta nella “trappola polacca” , ma anche assolutamente confusa sulle proprie finalità strategiche e sui mezzi realmente disponibili per perseguirle.
Facendo, quindi, guerra violando il noto principio di Sun Tzu, non poteva che perderla.
Comunque non è che conoscendo bene entrambe le cose, ” se stesso” e “il proprio nemico”, la Germania la guerra avesse poi tante probabilità di vincerla, accertato lo straordinario sbilancio di partenza nelle ” risorse mobilitabili” (+) , nel mentre invece la coerenza strategica ” degli anglosassoni ” fu assoluta ,una volta che essi ebbero ricevuto nel gennaio del ’39 l’ordine di marcia dai “banksters”.
Perché le WW si fanno solo quando i “banksters” ne hanno bisogno e di solito usano gli stessi trucchi.
Infatti il parallelismo tra la futura WW3 che appunto i “banksters” si preparano a portare alla Russia e la WW2 che allora portarono alla Germania è evidente; su questo vale la pena di soffermarci.
Partiamo dai punti di analogia :
1) Putin è il “nuovo Hitler”, il dittatore alla guida dell nuova “minaccia revanchista”: cosa confermata dalla “nuova aggressione ingiustificata da lui portata alla “coraggiosa vittima” ( provocatrice): l’ Ucraina di oggi, ora al posto di quello che allora della Polonia.
Chi di voi non ha sentito questo “coro” calatoci in testa da anni a “me(r)dia unificati ?
2) L’ attuale dirigenza russa cerca disperatamente un accordo con il suo nemico esattamente come allora fece quella tedesca . Non lo vediamo anche questo in questo continuo “teatro di pace” ?
3) il rapporto di “risorse mobilitabili” e ancora una volta 5:1 a vantaggio del Bankstan. Questo è un dato oppugnabile derivabile dalle statistiche , e chi crede che i popoli asserviti ai banksters stavolta non andranno a morire per i LORO interessi , si illude.
E se vogliamo aggiungere carne al fuoco, ci possiamo cogliere un ulteriore analogia:
3a) anche stavolta gli U$A partiranno facendo finta di essere “neutrali”. Non vedete l’ analogia tra il Trump di oggi e il Roosevelt del 1940 ?
Questi 3 e 1/2 “punti” ci spiegherebbero abbastanza del perché i “banksters” restino ancora altamente confidenti nella la PROPRIA vittoria, esattamente come lo rimasero anche quando nel primo anno della WW2 tutti rimasero sorpresi dalle strabilianti vittorie tedesche.
Quindi la “partita” è già ” segnata” ? Non proprio , perché ci sono delle differenze e anche addirittura una importante difformità .
Partiamo appunto da questultima su di un punto che allora fu decisivo a provocare il collasso della Germania:
(4) il ruolo dell’URSS , che nella WW2 spezzò la schiena di una Germania che l’ aveva attaccata per “disperazione strategica. Potrebbe domani nella WW3 essere della Cina il ruolo che fu de L’ URSS nella WW2 ?
Vediamo un po nel dettaglio questa fantasiosa ipotesi .
In effetti nei prodromi della WW2, perlomeno fino al 1933, anche Germania e URSS furono abbastanza “simbiotiche” in quanto ognuno aveva bisogno di ciò che l’ altro aveva: materiali grezzi contro prodotti industriali.
Ma tra il 1933 e il 1939 tutto questo era cessato per la dichiarata volontà della dirigenza tedesca di costituire “un proprio spazio vitale ad est” ai danni del “mondo slavo”.
A parziale giustificazione di questa aggressiva “intenzione programmatica” c’ era pure ,ideologicamente analoga, “l’intenzione programmatica” dell’ URSS di portare “il comunismo in Europa”.
Insomma Germania e URSS erano nemici dichiarati anche se, per la propria prosperità, avevano bisogno “l’ uno dell’ altra”.
Vediamo invece l’attuale rapporto Russia- Cina .
Anch’essi , entrambi programmaticamente nel mirino del Bankstan, hanno “bisogno l’una de l’ altra” seppur a parti rovesciate rispetto al caso precedente. Infatti ora è sotto attacco diretto il “fornitore di materiali grezzi” e non “il fornitore di prodotti industriali , come “l’altra volta”.
Ma al contrario , i due di adesso non hanno alcuna ” ostilità dichiarata” tra loro , ed entrambi dichiarano assolutamente insensato rimanere semplici spettatori di una possibile aggressione subita dall’altro.
Certo, non sono “alleati” ritenendosi entrambi ” maschi alfa” , ma il loro informale “patto di non aggressione” è ora molto più credibile tanto da non avere alcuna necessità di metterlo su carta, perché non hanno alcuna necessità di sopraffarsi vicendevolmente e nessun vantaggio a vedere l’altro nelle grinfie del Bankstan.
Certo, adesso è la Russia a trovarsi in piena “linea di fuoco” , ma è veramente fuori da ogni pensiero strategico razionale che la Russia attacchi per ” disperazione strategica” la Cina , o inversamente che sia la Cina ad attaccare la Russia per spartirsela poi col Bankstan , quando già ora la Cina può avere dalla Russia tutto ciò che gli serve con un semplice commercio fatto da posizione di vantaggio.
Quindi non solo il fattore 4 manca, ma potrebbe essere addirittura rovesciato!
E ci solo altri fattori “disanaloghi” a vantaggio della Russia
a) La Russia oggi, al contrario della Germania di allora, non ha gravi carenze di risorse primarie. Non solo può lavorarle da sé , ma al bisogno può commerciarne ad libitum con la Cina per sopperire ai propri bisogni industriali.
b) Al contrario della Germania di allora , che non riuscì mai a colpire seriamente anche solo la Gran Bretagna, la Russia oggi dispone di notevoli capacità di colpire a morte l’ intero Bankstan.
Certo, ricorrendo in questo anche all’ arma nucleare; sarebbe certamente un atto di “disperazione strategica “ gravissimo che non porterebbe alla “vittoria”; di sicuro porterebbe la morte all’intero Bankstan.
E un Bankstan che spingesse la Russia a questa “disperazione strategica “ sarebbe molto più disperato.
Infatti perché mai i “padroni del’ universo” dovrebbero mettere tutto quello che già hanno in questa roulette… russa?
Quindi si ritorna alla questione di quattro anni fa . Dove trovano i banksters la motivazione per perseguire questa WW3 ? Certezza di vittoria come quando accesero la WW2 , nera disperazione, o peggio di tutto , follia messianica ?
E nel caso di una reale “certezza” , su quale fattore qui non contemplato essa poggia ?C’è forse un NUOVO “trucco” che non abbiamo ancora capito ?
Non lo sappiamo ora , come non lo sapevamo quattro anni fa , ma ora possiamo capire perché la Russia proceda in questa WW3 con “molta prudenza ” invece di precipitarcisi in avanti come la Germania nelle due precedenti.
Quindi se lo chiedono certamente anche al Kremlino: dove sta il NUOVO trucco ?
(+)Dai dati statistici de l’ epoca , mettendoci dentro anche i soliti ” camerieri francesi” il Bankstan partiva con un vantaggio 5:1 nelle risorse industriali e umane , senza contare le gravi carenze di approvvigionamento la ” Gross Deutchland” aveva in partenza in termini di agricoltura e risorse minerarie .
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Dato che non cessa il dibattito sul National Security Strategy 2025 di Trump, siamo andati a chiedere lumi al sempre cortese Niccolò Machiavelli, il quale ci ha ricevuto.
A concentrarsi sul nocciolo del NSS 2025 questo qual è? E cosa lo distingue dal pensiero delle élite europee?
Il Trump l’è il migliore dei miei allievi, almeno nella vostra parte del mondo. Ciò che accomuna le sue argomentazioni e la distinzione dal pensiero dei governanti europei è che ha capito assai bene che chi trascura la realtà per andare appresso all’immaginazione è destinato a rovinare se stesso e la propria comunità.
Ma non crede che, in definitiva, le buone intenzioni e le belle prospettive possano costituire un punto di incontro tra le comunità umane?
Certo: a patto che tutti i governanti e i governati del pianeta le condividano. Ma questo non risulta né a me né a nessuno. Neppure a quelli che lo pensano, giacché per primi – e logicamente – indicano il nemico, che è colui che non condivide le loro immaginazioni. Cioè Trump, ma anche tanti altri: Putin, Xi, Modi, gli Aiatollà, ecc. ecc. Cioè la grande maggioranza di governanti e governati del mondo.
Ma non crede che nel futuro possano crearsi dei modelli di cooperazione e coordinamento?
Può darsi nel futuro. Fino a quel momento vale quello che scrissi nel Principe: che si governa (e si combatte) con le leggi e la forza. Ma occorre per farlo che le leggi pretese siano accettate dai governati. Il che, adesso, non risulta anche per parte dell’Europa. Se nel futuro ciò si realizzerà, forse sarà possibile.
In cos’altro differisce il Trump-pensiero da quello “corrente”?
In primo luogo che si basa su fatti ed esperienza storica (cioè sulla realtà), come da me fatto quando mi vestivo elegante per ragionare sulle vicende passate. Ad esempio nel documento si legge: “Chi un Paese ammette entro i propri confini – in quale numero e da dove – definirà inevitabilmente il futuro di quella nazione. Qualsiasi Paese che si consideri sovrano ha il diritto e il dovere di definire il proprio futuro… Nel corso della storia, le nazioni sovrane hanno proibito la migrazione incontrollata e concesso la cittadinanza solo raramente agli stranieri, che dovevano soddisfare criteri rigorosi. L’esperienza dell’Occidente negli ultimi decenni conferma questa antica saggezza. In molti Paesi del mondo, la migrazione di massa ha messo sotto pressione le risorse interne, aumentato la violenza e altri crimini, indebolito la coesione sociale, distorto i mercati del lavoro e minato la sicurezza nazionale”. Quando i romani, i quali tra l’altro, concedevano la cittadinanza con notevole larghezza, persero il controllo dell’immigrazione, l’Impero d’Occidente collassò in circa un secolo.
Al posto di quello subentrarono i regni romano-barbarici che erano tutt’altro dall’impero distrutto (anche se ne conservavano qualche vestigia).
Accusano Trump di non desiderare alleati, ma solo allineati alla visione americana.
Anche le mosche vogliono guidare i cavalli, perfino in politica. Figurarsi se non lo desidera il capo della prima superpotenza del pianeta. Accusare Trump di ciò è sfondare una porta aperta. Attraverso la quale passano tutti.
Ma Trump ha il senso del limite che diversi suoi predecessori avevano smarrito. Scrive infatti che “L’epoca in cui gli Stati Uniti sorreggono da soli l’intero ordine mondiale come Atlante è finita. Tra i nostri molti alleati e partner contiamo decine di nazioni ricche e sofisticate che devono assumersi la responsabilità primaria per le loro regioni e contribuire molto di più alla nostra difesa collettiva”. Io ho sempre sostenuto che per essere indipendenti occorre disporre di potenza e virtù propria, e non fondarsi su quella di altri. Indicando ciò, Trump indica la via maestra per determinare liberamente il proprio destino.
Ma tanto in Europa non vogliono capirlo.
Col rischio di finire a servizio permanente di altri. Oggi Trump, domani Xi o Modi passando per Putin. Gli è che si immaginano che la lotta per il potere si faccia con le favole.
Come scrissi secoli fa, discorrendo dei profeti disarmati o armati “Nel primo caso, sempre capitano male e non conducono cosa alcuna: ma quando dependono da lloro proprii e possono forzare, allora è che rare volte periclitano: di qui nacque che tutti e profeti armati vinsono e li disarmati ruinorno”. Vale in ogni caso, ma ancor più per coloro che credono – e spesso è così – di portare novità, come sostenevo “se uno principe ha tanto stato che possa, bisognando, per sé medesimo reggersi, o vero se ha sempre necessità della defensione d’altri. E per chiarire meglio questa parte, dico come io iudico coloro potersi reggere per sé medesimi che possono, o per abbondanzia di uomini o di danari, mettere insieme uno exercito iusto”.
Gli altri è meglio che si organizzino a difesa, la quale necessita in particolare, della fedeltà e convinzione dei sudditi. Che già ridotta, diminuisce ancora, come si legge nel documento.
Mi pare però che l’abbiano capito anche in Europa, dato che, specie la Germania, si stanno riarmando.
Era ora. Solo che per non perdere la faccia, seguono già il pensiero di Trump, ma lo attaccano per far dimenticare decenni di prediche contrarie, recitate a ogni piè sospinto. Alcuni a quelle prediche sono così affezionati che mostrano di non averlo capito neppure oggi.
Concludendo che cos’altro l’ha colpita?
Il fatto che Trump abbia ricordato a tutti quello che ha sostenuto il mio successore Hobbes: che lo scambio politico è tra protezione ed obbedienza – lo ripete più volte. Non si obbedisce a chi non protegge: ma se protegge ha diritto all’obbedienza.
Le élite europee le quali pretenderebbero la protezione americana, a gratis e con infedeltà (parziale) compresa, non manifestano il coraggio della libertà politica, tanto si sono mummificate nelle loro illusioni.
La ringrazio tanto
L’aspetto, quando vuole.
Todoro Klitsche de la Grange
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Sembra che l’amministrazione Trump si stia finalmente preparando a intensificare il conflitto venezuelano una volta per tutte, dopo che lo stesso Trump aveva dichiarato ai giornalisti che “presto” sarebbero iniziati “attacchi terrestri” sul suolo venezuelano. Trump ha poi superato ogni limite annunciando un blocco navale totale delle petroliere venezuelane nel modo più pomposo che più si addice al suo solito modo di fare:
Questo è avvenuto dopo che le forze speciali statunitensi avevano già sequestrato una petroliera al largo delle coste del Venezuela proprio la settimana scorsa, con l’accusa di trasportare petrolio venezuelano “soggetto a sanzioni” destinato all’esportazione. È stata inventata una complessa storia su come la petroliera fosse legata alla “flotta ombra” del Venezuela con collegamenti a Hezbollah e all’Iran, se si può credere a questa assurdità:
Il 10 dicembre 2025, gli Stati Uniti hanno sequestrato la petroliera Skipper nel Mar dei Caraibi al largo delle coste del Venezuela. La Skipper era stata sanzionata dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti nel 2022 per il suo presunto coinvolgimento in una flotta ombra di navi dedita al traffico di petrolio che coinvolgeva il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche e Hezbollah.
Ora, come si è visto nel precedente articolo, Trump ha raddoppiato il suo ultimo motivo narrativo, accusando il Venezuela di “rubare” il petrolio degli Stati Uniti:
Stephen Miller, consigliere di punta di Trump e vice capo di gabinetto della Casa Bianca per le politiche, ha rincarato la dose con una retorica escalatoria:
Qui un canale analitico russo ha fornito la vera notizia su questo cosiddetto petrolio rubato:
Di quale petrolio “rubato” sta parlando Trump?
Il 28 febbraio 2007 Hugo Chávez, allora presidente del Venezuela, firmò una legge sulla nazionalizzazione dei giacimenti petroliferi.
A tutte le società straniere operanti nel Paese è stato offerto di partecipare a joint venture, in cui almeno il 60% delle azioni sarebbe appartenuto alla società statale PDVSA.
Il decreto presidenziale ha colpito le società americane Chevron Corp., ConocoPhillips, Exxon Mobil Corp., la britannica BP, la francese Total SA e la norvegese Statoil ASA, che hanno perso il controllo dei giacimenti petroliferi in fase di sviluppo nel bacino del fiume Orinoco.
A quel tempo, gli investitori stranieri mantenevano una certa autonomia solo nei giacimenti petroliferi della cintura petrolifera dell’Orinoco, dove avevano svolto un ruolo di primo piano prima della firma della legge. Negli anni ’90, il governo venezuelano ha consentito l’ingresso di operatori stranieri nell’Orinoco perché i giacimenti di quella zona erano considerati poco promettenti e richiedevano ingenti investimenti di capitale.
Tuttavia, gradualmente, le principali compagnie straniere hanno aumentato la produzione di petrolio nell’Orinoco fino a 600 mila barili al giorno. Fin dall’inizio, gli operatori stranieri hanno svolto attività di esplorazione, produzione e costosa lavorazione primaria del petrolio greggio nei giacimenti dell’Orinoco in collaborazione con PDVSA.
Secondo alcuni dati, l’ammontare degli investimenti delle suddette società nei beni successivamente nazionalizzati ammontava ad almeno 17 miliardi di dollari.
Alcune delle richieste delle compagnie petrolifere straniere sono state successivamente soddisfatte dalle autorità venezuelane attraverso un risarcimento monetario diretto.
Ma non tutte, e la questione non è ancora completamente risolta: alcune aziende continuano a chiedere un risarcimento e hanno avviato procedimenti presso organismi arbitrali stranieri.
#Venezuela
Informatore militare
Per inciso, secondo quanto riferito, una petroliera denominata Hyperion, appartenente alla cosiddetta “flotta ombra” della Russia, si sta avvicinando al Venezuela, con molti che attendono con apprensione le azioni degli Stati Uniti come prova del nove per capire quanto gli Stati Uniti oseranno adottare uno stile di confronto “aggressivo” nei confronti della Russia direttamente:
È interessante notare che la petroliera russa “Hyperion” è entrata nelle acque dei Caraibi diretta verso il terminal Jose, in Venezuela.
La nave è soggetta alle sanzioni dell’OFAC statunitense… il che significa che fa parte della cosiddetta “flotta ombra”.
Fonti indipendenti di monitoraggio marittimo hanno riferito che le petroliere russe soggette a sanzioni continuano a operare nei terminal venezuelani come il Jose Terminal, nonostante Washington cerchi di impedirlo. –
È stato anche riferito che le petroliere russe in transito nel Mar Baltico hanno ora iniziato a dotarsi di sentinelle armate, il che ha alimentato “voci” sulla “natura” precisa di queste misure di sicurezza:
Una strana situazione è stata segnalata nel Mar Baltico. La Marina svedese riferisce che uomini armati in uniforme militare sono stati avvistati a bordo di petroliere russe della “flotta ombra” nel Mar Baltico.
La flotta ombra della Federazione Russa è protetta dal personale militare, ha dichiarato il capo del comando operativo della Marina svedese, Marco Petkovic, in onda sul canale televisivo svedese SVT Nyheter.
Secondo lui, personale militare in uniforme e uomini armati – presumibilmente dipendenti di società di sicurezza private – sono stati avvistati su petroliere russe che operavano eludendo le sanzioni occidentali.
Uno dei sussurri ammiccanti, tematicamente, da un canale affiliato a Wagner:
Le guardie di sicurezza private che proteggono le petroliere dai pirati sono sospettosamente giovani, magre e abili nell’uso delle armi.
Ora ci sono nuove regole per la missione che coinvolge la “flotta ombra”, compreso l’uso di missili guidati anticarro e sistemi missilistici Strela.
Beh, questo darà ai bucanieri baltici con la gamba di legno qualcosa su cui riflettere e da far tremare le loro ossa.
Il russo Lavrov ha giustamente sottolineato che gli europei chiudono volutamente un occhio sulla pirateria illegale degli Stati Uniti nei Caraibi per placare Trump, forse una sorta di codice dei pirati con un occhio solo. Da RT:
L’Europa tace sugli attacchi statunitensi nei Caraibi per ottenere il favore di Trump sulle loro proposte di pace per l’Ucraina — Lavrov
La Russia è “preoccupata” per gli attacchi della Marina statunitense contro imbarcazioni civili e per una probabile operazione di terra
” Quasi tutti i paesi lo trovano inaccettabile, tranne gli europei”
È solo un altro esempio della famosa doppia morale basata sull’inganno doppelmoral.
E a proposito degli standard morali ed etici dell’Occidente:
La Camera respinge con due voti la risoluzione sui poteri di guerra in Venezuela
Il disegno di legge promosso dai democratici avrebbe impedito a Trump di intraprendere azioni militari contro Maduro
Un ostacolo in meno per Trump
Passando alla Russia, Putin ha fornito il proprio aggiornamento militare di fine anno, durante il quale ha rilasciato diverse dichiarazioni interessanti.
Qui ribadisce che la Russia “preferirebbe” risolvere il conflitto militare con mezzi diplomatici, ma se ciò fosse impossibile, lo risolverebbe sicuramente con mezzi militari:
Qui Putin fa una dichiarazione classica: un tempo la Russia aspirava a entrare a far parte del mondo “civilizzato” dell’Occidente, ma ora si rende conto che in realtà lì non c’è altro che degrado:
Putin ha persino causato un enorme scalpore definendo i leader europei “maialetti”:
Belousov ha inoltre annunciato che, secondo il Ministero della Difesa russo, l’Ucraina ha perso 500.000 soldati uccisi in azione, con un totale di 1,5 milioni di vittime:
È stato presentato questo grafico, che mostra 1.496.700 vittime, 213.000 pezzi di equipaggiamento militare distrutti, nonché il 70% della capacità energetica dell’Ucraina nelle centrali termiche fuori uso insieme al 37% delle risorse idroelettriche:
In Ucraina, oltre il 70% delle centrali termiche e oltre il 37% delle centrali idroelettriche sono state messe fuori uso, ha riferito Belousov. Le capacità energetiche di Kiev sono diminuite di oltre la metà.
L’efficacia degli attacchi mirati delle truppe russe è di un ordine di grandezza superiore a quella delle forze armate ucraine.
Un’altra dichiarazione rivelatrice di Belousov riguardava l’uso dei droni da parte della Russia. Per molto tempo ci sono state fornite le cifre ufficiali dell’Ucraina relative alle perdite russe causate dai droni rispetto all’artiglieria, ecc., ma fino ad ora non avevamo la versione russa di tali cifre.
Qui viene rivelato che la Russia infligge apparentemente il 50% delle sue perdite al nemico tramite droni FPV:
La formazione delle truppe dei sistemi senza pilota sarà completata nel 2026, ha affermato Belousov. Egli ha sottolineato che la natura delle azioni dell’esercito russo è cambiata.
Ora, fino alla metà delle perdite nemiche sono dovute ai droni FPV. Le forze armate russe hanno raggiunto una doppia superiorità nell’uso degli UAV rispetto al nemico.
“In prima linea tra le truppe ci sono le unità “Rubicon”. Hanno distrutto più di 13.000 unità di armi e attrezzature, ovvero più di un quarto dei danni causati dal fuoco degli aerei senza pilota. Il centro ‘Rubicon’ ha ottenuto riconoscimenti internazionali. La sua esperienza di combattimento è riportata in importanti pubblicazioni internazionali, comprese quelle americane e britanniche. E il regime di Kiev ha dichiarato ‘Rubicon’ una minaccia alla sicurezza nazionale”, ha affermato Belousov.
Nel 2025 l’esercito russo ha ricevuto dieci volte più motociclette e buggy rispetto al 2024.
La maggiore mobilità delle unità consente loro di sfondare il “muro di droni” che Kiev sta cercando di costruire.
Il piano di reclutamento delle forze armate russe per quest’anno è stato superato, con quasi 410.000 cittadini che si sono arruolati per prestare servizio a contratto.
Le stime ucraine relative alle perdite russe si aggirano solitamente intorno al 60-70% secondo i droni FPV ucraini:
Questo ha senso, perché la Russia dispone di una preponderanza molto maggiore di artiglieria e forze aeree, responsabili di una certa percentuale delle perdite nemiche, mentre l’Ucraina è costretta a fare affidamento in misura molto maggiore solo sui droni. Tuttavia, per molte persone anche la cifra del 50% relativa alla Russia sarebbe una sorpresa, poiché ci sono ancora molti “scettici dei droni” che credono che l’artiglieria, l’aviazione e altre risorse russe superino di gran lunga e oscurino l’uso dei droni.
Syrsky ha recentemente fornito la sua personale conclusione in una nuova intervista:
Il compagno Syrysky riferisce che la Russia sta conducendo un’operazione offensiva strategica sul territorio dell’Ucraina con un contingente di 710 mila persone.
In questo contesto, il comandante in capo ucraino ha chiesto ai partner di aumentare il volume degli aiuti internazionali all’Ucraina, in particolare nel campo della difesa aerea e delle armi da combattimento a lungo raggio.
Infine, oggi gli analisti hanno riportato anche i dati relativi ai danni alle infrastrutture ferroviarie dell’Ucraina, che quest’anno hanno registrato un aumento considerevole:
In seguito all’analisi odierna del Ministero della Difesa russo. Secondo i dati ucraini, negli ultimi otto mesi sono stati registrati oltre 100 attacchi alle infrastrutture ferroviarie dell’Ucraina.
Si tratta del doppio degli attacchi alle ferrovie registrati negli anni 2023 e 2024 messi insieme.
La priorità degli attacchi è rappresentata dalle regioni orientali dell’Ucraina, quelle confinanti con le Repubbliche Popolari di Luhansk e Donetsk (LNR e DNR).
In breve, quest’anno la Russia ha davvero intensificato la distruzione di tutte le infrastrutture dell’Ucraina in modo concertato.
E come potremmo concludere senza un altro piccolo cenno di saluto al perenne treno della paura britannico, che continua la sua discesa caricaturale nella farsa:
Il vostro sostegno è inestimabile. Se avete apprezzato la lettura, vi sarei molto grato se sottoscriveste un abbonamento mensile/annuale per sostenere il mio lavoro, in modo che io possa continuare a fornirvi report dettagliati e approfonditi come questo.
La nuova strategia di sicurezza nazionale di Washington ratifica un rapporto conflittuale.
Nathalie Tocci ha trovato ospitalità simultanea su Foreign Affairs e Foreign Policy. Niente male. Nathalie Tocci, degna figlia ed erede di Walter Tocci, già vicesindaco di Roma e parlamentare del PCI, DS, Democratici, ect, dall’alto della sua presidenza dello IAI (l’americanissimo Istituto Affari Internazionali) rappresenta il raccordo, il cordone ombelicale che unisce il progressismo italico ed europeo e la componente più guerrafondaia demo-neocon. Sull’onda della contrapposizione destra-sinistra, le componenti europee più codine faranno dell’antimperialismo il loro vessillo….finché ci saranno Trump e Putin. La faccia tosta non manca. Sarà che la poltrona comincia a scottare? Alla larga!_Giuseppe Germinario
By Nathalie Tocci, the director of the Istituto Affari Internazionali.
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Gli europei si sono illusi che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump sia imprevedibile e incoerente, ma alla fine gestibile. È stranamente rassicurante, ma sbagliato. Dal discorso del vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance denigranteL’Europa alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera a febbraio sulla nuova strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti che è stato rilasciatoIl 4 dicembre, l’amministrazione Trump ha da tempo una visione chiara e coerente per l’Europa: una che dà priorità ai legami tra Stati Uniti e Russia e cerca di dividere e conquistare il continente, con gran parte del lavoro sporco svolto dalle forze nazionaliste ed estremiste europee che ora godono del sostegno sia di Mosca che di Washington. È giunto il momento che l’Europa si renda conto che, quando si tratta della guerra tra Russia e Ucraina e della sicurezza del continente, nella migliore delle ipotesi è sola. Nella peggiore delle ipotesi, ora deve affrontare due avversari: la Russia a est e gli Stati Uniti di Trump a ovest.
Ogni volta che Trump o i membri della sua amministrazione hanno attaccato l’Europa, compresa l’Ucraina, gli europei hanno incassato il colpo con un sorriso forzato e si sono prodigati per adulare la Casa Bianca. Ritengono che questa sia una mossa astuta, che sfrutta l’apparente incoerenza e vanità di Trump per riportarlo nell’orbita transatlantica. Eppure, ogni volta che Trump ha rivolto la sua limitata attenzione alla guerra in Ucraina, si è schierato con la Russia, dal Trappola nell’Ufficio Ovale fissata per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a febbraio, al tappeto rossopresentato al presidente russo Vladimir Putin in Alaska ad agosto, al “piano di pace” in 28 punti probabilmente scritto a Mosca. In ogni occasione, gli europei hanno incassato il colpo, impegnandosi a mantenere vivo il dialogo con Washington e a salvare ciò che resta del legame transatlantico. Gli europei hanno porto così tante guance a Trump che viene da chiedersi se ne abbiano ancora qualcuna.
Ma l’Europa ha scommesso invano su un infinito “Giorno della Marmotta”. Per quanto riguarda l’Europa, l’Ucraina e la Russia, l’amministrazione Trump è stata straordinariamente coerente. Trump vuole che la guerra in Ucraina finisca, soprattutto perché la considera un ostacolo alla normalizzazione dei rapporti tra Stati Uniti e Russia, in particolare agli accordi commerciali previsti tra il suo entourage e gli amici del Cremlino. L’ordine mondiale liberale è finito; al suo posto arriva la sopravvivenza del più forte. Piuttosto che la vecchia competizione tra superpotenze, Trump è desideroso di perseguire una collusione imperiale sia con la Russia che con la Cina. Il resto del mondo, compresa l’Europa, è nel menu coloniale.
Strategicamente, ciò ha una certa logica a breve termine. Ideologicamente, è in linea con il sostegno ai partiti e ai governi di estrema destra in Europa e oltre. Queste forze non solo condividono le opinioni nazionaliste e socialmente conservatrici sostenute dal MAGA, ma stanno anche lavorando per dividere l’Europa e svuotare il progetto di integrazione europea, con le forze di centro-destra che fanno da utili idioti collaborando con loro. Non c’è nulla di meno patriottico dei presunti patrioti e sovranisti europei che si dedicano a svuotare l’unità europea mentre perseguono la collusione con la Russia. La visione delineata nella nuova Strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti è scarsa in termini di politiche concrete riguardanti l’Europa, ma il messaggio del documento è chiaro: l’unico legame transatlantico concepibile è quello tra le forze di estrema destra, dove gli americani alfa dominano i loro servitori europei. È un esattamente parallelo della visione e della strategia che la Russia di Putin ha perseguito nei confronti dell’Europa per anni.
Se Trump non ha ancora soggiogato l’Europa ai suoi desideri, non è grazie alle astute manovre europee. Adulare Trump chiamandolo “papà”, riempiendolo di regali e adulanti Invitarlo a cene reali non salverà né l’Ucraina né le relazioni transatlantiche. Né lo faranno la frenetica diplomazia europea, i viaggi collettivi a Washington o i piani di pace alternativi. Se Trump non ha ancora realizzato la sua visione della guerra in Ucraina e di un nuovo equilibrio di potere in Europa, è semplicemente perché Putin sta ancora facendo il difficile. Ma contare sul fatto che Putin minacci sempre gli accordi tra Stati Uniti e Russia non può essere la strategia di sicurezza dell’Europa.
La buona notizia è che esiste una massa critica di cittadini e governi europei che comprendono che la sicurezza europea passa per Kiev. Tra questi figurano Germania, Francia, Gran Bretagna, Polonia, paesi nordici, Stati baltici, Paesi Bassi, Spagna e, con qualche riserva, Italia, se non altro perché gli italiani sono restii a rimanere esclusi. Essi riconoscono che la guerra di conquista imperiale della Russia inizia con l’Ucraina, ma non finisce con essa, e che la capitolazione di Kiev non farebbe altro che liberare risorse russe per aprire nuovi fronti contro l’Europa. L’Ucraina è, tragicamente, la porta che impedisce alla guerra ibrida già in corso in Europa di trasformarsi in un attacco militare molto più grave.
La seconda buona notizia è che l’Europa ha delle leve, forse più degli Stati Uniti, quando si tratta della guerra in Ucraina. Da quando Trump è entrato in carica, il sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina si è arrestato. È l’Europa che detiene la maggior parte dei beni congelati della Russia, impone le sanzioni che hanno un impatto reale, sostiene economicamente l’Ucraina e fornisce la maggior parte degli aiuti militari. In parte grazie agli investimenti europei in Ucraina, una quota crescente della difesa del Paese poggia ora sulla propria industria nazionale.
Non si tratta di dipingere un quadro eccessivamente roseo. Gli Stati Uniti rimangono assolutamente fondamentali per l’Ucraina e l’Europa, soprattutto per le informazioni di intelligence che forniscono e che consentono all’Ucraina di intercettare gli attacchi russi con droni e missili contro le città e le infrastrutture ucraine, nonché di identificare obiettivi per attacchi in profondità nel territorio russo. Oltre a ciò, gli Stati Uniti profittano vendendo armi che gli europei acquistano per l’Ucraina, armi che l’Europa non produce in quantità sufficienti o non produce affatto.
Ciò evidenzia un dilemma più ampio che riguarda la sicurezza dell’Ucraina e dell’Europa. L’Europa sta cercando di ridurre le proprie vulnerabilità aumentando la spesa per la difesa, ma spesso ciò comporta l’acquisto di ulteriori armi dagli Stati Uniti. Sta riducendo le proprie vulnerabilità a breve termine a costo di aumentare la propria dipendenza a lungo termine dagli Stati Uniti, che ora sfruttano la dipendenza dei propri alleati nominali. Gli europei sono ben lontani dal risolvere questo dilemma.
Sebbene non sia ancora visibile una risposta sistemica al dilemma della sicurezza europea, gli europei dispongono degli strumenti necessari per impedire la capitolazione dell’Ucraina e creare le condizioni per una pace giusta. Ciò che manca, e che deve essere affrontato, sono due ingredienti.
Il primo è la capacità dell’Europa di concentrarsi sul proprio obiettivo strategico. I leader e le istituzioni europee hanno una comprensione astratta della strategia a lungo termine, ma nella pratica sono spesso coinvolti in interessi particolari e a breve termine. Questo è particolarmente evidente nel caso del Belgio e della Banca centrale europea. posizioni miopi sull’utilizzo dei beni congelati della Russia per aiutare l’Ucraina. Sebbene vi siano indubbiamente dei rischi finanziari e legali, questi sono insignificanti rispetto ai costi politici, economici e di sicurezza che l’Europa potrebbe dover sostenere se l’Ucraina dovesse cadere.
Il secondo ingrediente è il coraggio. I leader europei dovrebbero trovare il coraggio di andare a Washington, ringraziare cortesemente Trump per i suoi sforzi di “pace” e convincerlo che il mondo è pieno di altri conflitti che richiedono la sua attenzione. Gli europei possono dire: quando si tratta dell’Ucraina, possiamo gestire la guerra. Tutto ciò che chiediamo è di mantenere il flusso di informazioni e continuare a dare il via libera agli acquisti di armi mentre guadagniamo tempo per costruire le nostre.
L’Europa non può promettere di porre fine alla guerra oggi, ma può impegnarsi a creare le condizioni per una sicurezza sostenibile nel continente. E se fosse necessario ricorrere alle lusinghe, l’Europa può persino rassicurare Trump che, quando arriverà il giorno della pace, sarà lieta di dedicargli un monumento. aquadrato,o uno splendente, premio d’oro per lui.
Gennaio/febbraio 2026 Pubblicato il 12 dicembre 2025
I leader europei con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump alla Casa Bianca, agosto 2025 Alexander Drago / Reuters
MATTHIAS MATTHIJS è professore associato di Economia politica internazionale presso la Scuola di Studi Internazionali Avanzati dell’Università Johns Hopkins e Senior Fellow per l’Europa presso il Council on Foreign Relations.
NATHALIE TOCCI è James Anderson Professor of the Practice presso la Scuola di Studi Internazionali Avanzati dell’Università Johns Hopkins a Bologna e direttrice dell’Istituto Affari Internazionali di Roma.
Quando il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è tornato in carica nel gennaio 2025, l’Europa si è trovata di fronte a una scelta. Mentre Trump avanzava richieste draconiane per un aumento della spesa europea per la difesa, minacciava le esportazioni europee con nuovi dazi doganali e sfidava i valori europei di lunga data sulla democrazia e lo Stato di diritto, i leader europei potevano assumere una posizione conflittuale e opporsi collettivamente oppure scegliere la via della minor resistenza e cedere a Trump. Da Varsavia a Westminster, da Riga a Roma, hanno scelto la seconda opzione. Invece di insistere nel negoziare con gli Stati Uniti come partner alla pari o di affermare la loro autodichiarata autonomia strategica, l’UE e i suoi Stati membri, così come i paesi non membri come il Regno Unito, hanno adottato in modo riflessivo e coerente un atteggiamento di sottomissione.
Per molti in Europa, questa è stata una scelta razionale. I sostenitori centristi della politica di appeasement sostengono che le alternative – opporsi alle richieste di Trump in materia di difesa, ricorrere a una escalation di tipo cinese nelle trattative commerciali o denunciare le sue tendenze autocratiche – sarebbero state dannose per gli interessi europei. Gli Stati Uniti avrebbero potuto abbandonare l’Ucraina, ad esempio. Trump avrebbe potuto proclamare la fine del sostegno statunitense alla NATO e annunciare un significativo ritiro delle forze militari statunitensi dal continente europeo. Ci sarebbe potuta essere una guerra commerciale transatlantica su vasta scala. Secondo questo punto di vista, è solo grazie ai cauti tentativi di placare gli animi da parte dell’Europa che nessuna di queste cose si è verificata.
Questo, ovviamente, potrebbe essere vero. Ma tale prospettiva ignora il ruolo che la politica interna europea ha svolto nel promuovere l’accordo in primo luogo, nonché le conseguenze politiche interne che la politica di appeasement potrebbe avere. L’ascesa dell’estrema destra populista non è solo un fenomeno politico americano, dopotutto. In un numero crescente di Stati dell’UE, l’estrema destra è al governo o è il principale partito di opposizione, e coloro che sono favorevoli all’appeasement nei confronti di Trump non ammettono facilmente quanto siano ostacolati da queste forze nazionaliste e populiste. Inoltre, spesso ignorano come questa strategia contribuisca a rafforzare ulteriormente l’estrema destra. Cedendo a Trump in materia di difesa, commercio e valori democratici, l’Europa ha di fatto rafforzato quelle forze di estrema destra che vogliono vedere un’UE più debole. La strategia europea nei confronti di Trump, in altre parole, è una trappola controproducente.
C’è solo un modo per uscire da questo circolo vizioso. L’Europa deve adottare misure per ripristinare la propria capacità di agire laddove è ancora possibile. Anziché aspettare fino al gennaio 2029, quando secondo un pensiero magico l’attuale incubo transatlantico giungerà al termine, l’UE deve smettere di strisciare e costruire una maggiore sovranità. Solo così potrà neutralizzare le forze politiche che la stanno svuotando dall’interno.
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DISTURBO DA DEFICIT DI AMBIZIONE
L’acquiescenza dell’Europa nei confronti di Trump sulla spesa per la difesa è la scelta più sensata. La guerra in Ucraina è una guerra europea, che mette a rischio la sicurezza dell’Europa. Il catastrofico incontro alla Casa Bianca tra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nel febbraio 2025, durante il quale quest’ultimo è stato rimproverato e umiliato, è stato un segnale inquietante che gli Stati Uniti potrebbero abbandonare completamente l’Ucraina, minacciando immediatamente la sicurezza del fianco orientale dell’Europa. Di conseguenza, al vertice NATO del giugno 2025, gli alleati europei hanno riconosciuto le preoccupazioni di Washington sulla ripartizione degli oneri in Ucraina e in generale hanno promesso di aumentare drasticamente la loro spesa per la difesa al cinque per cento del PIL, acquistando anche molte più armi di fabbricazione americana a sostegno dello sforzo bellico di Kiev.
Poi, dopo che Trump ha steso il tappeto rosso al presidente russo Vladimir Putin ad Anchorage, in Alaska, a metà agosto, un gruppo di leader europei, tra cui Zelensky, si è recato a Washington nel tentativo collettivo di persuadere Trump. Sono riusciti a mettere alle strette il presidente degli Stati Uniti sostenendo le sue ambizioni di mediazione e sviluppando piani per una “forza di rassicurazione” europea da schierare in Ucraina nel caso (improbabile) in cui Trump fosse riuscito a negoziare un cessate il fuoco. Si può sostenere che questi accurati sforzi di placazione abbiano funzionato: oggi Trump sembra avere una considerazione molto più alta dei leader europei; sembra aver deciso di consentire agli europei di acquistare armi per l’Ucraina; ha esteso le sanzioni alle compagnie petrolifere russe Lukoil e Rosneft; e non si è effettivamente ritirato dalla NATO.
Ma questo risultato è più il frutto dell’intransigenza di Putin che della diplomazia europea. Inoltre, è un successo solo se confrontato con la peggiore alternativa possibile. Finora gli europei non sono riusciti a ottenere un ulteriore sostegno americano per l’Ucraina. Non sono nemmeno riusciti a spingere il presidente degli Stati Uniti ad approvare un pacchetto di nuove sanzioni globali contro la Russia, con un disegno di legge bipartisan che prevede misure attive paralizzanti in sospeso al Congresso. E concentrandosi sul conseguimento di vittorie politiche con Trump, non hanno ancora sviluppato una strategia europea solida e coerente per la loro difesa a lungo termine che non dipenda essenzialmente dagli Stati Uniti.
Esercitazioni militari della NATO nei pressi di Xanthi, Grecia, giugno 2025Louisa Gouliamaki / Reuters
Il nuovo obiettivo del cinque per cento per le spese militari, ad esempio, non è stato determinato da una valutazione europea di ciò che è fattibile, ma piuttosto da ciò che avrebbe soddisfatto Trump. Questo cinico stratagemma è stato reso evidente quando il segretario generale della NATO, Mark Rutte, ha inviato dei messaggi di testo a Trump salutando la sua “GRANDE” vittoria all’Aia, messaggi che Trump ha poi ripubblicato con gioia sui social media. Nel frattempo, molti alleati europei, tra cui grandi paesi come Francia, Italia e Regno Unito, hanno accettato l’obiettivo del cinque per cento ben sapendo di non essere in una posizione fiscale tale da poterlo raggiungere in tempi brevi. Anche gli impegni europei ad “acquistare americano” sono stati presi con entusiasmo senza alcun piano concreto per ridurre in modo significativo tali dipendenze militari strutturali in futuro.
Il fallimento dell’Europa nell’organizzare la propria difesa può essere interpretato come una mancanza di ambizione, direttamente collegata al fervore nazionalista che ha travolto il continente negli ultimi cinque anni. Con l’ascesa dei partiti politici di estrema destra, il loro programma ha frenato il progetto di integrazione europea. In passato, questi partiti spingevano per uscire completamente dall’UE, ma dopo il ritiro del Regno Unito nel 2020, ormai ampiamente riconosciuto come un fallimento politico, hanno optato per un programma diverso e più pericoloso, che consiste nel minare gradualmente l’Unione Europea dall’interno e soffocare qualsiasi sforzo sovranazionale europeo. Per vedere l’effetto del populismo di estrema destra sulle ambizioni e sull’integrazione europee, basta confrontare la risposta significativa alla pandemia di COVID-19, quando l’UE ha mobilitato collettivamente oltre 900 miliardi di dollari in sovvenzioni e prestiti, con le deludenti iniziative di difesa odierne. Per difendere collettivamente l’Europa dalle aggressioni esterne, che rappresentano senza dubbio una minaccia molto più grave, l’UE ha raccolto solo circa 170 miliardi di dollari in prestiti.
L’ironia, ovviamente, è che proprio perché le forze di estrema destra hanno reso impossibile una forte iniziativa di difesa dell’UE, i leader europei hanno ritenuto di non avere altra scelta che affidarsi a un uomo forte proveniente dall’America. Tuttavia, è improbabile che l’estrema destra stessa paghi il prezzo politico di questa sottomissione. Al contrario, l’obiettivo del 5% di spesa per la difesa e la sicurezza della NATO rischia di diventare ulteriore argomento a favore dei populisti, soprattutto nei paesi lontani dal confine russo, come Belgio, Italia, Portogallo e Spagna. I leader europei potrebbero dover compromettere la spesa pubblica per la sanità, l’istruzione e le pensioni pubbliche per raggiungere l’obiettivo, alimentando la narrativa dell’estrema destra sul dilemma “armi o burro”.
UNA CASA DIVISA
La capitolazione europea alle richieste commerciali di Trump è ancora più autodistruttiva. Almeno nel campo della difesa, le relazioni transatlantiche non sono mai state tra pari. Ma se gli europei sono dei pesi leggeri in campo militare, sono orgogliosi di essere dei giganti economici. Le dimensioni del mercato unico dell’Unione Europea e la centralizzazione della politica commerciale internazionale nella Commissione Europea hanno fatto sì che, quando Trump ha scatenato una guerra commerciale nel mondo, l’UE fosse in una posizione quasi altrettanto favorevole quanto la Cina per condurre trattative difficili. Quando il Regno Unito ha rapidamente accettato una nuova aliquota tariffaria del dieci per cento con gli Stati Uniti, ad esempio, l’ipotesi generale al di fuori degli Stati Uniti era che il potere di mercato molto maggiore dell’UE le avrebbe consentito di ottenere un accordo molto più vantaggioso.
Il commercio era anche l’area in cui, in vista delle elezioni statunitensi del 2024, era già stata messa in atto una discreta quantità di “Trump proofing”, con i paesi europei che hanno brandito sia la carota, come l’acquisizione di più armi americane e gas naturale liquefatto, sia il bastone, come un nuovo strumento anti-coercizione che conferisce alla Commissione europea un potere significativo di ritorsione in caso di intimidazioni economiche o vere e proprie prepotenze da parte di Stati ostili.
Ad esempio, in risposta all’annuncio del presidente degli Stati Uniti di dazi del 25% su acciaio e alluminio nel febbraio 2025, i funzionari della Commissione europea avrebbero potuto attivare immediatamente un pacchetto preparato di circa 23 miliardi di dollari in nuovi dazi su beni statunitensi politicamente sensibili, come la soia dell’Iowa, le motociclette del Wisconsin e il succo d’arancia della Florida. Quindi, in risposta ai dazi reciproci del “Liberation Day” di Trump nell’aprile 2025, avrebbero potuto scegliere di attivare il loro “bazooka” economico, come viene spesso definito lo strumento anti-coercizione. Poiché gli Stati Uniti continuano ad avere un surplus significativo nel cosiddetto commercio invisibile, i funzionari dell’UE avrebbero potuto prendere di mira le esportazioni di servizi statunitensi verso l’Europa, come le piattaforme di streaming e il cloud computing o alcuni tipi di attività finanziarie, legali e di consulenza.
Ma invece di intraprendere (o anche solo minacciare di intraprendere) un’azione collettiva di questo tipo, i leader europei hanno trascorso mesi a discutere e a minarsi a vicenda. Questo è l’ennesimo esempio di come gli attori di estrema destra, sempre più forti, stiano indebolendo l’UE. Storicamente, i negoziati commerciali sono stati condotti dalla Commissione europea, con i governi nazionali in secondo piano. Quando la prima amministrazione Trump ha cercato di aumentare la pressione commerciale sull’UE, ad esempio, Jean-Claude Juncker, allora presidente della Commissione europea, ha allentato le tensioni recandosi a Washington e presentando a Trump un accordo semplice incentrato sui vantaggi reciproci.
L’Europa ha adottato in modo riflessivo e coerente un atteggiamento di sottomissione.
Nella seconda amministrazione Trump, tuttavia, la situazione non poteva essere più diversa. Questa volta, la posizione negoziale della Commissione è stata indebolita fin dall’inizio da un coro dissonante, con Stati membri chiave che hanno espresso preventivamente la loro opposizione alle ritorsioni. In particolare, il primo ministro italiano Giorgia Meloni, beniamina dell’estrema destra di Trump, ha invocato il pragmatismo e ha messo in guardia l’UE dal dare il via a una guerra dei dazi. Anche la Germania ha esortato alla cautela; il nuovo governo, guidato dal cristiano-democratico Friedrich Merz, era preoccupato per la recessione, che avrebbe ulteriormente rafforzato l’estrema destra di Alternativa per la Germania (AfD), il principale partito di opposizione. Francia e Spagna, al contrario, hanno governi di centro o di centro-sinistra e hanno favorito una linea più dura e dazi di ritorsione più incisivi. (Vale la pena notare che la Spagna è anche l’unico paese della NATO che ha rifiutato categoricamente di aumentare la propria spesa per la difesa al nuovo standard del cinque per cento).
Il livello di disunione europea era così profondo che, tra la tarda primavera e l’inizio dell’estate, le aziende giunsero addirittura alla conclusione che sarebbe stato meglio negoziare autonomamente: le case automobilistiche tedesche Volkswagen, Mercedes-Benz e BMW condussero parallelamente le proprie trattative con l’amministrazione Trump sui dazi automobilistici. Solo alla fine di luglio 2025, dopo mesi di paralisi, Bruxelles ha accettato i dazi statunitensi del 15% sulla maggior parte delle esportazioni dell’UE, cinque punti percentuali in più rispetto a quanto negoziato dal Regno Unito.
Di fronte alle crescenti critiche interne sull’accordo, i leader europei hanno nuovamente affermato che l’UE non aveva altra scelta: poiché Trump era determinato a imporre dazi a tutti i costi, sostengono, i dazi di ritorsione avrebbero finito per danneggiare solo gli importatori e i consumatori europei. La ritorsione, in questa ottica, avrebbe significato spararsi sui piedi. Peggio ancora, avrebbe potuto rischiare di scatenare l’ira di Trump e vederlo scagliarsi contro l’Ucraina o abbandonare la NATO.
Ma ancora una volta, si tratta di una logica senza via d’uscita. Un’Europa che accetta l’estorsione economica transatlantica come un dato di fatto è un’Europa che permette al proprio potere di mercato di erodersi, incoraggiando ulteriormente l’estrema destra. Secondo un importante sondaggio condotto alla fine dell’estate scorsa nei cinque maggiori paesi dell’UE, il 77% degli intervistati ritiene che l’accordo commerciale tra UE e Stati Uniti “favorisca principalmente l’economia americana”, mentre il 52% concorda sul fatto che si tratti di “un’umiliazione”. La sottomissione dell’Europa non solo fa apparire Trump più forte, aumentando l’attrattiva di imitare le sue politiche nazionalistiche in patria, ma elimina anche la logica originale dell’integrazione europea: che un’Europa unita può rappresentare più efficacemente i propri interessi. Se il Regno Unito post-Brexit riuscirà a ottenere da Trump un accordo commerciale migliore di quello dell’UE, molti si chiederanno giustamente perché valga la pena rimanere con Bruxelles.
LA DIPLOMAZIA SOPRA LA DEMOCRAZIA
Il compromesso più netto in Europa è stato quello sui valori democratici. Nel corso del 2025, Trump ha intensificato i suoi attacchi alla libertà di stampa, ha dichiarato guerra alle istituzioni governative indipendenti e ha minato lo Stato di diritto esercitando pressioni politiche sui giudici affinché si schierassero dalla sua parte. E ha portato questa lotta in Europa: il vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance e il segretario alla Sicurezza interna Kristi Noem hanno apertamente interferito o preso posizione nelle elezioni in Germania, Polonia e Romania.
Vance, ad esempio, non ha incontrato il cancelliere tedesco Olaf Scholz durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco nel febbraio 2025, ma ha incontrato la leader dell’AfD Alice Weidel e ha criticato pubblicamente la politica tedesca del firewall che esclude il partito dai negoziati di coalizione mainstream. A Monaco, Vance ha anche criticato aspramente l’annullamento del primo turno delle elezioni presidenziali in Romania da parte della Corte costituzionale di quel paese alla luce delle prove significative dell’influenza russa attraverso TikTok. Nel suo discorso ha affermato che la più grande minaccia per l’Europa proviene dall’interno e che i governi dell’UE stanno agendo nella paura dei propri elettori. Noem, dal canto suo, ha compiuto il passo straordinario di esortare apertamente il pubblico di Jasionka, in Polonia, a votare per il candidato di estrema destra Karol Nawrocki, definendo il suo avversario centrista un leader assolutamente disastroso.
Invece di respingere tali interferenze elettorali ostili, tuttavia, la leadership dell’UE è rimasta in gran parte in silenzio sulla questione, probabilmente sperando che la cooperazione in altri ambiti potesse sopravvivere. Questo approccio transazionale è particolarmente evidente nell’indagine della Commissione europea sulla disinformazione su X, la piattaforma di social media di proprietà dell’ex alleato di Trump Elon Musk. Inizialmente, Bruxelles aveva mosso accuse pesanti contro X, tra cui quella di amplificare le narrazioni filo-Cremlino e di smantellare i suoi team per l’integrità elettorale in vista delle elezioni europee. Da allora, però, l’indagine ha subito un rallentamento ed è stata minimizzata: a X sono state concesse ripetute proroghe per l’adeguamento e Bruxelles ha segnalato una preferenza per il “dialogo” piuttosto che per le sanzioni.
Il presidente francese Emmanuel Macron e Trump alla Casa Bianca, agosto 2025Al Drago / Reuters
Questa strategia non solo non sta producendo accordi nell’interesse europeo, ma ha anche un costo politico: normalizza le mosse illiberali negli Stati Uniti, riducendo al contempo lo spazio a disposizione dell’Europa per difendere gli standard liberali all’interno e all’estero. I leader di destra hanno già abbracciato i messaggi politici provenienti da Washington. Dopo le dichiarazioni di Vance a Monaco, ad esempio, i funzionari ungheresi hanno elogiato il “realismo” del vicepresidente. E dopo l’omicidio della personalità di destra americana Charlie Kirk, il primo ministro ungherese Viktor Orban ha condannato la “sinistra che incita all’odio” negli Stati Uniti e ha avvertito che “l’Europa non deve cadere nella stessa trappola”. In tutto il continente, i partiti di estrema destra hanno colto questi momenti per presentarsi come parte di una più ampia contro-élite occidentale, mentre i leader europei mainstream, timorosi di alimentare le tensioni con gli Stati Uniti, si sono astenuti dal denunciare la retorica con la stessa forza con cui lo avrebbero fatto in passato.
Come per le spese militari e il commercio, molti in Europa sostenevano che non valesse la pena provocare gli Stati Uniti sul tema del regresso democratico. Dopo tutto, era improbabile che la reazione europea potesse influenzare la politica interna americana. Alcuni sostenitori di una risposta europea più passiva teorizzano che il sostegno aggressivo dei seguaci di Trump all’estrema destra in Europa potrebbe gettare i semi della sua stessa rovina. Sia in Australia che in Canada, i candidati pro-Trump in testa alle elezioni hanno finito per perdere nelle elezioni della primavera del 2025.
Alcuni primi risultati hanno dimostrato che questa strategia potrebbe funzionare anche in Europa. Vance e Musk, ad esempio, hanno offerto il loro pieno sostegno all’AfD, ma ciò non ha avuto alcun effetto percepibile sul risultato in Germania. In Romania, il candidato filo-russo e filo-Trump in testa alle elezioni presidenziali ha perso, mentre nei Paesi Bassi i liberali hanno fatto un’impressionante rimonta. In Polonia, invece, il candidato sostenuto da Noem ha finito per vincere le elezioni presidenziali. Anche nella Repubblica Ceca ha vinto il miliardario populista e sostenitore di Trump. Sebbene le prove non siano ancora conclusive, è chiaro che la politica di appeasement ha offerto scarsa protezione contro la deriva illiberale dell’Europa. Attenuando la sua difesa dei valori democratici all’estero, l’UE ha reso più difficile affrontare il loro deterioramento all’interno.
UNO PER TUTTI, TUTTI PER UNO?
Gli europei sanno già cosa devono fare per interrompere questo circolo vizioso. La road map per un’UE più forte è stata delineata nel 2024 con due relazioni complete redatte da due ex primi ministri italiani che miravano a sfruttare i successi del fondo di recupero post-pandemia dell’UE. Enrico Letta e Mario Draghi hanno proposto di approfondire il mercato unico dell’UE in settori quali la finanza, l’energia e la tecnologia e di istituire una nuova importante iniziativa di investimento attraverso prestiti congiunti.
Ma nonostante l’attenzione positiva che queste proposte hanno ricevuto inizialmente, la maggior parte di esse rimane lettera morta solo un anno dopo. I leader europei devono affrontare elettori preoccupati per il costo della vita, scettici nei confronti di un’ulteriore integrazione e sensibili a qualsiasi iniziativa di debito congiunto di grande entità che possa sembrare un trasferimento di sovranità o aumentare i rischi fiscali. Ciò che occorre, quindi, non è un altro progetto massimalista, ma uno sforzo mirato su ciò che è ancora politicamente realizzabile. Sebbene non esista un rimedio unico, l’Unione può compiere piccoli passi in materia di difesa e commercio che ridurrebbero la sua dipendenza dagli Stati Uniti, e può apportare modifiche alle sue relazioni con la Cina e alla sua politica energetica che ripristinerebbero la sua capacità di azione e rafforzerebbero la sua autonomia.
Negli ultimi anni l’UE ha cercato di affrontare il problema della propria architettura di sicurezza. Ad esempio, ha lanciato il Fondo europeo per la difesa, ha creato un quadro per coordinare i progetti comuni e ha istituito lo Strumento europeo per la pace, che è stato utilizzato per finanziare le forniture di armi all’Ucraina (fino a quando l’Ungheria non lo ha bloccato). Ha inoltre sviluppato una politica industriale di difesa e proposto un piano di preparazione alla difesa per il 2030 che prevede iniziative relative a droni, terra, spazio, difesa aerea e missilistica. Ma questi strumenti sono ancora per lo più aspirazionali e, quando danno risultati, questi sono limitati e lenti, concentrati principalmente sul coordinamento industriale della difesa e su missioni su piccola scala.
Hanno anche messo in luce il tallone d’Achille dell’UE: il requisito dell’unanimità in materia di politica estera e di sicurezza. Un’organizzazione in cui tutti i 27 membri hanno pari voce in capitolo può essere facilmente ostacolata. Orban, ad esempio, ha posto il veto almeno dieci volte sugli aiuti e sui negoziati di adesione con l’Ucraina e sulle sanzioni alla Russia. Oltre al veto, il membro ungherese della Commissione europea, Oliver Varhelyi, è stato recentemente accusato di far parte di una presunta rete di spionaggio a Bruxelles. Sebbene si tratti per ora solo di un’accusa, ciò solleva la questione più ampia se esista ancora una fiducia politica sufficiente per discutere questioni di sicurezza fondamentali.
L’obiettivo del cinque per cento di spesa della NATO è acqua al mulino dei populisti.
I membri dell’UE hanno anche sensibilità divergenti nei confronti degli Stati Uniti: i paesi dell’Europa orientale e nordica continuano a vedere Washington come il loro garante ultimo della sicurezza, mentre la Francia, la Germania e alcune parti dell’Europa meridionale preferiscono una maggiore autonomia. Nel frattempo, i membri dell’UE che non fanno parte della NATO, come Austria, Irlanda e Malta, sono ostacolati dalle leggi costituzionali sulla neutralità che limitano la partecipazione alla difesa collettiva. Inoltre, diversi membri hanno conflitti bilaterali irrisolti, come la disputa tra Turchia e Grecia su Cipro e il Mediterraneo orientale.
Anziché elaborare una risposta dell’UE al problema della difesa europea, una strada più realistica consiste in una “coalizione dei volenterosi” europea. Il gruppo che si è coalizzato attorno al sostegno militare all’Ucraina costituisce una buona base per un’alleanza di questo tipo. Sebbene ancora informale, questo gruppo – guidato da Francia e Regno Unito e che comprende Germania, Polonia e Stati nordici e baltici – ha iniziato a prendere forma attraverso regolari incontri di coordinamento tra i ministri della difesa e accordi bilaterali di sicurezza, in particolare gli accordi di sicurezza guidati dall’Europa con Kiev firmati a Berlino, Londra, Parigi e Varsavia lo scorso anno. Ha dimostrato il proprio impegno nei confronti di Kiev indipendentemente dai cambiamenti politici negli Stati Uniti o nei paesi membri, sostenuto da forniture di armi continue, impegni di aiuto bilaterale a lungo termine e programmi congiunti di addestramento e approvvigionamento volti a mantenere lo sforzo bellico dell’Ucraina anche se il sostegno degli Stati Uniti dovesse vacillare. La sua logica è sia normativa che strategica: questi Stati comprendono che la sicurezza europea dipende in ultima analisi dalla difesa militare e dalla sopravvivenza nazionale dell’Ucraina.
La coalizione non è stata perfetta, ovviamente. Finora il suo obiettivo è stato troppo astratto, incentrato sull’ipotetica forza di rassicurazione, e solo di recente ha spostato la sua attenzione sul sostegno delle difese dell’Ucraina senza il supporto degli Stati Uniti. Man mano che si evolve, dovrebbe concentrarsi sul potenziamento, il coordinamento e l’integrazione delle forze convenzionali. E, in ultima analisi, dovrebbe affrontare la questione più difficile che la difesa europea si trova ad affrontare: la deterrenza nucleare.
La deterrenza nucleare è quasi un argomento tabù in Europa, poiché non esiste una valida alternativa all’ombrello americano: le deterrenze nucleari francese e britannica sono inadeguate a contrastare il vasto arsenale nucleare russo. Ma europeizzare tale deterrenza apre innumerevoli dilemmi, come il finanziamento di una capacità nucleare franco-britannica ampliata, la determinazione delle modalità di decisione sul suo utilizzo e la fornitura del supporto militare convenzionale necessario per consentire una deterrenza nucleare e una forza di attacco.
La questione di come garantire la deterrenza nucleare in Europa è tuttavia così importante che gli europei non possono continuare a ignorarla. La Polonia e la Francia hanno compiuto un primo passo quando hanno firmato un trattato bilaterale di difesa a maggio, e i leader polacchi hanno accolto con favore l’idea del presidente francese Emmanuel Macron di estendere l’ombrello nucleare francese agli alleati europei. Si tratta di un inizio promettente, ma queste discussioni non dovrebbero svolgersi a livello bilaterale; idealmente, dovrebbero estendersi alla coalizione dei volenterosi. L’obiettivo non è quello di sostituire la NATO, ma di garantire che, se Washington dovesse fare un passo indietro improvviso, l’Europa possa comunque reggersi in piedi di fronte alle minacce esterne.
ENERGIA DEL PERSONAGGIO PRINCIPALE
La stessa logica vale anche per il commercio. La prosperità dell’Europa si è sempre basata sull’apertura, ma l’accordo sbilanciato dell’UE con Trump ha messo in luce quanto sia facile sfruttare l’impegno del blocco a favore del libero scambio e commercio transatlantico. Tuttavia, l’UE ha partner che condividono la sua stessa visione. Ha già avviato iniziative di diversificazione, firmando e attuando accordi commerciali con Canada, Giappone, Corea del Sud, Svizzera e Regno Unito. Dovrebbe approfondire questi legami commerciali, ma anche andare avanti firmando e ratificando altri accordi con India, Indonesia e i paesi del Mercosur in America Latina, accelerando al contempo i negoziati e raggiungendo accordi con Australia, Malesia, Emirati Arabi Uniti e altri paesi.
Al di là degli accordi bilaterali, l’UE dovrebbe investire in una strategia più ampia per sostenere il sistema commerciale globale stesso. L’Organizzazione mondiale del commercio è completamente paralizzata dal 2019, quando il suo organo di appello ha cessato di funzionare perché gli Stati Uniti hanno bloccato la nomina di nuovi giudici. L’UE, tuttavia, potrebbe sviluppare un meccanismo alternativo per la risoluzione delle controversie e la definizione delle regole collaborando con i membri dell’Accordo globale e progressivo di partenariato transpacifico. Con oltre 20 paesi che rappresentano collettivamente oltre il 40% del PIL globale coinvolti nel commercio con l’UE, tale sforzo creerebbe di fatto un complemento all’OMC. Offrirebbe uno sbocco per la cooperazione tra potenze medie che condividono l’interesse dell’Europa a mantenere un ordine aperto e basato su regole. E dimostrerebbe che l’Europa rimane in grado di plasmare la governance economica globale piuttosto che limitarsi a reagire alle mosse degli Stati Uniti o della Cina sulla scacchiera geopolitica.
Per dimostrare ulteriormente questa capacità di agire, l’Europa deve finalmente sviluppare una politica autonoma nei confronti della Cina. Con l’intensificarsi della concorrenza tra Stati Uniti e Cina, la politica europea nei confronti della Cina è diventata funzionale a quella di Washington. Durante l’amministrazione Biden, questo non era considerato un problema: l’Europa era strategicamente dipendente dall’intelligence statunitense e alla mercé dei quadri di controllo delle esportazioni degli Stati Uniti, ma aveva un partner affidabile e prevedibile oltreoceano. Ora, però, con la politica cinese di Trump che oscilla tra l’escalation e la conclusione di accordi, l’Europa ha perso il suo orientamento. Bruxelles continua ad applicare dazi sui veicoli elettrici cinesi e a lamentarsi del sostegno segreto di Pechino agli sforzi bellici della Russia in Ucraina. Ma non è chiaro come l’UE possa opporsi alla Cina mentre Washington stringe accordi bilaterali con Pechino alle sue spalle.
Il commissario europeo al Commercio Maros Sefcovic a Bruxelles, agosto 2025Yves Herman / Reuters
Per riconquistare la propria credibilità come attore globale, l’UE dovrebbe perseguire una doppia strategia nei confronti della Cina: ferma e lucida quando è in gioco la sicurezza dei suoi membri, ma pragmatica e economicamente impegnata altrove. In materia di sicurezza, l’Europa non sarà in grado di convincere la Cina a interrompere gli scambi commerciali e l’acquisto di petrolio e gas dalla Russia. Tuttavia, gli europei potrebbero persuadere Pechino a smettere di esportare in Russia beni a duplice uso, ovvero quelli preziosi sia per scopi militari che civili. La Cina si aspetterebbe ovviamente qualcosa in cambio, comprese concessioni che alcuni in Europa potrebbero considerare sgradevoli, come l’impegno da parte della NATO a non cooperare più formalmente con i partner dell’Asia orientale.
L’Europa deve anche affrontare la sua difficile situazione energetica. Dall’invasione russa dell’Ucraina, gli europei hanno sostituito una vulnerabilità, ovvero la dipendenza dal gas russo, con un’altra, ovvero la forte dipendenza dal gas naturale liquefatto statunitense. Sebbene questo cambiamento fosse inevitabile nel breve termine, non può costituire la base per la sicurezza energetica a lungo termine, soprattutto data la volatilità delle relazioni transatlantiche. Essendo un continente povero di combustibili fossili, l’UE deve intraprendere un percorso più sostenibile. Ciò significa, come minimo, ampliare la propria rete di partner energetici e coltivare fornitori in Medio Oriente, Nord Africa e altre regioni. Ma significa anche raddoppiare gli sforzi sul Green Deal europeo, che attualmente viene indebolito da leggi omnibus sostenute dal centro-destra e dall’estrema destra.
La politica del Green Deal è difficile, soprattutto in un contesto di crisi del costo della vita e crescita lenta. Ma l’alternativa, ovvero il mantenimento dell’esposizione ai combustibili fossili e la vulnerabilità geopolitica, è molto peggiore. Il messaggio dovrebbe essere chiaro: la diversificazione energetica non riguarda solo il cambiamento climatico, ma anche la sovranità. Inoltre, una strategia industriale verde credibile contribuirebbe a creare i posti di lavoro ad alta tecnologia che i partiti nazionalisti sostengono di voler difendere. Dimostrerebbe che la decarbonizzazione e la forza economica possono rafforzarsi a vicenda nella pratica.
IL POTERE DEL NO
Nel loro insieme, queste misure non trasformerebbero l’Europa dall’oggi al domani. Tuttavia, inizierebbero a modificare la dinamica politica che ha intrappolato il continente in un ciclo di deferenza e divisione. Ogni iniziativa – preparazione alla difesa, diversificazione commerciale, politica interna nei confronti della Cina, transizione energetica e autonomia – dimostrerebbe che l’Europa è ancora in grado di agire collettivamente e strategicamente in condizioni avverse. Il successo su uno qualsiasi di questi fronti rafforzerebbe la fiducia sugli altri e creerebbe un sostegno politico per misure più audaci.
L’obiettivo più ampio è quello di ripristinare la consapevolezza che il destino dell’Europa è ancora nelle sue mani. L’autonomia strategica non richiede un confronto con Washington né l’abbandono dell’alleanza atlantica. Richiede la capacità di dire no quando necessario, di agire in modo indipendente quando gli interessi divergono e di sostenere un progetto coerente al proprio interno. L’appeasement è stata per troppo tempo la posizione predefinita dell’Europa. È stata comprensibile, persino razionale in alcuni casi, ma alla fine si è rivelata controproducente e ha alimentato le fiamme di una reazione nazionalista.
L’alternativa non è la demagogia o l’isolamento, ma un’azione costante e deliberata. Se l’Europa riuscirà a metterla in atto, potrà uscire da questo periodo di turbolenze transatlantiche come attore più autonomo, più unito e più rispettato sulla scena mondiale rispetto al passato.
Il professor Nie Huihua della RUC spiega come le gerarchie urbane cinesi determinano le opportunità di vita, perché a livello di contea regnano le “regole informali” e il vero futuro della sfida al debito locale in Cina.
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A causa di problemi di tempo, non sono riuscito a tenere il passo con il podcast che ho iniziato l’anno scorso. Ho deciso di cambiare leggermente il formato e di usare questo spazio per presentarvi il mio podcast cinese preferito in assoluto dell’anno : “Una conversazione con Nie Huihua: un impiego governativo è la scelta migliore in una crisi economica?”. Il professor Nie Huihua della Renmin University intervista Zhiben Lun, docente di Economia e Commercio, un podcast gestito da CITIC Press Group . Il professor Nie è un Distinguished Professor presso la Facoltà di Economia della Renmin University of China, specializzato in economia organizzativa ed economia politica della Cina. Ha conseguito un dottorato di ricerca presso la Renmin University e una formazione post-dottorato presso l’Università di Harvard.
Il professor Nie Huihua
Rispetto ai suoi successi accademici, ammiro ancora di più il suo stile schietto e la sua profonda conoscenza della Cina dal basso. La sua ricerca non si limita a libri e modelli economici, ma comprende ampie indagini sul campo e la comunicazione con funzionari cinesi locali. È anche disposto a condividere pubblicamente le sue intuizioni, mantenendo una presenza attiva su Bilibili, l’equivalente cinese di YouTube, dove ha accumulato oltre 730.000 iscritti, per lo più giovani cinesi.
Questa è una conversazione lunga, quindi la dividerò in due puntate. Nella prima, il professor Nie spiega come la struttura amministrativa gerarchica delle città cinesi influenzi la distribuzione delle risorse, le opportunità di carriera e la competitività regionale, sottolineando che le città di livello più alto ricevono più risorse a causa del loro status politico, il che crea condizioni di parità fin dall’inizio.
Esplora inoltre le “regole informali” che governano il potere a livello di contea e ne analizza le implicazioni, introducendo la sua formula per comprendere la governance di base: Contratti incompleti + Subappalti amministrativi = Responsabilità illimitata = Potere illimitato .
Inoltre, esamina perché il modello di finanziamento fondiario si è dimostrato insostenibile, ma resta difficile da abbandonare per alcuni governi locali, e discute le radici della crisi del debito locale e come parametri di performance come “mantenere la stabilità” e “attrarre investimenti” influenzano il comportamento dei funzionari.
Il professor Nie sostiene che per comprendere veramente le radici della Cina, dobbiamo analizzare le sue strutture di incentivi e la sua continuità storico-culturale: lo sviluppo economico è una cosa, ma trasformare la logica di governance richiede molto più tempo.
Questo primo episodio affronta anche il tema di come i destini individuali in Cina siano intrecciati in strutture amministrative più ampie e del perché, per la maggior parte delle persone senza forti legami, le grandi città possano comunque offrire una strada migliore. Approfondiremo questo aspetto nella prossima puntata.
02:15 Il “fascino del sistema” cinese: perché la generazione Z ora si chiede “Quanto potere ha un segretario di partito di contea?”
04:00 Troppo qualificati o in piena fase di crescita? Un postdoc di Harvard diventa vicedirettore di un ufficio subdistrettuale a Shenzhen, svelando il rango amministrativo nascosto della governance locale.
06:35 La terra sotto i tuoi piedi ha una gerarchia: come la tua città determina il tuo accesso all’assistenza sanitaria, all’istruzione e alla ricchezza.
09:22 La verità sulla cattiva allocazione delle risorse: la prosperità di Pechino, Shanghai, Guangzhou e Shenzhen è davvero dovuta a una maggiore efficienza?
11:43 “County Brahmins”: il ritorno nella propria città natale è davvero una valida alternativa per la persona media?
14:55 Quanto potere hanno realmente i funzionari locali? “Contratti incompleti + subappalti politici = Responsabilità illimitata = Potere illimitato”.
21:29 Perché gli enti locali sono “dipendenti” dalla finanza fondiaria? Il collegamento tra indicatori di performance ufficiali e indicatori chiave di prestazione (KPI) di promozione.
Desidero inoltre ringraziare il Professor Nie e il conduttore Sun Bingjie di Zhiben Lun per aver gentilmente autorizzato e fornito la trascrizione in cinese. Come sempre, per chi volesse mettere alla prova il proprio ascolto in cinese, ecco il link al podcast originale . Di seguito la trascrizione che ho realizzato.
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Presentatore Bing Jie: Ciao a tutti, benvenuti a Zhiben Lun知本论, sono Bingjie. Negli ultimi anni, sembra che abbiamo perso collettivamente il senso dell’orientamento per il futuro. Due narrazioni sono diventate estremamente popolari: cercare stabilità partecipando all'”involuzione” per gli esami di stato, oppure fuggire dalle megalopoli come Pechino, Shanghai e Guangzhou per tornare nella propria contea natale e “sdraiarsi”. Molti dicono che la destinazione finale della vita sia un lavoro nel settore statale, ma vi siete mai chiesti cosa ci sia oltre quella “ciotola di riso di ferro”?
Il nostro ospite di oggi su Zhiben Lun è un economista noto per la sua capacità di esprimere la propria opinione, il Professor Nie Huihua della Renmin University of China. È anche un acuto commentatore di Bilibili. Ha recentemente pubblicato un nuovo libro, ” The Operating Logic of Grassroots China基层中国的运行逻辑” , in cui usa il bisturi dell’economia per analizzare il codice sottostante che governa l’allocazione delle risorse e influenza l’occupazione, la ricchezza e persino il destino di tutti.
In questa puntata non parleremo solo di macroeconomia; parleremo anche di cosa costituisca la vera “avversione al rischio” per l’individuo nella Cina odierna e di dove potrebbero risiedere le opportunità. Sono molto felice di avere questa opportunità di parlare con il Professor Nie. Innanzitutto, diamo il benvenuto al Professor Nie e salutiamo i nostri ascoltatori.
Prof. Nie: Bene, ciao a tutti, sono Nie Huihua della Renmin University della Cina.
Presentatore Bing Jie: Molti dei tuoi video più popolari su Bilibili riguardano la governance di base e il sistema. A nostro avviso, la base utenti di Bilibili è molto giovane. Il fatto che un gruppo di giovani ti ascolti parlare di argomenti come “Quanto potere ha un segretario di partito di contea?” mi ha inizialmente sorpreso.
Prof. Nie: Penso che ci possano essere diverse ragioni. Una delle più immediate è che molte persone vogliono sostenere l’esame per la pubblica amministrazione. La seconda è che molte persone provengono da contesti popolari, ma non hanno vissuto e lavorato a quel livello. Come economista, le due domande che mi vengono poste più spesso sono: primo, com’è la situazione macroeconomica, e secondo, quali azioni acquistare. In realtà non sono specializzato in nessuna delle due! Molti parlano di macroeconomia, e molti parlano di azioni e gestione finanziaria, ma pochissimi parlano della governance statale cinese, soprattutto della governance a livello popolare.
Io stesso provengo da un ambiente rurale, un fannullone di provincia (小镇不做题家), si potrebbe dire. Quando ero giovane, non avevamo infiniti esami di prova da fare. In seguito ho sostenuto l’esame di ammissione all’università. Ho una certa familiarità con il livello di base e nutro una certa sensibilità nei suoi confronti. Allo stesso tempo, ho scoperto che molti giovani oggi sono in realtà piuttosto distaccati dalla realtà della vita di base. Ad esempio, nella mia classe, quando chiedo quanti studenti provengono da zone rurali, circa il 10% alza la mano. Quando chiedo quanti di loro abbiano mai coltivato la terra, nessuno l’ha fatto. Anche se la loro residenza familiare è rurale, sono cresciuti frequentando la scuola nel capoluogo di contea o addirittura in città, e non sanno nulla della campagna. Quindi, hanno questo labile legame, un senso di mistero, ma nessuna vera comprensione. Ci sono molte persone così.
C’è un fenomeno: ogni anno, dopo la corsa ai viaggi per la Festa di Primavera, vediamo comparire le cosiddette “narrazioni del ritorno alla città natale” (返乡体文学) – molte persone scrivono del declino dei villaggi, giusto? Per esempio, il mio concittadino Xiong Peiyun熊培云ha una frase che risuona profondamente: “Ogni città natale sta cadendo”. Sembra che non si possa tornare indietro. Ma se si debba tornare indietro, o se ne valga la pena , è tutta un’altra questione.
Prof. Nie: Mi sono reso conto che molte persone in realtà non comprendono la situazione a livello di base, eppure la stragrande maggioranza delle persone vive al suo interno. Persino gli abitanti di Pechino, Shanghai, Guangzhou e Shenzhen – a rigor di termini, il 99% di loro vive a livello di base. Perché, indipendentemente da come vivano, il luogo in cui si trovano deve appartenere a una comunità, a un sottodistretto. E quel sottodistretto o comunità fa parte della base. Qui, per “base”, intendo i dipartimenti a livello di contea/distretto e inferiori. Naturalmente, esiste un numero esiguo di comunità uniche che potrebbero non essere gestite da un comitato di quartiere o da un sottodistretto tradizionale – questo è un caso a parte, appartenendo effettivamente a organi centrali o provinciali. Ma per il resto, secondo il principio della gestione territoriale, quasi tutti noi dovremmo appartenere e vivere al suo interno, anche se non tutti lavoriamo direttamente all’interno del sistema di base.
Prof. Nie: Inizialmente non mi ero reso conto che così tante persone non comprendessero le problematiche di base finché non mi sono imbattuto in numerose domande del genere. Faccio un esempio: qualche anno fa, si è discusso di un borsista post-dottorato di Harvard, professore associato all’Università di Nanchino, che è andato a lavorare come vicedirettore di un ufficio di sottodistretto (街道办事处) nel distretto di Nanshan, a Shenzhen. Molti hanno ritenuto che si trattasse di un caso di persona sovraqualificata che assumeva una posizione molto inferiore, uno spreco di talenti. Ma molte persone non capiscono il sistema. Perché? Shenzhen è una città di livello sub-provinciale (副省级市). I suoi uffici di sottodistretto, come quelli dei comuni a controllo diretto, hanno un rango amministrativo di livello di Capo Divisione (正处级). In altre parole, un vicedirettore di un ufficio di sottodistretto di questo tipo equivale a un vicecapo di contea. Pensateci: quante persone, una volta laureate, possono diventare vicepreside di contea? Si inizia dal culmine! Per molti, il limite massimo dell’intera carriera è il livello di vicedipartimento. Quindi, vedete, si è trattato di un caso di incomprensione diffusa. È stato allora che ho capito davvero che si tratta di un fenomeno affascinante.
Poi, su Bilibili, sembra che molti follower sembrino piuttosto interessati a questo tipo di contenuti. Come dire? I cinesi, soprattutto gli uomini, hanno un rapporto complesso con il potere. Innanzitutto, la maggior parte delle persone potrebbe non amare il potere, ma allo stesso tempo desidera possederlo, senza però capirne il funzionamento. È questo sentimento sottile e delicato che rende tutti particolarmente desiderosi di apprendere qualcosa sul funzionamento del sistema. È normalissimo. Tutti desideriamo limitare il potere; detestiamo il potere, ma la maggior parte di noi non lo possiede, quindi vogliamo sapere come funziona. Questi sentimenti non sono contraddittori.
Presentatore Bing Jie:
Poiché provengo dallo Shandong, la gente dello Shandong potrebbe avere una percezione leggermente diversa del “sistema” rispetto ad altre province. Mi sembra di essere immersi in quell’ambiente fin da bambini. Mentre ti ascoltavo parlare del distacco delle persone dal sistema, pensavo a quando questa influenza ha avuto inizio per me. Inizia a manifestarsi nella cultura del bere a tavola degli abitanti dello Shandong. Non so se hai mai partecipato, ma se c’è un banchetto in stile Shandong, sicuramente ti ordineranno i posti a sedere.
Prof. Nie:
Lo so. Nel mio libro, “The Operating Logic of Grassroots China基层中国的运行逻辑” , c’è un grafico sul rapporto tra Partito e governo in Cina, e ho usato la provincia dello Shandong come esempio. Poiché lo Shandong è un luogo che attribuisce particolare importanza agli esami per la pubblica amministrazione e allo status di un individuo all’interno del sistema, ho usato proprio questo esempio.
Presentatore Bing Jie:
Esatto. Dal momento che hai parlato di questo sistema su Bilibili per molto tempo, comprese le sue modalità di funzionamento (quelli che chiameremmo video di “scienza popolare” tra virgolette), in tutti questi anni, qual è, secondo te, il più grande equivoco che la gente ha sul sistema, o qual è stato il contrasto?
Prof. Nie:
Penso che per la maggior parte delle persone il problema principale sia la scarsa familiarità con le regole del funzionamento del sistema. Ad esempio, molti pensano che un comitato di comunità ( shequ社区) sia un dipartimento governativo, o che un comitato di villaggio sia un dipartimento governativo. Questi sono fraintendimenti. Molti pensano che un ufficio di sottodistretto ( jiedao ban街道办) non sia diverso da un comitato di quartiere ( juweihui居委会), senza comprendere la logica fondamentale del loro funzionamento. Direi che questa logica fondamentale è il sistema gerarchico .
Ad esempio, molte persone non capiscono che le città cinesi hanno una gerarchia molto complessa. Hai appena detto che molti tra il pubblico si trovano probabilmente in città di primo o secondo livello come Pechino, Shanghai, Guangzhou, Shenzhen. Ma in Cina, le città sono divise in cinque livelli. Ci sono municipalità di livello provinciale direttamente sotto il governo centrale (省部级的直辖市), 15 città sub-provinciali (副省级市), e poi i comuni capoluoghi di provincia (省会) (la maggior parte dei capoluoghi di provincia non sono città sub-provinciali). Molte persone semplicemente non lo sanno.
Prof. Nie:
Vorrei aggiungere: in alcune località, il livello amministrativo del capoluogo di provincia è addirittura inferiore a quello di un’altra città della stessa provincia. Ad esempio, nel Fujian, il capoluogo di provincia è Fuzhou, che è una città di livello dipartimentale (正厅级). Ma la città con il livello amministrativo più alto nel Fujian è Xiamen, che è una città sub-provinciale (副省级市). La persona media non ne ha idea, giusto?
Poi ci sono le città di livello prefettura (地级市) e le città di livello contea (县级市). Qual è la rilevanza? Certo che conta. Riguarda le scelte di carriera, l’istruzione dei figli, gli investimenti. Perché molte risorse della Cina sono allocate dall’alto verso il basso secondo questa gerarchia. Quindi, se vivi, studi o lavori in una città di livello elevato, puoi usufruire di maggiori risorse mediche, risorse educative e maggiori opportunità di lavoro.
C’è sicuramente una differenza. Perché Shenzhen ha infrastrutture così buone? Perché Shenzhen è una città sub-provinciale. Le città sub-provinciali possono interagire direttamente con il governo centrale su questioni economiche e fiscali; non hanno bisogno di passare attraverso il livello provinciale. Quindi Shenzhen ha un surplus fiscale maggiore e una maggiore autonomia. Quindi, se non si capiscono i livelli cittadini, è difficile capire perché Shenzhen abbia così tanta autonomia politica e così tanto surplus fiscale, giusto?
E la differenza tra assistenza sanitaria e istruzione è fin troppo evidente, vero? Se ti trovi in una città sub-provinciale, probabilmente hai parecchie università del Progetto 985 (come una Ivy League statunitense ) e importanti ospedali terziari di alto livello. Se ti trovi in una città a livello di prefettura, potresti non avere né le università del Progetto 985 né importanti ospedali di alto livello. Quindi, come vedi, la disparità è enorme. Credo che queste cose abbiano effettivamente un impatto significativo sulla vita, lo studio, il lavoro, l’occupazione e gli investimenti di tutti.
Presentatore Bing Jie:
Hai menzionato il sistema gerarchico tra le città. Questo significa che nella Cina odierna, le difficoltà di un individuo spesso non riescono a superare una mappa amministrativa? Ad esempio, se sono nato o ho scelto una città di basso livello, è come se mi venisse assegnato un tetto prima ancora di iniziare a scalare.
Prof. Nie:
Sì. Vorrei aggiungere una cosa. Abbiamo già condotto uno studio in precedenza, cercando di rispondere a una domanda: queste grandi città si sviluppano bene principalmente grazie ai loro elevati livelli di produttività o perché possiedono innati vantaggi gerarchici – “la luna favorisce la torre più vicina”? La nostra conclusione è che gran parte di ciò dovrebbe essere attribuito alla gerarchia. Cioè, è perché hanno avuto prima il livello più alto, che ha permesso loro di ottenere più risorse, che poi si sono sviluppate meglio.
Inoltre, abbiamo scoperto che, secondo gli standard economici, molte città di alto livello non sfruttano appieno le proprie risorse; il grado di cattiva allocazione delle risorse potrebbe essere ancora più grave. In questo senso, quindi, la competizione tra grandi e piccole città in Cina non è del tutto equa; non sono sulla stessa linea di partenza fin dall’inizio.
È proprio in questo senso che sono in parte in disaccordo con la semplice eliminazione delle restrizioni sulle dimensioni delle grandi città. Perché questo non è un fenomeno puramente di mercato, tanto per cominciare. Hai già un vantaggio sugli altri e poi dici: “Apriamo la concorrenza”? Come puoi farlo se non sei nemmeno sulla stessa linea di partenza? Per una concorrenza leale tra città, il prerequisito è prima l’equità, poi la concorrenza. Questa è sempre stata la mia opinione.
Presentatore Bing Jie:
Quindi, per la maggior parte delle città cinesi, è la classificazione gerarchica a determinare le risorse di cui potranno disporre in seguito e il loro livello di sviluppo. È possibile che alcune città si siano sviluppate prima nel processo di accumulazione iniziale perché possedevano determinate risorse innate, come i cosiddetti vantaggi geografici o i giacimenti minerari, ad esempio, e quindi, durante la classificazione, siano state classificate come aree di sviluppo chiave?
Prof. Nie:
Vuoi dire che alcune città avevano abbondanti risorse naturali anche prima di essere designate come città chiave, giusto? Questo fenomeno esiste, ma ci sono anche controesempi. Ad esempio, c’è un affascinante esperimento naturale: il capoluogo di provincia dell’Hebei era inizialmente a Baoding, giusto? In seguito è stato spostato a Shijiazhuang. Cambiare il capoluogo ha cambiato completamente la traiettoria di sviluppo di quella città, semplicemente perché tutto il resto è rimasto invariato: è cambiata solo la capitale. Logicamente, Baoding non era più il capoluogo di provincia, ma i suoi vantaggi in termini di risorse dovrebbero essere rimasti, la sua posizione geografica invariata. Eppure, vedi, è diverso. L’impatto è davvero significativo. Non direi che sia l’unico fattore, ma è decisivo. Un mio collaboratore ha condotto una ricerca sull’evoluzione delle città cinesi nel corso di migliaia di anni, e la sua conclusione è stata esattamente la stessa della mia: molte città si sono sviluppate semplicemente perché sono diventate centri politici.
Pertanto, ottennero maggiori opportunità di sviluppo economico. Altrimenti, sarebbe stato completamente diverso. Pensateci: l’economia della Cina meridionale iniziò a svilupparsi in modo significativo solo a partire dalla dinastia Song Meridionale. Perché? Perché i Song Settentrionali furono sconfitti e si spostarono a sud, fondando i Song Meridionali, spostando il centro economico più a sud. Se non fosse stato per la nobiltà e le ricche famiglie Song Settentrionali che portarono capitali, risorse e talenti a sud, il Sud non si sarebbe sviluppato così rapidamente.
Quindi, i vantaggi geografici del Sud sono cambiati prima? No, giusto? E anche il Gran Canale 大运河 è stato costruito in seguito per collegare l’arteria nord-sud. Quindi, vedete, anche le condizioni dei trasporti possono cambiare. Nel sistema cinese, credo che si possa persino dire che i fattori politici mantengano ancora un ruolo dominante. Non è così che molti capiscono: le città sono state selezionate perché avevano buone condizioni prima di tutto. Non è così semplice. Non escludo questo fenomeno, ma per le città, il più delle volte è il rango politico a determinare le loro prospettive di sviluppo economico, non la loro dotazione economica a farle selezionare come città di alto rango politico.
Presentatore Bing Jie: Mm. Prima abbiamo discusso della necessità di comprendere la logica operativa della Cina di base. Il primo motivo potrebbe essere l’esigenza diretta di coloro che si preparano agli esami per la pubblica amministrazione, poiché devono comprendere direttamente come funziona. Un altro motivo, credo, per il grande pubblico, è una tendenza relativamente ovvia degli ultimi anni. Si scopre che periodicamente si verifica questa cosiddetta tendenza o ondata di “ritorno a casa” da megalopoli come Pechino, Shanghai, Guangzhou, Shenzhen. Soprattutto negli ultimi anni, con l’elevata pressione e l’intensa concorrenza in quelle città, la gente si chiede: “Dovrei trovare un posto dove “sdraiarmi”? Naturalmente, quando si pensa a una sistemazione in appartamento, si considerano queste località più piccole dove il costo della vita è più basso. Ma una volta arrivati, scoprono che, non comprendendo il funzionamento di questi luoghi, trovano il funzionamento del potere particolarmente oscuro, “l’acqua è troppo profonda”, e finiscono per tornare nelle grandi città. Questo richiama un termine di moda su internet negli ultimi anni: “County Brahmins” (Bramini di Contea).
Prof. Nie:
In realtà, questo termine deriva dal sistema delle caste indiano. Il sistema delle caste indiano classifica essenzialmente le persone gerarchicamente, dividendo figurativamente il corpo in testa, spalle, vita, coda… ora diciamo persino “città capo”, “imprese capo”, il che è di per sé un’espressione di gerarchia. Non credo che le contee cinesi abbiano dei veri “bramini”. È solo che all’interno delle contee esistono alcune famiglie numerose che detengono un potere relativamente stabile e le cui famiglie producono continuamente nuovi funzionari di livello pari o superiore al vice capo sezione. Questo fenomeno esiste.
Presentatore Bing Jie:
La realtà è piuttosto dura. Spesso diciamo che le grandi città sono troppo competitive e che vogliamo ritirarci nelle contee per trovare un’utopia. Ma, stando a quello che dici, la contea è in realtà un altro mondo, più nascosto, più esclusivo. Per chi non ha esperienza o competenze nella gestione delle relazioni, esiste una cosiddetta opzione di ripiego?
Prof. Nie:
Sono d’accordo. Ecco un riassunto: più alto è il livello cittadino, più grande è la città, più importanti sono le istituzioni formali. Più basso è il livello cittadino, più radicate sono le regole informali, più importanti sono le regole informali. Quindi, più ci si trova in una grande città, più ci si accorge che, poiché sono in gioco le regole formali, non si ha bisogno di tante regole informali. E ciò che manca alla gente comune è proprio il capitale sociale: quelle connessioni. Quindi, in una certa misura, le persone senza connessioni sono effettivamente più adatte a prosperare nelle grandi città, giusto? Questo rientra nella norma. Ma anche in altri paesi, la situazione è simile. Poiché più piccolo è il luogo, minore è la mobilità della popolazione, inevitabilmente si tende a una società basata sulla conoscenza. Le società basate sulla conoscenza si basano necessariamente di più su regole informali. Questo è vero in tutto il mondo; la Cina non fa eccezione.
Presentatore Bing Jie:
Quindi, più la regione è in basso, più è in basso, come le contee, o fino ai leader dei comuni, più le persone sentono che il loro potere è molto grande.
Prof. Nie:
Questo “potere molto grande” si riferisce in realtà al potere relativo . Logicamente, un segretario di partito di contea (县委书记, spesso il vertice della contea) è solo a livello di Capo Divisione. A Pechino, ci sono troppi funzionari a livello di Capo Divisione, giusto? Si tratta del suo potere relativo. Anche se il suo potere statutario potrebbe non essere molto maggiore di quello di un capo dipartimento, perché più si scende, più importante diventa l’aspetto informale. E cosa governa questa informalità? Spesso sono le istituzioni informali derivanti dall’influenza del potere. Quindi, queste due figure sono complementari. Nelle grandi città, poiché le istituzioni formali sono relativamente ben sviluppate, la parte informale è limitata.
Quindi, anche se si detiene lo stesso potere a livello di Capo Divisione, in una grande città manca quell’amplificazione e quell’effetto derivato, mentre a livello di base ha amplificazione ed effetti derivati, facendo apparire maggiore il potere di un segretario di partito di contea come funzionario a livello di Capo Divisione. Se non fosse per queste istituzioni informali, o se i contratti a livello di base non fossero più incompleti, il segretario di partito di contea non avrebbe un potere così grande.
Quando insegno teoria del potere, dico chiaramente a tutti: quando il potere è utile? Il potere è utile solo in un mondo di contratti incompleti. Se il mondo funzionasse con contratti completi – ovvero se tutto fosse chiaramente stipulato – il potere sarebbe inutile, giusto? Allora perché il potere sembra così utile alla base? È proprio perché le istituzioni di base sono imperfette, i contratti di base sono incompleti. Ecco perché.
Presentatore Bing Jie: Coinvolge il fattore trasparenza
Prof. Nie: …non trasparenza? La non trasparenza è un aspetto, ma è più complesso della semplice trasparenza. Mettiamola così: più si scende alla base, più si creano zone grigie. Mm. Perché se si ha a che fare con zone grigie, la libertà o la discrezionalità del potere è maggiore. Cioè, meno qualcosa è definito chiaramente, maggiore è il ruolo del potere. Più qualcosa è definito chiaramente, minore è il ruolo del potere. Quindi, il potere di base in sé non è intrinsecamente maggiore del potere ai livelli superiori; è solo che l’ambiente che affronta è diverso, il che fa sì che il suo potere venga amplificato e generi molti valori derivati. Questo è il motivo.
Presentatore Bing Jie:
Per quanto riguarda questo potere di base, come quello dei funzionari locali, l’entità della loro autorità, pensi che possa continuare a essere “incassata”? Sempre…
Prof. Nie:
Ho una formula: Contratti incompleti + Sistema di subappalto amministrativo = Responsabilità illimitata = Diritti illimitati. Innanzitutto, come ho appena detto, più si scende, più imperfetto è il sistema, si tratta di un contratto incompleto. Ma la Cina implementa con precisione la gestione territoriale. Cos’è la gestione territoriale? In una certa misura, è un sistema di subappalto politico. Tu, in quanto funzionario principale di una località, sei responsabile di tutto ciò che accade lì. Questo è appalto politico. I superiori si preoccupano solo dei risultati. Quindi, contratti incompleti più appalto politico devono equivalere a responsabilità illimitata: devi gestire tutto. Diritti e responsabilità devono corrispondere, altrimenti le cose sono insostenibili perché violano i principi di incentivazione. Ok, ora ho una responsabilità illimitata. In realtà, questo darà inevitabilmente origine a diritti illimitati. Perché dal momento che mi rendi responsabile di tutto, allora devo gestire tutto. Naturalmente, il potere è grande, giusto? Questa è la causa principale.
Risolvere questo problema non è impossibile. La soluzione è trasformare i nostri funzionari governativi in persone a responsabilità limitata. Ma affinché questo concetto venga accettato dal popolo cinese è necessario un lungo processo. Fin dall’antichità, abbiamo creduto che il governo avesse una responsabilità illimitata. Qualunque cosa accada, alla fine dobbiamo rivolgerci al governo; chiediamo il “funzionario onesto” (青天大老爷). Quindi, questo non può essere cambiato nel breve termine. È anche un fattore culturale. Con tutti questi fattori combinati, il potere di un funzionario locale di primo piano alla base, è davvero… non è esagerato dire che può essere sfruttato senza limiti. Con un potere così grande, una supervisione relativamente scarsa e un sistema imperfetto, ovviamente l’abuso di potere è facile. Non ha…
Presentatore Bing Jie: …confini di costrizione?
Prof. Nie: Difficile. Come ho detto, ha responsabilità illimitate. I vincoli che lei menziona sono sempre esistiti, ma è difficile dire quanto abbiano avuto effetto. Mm. E sa, anche i cinesi hanno una cultura tradizionale che si basa sul detto “In situazioni urgenti, segui l’opportunità”. Finché ho un’emergenza, una ragione speciale, posso fare un’eccezione. Questo rende molto difficile esercitare un potere vincolante. E i problemi di base cambiano spesso rapidamente, spesso sono molto complessi, il che rende i normali meccanismi di supervisione difficili da usare. Ad esempio, durante i disastri naturali, questi meccanismi di limitazione possono funzionare? Molto difficile. Questo è anche legato alla nostra tradizionale società agricola. Perché lo collego così tanto al passato? Perché se non si comprende la logica di governance delle ultime migliaia di anni, è difficile comprendere la struttura di governance odierna. Si riduce a un’unica linea continua. Non dovremmo illuderci che leggendo qualche libro, comprendendo i sistemi di pesi e contrappesi occidentali e conoscendo l’importanza dello stato di diritto, potremo rapidamente trasformare la base popolare della Cina in un luogo moderno. Non è così facile.
Presentatore Bing Jie:
Perché il senso di presenza del governo cinese è così forte? Di recente ho letto un libro sull’evoluzione logica del pensiero e della cultura cinese antica, che menzionava anche questo punto. Il sistema cinese, il suo modo di governare, non è solo una questione politica; è anche determinato dalla struttura culturale e psicologica sottostante. Questo non può essere cambiato nel breve termine.
Prof. Nie:
Giusto. Quindi, in questo senso, è necessaria una maggiore diffusione della conoscenza. Diversi strati sociali hanno bisogno di scambiarsi idee. Anche la Cina ha bisogno di scambi con altri paesi. Non possiamo pensare che, poiché possiamo risolvere economicamente i problemi di soffocamento, possiamo poi bloccare gli scambi culturali e intellettuali con il mondo esterno. Si tratta di due livelli di problemi completamente diversi. Ciò che mi preoccupa particolarmente ora è che molte persone ritengono che l’economia cinese sia abbastanza forte, che possiamo stare alla pari con il mondo e che d’ora in poi non ci importi più molto di scambiare con gli altri. Questo è molto pericoloso. Gli aspetti economici sono cose difficili, relativamente più facili da recuperare. Ma gli aspetti culturali che ho appena menzionato sono cose difficili da cambiare anche nel corso di migliaia di anni. Tutti devono avere una chiara consapevolezza e una sufficiente preparazione psicologica al riguardo. Pessimisticamente parlando, anche tra 100 anni, le istituzioni informali di base in Cina probabilmente continueranno a svolgere un ruolo considerevole.
Presentatore Bing Jie:
I cosiddetti “Brahmini” esisteranno ancora e persisteranno a lungo. Abbiamo appena parlato di come il potere di un funzionario locale, in questo modo di operare, possa non avere confini. Ma deve anche affrontare problemi pratici, ad esempio, deve affrontare valutazioni dall’alto: le “Tre Grandi Montagne” del mantenimento della stabilità, dell’attrazione degli investimenti e della risoluzione del debito. Soprattutto negli ultimi anni, la pressione per l’attrazione degli investimenti potrebbe essere maggiore. Probabilmente avete molte opportunità di confronto con i principali funzionari a livello di contea. Riuscite anche voi a percepire questa pressione?
Prof. Nie:
Esistono alcune differenze tra le regioni, ma nella maggior parte dei casi, il mantenimento della stabilità e l’attrazione degli investimenti sono le due pressioni maggiori. Per alcune contee economicamente forti, la pressione sullo sviluppo è maggiore. Per le contee popolose con economie meno ricche, la pressione sul mantenimento della stabilità è maggiore. Non tutte le regioni a livello di contea considerano lo sviluppo come indicatore di valutazione principale. Questo perché alcune località hanno una base economica debole fin dall’inizio; lo sviluppo dell’economia si basa principalmente sulle località ricche. In tali aree, la pressione sul mantenimento della stabilità è piuttosto significativa. Soprattutto a partire da alcuni anni fa, circa dieci anni fa, alcuni dei miei studenti hanno svolto ricerche su questo argomento; circa oltre 100 contee non utilizzano più il PIL come indicatore di valutazione più importante.
Presentatore Bing Jie:
Dallo schema nella classifica di queste “Tre Grandi Montagne”, che tipo di logica di governance di base possiamo discernere?
Prof. Nie:
Con la fine dell’era della rapida crescita economica, molte unità amministrative di livello inferiore, come comuni e contee, hanno sempre meno responsabilità in materia di sviluppo. Perché? In primo luogo, difficilmente possono competere con i distretti prefettizi/cittadini. In secondo luogo, la popolazione si sta concentrando nei distretti cittadini; la popolazione di molte contee e comuni sta gradualmente diminuendo. Quindi il loro ruolo è sempre più quello di fornire garanzie di servizi pubblici di base e mantenere la stabilità sociale. Ciò coinvolge sia fattori economici che demografici. Prima era impensabile. In passato, anche i comuni avevano obiettivi di attrazione degli investimenti. Ora, quando mi reco nei comuni per fare ricerche, fondamentalmente non ce ne sono, perché i comuni mancano sostanzialmente della capacità di costruire parchi industriali di alta qualità; inoltre, non possono competere con contee e città.
Presentatore Bing Jie:
Da un punto di vista economico, avendo recentemente attraversato questa transizione immobiliare ed essendo entrati nell’attuale ciclo di recessione, tutti sono molto preoccupati per le prospettive dell’economia locale. Il problema principale rimane il finanziamento fondiario.
Prof. Nie:
Il finanziamento fondiario è sicuramente la ragione più diretta. Nel periodo di massimo splendore passato, le tasse di trasferimento dei terreni rappresentavano addirittura il 90% delle entrate fiscali in molti luoghi. In seguito, a causa delle restrizioni al settore immobiliare e dell’incapacità delle amministrazioni locali di reperire nuove fonti di reddito, le industrie fortemente dipendenti dal settore immobiliare si sono trovate immediatamente a corto di liquidità. Questa è la ragione principale. Ce ne sono anche altre. Ad esempio, a causa della guerra commerciale, molte città orientate all’export hanno registrato una riduzione delle entrate.
In terzo luogo, poiché l’economia nel suo complesso sta rallentando, la torta si sta restringendo. Se a ciò si aggiunge il movimento demografico, sfavorevole per le contee, tutto ciò porta a un graduale prosciugamento della capacità fiscale della contea. Questa è davvero una sfida enorme. In molti luoghi, gli stipendi dei dipendenti pubblici o di coloro che lavorano nel sistema, inclusi insegnanti e medici, potrebbero essere garantiti, ma i bonus e le retribuzioni basate sulla performance non lo sono necessariamente. Questa è una situazione fiscale diffusa, un problema piuttosto serio. Una situazione del genere si è verificata raramente; anche durante le riforme su larga scala delle imprese statali del 1998-99, non era così difficile.
Presentatore Bing Jie:
I problemi causati dal finanziamento fondiario – prezzi elevati delle case e cattiva allocazione delle risorse – erano già emersi prima della sua definitiva conclusione. Ma perché questo modello ha continuato a persistere?
Prof. Nie: La tua è una buona domanda. In altre parole, se qualcuno avesse comprato una casa nel 2000 o addirittura nel 2021 e gli avessi chiesto: “Credi che i prezzi delle case scenderanno?”, non ci avrebbe creduto per niente. Perché le persone pensano in modo lineare. O anche se credi che potrebbero scendere – i principi economici ci dicono che nulla al mondo sale senza scendere – è inutile. Perché le persone non riescono a vedere quando scenderà, giusto? Le persone pensano in modo lineare: negli ultimi cinque anni è salito, perché non dovrebbe farlo nei prossimi cinque? So che non può salire per sempre, ma non credo che si fermerà così in fretta.
Quindi, vedete, con una logica simile, anche se i governi locali se ne accorgessero, non cambierebbero il loro comportamento. Perché? Il mandato di ogni funzionario locale è molto breve. Ad esempio, i funzionari provinciali durano in genere circa 3 anni, i funzionari comunali 2,8 anni, i funzionari di contea meno di 3 anni, forse ora un po’ di più. Con un mandato così breve, anche se la capacità fiscale si esaurisse tra 10 anni, gli importerebbe? Ciò che gli interessa è come aumentare le entrate fiscali e il PIL durante il loro mandato, in modo da poter ottenere promozioni, giusto? Questa è la loro preoccupazione principale. Quindi, per dirla in parole povere, tutti hanno un motivo per bere veleno per dissetarsi o prosciugare lo stagno per pescare tutti i pesci. Ma non si può dire che sia tutto negativo. Perché senza la concorrenza tra i governi locali, l’economia cinese non avrebbe potuto svilupparsi così velocemente. È ampiamente riconosciuto che una delle ragioni principali della rapida crescita della Cina, durata decenni, sia la competizione tra enti locali. Si tratta quindi di due facce della stessa medaglia. Non si può semplicemente dire di volere il lato positivo e non quello negativo. È impossibile.
Presentatore Bing Jie:
Dietro a tutto questo c’è una forza trainante fondamentale: la valutazione dei risultati politici di questi alti funzionari, che li spinge ad adottare questo metodo, utilizzando la finanza fondiaria come leva. Non è un problema puramente economico.
Prof. Nie:
Giusto. Per comprendere la governance di base, dobbiamo comprendere gli incentivi, gli incentivi dei funzionari. Questo è molto importante. In realtà, dal XVI Congresso del Partito, il governo centrale ha voluto adeguarsi, perché non può rimanere un governo puramente orientato allo sviluppo come in passato; dovrebbe gradualmente trasformarsi in un governo orientato ai servizi. Questo è inevitabile per lo sviluppo sociale. Solo che durante questo processo, ci siamo imbattuti in una recessione economica. Teoricamente, attuare riforme durante una fase di ripresa economica è la soluzione migliore. Perché? I costi delle riforme sono bassi e le condizioni economiche sono buone. Purtroppo, durante la recessione economica, diversi fattori hanno concorso a confluire, rendendo questo processo lungo e relativamente doloroso.
Presentatore Bing Jie:
Una conseguenza del finanziamento fondiario è l’elevato debito locale. Ora, molti dibattiti vedono questo debito locale come un rinoceronte grigio e si preoccupano di come si concluderà questa saga del debito locale.
Prof. Nie:
Penso che la situazione potrebbe protrarsi per un po’, essere elaborata per un po’, e poi potrebbero essere adottate misure di emergenza. Altrimenti, prolungarla non giova a nessuno. Ho anche chiesto a molti funzionari di base. Molti suggeriscono: “Il governo centrale può acquistare l’azienda in una sola volta?”. Questa è una delle possibili argomentazioni. Ma sottolineo in particolare una precondizione: la precondizione per un’acquisizione una tantum deve essere un meccanismo di responsabilità, deve prevedere meccanismi di supporto. Ad esempio, durante una crisi finanziaria, se il governo salva il mercato, non è possibile che i dirigenti continuino a ricevere bonus e stipendi in seguito. No, se il governo rileva l’azienda, i dirigenti devono essere sostituiti. Altrimenti, si potrebbe pensare di poterlo fare di nuovo la prossima volta. Quindi la precondizione per un’acquisizione da parte del governo è che, a meno che non si disponga di solidi meccanismi per prevenire problemi di azzardo morale dinamico – in modo che non si indebitino di nuovo, o non lo facciano in modo sconsiderato – altrimenti questo fondo non può essere coperto. Questo è un vincolo di bilancio morbido; non funzionerà.
Quindi penso che lo scenario più probabile sia che il governo centrale subisca prima una parte, e che le amministrazioni locali ne digeriscano lentamente un’altra. Se ancora non funziona, alcuni suggeriscono di imitare il modo in cui le quattro principali società di gestione patrimoniale hanno rilevato il debito in sofferenza delle quattro principali banche. Questo è un metodo. Le questioni commerciali sono più facili da gestire in questo modo. Ma un governo è un livello di unità amministrativa, un sistema di contratti politici. Come si può rilevare? Non è come una banca, giusto? Se la Bank of China ha performance scarse, posso far sì che la ICBC si fonda o la acquisisca. Si può far sì che un governo locale ne acquisisca un altro? Non molto probabile. Quindi non si possono applicare completamente i principi economici alla sfera politica. Quindi penso che sia piuttosto difficile. Questo mette alla prova la saggezza della governance nazionale.
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