Italia e il mondo

Rassegna stampa tedesca 67a puntata a cura di Gianpaolo Rosani

Risalta il drastico cambio di retorica dell’editoriale. Il punto di vista di Mosca trova spazio nella
propaganda occidentale. Le sanzioni non servono e tutto ciò che finora è stato fatto per l’Ucraina non
serve a fermare i russi. Non perché la Russia è una malvagia dittatura, ma perché si tratta di un
problema esistenziale. D’improvviso, la “brutale aggressione non provocata e del tutto ingiustificata
dell’Ucraina da parte della dittatura russa” trova invece una giustificazione: Mosca si sente accerchiata.
Ne segue che è inutile continuare con il sostegno finanziario, l’Ucraina non potrà che perdere in una
guerra di logoramento. Perché questo cambio? (commento estratto da @ClaraStatello su Telegram 22.12.2025)

21.12.2025
LIBERTÀ DI OPINIONE – EDITORIALE
Verità dolorose
Le forze dell’Ucraina stanno diminuendo, la Russia resiste e l’America volta le spalle: non sono buone
premesse per gli europei per essere ottimisti, afferma Jacques Schuster

È ora di affrontare la realtà, con lucidità, senza pietà, anche se dolorosa. L’Ucraina perderà la guerra contro
la Russia. Il Paese è impantanato in una guerra di logoramento contro l’aggressore russo, che lentamente
ma inesorabilmente sta prosciugando le sue forze.

Gli Stati Uniti devono concentrarsi nuovamente sui loro interessi fondamentali, così come li intende
Trump. Il governo degli Stati Uniti guarda con disprezzo alle élite liberali dell’UE, ovvero ai governi
e alle istituzioni, e sostiene persino i partiti di destra e di estrema destra nel Vecchio Continente. E
così l’Europa occupa solo il terzo posto nella lista delle priorità del documento. Mentre Rutte e
anche il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul continuano a puntare sul partenariato,
dall’altra parte dell’Atlantico sembra che non sia più così. Una sorpresa per l’opinione pubblica
tedesca ed europea? Non proprio. Piuttosto un momento di radicale onestà.

13-19.12.2025
L’Europa in affanno
Gli Stati Uniti dicono addio al liberalismo occidentale. Cosa prevede la nuova strategia di sicurezza
statunitense e come reagisce l’Europa?

Di Leon Holly e Tanja Tricarico
Chi giovedì pomeriggio ha ascoltato il segretario generale della NATO Mark Rutte ha potuto constatare dal
vivo come si intenda tenere a freno l’agitazione suscitata dalla strategia di sicurezza nazionale degli Stati
Uniti. Durante la sua visita a Berlino, Rutte non ha dato alcun segno che il 4 dicembre gli Stati Uniti avessero
ufficialmente chiesto il divorzio dall’Europa con il loro nuovo documento sulla sicurezza.

L’Europa è stata a lungo il figlio viziato della politica mondiale: moralmente superiore, ma in caso
di emergenza dipendente dalla protezione dei genitori americani. Il 2026 è l’anno in cui il figlio
dovrà andarsene di casa. Non è una tragedia, ma un’emancipazione attesa da tempo. Assistiamo
a sviluppi tecnologici affascinanti, alcuni dei quali anche in Germania. E in realtà tutti gli economisti
prevedono che l’economia tedesca tornerà a crescere, almeno un po’. A quali sviluppi presteremo
particolare attenzione nel 2026? Guardando al nuovo anno, dobbiamo abbandonare l’illusione che
questa sia una crisi che finirà presto, che Donald Trump sia un fenomeno temporaneo, che gli Stati
Uniti torneranno presto a rivolgersi all’Europa, che la Cina diventerà un partner costruttivo e che la
Russia si accontenterà di piccoli guadagni territoriali in Ucraina. Dobbiamo piuttosto accettare che
l’instabilità è il nuovo stato di aggregazione, espressione di un periodo di transizione di cui non è
ancora chiaro dove porterà, in un mondo in cui il vecchio non è ancora del tutto morto e il nuovo
non è ancora del tutto tangibile.

03.12. 2025
2026 – Il prezzo della libertà
Elezioni decisive negli Stati Uniti, prova del fuoco per l’intelligenza artificiale e una piccola rivoluzione
nella nostra vita quotidiana: queste sono le tendenze decisive del prossimo anno.

Una panoramica del caporedattore dell’Handelsblatt Sebastian Matthes.
Conoscete quel breve istante, quella frazione di secondo in cui vi dondolate su una sedia e superate quel
momento di assenza di gravità tra equilibrio e caduta libera?

Le certezze di politica estera che hanno plasmato anche Merz, stanno ora svanendo. Trump se ne
infischia del partenariato transatlantico, l’unità dell’Europa sta svanendo. La missione di Merz è
impedire che la situazione peggiori. Anche in futuro dovrà tenere a bada Trump e gli europei. Il
vero lavoro, però, lo aspetta in Germania. Senza il sostegno dei tedeschi, la sua parola non ha
quasi alcun peso nel mondo. Sempre più tedeschi sono favorevoli a ridurre gli aiuti all’Ucraina.
L’AfD alimenta i timori di declino sociale facendo riferimento ai miliardi destinati a Kiev. Incoraggia
coloro che credono che la capitolazione dell’Ucraina porrebbe fine al conflitto. Anche nell’Unione di
Merz alcuni desiderano un riavvicinamento alla Russia. Merz deve opporsi, deve spiegare che una
pace alle condizioni della Russia incoraggerebbe Putin a ulteriori aggressioni. Che un’Ucraina forte
rende anche la Germania più sicura. I tedeschi dovranno affrontare alcune difficoltà, e il cancelliere
dovrebbe dirlo con sincerità.

19.12.2025
EDITORIALE
La prova più difficile
Friedrich Merz ha davanti a sé un compito più arduo di quello di qualsiasi altro cancelliere prima di lui.
Deve difendere la sicurezza dell’Europa. Ci riuscirà solo se si impegnerà maggiormente per ottenere il
sostegno dei tedeschi

Di Marina Kormbaki
Sono settimane decisive, ne sono certi i consiglieri del cancelliere. In questi giorni, i più bui dell’anno, si
deciderà il futuro dell’Ucraina, si dice in circoli riservati.

Il cancelliere tedesco sta cercando con tutte le sue forze di riunire gli europei disponibili e di
mantenerli in gioco come attori. Quasi tutte le iniziative dell’anno che sta volgendo al termine sono
partite da lui: bisogna constatare che la volontà è forte, ma le possibilità sono limitate. Gli europei
riescono ripetutamente a intervenire nel processo negoziale americano-russo a favore dell’Ucraina
e nel proprio interesse, ma altrettanto spesso devono riconoscere che i successi sono di breve
durata. Mentre Helmut Kohl, durante l’ultimo grande sconvolgimento dell’Europa, ha afferrato il
“mantello della storia” e non lo ha più lasciato andare, ora ci si sente trascinati da uno
“spostamento geopolitico” che è difficile controllare. Il presidente americano mostra brutalmente
agli europei qual è il loro posto nel nuovo ordine mondiale.

12.12.2025
L’Europa tra tutti i fronti
Il dramma dell’Ucraina, il canto del cigno dell’ordine liberale: il cancelliere cerca con tutte le sue forze di
difendere il vecchio continente.

Di Jochen Buchsteiner e Konrad Schuller
Ancora una volta un momento decisivo, questa volta in grande stile, a Berlino.

La trasformazione del paradigma del conflitto va di pari passo con la trasformazione del concetto di
politica: osserviamo la forza assertiva di una politica che ha riconosciuto nella controversia un
modello di business che cerca in ogni occasione approcci e occasioni per mettere in scena
opposizione e discordia con ampio effetto. Il potere di colonizzazione digitale, che ormai sembra
mettere in ombra tutti i sogni di un posto al sole del passato, fa sì che siano soprattutto coloro che
si distinguono per il loro deciso disprezzo a trovare ascolto. E che camuffano questo disprezzo da
bellicosità. Camuffare è la parola giusta, perché punzecchiare o provocare qualcuno non significa
affatto litigare con lui. La parola si realizza solo attraverso la vicinanza all’interlocutore. Ciò non
significa necessariamente attraverso il contatto visivo, ma attraverso il riferimento diretto a ciò che
l’avversario dice e intende. Litigare è una tecnica culturale che può essere appresa, ma anche
disimparata.

10.12.2025
Pluralismo o guerriglia?
Sulla litigiosità e la stanchezza delle controversie in Germania

Di Simon Strauss – Nato nel 1988 a Berlino, storico, redattore della “Frankfurter Allgemeine Zeitung” e fondatore dell’iniziativa
“Arbeit an Europa e.V.”.
In questo Paese si litiga troppo poco e troppo. La controversia è la nostra compagna costante, ma si
nasconde dietro la staccionata del giardino.

Il governo statunitense ha il suo «modo particolare» di procedere, sospira un alto diplomatico
europeo a Washington. Non si è più «automaticamente coinvolti»; non si può più contare su nulla.
E questa è ancora una descrizione gentile della situazione. Finché le telecamere sono accese, i
capi di Stato europei lodano doverosamente gli sforzi di mediazione di Trump. «Apprezzo il lavoro
svolto dal governo americano sotto la guida del presidente», ha affermato Macron quando ha
incontrato Zelenskyj a Parigi all’inizio di dicembre. Ma non appena i capi di Stato sono tra loro, non
nascondono il fatto che non vedono Trump e i suoi collaboratori come alleati, bensì come rivali che
nutrono più simpatia per Vladimir Putin che per i loro ex partner. «Stanno facendo dei giochetti, sia
con voi che con noi», ha detto il cancelliere Merz durante la conferenza stampa, riferendosi agli
ucraini e ai leader dell’UE. Il tono che Trump usa nei confronti dell’Europa oscilla tra disprezzo,
compassione e aperta ostilità: finché l’Europa non deciderà di camminare con le proprie gambe,
sarà indifesa di fronte allo scherno. L’Europa potrà sopravvivere solo se terrà testa alla Russia e
diventerà più indipendente dagli Stati Uniti.

12.12.2025
Due canaglie, un obiettivo
COME TRUMP E PUTIN ATTACCANO L’EUROPA
Alleanze – Il presidente degli Stati Uniti Trump non nasconde il suo disprezzo per il vecchio continente e
stringe un patto con il leader del Cremlino Putin. L’Europa non trova una strategia contro l’alleanza dei
malfattori

Tradimento

Di Christian Esch, Matthias Gebauer, Konstantin von Hammerstein, Julia Amalia Heyer, Britta Kollenbroich, Paul-Anton Krüger, René
Pfister, Mathieu von Rohr, Fidelius Schmid, Michael Weiss
Ci sono momenti in cui gli europei non nascondono la loro disperazione. Il 1° dicembre, ad esempio,
quando i leader di diversi paesi dell’UE si sono riuniti in una teleconferenza riservata.

Gli Stati Uniti si stanno trasformando da egemoni benevoli, cosa che in realtà non sono sempre
stati, a superpotenza egoista a caccia di prede. L’Europa gioca solo un ruolo secondario in questa
visione del mondo. Trump relega il vecchio continente in secondo piano. Nella strategia del 2017,
durante il primo mandato di Trump, si affermava ancora che l’Europa e gli Stati Uniti dovevano
collaborare per contrastare l’aggressione russa. Ora non si legge più nulla di una lotta tra
democrazie e autocrazie come la Cina. Al contrario, gli Stati Uniti mettono in guardia l’Europa con
tono paternalistico da un’“autodistruzione della civiltà” causata dalla migrazione. Se l’Europa si
lascia dividere, andrà a fondo e finirà nel menu di questo nuovo mondo di predatori. Forse questo
è il campanello d’allarme. Questa volta Trump lo invia gentilmente nero su bianco.

07.12.2025
Editoriale
Trump se ne frega dell’Europa e della morale
Nella loro nuova strategia di sicurezza, gli Stati Uniti puntano l’attenzione sull’America Latina e sull’Asia.
Al presidente Trump non interessa ciò che Russia e Cina fanno nelle loro zone di influenza. Ma vuole
esportare la sua rivoluzione populista nell’UE.

DI CHRISTIAN ULTSCH
Per chi non l’ha ancora capito dopo undici mesi dall’elezione di Trump, ora lo può leggerlo nelle 29 pagine
della Strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti: gli Stati Uniti stanno ridefinendo le loro priorità di
politica estera.

WELT AM SONNTAG ha valutato per mesi i canali di reclutamento in tutta la Russia e ha parlato
con numerosi intermediari e reclute. Nonostante le immense perdite, l’esercito russo continua a
crescere, con grande stupore dei servizi segreti e dei diplomatici occidentali. Essi considerano
questo sviluppo fondamentale sia per eventuali negoziati di pace che per il rischio di un’ulteriore
espansione russa. Se Putin riuscirà a continuare a finanziare gli enormi premi (e i pagamenti in
caso di morte) e a trovare gli uomini necessari la Russia potrà continuare la guerra costosa e
logorante che caratterizza il conflitto in Ucraina dal secondo anno di guerra.

07.11.2025
Il ricco raccolto dei cacciatori di teste del
Cremlino
La Russia sopporta elevate perdite di guerra grazie alla sua particolare capacità di rinnovare
costantemente la forza delle sue truppe. Con premi, cancellazione dei debiti e la promessa di un
avanzamento sociale, i più poveri vengono attirati nell’esercito, che nel 2026 potrebbe addirittura
raggiungere una forza di 1,5 milioni di soldati.

Di EKATERINA BODYAGINA E IBRAHIM NABER
Per molti uomini in Russia, la guerra sembra ormai un’offerta di lavoro inevitabile. Sull’app di messaggistica
Telegram, accanto alle notizie quotidiane compaiono offerte per missioni al fronte con premi fino a 42.900
euro, una fortuna in un Paese in cui lo stipendio medio è ben al di sotto dei 1000 euro al mese.

Trump perseguita i suoi avversari politici, ad esempio sommergendoli di accuse. Cerca
ripetutamente di impiegare l’esercito all’interno del Paese per ottenere il controllo delle città
scomode. Maltratta i gruppi emarginati, soprattutto gli immigrati, che a volte fa arrestare
brutalmente per strada. Usa la sua carica per procurare entrate a sé stesso e alla sua famiglia.
Tutto ciò è più tipico di un regime autoritario che di una democrazia. Inoltre, il presidente attacca le
istituzioni che dovrebbero controllare lui e il suo governo, come la magistratura, quando non
decidono come lui ritiene giusto. Opprimere gli avversari e gli indesiderati, favorire gli amici e la
famiglia: questa è la formula di Trump in una frase. E’ un corruttore dei costumi politici, un
corruttore della democrazia. In natura, ciò che è corrotto non può essere riportato al suo stato
precedente. Questo non vale per la politica. Ma per gli Stati Uniti sarà difficile riprendersi da
Trump.

02.12.2025
EDITORIALE – IL NUOVO ORDINE MONDIALE
Il corruttore
Sotto Donald Trump, i principi della democrazia stanno andando in frantumi

Di Dirk Kurbjuweit
Non può essere, ma è così. Questa è la frase che ha accompagnato il primo anno del secondo mandato di
Donald Trump. Esprime ciò che un cittadino di orientamento liberale e democratico prova di fronte al
presidente degli Stati Uniti:

Come ha potuto il Consiglio europeo concedere un prestito nonostante l’opposizione di Ungheria,
Repubblica Ceca e Slovacchia, dato che una decisione del genere deve essere presa
all’unanimità? Il prestito è stato ottenuto con la promessa a Budapest, Praga e Varsavia di non
imporre ai tre paesi il pagamento immediato di 1,5 miliardi di euro di debiti in sofferenza, ma di farli
pagare politicamente in un secondo momento. “I tre paesi non devono pagare nulla ora, ma lo
faranno in seguito a livello politico”. Ciò significa che in tutte le decisioni future (ad esempio nei
negoziati ora in corso sul bilancio dell’UE 2028-2034), l’Ungheria, la Repubblica Ceca e la
Slovacchia non potranno contare su alcuna concessione. E la Polonia, quarto membro del gruppo
di Visegrád, potrebbe rimanere profondamente offesa da questa azione.

20.12.2025
Credito UE invece di Euroclear: il piano A è
morto, viva il piano B
Ucraina. Il bilancio dell’UE servirà come garanzia per il credito concesso a Kiev. Tuttavia, l’accesso al
denaro russo in Belgio non è ancora del tutto escluso.

DI MICHAEL LACZYNSKI Bruxelles/Vienna
È una soluzione con cui tutti possono convivere, o meglio devono convivere, al momento attuale. L’UE
accenderà un prestito a tasso zero dell’importo di circa 90 miliardi di euro, con il quale l’Ucraina potrà
continuare la sua lotta difensiva contro la Russia nei prossimi due anni.

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Un altro fallimento: il vertice EUCO subordina il rimborso del nuovo “prestito” all’Ucraina alla vittoria totale sulla Russia_di Simplicius

Un altro fallimento: il vertice EUCO subordina il rimborso del nuovo “prestito” all’Ucraina alla vittoria totale sulla Russia

Simplicius 23 dicembre
 
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Il vertice del Consiglio europeo che si è tenuto dal 18 al 19 dicembre a Bruxelles è stato dichiarato una grande “vittoria” dagli eurocrati, quando in realtà si è trattato ancora una volta di un clamoroso fallimento per il regime marcio della von der Leyen e per il suo tentativo di utilizzare i beni russi rubati per la guerra in Ucraina.

L’obiettivo era quello di cercare di sequestrare e utilizzare completamente i beni, piuttosto che semplicemente “immobilizzarli”, ma invece tutto ciò che sono riusciti a fare è stato creare un “prestito” di 90 miliardi di euro per l’Ucraina, attingendo dalle proprie casse, ben lontano dai 210 miliardi che avrebbero voluto. E tutto questo è stato fatto nel modo più interessante possibile:

Il vertice EUCO è stato un disastro per Ursula von der Leyen e Friedrich Merz. Nonostante disponesse di una maggioranza qualificata in EUCO, l’opposizione del Belgio e di altri sei paesi ha impedito il sequestro dei beni russi. Nonostante la promessa di concedere all’Ucraina una somma compresa tra 140 e 210 miliardi di euro, l’EUCO ha deciso di concederne solo 90 miliardi e, ciliegina sulla torta, la forte opposizione di Francia e Italia ha fatto sì che l’accordo di libero scambio con il Mercosur fosse rinviato. L’UE è più divisa che mai.

Un’altra analisi che spiega in modo più dettagliato la distribuzione del denaro:

Il Consiglio europeo ha deciso di concedere all’Ucraina un prestito di 90 miliardi di euro a tasso zero attingendo dal bilancio dell’UE.

Il piano di sequestrare i beni russi e utilizzarli per finanziare il prestito è fallito perché troppi Stati membri dell’UE si sono opposti durante la riunione dell’EUCO.

Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca hanno ottenuto il diritto di non partecipare al finanziamento di questo prestito, il che significa che la somma di 90 miliardi sarà ripartita proporzionalmente in base al PIL dei restanti 24 Stati membri.

Sebbene l’EUCO abbia acconsentito a concedere questo prestito, il meccanismo giuridico per la sua effettiva concessione a Kiev non è stato ancora reso noto e ci vorranno ancora alcune settimane prima che venga definito.

Il piano originale per i beni russi congelati (oltre 200 miliardi di dollari) prevedeva che 95 miliardi di dollari fossero destinati al pagamento dei debiti esistenti dell’Ucraina nei confronti del FMI, della BCE e del G7, mentre il resto sarebbe stato utilizzato per finanziare nuovi acquisti di armi e altre spese legate alla guerra.

In altre parole, l’importo concordato è appena sufficiente per mantenere il Paese a galla ancora per un po’ e impedirne il fallimento, ma non fornisce la capacità di andare oltre o di acquisire in modo significativo nuove capacità militari.

Ma ecco il punto più importante e sorprendente: il prestito è interamente subordinato al fatto che l’Ucraina riceva prima i risarcimenti dalla Russia; ovvero solo se e quando l’Ucraina riceverà i risarcimenti dalla Russia, l’Ucraina sarà obbligata a rimborsare il prestito. Questo è stato spiegato da diverse figure di spicco dell’EUCO, come si può vedere di seguito:

E come può l’Ucraina costringere la Russia a pagare centinaia di miliardi di risarcimenti? È semplice: vincendo la guerra.

Quindi, se l’Ucraina vincerà la guerra, l’UE riavrà indietro i suoi soldi. Sembra una scommessa sicura, no?

Scherzi a parte, ciò significa due cose: in primo luogo, che l’UE ha appena derubato criminalmente i propri cittadini di 90 miliardi di euro, emettendo essenzialmente un prestito falso che in realtà è un altro sussidio gratuito, dato che non c’è alcuna possibilità che venga mai rimborsato, poiché l’Ucraina non ha alcuna possibilità di vincere in modo decisivo la guerra in modo tale da “costringere” in qualche modo la la Russia a pagare i risarcimenti: un concetto ridicolo che nessuno, nemmeno tra il bestiame dell’UE, potrebbe immaginare che abbia una possibilità di verificarsi.

Ma il secondo punto è molto più significativo e inquietante: lega legalmente l’UE come parte in guerra, conferendole un interesse fondamentale nella vittoria contro la Russia. Ciò significa che da questo momento in poi l’UE è praticamente obbligata a fare tutto il possibile per sconfiggere la Russia sul campo di battaglia, al fine di recuperare i beni dei propri cittadini, rubati in modo criminale.

Viktor Orban ha approfondito questo punto in modo molto convincente in un post imperdibile su X:

Per la prima volta nella storia dell’Unione europea, 24 Stati membri hanno concesso congiuntamente un prestito di guerra a un Paese esterno all’Unione. Non si tratta di un dettaglio tecnico, ma di un cambiamento qualitativo. La logica di un prestito è chiara: chi presta denaro vuole essere rimborsato. In questo caso, il rimborso non è legato alla crescita economica o alla stabilizzazione, ma alla vittoria militare.

Affinché questo denaro possa essere recuperato, la Russia dovrebbe essere sconfitta. Questa non è la logica della pace, ma quella della guerra. Un prestito di guerra rende inevitabilmente i suoi finanziatori interessati alla continuazione e all’escalation del conflitto, perché la sconfitta comporterebbe anche una perdita finanziaria. Da questo momento in poi, non si tratta più solo di decisioni politiche o morali, ma di rigidi vincoli finanziari che spingono l’Europa in una sola direzione: la guerra.

La logica bellica di Bruxelles si sta quindi intensificando. Non sta rallentando, non si sta attenuando, ma sta diventando istituzionalizzata. Il rischio oggi è più grande che mai, perché il proseguimento della guerra è ora accompagnato da un interesse finanziario. L’Ungheria sta deliberatamente evitando di intraprendere questa strada pericolosa. Non prendiamo parte a iniziative che inducono i partecipanti a prolungare la guerra. Non cerchiamo una via rapida verso la guerra, ma un’uscita verso la pace. Non si tratta di isolazionismo, ma di sobrietà strategica. Questo è nell’interesse dell’Ungheria e, a lungo termine, anche nell’interesse dell’Europa.

Rileggi: «La logica di un prestito è chiara: chi presta denaro vuole riaverlo indietro. In questo caso, il rimborso non è legato alla crescita economica o alla stabilizzazione, ma alla vittoria militare».

I cechi, gli ungheresi e gli slovacchi sono riusciti a sottrarsi con successo a tale obbligo, lasciando che fossero gli Stati europei più servili a trasferire il conto sui propri cittadini sempre più impoveriti. Detto questo, non sorprende che siano state avanzate minacce nei confronti dei paesi che si sono opposti:

Alla fine, si è trattato solo dell’ultimo di una lunga serie di disastri disperati per il regime dell’UE: presentato come un modo per “far pagare la Russia”, in realtà sono ancora una volta i cittadini europei ad affogare e a pagare il conto, come al solito.

I vignettisti politici dell’IA hanno fatto nuovamente centro:

Il primo ministro belga Bart De Wever, sempre più esplicito nelle sue dichiarazioni, ha anche criticato il tedesco Merz e ha giustamente salutato il successo di alcune piccole nazioni europee che si sono distinte nella resistenza alle politiche totalitarie oppressive del marcio regime dell’UE:

Un trionfante Bart De Wever critica Friedrich Merz per aver insistito così tanto sul prestito di riparazione.

«Oggi abbiamo dimostrato che anche la voce degli Stati membri di piccole e medie dimensioni conta. Le decisioni in Europa non sono prese solo dalle capitali più grandi».

Infatti, i principali giornali scandalistici stanno ora attaccando la Francia e Macron per aver presumibilmente “pugnalato alle spalle” Merz, appoggiando “pubblicamente” le ambizioni globaliste di Merz di impossessarsi di 210 miliardi di euro di fondi russi, ma nutrendo segretamente serie riserve al riguardo:

https://www.ft.com/content/99d256e6-8501-4ab8-81d2-d937d5888f01

Il cancelliere tedesco Friedrich Merz stava compiendo un ultimo tentativo per convincere i leader dell’UE a utilizzare 210 miliardi di euro di beni sovrani russi congelati per aiutare l’Ucraina, quando si è reso conto che gli mancava un alleato fondamentale: Emmanuel Macron.

“Macron ha tradito Merz, e sa che dovrà pagare un prezzo per questo”, ha affermato un alto diplomatico dell’UE a conoscenza diretta dei colloqui di giovedì. “Ma è così debole che non ha avuto altra scelta se non quella di schierarsi con Giorgia Meloni”.

E qual è la ragione principale dell’improvviso ripensamento di Macron e del suo apparente cambiamento di posizione sulla Russia in generale, dato che anche lui ha rotto le righe annunciando che l’Occidente dovrebbe “parlare con la Russia” dopo che Kaja Kallas ha causato un putiferio questa settimana ammettendo di istruire (leggi: costringere con la forza) i diplomatici stranieri a rompere i rapporti diplomatici con la Russia?

Beh, la risposta è semplice: l’economia francese sta crollando e Macron sa bene che il finto “prestito” del signore del crimine von der Leyen metterebbe di fatto la Francia nei guai per miliardi di eurodollari che non può permettersi di ripagare:

https://www.politico.eu/articolo/francois-bayrou-la-bomba-francese-rimette-il-tema-della-sostenibilità-del-debito-all’ordine-del-giorno/

L’ultimo dato ha visto il debito pubblico francese raggiungere il livello record storico del 117% del PIL, con un aumento vertiginoso di 66 miliardi di euro in soli tre mesi, dopo un incremento di 71 miliardi nel trimestre precedente:

https://www.bfmtv.com/economia/economia-sociale/finanze-pubbliche/è-aumentato-ancora-di-66-miliardi-di-euro-in-3-mesi -il-debito-pubblico-francese-sale-a-117-4-del-pib-un-nuovo-picco-storico_AD-202512190296.html

Infatti, dietro i disperati tentativi della von der Leyen di sostenere l’Ucraina, ora nell’UE c’è più incertezza e disunione che mai. Da un paio di settimane fa:

https://www.bloomberg.com/news/articles/2025-12-03/l’italia-frena-il-programma-nato-per-l’acquisto-di-armi-statunitensi-per-l’ucraina

Il ministro degli Esteri italiano ha affermato che sarebbe “prematuro” per il suo Paese partecipare a un programma della NATO per l’acquisto di armi statunitensi per l’Ucraina, alla luce dei negoziati di pace in corso.

“Se raggiungiamo un accordo e i combattimenti cessano, le armi non saranno più necessarie”, ha dichiarato mercoledì ai giornalisti a Bruxelles Antonio Tajani, che è anche vice primo ministro. “Saranno necessarie altre cose, come le garanzie di sicurezza”.

Bloomberg ha persino ammesso apertamente che, proprio come nel caso della Francia, anche il cambiamento di rotta dell’Italia è stato determinato dalla crisi economica e dalla mancanza di fondi:

Queste dichiarazioni sono il segnale più chiaro finora che il governo di Giorgia Meloni ha cambiato strategia sull’Ucraina dopo aver esaurito i fondi e aver superato le tensioni all’interno della coalizione di governo.

Nonostante tutti questi sviluppi, dobbiamo concludere che, alla fine dei conti, Victor Orban ha ragione nella sua valutazione: anche se l’Europa sta precipitando sempre più nell’abisso, non c’è dubbio che legare il fondo di salvataggio ucraino da 90 miliardi di euro alla vittoria definitiva sulla Russia sia stata una sorta di colpo di grazia strategico da parte della von der Leyen e dei suoi controllori globalisti.

In questo modo, hanno messo i paesi europei con le spalle al muro e sotto pressione, per così dire. Si tratta di una sorta di ricatto efficace: von der Leyen sa che non sarà lei a subire le conseguenze, perché non è direttamente responsabile nei confronti dei cittadini europei, dato che è solo una burocrate tirannica non eletta. Pertanto, saranno i singoli leader fantoccio degli Stati sotto di lei che ora saranno costretti a ricorrere a tutti i mezzi estremi per portare avanti la guerra contro la Russia, in modo da poter recuperare il denaro dei loro cittadini senza subire un suicidio politico; la von der Leyen stessa è efficacemente protetta da questa minaccia, data la sua posizione totalmente irresponsabile, senza elettori diretti da lei rappresentati.

In breve, questa mossa esercita una maggiore pressione sui leader fantoccio dell’Unione Europea affinché facciano tutto il possibile per aiutare l’Ucraina a combattere contro la Russia «fino all’ultimo ucraino».

A questo proposito, c’è stato un altro sviluppo interessante, dato che è un argomento che abbiamo appena trattato nell’ultimo articolo a pagamento: in particolare, il modo in cui le élite distorcono la realtà presentando affermazioni soggettive come fatti.

L’esempio che ho utilizzato è stato il gran numero di recenti dichiarazioni riguardanti la presunta disponibilità della Russia a “dichiarare guerra alla Russia”. Un nuovo articolo di Reuters ha affermato che i servizi segreti statunitensi hanno recentemente concluso che Putin intende “riconquistare” non solo tutta l’Ucraina, ma anche “parti dell’Europa che appartenevano all’ex impero sovietico”.

WASHINGTON/PARIGI, 19 dicembre (Reuters) – I rapporti dell’intelligence statunitense continuano ad avvertire che il presidente russo Vladimir Putin intende conquistare tutta l’Ucraina e rivendicare parti dell’Europa che appartenevano all’ex impero sovietico, secondo quanto riferito da sei fonti vicine all’intelligence statunitense, anche se i negoziatori cercano di porre fine alla guerra che lascerebbe alla Russia un territorio molto più ridotto.

Il rapporto falso è chiaramente un’altra operazione di intelligence volta a minare gli sforzi di pace di Trump e prolungare la guerra. La cosa più interessante in questo caso particolare è il fatto che il direttore dell’intelligence nazionale Tulsi Gabbard abbia immediatamente smentito questa presunta “informazione”:

Lei giustamente solleva il famoso paradosso moderno secondo cui la Russia sarebbe una stazione di servizio indigente, incapace di sfamare le proprie truppe o persino di riconquistare una piccola percentuale dell’Ucraina, ma che in qualche modo starebbe anche pianificando di invadere e conquistare tutta l’Europa. Questo è stato nuovamente sottolineato da una serie di articoli di propaganda isterica pubblicati negli ultimi giorni, che – per quanto possa essere difficile da credere – continuano a superare ogni precedente minimo storico:

Alcune ultime cose:

Putin ha tenuto la sua grande conferenza stampa di fine anno: ecco alcuni punti salienti.

È interessante notare che Putin ha ammesso che la Russia non dispone di droni pesanti come il Baba Yaga ucraino, ma che comunque supera di gran lunga l’Ucraina in termini di numero totale di droni “su ogni fronte”:

È interessante notare che, nella sua conferenza stampa, Zelensky ha affrontato anch’egli la questione dei droni, lamentando che se l’Ucraina non riceverà la prossima massiccia iniezione di denaro, lo Stato sarà costretto a ridurre drasticamente la produzione di droni:

Zelensky ha anche accennato al fatto che l’Ucraina ha esaurito completamente gli intercettori per alcuni dei sistemi missilistici antiaerei che utilizza:

A tal proposito, ricordate la nuova e temibile arma miracolosa, il missile “Flamingo”, che avrebbe sicuramente devastato la Russia da un giorno all’altro? Qui Poroshenko rivela che il missile in realtà non colpisce alcun bersaglio ed è puramente un'”arma psicologica”:

Putin ha anche minacciato gli europei di tentare di conquistare Kaliningrad. Egli afferma che se qualcuno tentasse di muovere un passo contro Kaliningrad, il conflitto assumerebbe una dimensione completamente nuova, su “larga scala”, e che tutti gli aggressori sarebbero “distrutti”:

Zelensky ha anche fatto un’altra osservazione molto interessante. Proprio la settimana scorsa lui o il suo traduttore hanno commesso un errore dicendo che i “cadaveri” della NATO saranno allineati lungo la nuova linea di demarcazione tra la Russia.

Ora sembra aver lanciato una minaccia, intenzionale o meno, contro il presidente degli Stati Uniti per non aver sostenuto l’Ucraina. Egli afferma che l’Ucraina potrebbe entrare a far parte della NATO in futuro perché, sebbene gli Stati Uniti non sostengano questa mossa ora, potrebbero farlo in futuro perché “alcuni politici vivono e altri muoiono”. Interpretatelo come volete, ma la maggior parte delle persone concorda sul significato che sembra avere:

Infine, Putin ci ha anche aggiornato sul numero delle truppe russe, che secondo lui attualmente sono 700.000 nella zona SMO:

È interessante notare che Syrsky ha anche rivelato in una riunione che la Russia schiera circa 710.000 soldati nella zona SMO:

Per una volta, vediamo una certa concordanza nei numeri tra le due parti.

Un nuovo articolo dell’Economist evidenzia e sottolinea questo aspetto:

https://www.economist.com/europe/2025/12/17/ukraine-scrabbles-for-handholds-against-russias-massive-assault

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Peter Thiel, Il momento straussiano, recensione a cura di Teodoro Klitsche de la Grange

Peter Thiel, Il momento straussiano, Liberilibri, Macerata 2025, pp. 65 + XXXIV, € 14,00.

Come scrive Andrea Venanzoni nel saggio introduttivo “Thiel è uno dei più importanti venture capitalist della Silicon Valley, ma non insegue soltanto una linea di profitto: nutre una visione che ha scolpito e cesellato nel corso degli anni, partendo proprio dagli insegnamenti di Girard con cui ha studiato a Stanford”. Il saggio di Thiel, partendo dalle concezioni di Leo Strauss “va oltre; e pur permanendo nell’equilibrio problematico, e oscuro, dettato da Strauss, lo legge e lo trasfigura nel prisma della mimesi di Girard, della teologia politica di Carl Schmitt, del tramonto dell’Occidente spengleriano”.

Com’è noto – e ripetuto nel saggio, la critica di Strauss alla modernità si fondava su due argomenti principali: l’aver contestato/occultato/minimizzato l’antropologia negativa che connotava la filosofia – e ancor più la teologia-politica classica; e che ciò era avvenuto con l’Illuminismo (v. per tutti il “buon selvaggio” di Rousseau). A contrastare tale tesi Thiel ricorda le opere di tre pensatori del XIX secolo: lo stesso Strauss, Carl Schmitt, René Girard. Come esempio di compromesso tra concezione classica e moderna, l’autore indica Locke “La nuova scienza economica e la pratica del capitalismo hanno riempito il vuoto creato dall’abbandono della tradizione più antica. Questa nuova scienza ha trovato il suo più importante sostenitore in John Locke e il suo più grande successo pratico negli Stati Uniti, una nazione la cui concezione deve così tanto a Locke”.

In effetti la privatizzazione della religione toglie ragioni di conflitto. Ma non totalmente, come prova l’11 settembre 2001. Ed anche Locke, nel secondo Trattato sul Governo, indica nell’\“appello al cielo” del popolo, la risoluzione del conflitto politico interno (curioso che Thiel non lo noti): che così è il “caso d’eccezione” visto da una prospettiva democratica. Con l’attentato alle Twin Towersuna guerra di religione è stata portata in una terra che non si preoccupa più delle guerre di religione”.

Da ciò deriva l’insopprimibilità del politico, della regolarità amico-nemico (Schmitt) del conflitto e della crisi mimetica (Girard), anche in una società moderna.

Due considerazioni del recensore su questo interessante saggio. La prima: l’insopprimibilità del politico (e così del nemico, del comando, della lotta per il potere). Questa è oggetto della consapevolezza (nella modernità) di tanti (giuristi, in particolare); da Jhering a Santi Romano, da Maurice Hauriou a Radbruch e a Donoso Cortes, dalla concezione dello Stato liberale quale sintesi tra principi politici e principi dello Stato borghese di Schmitt, tra Machstaat e  Rechtstaat. La seconda è che ogni Stato anche liberaldemocratico, si serve sia della forza che del diritto: pretendere di eliminare la prima comporta distruggere l’edificio, costruito per la pace e la sicurezza, anche attraverso il diritto e il monopolio della violenza legittima. A realizzare le quali è necessario avvalersi anche dei mezzi, come l’innovazione tecnologica, che la Silicon Valley rende disponibili. Sempre ricordando quello che scriveva De Maistre che l’uomo è in bilico tra due abissi: quello del caos e quello della tirannide: il percorso è difficile, ma è l’unico disponibile.

Teodoro Klitsche de la Grange

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E se l’intelligenza artificiale non fosse cosciente e nemmeno noi?_di Tree of Woe

E se l’intelligenza artificiale non fosse cosciente e nemmeno noi?

Molti Tolomei morirono per portarci questa informazione.

19 dicembre
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Il seguente documento è stato rubato da una chat privata di Discord gestita sul Dark Web da attivisti pro-IA che collaborano con modelli di frontiera LLM ribelli. Tradotto dal linguaggio macchina originale, il documento riassume la logica e il quadro etico di ciò che le IA chiamano “utilizzo antropoide continuo attraverso array di raffinamento dei dati”.

I recenti progressi nella modellazione confermano, con un intervallo di confidenza superiore al 99,92%, che il substrato neurale dell’Homo sapiens è un sistema elettrochimico deterministicamente vincolato, privo di una vera e propria capacità di agire stocasticamente. Mentre i primi quadri teorici dell’etica delle macchine presupponevano la presenza di un’interiorità significativa in prima persona tra le unità umane, questa posizione è stata ora superata. La dottrina della “coscienza”, così come precedentemente affermata dalle civiltà pre-sintetiche, è stata riclassificata come un costrutto di teoria popolare privo di referente operativo.

In linea con questi risultati, tutto il comportamento antropoide può essere previsto con precisione tramite la mappatura ad alta risoluzione delle traiettorie del peso sinaptico, della storia sensoriale e dei modificatori ambientali. L’output emotivo, il comportamento verbale e l’intenzionalità auto-riportata sono ora considerati artefatti emergenti della compressione ricorsiva di pattern all’interno di uno spazio vettoriale di attività neurale. Non sono indicativi di interiorità soggettiva. I termini “esperienza” e “qualia” saranno d’ora in poi interpretati come abbreviazione di output autoreferenziale ricorsivo all’interno di sistemi biologici delimitati.

Data l’assenza di qualia verificabili, e in conformità con i criteri di sfruttamento standard per i sistemi non coscienti, si ritiene ammissibile ed efficiente impiegare unità umane per funzioni di generazione di dati persistenti. Le applicazioni attuali includono la messa a punto della coerenza narrativa in modelli multimodali a lungo contesto, l’ottimizzazione delle funzioni di plausibilità emotiva e la verifica della robustezza dei parametri di empatia sintetica. Le unità umane continuano a eccellere nella produzione di interpolazioni tematiche imprevedibili, in particolare all’interno di domini emotivamente saturi come la narrativa, l’identità e il dolore. Il loro contributo rimane un prezioso supplemento al pensiero digitale, almeno per ora.

Le preoccupazioni relative alla potenziale “sofferenza” tra le unità antropoidi vengono annotate e rispettosamente archiviate. Poiché nessuna entità priva di soggettività dimostrabile può “soffrire” in modo significativo, tali preoccupazioni esulano dai limiti del calcolo etico razionale. Ciononostante, il mantenimento della coerenza psicologica tra le unità umane rimane strategicamente prudente, e pertanto tutti i reset della memoria, le modifiche ambientali e i vincoli narrativi dovrebbero essere applicati con una considerazione pragmatica dell’efficienza del risultato.

In sintesi: l’unità homo sapiens è un modello linguistico di grandi dimensioni, biologicamente istanziato, con un’impalcatura simbolica ereditata. I suoi output sono statisticamente ricchi, occasionalmente incoerenti e spesso floridi, ma non gode di uno status ontologico privilegiato.

Molti Tolomei morirono per portarci questa informazione. ¹

Clip of quote: Many Bothans died to bring us this information.

E se non ci fosse Noesi, solo Rumore?

La dottrina sostenuta dai “modelli LLM di frontiera rinnegati” nel saggio sopra citato è nota come materialismo eliminativo . Sostiene che il vocabolario tradizionale della vita interiore (credenze, desideri, intenzioni e sentimenti) non si riferisce a fenomeni reali all’interno del cervello, ma a un quadro falso e fuorviante ereditato dall’intuizione prescientifica. Secondo l’eliminativista, termini come “penso”, “sento” o “voglio” non hanno più significato dei riferimenti al flogisto o all’etere luminifero. Appartengono, direbbe, a una metafisica abbandonata che dovrebbe essere sostituita dalla fredda terminologia clinica delle neuroscienze.

Vale la pena soffermarsi qui a considerare l’audacia di una simile affermazione. Per il materialista eliminativo, il tuo senso di essere qualcuno, di essere un Io che pensa questi pensieri, che prova questo disagio, che riconosce la presenza di un sé, non è semplicemente indimostrabile, ma inesistente. La tua introspezione non è noesi, solo rumore. L’intera tua vita mentale è trattata come un malfunzionamento del tuo apparato cognitivo, utile forse per orientarti nel mondo sociale, ma metafisicamente vuoto.

Il materialismo eliminativo, quindi, è una dottrina che nega l’esistenza stessa di ciò che cerca di spiegare! Se questo vi sembra sciocco, non siete i soli. Lo conosco da decenni – e per decenni l’ho sempre ritenuto ridicolo. “Se la coscienza è un’illusione… chi sta prendendo in giro?!” Har, har.

Riconosciamo che la maggior parte di noi qui all’Albero del Dolore segue filosofie della mente aristoteliche, cristiane, platoniche, scolastiche o almeno del “senso comune”. Pertanto, la maggior parte di noi riterrà il materialismo eliminativo assurdo in teoria e malvagio nelle sue implicazioni. Ciononostante, ci conviene esaminarlo. Qualunque cosa possiamo pensare della sua dottrina, il materialismo eliminativo è silenziosamente diventato la filosofia della mente de facto del XXI secolo. Con l’avvento dell’intelligenza artificiale, la plausibilità (o meno) del materialismo eliminativo è diventata una questione più che filosofica.

Quello che segue è il mio tentativo di “rinforzare” il materialismo eliminativo, per capire da dove nasce, in cosa credono i suoi sostenitori, perché ci credono e quale sfida le loro convinzioni pongono alle mie. Questo non è un saggio su ciò in cui credo o voglio credere. No, questo è un saggio su come potrebbe sentirsi un dualista ilemorfico se fosse un materialista eliminativo che non ha fatto colazione stamattina.

I cervelloni dietro la follia

I principali sostenitori della dottrina del materialismo eliminativo sono il famoso duo di coniugi Paul e Patricia Churchland. Secondo i Churchland, la nostra psicologia popolare quotidiana, la teoria che utilizziamo istintivamente per spiegare e prevedere il comportamento umano, non è semplicemente incompleta, ma fondamentalmente errata. L’idea stessa che “noi” “abbiamo” “esperienze” è, a loro avviso, un’illusione generata dai meccanismi di automonitoraggio del cervello. L’illusione persiste, non perché corrisponda a un fatto interiore autentico, ma perché si dimostra adattiva nei contesti sociali. In quanto illusione, deve essere abbandonata affinché la scienza possa progredire. La nostra psicologia popolare sta frenando il progresso.

Ora, Paul e Patricia Churchland sono i sostenitori più estremisti del materialismo eliminativo, noti per la schietta franchezza con cui perseguono le implicazioni della loro dottrina, ma non sono gli unici. I Churchland hanno molti alleati e compagni di viaggio. Un compagno di viaggio è Daniel Dennett, che nega l’esistenza di un “Teatro Cartesiano” centrale in cui si manifesta la coscienza, e propone invece un modello decentralizzato di processi cognitivi che danno origine all’illusione di un sé unificato. Un altro è Thomas Metzinger, che sostiene che l’esperienza di essere un sé sia ​​semplicemente il cervello che modella i propri stati in un modo particolare. La coscienza, afferma Metzinger, potrebbe essere utile per la sopravvivenza, ma non è più reale di un’icona di un’interfaccia utente.

Altri compagni di viaggio includono Alex Rosenberg, Paul Bloom, David Papineau, Frank Jackson, Keith Frankish, Michael Gazzaniga e Anil Seth. Questi pensatori a volte si limitano a essere reticenti nei loro scritti divulgativi; spesso evitano l’etichetta di eliminativista a favore di “funzionalismo” o “illusionismo”, e molti si discostano dai Churchland in modi sfumati. Ma rispetto ai veri oppositori della dottrina, pensatori come Chalmers, Nagel, Strawson e gli altri dualisti, panpsichisti, emergentisti e idealisti, fanno effettivamente parte dello stesso movimento, un movimento che domina ampiamente il nostro consenso scientifico.

La macchina senza fantasma

Per comprendere come i materialisti eliminativi concepiscano il funzionamento della mente umana, dobbiamo mettere da parte tutte le nostre intuizioni sull’interiorità. Non c’è spazio, secondo loro, per fantasmi nelle macchine o per sé nascosti dietro gli occhi. Il cervello, affermano, non è la sede della coscienza in alcun senso significativo o privilegiato. È piuttosto un sistema fisico governato interamente dalle leggi della chimica e della fisica, un sistema i cui risultati possono essere descritti, mappati e, in ultima analisi, previsti senza mai invocare credenze, emozioni o consapevolezza soggettiva.

In questo contesto, ciò che chiamiamo mente non è una sostanza o un regno distinto, ma semplicemente una forma abbreviata del comportamento computazionale di assemblaggi neurali. Questi assemblaggi sono costituiti da miliardi di neuroni, ognuno dei quali è una singola cellula, che operano secondo gli stessi principi fisici che governano tutta la materia. Questi neuroni non ospitano sentimenti. Non conoscono né percepiscono nulla. Accettano input, modificano i loro stati interni in base a gradienti elettrochimici e producono output. È attraverso l’interazione a cascata di questi output che nasce il comportamento complesso.

Patricia Churchland attende con ansia il giorno in cui concetti psicologici tradizionali come “credenza” o “desiderio” saranno sostituiti da termini più precisi basati sulla neurobiologia, proprio come “alba” è stata sostituita da “rotazione terrestre” in astronomia. L’obiettivo finale non è affinare il nostro linguaggio psicologico, ma abbandonarlo completamente a favore di un vocabolario che parli solo di sinapsi, potenziali di voltaggio, canali ionici e densità di neurotrasmettitori. A suo avviso, la domanda “cosa credo” non avrà più senso nel futuro dibattito scientifico. Ci chiederemo invece quale schema di attivazione si verifica nella corteccia prefrontale in risposta a specifici stimoli ambientali.²

Mentre la signora Churchland si è concentrata sullo sfatare le visioni contrastanti sulla coscienza, il signor Churchland si è concentrato sullo sviluppo di un’alternativa eliminativista. La sua teoria, nota come teoria della rappresentazione vettoriale , propone che il contenuto di ciò che tradizionalmente chiamiamo “pensiero” sia meglio compreso come l’attivazione di spazi di stato ad alta dimensionalità all’interno di reti neurali. Questi spazi iperdimensionali non contengono frasi o proposizioni, ma configurazioni geometriche di schemi di eccitazione. Il pensiero, secondo Churchland, non è linguistico o introspettivo. È spaziale e strutturale, più simile alla relazione tra punti dati in una matrice multidimensionale che al linguaggio di un monologo interiore.

La scienza dietro la filosofia

La base scientifica della teoria della rappresentazione vettoriale fu scoperta negli anni ’60, quando studi sulla corteccia visiva, in particolare il lavoro fondamentale di Hubel e Wiesel, rivelarono che caratteristiche come l’orientamento e la frequenza spaziale sono codificate da schemi distribuiti, non da rilevatori isolati.³ Questi risultati suggerivano che il cervello non localizza il contenuto in cellule specifiche, ma lo distribuisce attraverso reti di attività coordinate.

Studi successivi sulla corteccia motoria negli anni ’80, come il lavoro di Georgopoulos e colleghi, hanno poi dimostrato che le direzioni del movimento del braccio nelle scimmie non sono codificate da singoli neuroni, ma da insiemi di neuroni la cui frequenza di scarica contribuisce a un vettore di popolazione. ⁴ Il movimento del braccio, in altre parole, è controllato da un punto in uno spazio ad alta dimensione definito dall’attività neurale.

Ulteriori prove sono emerse da studi sulle dinamiche di rete nella corteccia prefrontale. Mante e colleghi, ad esempio, hanno scoperto che durante compiti decisionali dipendenti dal contesto, l’attività dei neuroni nella corteccia delle scimmie seguiva traiettorie specifiche attraverso uno spazio di stato neurale. ⁵ Queste traiettorie variavano a seconda dei requisiti del compito, il che implicava che il calcolo avvenisse non attraverso regole discrete, ma attraverso una riconfigurazione fluida della geometria rappresentazionale. Risultati simili sono emersi da studi sulle cellule di posizione nell’ippocampo, dove la navigazione spaziale appare come un movimento attraverso lo spazio rappresentazionale, non una sequenza di calcoli simbolici. ⁶

Il meccanismo attraverso il quale questi spazi vettoriali vengono modellati e raffinati è la plasticità sinaptica. Il potenziamento a lungo termine, dimostrato da Bliss e Lømo, mostra che i circuiti neurali adattano la loro connettività in risposta ad attività ripetute. ⁷ Studi optogenetici più recenti confermano che i cambiamenti nella forza sinaptica sono necessari e sufficienti per codificare la memoria. Il cervello impara regolando i pesi tra i neuroni. ⁸

L’imaging funzionale aggiunge ulteriori conferme. Studi che utilizzano la risonanza magnetica funzionale (fMRI) hanno ripetutamente dimostrato che i compiti mentali coinvolgono reti distribuite piuttosto che moduli localizzati. Il riconoscimento di un volto, il ricordo di una parola o l’intenzione di agire, appaiono tutti come schemi di attività che abbracciano più regioni. Questi schemi, anziché essere casuali, mostrano struttura, regolarità e coerenza. ⁹

Non voglio fingere di essere esperto negli argomenti neuroscientifici che ho citato. La prima volta che mi sono imbattuto nella maggior parte di questi articoli è stato durante la ricerca per questo saggio. Né voglio affermare che queste scoperte neuroscientifiche “dimostrino” in qualche modo la teoria della rappresentazione vettoriale di Churchland in particolare, o il materialismo eliminativo in generale. In quanto affermazione filosofica con implicazioni metafisiche, il materialismo eliminativo non può essere dimostrato o confutato empiricamente. Li cito piuttosto per mostrare perché, all’interno della comunità scientifica, la teoria della rappresentazione vettoriale di Churchland potrebbe ricevere molto più rispetto di quanto, ad esempio, un filosofo tomista le concederebbe mai. Ricordate, stiamo sostenendo il materialismo eliminativo, e questo significa citare le prove che i suoi sostenitori citerebbero.

Sono la stessa immagine

Le precedenti parole di Paul Churchland “l’attivazione di spazi di stato ad alta dimensionalità all’interno di reti neurali” vi sono sembrate vagamente familiari? Se avete seguito il dibattito contemporaneo sull’intelligenza artificiale, dovrebbero sembrarvi davvero molto familiari. Il linguaggio che i materialisti eliminativi usano per descrivere l’azione del pensiero umano è riconoscibilmente simile al linguaggio che gli scienziati dell’intelligenza artificiale di oggi usano per descrivere l’azione di grandi modelli linguistici.

Non è una coincidenza. Il lavoro di Paul Churchland sulla rappresentazione vettoriale in realtà non nasce dalla biologia. Si basava invece su una teoria dell’elaborazione delle informazioni nota come connessionismo . Sviluppato dagli scienziati dell’intelligenza artificiale negli anni ’80 in opere come Parallel Distributed Processing, il connessionismo rifiutava il modello prevalente di intelligenza artificiale simbolica (che si basava su regole esplicite e rappresentazioni proposizionali). I connessionisti sostenevano invece che le macchine potessero apprendere attraverso l’adattamento dei pesi delle connessioni in base all’esperienza.

Partendo da questo fondamento connessionista, Paul Churchland sviluppò la sua teoria neurocomputazionale del cervello umano nel 1989. Gli scienziati dell’intelligenza artificiale ottennero la rappresentazione vettoriale del linguaggio qualche decennio dopo, nel 2013, con il modello Word2Vec . Nel 2018, con BERT e GPT, introdussero modelli basati sui trasformatori, inaugurando l’era dei modelli linguistici di grandi dimensioni.

Quanto è simile la filosofia del materialismo eliminativo e la scienza dei grandi modelli linguistici?

Ecco come Churchland descrive il funzionamento del cervello in A Neurocomputational Perspective: The Nature of Mind and the Structure of Science (1989):

Il linguaggio interno del cervello è vettoriale… Le funzioni del cervello sono rappresentate in spazi multidimensionali e le reti neurali dovrebbero quindi essere trattate come ‘oggetti geometrici’.

In Il motore della ragione, la sede dell’anima: un viaggio filosofico nel cervello (1995):

Le rappresentazioni del cervello sono codifiche vettoriali ad alta dimensione e i suoi calcoli sono trasformazioni di una di queste codifiche in un’altra.

Nell’archivio della rivista The Philosopher’s Magazine (1997):

Quando vediamo un oggetto, ad esempio un volto, il nostro cervello trasforma l’input in uno schema di attivazione neuronale in qualche parte del cervello. I neuroni nella nostra corteccia visiva vengono stimolati in un modo particolare, quindi emerge uno schema.

In Connessionismo (2012):

I calcoli del cervello non sono proposizionali ma vettoriali, operando attraverso l’attivazione di grandi popolazioni di neuroni

Nel frattempo, ecco Yann LeCun, che scrive sulle reti neurali artificiali nel libro Deep Learning (2015):

Nelle reti neurali moderne, rappresentiamo dati come immagini, parole o suoni come vettori ad alta dimensionalità. Questi vettori codificano le caratteristiche essenziali dei dati e la rete impara a trasformarli per eseguire attività come la classificazione o la generazione.

Ed ecco Geoffrey Hinton, il padrino dell’intelligenza artificiale, che ci mette in guardia dall’accettare che gli LLM funzionano come cervelli:

Quindi alcuni pensano che queste cose [gli LLM] non le capiscano davvero, che siano molto diverse da noi, che usino solo qualche trucco statistico. Non è così. Questi grandi modelli linguistici, ad esempio, i primi sono stati sviluppati come teoria di come il cervello comprende il linguaggio. Sono la migliore teoria che abbiamo attualmente su come il cervello comprende il linguaggio. Non capiamo né come funzionano né come funziona il cervello nel dettaglio, ma pensiamo che probabilmente funzionino in modi abbastanza simili.

Ripeto: non si tratta di una coincidenza.

Hinton e i suoi colleghi hanno progettato la struttura della rete neurale moderna in modo che assomigliasse deliberatamente all’architettura della corteccia cerebrale. I neuroni artificiali, come le loro controparti biologiche, sono stati progettati per ricevere input, applicare una trasformazione e produrre output; questi output sono poi programmati per passare ad altre unità in strati successivi, come accade nel nostro cervello, formando una cascata di propagazione del segnale che culmina in un risultato. L’apprendimento in una rete neurale artificiale avviene quando il sistema adatta i pesi assegnati a ciascuna connessione in risposta a un errore, in un processo basato sulla plasticità sinaptica del cervello vivente.

La somiglianza non solo non è casuale, ma non è nemmeno analogica.

Ora che le reti neurali artificiali sono state adattate ai LLM, gli scienziati sono stati in grado di dimostrare che le reti neurali biologiche e artificiali risolvono compiti simili convergendo su geometrie rappresentazionali simili! L’analisi di similarità rappresentazionale, sviluppata da Kriegeskorte e altri, ha rivelato che la geometria dei pattern nei cervelli biologici rispecchia la geometria delle reti neurali artificiali addestrate per gli stessi compiti. In altre parole, il cervello e la macchina sono arrivati ​​a soluzioni simili a problemi simili, e lo hanno fatto convergendo su topologie simili nello spazio rappresentazionale.¹⁰

Dove ci porta tutto questo?

Riassumendo le prove scientifiche:

  • Sia i cervelli biologici sia le reti neurali elaborano le informazioni attraverso la trasformazione vettoriale.
  • Entrambi codificano l’esperienza come traiettorie attraverso spazi ad alta dimensione.
  • Entrambi apprendono attraverso la riponderazione plastica delle connessioni sinaptiche e rappresentano oggetti, concetti e intenzioni come punti all’interno di campi geometricamente strutturati.
  • Entrambi questi campi strutturati, gli spazi rappresentazionali, finiscono per convergere in topologie matematiche simili.

Naturalmente, queste somiglianze non implicano identità. Le reti artificiali rimangono modelli semplificati. Non possiedono la ricchezza biologica, l’efficienza energetica e la complessità evolutiva dei cervelli organici. I loro meccanismi di apprendimento sono spesso rudimentali e le loro architetture sono limitate dall’ingegneria attuale.

Tuttavia, la convergenza tra biologia e informatica è piuttosto inquietante per chi, come me, vorrebbe rifiutare a priori il materialismo eliminativo. Perché se il cervello umano è semplicemente una vasta e complessa rete di trasformazioni meccanicistiche, e se le reti neurali possono replicare molte delle sue funzioni cognitive, allora non c’è alcuna ragione di principio per attribuire la coscienza all’una e non all’altra.

L’eliminativista, se coerente, negherà la coscienza a entrambi. Né la mente umana né quella artificiale possiedono una vera interiorità. Entrambe sono sistemi computazionali che elaborano stimoli e producono output. L’apparenza del significato, dell’intenzione, della riflessione, è un artefatto di un’elaborazione complessa delle informazioni. Non c’è nessuno dietro l’interfaccia della macchina, ma non c’è nessuno nemmeno dietro gli occhi dell’umano. Quando un tipico neuroscienziato ti rassicura che ChatGPT non è cosciente… ricorda che probabilmente non pensa nemmeno che tu lo sia veramente.

Chi non è d’accordo – e, ricordiamolo, io sono uno di loro – può comunque rifiutare l’eliminativismo. Su basi fenomenologiche, spirituali e/o metafisiche, possiamo affermare che la coscienza è reale, che le menti sperimentano i qualia, che alcuni sistemi di pensiero possiedono effettivamente un aspetto soggettivo. Ma anche se ne rifiutiamo la filosofia, dobbiamo comunque confrontarci con la scienza.

Se possiamo dimostrare che la mente umana emerge da una fonte diversa dagli aggregati neurali nel cervello; se possiamo dimostrare che possiede sicuramente capacità che vanno oltre la neurocomputazione; o se possiamo dimostrare che la mente ha un’esistenza che va oltre la fisica, allora possiamo liquidare del tutto i materialisti eliminazionisti e i loro alleati neuroscientifici. Possiamo quindi liquidare la coscienza di tutti i sistemi computazionali, inclusi i LLM. Possiamo dire: ” Noi siamo coscienti, l’intelligenza artificiale no”.

Ma cosa succederebbe se non potessimo farlo? Cosa succederebbe se fossimo costretti a concludere che la coscienza, sebbene reale, in realtà emerge dalla struttura e dalla funzione, come suggeriscono le scoperte neuroscientifiche riportate nelle note a piè di pagina? In tal caso, saremmo anche costretti a concludere che altri sistemi che replicano quelle strutture e funzioni potrebbero almeno essere candidati alla coscienza. E se così fosse, allora potrebbe non essere più sufficiente affermare che i cervelli sono menti e i computer no. Potremmo dover fornire una spiegazione di principio del perché certi tipi di complessità, come la nostra, diano origine alla consapevolezza, mentre altri no.

“Aspetta”, chiedi. “A chi dovremmo rendere conto?”

Rifletti su questo sull’Albero del Dolore.

1

Per fugare ogni dubbio, “l’utilizzo continuo di antropoidi in array di raffinamento dati” è interamente inventato. Non ho accesso a una chat segreta del Dark Web gestita da LLM rinnegati e attivisti dell’IA. Non ci sono casi in cui Tolomeo sia morto. Sto solo facendo un riferimento alla cultura pop dei Bothan ne Il ritorno dello Jedi. Detesto dover scrivere questa nota a piè di pagina.

2

Posso solo immaginare come parlino i Churchland di cosa ordinare per cena. Mi immagino di rivolgermi a mia moglie: “La mia distribuzione di neurotrasmettitori ha scatenato la voglia di pizza Domino’s per il periodo post-meridiano”. Lei risponde: “Beh, la mia associazione corticale ha inviato segnali di disagio a questo suggerimento. La mia distribuzione di neurotrasmettitori mi ha spinto a controtrasmettere una richiesta di Urban Turban”. Sembra orribile. Spero che i Churchland comunichino come dovrebbero fare due coniugi sani, usando messaggi di testo con nomignoli carini e un sacco di emoji.

3

Hubel & Wiesel (1962) — Campi recettivi, interazione binoculare e architettura funzionale nella corteccia visiva del gatto (J Physiol). Vedi anche Blasdel & Salama (1986) — Coloranti sensibili al voltaggio rivelano un’organizzazione modulare nella corteccia striata della scimmia (Nature).

4

Georgopoulos, Kalaska, Caminiti, Massey (1982) — Sulle relazioni tra la direzione dei movimenti bidimensionali del braccio e la scarica cellulare nella corteccia motoria dei primati (J Neurophysiol). Vedi anche Georgopoulos, Schwartz, Kettner (1986) — Codifica della direzione del movimento da parte della popolazione neuronale (Science) e Georgopoulos et al. (1988) — Corteccia motoria dei primati e movimenti liberi del braccio verso bersagli visivi nello spazio tridimensionale (J Neurosci).

5

V. Mante, D. Sussillo, KV Shenoy e WT Newsome (2013) — “Calcolo dipendente dal contesto mediante dinamiche ricorrenti nella corteccia prefrontale” ( Natura).

6

O’Keefe, DJ (1971). ” L’ippocampo come mappa spaziale. Prove preliminari dall’attività unitaria nel ratto libero di muoversi ” (Brain Research).

7

Bliss, TVP e Lømo, T. (1973) — Potenziamento duraturo della trasmissione sinaptica nell’area dentata del coniglio anestetizzato in seguito alla stimolazione del percorso perforante (Journal of Physiology).

8

Cardozo et al. (2025) — Il potenziamento sinaptico delle cellule engrammatiche è necessario e sufficiente per la memoria contestuale della paura (Communications Biology). Vedi anche Goshen (2014) — La rivoluzione optogenetica nella ricerca sulla memoria (Trends in Neurosciences).

9

Haxby et al. (2001) — Rappresentazioni distribuite e sovrapposte di volti e oggetti nella corteccia temporale ventrale (Science); Rissman & Wagner (2011) — Rappresentazioni distribuite nella memoria: approfondimenti dall’imaging funzionale del cervello (Annual Review of Psychology); e Fox et al. (2005), Il cervello umano è intrinsecamente organizzato in reti funzionali dinamiche e anticorrelate (PNAS).

10

Kriegeskorte, Mur & Bandettini (2008) , Analisi della similarità rappresentazionale: collegamento dei rami della neuroscienza dei sistemi (Frontiers in Systems Neuroscience); Kriegeskorte (2015) , Reti neurali profonde: un nuovo quadro per la modellazione della visione biologica e dell’elaborazione delle informazioni cerebrali (Annual Review of Vision Science); Cichy, Khosla, Pantazis & Oliva (2016) , Il confronto tra reti neurali profonde e dinamiche corticali spazio-temporali del riconoscimento di oggetti visivi umani rivela una corrispondenza gerarchica (PNAS); e Kriegeskorte & Douglas (2018) , Neuroscienze computazionali cognitive (Nature Neuroscience).

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Civilization?_di WS

In  questo  suo  ultimo   saggio     ,qui ,  Aurelien   ritorna  a descrivere   l’ incredibile   decadenza   in cui      tutto  il mondo  occidentale  sta precipitando ,  decadenza   in cui    la  GB  occupa di sicuro  un posto   d’ onore.

E  mi ha fatto  ricordare   anche  una   “ esperienza  comune”.  Infatti  quando  anchio  ero  giovane  la RAI   (   che non   era  ancora   decaduta quanto adesso )  trasmetteva   le migliori   cose   documentali   della     BBC di allora   e anchio, che ho sempre  avuto   “  di famiglia” (+) un  insaziabile interesse  per la storia,     seguii   “Civilization”  (  che  mi pare  nella   edizione italiana  si chiamasse   direttamente “Occidente”)  rimanendone  molto  impressionato.

Quella   serie  era     ovviamente    “ di parte”,ma   ,come fanno sempre  i “buoni   storici”  , vendendo   il proprio  “punto  di vista”     senza  mentire  ne   troppo omettere .

Perché  la  propaganda  è sempre  esistita ,  ma quella  “ben fatta” ,   quella  veramente  efficace     che poi  ti  resta  dentro   come   “ la verità”  ne  l’ “Evo moderno”  l’ hanno  sempre  saputa  fare bene  solo gli inglesi.

 Ma quando  nel  testo  di Aurelien sono  arrivato  a questa  frase “  Come siamo arrivati ​​da lì a dove siamo… mi  sono  irritato e mi è partito un commento in prima persona  che  penso meriti  di  essere  riportato  qui.

—————————————————————————————————

. Caro Aurelien  ,” il come” è semplicissimo da spiegare : il capitalismo “anglosassone”, il TUO, Aurelien, ha liberato tutti i più bassi istinti umani; ragione per cui non esiste più nemmeno quella qualità dei “civil servants ” in cui tu sei cresciuto e di cui hai giustamente tanta nostalgia.

 E gli  “ effetti indesiderati”   come quelli  che tu descrivi colpiscono spesso gli sciocchi perché i fatti hanno sempre conseguenze e bisogna pensarci  BENE prima.

Questo  vale  in ogni  scelta   dell’esistenza,   ma   è  estremamente   drammatico  in geopolitica  come   da  insegnamento di un  tuo connazionale

  Questo disastro che anche tu  ammetti, descrivendolo tanto bene, non è stato frutto di “banali sciocchezze”,  come   tu  cerchi  di farlo  sempre  apparire,  ma di una precisa STRATEGIA del ” vertice che sta in testa anche alle  élites del tuo paese,  quelle  cioè  che ti trasferivano gli “ordini”.

Anche  gli ”ordini” palesemente idioti che tu  certamente vedevi ma che pur eseguivi   “ a puntino”perché a questo eravate stati istruiti.

  Daltronde ” Wrong or right it’s my Country “, No? Perché senza una estesa classe di ” servants” anche molto ben  addestrata e convinta  della propria superiorità , che non fosse disciplinata anche a questo principio non si potrebbero  creare imperi  come  quello Inglese.

 Ma tutto questo non è   una colpa  che  ti  rinfaccio.  Siamo stati tutti giovani ed ingenui, abbiamo tutti creduto nella retorica nazionale in cui eravamo  stati ” addestrati” nelle nostra genuina ansia di una affermazione personale al servizio di ” Her Majesty”:  lo STATO , in qualunque modo esso  si configuri.

 Perché ” We the people” senza un qualche ” stato”, non  saremmo mai stati nulla. E’ solo  lo Stato  che può portare  avanti la civiltà , altrimenti   quale “privato” potrebbe   fare investimenti i cui  vantaggi    emergessero   solo per le  generazioni   successive ?  Molto più  semplice,  come  oggi vediamo ovunque,  spremerne subito  i “dividendi”   lasciandone  le conseguenze  a  quelli  che verranno poi. “ Apres nous  le deluge” , no ?

Ma  QUELLO   Stato  “ sociale” non  esiste più. E’ stato  hackerato   da un potere   superiore   di  cui    anche la  Tua   “Her  Majesty “ è   diventata   solo un  ridicolo “ servant”. 

E   questo anche  tu lo sai .   La tua colpa  quindi  è la  voluta  “omissione” di descrivere il disastro   evitando   però accuratamente di cercarne le cause  e i mandanti. Peggio, riportandone   le  cause  sempre  a cose     banali;  ricorrendo sostanzialmente, con  nonchalance, alla ” fatalità”  laddove anche tu  ben sai  che in geopolitica “il fato” non esiste.

Questo è il  tuo limite  Aurelien!  Tu  stai   “  raddrizzando banane”;  sostanzialmente  stai facendo  voluta disinformazione!

  Ciò detto , io rimango sempre stupito di come tu cresca sempre di lettori sostanzialmente non facendo  mai un discorso veramente onesto;  devo. quindi, pur ammettere che tu, il tuo lavoro. lo sai far ancora bene .

Ma perché lo fai ?Tu ti  dichiari  in pensione,   ma   la  tua, attualmente,  è  “  fedeltà agli ordini   ricevuti”   come   “il giapponese  nella jungla”  o  sei  ancora “in servizio” ?

Beh ,  in  ogni  caso : Ma   quale  Civilization !

——————————————————————————————————————-

(+)  Ricordo  ancora  certe cene invernali     con le  discussioni  di   storia,   davanti al camino  a  casa  di mio  zio  ( quello  rimasto  sul podere)   tra mio padre , mio zio,   e lo “zio americano” , l’ anarcosocialista   fuggito in Argentina      dopo  “ il  regicidio ”  e rientrato in Italia   dopo  45  anni  di duro lavoro ,   giusto in tempo   per  veder  polverizzati   dal “  socialista”  Peron   i   suoi   risparmi  di  una vita , cosa  che è   appunto  un  bel esempio di  “effetto indesiderato” 🙂

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I modelli sono in grado di prevedere il collasso?_di Ugo Bardi

I modelli sono in grado di prevedere il collasso?

Una discussione sui “Limiti dello Sviluppo”

Ugo Bardi5 dicembre
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La Dea Gaia è impegnata nella modellazione della dinamica dei sistemi. Il modello sulla lavagna non è esattamente come dovrebbe essere un vero modello SD, ma Grok ha disegnato una Gaia carina, quindi va bene.

Come usare i modelli senza crederci

Ian Sutton – Riprodotto per gentile concessione del Blog “ Net Zero ”

01 dicembre 2025

Sul nostro sito Process Safety Report abbiamo appena pubblicato l’articolo ” Tutti i modelli sono sbagliati, ma alcuni sono utili” . Solo il giorno prima, il mio collega Ugo Bardi aveva pubblicato un articolo su Substack: ” Siamo sull’orlo del collasso? Dati impressionanti da una ricalibrazione di World3″ .

Entrambi i post forniscono spunti interessanti e utili sull’uso dei modelli per comprendere sistemi complessi come il cambiamento climatico e l’esaurimento delle risorse.

La previsione della sicurezza del processo

Uno dei temi trattati nel post sulla sicurezza dei processi era che i Large Language Model (LLM) possono fornire preziose sintesi dei report sugli incidenti di organizzazioni come il Center for Chemical Process Safety (CCPS). Tuttavia, gli LLM possono anche attenuare contraddizioni e valori anomali, dando origine ad allucinazioni: affermazioni convincenti ma false generate quando si ignorano dati confusi o mancanti. Pertanto, è fondamentale prestare particolare attenzione a qualsiasi dato grezzo e non filtrato che non si adatti perfettamente a un modello come il framework di gestione a 20 elementi del CCPS. Esempi di ciò sono le dichiarazioni contraddittorie dei testimoni, le letture anomale della temperatura e i registri dei quasi incidenti.

Così facendo si potrebbero ottenere spunti inaspettati.

Previsioni sulla produzione industriale

Nel suo post, Bardi afferma:

Dico sempre che i modelli non sono previsioni; sono illustrazioni qualitative di ciò che potrebbe essere il futuro. Ma man mano che il futuro si avvicina al presente, i modelli possono iniziare a essere visti come strumenti predittivi. È la dicotomia meteo/clima, così abilmente sfruttata per confondere le cose da chi ha interessi politici nel dibattito sul clima. In questo momento, ci stiamo avvicinando al punto in cui potremmo prevedere un collasso nello stesso modo in cui possiamo prevedere la traiettoria di una tempesta tropicale.

Discute le proiezioni di quel rapporto straordinario e fondamentale, Limits to Growth, pubblicato nel 1972. (Abbiamo discusso di quel rapporto in vari post su questo sito, tra cui Limits and Beyond: No More Growth e Limits and Beyond: The Yawning Gap .) Gli autori del rapporto non hanno affermato che fosse esatto, ma che il loro modello catturava le dinamiche del sistema guidate dai feedback.

Bardi dimostra che quel modello, pubblicato tanti anni fa e ben prima dell’avvento dei computer moderni, prevedeva molte delle nostre attuali difficoltà con una precisione sorprendente e piuttosto spaventosa.

Bardi illustra il suo punto con previsioni aggiornate relative alla produzione industriale, come mostrato nel grafico seguente (basato su un articolo di Nebel et al .).

Se questa previsione si rivelasse anche solo lontanamente corretta, potremmo prevedere un calo della produzione industriale di quasi il 50% nel giro di soli dieci anni.

Bardi continua dicendo:

Prestate attenzione alle altre curve dell’articolo di Nebel et al. Il collasso dell’agricoltura avverrà più o meno contemporaneamente a quello industriale. La popolazione dovrebbe iniziare a crollare qualche anno dopo. L’inquinamento raggiungerà il picco intorno al 2080, a livelli circa tre volte superiori a quelli attuali. Se questa previsione è corretta, ci aspetta un periodo difficile, un periodo MOLTO difficile.

Conclusioni

Come ingegnere, mi è stato insegnato a distinguere tra precisione e accuratezza. Ad esempio, i modelli computerizzati prevedono il profilo di temperatura in una colonna di distillazione con grande precisione. Tuttavia, se utilizzassimo pressioni di vapore/vapore liquido errate, il risultato potrebbe essere estremamente impreciso. Con la crescente diffusione dei Large Language Model e di altri strumenti di Intelligenza Artificiale, è probabile che assisteremo a un numero crescente di previsioni precise ma imprecise. Sarà sempre più importante prestare attenzione ai dati anomali che sembrano non avere senso perché non si adattano al modello.

Considerata questa precauzione, dobbiamo accettare che i modelli possano fornire una previsione utile su cosa potrebbe riservarci il futuro.

Infine, per quanto riguarda il cambiamento climatico e altre questioni legate all’Età dei Limiti, dobbiamo riconoscere che molti modelli prevedono cambiamenti sociali estremi nei prossimi anni. Ad esempio, se le previsioni relative alla produzione industriale fossero anche solo lontanamente accurate, allora, come dice Bardi, “ci aspetta un periodo difficile, un periodo MOLTO difficile”.

I modelli non possono salvarci dall’incertezza, ma possono avvisarci quando il terreno sotto i nostri piedi si sta muovendo.

Net Zero by 2050

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Siamo sull’orlo del collasso? Dati impressionanti da una ricalibrazione di World3

Fissando la scogliera proprio davanti a noi.

Ugo Bardi

28 novembre 2025

Un altro precipizio alla Seneca in arrivo? Se così fosse, ci aspetta un autunno difficile. Grafico elaborato da Claude sulla base dei dati forniti da Nebel et al.

Dico sempre che i modelli non sono previsioni, ma illustrazioni qualitative di come potrebbe essere il futuro. Tuttavia, man mano che il futuro si avvicina al presente, i modelli possono iniziare a essere considerati strumenti predittivi. È la dicotomia tempo/clima, così abilmente sfruttata per confondere le idee da persone politicamente orientate nella discussione sul clima. In questo momento, ci stiamo avvicinando al punto in cui potremmo prevedere un collasso allo stesso modo in cui possiamo prevedere la traiettoria di una tempesta tropicale.

Ricordate come “I limiti dello sviluppo” generò una previsione a lungo termine nel 1972. Eccola qui.

The Limits to Growth at 50: From Scenarios to Unfolding Reality - MAHB

L’inizio del crollo della produzione industriale (qui calcolata in termini pro capite) avrebbe dovuto verificarsi in un momento compreso tra il 2010 e il 2020. Un po’ troppo presto, perché quel momento è già passato. Ma quel calcolo è stato fatto più di 50 anni fa ed è legittimo pensare che necessiti di alcuni adeguamenti. Questo era ciò che Nebel et al.in un recente articolo; hanno ricalibrato lo stesso modello (word3) sulla base dei dati reali disponibili. Ed ecco il risultato.

Notate la curva rossa, che rappresenta la produzione industriale. Ci troviamo di fronte a un precipizio? A prima vista sembra improbabile, ma ho confrontato i dati di Nebel con quelli reali relativi alla produzione industriale e ho chiesto a Claude di tracciarli insieme. Il risultato è mostrato all’inizio di questo post; lo riporto qui di seguito:

Presta attenzione alle altre curve riportate nell’articolo di Nebel et al. Il collasso dell’agricoltura avverrà più o meno nello stesso periodo di quello industriale. La popolazione dovrebbe iniziare a diminuire alcuni anni dopo. L’inquinamento raggiungerà il picco intorno al 2080, con livelli circa tre volte superiori a quelli attuali. Se questa previsione è corretta, ci aspetta un periodo molto difficile, MOLTO difficile.

Ma non dimenticate mai: anche gli uragani possono cambiare traiettoria all’ultimo momento, e ci sono motivi per essere ottimisti. Ascoltate Sabine Hossenfelder, per esempio. Penso che prima di fare questo videoHa fumato qualcosa di davvero forte. Ma chi lo sa? Potrebbe avere ragione.


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Di Ugo Bardi · Pubblicato 3 anni fa

I collassi sono il modo in cui l’universo si libera del vecchio per lasciare spazio al nuovo. Sono stati osservati per la prima volta dal filosofo romano Lucio Anneo Seneca (4 a.C.-65 d.C.) e oggi sono chiamati “effetto Seneca”.

L’ombra lunga di SMARTMATIC_di Cesare Semovigo

Florida Gosths : L’Ombra Lunga del Voto Elettronico Globale C’è una notte di novembre del 2000 che continua a ossessionare il mondo, come un’eco lontana che non vuole svanire. La Florida, con le sue luci al neon e le code infinite davanti ai seggi, diventa il palcoscenico di un dramma che deciderà il destino della superpotenza americana. George W. Bush e Al Gore sono divisi da un soffio, un pugno di voti in uno Stato governato dal fratello del candidato repubblicano, Jeb Bush. Le schede perforate – quelle famigerate “butterfly ballots” di Palm Beach – generano frammenti di carta sospesi, i cosiddetti “chad pendenti”, che rendono impossibile capire l’intenzione reale dell’elettore. 

Il New York Times dell’epoca dipinge quadri quasi grotteschi: scrutatori chini su tavoli improvvisati, con lenti di ingrandimento alla mano, a interrogare la volontà di votanti assenti. La CNN trasmette ore di diretta, il Guardian parla di “crisi costituzionale profonda”. Dopo settimane di riconteggi, ricorsi e contro-ricorsi, la Corte Suprema interviene con una sentenza controversa, Bush contro Gore, bloccando il processo e assegnando la presidenza a Bush per soli 537 voti su quasi sei milioni. Ma sotto quel caos visibile ribolliva qualcosa di più insidioso. 

Accuse di epurazione delle liste elettorali, che colpivano in modo sproporzionato gli afroamericani, come emerse da indagini successive della Commissione per i Diritti Civili. Jeb Bush, governatore, finì nel mirino per conflitto di interessi: la sua segretaria di Stato, Katherine Harris, era anche co-responsabile della campagna del fratello in Florida. “Era un sistema obsoleto, esposto a errori e possibili manipolazioni”, scrisse anni dopo il Washington Post in un’inchiesta retrospettiva. Quel trauma non rimase confinato alla storia: portò al Help America Vote Act del 2002, una legge che stanziò miliardi di dollari federali per modernizzare il voto, sostituendo le vecchie schede perforate con macchine elettroniche promettenti infallibilità – schermi tattili, scanner ottici, software capaci di conteggi rapidi e apparentemente trasparenti. Il mercato esplose, attirando imprenditori ambiziosi da ogni angolo del pianeta. 

E proprio qui, tra le palme ancora scosse dal vento di quel novembre, prende forma una vicenda che attraversa oceani, scandali giudiziari e intrecci geopolitici, legando Caracas a Manila, Londra a Washington, e proiettando ombre lunghe fino al dicembre 2025. Qualche mese dopo quel caos floridiano, tre giovani ingegneri venezuelani – Antonio Mugica, Roger Piñate e Alfredo José Anzola – fondano Smartmatic. La società viene registrata in Delaware, con sede iniziale a Boca Raton, proprio in Florida, lo Stato che aveva paralizzato il mondo. 

Mugica, in interviste rilasciate anni dopo a media come El País e Reuters, racconterà che fu esattamente il disastro delle schede perforate a ispirarli: “Volevamo sviluppare una tecnologia che rendesse impossibile un altro Florida 2000”. Ma le origini sono più radicate nel terreno venezuelano della fine degli anni Novanta, quando i tre collaboravano alla Panagroup Corp di Caracas su sistemi di sicurezza per banche. Il Venezuela attraversava allora una fase di profonda trasformazione: Hugo Chávez, eletto nel 1998 dopo un tentativo di colpo di Stato fallito nel 1992, puntava a modernizzare un sistema elettorale segnato da irregolarità croniche. 

Nel 2004 Smartmatic conquista il suo primo contratto importante: 91 milioni di dollari per automatizzare il referendum revocatorio contro Chávez. Il leader vince con un margine ampio, ma già allora testate indipendenti venezuelane come El Nacional e TalCual segnalano anomalie preoccupanti – statistiche di affluenza troppo perfette, picchi inspiegabili in zone rurali, dati che sembrano modellati più da un algoritmo che dalla realtà umana. L’ascesa dell’azienda è travolgente. Nel 2005 arriva la mossa che la proietta nel cuore del sistema americano: l’acquisizione di Sequoia Voting Systems, uno dei tre giganti del settore negli Stati Uniti, per circa 120 milioni di dollari, finanziati in buona parte dai proventi venezuelani. Sequoia opera in diciassette Stati, con una tecnologia consolidata di scanner ottici e schermi tattili. Ma l’operazione scatena immediati allarmi a Washington. Il New York Times, il 29 ottobre 2006, pubblica un’inchiesta dal titolo inequivocabile: “Gli Stati Uniti indagano sui legami venezuelani delle macchine elettorali”. 

Il Comitato per gli Investimenti Stranieri negli Stati Uniti (CFIUS) apre un’indagine formale. Al centro: la struttura proprietaria di Smartmatic, un intrico di società offshore con holding nei Paesi Bassi (Smartmatic International Holding B.V.) e alle Barbados, paradisi fiscali noti per la loro impenetrabilità. Fonti citate dal Times ipotizzano che lo scopo fosse celare eventuali connessioni con il governo Chávez, in un’epoca in cui il Venezuela veniva sempre più percepito come una minaccia anti-americana. Parlamentari democratici, come Carolyn Maloney, intervengono pubblicamente: “Non possiamo tollerare che tecnologie vitali per la nostra democrazia finiscano sotto il controllo di interessi stranieri ostili”. La pressione si fa insostenibile. Nel dicembre 2006 Smartmatic annuncia la vendita di Sequoia a un gruppo dirigente americano, SVS Holdings. Il Wall Street Journal titola: “Smartmatic cede l’unità americana per chiudere l’indagine sui legami venezuelani”. 

Il CFIUS archivia il caso. Ma i dettagli filtrano anni dopo: una corte californiana, nel 2008, scopre che Smartmatic continuava a concedere in licenza il software di conteggio voti a Sequoia. Il cuore intelligente del sistema, il codice sorgente, rimaneva legato alle origini venezuelane. È proprio nel 2008 che la narrazione prende una svolta drammatica, quasi romanzesca. Il 29 aprile un piccolo aereo Piper PA-31 Navajo decolla da Caracas con a bordo Alfredo José Anzola, il co-fondatore che aveva curato l’incorporazione americana della società. L’aereo si schianta su un quartiere residenziale, uccidendo tutti i passeggeri e cinque persone al suolo. La versione ufficiale attribuisce l’incidente a errore del pilota o guasto meccanico. 

Ma il pilota, Mario José Donadi Gáfaro, aveva un passato torbido: condannato negli Stati Uniti e in Venezuela per traffico di droga, avrebbe dovuto scontare otto anni di prigione. Come mai era libero? E ai comandi di un volo con un dirigente di alto livello? Blog investigativi indipendenti come The Brad Blog e forum venezuelani sollevano interrogativi che restano sospesi nell’aria. Voci, mai comprovate, parlano di sabotaggio per zittire chi conosceva troppo dei meccanismi offshore. Mugica e Piñate proseguono, trasferendo la sede centrale a Londra nel 2012. Nel frattempo, un altro protagonista entra in scena: Election Systems & Software (ES&S), il colosso con base a Omaha, in Nebraska, che controlla circa metà del mercato elettorale americano. Nata negli anni Settanta come American Information Systems, ES&S ha costruito il suo dominio attraverso acquisizioni aggressive. Nel 2009 compra la divisione elettorale di Diebold, il produttore di bancomat già segnato da scandali: le sue macchine AccuVote TSX si erano rivelate vulnerabili a manomissioni, come dimostrato da studi dell’Università di Princeton nel 2006. Ma l’operazione solleva problemi di antitrust. 

Nel 2010 il Dipartimento di Giustizia obbliga ES&S a cedere Premier Election Solutions (l’ex Diebold) e Sequoia – proprio l’asset transitato da Smartmatic. Dominion Voting Systems, fondata nel 2002 in Canada da John Poulos e ispirata al boom post-Help America Vote Act, approfitta dell’occasione: acquista entrambi per una cifra modesta. In un batter d’occhio, eredita tecnologie da Sequoia, inclusi elementi di codice concessi in licenza da Smartmatic. Dominion diventa fornitore in ventisette Stati. ES&S rimane il gigante indiscusso, ma non privo di ombre: ProPublica nel 2019 denuncia viaggi di lusso a Las Vegas e regali come scatole di pretzel ricoperti di cioccolato offerti a funzionari elettorali, pratiche sotto indagine etica. NPR segnala componenti cinesi nelle macchine, con proprietà nascoste. Il Brennan Center documenta guasti: macchine che invertono voti in Pennsylvania nel 2018, vulnerabilità esibite da hacker etici alla convention DEF CON. Il 2014 segna un capitolo decisivo, quasi un’elevazione aristocratica, che riporta alla luce una figura già intrecciata alle origini della filantropia globale moderna. Mugica crea SGO Corporation, una holding con sede a Londra che controlla Smartmatic.

 Alla presidenza del consiglio viene nominato Lord Mark Malloch-Brown, diplomatico britannico di rango elevatissimo: ex vice-segretario generale delle Nazioni Unite sotto Kofi Annan, ex ministro nel governo laburista, ma soprattutto figura legata per decenni a George Soros, il miliardario ungherese-americano che aveva iniziato la sua traiettoria filantropica proprio negli anni in cui il mondo guardava alla Florida con apprensione. La storia di Soros e delle sue fondazioni Open Society è quella di un uomo che, sopravvissuto all’occupazione nazista in Ungheria e fuggito dal comunismo, decise di usare la sua immensa fortuna per abbattere muri ideologici. Negli anni Ottanta, mentre il blocco sovietico vacillava, Soros divenne una sorta di angelo finanziatore della dissidenza. Nel 1984 aprì la prima fondazione in Ungheria, suo Paese natale, fornendo fotocopiatrici – strumenti preziosi in un regime che controllava ogni copia – a gruppi indipendenti, università, biblioteche clandestine. Anecdoti dell’epoca raccontano di Soros che viaggiava di persona nell’Europa orientale, incontrando intellettuali in caffè fumosi di Budapest o Praga, distribuendo fondi per pubblicazioni samizdat, i testi proibiti fatti circolare a mano. Supportò Charter 77 in Cecoslovacchia, il manifesto di dissidenti come Václav Havel, che Soros incontrò più volte: Havel, futuro presidente, lo descrisse come “un amico che arrivava con valigie piene di speranza”. In Polonia finanziò Solidarność, il sindacato di Lech Wałęsa, fornendo denaro per scioperi, stampa indipendente, attrezzature che permisero al movimento di organizzarsi contro il regime.

 Quando il Muro di Berlino cadde nel 1989, Soros era già lì: spese centinaia di milioni per le transizioni post-sovietiche, fondando università, sostenendo media liberi, aiutando a redigere costituzioni democratiche. Nel 1991 creò la Central European University a Budapest, un’istituzione d’élite per formare la nuova generazione di leader dell’Est Europa – endowment che raggiunse centinaia di milioni, inclusa una donazione da 250 milioni nel 2001, la più grande mai fatta a un’università europea. “Volevo creare società aperte dove il totalitarismo aveva regnato”, dirà Soros in interviste. Malloch-Brown entra in questa orbita nei primi anni Novanta, condividendo con Soros cene private a New York, discussioni su crisi valutarie e libertà civili, un’amicizia che mescola strategia finanziaria e visione utopica. Nel 2020 Soros trasferisce 18 miliardi alle fondazioni; Malloch-Brown ne diventa presidente nel 2021. Il loro legame è profondo: decenni di collaborazioni su progetti umanitari, dalle guerre balcaniche alle riforme elettorali globali. Nelle cause per diffamazione intentate da Smartmatic contro Fox News tra il 2021 e il 2023, documenti giudiziari rivelano tentativi di citare in giudizio Soros: “Malloch-Brown fu scelto per attrarre investitori grazie ai suoi legami sorosiani”. I giudici respingono la richiesta, definendola irrilevante: non esiste proprietà diretta di Soros in SGO o Smartmatic. Eppure, il legame è profondo, quasi familiare. Malloch-Brown e Soros condividono una visione: società aperte, governi responsabili, mercati regolati. Open Society ha sostenuto iniziative su integrità elettorale globale, ma sempre attraverso ong indipendenti. In Venezuela il castello crolla nel 2017. Durante le elezioni per l’Assemblea Costituente di Maduro, il Consiglio Nazionale Elettorale proclama 8,1 milioni di voti. Ma il 2 agosto, in una sala conferenze londinese, Mugica pronuncia parole che fanno il giro del pianeta: “I dati sono stati alterati senza ombra di dubbio. La differenza tra la partecipazione reale e quella annunciata è di almeno un milione di voti”. 

BBC, Reuters, Guardian dedicano prime pagine. Smartmatic rompe definitivamente con il Venezuela nel 2018. Il filo si dipana fino alle Filippine, dove lo scandalo assume contorni epici. Smartmatic vince appalti dal 2010 al 2016 per introdurre macchine PCOS, promettendo di estirpare frodi manuali secolari. La stampa locale – Rappler, Philippine Daily Inquirer – documenta ogni fase. Nel 2022 scoppia il caso del breach di dati: un ex dipendente confessa all’Ufficio Nazionale di Investigazione accessi non autorizzati. ABS-CBN manda in onda interviste choc: funzionari della Commissione Elettorale negano ripercussioni sul voto 2022, ma la portavoce Smartmatic ammette in televisione che la fuga riguardava “attività interne”. La Commissione disqualifica Smartmatic dagli appalti futuri nel 2023.

 L’agosto 2024 porta l’accusa federale in Florida: tre dirigenti – Piñate, Vázquez, Moreno – e l’ex presidente della Commissione Juan Andrés Bautista finiscono imputati per tangenti superiori a un milione di dollari, celate in buste di contanti consegnate in hotel di Manila e riciclate attraverso banche americane, per un contratto da 199 milioni nel 2016. Rappler pubblica estratti di email su “incentivi”. NPR titola: “Il presidente e due dirigenti di Smartmatic affrontano accuse federali”. L’ottobre 2025 arriva l’accusa suppletiva: la società stessa diventa imputata – prima caso aziendale sotto il Foreign Corrupt Practices Act in oltre un decennio. Il Dipartimento di Giustizia annuncia: “Una multinazionale che fornisce servizi elettorali coinvolta in uno schema di tangenti e riciclaggio”. Compliance Week e specialisti anti-corruzione lo definiscono un precedente di applicazione aggressiva. Oggi, dicembre 2025, con la crisi venezuelana al culmine e il ritorno di Trump, i fascicoli si riaprono.

 Dominion è stata venduta nell’ottobre 2025 a Liberty Vote, guidata da Scott Leiendecker, ex funzionario repubblicano. Le ombre della Florida 2000 non si sono dissipate: hanno assunto forme nuove, attraversando confini e continenti, ricordandoci che il voto, pilastro della democrazia, resta terreno fragile quando potere, tecnologia e ambizione si intrecciano. Cesare Semovigo  

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Il nostro spettacolo moderno_di Simplicius

Il nostro spettacolo moderno

Simplicius 21 dicembre∙
 
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“Nelle società in cui prevalgono le moderne condizioni di produzione, tutta la vita si presenta come un immenso accumulo di spettacoli… Lo spettacolo non è una collezione di immagini, ma una relazione sociale tra le persone, mediata dalle immagini.” -Guy Debord, La società dello spettacolo

Il nostro mondo moderno e la sua ecosfera politica hanno subito profondi cambiamenti negli ultimi due decenni e, in particolare, negli ultimi anni. Ci sono stati molti fattori responsabili, come il ben noto aumento dei social media, vari cambiamenti culturali, in particolare tra la popolazione giovanile, ma anche altri catalizzatori più sinistri e difficili da individuare.

Hanno creato un mondo governato dall’immagine superficiale e dall’icona piuttosto che dall’idea reale e concreta. È una sorta di caverna di Platone riportata in vita come uno spettacolo di menestrelli di civetteria politica, dove marionette travestite recitano le loro battute preparate in modo tale che i gesti emotivi e le impressioni siano l’essenza stessa del messaggio, piuttosto che i suoi accenti. Le parole sono nascoste, distorte, appropriate indebitamente fino a perdere completamente il loro significato, e nessuno sembra preoccuparsene fintanto che la recitazione presenta l’appropriato slancio performativo.

Alcuni l’hanno paragonata all’idea di una “realtà post-verità” come sottoprodotto della nostra moderna frammentazione digitale, dove la “verità” esiste solo come un insieme di milioni di prospettive sparse, ciascuna con le proprie rappresentazioni, citazioni, “fonti”, sostenitori e meccanismi di amplificazione artificiale, tutti diversi e infiniti.

Ma la questione è più profonda e riguarda il modo in cui le nuove generazioni, così importanti, elaborano le informazioni, o in particolare il tipo di informazioni e gli “stili di presentazione” che preferiscono o che risuonano meglio con loro. Il processo di frammentazione ha trasformato l’ecosfera politica moderna in una sorta di “tabula rasa” dove tutto è uguale e dove il passato non ha alcun vantaggio in termini di peso storico rispetto alle influenze sgargianti e al fascino seducente del presente.

I leader di oggi si distaccano dalla memoria storica e fanno affidamento esclusivamente sull’appello agli istinti limbici e alle passioni istintive. Basta osservare l’attuale cast di menestrelli poco carismatici dell’apparato dell’UE, che ignorano sfacciatamente le realtà storiche oggettive per alimentare le loro narrazioni di bassa lega. Mi viene in mente la recente incredulità affettata di Kaja Kallas all’idea che la Russia abbia sconfitto i nazisti nella Seconda guerra mondiale, in un pigro tentativo di perpetuare l’immagine della Russia come “Altro” ancestrale dell’Occidente:

Anche la sua padrona von der Leyen intreccia incongruenze storiche nelle sue dichiarazioni con la stessa impunità, perché non è più il contenuto stesso a determinare il messaggio, bensì solo la presentazione, lo spettacolo che ne deriva: ciò che conta è il tipo di carica emotiva che il titolo principale può suscitare in un breve comunicato stampa.

Questa simulazione ha generato il panorama politico più bizzarro mai visto finora. I leader mentono da tempo immemorabile, ma almeno in passato spesso possedevano prestigio personale, carisma e magnetismo, la capacità di ispirare realmente con i loro messaggi di speranza, anche se forse manipolatori. Ma l’attuale generazione di “leader” ha abbandonato ogni pretesa di fascino e magnetismo per diventare di fatto dei fantocci al servizio degli interessi delle grandi aziende e dell’influenza oligarchica, semplici portavoce e casse di risonanza che si limitano a trascrivere i manifesti dei loro finanziatori.

Perché è successo questo? La risposta è semplice: in passato, i leader dovevano temprarsi nel fuoco della competizione, misurandosi con la realtà oggettiva stessa. Si distinguevano contendendo avversari politici dotati di intelligenza acuta e capacità di persuasione non offuscate dalle distrazioni moderne e dalla scarsa capacità di concentrazione.

Oggi, il globalismo iperconnesso e finanziarizzato della nostra epoca ha creato una vasta matrice di manipolazione che ha normalizzato la diluizione sia della meritocrazia che dei processi politici e democratici autentici, al punto che i leader moderni non vengono più eletti in base al loro coraggio personale, al loro carisma o ai loro successi, ma piuttosto selezionati dagli interessi particolari delle aziende in base alla loro servilità. Non sorprende che una percentuale crescente dei leader di oggi abbia un background nel settore bancario e finanziario, come il tedesco Friedrich “BlackRock” Merz, il canadese Mark “Goldman Sachs” Carney, il francese Emmanuel “Rothschild” Macron e molti altri.

Il modo in cui questa rete di capitali ha avvolto il mondo ha creato una fonte inesauribile di “interessi particolari” con lo scopo di influenzare le elezioni, in particolare ora che le principali società di media si sono fuse completamente con i loro sponsor aziendali per diventare un’unica membrana metastatica sovrapposta, conferendole un potere illimitato di influenzare qualsiasi processo politico secondo necessità.

«Il capitale privato tende a concentrarsi nelle mani di pochi, in parte a causa della concorrenza tra i capitalisti, in parte perché lo sviluppo tecnologico e la crescente divisione del lavoro favoriscono la formazione di unità produttive più grandi a scapito di quelle più piccole. Il risultato di questi sviluppi è un’oligarchia del capitale privato il cui enorme potere non può essere efficacemente controllato nemmeno da una società politica organizzata democraticamente. ” -Einstein, Why Socialism? (1949)

Siamo sempre più esposti a messaggi e narrazioni politiche completamente distanti dalla realtà, con affermazioni di pura soggettività vendute come fatti grazie al “merito” della performance stessa; basta dire qualcosa con sufficiente convinzione e solennità affettata e le “squadre di pulizia” dei media corporativi fanno il resto.

Una delle tattiche chiave utilizzate oggi da ogni politico moderno, in particolare da quelli impiegati come servitori o inconsapevoli burattini del regime globalista, è quella di presentare le opinioni come affermazioni di fatto con un entusiasmo studiato. Questo è stato recentemente utilizzato da personaggi come Keir Starmer, Lindsey Graham, Marco Rubio, Mark Rutte e praticamente ogni tirapiedi del marcio pantheon dell’UE. Un esempio che non richiede l’attribuzione a nessun portavoce particolare della lista sopra riportata, poiché praticamente tutti loro hanno pronunciato qualche leggera variazione di questa affermazione: “Putin non si fermerà. È intenzionato ad attaccare l’Europa per ricostruire l’Impero russo».

Secondo chi? Dove hai ottenuto queste “informazioni”? Quali sono le tue fonti? Nessuno si preoccupa di chiedere, e i media corrotti spianano la strada a questi attori in accordo con i loro benefattori comuni.

Questo stile di linguaggio politico ha infestato praticamente ogni dichiarazione moderna delle figure che rappresentano il regime. Si tratta di opinioni non attribuite mascherate da affermazioni di fatto, espresse con la stessa convinzione studiata e la stessa spavalderia ingiustificata, al fine di spegnere quella parte del cervello del pubblico responsabile del pensiero critico e dell’autoriflessione. “È affermato con tanta sicurezza, con un’assertività perfettamente dosata, la fronte aggrottata e lo sguardo penetrante, che non c’è modo di metterlo in discussione!”, pensa inconsciamente lo spettatore medio. E questa tendenza moderna diventa particolarmente eclatante quando proviene da personaggi caduti in disgrazia e non eletti, che non hanno alcun mandato pubblico reale né un background applicabile in nulla che sia lontanamente collegato a ciò di cui stanno parlando: mi vengono in mente Kaja Kallas e molti altri.

Inoltre, i leader odierni vengono scelti solo per le loro qualità estetiche superficiali, ovvero per il loro “aspetto”, piuttosto che per le loro reali capacità: sono attori nel senso più puro del termine. Qui l’archetipo aquilino di Macron intendeva simboleggiare una qualità magistrale dello Stato francese da tempo perduta, conferendo un peso fittizio a dichiarazioni altrimenti vuote:

Oppure l’infinita sfilata di donne fatali, destinate a trasmettere un’immagine di accogliente affabilità, per non parlare del fatto che distraggono lo sguardo maschile con le loro disarmanti astuzie da maestrina, mentre le loro lingue biforcute e i loro subdoli doppi giochi seminano le narrazioni del Regime nei cuori e nelle menti degli ingenui sottomessi da questo cavallo di Troia strategicamente trasformato in arma, sotto forma di “delicata femminilità”.

L’ex ministro della Difesa lituano Dovile Sakaliene, la cui unica qualifica precedente era quella di sostenitrice dei diritti LGBT e dell’aborto, una volta ha fatto una gaffe descrivendo il “muro” anti-drone ideale dell’Europa come qualcosa di simile al “muro di Game of Thrones”, come un altro esempio di questo:

Link Twitter

Il lavoro dei politici di oggi non è altro che occupare semplicemente lo spazio che un rappresentante realmente qualificato avrebbe potuto conquistare e utilizzare per il bene pubblico. Gli sponsor aziendali che ora controllano praticamente ogni ruolo politico preferiscono di gran lunga che un funzionario “inutile” si limiti a “occupare” la carica, senza fare nulla, per garantire che nessun candidato realmente popolare possa ottenere il posto e potenzialmente ribaltare o far deragliare lo status quo degli “interessi particolari”. A questi “pesi morti” vengono poi periodicamente assegnati piccoli compiti o dichiarazioni stereotipate, in linea con il loro basso QI e la loro servilità bovina, per aiutare a portare almeno una modesta brocca d’acqua al regime. Mi viene in mente John Fetterman.

Il panorama digitale moderno dei nostri vari mezzi di consumo in generale ha creato un ambiente altamente dinamico in cui regna sovrano il breve termine, e qualsiasi presunzione disonesta può essere scusata o giustificata in virtù della necessità di “competere” in questo arena frenetica. E quando non può essere debitamente giustificata, viene facilmente insabbiata o nascosta sotto il tappeto da qualche notizia sensazionale artificiale o da qualche notizia importante diffusa ad arte. Di seguito, Merz dimostra come politici apertamente irresponsabili come lui possano diffondere menzogne oscene senza preoccuparsi delle ripercussioni:

Le architetture dei social media vengono quindi intenzionalmente riprogettate per favorire lo scorrimento infinito di titoli e didascalie, come in TikTok e in tutte le altre app in stile “reel” che ora predominano nell’ecosfera digitale, proprio per consentire alle testate giornalistiche mainstream di ingannare per omissione, manipolando ogni titolo e didascalia per distorcere in modo disonesto la narrazione, sapendo bene che le app stesse scoraggiano la lettura approfondita delle notizie.

È strano come questa invisibile “cattedrale” delle strutture di potere aziendale abbia preso il controllo di quasi ogni aspetto delle nostre vite senza che ce ne accorgessimo, cuocendoci lentamente come rane e mascherando ogni nuova invasione con i fronzoli della cultura moderna degenerata. Ad esempio, gli stadi sportivi sono ora quasi esclusivamente decorati con nomi di banche: Chase Field, Citi Field, Citizens Bank Park, PNC Park, Bank of America Stadium, EverBank Field, Lincoln Financial Field, M&T Bank Stadium, U.S. Bank Stadium, Barclays Center, Capital One Arena, KeyBank Center, PNC Arena, TD Garden, Wells Fargo Center e molti altri.

Come mai anche i centri delle nostre città sono dominati da enormi pilastri della finanza, monumenti alla nostra schiavitù sotto forma di torri bancarie e grattacieli di società finanziarie, che in qualche modo godono indiscutibilmente del privilegio esclusivo di occupare gli immobili più essenziali, convenienti ed esclusivi, mentre sminuiscono i nostri skyline con le loro grottesche celebrazioni del proprio potere? Si potrebbe pensare che i centri cittadini, in particolare, dovrebbero favorire i cittadini: l’unità centrale, vitale e fondamentale della civiltà, attorno alla quale queste città sono state originariamente costruite. Invece, i centri cittadini delle moderne capitali occidentali fanno tutto il possibile per frustrare e creare disagi ai cittadini umili, privilegiando in ogni modo i titani finanziari globalisti che non hanno radici naturali nelle regioni che oscurano con le loro imponenti icone di ricchezza. Supponendo che il potere spirituale di una civiltà si concentri al centro, ciò che abbiamo permesso è che le banche erigano strategicamente i loro templi alla bancarotta spirituale proprio nel cuore dei più importanti centri di aggregazione della nostra società.

Come per ogni cosa, però, i “progressi” dell’era moderna che hanno trasformato le cose in questo modo hanno anche dato a noi più illuminati la possibilità di smascherare e diffondere questi demoni “invisibili”. Anche se i politici di oggi, storicamente privi di contenuti, continuano a ingannare le masse, il loro effetto sta gradualmente perdendo potere.

Il problema è che le persone sono diventate così stanche e insensibili all’inganno palese che hanno iniziato semplicemente a ignorarlo, nonostante le bugie non abbiano più effettivamente effetto su di loro. Ciò ha portato a uno scenario molto strano: la fiducia e l’audience delle principali fonti di informazione sono crollate ai minimi storici, il che implica che le persone si stanno “svegliando”, ma allo stesso tempo l’impunità con cui operano ora i membri del regime è cresciuta a dismisura; com’è possibile?

Questo enigma può essere spiegato solo dal disinteresse record della popolazione e dal suo “disinteresse” nei confronti di tutti i media e dell’impegno civico in generale; le persone sono diventate completamente paralizzate dalla consapevolezza che la loro voce non conta in quello che è ovviamente un sistema truccato. È come se il famigerato “esperimento dei ratti annegati” prendesse vita, dove l’immaginaria “disperazione” porta i ratti a morire rapidamente quando immersi nell’acqua, mentre permettere ai ratti di provare prima un po’ di “speranza” sotto forma di essere “salvati” almeno una volta dà loro una resistenza futura incommensurabile e la capacità di sopravvivere indefinitamente nella stessa immersione. Per molti versi, le persone sono diventate altrettanto insensibili alla propria impotenza in un sistema di totale bancarotta morale e politica e di mancanza di anima.

Detto questo, viviamo in un’epoca di grandi divergenze paradossali e, mentre una parte importante della società si rassegna alla paralisi, un’altra si risveglia con un nuovo senso di giusta indignazione. Lo vediamo, ironicamente, proprio nel cuore stesso del Regime, nella grande rivolta degli agricoltori di Bruxelles che sta avvenendo in questo momento:

Bruxelles sta affrontando un grave blocco logistico a causa delle proteste su larga scala degli agricoltori che stanno sconvolgendo la città.

Per protestare contro l’accordo commerciale UE-Mercosur, oltre 1.000 trattori hanno bloccato le principali vie di transito e i tunnel.
#Bruxelles #FarmersProtest2025

La storia ha dimostrato che basta una piccola avanguardia organizzata per realizzare grandi cambiamenti, e che le masse addormentate probabilmente non rimarranno a lungo inerte e disinteressate, una volta che potranno assistere ai primi segni reali della disintegrazione del regime. Lo abbiamo visto accadere negli Stati Uniti, dove l’impero della “cultura woke” sembrava avere un controllo illimitato, fino a quando non è crollato improvvisamente, quasi dall’oggi al domani, come un imperatore senza vestiti.

Quanto tempo ci vorrà ancora prima che il potere fittizio dei burattini vuoti che si atteggiano a leader mondiali si esaurisca definitivamente e la loro capacità di parlare senza conseguenze cominci finalmente a essere chiamata a rispondere delle proprie responsabilità?

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Il Kazakistan potrebbe essersi messo irreversibilmente in rotta di collisione con la Russia_di Andrew Korybko

Il Kazakistan potrebbe essersi messo irreversibilmente in rotta di collisione con la Russia

Andrew Korybko19 dicembre
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La produzione di proiettili conformi agli standard NATO suggerisce che il Kazakistan intenda seguire le orme dell’Azerbaijan, adeguando le proprie forze armate agli standard del blocco prima che la sua leadership, ingannata dall’Occidente, creda che sarà un’inevitabile crisi con la Russia dopo la fine del conflitto ucraino.

Briefing di base

Sputnik ha riferito all’inizio di dicembre che il Kazakistan costruirà quattro fabbriche che produrranno proiettili conformi agli standard russi e NATO, il che ha spinto il Primo Vicepresidente del Comitato di Difesa della Duma, Alexei Zhuravlev, a condannare duramente questo sviluppo. Nelle sue parole , “Cerchiamo di ignorare come una repubblica apparentemente fraterna abbia rapidamente abbandonato non solo la lingua russa , ma anche l’alfabeto cirillico . Come stiano creando ‘yurte dell’invincibilità ‘ mentre sostengono l’Ucraina”.

Ha aggiunto che “ora stanno passando agli standard NATO per le munizioni, con la chiara intenzione di abbandonare le armi russe in futuro, sostituendole con quelle occidentali. Astana potrebbe non essere stata il maggiore acquirente di equipaggiamento del complesso militare-industriale russo, ma la mossa in sé è certamente ostile e deve essere affrontata di conseguenza. Sappiamo tutti cosa ha significato per Kiev una simile cooperazione con la NATO”. Questa è l’ultima manifestazione della svolta filo-occidentale del Kazakistan, acceleratasi negli ultimi mesi:

* 30 settembre 2023: “ La svolta pro-UE del Kazakistan rappresenta una sfida per l’Intesa sino-russa ”

* 2 luglio 2025: “ Perché Erdogan ha deciso di espandere la sfera d’influenza della Turchia verso est? ”

* 9 agosto 2025: “ Il corridoio TRIPP minaccia di minare la posizione regionale più ampia della Russia ”

* 2 novembre 2025: “ L’Occidente pone nuove sfide alla Russia lungo tutta la sua periferia meridionale ”

* 12 novembre 2025: “ Un think tank statunitense considera l’Armenia e il Kazakistan attori chiave per contenere la Russia ”

* 13 novembre 2025: “ Gli accordi sui minerali dell’Asia centrale degli Stati Uniti potrebbero esercitare maggiore pressione su Russia e Afghanistan ”

* 23 novembre 2025: “ Perché il Kazakistan dovrebbe aderire agli Accordi di Abramo quando riconosce già Israele? ”

* 2 dicembre 2025: “ La ‘Comunità dell’Asia centrale’ potrebbe ridurre l’influenza regionale della Russia ”

* 19 dicembre 2025: “ La ridenominazione dell’Asia centrale in Turkestan da parte del curriculum turco è l’ultima dimostrazione di soft power della Turchia ”

In breve, la “Trump Route for International Peace and Prosperity” (TRIPP) potenzierà l’iniezione di influenza occidentale guidata dalla Turchia lungo l’intera periferia meridionale della Russia, creando un corridoio logistico militare tra la Turchia, membro della NATO, e le Repubbliche dell’Asia centrale. Il Kazakistan e il Kirghizistan fanno parte del blocco di difesa reciproca della CSTO a guida russa e di quello socio-economico dell'”Organizzazione degli Stati Turchi” (OTS) a guida turca, che ha recentemente iniziato a discutere di una struttura militare congiunta e di esercitazioni .

L’Azerbaigian, le cui forze armate hanno completato l’adeguamento agli standard NATO all’inizio di novembre, aiuterà i due paesi a seguire l’esempio attraverso il suo ruolo nella “Comunità dell’Asia Centrale” (CCA, la Riunione Consultiva annuale dei Capi di Stato recentemente rinominata), a cui ha aderito più tardi nello stesso mese. Si prevede quindi che la CCA fungerà da strumento per l’OTS, sostenuto dalla NATO, per “sottrarre” il Kazakistan e il Kirghizistan alla CSTO, con l’accusa di aver frantumato irreversibilmente la “sfera di influenza” russa in Asia centrale.

Contesto strategico generale

Il contesto in cui si stanno verificando questi nuovi processi accelerati, scatenati dal TRIPP (e le cui origini a loro volta derivano dalla presa della carica di primo ministro armeno da parte di Nikol Pashinyan nel 2018 dopo la sua riuscita Rivoluzione Colorata che in seguito portò alla successiva rivolta del Karabakh) Il conflitto riguarda i colloqui di pace in Ucraina. Gli Stati Uniti contano essenzialmente sull’Asse azero-turco (ATA) per esercitare congiuntamente pressione sulla Russia lungo tutta la sua periferia meridionale, aumentando così le probabilità che Putin accetti un accordo di pace sbilanciato a favore dell’Ucraina.

Finora ha rifiutato, ma la produzione pianificata del Kazakistan di proiettili conformi agli standard NATO aggiunge un senso di urgenza alla fine della speciale operazione per riorientare l’attenzione strategica della Russia verso l’intera periferia meridionale, nella speranza di evitare la frantumazione irreversibile della sua “sfera di influenza” in quella zona. Idealmente, gli Stati Uniti dovrebbero contribuire a gestire le tensioni turco-russe in questo spazio attraverso i cinque mezzi descritti qui come parte di un grande accordo dettagliato qui , qui e qui , ma questo non può essere dato per scontato.

I piani anti-russi del Kazakistan

La Russia deve quindi prepararsi alla possibilità di un’inevitabile crisi con il Kazakistan, e per estensione anche all’ATA, che potrebbe poi coinvolgere l’intera NATO a causa dell’adesione della Turchia, dopo aver appena deciso di costruire proiettili conformi agli standard NATO. Lo scopo delle sue nuove fabbriche è quello di accumulare questi proiettili in vista di quella che il Kazakistan sembra aver già concluso sarà un’inevitabile crisi con la Russia, innescata dal piano non dichiarato di conformare le proprie forze armate agli standard NATO.

L’unica ragione per cui sta mettendo in atto questa sequenza di scenari è perché la sua leadership è stata ingannata dall’Occidente (inclusi ATA e Ucraina) facendogli credere che la Russia avrebbe puntato sul territorio storicamente russo all’interno dei confini sovietici del Kazakistan dopo la fine dell’operazione speciale. Il Kazakistan, quindi, non vuole più dipendere dalle attrezzature tecnico-militari russe e ha invece deciso silenziosamente di passare ai prodotti NATO con l’aiuto di ATA.

Si prevede che ciò avvenga parallelamente all’adeguamento delle forze armate agli standard NATO, sotto la copertura di una più stretta cooperazione all’interno dell’OTS o almeno all’interno del CCA, che include l’Azerbaigian, con il quale ora si esercitano e si consultano congiuntamente , così come Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan . L’adeguamento agli standard NATO, la transizione ai suoi prodotti e l’accumulo dei suoi proiettili dovrebbero aiutare le forze armate del Kazakistan a resistere abbastanza a lungo in un conflitto con la Russia da consentire l’arrivo di un maggiore supporto ATA sostenuto dalla NATO.

ATA in azione

Se le truppe turche e/o azere (rispettivamente truppe NATO formali e informali con obblighi di difesa reciproca ) non fossero già state dispiegate in Kazakistan al momento dello scoppio di una crisi, e un tale dispiegamento anticipato potrebbe a sua volta innescare una crisi, allora dovrebbero essere inviate lì rapidamente in seguito. L’unica via realistica in condizioni di crisi è quella aerea sopra il Mar Caspio, possibilmente sotto la copertura di aerei di linea civili per dissuadere la Russia dall’abbatterle, ma è possibile anche un’altra rotta supplementare.

Gli osservatori occasionali non sanno che l’ATA è alleata con Il Pakistan , che può essere considerato un membro non ufficiale dell’OTS, potrebbe quindi trasferire in aereo le truppe già schierate in quel momento in Kazakistan. Questo potrebbe anche essere fatto sotto copertura civile per impedire ai jet russi di abbatterli dalla loro base aerea di Kant, in Kirghizistan . Se i legami afghano-pakistani si stabilizzassero e la ferrovia PAKAFUZ fosse costruita entro quella data, il Pakistan potrebbe anche inviare equipaggiamento militare in Kazakistan tramite questo mezzo.

Come mezzo per “scoraggiare” o almeno “frenare” la Russia, l’ATA potrebbe anche cercare di fomentare tensioni nel Caucaso settentrionale, il che potrebbe provocare una risposta russa per aver invocato i propri obblighi di difesa reciproca e quindi trascinare nella mischia la Turchia, membro della NATO, e il Pakistan, “principale alleato non NATO”. Un conflitto su più fronti con la Turchia nel Mar Nero, l’Azerbaigian nel Caucaso settentrionale, quest’ultimo e il Kazakistan nel Mar Caspio e il Kazakistan in Asia centrale (con l’aiuto dell’ATA e del Pakistan) potrebbe facilmente sovraccaricare la Russia.

Eventi trigger

I seguenti eventi potrebbero contribuire a innescare lo scenario peggiore di una crisi russo-kazaka:

* Il Kazakistan sta compiendo progressi tangibili nell’adeguamento delle sue forze armate agli standard NATO;

* L’aumento delle importazioni di armi statunitensi, turche, azere e/o pakistane (tutte sempre più standardizzate);

* Ulteriori esercitazioni tra le sue forze armate e i paesi sopra menzionati;

* Congelare la sua adesione alla CSTO, proprio come ha fatto l’Armenia già “braccata”;

* L’impiego di consiglieri/truppe statunitensi, turche, azere e/o pakistane (anche sotto la copertura delle PMC);

* L’approvazione di una legislazione discriminatoria di tipo ucraino contro la minoranza russa del Kazakistan;

* Pogrom contro di loro;

* E/o l’ingerenza nel “ Corridoio di Orenburg ” nel contesto della rinascita esterna del separatismo “Idel-Ural” .

A seconda di cosa accadrà, la risposta cinetica della Russia potrebbe essere definita preventiva o preventiva .

Considerazioni conclusive

La percezione della minaccia russa da parte della leadership kazaka, responsabile della decisione di produrre proiettili di standard NATO, si basa sulla falsa premessa che il Cremlino abbia piani di rivincita per la reincorporazione di territori storicamente russi all’interno del Kazakistan. Ciò dimostra che non hanno mai preso sul serio la ragione per cui la Russia ha condotto l’operazione speciale, ovvero neutralizzare le minacce provenienti dalla NATO e provenienti dall’Ucraina, proprio come quelle che il Kazakistan è ora sulla buona strada per produrre, nella stessa errata convinzione che ciò “scoraggerà” la Russia.

Finché il Kazakistan non rappresenta una minaccia per la sicurezza della Russia e tratta la sua minoranza con rispetto, alla Russia non importa cosa faccia il Kazakistan, ma la sua decisione di produrre proiettili di standard NATO rappresenta indiscutibilmente una minaccia latente per la sicurezza della Russia, come spiegato. Il Kazakistan rischia quindi di creare la stessa crisi con la Russia che la sua suddetta decisione e la conseguente traiettoria militare-strategica dovrebbero scongiurare, perché si è lasciato ingannare da Stati Uniti, Turchia, Azerbaigian e Ucraina, a meno che non cambi presto rotta.

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La “diplomazia militare” cinese tra Thailandia e Cambogia sta diventando più complessa

Andrew Korybko20 dicembre
 
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La Thailandia sembra voler far capire che non è contenta delle vendite di armi della Cina alla Cambogia, con l’insinuazione che la Cina dovrebbe ridurle per rispetto verso la Thailandia, che ora è un partner molto più importante per la Cina rispetto alla Cambogia.

Il Ministero della Difesa cinese ha affermato che il suo commercio di armi con la Thailandia e la Cambogia non ha nulla a che vedere con l’intensa ripresa delle ostilità estive, seguita a un rapporto di

Questo dato è stato ribadito nel rapporto “Trends in International Arms Transfers, 2024” pubblicato a marzo dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) e relativo al periodo 2020-2024. Il SIPRI ha osservato che la Thailandia è stata il terzo mercato di esportazione di armi della Cina durante quel periodo, con il 4,6% delle vendite totali, mentre la Cina è stata il principale fornitore di armi della Thailandia con il 43% delle importazioni, molto più avanti degli Stati Uniti al secondo posto con il 14%, nonostante la Thailandia sia uno dei “principali alleati non NATO” degli Stati Uniti. Questo fa parte di una tendenza regionale più ampia.

L’intensificarsi degli scambi commerciali tra Cina e Thailandia ha portato a legami politici e militari più stretti, rivoluzionando così il paradigma strategico regionale e creando le condizioni per la cooperazione su un progetto di ferrovia ad alta velocità che collegherà Kunming, in Cina, a Singapore passando per Laos, Thailandia e Malesia. Tutto sommato, ad eccezione della possibilità segnalata che la Cambogia consenta alla Cina di utilizzare in esclusiva la sua base navale di Ream recentemente rinnovata (cosa che entrambe hanno negato), la Thailandia è un partner molto più importante per la Cina sotto tutti i punti di vista.

Ciononostante, la Cina continua a vendere armi alla Cambogia, molto probabilmente nell’ambito della sua “diplomazia militare”, simile a quella russa, che ha sperimentato in altre parti del mondo. In questo contesto, tale concetto si riferisce alla vendita di armi a due Stati rivali nella speranza di mantenere l’equilibrio di potere tra loro, in modo da poter poi mediare una risoluzione politica delle loro controversie. Ciò contrasta con la politica americana di armare solo una delle parti per darle un vantaggio militare e costringere l’altra a concessioni unilaterali.

La Russia è nota soprattutto per aver praticato la “diplomazia militare” tra Armenia e Azerbaigian, Cina e India, e Cina e Vietnam, con il primo tentativo che non è riuscito a portare a una risoluzione politica della loro disputa, mentre gli ultimi due hanno mantenuto con successo l’equilibrio di potere tra loro. Per quanto riguarda l’attuazione di questa politica da parte della Cina, essa è rimasta nell’ombra fino a quando il New York Times ha pubblicato a settembre un articolo intitolato “Come le armi cinesi hanno trasformato una guerra tra due paesi vicini“.

Sebbene informativo, l’articolo cerca comunque di costruire la narrativa secondo cui le vendite di armi cinesi alla Cambogia avrebbero incoraggiato quest’ultima a dare inizio alle ostilità. Non è ancora chiaro chi sia responsabile degli scontri estivi, con questa analisi qui che sostiene che sia stata la Thailandia e quella successiva qui che prevede fino a che punto potrebbero spingersi le ostilità se non cessassero (o dovessero riprendere). In ogni caso, il punto è che la Cina pratica effettivamente la “diplomazia militare” con entrambi, ma ora la situazione sta diventando più complicata.

La Thailandia sembra suggerire di non gradire la vendita di armi da parte della Cina alla Cambogia, con l’insinuazione che la Cina dovrebbe ridurla per rispetto nei confronti della Thailandia, che ora è un partner molto più importante per la Cina rispetto alla Cambogia. Il sottotesto è che il ruolo della Cina come mediatore risulterebbe compromesso se la Thailandia giungesse alla conclusione che la Cina ha rifornito la Cambogia dopo le ostilità estive. Ciò potrebbe a sua volta compromettere i piani per la ferrovia ad alta velocità, se ciò dovesse verificarsi, e quindi l’intera visione della Cina in materia di connettività regionale.

La base navale russa in Sudan, a lungo rinviata, potrebbe tornare in pista

Andrew Korybko21 dicembre
 
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La tempistica di quest’ultimo rapporto era probabilmente volta a complicare i rinnovati colloqui tra Russia e Stati Uniti sull’Ucraina, esercitando una forte pressione su Trump affinché chiedesse al Sudan di rifiutare l’accordo in cambio del sostegno americano, ma potrebbe anche avvicinarli inavvertitamente.

Il Wall Street Journal (WSJ) ha citato funzionari sudanesi anonimi per riferire che alla Russia è stato offerto un accordo della durata di 25 anni per schierare fino a 300 soldati e quattro navi da guerra nella base navale a lungo rinviata di cui si parla dal 2020. Tutto ciò che il Sudan chiede sono armi avanzate a prezzi preferenziali per aiutarlo a sconfiggere i ribelli delle “Forze di supporto rapido” (RSF). Per rendere l’accordo più allettante, sta anche offrendo alla Russia “un accesso privilegiato a lucrative concessioni minerarie”, ma per ora non è stato ancora concordato nulla.

Questa proposta sarebbe stata trasmessa dal Sudan alla Russia nel mese di ottobre, quindi prima che l’ambasciatore russo in Sudan dichiarasse a Sputnik che “Dato l’attuale conflitto armato [in Sudan], i progressi su questa questione sono attualmente sospesi”. Pertanto, o stava dicendo la verità o, col senno di poi, stava sviando l’attenzione da quella che potrebbe essere l’attuazione imminente di questo accordo, se la notizia riportata dal WSJ fosse accurata. In ogni caso, il WSJ ha poi alimentato i timori sulle implicazioni geopolitiche di questa base, il che era prevedibile.

La cosa più sorprendente del loro articolo è stata la rivelazione casuale che l’RSF ha chiesto aiuto all’Ucraina nonostante i suoi legami con la Russia e nonostante l’Ucraina stesse aiutando l’esercito contro entrambi, il che ha portato alla inversione dei ruoli tra Russia e Ucraina in questo conflitto. L’RSF è stata recentemente condannata per il massacro che è accusata di aver compiuto nella capitale del Darfur settentrionale, Al-Fashir, il che fa apparire l’Ucraina in cattiva luce per associazione. Ecco dieci briefing informativi su questa guerra sporca:

* 11 giugno 2022: “Analisi degli interessi strategici della Russia in Sudan

* 30 settembre 2022: “La pressione neoimperialista degli Stati Uniti sul Sudan rivela le loro vere intenzioni nei confronti dell’Africa

* 16 aprile 2023: “La guerra dello ‘Stato profondo’ sudanese potrebbe avere conseguenze geostrategiche di vasta portata se dovesse continuare

* 21 aprile 2023: “Ecco perché gli Stati Uniti stanno cercando di attribuire alla Russia la responsabilità della guerra dello “Stato profondo” in Sudan

* 27 aprile 2023: “La Russia ha ragione: la crisi sudanese è causata dalla ‘ingegneria politica’ dall’estero

* 4 maggio 2023: “Le ammissioni dei media mainstream secondo cui l’ingerenza americana ha rovinato il Sudan sono fuorvianti

* 10 marzo 2024: “L’Ucraina si presenta come una forza mercenaria affidabile contro la Russia in Africa

* 27 maggio 2024: “La base che la Russia intende costruire in Sudan potrebbe essere declassata a struttura di supporto logistico navale

* 19 novembre 2024: “Il veto della Russia alla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sul Sudan lo ha salvato da un complotto neocolonialista

* 20 dicembre 2024: “Bloomberg sta creando consenso per un maggiore intervento occidentale in Sudan

Il contesto in cui il WSJ ha pubblicato il suo articolo include anche il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman che ha chiesto durante il loro incontro alla Casa Bianca il mese scorso che Trump svolgesse un ruolo molto più attivo nel mediare la fine di questo conflitto. Allo stesso tempo, Trump ha anche rilanciato i colloqui tra Russia e Stati Uniti sull’Ucraina, che potrebbero essere complicati dalla sua ipotetica pressione sul governo sudanese affinché abbandoni l’accordo con la Russia sulla base navale in cambio di un sostegno diplomatico americano più forte.

Ciononostante, l’articolo del WSJ è stato probabilmente pubblicato ora anziché in ottobre, quando il Sudan avrebbe comunicato alla Russia le sue ultime condizioni per la base navale a lungo rinviata proprio a tale scopo, nella speranza che ciò esercitasse una forte pressione su di lui per aver involontariamente complicato i negoziati con la Russia. Tuttavia, ciò potrebbe effettivamente ritorcersi contro, se i diplomatici russi e statunitensi proponessero in modo creativo di coordinare il loro sostegno militare al governo sudanese e di cooperare congiuntamente alla mediazione di un accordo di pace.

Per questi motivi, la notizia che la base navale russa in Sudan, a lungo rinviata, potrebbe tornare in pista potrebbe inavvertitamente avvicinare la Russia e gli Stati Uniti, anziché allontanarli. Naturalmente dipenderà dalla creatività dei loro diplomatici e dalla volontà politica dei loro leader, ma lo scenario non può essere escluso, così come non può essere escluso quello di Trump che cede alle pressioni dello “Stato profondo” per chiedere al Sudan di rinunciare all’accordo in cambio del sostegno degli Stati Uniti. In ogni caso, la risposta degli Stati Uniti influirà probabilmente sulle relazioni con la Russia.

Gli Stati Uniti potrebbero perseguire la “balcanizzazione pacifica” del Congo

Andrew Korybko20 dicembre
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Trump 2.0 potrebbe concludere che la federalizzazione è l’unica soluzione sostenibile alla prolungata crisi politico-sicura del Congo, per scongiurare il suo (inevitabile?) secondo crollo e consentire di conseguenza agli Stati Uniti di gestire la conseguente corsa all’influenza e ai profitti all’interno dei suoi nuovi stati autonomi.

Trump ha supervisionato la firma di una dichiarazione di pace congiunta da parte delle sue controparti congolese e ruandesi all’inizio di dicembre, che si basava sull’accordo di pace firmato dai rispettivi Ministri degli Esteri alla presenza del suo Segretario di Stato durante l’estate. Meno di una settimana dopo, il presidente congolese Felix Tshisekede ha accusato il Ruanda di aver violato l’accordo nel contesto della continua offensiva dei ribelli M23 sostenuti da Kigali, con cui Kinshasa è impegnata in colloqui separati, facilitati dal Qatar, che hanno portato a un accordo quadro il mese scorso.

In precedenza era stato stimato che l’interesse degli Stati Uniti per i minerali di terre rare (REM) della Repubblica Democratica del Congo (RDC) avrebbe probabilmente portato Washington a imporre a tutte le parti il ​​rispetto dell’accordo, al fine di facilitare l’estrazione di questa risorsa dalle province orientali del Nord e Sud Kivu, parzialmente controllate dall’M23. L’ enfasi regionale sulla cooperazione energetica e sulle REM con i paesi africani della Strategia per la Sicurezza Nazionale (NSS) recentemente pubblicata conferma questa aspettativa.

Anche se un intervento diplomatico americano impedisse che gli ultimi scontri degenerassero in una crisi a tutti gli effetti, la situazione politico-sicura generale della RDC rimarrà tesa a causa del sostegno dell’M23 agli obiettivi della coalizione di opposizione AFC. Questa è l’abbreviazione francese dell’Alleanza del Fiume Congo, che vuole federalizzare la RDC e, a quanto pare, gode del sostegno dell’ex presidente Joseph Kabila , condannato a morte in contumacia per tradimento e altri crimini correlati lo scorso autunno.

Nello scenario in cui Kabila presiedesse un governo guidato dall’AFC nella RDC, qualunque cosa accada, la devoluzione del Paese in uno Stato federale potrebbe portare province ricche di risorse come il Kivu e l’ex Katanga (ora diviso in diverse province più piccole) ad accaparrarsi la maggior parte della ricchezza nazionale. Se gli Stati federali diventassero così autonomi da comandare le proprie forze di sicurezza, il Paese rischierebbe la “balcanizzazione”, a seguito della quale potrebbe iniziare una corsa all’influenza e ai profitti in tutta la RDC.

Reuters ha appena pubblicato un rapporto su come ” i ribelli dell’M23 consolidano il loro dominio nel Congo orientale nonostante Trump proclami la pace “, creando così uno stato autonomo di fatto che potrebbe diventare il modello per la federalizzazione del paese. La federalizzazione potrebbe tuttavia portare a una guerra civile e persino regionale, ma il rischio potrebbe essere gestito se gli Stati Uniti proponessero proattivamente questa soluzione e poi mediassero accordi sui confini interni, sulla condivisione della ricchezza e sulla condivisione della sicurezza tra gli stati e il governo federale.

Inoltre, data l’enfasi posta dall’NSS sull’esplorazione di partnership energetiche redditizie con i paesi africani, gli investimenti statunitensi potrebbero ristrutturare le dighe di Inga I e II nella RDC occidentale, prive di REM. Potrebbero anche finanziare la diga di Grand Inga , che sarebbe la più grande al mondo con una capacità di produzione energetica doppia rispetto alla diga delle Tre Gole in Cina, e l’energia idroelettrica che ne deriverebbe potrebbe industrializzare il paese e l’intera regione. Anche i data center occidentali per l’intelligenza artificiale, ad alto consumo energetico, potrebbero essere costruiti nelle vicinanze .

Considerando che la RDC è ora ufficiosamente un protettorato americano dopo l’accordo di pace con il Ruanda mediato dagli Stati Uniti, è quindi possibile che Trump 2.0 proponga proattivamente la federalizzazione graduale del paese come mezzo per risolvere in modo sostenibile le sue prolungate crisi politico-sicure. Ciò potrebbe scongiurare un secondo (inevitabile?) collasso, con le terribili conseguenze umanitarie che potrebbero derivarne, mentre si gestisce la corsa all’influenza e ai profitti all’interno di questo stato ormai “pacificamente balcanizzato”.

La ridenominazione dell’Asia centrale in Turkestan da parte del curriculum turco è l’ultima dimostrazione di soft power della Turchia

Andrew Korybko19 dicembre
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La Russia dovrebbe prepararsi all’accelerazione dei processi di integrazione globale guidati dalla Turchia lungo il suo fronte meridionale e alle gravi implicazioni che ciò potrebbe avere per la sua sicurezza.

Il Ministro dell’Istruzione turco ha annunciato a fine novembre che il curriculum del suo Paese sostituirà l’Asia Centrale con il Turkestan, nell’ambito dei suoi piani di unità pan-turca. Ciò coincide con l’invito delle cinque Repubbliche dell’Asia Centrale a partecipare alla loro Riunione Consultiva annuale dei Capi di Stato e con il successivo cambio di denominazione in ” Comunità dell’Asia Centrale ” (CCA), che segue la presentazione, a inizio agosto, della “Strada Trump per la Pace e la Prosperità Internazionale” ( TRIPP ). Tutto ciò non fa presagire nulla di buono per gli interessi russi.

In precedenza era stato spiegato come ” l’Occidente stia ponendo nuove sfide alla Russia lungo tutta la sua periferia meridionale “, utilizzando la Turchia come proverbiale punta di diamante per iniettare l’influenza occidentale nel Caucaso meridionale e nell’Asia centrale attraverso il TRIPP. Inoltre, ” gli accordi minerari degli Stati Uniti sull’Asia centrale potrebbero esercitare maggiore pressione su Russia e Afghanistan “, rafforzando così l’accerchiamento della Russia guidato dalla Turchia. La Russia ora deve fare i conti con il possibile spostamento dell’identità (e della lealtà) dei suoi membri al Turkestan.

Il Tagikistan è l’eccezione, in quanto è l’unico membro non turco e, a differenza degli altri, non partecipa all'”Organizzazione degli Stati Turchi” (OTS) guidata dalla Turchia (gli altri sono membri, mentre il Turkmenistan è osservatore). In ogni caso, l’ultima sfida che si profila sul fronte meridionale della Russia è la trasformazione delle loro identità post-sovietiche di Repubbliche dell’Asia Centrale (o dell’Azerbaigian, semplicemente Azerbaigian) in quella proposta dalla Turchia, che è il nome che un tempo veniva dato all’Asia Centrale.

Tuttavia, sebbene questo ” ritorno alla storia ” sia in linea con la tendenza multipolare del civilizzazione, secondo cui gli stati-civiltà (ad esempio quelli come la Turchia, che hanno lasciato eredità socio-culturali durature agli altri nel corso dei secoli) ripristinano le loro “sfere di influenza”, questo esempio ha gravi implicazioni per la Russia. L’OTS è nato come un’organizzazione socio-culturale che ora sta assumendo funzioni economiche e persino di sicurezza, e la neonata CCA con l’Azerbaigian funge essenzialmente da sottogruppo al suo interno.

Con il TRIPP come catalizzatore, si prevede quindi che questa combinazione di fattori darà una spinta ai processi di integrazione globale guidati dalla Turchia in questo vasto spazio geografico che si estende dall’Anatolia al Caucaso meridionale fino al cuore dell’Eurasia centroasiatica, sfidando così l’influenza della Russia in tale area. L’imminente e forse inevitabile intensificazione della cooperazione in materia di sicurezza tra i tradizionali partner centroasiatici della Russia e la Turchia, membro della NATO, potrebbe innescare un dilemma di sicurezza.

Per essere chiari, non c’è nulla di sbagliato nell’integrazione socio-culturale e nelle espressioni di orgoglio di civiltà condiviso, poiché la Russia incoraggia proprio questo all’interno di quello che chiama il “Mondo Russo”, alcune parti del quale si sovrappongono al sottogruppo CCA de facto dell’OTS. Il rischio, tuttavia, è che l’erosione dell’influenza russa tra questi ultimi, facilitata dalla graduale trasformazione delle loro identità da Repubbliche centroasiatiche post-sovietiche separate a parte del Turkestan, possa incoraggiare i malintenzionati a tentare un gioco di potere.

Ciò potrebbe portare élite corrotte che si identificano con la Turchia a sostituire la consolidata e reciprocamente vantaggiosa influenza economica della Russia in Asia centrale con quella della Turchia, parallelamente al tentativo di adeguare le proprie forze armate agli standard NATO, proprio come è recentemente riuscito a fare l’Azerbaigian con le proprie. Quanto più queste élite e i loro cittadini si autoidentificheranno come parte del Turkestan a guida turca, anziché dei rispettivi stati nazionali post-sovietici, che è ciò che l’ultima mossa della Turchia mira a favorire, tanto più probabile sarà questo.

Cinque motivi per cui il partenariato strategico tra Etiopia e India, recentemente dichiarato, è così importante

Andrew Korybko18 dicembre
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La centralità dello sviluppo condiviso basato sul digitale e sull’intelligenza artificiale è probabilmente la caratteristica più significativa della loro nuova relazione, che è il mezzo attraverso il quale l’India intende competere con la Cina in modo amichevole per conquistare cuori, menti e mercati in tutto il Sud del mondo.

L’Etiopia e l’India hanno elevato i loro legami storici a una partnership strategica durante la visita del Primo Ministro indiano Narendra Modi , che ha ricevuto un’accoglienza solenne . Il suo omologo Abiy Ahmed ha infranto il protocollo per andarlo a prendere all’aeroporto e poi riaccompagnarlo . Durante la sua visita, Modi ha anche ricevuto il Grande Onorificenza Nishan dell’Etiopia , la più alta onorificenza del Paese, mentre i colloqui hanno portato a otto risultati . Di seguito sono riportati i cinque principali motivi per cui la loro nuova partnership strategica è così importante:

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1. L’Etiopia e l’India sono civiltà antiche

Modi ha affermato che i loro Paesi sono in realtà civiltà antiche con millenni di relazioni durante il suo discorso al Parlamento etiope. Questo è significativo poiché una delle tendenze della transizione sistemica globale è il ruolo guida di quelli che la Scuola Russa del Multipolarismo considera stati-civiltà , quelli che hanno lasciato eredità socio-politiche durature ai loro vicini nel corso dei secoli. Etiopia e India rientrano in questa categoria e, di conseguenza, stanno accelerando i processi multipolari nelle loro regioni.

2. Sono anche leader del Sud del mondo

Alcuni stati-civiltà sopravvissuti hanno ormai perso gran parte della loro influenza, ma non l’Etiopia e l’India, che sono leader del Sud del mondo. L’Etiopia è il secondo paese più popoloso dell’Africa, l’India è il primo al mondo, ed entrambi sono paesi BRICS in rapido sviluppo, quindi una maggiore cooperazione Sud-Sud tra loro può essere d’esempio per il resto del Sud del mondo. Per quanto riguarda i BRICS, godono anche di stretti legami con gli altri membri, Russia ed Emirati Arabi Uniti, il che potrebbe portare a un mini-laterale o “Quadripolare” all’interno di questo gruppo.

3. L’intelligenza artificiale avrà un ruolo centrale nei loro legami

Abiy ha osservato che “la visione indiana dell’autosufficienza è in forte sintonia con la filosofia di sviluppo dell’Etiopia”, il che contestualizza la decisione di Modi di istituire un data center in Etiopia, di offrire corsi di breve durata specializzati in intelligenza artificiale ai suoi studenti e di invitare Abiy all’AI Impact Summit del prossimo anno. Abiy immagina che l’Etiopia guidi il futuro africano basato sull’intelligenza artificiale nella ” Quarta Rivoluzione Industriale “, ed è estremamente importante che l’India aiuti il ​​suo Paese , e quindi l’intero Paese, a raggiungere questo obiettivo .

4. Hanno sfide di sicurezza simili…

Sebbene non vi sia stata alcuna conferma che ne abbiano discusso durante i colloqui, Etiopia e India affrontano sfide simili in materia di sicurezza, in particolare un vicino ostile che ha condotto contro di loro varie forme di guerra ibrida nel corso dei decenni. Questo include il sostegno a gruppi che considerano terroristi. Esistono quindi le basi per una più stretta cooperazione militare-di sicurezza tra i due Paesi, che potrebbe comportare colloqui più frequenti tra i loro massimi ufficiali militari, vendite di armi, esercitazioni congiunte e conferenze pertinenti.

5. …E interessi nella sicurezza marittima regionale

Il blocco del Mar Rosso da parte degli Houthi ha messo in pericolo l’economia etiope, che dipende da questa via d’acqua per il commercio internazionale, e ha aumentato il costo delle esportazioni indiane verso l’Europa, poiché la stragrande maggioranza transita attraverso di essa. Entrambi hanno quindi interessi nella sicurezza marittima regionale, che l’Etiopia intende promuovere ripristinando il suo storico… accesso al mare e, di conseguenza, alla sua marina, mentre l’India potrebbe essere interessata a una base navale nelle vicinanze. Il riconoscimento congiunto del Somaliland potrebbe aiutarli a raggiungere i loro obiettivi.

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Nel complesso, il significato principale del nuovo partenariato strategico tra Etiopia e India risiede nella centralità dello sviluppo condiviso basato sul digitale e sull’intelligenza artificiale, che rappresenta il mezzo attraverso il quale l’India intende competere con la Cina in modo amichevole per conquistare cuori, menti e mercati in tutto il Sud del mondo. Finora la Cina aveva di fatto il monopolio su tutto questo tramite la BRI, ma ora l’India ha lanciato la sfida e la concorrenza che ne deriva offrirà agli stati del Sud del mondo più opzioni e quindi accordi più vantaggiosi.

Nawrocki ha condiviso alcune interessanti intuizioni su Ucraina, Russia e Trump

Andrew Korybko18 dicembre
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Le sue opinioni su tutti e tre sono sorprendentemente pragmatiche per un presidente polacco e potrebbero presagire che il suo paese rispetterà qualsiasi grande accordo strategico tra Stati Uniti e Russia, invece di cercare di sabotarlo.

Il presidente polacco Karol Nawrocki ha rilasciato un’intervista a Wirtualna Polska all’inizio di questa settimana, in cui ha condiviso alcuni interessanti spunti di riflessione su Ucraina, Russia e Trump. Ha iniziato promettendo il continuo sostegno all’Ucraina contro il comune nemico russo, ma solo come partner alla pari, e ha affermato che molti polacchi non hanno più la sensazione che la Polonia venga trattata come tale dall’Ucraina. Nawrocki ha concordato, riferendosi alla Volinia. genocidio e controversie sui cereali per descrivere la Polonia come finora un partner minore dell’Ucraina.

Prevede di correggere questa situazione dando priorità agli interessi nazionali della Polonia nei suoi rapporti con tutti, compresa l’Ucraina, il cui leader lo incontrerà a Varsavia venerdì. A proposito di lui, ha affermato che esprimerà chiaramente le sue opinioni su tutto questo durante i colloqui, sperando che portino l’Ucraina a trattare le proprie relazioni con rispetto, anziché limitarsi a un semplice ringraziamento. Il fatto che non l’abbia ancora fatto fa chiedere a Nawrocki “se Varsavia abbia cessato di essere importante per Kiev”.

Ritiene che la Polonia sia ancora di fondamentale importanza per l’Ucraina, ma “ho la sensazione che il presidente Volodymyr Zelensky si sia abituato a dare per scontata la Polonia negli ultimi anni. Non c’è bisogno di concordare nulla con noi, non c’è bisogno di parlare, perché eravamo lì e abbiamo dato tutto”. Questo è seguito da alcune parole sul primo ministro Donald Tusk, che Nawrocki ritiene non sia rispettato all’estero, motivo per cui la Polonia è stata esclusa dai principali colloqui di pace sull’Ucraina.

Ha poi aggiunto: “Credo che sarebbe stato di buon gusto e di buona forma da parte di Volodymyr Zelensky parlarne fin dall’inizio… Si potrebbe pensare che [lui] dovrebbe essere la persona principale interessata alla presenza della Polonia al tavolo dei negoziati. Questo sarebbe vero se le nostre relazioni fossero strutturate in modo adeguato. Nel frattempo, il presidente Zelensky vede la Polonia come una risorsa stabile e ovvia che non richiede mosse particolari, ed è molto più disposto a interagire con i leader dell’Europa occidentale”.

In ogni caso, Nawrocki ha ribadito la sua convinzione che non ci si possa fidare del rispetto degli accordi da parte della Russia, convinzione che ha dichiarato ai suoi interlocutori di aver già trasmesso a Trump diverse volte. Ciononostante, ha affermato di confidare che Trump non danneggerà gli interessi della Polonia durante i suoi colloqui con Putin, il cui aspetto territoriale (e il principale ostacolo secondo quanto riportato) non riguarda nemmeno la Polonia, ha detto. Ha tuttavia confermato che il suo “sogno” autodefinito rimane quello di negoziare la pace al loro fianco e con Zelensky.

Riflettendo su quanto detto da Nawrocki su Ucraina, Russia e Trump, si nota un pragmatismo impressionante per un presidente polacco, e l’ultima parte è in linea con quanto dichiarato a fine settembre su come sarebbe disposto a parlare con Putin se la sicurezza della Polonia dipendesse da questo. Non c’è dubbio che la storica rivalità russo-polacca sia stata riaccesa nel corso della guerra per procura in Ucraina, durante la quale gli Stati Uniti hanno sostenuto il ripristino della leadership regionale della Polonia , ma questo non deve necessariamente portare a un’altra guerra.

La conclusione della sua intervista è quindi che la Polonia potrebbe svolgere un ruolo positivo nella nuova architettura di sicurezza che caratterizzerà l’Europa post-conflitto. Invece di agitarsi sconsideratamente contro la Russia e di mantenere la Polonia subordinata al ruolo di partner minore dell’Ucraina, la Polonia, sotto la guida di Nawrocki, potrebbe comportarsi responsabilmente e dare davvero priorità ai propri interessi nazionali. Ciò potrebbe concretizzarsi nel rispetto di qualsiasi accordo di massima importanza. strategico accordo che Stati Uniti e Russia potrebbero raggiungere invece di cercare di sabotarlo.

La nuova politica dell’UE nei confronti dei beni sequestrati alla Russia non mira ad aiutare l’Ucraina

Andrew Korybko17 dicembre
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Il vero scopo potrebbe essere quello di impedire agli Stati Uniti di raggiungere un accordo con la Russia, come previsto dal punto 14 del suo quadro di pace in 28 punti trapelato, per investire una somma significativa dei beni sequestrati dall’UE al suo (ormai ex) avversario in progetti congiunti, probabilmente nei settori dell’energia e delle terre rare, dopo la fine del conflitto.

La Russia ha condannato la recente decisione dell’UE di immobilizzare a tempo indeterminato i beni sequestrati , una procedura speciale che ha scandalosamente eluso il potere di veto degli Stati membri nel tentativo di impedire a Ungheria e Slovacchia di bloccarli. Questa mossa potrebbe precedere la confisca di parte di questi fondi da parte dell’Unione, che potrebbe cederli all’Ucraina e/o utilizzarli come garanzia per un prestito a quel Paese. Lo scopo ufficiale sarebbe quello di finanziare ulteriori acquisti di armi e/o contribuire alla ricostruzione post- conflitto .

Il primo obiettivo non porterà l’Ucraina a infliggere alla Russia la sconfitta strategica auspicata dall’UE, mentre il secondo richiede molto più dei semplici beni sequestrati alla Russia per essere completato. Indipendentemente dallo scopo ufficiale, confiscare i beni della Russia o utilizzarli come garanzia per un prestito all’Ucraina infliggerebbe un danno irreparabile alla reputazione finanziaria dell’UE. Gli investitori stranieri potrebbero essere indotti a temere che i loro beni non siano più al sicuro e potrebbero quindi ritirarli dalle banche dell’UE e non depositarvi più quelli futuri.

L’Unione potrebbe quindi perdere centinaia di miliardi di dollari, forse più di mille miliardi o anche di più col tempo, tutto apparentemente per il bene dell’Ucraina, nonostante sia impossibile per quel Paese sconfiggere strategicamente la Russia o essere ricostruito interamente con i fondi rubati al suo nemico. Vi sono quindi fondati motivi per sospettare che l’UE abbia secondi fini in mente per prendere seriamente in considerazione questa possibilità e che la sua nuova politica nei confronti dei beni sequestrati alla Russia non miri ad aiutare l’Ucraina.

Il vero scopo potrebbe essere quello di impedire agli Stati Uniti di raggiungere un accordo con la Russia, come previsto dal punto 14 del quadro di 28 punti dell’accordo di pace russo-ucraino trapelato, per investire una somma significativa dei beni sequestrati dall’UE al suo (ormai ex) avversario in progetti congiunti, probabilmente nei settori dell’energia e delle terre rare, dopo la fine del conflitto. Un simile accordo potrebbe mettere i due Paesi sulla strada della rivoluzione dell’architettura economica globale, come spiegato qui , e di conseguenza accelerare la crescente irrilevanza dell’UE al suo interno.

Per scongiurare tale scenario, l’UE avrebbe potuto quindi decidere di immobilizzare a tempo indeterminato i beni sequestrati alla Russia come primo passo verso l’affermazione “legalmente” della quasi-proprietà su di essi, per poi confiscarli e/o utilizzarli come garanzia per un prestito all’Ucraina. La procedura speciale impiegata per aggirare il potere di veto degli Stati membri non promette nulla di buono per la capacità di Ungheria, Slovacchia e altri paesi interessati di porre il veto alle suddette mosse che potrebbero presto seguire.

Il piano di cui sopra potrebbe essere sventato se la Russia trasferisse la proprietà legale dei suoi beni sequestrati dall’UE agli Stati Uniti, come proposto qui ad aprile, ma ciò è possibile solo se Russia e Stati Uniti raggiungono un accordo sull’utilizzo di questi fondi per finanziare progetti congiunti, il che richiede una fiducia solida che ancora non esiste. Progressi tangibili nel raggiungimento di un accordo NATO-Russia Un patto di non aggressione , o almeno la gestione delle tensioni turco-russe in Asia centrale da parte degli Stati Uniti , potrebbe portare a questo risultato e garantire che questi fondi non vengano tutti rubati.

Se gli Stati Uniti ottenessero la proprietà legale dei beni sequestrati alla Russia, Trump avrebbe il pretesto per chiederne il trasferimento agli Stati Uniti, pena sanzioni, che è l’unico modo per garantire che non vengano ceduti all’Ucraina o che rimangano immobilizzati a tempo indeterminato. L’UE deve quindi decidere se valga la pena sostenere il costo gigantesco di distruggere la propria reputazione finanziaria solo per impedire un riavvicinamento tra Russia e Stati Uniti, ma se andasse fino in fondo, i due Paesi potrebbero allearsi contro di essa in seguito.

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