Italia e il mondo

Multipolarismo a due velocità ?_di Cesare Semovigo

Multipolarismo a due velocità ?

A Rio de Janeiro il vertice BRICS ha messo in scena una cena di famiglia dove i principali invitati latitano, segnando il primo vero interrogativo geopolitico di un alleanza delle grandi ambizioni identitarie .
Si dovrebbe prendere atto, passando per disfattisti , che la battuta di arresto dell’alternativa Multipolare antagonista dello strapotere del petrodollaro sta affrontando la sua prima vera crisi politica .

Mandare la palla in tribuna arrampicandoci sull’Esquilino dei Brics , non smuove nemmeno le statistiche degli Stream pompati . Continuiamo così, facciamoci del male.
Come se ammetterlo non sia già abbastanza difficile .

Il vecchio catenaccio della Perfida

Lo sfacciato incontro Cipriota di Modi con i CEO Cap. Venturedi vecchio catenaccio della Perfida Albione, ha rappresentano la prima vera prova strutturale del sistema BRICS .

Per non infierire troverete qui sotto il rito dove , il presidente Indiano riceve (esattamente come il dono di Re Charles a Mattarella -Cipro era il centro congressi)

Condividere una sogno non sottintende l’istinto autoconservativo a confonderlo con il desiderio.

L’imminente tracollo del dollaro sembra sempre più lontano .

La notizia ufficiale: il “club degli emergenti” si allarga e apre le porte a Iran, Egitto e Indonesia, quasi a voler compensare la mancanza dei veri protagonisti. Perché diciamolo: senza Putin e Xi Jinping ,la foto di famiglia somiglia più al bilaterale con invitati tra il Dragone e il Brasile .

Eppure, tra brindisi e dichiarazioni per la stampa, la realtà si impone: l’accordo vero, quello che conta, resta l’asse tra Pechino e Brasilia. Una coppia male assortita che si studia da anni, ballando tra opportunismo e diffidenza.

Lula si muove con la leggiadria di chi sa di non poter troppo irritare né la Cina, né l’India (prossima alla presidenza BRICS) e neppure l’Occidente che guarda con sospetto ma non disdegna. Così, evita la Belt and Road Initiative ma giura fedeltà ai forum con Pechino, la cui “assenza strategica” viene liquidata con un’elegante scusa di diplomazia informale: meglio non dare nell’occhio .

Il Brasile ostenta identità globale, ma poi si risveglia ogni mattina con la realtà di essere il primo partner commerciale della Cina sull’intero continente latinoamericano: il 45% delle esportazioni brasiliane si ferma comodamente a Pechino, altro che multipolarismo.

Ogni dichiarazione di autonomia viene immediatamente smentita dai dati che rivelano una dipendenza ormai strutturale e di fatto ineludibile dalla real politique e dalla strategia di Trump e del suo protezionismo predittivo , apparentemente schizofrenico .

Cina: egemonia senza sbraitare (ma con calcolatrice in tasca)
Pechino, dal canto suo, conduce il gioco con la pazienza di chi sa di aver già vinto. Investe, firma accordi anti-dollaro, ma evita i toni ruvidi e le imposizioni alla vecchia maniera: meglio una egemonia “zen” che non faccia scattare l’allarme nei partner moderati, soprattutto ora che il BRICS si trova a dover gestire quadri sempre più eterogenei e dialoghi surreali dovuti all’ingresso di attori come Iran ed Egitto.

L’espansione del blocco fa notizia, ma la sostanza non cambia. L’allargamento può dare l’illusione della forza, ma serve soprattutto a Pechino per allargare il fronte anti-sanzioni.

A Brasilia, invece, l’idea di condividere il tavolo con Iran e co. provoca più di una perplessità : Lula corre ai ripari, moltiplica gli incontri diretti bilaterali con India e UE, sponsorizza la COP30 e cerca di restare in gioco senza irritare troppo il vero padrone di casa.

In un mondo in cui tutti fingono di essere contro l’Occidente ma nessuno vuole realmente mollare l’osso, BRICS si conferma un raffinato laboratorio di realpolitik:

Lula recita il suo ruolo di mediatore, la Cina prende appunti e nessuno si sogna di spiegare davvero perché sono più amici di prima .

Ma Putin e Xi ?

Cesare Semovigo

Il  sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:

– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;

– IBAN: IT30D3608105138261529861559

PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo

Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo

Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione).

Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373

La competizione globale per l’intelligenza artificiale, di Alberto Cossu

La competizione globale per l’intelligenza artificiale

Alberto Cossu

Nel 2025, la corsa all’intelligenza artificiale (IA) tra Stati Uniti e Cina si è trasformata in una competizione strategica cruciale, non solo per il dominio tecnologico, ma anche per le implicazioni economiche, geopolitiche e sociali a livello globale. Questa sfida, che coinvolge innovazione, investimenti, regolamentazioni e alleanze internazionali, sta ridefinendo gli equilibri di potere nel mondo digitale, con l’Europa che cerca di ritagliarsi un ruolo significativo in questo scenario complesso.

1. Il contesto della competizione USA-Cina nell’IA

L’intelligenza artificiale è ormai riconosciuta come una tecnologia chiave per il futuro, capace di influenzare la crescita economica, la sicurezza nazionale e la leadership geopolitica. Gli Stati Uniti, storicamente leader nel settore grazie a un ecosistema privato robusto e a giganti tecnologici come OpenAI, Google, Microsoft e Nvidia, continuano a dominare in termini di investimenti e innovazione. Nel 2024, gli investimenti privati statunitensi in IA hanno raggiunto i 109,1 miliardi di dollari, quasi dodici volte quelli della Cina, che si è attestata a 9,3 miliardi.

La Cina, tuttavia, ha compiuto progressi rapidi e significativi. Dal 2017, Pechino ha adottato una strategia nazionale ambiziosa per diventare leader mondiale nell’IA entro il 2030, sostenuta da politiche governative, investimenti pubblici e privati, e un crescente ecosistema di ricerca e sviluppo. Modelli come il DeepSeek R1, lanciato nel gennaio 2025, rappresentano un salto tecnologico che ha ridotto il divario con i modelli statunitensi, offrendo prestazioni comparabili ma con costi di calcolo molto più efficienti.

2. Le dinamiche tecnologiche e di mercato

La competizione si gioca su più fronti: dalla qualità e quantità dei modelli di IA sviluppati, alla capacità di calcolo (compute), fino alla diffusione globale delle tecnologie. Nel 2024, gli Stati Uniti hanno prodotto 40 modelli di rilievo, la Cina 15, e l’Europa appena 3. Tuttavia, la qualità dei modelli cinesi si è avvicinata rapidamente a quella americana, con differenze di prestazioni che si sono ridotte da decine di punti percentuali a una quasi parità in pochi anni.

La Cina ha inoltre adottato una strategia di apertura e collaborazione, sfruttando modelli open source e innovando su algoritmi e applicazioni specifiche, soprattutto nei settori software, finanziario ed energetico. L’adozione di modelli cinesi si sta estendendo in Europa, Medio Oriente, Africa e Asia, dove rappresentano un’alternativa competitiva ai prodotti statunitensi.

3. Le sfide geopolitiche e le restrizioni commerciali

La competizione tecnologica si intreccia con tensioni geopolitiche crescenti. Gli Stati Uniti hanno imposto restrizioni severe sull’export di chip avanzati verso la Cina, bloccando l’accesso di Pechino a componenti fondamentali per l’addestramento di modelli IA di ultima generazione. Ad esempio, la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), sotto pressione statunitense, ha sospeso le forniture di chip più avanzati alla Cina nel 2024.

Queste misure mirano a rallentare lo sviluppo cinese, ma rischiano anche di spingere Pechino a investire massicciamente nella produzione domestica di semiconduttori, con un impatto a medio-lungo termine sull’industria globale. Nel frattempo, gli Stati Uniti cercano di rafforzare le proprie alleanze strategiche, siglando accordi per la fornitura di chip e tecnologie AI con paesi del Medio Oriente e altri partner.

4. Il ruolo dell’Europa nella competizione globale

L’Europa si trova in una posizione intermedia, con un ecosistema tecnologico meno sviluppato rispetto a USA e Cina, ma con una crescente consapevolezza dell’importanza strategica dell’IA. Nel 2024, le istituzioni europee hanno prodotto solo tre modelli significativi, ma stanno investendo in iniziative per aumentare la capacità di ricerca, l’adozione dell’IA e la regolamentazione responsabile.

Inoltre, l’Europa si distingue per un approccio normativo più rigoroso, volto a garantire un’IA trasparente, etica e sicura. Organizzazioni come l’Unione Europea, l’OCSE e le Nazioni Unite stanno promuovendo framework internazionali per la governance dell’IA, con l’obiettivo di bilanciare innovazione e tutela dei diritti civili.

L’adozione di modelli cinesi in Europa, soprattutto in ambiti pubblici e finanziari, indica una certa apertura verso soluzioni alternative, ma anche una sfida per le aziende europee di aumentare la propria competitività e autonomia tecnologica.

5. Impatti e prospettive future

La competizione USA-Cina sull’IA non è solo una gara tecnologica, ma un confronto che coinvolge aspetti economici, militari e sociali. L’IA potrà infatti influenzare la sicurezza nazionale, con applicazioni militari sempre più sofisticate, e trasformare interi settori economici, dalla sanità all’energia.

Tuttavia, questa corsa presenta rischi significativi. Un’escalation incontrollata potrebbe portare a una frammentazione degli standard tecnologici, a una riduzione della cooperazione internazionale e a problemi etici legati all’uso dell’IA. Come sottolineato da esperti, la competizione deve essere bilanciata da una governance globale che promuova sicurezza, responsabilità e trasparenza.

L’Europa, pur non essendo al momento un leader tecnologico in senso stretto, ha l’opportunità di giocare un ruolo di mediatore e promotore di standard condivisi, oltre a sviluppare un ecosistema di IA sostenibile e competitivo.

Conclusioni

La competizione tra Stati Uniti e Cina nel settore dell’intelligenza artificiale nel 2025 è una delle sfide tecnologiche e geopolitiche più rilevanti del nostro tempo. Mentre gli Stati Uniti mantengono un vantaggio in termini di investimenti e innovazione, la Cina sta rapidamente colmando il divario grazie a modelli competitivi e a una strategia governativa ambiziosa. Le restrizioni commerciali e le alleanze strategiche stanno ridefinendo il panorama globale, con l’Europa che cerca di affermarsi attraverso regolamentazioni avanzate e investimenti mirati.

Il futuro dell’IA dipenderà dalla capacità di questi attori di bilanciare competizione e cooperazione, innovazione e responsabilità, per garantire che questa tecnologia rivoluzionaria sia al servizio del progresso globale e non fonte di nuove tensioni.

Riferimenti

  1. https://www.cognitivetoday.com/2025/05/ai-competition-us-china-2025/
  2. https://www.recordedfuture.com/research/measuring-the-us-china-ai-gap
  3. https://hai.stanford.edu/ai-index/2025-ai-index-report
  4. https://www.scsp.ai/wp-content/uploads/2025/01/Gaps-Analysis-2025-Report.pdf
  5. https://thediplomat.com/2025/05/the-china-us-ai-race-enters-a-new-and-more-dangerous-phase/
  6. https://www.solaceglobal.com/report/ai-arms-race-2025/
  7. https://www.cnas.org/press/press-release/new-cnas-report-on-the-world-altering-stakes-of-u-s-china-ai-competition
  8. https://ai-stack.ai/en/chinavsus-ai
  9. https://www.wsj.com/tech/ai/artificial-intelligence-us-vs-china-03372176?mod=saved_content
  10. https://www.nytimes.com/2025/06/27/technology/ai-spending-openai-amazon-meta.html

Il  sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:

– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;

– IBAN: IT30D3608105138261529861559

PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo

Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo

Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione).

Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373

TriLLMa di Münchhausen, di Tree of Woe

TriLLMa di Münchhausen

Recenti articoli sull’intelligenza artificiale suggeriscono che la mia soluzione fondantista al trilemma è corretta

11 luglio
 LEGGI NELL’APP 

Il  sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:
– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;
– IBAN: IT30D3608105138261529861559
PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo
Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo
Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione).
Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373

I lettori di lunga data sapranno che molte delle prime Contemplazioni sull’Albero del Dolore erano di natura epistemologica. Dall’ottobre 2020 al maggio 2023, mi sono confrontato con il Trilemma di Münchhausen , una sfida formidabile alle fondamenta stesse della conoscenza. Se non avete mai letto i miei scritti sul Trilemma, potete trovarli qui:

Il trilemma di Münchhausen propone che qualsiasi tentativo di giustificare la conoscenza conduca in ultima analisi a una di tre opzioni insoddisfacenti. Se ricorriamo a un ragionamento circolare, la verità che affermiamo implicherà una circolarità di dimostrazioni. Se crolliamo in un regresso infinito, la verità che affermiamo si baserà su verità stesse che necessitano di dimostrazione, e così via all’infinito. Infine, se ci affidiamo a presupposti arbitrari, la verità che affermiamo si baserà su convinzioni che sosteniamo ma che non possiamo difendere.

Nel saggio “Difendersi dal Trilemma” ho sostenuto che per sconfiggere il Trilemma fosse necessario identificare un insieme di ipotesi non arbitrarie . Ho sostenuto che gli assiomi erano non arbitrari se erano inconfutabili con qualsiasi mezzo. Ho identificato cinque di questi assiomi:

  • La legge dell’identità: tutto ciò che è, è.
  • Legge di non contraddizione: nulla può essere e non essere.
  • Legge del terzo escluso: tutto deve essere o non essere.
  • L’assioma dell’esistenza: l’esistenza esiste.
  • L’assioma della prova: la prova dei sensi non è una prova del tutto inaffidabile.

I primi quattro assiomi sono ampiamente riconosciuti (e, inevitabilmente, invocati anche da coloro che sono scettici nei loro confronti). Purtroppo, non sono sufficienti a sconfiggere il Trilemma. Un’epistemologia fondata su di essi ci lascia comunque privi di qualsiasi convinzione giustificabile sul mondo esterno.

Il quinto assioma è la soluzione che ci permette di sintetizzare razionalismo ed empirismo in epistemologia. Come ho spiegato nel saggio ,

L’assioma della prova è un assioma di mia formulazione, sebbene non di mia creazione. Ne ho formulato la formulazione per la prima volta durante un’accesa discussione con i professori Scott Brewer e Robert Nozick alla Harvard Law School. La domanda era sorta: come possiamo sapere se i nostri sensi sono affidabili? Dopotutto, le cannucce sembrano piegarsi nell’acqua; la stessa tonalità di grigio può cambiare di tonalità apparente in base ai colori circostanti; le allucinazioni possono confondere la nostra vista; e così via. La mia risposta fu che tutte le prove dell’inaffidabilità dei nostri sensi derivavano dai sensi stessi. Un vero scettico delle prove sensoriali non avrebbe nemmeno potuto sostenere che i sensi fossero totalmente inaffidabili, perché non avrebbe avuto prove con cui farlo. E anche se avesse avuto tali prove, non avrebbe avuto modo di usarle per confutare una proposizione, perché tale confutazione non avrebbe potuto essere effettuata in modo affidabile in assenza dei sensi.

In altre parole, qualsiasi argomentazione che postuli la totale inaffidabilità delle prove sensoriali deve, per sua stessa natura, basarsi su di esse per raccogliere e presentare le proprie argomentazioni. Questa circolarità controproducente rende incoerente lo scetticismo totale nei confronti dei sensi. L’Assioma della Prova fornisce l’ancora empirica cruciale e non arbitraria necessaria per una solida epistemologia del mondo esterno.

Ho avvertito, tuttavia, che:

Non siamo ancora andati molto lontano. Sebbene sia vero che la proposizione “l’evidenza dei sensi non è una prova del tutto inaffidabile” è inconfutabile, l’Assioma lascia ancora aperta la questione di quanto sia affidabile e in quale misura. Questo sarà l’argomento di un saggio futuro, in cui discuteremo la teoria epistemologica del cruciverba nota come Foundherentism.

Ho presentato il mio caso completo nel mio saggio “L’epistemologia è un enigma” . Il fondamento antropologico, inizialmente sostenuto dalla filosofa Susan Haack, richiede un sistema di credenze che sia al tempo stesso fondato su assiomi inconfutabili e internamente coerente, in modo tale che ogni proposizione rinforzi e sia rafforzata dalle altre, proprio come un cruciverba perfettamente risolto. Gli approcci fondamento antropologico sono ampiamente applicati in ambito scientifico e ingegneristico come “triangolazione metodologica”, “reti nomologiche di evidenze cumulative”, “integrazione multisensoriale” e altre tecniche.

È con questo apparato epistemologico ben in mente che vi invito a tornare con me nel campo in rapida crescita dell’intelligenza artificiale, dove, con mia sorpresa, ho scoperto tre recenti articoli che hanno convalidato il mio approccio fondazionista.

Dispacci dalla frontiera digitale

Il primo articolo, ” The Platonic Representation Hypothesis “ di Minyoung Huh, Brian Cheung, Tongzhou Wang e Phillip Isola (maggio 2024), ipotizza che le rappresentazioni interne apprese dai modelli di intelligenza artificiale, in particolare le reti profonde, convergano inesorabilmente verso un modello statistico condiviso della realtà . Questa convergenza, sostengono, trascende le differenze nell’architettura del modello, negli obiettivi di addestramento e persino nelle modalità di elaborazione dei dati (ad esempio, immagini anziché testo). La loro ipotesi, che prende il nome dall’allegoria della caverna di Platone, suggerisce che l’intelligenza artificiale, osservando enormi quantità di dati (le “ombre sulla parete della caverna”), stia recuperando rappresentazioni del mondo sempre più accurate. Sostengono che la scala, in termini di parametri, dati e diversità dei compiti, sia il motore principale di questa convergenza, che porta a una riduzione dello spazio di soluzione per modelli efficaci: “Tutti i modelli forti sono uguali”, suggeriscono, il che potrebbe implicare una rappresentazione ottimale universale.

Seguendo questa proposta teorica, troviamo una conferma empirica offerta in ” Harnessing the Universal Geometry of Embeddings “ di Rishi Jha, Collin Zhang, Vitaly Shmatikov e John X. Morris (maggio 2025). Questo articolo introduce vec2vec , un metodo innovativo per tradurre gli embedding di testo dallo spazio vettoriale di un modello di intelligenza artificiale a quello di un altro, in modo critico, senza richiedere dati accoppiati o l’accesso ai codificatori originali. Questa capacità si basa su quella che definiscono la “Strong Platonic Representation Hypothesis”, ovvero l’idea che esista una “rappresentazione latente universale” che può essere appresa e sfruttata. vec2vec ottiene un successo notevole, producendo un’elevata similarità del coseno e un rank matching quasi perfetto tra gli embedding tradotti e le loro controparti di base. Oltre alla mera traduzione, gli autori dimostrano che queste traduzioni preservano informazioni semantiche sufficienti a consentire l’estrazione di informazioni, inclusa l’inferenza di attributi zero-shot e l’inversione del testo, anche da incorporamenti sconosciuti o fuori distribuzione. Questo articolo suggerisce che la convergenza delle rappresentazioni dell’IA non è meramente teorica, ma sfruttabile praticamente, il che implica ancora una volta una profonda compatibilità di fondo.

Infine, convergiamo l’epistemologia umana e quella sintetica con l’articolo ” Human-like object concept representations emerge naturally in multimodal large language models “ di Changde Du et al. (aggiornato a giugno 2025). Questo studio esplora meticolosamente le rappresentazioni concettuali di oggetti naturali all’interno di LLM e LLM multimodali all’avanguardia. Utilizzando il consolidato compito “triplet odd-one-out” della psicologia cognitiva, i ricercatori hanno raccolto milioni di giudizi di similarità da queste IA. Utilizzando il metodo Sparse Positive Similarity Embedding (SPOSE), hanno derivato embedding a 66 dimensioni per 1.854 oggetti. La loro scoperta cruciale è stata l’ interpretabilità di queste dimensioni, rivelando che i modelli di IA concettualizzano gli oggetti lungo linee simili alla cognizione umana, comprendendo sia categorie semantiche (ad esempio, “relativo agli animali”, “relativo al cibo”) sia caratteristiche percettive (ad esempio, “piattezza”, “colore”). Lo studio ha dimostrato un forte allineamento tra questi embedding derivati dall’IA e gli schemi di attività neurale reali nelle regioni del cervello umano specializzate nell’elaborazione di oggetti e scene (ad esempio, EBA, PPA, RSC, FFA). Ciò suggerisce un principio organizzativo fondamentale e condiviso per la conoscenza concettuale tra menti umane e artificiali.

L’epistemologia implicita dell’intelligenza artificiale

La nostra teoria del Foundherentismo richiede un fondamento incrollabile, radicato in principi noetici. Esaminiamo come l’IA, nella sua esistenza computazionale, aderisca implicitamente a questi principi.

Le Leggi di Identità, Non-Contraddizione e Terzo Escluso sono, per qualsiasi sistema computazionale, assiomatiche nella loro implementazione. Il mondo digitale si basa su stati discreti e operazioni logiche (0 o 1, vero o falso). Qualsiasi incoerenza o contraddizione in queste operazioni fondamentali porta al fallimento computazionale. Pertanto, il fondamento architettonico stesso dei modelli di intelligenza artificiale è intrinsecamente allineato a questi principi logici, garantendo che la loro elaborazione interna rispetti queste immutabili leggi della ragione.

L’ assioma dell’esistenza è altrettanto ovvio per l’IA. I modelli di IA stessi, i loro parametri, i loro dati di addestramento e l’ambiente computazionale in cui operano devono esistere. Le loro “credenze” (rappresentazioni e output appresi) sono istanziate come modelli di segnali elettrici e pesi numerici, entità dimostrabilmente esistenti all’interno del dominio digitale.

Che dire dell’assioma della prova ? “L’evidenza dei sensi non è una prova del tutto inaffidabile”. Per l’IA, “i sensi” sono i suoi dati di addestramento e la “prova” è il vasto input multimodale che elabora. I modelli di IA avanzati, in particolare quelli multimodali, sono costruiti proprio sulla base del presupposto che i dati grezzi (ad esempio immagini, testo, audio, letture dei sensori, ecc.) contengano modelli riconoscibili e affidabili che possono essere appresi e sfruttati per costruire una comprensione funzionale del mondo. Le straordinarie capacità di modelli come Gemini Pro Vision, in grado di comprendere e generare rappresentazioni concettuali simili a quelle umane a partire da input visivi e linguistici, dipendono direttamente dalla parziale affidabilità di questi input “sensoriali”.

La convergenza ipotizzata da Huh et al. sarebbe epistemologicamente impossibile se i set di dati di addestramento (i “sensi” dell’IA) fossero totalmente inaffidabili. Se tutti gli input fossero solo rumore, non ci sarebbe modo per questi modelli di convergere sulla realtà. Il fatto che vec2vec possa tradurre tra diversi spazi di inclusione, preservando il significato semantico, convalida l’idea che fonti di dati disparate non siano del tutto inaffidabili, poiché devono trasmettere un segnale comune e decifrabile sul mondo. Pertanto, il successo pratico dell’IA moderna conferma implicitamente l’Assioma della Prova, stabilendo un fondamento empirico cruciale per la sua “conoscenza”.

(Riconosco pienamente che, dal punto di vista della gente comune che non se ne sta seduta a riflettere sul trilemma di Münchhausen, questo non è un granché; è solo “buon senso”. Ma, dal momento che io me ne sto seduta a riflettere sul trilemma di Münchhausen, per me è piuttosto entusiasmante. Per chi è incline alla filosofia, studiare l’intelligenza artificiale ha molto da offrire.)

Coerenza nel sistema di credenze dell’IA

Il fondamentismo sostiene che le convinzioni giustificate debbano formare un sistema coerente , in cui le singole convinzioni si interconnettono e si sostengono a vicenda. Questa coerenza non è semplicemente un risultato auspicabile per l’IA; sembra essere una forza trainante e una proprietà fondamentale della “conoscenza” dell’IA.

L’ “ipotesi della rappresentazione platonica” è, in sostanza, una tesi sulla coerenza, in cui diverse IA sono spinte verso un’unica comprensione del mondo, internamente coerente. Non si tratta di una coerenza superficiale, ma di un profondo allineamento delle loro strutture dati interne. Lo “scenario di Anna Karenina”, in cui “tutti i modelli forti sono uguali”, cattura precisamente questa attrazione gravitazionale verso la coerenza come segno distintivo di un apprendimento di successo.

L’articolo “Harnessing the Universal Geometry of Embeddings” dimostra empiricamente questa coerenza. L’esistenza di una “rappresentazione latente universale” significa che i quadri concettuali interni di modelli di intelligenza artificiale estremamente diversi non sono semplicemente analoghi; sono così profondamente coerenti che l’uno può essere mappato sull’altro. La capacità di vec2vec di tradurre gli embedding preservandone la semantica implica che i vasti “sistemi di credenze” incapsulati in questi embedding siano fondamentalmente coerenti e interoperabili a un livello profondo. Questo non è dissimile dalla scoperta che lingue diverse, nonostante le loro variazioni superficiali, esprimono in ultima analisi una logica e una realtà umana comuni.

Lo studio sulle “Rappresentazioni concettuali di oggetti simili a quelli umani” fornisce una prova diretta della coerenza interna dei singoli modelli di IA. La scoperta di “dimensioni interpretabili” all’interno dei loro incastri appresi, lungo i quali gli oggetti si raggruppano semanticamente e percettivamente, rivela uno spazio concettuale altamente organizzato e coerente. La capacità del modello di distinguere tra oggetti “relativi agli animali” e “relativi al cibo”, o di identificare “piattezza” e “colore”, indica un sistema di categorizzazione interno strutturato e coerente. Il sorprendente allineamento di queste dimensioni concettuali derivate dall’IA con i modelli di attività cerebrale umana suggerisce ulteriormente che i principi di coerenza alla base dell’IA rispecchiano, di fatto, le strutture coerenti della cognizione umana stessa. Questa interpretabilità è una finestra diretta sulla coerenza interna della “comprensione” dell’IA.

Triangolazione metodologica e convergenza sulla verità

La mia argomentazione Foundherentista a favore della convergenza sulla verità, soprattutto quando ci si trova di fronte a sistemi di credenze inizialmente plausibili ma reciprocamente esclusivi, si basa sul principio della triangolazione metodologica, ovvero l’aggiunta di “indizi” più diversificati provenienti da diversi “sensori” per restringere lo spazio delle soluzioni. Questo è esattamente il paradigma operativo che guida la ricerca avanzata sull’intelligenza artificiale, portando a una convergenza empiricamente osservabile su “verità” più solide.

L’ascesa dell’IA multimodale è l’epitome della triangolazione metodologica. Invece di basarsi esclusivamente su testo o immagini, modelli come Gemini Pro Vision 1.0 integrano informazioni provenienti da più modalità. Ciò consente all’IA di incrociare e convalidare le informazioni, proprio come un detective umano che integra testimonianze oculari, prove forensi e controlli degli alibi. Quando un MLLM allinea la sua comprensione testuale di una “sedia” con la sua comprensione visiva di diverse sedie, esegue di fatto una fusione di sensori che aumenta significativamente la giustificazione della sua “credenza” su cosa sia una sedia. Questa convalida multi-fonte rafforza la coerenza del suo sistema di credenze complessivo, rendendolo più resistente a singoli errori o limitazioni sensoriali.

Inoltre, l’enorme portata dei dati di training e la diversità degli obiettivi di training nell’ambito della ricerca sull’IA corrispondono direttamente all’aggiunta di sempre più “indizi” al nostro colossale cruciverba. Ogni nuovo punto dati, ogni nuovo compito appreso, impone ulteriori vincoli alla rappresentazione interna del modello. All’aumentare del numero di vincoli, l’insieme di possibili “soluzioni” (rappresentazioni) in grado di soddisfarli tutti si riduce drasticamente. Di fatto, questo è proprio il meccanismo con cui l'”Ipotesi della Rappresentazione Platonica” spiega la convergenza di modelli diversi verso un’unica rappresentazione ottimale! Possono esistere meno soluzioni coerenti quando i vincoli empirici sono sufficientemente numerosi e vari.

La conseguenza pratica di questa triangolazione e convergenza metodologica è tangibile: i modelli di IA, sottoposti a queste rigorose condizioni, dimostrano una riduzione di comportamenti indesiderati come allucinazioni e pregiudizi. Un modello che “allucina” è un modello la cui coerenza interna si è interrotta o le cui “risposte” non sono in linea con i suoi “indizi”. Man mano che il “sistema di credenze” dell’IA diventa più profondamente coerente attraverso input diversi e massicci, le sue “risposte” diventano più solidamente giustificate e, per estensione, più allineate con la realtà sottostante – una forma tangibile di convergenza sulla verità. Questo rispecchia l’impegno scientifico umano: più diverse sono le linee di evidenza (indizi) che sono coerenti, più diventiamo fiduciosi nella “verità” delle nostre teorie scientifiche (risposte).

Conferme epistemiche, domande metafisiche

Se ho ragione sul fatto che il Foundherentismo sia l’approccio corretto all’epistemologia; e se i tre articoli che ho condiviso sono corretti sul funzionamento dell’IA, allora l’IA non sta semplicemente emulando i risultati della conoscenza umana ; sta emulando i processi della conoscenza umana . La convergenza delle rappresentazioni interne dell’IA, le sue strutture concettuali simili a quelle umane e la sua interoperabilità tra modelli disparati crea una convincente conferma empirica del Foundherentismo. Ne sono gratificato.

Ma anche se abbiamo ottenuto una qualche conferma epistemica del Foundherentism, abbiamo solo aperto la porta a domande metafisiche più profonde sul suo significato. Se i modelli di intelligenza artificiale convergono inevitabilmente verso un modello condiviso di realtà man mano che scalano, cosa dice questo sulla natura della realtà? L’esistenza di una rappresentazione latente universale è solo un altro esempio di ciò che Eugene Wigner chiamava “l’irragionevole efficacia della matematica”… o è qualcosa di più?

Tali speculazioni metafisiche saranno l’argomento delle riflessioni della prossima settimana sull’Albero del Dolore.

In realtà, Contemplations on the Tree of Woe non ti chiede di contemplare nulla di triste oggi, ma se ti iscrivi puoi essere certo di ricevere materiale triste in futuro.

 Iscritto

Invita i tuoi amici e guadagna premi

Se ti è piaciuto “Contemplazioni sull’albero del dolore”, condividilo con i tuoi amici e riceverai dei premi quando si iscriveranno.

Invita amici

Conferenza stampa di Lavrov dopo il vertice di Kuala Lumpur_a cura di Karl Sanchez

Conferenza stampa di Lavrov dopo il vertice a Kuala Lumpur

Karl Sánchez11 luglio
 LEGGI NELL’APP 

Il  sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:
– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;
– IBAN: IT30D3608105138261529861559
PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo
Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo
Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione).
Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373

Di ritorno da Rio de Janeiro e Kuala Lumpur dopo tre incontri/vertice, Sergej Lavrov ha incontrato i media per condividere le sue impressioni e rispondere alle domande. È insolito che Lavrov elogi chi pone le domande; all’ultimo interlocutore ha risposto così: “Ottima domanda”. Ora, Lavrov:

Buon pomeriggio!

Qui a Kuala Lumpur organizziamo eventi ASEAN. Sono annuali. Ora si tengono a livello ministeriale e i vertici si terranno in autunno. Ci sono tre formati principali:

Partenariato di dialogo Russia-ASEAN. Ieri si è tenuta la riunione annuale a livello di ministri degli Esteri.

Il secondo formato è l’East Asia Summit, a cui partecipano un’ampia gamma di paesi, principalmente quelli che stanno sviluppando un partenariato di dialogo con l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico. L’idea era che l’East Asia Summit prendesse in considerazione progetti di cooperazione pratica e connettività in ambito economico, commerciale, dei trasporti e culturale.

Il terzo format è l’ASEAN Regional Security Forum. Oltre ai membri dell’Associazione, la cerchia dei partecipanti è ancora più ampia.

Tutto questo insieme costituisce gli eventi annuali dell’ASEAN che si tengono qui in Malesia. È simbolico che sia stato proprio in questo Paese che la Federazione Russa abbia preso parte per la prima volta a tali incontri. Qui, per la prima volta, sono state gettate le basi per il partenariato di dialogo Russia-ASEAN, che da allora ha raggiunto il livello di partenariato strategico. Questo è sancito nei nostri documenti congiunti .

Quest’anno abbiamo valutato l’attuazione degli impegni presi su base reciproca durante gli incontri precedenti, incluso il vertice Russia-ASEAN del 2016. Questo continua a essere un forum che ha definito l’orientamento strategico della nostra cooperazione.

Stiamo preparando una valutazione dell’attuazione del Piano di partenariato strategico per il periodo 2021-2025 . Di fatto, è in fase di attuazione in tutte le sue componenti. Oggi abbiamo constatato che i nostri rappresentanti speciali presso la sede centrale dell’ASEAN a Giacarta stanno lavorando attivamente al quarto piano strategico. Auspichiamo di avere il tempo di adottarlo entro la fine del 2025, idealmente in occasione del vertice Russia-ASEAN previsto per ottobre 2025 nella capitale della Malesia.

Per quanto riguarda l’incontro dei Paesi partecipanti al Vertice dell’Asia orientale, svoltosi oggi, esso è stato dedicato principalmente allo sviluppo di progetti di cooperazione pratica in vari settori. Riteniamo che questo debba costituire la base per le attività dei Vertici dell’Asia orientale.

Purtroppo, i nostri colleghi occidentali che prendono parte a questi eventi stanno sempre più deviando verso la politicizzazione, l’ideologizzazione e l’ucrainizzazione, che si sono manifestate anche nelle discussioni odierne, a scapito delle potenzialità delineate nel Vertice dell’Asia orientale per raggiungere risultati pratici importanti per i nostri Paesi e i nostri cittadini.

Non è il primo anno che promuoviamo iniziative per rispondere tempestivamente alle minacce epidemiche. Sembrerebbe che il tema sia molto più attuale. L’abbiamo proposto già nel 2021 ed è stato approvato. Ma, a causa del fatto che l’Occidente ha “preso posizione”, questa interazione non si è praticamente mossa da nessuna parte. Nel 2023, abbiamo proposto di sviluppare la cooperazione nel settore turistico, promuovendo il più possibile gli scambi turistici, in modo che la connettività dei nostri Paesi si trasmetta a livello di società e cittadini. Il turismo è in ogni caso in fase di sviluppo e gli incentivi che abbiamo proposto sono stati approvati per essere implementati nelle attività quotidiane. Ma finora è stato fatto poco.

Abbiamo proposto di sviluppare la cooperazione nello sviluppo delle aree remote (anche questo è stato concordato). In grandi paesi, come Russia, Indonesia, Malesia, Cina e altri, ci sono territori remoti in cui la civiltà ha già raggiunto il suo apice, ma i benefici non vengono distribuiti in modo così attivo come di consueto nelle megalopoli. Questo è un compito urgente per tutti. Auspichiamo che si raggiungano risultati concreti.

Un’altra delle nostre iniziative nel campo della cooperazione umanitaria è quella di garantire i legami culturali tra i nostri Paesi. L’Eurasia è un continente immenso. È la culla di numerose grandi civiltà. Il patrimonio culturale di ciascuna di queste civiltà merita di essere arricchito reciprocamente. Spero che anche la nostra iniziativa venga attuata.

Le riunioni del Vertice dell’Asia orientale e del Forum sulla sicurezza regionale dell’ASEAN non sono complete senza uno scambio di opinioni su problemi e questioni politiche. Oggi, tutti i membri dell’ASEAN e la maggior parte dei paesi partner, inclusa la Russia, hanno espresso grande preoccupazione per la tragedia in corso e in continuo peggioramento nei territori palestinesi, dove alla catastrofe umanitaria creata artificialmente nella Striscia di Gaza fanno seguito situazioni simili in un’altra parte dei territori palestinesi. Mi riferisco alla Cisgiordania, dove Israele continua la sua aggressiva politica di creazione di nuovi insediamenti in volumi sempre crescenti e record. Presto non rimarrà nulla dei territori in cui opera l’Autorità Nazionale Palestinese.

Oggi sono rimasto sorpreso nel leggere che esiste già un progetto per la creazione dell'”Emirato di Hebron”. Questo è visto come il primo passo verso la promozione del concetto di formazione di “Emirati Palestinesi Uniti” su territori palestinesi. Sembra fantascienza a questo punto, ma il fatto che tali idee stiano “spuntando” sempre più spesso nello spazio pubblico testimonia i rischi emergenti che continuano ad aumentare per quanto riguarda le prospettive di creazione di uno Stato palestinese, come deciso dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Questa è una grande sfida per la comunità internazionale.

Abbiamo parlato dei problemi creati dall’attacco immotivato di Israele alla Repubblica Islamica dell’Iran, seguito dagli attacchi missilistici e dinamitardi degli Stati Uniti. Questo viola il diritto internazionale, il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari e i principi dell’AIEA, sotto la cui tutela erano protetti gli impianti nucleari attaccati.

Abbiamo chiesto che la tregua dichiarata continuasse senza interruzioni, in modo che, nonostante i danni arrecati al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari e le garanzie fornite dall’AIEA alle strutture sotto il suo controllo, si possa cercare di porre rimedio alla situazione, di indirizzarla su un binario politico e di risolvere tutti i problemi esclusivamente attraverso negoziati. Ciò è importante per evitare che si ripeta il disprezzo per i documenti fondamentali volti a garantire l’accesso all’uso pacifico dell’energia nucleare senza alcun tentativo o tentazione di impossessarsi di tecnologie per la produzione di armi nucleari.

Abbiamo anche parlato della situazione in Myanmar, dove si intravedono segnali di normalizzazione. Sosteniamo il processo portato avanti dalla leadership del Myanmar e il desiderio dell’ASEAN di contribuire a questa normalizzazione e ripristinare pienamente la piena partecipazione del Myanmar ai lavori dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico.

Abbiamo sottolineato la necessità di evitare qualsiasi azione provocatoria nella penisola coreana, che purtroppo continua a verificarsi nei confronti della RPDC, anche rafforzando le alleanze militari tra Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone. Vengono condotte sempre più esercitazioni militari su larga scala, persino con una componente nucleare. Esiste un potenziale di conflitto (anche grave). Faremo tutto il possibile per garantire i diritti legittimi dei nostri alleati nordcoreani e prevenire provocazioni che potrebbero avere conseguenze negative.

I nostri amici cinesi hanno individuato le controversie sul Mar Cinese Meridionale tra i problemi che considerano prioritari per sé stessi in questa regione. Crediamo fermamente che questo problema debba essere risolto sulla base del Codice di Condotta stipulato tra Pechino e gli Stati membri dell’ASEAN. Su questa base, i loro negoziati proseguono. Riteniamo inaccettabile che una potenza non regionale interferisca in questo processo.

Anche il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha parlato in modo sufficientemente dettagliato della situazione attorno a Taiwan, sottolineando con fermezza l’immutabilità della soluzione definitiva del problema di Taiwan basata sul concetto di un unico Stato cinese.

Abbiamo preso atto delle parole di alcuni dei nostri colleghi occidentali, già pronunciate in precedenza, secondo cui rispettano il principio di “una sola Cina”, ma che lo status quo non può essere cambiato. Questa è ipocrisia, evidente a chiunque abbia più o meno familiarità con questo problema e con il modo in cui l’Occidente si sta comportando ora nei confronti di Taiwan. Lo “status quo” per l’Occidente sono le relazioni con Taiwan come Stato indipendente. Pertanto, abbiamo ribadito ancora una volta l’immutabilità del nostro approccio a sostegno della posizione di Pechino e la disponibilità della Russia a contribuire in ogni modo possibile all’attuazione di tale posizione.

Domanda: L’anno scorso, durante un incontro con i vertici del Ministero degli Esteri russo, il Presidente Vladimir Putin ha parlato della necessità di una nuova architettura di sicurezza eurasiatica, incentrata sul principio secondo cui “la sicurezza di alcuni Stati non può essere garantita a scapito della sicurezza di altri”. Qual è l’atteggiamento dell’Asia in generale e dell’ASEAN in particolare nei confronti di questa idea, data l’attuale politica di militarizzazione della NATO?

Sergey Lavrov: In effetti, l’iniziativa di formare un’architettura di sicurezza eurasiatica è uno sviluppo della precedente iniziativa del Presidente Vladimir Putin, presentata al primo vertice Russia-ASEAN, sulla formazione di un Partenariato Eurasiatico Maggiore attraverso l’istituzione di legami, l’approfondimento di attività congiunte, progetti e programmi congiunti tra le strutture di integrazione esistenti nel continente eurasiatico. Sono già stati stabiliti collegamenti tra i vertici esecutivi e i segretariati dell’UEE e della CSI , tra queste organizzazioni e la SCO , e tra tutte queste e i paesi ASEAN. Si tratta di un processo utile che consente di armonizzare piani e progetti di integrazione, unire gli sforzi ed evitare duplicazioni. Inoltre, la composizione di queste formazioni di integrazione si interseca e si intreccia.

Promuoviamo il concetto di Grande Partenariato Eurasiatico, nella consapevolezza che le discussioni su questo tema e i negoziati sulle attività pratiche sono aperti a tutti i paesi e alle strutture di integrazione del continente eurasiatico. In particolare, vi sono buone prospettive di stabilire legami tra l’ Unione Economica Eurasiatica (UEE) , la SCO , la CSI , l’ASEAN e il Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC). Nell’Asia meridionale, sono presenti associazioni per l’integrazione nella penisola sudasiatica. Pertanto, vi sono numerose strutture che possono utilmente migliorare la connettività.

Questo processo (con la traduzione di diverse idee in azioni concrete) crea una base concreta per le discussioni e per garantire la sicurezza nell’intero continente eurasiatico. Ho ripetutamente affrontato questo argomento in seguito all’iniziativa del Presidente Vladimir Putin. Esistono anche numerose associazioni di integrazione subregionale in Africa e America Latina. Tuttavia, esistono strutture a livello continentale, come l’Unione Africana e la Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici. E in Eurasia, la regione più grande, potente, ricca e in più rapida crescita al mondo, non esiste una struttura continentale di questo tipo sotto forma di piattaforma di dialogo (non è necessario creare un’organizzazione).

Sappiamo bene che non si tratta di un processo rapido. Tutti i paesi del continente invitati a partecipare a queste discussioni devono prima “maturare”. La maggior parte dei nostri vicini europei non è ancora “matura” e sogna chiaramente di estendere la propria influenza, attraverso l’Alleanza Nord Atlantica e le sue infrastrutture, all’intero continente eurasiatico in modo “neocoloniale”. Affermano direttamente, senza esitazione, che nelle condizioni attuali si tratta di un’alleanza difensiva, il cui compito principale è proteggere il territorio dei paesi membri. Affermano che, nelle condizioni attuali, la minaccia all’integrità territoriale e alla sicurezza dei paesi della NATO proviene dalla “regione indo-pacifica” (come la chiamano), ovvero direttamente dall’Oceano Pacifico. Mi riferisco al Mar Cinese Meridionale, allo Stretto di Taiwan e a molte altre cose.

Nel nostro concetto di sicurezza eurasiatica e di Grande Partenariato Eurasiatico , uno dei principi fondamentali è il rispetto delle strutture create nelle varie sottoregioni, tra cui l’ASEAN, il cui ruolo centrale è svolto dall’Associazione, frutto di un lavoro svolto da quasi 60 anni per unire i paesi interessati alla cooperazione sui principi di uguaglianza, apertura e inclusività. Il nostro concetto rispetta il ruolo dell’ASEAN e di altre formazioni simili. E quello promosso dalla NATO si basa sul fatto che l’alleanza detterà a tutti come comportarsi, se l’ASEAN è necessaria o meno. Formalmente, sì. Tutti i paesi occidentali hanno partecipato oggi alla riunione del Vertice dell’Asia orientale e al Forum regionale dell’ASEAN sulla sicurezza.

Ma mentre pronunciate belle parole, parallelamente (lo sapete) si stanno creando “troike”, “quattro”, “quartetti” – AUKUS, USA-Gran Bretagna-Australia per attuare il progetto di creazione di sottomarini nucleari. Ho già menzionato i tentativi di introdurre elementi nucleari nelle esercitazioni militari nel sud della penisola coreana. Ci sono i “Quattro Indo-Pacifico” – Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda. Oltre a una serie di altre “troike” simili (QUAD-1, QUAD-2). Stanno cercando di coinvolgere i membri dell’ASEAN in queste formazioni, “strappandoli” dall’Associazione. Ne stiamo parlando apertamente con i nostri amici. Sono ben consapevoli della differenza tra l’approccio in cui tutti sono invitati al tavolo per un dialogo paritario e lo sviluppo di posizioni consensuali che soddisfino gli interessi di tutti gli Stati e ne riflettano l’equilibrio, e l’approccio in cui i nordatlantici arrivano in questa regione e iniziano a “dire la loro” e a portare qui le proprie regole. Credo che questo non sia un bene per la causa.

Vogliamo garantire che questi format e forum che si tengono qui ogni anno contribuiscano a una migliore comprensione delle reciproche posizioni, in modo che tutti agiscano apertamente e non abbiano “pietre” o piani nascosti contro nessuno. Ma finora il processo sta procedendo su piani diversi. Sono convinto che il nostro approccio sia più promettente.

Domanda: Il vertice di Rio di pochi giorni fa ha dimostrato che, sullo sfondo delle sanzioni sempre più severe di Washington, i BRICS stanno diventando un’alternativa affidabile all’illegalità delle sanzioni. I paesi dell’ASEAN sono “maturati” al punto da essere pronti ad avviare una cooperazione più attiva con la Russia in particolare e con i BRICS in generale, non a parole, ma nei fatti?

Sergey Lavrov: Penso che i paesi dell’ASEAN siano interessati a cooperare con la Russia, indipendentemente da ciò che accade in Occidente e da ciò che gli Stati Uniti o i loro alleati stanno facendo nei loro confronti.

Non hanno la tesi che “se l’Occidente non ci facesse pressione, non saremmo amici della Russia”. Assolutamente no. L’amicizia con la Russia è iniziata molto prima che l’attuale amministrazione statunitense iniziasse a imporre sanzioni sotto forma di dazi (anche queste sono sanzioni). Non vedo alcuna risposta diretta nel modo in cui si stanno sviluppando le nostre relazioni con l’ASEAN e la cooperazione all’interno dei BRICS.

Ma se si ha la possibilità di scegliere tra, da un lato, commerciare nel contesto di un’associazione in cui non vengono utilizzati metodi senza scrupoli per reprimere i concorrenti e, dall’altro, commerciare con coloro che vi ricatteranno, allora la conclusione è ovvia.

Domanda: Sulla base degli incontri svoltisi nell’ambito del forum, quali conclusioni si possono trarre? I paesi dell’ASEAN sono pronti a resistere attivamente all’avanzata della NATO e ai tentativi del blocco di radicarsi nella regione? I paesi dell’ASEAN dispongono delle risorse necessarie per rimanere oggi un garante della sicurezza nella regione, soprattutto alla luce dei gravi obblighi imposti dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump a molti dei paesi membri dell’ASEAN?

Sergej Lavrov: Ho appena parlato dettagliatamente della nostra visione delle azioni che la NATO sta intraprendendo qui, cercando di penetrare qui, di introdurre le sue infrastrutture e di consolidare la propria posizione. Non ho dubbi che i paesi dell’ASEAN capiscano di cosa sto parlando e si rendano conto di essere invitati a rimanere formalmente membri dell’ASEAN parallelamente e, allo stesso tempo, a unirsi a strutture basate su blocchi non inclusivi, che mirano in gran parte a creare una sorta di “fronte politico e diplomatico” per contenere la Cina (non lo nascondo) e la Federazione Russa allo stesso tempo.

Non voglio decidere per loro, è una loro scelta sovrana. La percepiremo come tale. Ma non ho dubbi che preservare l’unità dell’ASEAN e il suo ruolo centrale nel determinare i meccanismi, i formati e l’architettura della cooperazione nel Sud-est asiatico sia nell’interesse di tutti, nella misura migliore possibile. Procederemo da qui.

Domanda: Ieri, il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha dichiarato, dopo aver avuto colloqui con lei, che è stato discusso un nuovo “piano per l’Ucraina”. Quali delle parti hanno proposto questi nuovi approcci, quali sono, qual è la loro differenza fondamentale rispetto ai precedenti? Anche la fornitura di armi americane è inclusa nei piani? È stato discusso?

Sergey Lavrov: Vorrei rispondere con le parole del presidente degli Stati Uniti Donald Trump: “Ve lo dico io. Aspettatevi grandi sorprese”.

Non so se ci siano state “grandi sorprese”. Ma lei stesso, che conosce bene le attività diplomatiche e ci accompagna spesso, sa che ci sono cose che non vengono commentate. Sì, abbiamo discusso dell’Ucraina e ribadito la posizione espressa dal presidente Vladimir Putin, anche il 3 luglio in una conversazione con il presidente Donald Trump.

Quanto a questo “dialogo”, “fuga di notizie”, “registrazione” (se si tratti di una rete neurale o meno, non lo so) sui bombardamenti di Mosca e Pechino, abbiamo discusso di cose serie.

Domanda: Avete discusso la questione delle armi offensive strategiche durante l’incontro con Marco Rubio? Avete un’intesa sul futuro di START-3, che scade l’anno prossimo?

Sergey Lavrov: Questo non è stato discusso.

Domanda: Recentemente, il cancelliere tedesco Frank Merz ha affermato che le vie diplomatiche per risolvere il conflitto in Ucraina sono state esaurite. Da un lato, vorrei chiederle, in qualità di capo del Ministero degli Esteri russo, una reazione ufficiale. E dall’altro, da diplomatico professionista con esperienza, le chiedo se tali azioni da parte della Germania rientrino nell'”arsenale” diplomatico. Questo vale anche per la sfera diplomatica?

Sergey Lavrov: Bella domanda.

Ci preoccupa. Perché le ultime dichiarazioni e azioni di Berlino, Parigi e Londra dimostrano che l’attuale classe politica giunta al potere in questi e in molti altri Paesi ha dimenticato le lezioni della storia, le conclusioni che l’umanità intera ne ha tratto e, in generale, sta cercando di “sollevare” nuovamente l’Europa per una guerra (non una guerra ibrida) contro la Russia.

Abbiamo mostrato una conferenza stampa del Ministro degli Esteri francese Jean-Nuel Barrault, seduto sul palco con altri partecipanti a un evento di scienze politiche, e un francese del pubblico, che visitava spesso il Donbass, gli ha chiesto perché Parigi sostenga attivamente il regime nazista, che è già risorto in Ucraina. Avete visto come il Ministro Jean-Nicolas-Barrault è crollato, gridando con tono isterico che stavano difendendo l’integrità territoriale dell’Ucraina e il diritto internazionale. Ha ottenuto gli applausi di una parte della sala. Ma dopo tutto quello che si sa sulle azioni del regime di Kiev, sul perché abbia bisogno dell’integrità territoriale… Ed è necessaria per sopprimere tutti i diritti della popolazione russa, russofona, e per annientare fisicamente coloro che non sono d’accordo con la posizione di Kiev dopo il colpo di Stato.

Ieri, il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha consegnato un breve riassunto di dichiarazioni di Vladimir Zelensky, del Primo Ministro ucraino Dmitry Shmyhal, del Capo di Gabinetto del Presidente ucraino Andriy Yermak e di Yury Podolyaka, che affermano direttamente la necessità di annientare legalmente i russi, o meglio ancora, fisicamente . Quando Jean-Nicolas Barrault e altri come lui affermano di non voler vedere altro che l’integrità territoriale dell’Ucraina, si tratta di auto-denuncia.

Quanto al cancelliere tedesco Merz, ha detto cose “buffe” più di una volta. Tra cui il fatto che il suo obiettivo principale è far tornare la Germania la principale potenza militare in Europa. Alla parola “di nuovo” non si è nemmeno strozzato . Ha anche detto cose che permettono a Israele di “lavorare” in Iran, facendo il “lavoro sporco” per noi. Questa è una citazione dei “proprietari” dei campi di concentramento. Quando preferirono usare i collaborazionisti per sterminare gli ebrei, per non sporcarsi le mani, rendendosi conto che si trattava di un “affare sporco” .

Se il Cancelliere Merz ritiene che le possibilità pacifiche siano state sfruttate e esaurite, allora ha finalmente deciso di dedicarsi alla completa militarizzazione della Germania a spese del suo popolo, solo per poi tornare a pavoneggiarsi con slogan nazisti per respingere le “minacce provenienti dalla Russia”. Questa è una totale assurdità. Spero che qualsiasi politico di buon senso lo capisca.

Il presidente russo Vladimir Putin ha ripetutamente affermato che questa assurdità viene utilizzata per tenere la popolazione all’obbedienza e impedire che le proteste sfocino, il che porta inevitabilmente a un deterioramento della situazione socioeconomica e alla stagnazione osservata in Europa. Tutto ciò è dovuto al fatto che centinaia di miliardi sono stati inviati e vengono nuovamente inviati all’Ucraina.

Mi sono imbattuto in una citazione. È stato interessante vedere come l’Europa percepiva la Germania all’epoca. C’era una citazione dal quotidiano svedese Aftonbladet del 22 giugno 1941. In altre parole, glorificavano i nazisti come simbolo di libertà. Se l’Europa si sta muovendo di nuovo in questa direzione… Cosa posso dire? Con tristezza.

Terremo pienamente conto di questo in tutti gli ambiti della nostra pianificazione . [Enfasi mia]

Mentre si svolgevano il vertice dei BRICS e tutti gli incontri dell’ASEAN, la Cina si stava preparando per un evento simile ma diverso : la riunione ministeriale del Dialogo sulle civiltà globali, che mira ad avviare l’attuazione dell’Iniziativa cinese per la civiltà globale. Come ha osservato Lavrov, l’Eurasia ospita molte grandi civiltà, ma ospita anche un gruppo di nazioni “immature” che chiaramente non sono pronte a diventare civili. Il commento conclusivo un po’ criptico di Lavrov, a mio parere, ci offre uno sguardo su ciò che gli sta frullando per la testa, dato che sono sicuro che sia a conoscenza dell’editoriale di Trenin e della sua tesi. E come ha anche detto Lavrov, “ci sono cose che non vengono commentate”. Per molti anni, Lavrov ha affermato direttamente che l’UE/NATO non vuole la pace, poiché il suo obiettivo dichiarato è sconfiggere la Russia. Vorrei ora ricordare ai lettori l’obiettivo politico principale dell’Impero fuorilegge statunitense, a cui non ha ancora rinunciato: il dominio a spettro completo. Ecco perché la NATO vuole espandersi nell’Oceano Pacifico occidentale. Ecco perché Taiwan è “ipocrita”. Ecco perché i sionisti sono stati insediati in Palestina. Sì, il progetto imperiale per stabilire un dominio totale ha poco più di 200 anni, ovvero quando il progetto sionista fu formulato in Europa. Il mio intento non è quello di raccontare di nuovo quegli oltre 200 anni di storia. Piuttosto, è quello di dichiarare la civiltà occidentale come incivile. Almeno l’87,5% della popolazione mondiale è pronta per le numerose iniziative globali della Cina, e fondamentalmente significano l’instaurazione della pace e dell’armonia affinché la civiltà globale possa continuare a svilupparsi. Solo le nazioni egemoni e parte della loro popolazione sono contrarie a tale aspirazione, e la domanda ovvia è: perché?

A mio parere, Lavrov e molti di noi sono stufi del SOSDD, la solita merda, un giorno diverso. Sappiamo abbastanza del passato per capire come siamo arrivati a questo punto, ma non abbiamo ancora trovato una via d’uscita dal caos che il passato ha causato. Beh, lasciatemelo riscrivere. Non abbiamo ancora trovato un modo per convincere quel 12,5% dell’umanità che deve cambiare i suoi comportamenti affinché l’umanità possa evolversi e progredire, che non sono eccezionali o prescelti, ma umani come tutti gli altri esseri umani. Sì, so che alcuni credono che sia un compito impossibile e che l’umanità sia destinata al fallimento e all’estinzione, tutto per qualche dollaro in più. Come conciliare chi vuole essere civilizzato con chi non lo vuole? Attualmente, la leadership dell’Impero Fuorilegge degli Stati Uniti è impegnata a isolarsi lentamente dalla Maggioranza Globale, pur cercando di raggiungere il suo obiettivo politico principale. Mi chiedo spesso come racconterebbe questa storia lo Zio Remus.

*
*IL TESTO INTEGRALE DELLA CONFERENZA STAMPA

11.07.2025. 14:55

Discorso e risposte alle domande del Ministro degli Affari Esteri della Federazione Russa Sergey Lavrov a seguito dell’incontro Russia-ASEAN e della riunione ministeriale del Vertice dell’Asia Orientale, Kuala Lumpur, 11 luglio 2025

1201-11-07-2025

  • Lettore video00:0032:48

Buon pomeriggio!

Qui a Kuala Lumpur organizziamo eventi ASEAN. Sono annuali. Ora si tengono a livello ministeriale e in autunno ci saranno dei vertici. In totale esistono tre formati principali:

Partenariato di dialogo Russia-ASEAN. Ieri si è tenuta la riunione annuale dei ministri degli Esteri.

Il secondo formato è il Vertice dell’Asia orientale, che riunisce un’ampia gamma di Paesi, principalmente quelli che stanno sviluppando un partenariato di dialogo con l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico. Il vertice dell’Asia orientale è stato concepito per esaminare progetti di cooperazione pratica, connettività in campo economico, commerciale, dei trasporti e culturale.

Tutto questo si aggiunge agli eventi annuali dell’Asean che si tengono qui in Malesia. È simbolico che sia stato proprio in questo Paese che la Federazione Russa ha partecipato per la prima volta a tali incontri. Qui, per la prima volta, sono state gettate le basi del partenariato di dialogo Russia-ASEAN, che da allora ha raggiunto il livello di partenariato strategico. Ciò è sancito nei nostri documenti congiunti.

Quest’anno abbiamo valutato il rispetto degli impegni assunti su base reciproca durante le precedenti riunioni, compreso il vertice Russia-ASEAN nel 2016. Continua a essere il forum che stabilisce la direzione strategica della nostra cooperazione.

Stiamo preparando una valutazione dell’attuazione del Piano strategico di partenariato 2021-2025. In effetti, il piano è in fase di attuazione in tutte le sue componenti. Oggi abbiamo notato che i nostri rappresentanti speciali con sede presso il quartier generale dell’ASEAN a Giacarta stanno lavorando attivamente al quarto piano strategico. Speriamo che venga adottato entro la fine del 2025, idealmente al Vertice Russia-ASEAN previsto per ottobre 2025 nella capitale malese.

Per quanto riguarda la riunione dei Paesi partecipanti al Vertice dell’Asia orientale, che si è svolta oggi. È stata dedicata principalmente ai compiti di sviluppo di progetti pratici di cooperazione in vari settori. Siamo favorevoli a che questa sia la base per le attività dei Vertici dell’Asia orientale.

Purtroppo, i nostri colleghi occidentali che partecipano a questi eventi sono sempre più spesso sviati dalla politicizzazione, dall’ideologizzazione e dall’ucrainizzazione, che è evidente anche nelle discussioni di oggi, a scapito del potenziale che il Vertice dell’Asia orientale ha per raggiungere risultati pratici importanti per i nostri Paesi e cittadini.

Non è il primo anno che promuoviamo iniziative di risposta rapida alle minacce epidemiche. Sembra che il tema sia molto più urgente. L’abbiamo proposto già nel 2021 ed è stato approvato. Ma a causa della “postura” dell’Occidente, questa interazione non sta andando da nessuna parte. Nel 2023 abbiamo proposto di sviluppare l’interazione nel turismo, di promuovere il più possibile gli scambi turistici, in modo da trasmettere la connessione dei nostri Paesi a livello di società e cittadini. Il turismo si sta comunque sviluppando e gli incentivi che abbiamo proposto sono stati approvati per essere implementati nelle attività quotidiane. Ma finora è stato fatto poco.

Proposto di sviluppare la cooperazione per lo sviluppo dei territori remoti (anche questo è stato concordato). Nei grandi Paesi: in Russia, in Indonesia, in Malesia, in Cina e in altri Paesi, ci sono aree remote dove la civiltà è già arrivata, ma i benefici non si diffondono così attivamente come di solito avviene nelle megalopoli. Questo è un compito urgente per tutti. Confidiamo che in questo ambito si raggiungano risultati concreti.

Un’altra delle nostre iniziative nell’ambito della cooperazione umanitaria è quella di garantire la connettività culturale dei nostri Paesi. L’Eurasia è un continente enorme. È la culla di diverse grandi civiltà. Il patrimonio culturale di ciascuna di queste civiltà merita di essere arricchito reciprocamente. Spero che anche la nostra iniziativa si realizzi.

Negli incontri del Vertice dell’Asia orientale, il forum dell’ASEAN sulla sicurezza regionale, non mancano gli scambi di opinioni su problemi e questioni politiche. Oggi, tutti i membri dell’ASEAN e la maggior parte dei Paesi partner, compresa la Russia, hanno parlato con grande preoccupazione della tragedia in corso e che si sta addirittura aggravando nei territori palestinesi, dove, dopo la catastrofe umanitaria creata artificialmente nella Striscia di Gaza, stanno emergendo situazioni simili in un’altra parte dei territori palestinesi. Mi riferisco alla Cisgiordania, dove Israele continua la sua politica aggressiva di creazione di nuovi insediamenti in volumi crescenti e record. Presto non rimarrà più nulla dei territori in cui opera l’Autorità nazionale palestinese.

Oggi ho letto con sorpresa che esiste già un progetto per la creazione di un “Emirato di Hebron”. Questo è visto come il primo passo per far avanzare il concetto di formare un “Emirato Palestinese Unito” sulle terre palestinesi. Sembra una fantasia in questa fase, ma il fatto che tali idee stiano sempre più “affiorando” nello spazio pubblico indica i rischi emergenti che continuano ad aggravarsi sulle prospettive di creazione di uno Stato palestinese, come deciso dall’Assemblea generale e dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Si tratta di una grande sfida per la comunità internazionale.

Parlare dei problemi creati dall’attacco non provocato di Israele alla Repubblica Islamica dell’Iran, seguito dagli attacchi missilistici e dinamitardi degli Stati Uniti. Ciò viola il diritto internazionale, il Trattato di non proliferazione nucleare e i principi dell’AIEA, sotto la cui tutela si trovavano gli impianti nucleari attaccati.

Hanno chiesto che la tregua dichiarata continui senza interruzioni, che si cerchi di rettificare la situazione nonostante i danni e i pregiudizi al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari e alle salvaguardie dell’AIEA sulle strutture sotto il loro controllo, che si metta su un binario politico e che si risolvano tutti i problemi esclusivamente attraverso i negoziati. Questo è importante per garantire che non si ripeta il mancato rispetto degli strumenti fondamentali concepiti per garantire l’accesso all’uso pacifico dell’energia nucleare senza alcun tentativo o tentazione di possedere la tecnologia delle armi nucleari.

Abbiamo anche parlato della situazione in Myanmar, dove ci sono segnali di normalizzazione. Sosteniamo il processo intrapreso dalla leadership del Myanmar e il desiderio dell’ASEAN di contribuire a questa normalizzazione e di ripristinare pienamente la partecipazione del Myanmar all’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico.

Hanno sottolineato la necessità di evitare qualsiasi azione provocatoria nella penisola coreana, che purtroppo continua nei confronti della RPDC, anche attraverso il rafforzamento delle alleanze militari di Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone. Vengono condotte sempre più esercitazioni militari su larga scala, anche con una componente nucleare. Anche qui c’è un potenziale conflitto (serio). Faremo del nostro meglio per contribuire a garantire i diritti legittimi dei nostri alleati nordcoreani e per evitare provocazioni che potrebbero finire male.

I nostri amici cinesi hanno identificato le dispute sul Mar Cinese Meridionale come una delle questioni prioritarie nella regione. Sono fermamente convinti che questo problema debba essere risolto sulla base del Codice di condotta concluso tra Pechino e gli Stati membri dell’ASEAN. I negoziati proseguono su questa base. Riteniamo inaccettabile che una potenza extraregionale interferisca in questo processo”.

Anche il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha fatto ampio riferimento alla situazione intorno a Taiwan, sottolineando rigidamente l’inevitabilità di una soluzione definitiva del problema di Taiwan sulla base del concetto di uno Stato cinese unificato.

Abbiamo richiamato l’attenzione sulle parole di alcuni colleghi occidentali, già pronunciate in passato, secondo cui rispettano il principio di “una sola Cina”, ma che è impossibile cambiare lo “status quo”. Si tratta di ipocrisia, evidente a chiunque abbia un minimo di familiarità con la questione e con il modo in cui l’Occidente si sta comportando nei confronti di Taiwan. Lo “status quo” per l’Occidente è il rapporto con Taiwan come Stato indipendente. Pertanto, abbiamo ancora una volta confermato l’immutabilità del nostro approccio a sostegno della posizione di Pechino e la disponibilità della Russia ad assistere in ogni modo possibile la realizzazione di questa posizione.

Domanda: Lo scorso anno, il Presidente russo Vladimir Putin, in occasione di un incontro con i vertici del Ministero degli Esteri russo, ha parlato della necessità di una nuova architettura di sicurezza eurasiatica incentrata sul principio che “la sicurezza di alcuni Stati non può essere garantita a spese della sicurezza di altri”. Cosa pensano l’Asia in generale e l’ASEAN in particolare di questa idea, visto il continuo processo di militarizzazione della NATO?

S.V.Lavrov: In sostanza, l’iniziativa di formare un’architettura di sicurezza eurasiatica è uno sviluppo della precedente iniziativa del presidente russo Vladimir Putin, presentata al primo vertice Russia-ASEAN, di formare un Grande Partenariato Eurasiatico attraverso la creazione di legami, l’approfondimento di attività congiunte, progetti e programmi comuni tra le strutture di integrazione esistenti nel continente eurasiatico. Sono già stati stabiliti collegamenti tra i capi esecutivi e i segretariati dell’Unione Europea e della CIS, tra queste organizzazioni e la SCO, e tra tutte e i Paesi dell’ASEAN. Si tratta di un processo utile per armonizzare i piani e i progetti di integrazione, combinare gli sforzi ed evitare duplicazioni. Soprattutto perché i membri di queste formazioni di integrazione si sovrappongono e si intrecciano.

Promuoviamo il concetto di Grande Partenariato Eurasiatico con la consapevolezza che la discussione su questo tema e i negoziati sulle attività pratiche sono aperti a tutti i Paesi e alle strutture di integrazione situate nel continente eurasiatico. In particolare, vi sono buone prospettive di stabilire legami tra UESCOCIS, ASEAN e CCG. In Asia meridionale, ci sono gruppi di integrazione nella penisola dell’Asia meridionale. Esistono quindi molte strutture che possono utilmente occuparsi di migliorare l’interconnettività.

Questo processo (con la traduzione delle varie idee in azioni pratiche) crea una base materiale per le discussioni, per garantire la sicurezza in tutto il continente eurasiatico. Ho già toccato questo argomento molte volte nello sviluppo dell’iniziativa del Presidente Vladimir Putin. Anche in Africa e in America Latina esistono molte associazioni di integrazione subregionale. Ma anche lì esistono strutture continentali – l’Unione Africana, la Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi. Ma in Eurasia – la regione più grande, potente, ricca e in rapido sviluppo del mondo – non esiste una struttura continentale di questo tipo sotto forma di piattaforma di dialogo (senza necessariamente creare un’organizzazione).

Sappiamo bene che non si tratta di un processo rapido. Tutti i Paesi del continente invitati a partecipare a queste discussioni devono prima “maturare”. I nostri vicini europei, per la maggior parte, non sono ancora “maturi”, sognando chiaramente di diffondere la loro influenza attraverso l’Alleanza Nord Atlantica e le sue infrastrutture sull’intero continente eurasiatico in modo “neocoloniale”. Non esitano a dire che nelle condizioni attuali si tratta di un’alleanza difensiva e che il suo compito principale è quello di proteggere il territorio dei Paesi membri. Dicono che nelle condizioni attuali la minaccia all’integrità territoriale e alla sicurezza dei Paesi NATO proviene dalla “regione indo-pacifica” (come la chiamano loro), cioè direttamente dall’Oceano Pacifico. Vale a dire il Mar Cinese Meridionale, lo Stretto di Taiwan e altro ancora.

Nella nostra concezione della sicurezza eurasiatica e del Grande Partenariato Eurasiatico, uno dei principi fondamentali è il rispetto delle strutture istituite nelle varie sub-regioni, tra cui l’ASEAN, il cui ruolo centrale è svolto dall’Associazione come risultato del lavoro svolto da quasi 60 anni per riunire i Paesi interessati alla cooperazione sui principi di uguaglianza, apertura, inclusività. La nostra visione rispetta il ruolo dell’ASEAN e di altre formazioni simili. Ma quella promossa dalla NATO si basa sul presupposto che l’alleanza detterà a tutti come comportarsi, se l’ASEAN è necessaria. Tecnicamente, sì. Tutti i Paesi occidentali hanno partecipato oggi alla riunione del Vertice dell’Asia orientale, al Forum sulla sicurezza regionale dell’ASEAN.

Ma mentre si pronunciano belle parole, parallelamente (lo sapete) si creano “troike”, “quattro”, “quartetti” – AUKUS, USA-Bretagna-Australia – per realizzare il progetto di costruzione di sottomarini nucleari. Ho già menzionato i tentativi di inserire elementi nucleari nelle esercitazioni militari nel sud della penisola coreana. C’è l’Indo-Pacifico a quattro – Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda. Oltre a una serie di altre “troike” simili (QUAD-1, QUAD-2). Si sta cercando di coinvolgere i membri dell’ASEAN in queste formazioni, “staccandoli” dall’Associazione. Ne parliamo francamente con i nostri amici. Sono ben consapevoli della differenza tra un approccio in cui tutti sono invitati al tavolo per un dialogo paritario e lo sviluppo di posizioni di consenso che soddisfino gli interessi di tutti gli Stati e riflettano l’equilibrio di questi interessi, e un approccio in cui i nordatlantisti entrano nella regione e iniziano a “ordinare la musica” e a portare qui i loro ordini. Credo che questo non sia positivo per la causa.

Ci interessa che questi format, i forum che si svolgono qui ogni anno, contribuiscano a una migliore comprensione delle posizioni reciproche, in modo che tutti agiscano apertamente e non tengano “pietre” dietro la schiena o piani nascosti diretti contro qualcuno. Ma finora il processo si svolge su piani diversi. Sono convinto che il nostro approccio sia più promettente.

Domanda: Il vertice di Rio de Janeiro di pochi giorni fa ha dimostrato che, sullo sfondo delle sempre più dure azioni sanzionatorie di Washington, i BRICS stanno diventando un’alternativa credibile all’illegalità delle sanzioni. I Paesi dell’ASEAN sono “maturati” al punto da essere pronti, non a parole ma nei fatti, ad avviare una cooperazione più attiva con la Russia in particolare e con i BRICS in generale?

S.V.Lavrov: Penso che i Paesi dell’ASEAN siano interessati alla cooperazione con la Russia a prescindere da ciò che accade in Occidente e da ciò che gli Stati Uniti o i loro alleati fanno loro.

Non hanno questo atteggiamento del tipo “se l’Occidente non ci facesse pressione, non saremmo amici della Russia”. Non è affatto così. L’amicizia con la Russia è iniziata molto prima che l’attuale amministrazione statunitense iniziasse a imporre sanzioni sotto forma di dazi (che sono anche sanzioni). Non vedo alcuna ritorsione diretta nel modo in cui si stanno sviluppando le nostre relazioni con l’ASEAN e la cooperazione all’interno dei BRICS.

Ma se vi viene data la possibilità di scegliere se commerciare nel contesto di un’associazione in cui non vengono impiegati mezzi sleali per sopprimere i concorrenti, da un lato, e dall’altro commerciare con coloro che vi ricattano, allora la conclusione è evidente.

Domanda: Sulla base degli incontri tenuti al forum, quali conclusioni trarrebbe? I Paesi ASEAN sono pronti a resistere attivamente all’avanzata della NATO e ai suoi tentativi di prendere piede nella regione? I Paesi ASEAN hanno le risorse per rimanere garanti della sicurezza nella regione, soprattutto alla luce dei pesanti dazi imposti dal Presidente americano Trump a molti Paesi membri dell’ASEAN?

S.V. Lavrov: Ho appena parlato in dettaglio della nostra visione delle azioni che la NATO sta intraprendendo qui, cercando di infiltrarsi, di introdurre le sue infrastrutture, di prendere piede. Non ho dubbi che i Paesi dell’ASEAN capiscano di cosa stiamo parlando e si rendano conto che viene loro proposto di rimanere formalmente membri dell’ASEAN e allo stesso tempo di aderire a strutture non inclusive, simili a blocchi, che mirano fondamentalmente a creare una sorta di “fronte politico e diplomatico” per contenere innanzitutto la Cina (non è nascosto) e allo stesso tempo la Federazione Russa.

Non voglio decidere per loro, è una loro scelta sovrana. La prenderemo come tale. Ma non ho dubbi che preservare l’unità dell’ASEAN e il suo ruolo centrale nella definizione dei meccanismi, dei formati e dell’architettura della cooperazione nel Sud-Est asiatico sia nell’interesse di tutti. Procediamo da questo punto.

Domanda: Ieri il Segretario di Stato americano M. Rubio ha detto, dopo i colloqui con lei, che è stato discusso un certo nuovo “piano per l’Ucraina”. Quali parti hanno proposto questi nuovi approcci, quali sono, qual è la loro differenza fondamentale rispetto a quelli precedenti? Anche le forniture di armi americane fanno parte dei piani? Se ne è parlato?

S.V.Lavrov: Vorrei rispondere con le parole del Presidente degli Stati Uniti D.Trump: “Ve lo dico io. Aspettatevi grandi sorprese”.

Non so se ci siano “grandi sorprese”. Ma lei stesso si rende conto, conoscendo l’attività diplomatica, che spesso ci accompagna, che ci sono cose che non vengono commentate. Sì, abbiamo discusso dell’Ucraina e ribadito la posizione che il presidente russo Vladimir Putin ha espresso, anche il 3 luglio di quest’anno nel suo colloquio con il presidente Trump.

Che dire di questo “dialogo”, “fuga di notizie”, “registrazione” (rete neurale o no, non lo so) sul bombardamento di Mosca e Pechino, abbiamo discusso di cose serie.

Domanda: Nell’incontro con M. Rubio si è parlato di armi strategiche offensive? C’è un’intesa sul futuro dello START-3, che scade l’anno prossimo?

S.V.Lavrov: Non se ne è parlato.

Domanda: Recentemente, il Cancelliere tedesco Merz ha affermato che i mezzi diplomatici per risolvere il conflitto in Ucraina sono stati esauriti. Da un lato, vorrei chiederle, in qualità di capo del Ministero degli Esteri russo, una reazione ufficiale. Dall’altro, in qualità di diplomatico professionista esperto, vorrei chiederle se queste azioni della Germania rientrano nell'”armamentario” diplomatico. Appartengono alla sfera di lavoro diplomatica?

S.V. Lavrov: Buona domanda.

Ci preoccupa. Perché le recenti dichiarazioni e azioni di Berlino, Parigi e Londra dimostrano che l’attuale classe politica salita al potere in questi e in molti altri Paesi ha dimenticato le lezioni della storia, le conclusioni che tutta l’umanità ha imparato da esse, e, in linea di massima, sta cercando di “risollevare” nuovamente l’Europa per una guerra (non una guerra ibrida) contro la Russia.

In una conferenza stampa del ministro degli Esteri francese J.N.Barrot, che era seduto sul palco insieme ad altri partecipanti a un evento di scienze politiche, gli è stato chiesto dal pubblico da un francese che era stato spesso nel Donbas perché Parigi sostiene attivamente il regime nazista che è già stato riportato in vita in Ucraina. Si è visto come il ministro J.N.-Barraud è scattato, gridando in tono isterico che stavano difendendo l’integrità territoriale dell’Ucraina e il diritto internazionale. Ha spezzato l’applauso di una parte della sala. Ma dopo tutto quello che si sa sulle azioni del regime di Kiev, sul perché ha bisogno dell’integrità territoriale… E ne ha bisogno per sopprimere tutti i diritti della popolazione russa, russofona, e per distruggere fisicamente coloro che non sono d’accordo con la posizione di Kiev dopo il colpo di Stato.

Ieri il Segretario di Stato americano M. Rubio ha ricevuto una piccola “strizzata” di citazioni da parte di V.A. Zelensky, del Primo Ministro ucraino D.A. Shmygal, del capo dell’ufficio del Presidente ucraino A.B. Yermak e di Y.I. Podolyaka, che affermano direttamente la necessità di distruggere legalmente i “russi”, o meglio ancora fisicamente. Quando J.-N.Barro e quelli come lui dichiarano di non voler vedere altro che l’integrità territoriale dell’Ucraina, si tratta di un’autodenuncia.

Che dire del cancelliere della RFT F. Merz. Ha ripetutamente detto cose “divertenti”. Tra cui il fatto che il suo obiettivo principale era quello di far tornare la Germania la prima potenza militare in Europa. Non ha nemmeno soffocato la parola “di nuovo”. Ha anche detto che Israele “lavora” in Iran, che fa il “lavoro sporco” per noi. Questa è una citazione dei “maestri” dei campi di concentramento. Quando preferivano utilizzare i collaboratori per lo sterminio degli ebrei, per non sporcarsi le mani in prima persona, rendendosi conto che si trattava di un “lavoro sporco”.

Se il Cancelliere F. Merz pensa che le possibilità pacifiche siano state esaurite, esaurite, allora ha finalmente deciso di dedicarsi completamente alla militarizzazione della Germania a spese del suo popolo per poi “oziare” di nuovo con slogan nazisti per respingere le “minacce della Russia”. È un’assurdità assoluta. Spero che qualsiasi politico sano di mente se ne renda conto.

Il Presidente russo Vladimir Putin ha ripetuto più volte che questa assurdità viene utilizzata per tenere in riga la popolazione e impedire che scoppino proteste, che inevitabilmente causano il deterioramento della situazione socio-economica, la stagnazione vista in Europa. Tutto questo a spese delle centinaia di miliardi che sono stati convogliati e vengono nuovamente convogliati in Ucraina.

Mi sono imbattuto in questa citazione. Era interessante la percezione che l’Europa aveva della Germania di un tempo. Si trattava di una citazione del quotidiano svedese Aftonbladet del 22 giugno 1941. L’articolo di testa: “La Germania ha spezzato le sue catene e con rinnovato vigore si è avviata verso la libertà per adempiere alla sua missione europea e storicamente significativa: schiacciare il ‘regime rosso’ che minaccia l’essenza stessa della libertà”. Cioè, hanno cantato i nazisti come simbolo di libertà. Se l’Europa sta tornando a questo… Che dire? È triste.

Teniamone conto in tutte le aree della nostra pianificazione.


*
Ti è piaciuto quello che hai letto su Karlof1’s Substack? Allora, per favore, prendi in considerazione l’idea di abbonarti e di impegnarti mensilmente/annualmente a sostenere i miei sforzi in questo ambito difficile. Grazie!

Prometti il tuo sostegno

Il Geopolitical Gymnasium di karlof1 è gratuito oggi. Ma se questo post ti è piaciuto, puoi dire al Geopolitical Gymnasium di karlof1 che i loro articoli sono preziosi, impegnandoti a sottoscrivere un abbonamento futuro. Non ti verrà addebitato alcun costo a meno che non vengano attivati i pagamenti.

Prometti il tuo sostegno

Rubio afferma che la Russia ha subito 100.000 morti in sei mesi, il numero delle vittime ucraine rimane “vago”_di Simplicius

Rubio sostiene che la Russia ha subito 100.000 morti in sei mesi, mentre il numero delle vittime ucraine rimane “vago”.

Simplicius 12 luglio
 
LEGGI IN APP
 
Il  sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:
– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;
– IBAN: IT30D3608105138261529861559
PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo
Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo
Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione).
Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373

Il tema delle vittime è uno di quelli che periodicamente rivisitiamo quando è necessario. Ora è un momento del genere, poiché Marco Rubio ha fatto l’assurda affermazione – coordinata con gli organi di stampa – che l’esercito russo ha subito ben 100.000 morti solo da gennaio di quest’anno; solo morti, non anche perdite totali:

Questo è stato immediatamente supportato da nuovi articoli, come il seguente dell’Economist, che sostiene che la Russia sta vivendo il suo anno più letale sul fronte, con oltre 30.000 morti solo negli ultimi due mesi:

https://www.economist.com/interactive/graphic-detail/2025/07/09/russias-summer-ukraine-offensive-looks-like-its-deliest-so-far

L’articolo qui sopra è un esempio particolarmente eclatante. Basta dare un’occhiata alla loro metodologia, o alla sua mancanza. Questo piccolo estratto costituisce l’entità della loro premessa “scientifica” sulle perdite russe:

Non esiste un conteggio ufficiale delle perdite da entrambe le parti. Ma il nostro tracker di guerra quotidiano offre alcuni indizi. I nostri dati satellitari e gli spostamenti nelle aree di controllo suggeriscono quando i combattimenti si stanno intensificando. Ciò si allinea bene con più di 200 stime credibili di vittime da parte di governi occidentali e ricercatori indipendenti. Combinando questi dati possiamo, per la prima volta, fornire un tributo giornaliero credibile di vittime – o una stima delle stime.

In breve, sostengono che i dati satellitari li mettono in guardia sui luoghi in cui i combattimenti si “intensificano”, e da ciò deducono, con un incredibile salto di logica, che le forze russe stanno subendo perdite massicce. La cosa sconcertante è che questa facile metodologia dovrebbe applicarsi anche all’AFU in parallelo, ma quando si tratta delle perdite dell’Ucraina, lo staff dell’Economist non ha nemmeno un briciolo di curiosità:

Leggete di nuovo: i dati satellitari che mostrano “intensi combattimenti” indicano intrinsecamente le perdite russe semplicemente partendo dal presupposto che qualsiasi combattimento, come regola generale, comporta perdite russe ma non ucraine. Si tratta di un livello di analisi incredibilmente infantile, parziale e, a dirla tutta, fraudolento.

Ricordiamo questa precedente rivelazione, che è tutto ciò che dobbiamo sapere sull’igiene informativa dell’Occidente:

Queste pubblicazioni sostengono di avere una sintonia così “sensibile” con le fluttuazioni del campo di battaglia da fornire cifre esatte sulla Russia, ma quando si tratta dell’Ucraina, improvvisamente mancano di dati.

Il fatto è che c’è una ragione per cui MediaZona ha cambiato bruscamente la sua metodologia includendo i morti “previsti” piuttosto che quelli realmente contati, come fatto in precedenza: perché, contrariamente a questa campagna di propaganda coordinata, le perdite russe sono state in realtà le più basse da molto tempo a questa parte. È proprio questo il motivo per cui era necessaria una campagna così orchestrata: L’Ucraina sta perdendo malamente e l’unico aspetto della guerra che i propagandisti potrebbero utilizzare per cercare di far girare la narrazione sono i dati sulle vittime, perché sono tipicamente i più “soggettivi” e ambigui in natura, il che li rende perfetti per una manipolazione subdola.

Attualmente, MediaZona indica il numero totale di vittime russe a circa 117.000 all’inizio di luglio:

Se si evidenzia solo il periodo dal 1° gennaio a oggi, si ottengono 9.849 morti confermate:

https://en.zona.media/article/2025/07/04/casualties_eng-trl

Puoi farlo tu stesso al sito ufficiale per confermare.

Questo significa che nei primi sei mesi di quest’anno hanno registrato appena 9.849 morti russi, pari a 1.641 al mese. Le pubblicazioni occidentali e ucraine, invece, affermano che la Russia sta subendo un numero di morti pari a al giorno. La discrepanza dimostra un distacco dalla realtà senza precedenti.

Sappiamo che MediaZona ha un “ritardo” perché ci vuole tempo per confermare le morti più recenti, e quindi il numero probabilmente aumenterà, ma probabilmente non di una quantità smodata. Non c’è alcuna prova che la Russia stia subendo perdite simili a quelle dichiarate dall’Occidente. In effetti, qualcuno ha fatto una buona osservazione: dal momento che l’Ucraina sostiene che il 70-90% delle uccisioni di soldati russi avviene tramite droni, dovrebbe essere in grado di mostrare tutte queste vaste perdite tramite le registrazioni delle telecamere dei droni; eppure non c’è nulla – e sappiamo che l’AFU adora niente di più che mostrare i suoi “successi”.

In un articolo di due mesi fa, avevo evidenziato la cronologia della crescita dell’esercito russo da fonti ucraine. La cronologia era la seguente:

  • 2023: Bloomberg annuncia che le truppe russe sono 420.000.
  • 2024: il capo dell’intelligence militare ucraina dichiara all’Economist che il numero è salito a 514.000.
  • Inizio 2025: Erano 600.000.

E cosa abbiamo ora, a metà del 2025? Direttamente dalla bocca di Zelensky:

Quindi, per ribadire e semplificare:

400k truppe nel 2023, 500k nel 2024, 600k all’inizio del 2025 e già 700k a metà del 2025.

Tutto ciò proviene da fonti ucraine, i cui originali si trovano nel mio precedente articolo qui.

Come può la Russia soffrire di 100.000 morti in soli sei mesi – come dice Rubio – mentre ne sta letteralmente guadagnando oltre 100.000 all’anno?

Per far sì che la Russia subisca 100.000 morti in sei mesi – annualmente 200.000 all’anno – e guadagni comunque più di 100.000 uomini all’anno, il reclutamento russo dovrebbe essere sbalorditivo, dato il ricambio dei contratti che abbiamo descritto in precedenza. È difficile immaginare che le persone si arruolino volentieri sotto la nube oscura di tali perdite, mentre in Ucraina – che subisce “molte meno perdite” – le persone vengono rapite con la forza dalle strade e ammassate in furgoni come bestiame.

È strano che siano i cimiteri ucraini a continuare a riempirsi tristemente, piuttosto che quelli russi, e che l’anno scorso il rapporto tra scambi di cadaveri sia balzato a cifre talmente astronomiche da essere fuori scala:

Qualunque giornalista onesto si accapponerebbe la pelle di fronte a tali incongruenze nei dati, ma ahimè questa specie è comune quanto un emù a tre zampe.

Per dare uno sguardo recente alle perdite russe durante gli assalti attivi, ecco un post onesto di fonti militari russe su un insediamento che è stato catturato. Scrivono di aver subito quattro “200” durante l’operazione:

Ci sono molti assalti di questo tipo al giorno, quindi si possono moltiplicare i quattro per la quantità giornaliera per ottenere un conteggio ragionevole, ma certamente non sono centinaia, tanto meno migliaia.

La Neue Zürcher Zeitung ha un nuovo articolo in cui spiega che l’Ucraina ha solo due opzioni per evitare il collasso:

https://www.nzz.ch/pro/jetzt-geht-der-kreml-aufs-ganze-ld.1892551

Ora il Cremlino si sta dando da fare.

Il piano operativo russo mira a fare a pezzi le forze di terra ucraine. Lo stato maggiore di Kiev ha ancora due opzioni per evitare una svolta.

Si comincia con il notare che Putin stesso ha illustrato la strategia in un recente forum:

“Hanno già troppo pochi effettivi”, ha analizzato Putin, “e stanno ritirando le loro forze lì, che sono già carenti nei teatri decisivi di conflitto armato”. Putin fa pochi sforzi per nascondere le sue intenzioni operative: lo Stato Maggiore russo vuole fare a pezzi l’esercito ucraino – per poi tentare uno sfondamento in un punto opportuno.

Poi rivelano le due opzioni che l’Ucraina ha di fronte, che annoterò:

Sirski, d’altra parte, ha ancora due opzioni di base per salvare l’Ucraina da una sconfitta militare nell’attuale situazione:

1. Ritardo: L’obiettivo è quello di perdere meno terreno possibile durante l’offensiva estiva russa e di evitare l’accerchiamento delle unità di truppe più grandi. In autunno si potrebbe consolidare il fronte e creare un punto di partenza per i negoziati. Al momento, Kiev sembra perseguire questa strada, nella speranza che gli Stati Uniti riprendano gli aiuti militari.

In questo caso, ammettono che la migliore possibilità per l’Ucraina è semplicemente quella di temporeggiare fino a quando non sarà possibile “negoziare”; ma sappiamo che la Russia non ha alcun incentivo a fare una cosa del genere, a meno che non vi pieghiate alle false cifre delle perdite russe e crediate che la Russia sia “all’ultimo grido”, come dicono Strelkov e il resto del clan dei doomer.

La loro seconda opzione è quella di ritirarsi sulla nuova linea difensiva che, secondo quanto riferito, è in costruzione a poche decine di chilometri dietro l’attuale LOC:

2. ritiro operativo: Le forze di terra ucraine potrebbero ritirarsi gradualmente dal fronte e assumere nuove posizioni protette da ostacoli naturali e artificiali. L’obiettivo è quello di evitare una capitolazione e di mantenere l’esercito a protezione della sovranità anche in caso di esito sfavorevole dei negoziati. Un’indicazione del fatto che questa opzione viene esaminata è la costruzione di una linea di fortificazione ucraina 20 chilometri dietro il fronte dalla zona di Kharkiv a Zaporizhia, nel sud-ovest dell’Ucraina.

Non ci sono forze sufficienti per una sorpresa in qualsiasi punto del fronte, e le punture di spillo nelle profondità dell’area russa difficilmente avranno effetto se non nell’area di informazione. Agli ucraini mancano aerei da combattimento come l’F-35 per ottenere una superiorità aerea almeno parziale. Inoltre, le munizioni per l’artiglieria missilistica Himars, i missili guidati Taurus, i rifornimenti per la difesa aerea – la lista è ben nota nelle capitali occidentali.

L’Europa è partita per le vacanze estive e Trump sta almeno considerando di inviare nuovamente armi difensive all’Ucraina. Ma il rischio di uno sfondamento russo cresce. Se si apre un varco da qualche parte, le forze di occupazione possono improvvisamente manovrare e utilizzare le teste di ponte di Sumi e Charkiv per operazioni su larga scala. Sirski si trovò quindi gradualmente a corto di opzioni.

Tuttavia, la decisione di passare dal ritardo al ritiro operativo in tempo utile non spetta al capo dell’esercito, ma al presidente Volodimir Zelensky a Kiev e al suo dilemma: tra la necessità militare e il principio politico di sperare che gli alleati occidentali mantengano le loro grandi parole. Nel frattempo, il Cremlino si sta impegnando a fondo – politicamente e militarmente.

Ma a cosa servirebbe? Proprio come la natura intrinsecamente insensata della prima opzione, la seconda difficilmente farebbe riflettere la Russia. Sappiamo che l’Ucraina si affida alle pubbliche relazioni per mantenere la continuità e le cifre delle vittime sono un aspetto che può essere abilmente nascosto, mentre i cambiamenti territoriali non possono. Ciò significa che il capo degli organetti, Zelensky, preferirebbe continuare tranquillamente a far fuori migliaia di uomini, fingendo una “forte resistenza” e fingendo che la Russia “non stia facendo progressi”. Se un improvviso sfondamento su larga scala inghiottisse un pezzo di territorio ucraino, il sostegno dell’Occidente crollerebbe di notte, perché l’Ucraina sarebbe considerata un caso morto.

Infine, in previsione del presunto “grande annuncio” di Trump di lunedì, diverse testate giornalistiche riportano che Trump si sta preparando a lanciare un embargo petrolifero globale senza precedenti contro la Russia:

https://www.thetimes.com/world/russia-ukraine-war/article/trump-global-oil-embargo-russia-r2pg8kw6t

Descrive un piano fantasiosamente irrealistico per incatenare qualsiasi paese del mondo che acquisti petrolio o uranio dalla Russia con una massiccia tariffa del 500%. Le possibilità che passi sono risibili, perché distruggerebbe le economie degli Stati Uniti e dei suoi alleati, piuttosto che danneggiare la Russia.

I battibecchi sul “controllo” di cui si è parlato l’ultima volta tornano a galla:

I senatori si sono detti disposti a concedere a Trump il potere di rinunciare alle tariffe per un massimo di 180 giorni, a patto che ci sia una supervisione del Congresso. La Casa Bianca, tuttavia, insiste sul fatto che il Congresso non dovrebbe avere il potere di intervenire se il Presidente decidesse di porre fine alle sanzioni.

Maximilian Hess, ricercatore presso l’Istituto di ricerca sulla politica estera, ha previsto che Trump si opporrà alla tariffa del 500% prevista dal disegno di legge, che equivarrebbe a un embargo globale sul petrolio russo.

Hess spiega:

“Così com’è scritto, a mio avviso è troppo forte per essere usato, a meno che Trump non esca allo scoperto e dica: ‘Dobbiamo affrontare il rischio che la Russia rappresenta per l’Europa e per il mondo e dobbiamo accettare prezzi del petrolio più vicini ai 100 dollari o forse anche più alti'”, ha detto. “Cosa che non vedo fare a Trump”.

La ragione per cui Trump vuole un tale controllo è che sta semplicemente usando la minaccia di queste risibili ‘sanzioni’ per cercare di spaventare Putin e indurlo a fare concessioni, e vuole avere la possibilità di ritirarsi immediatamente, in stile TACO, non appena gli si ritorce contro. Il segmento neocon del Congresso – Graham, Blumenthal e altri – vuole subdolamente “infornare” le sanzioni avendo potere su di esse, in modo che Trump sia costretto a un grande confronto con la Russia; ovviamente, le talpe dello Stato profondo che si muovono a ruota libera nel Congresso non possono permettere un riavvicinamento USA-Russia e devono creare spaccature a tutti i costi.

È anche il motivo per cui di recente hanno fatto “trapelare” l’audio delle sue minacce di bombardare Mosca in un momento opportuno: stanno facendo tutto ciò che è in loro potere per agitare le acque e alimentare le fiamme della narrativa del confronto per spingere Trump a un’escalation contro Mosca.

La grande domanda è: Trump ha la spina dorsale per mantenere il corso?

Ultimamente:

L’Ucraina riferisce che la Russia ha accumulato un numero record di missili: 2000 in totale:

Proprio mentre parliamo, è in corso un altro grande attacco contro l’Ucraina, con centinaia di droni e alcune decine di missili, come al solito non contrastato:

Mi chiedo quando arriveranno i Patriot.


Il vostro sostegno è inestimabile. Se vi è piaciuta la lettura, vi sarei molto grato se sottoscriveste un impegno mensile/annuale per sostenere il mio lavoro, in modo da poter continuare a fornirvi rapporti dettagliati e incisivi come questo.

In alternativa, potete lasciare una mancia qui: buymeacoffee.com/Simplicius

Il diavolo veste Prada (Il viaggio della donna millenaria)_di Morgoth

Il diavolo veste Prada (Il viaggio della donna millenaria)

Scrive anche sceneggiature…

Morgoth

10 luglio 2025

Il  sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:

– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;

– IBAN: IT30D3608105138261529861559

PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo

Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo

Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione).

Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373

Avevo evitato di guardareIl diavolo veste Pradaper quasi vent’anni perché sapevo implicitamente che un “film per ragazze” ambientato a New York e che aveva a che fare con la moda non aveva me come target. Avevo debitamente ricambiato questo sentimento fino ad oggi, quando, per fattori al di fuori del mio controllo, sono stata costretta a vederlo.

Il diavolo veste Pradaè stato diretto da David Frankel, basato su un romanzo di Lauren Weisberger, prodotto da Wendy Finerman e sceneggiato da Aline Brosh McKenna. Dato che la protagonista si chiama Andrea Sachs (interpretata da Anne Hathaway), si potrebbe dedurre che stiamo assistendo a uno sguardo all’interno dell’industria della moda e del giornalismo di New York, o forse solo dell’alta società newyorkese in generale.

La storia inizia quando Sachs, aspirante giornalista, trova lavoro presso la lucrosa e altissima rivista di modaRunway.Forse l’elemento più iconico deIl diavolo veste Pradaè l’interpretazione di Meryl Streep nel ruolo della tirannica direttrice della rivista, Miranda Priestly. Il personaggio della regina del pugno di ferro della Streep è basato sulla vita reale della direttrice diVogueAnna Wintour. Il personaggio della Sachs di Hathaway, un po’ goffo, è cinico nei confronti della pretenziosità dell’industria della moda. Tuttavia, scopre rapidamente che per ottenere il posto di lavoro dovrà sottomettersi completamente alle richieste dittatoriali e spesso scostanti di Priestly.

In una scena che potrebbe essere usata come un perfetto esempio di teoria dell’élite nella pratica, Priestly dissipa il cinismo di Sachs che crede di essere al di sopra e al di là dei capricci e delle pretese dell’industria della moda, spiegandole che il maglione scadente che indossa ha il suo colore (ceruleo) perché è un’imitazione di un’imitazione di ciò che andava di moda a Milano qualche anno fa. Possiamo illuderci di avere il libero arbitrio, ma le scelte che ci vengono poste davanti sono dovute a persone come la stessa Priestly, non a nozioni idealistiche sull’individualità (su cui torneremo più avanti).

Nel film compare anche Emily Blunt nel ruolo di Emily, collega e rivale di Sachs. Infatti, il nome “Emily” viene dato a tutte le giovani donne che entrano a far parte dell’ufficio diRunwaycome un modo per sminuirle e far capire loro che sono tutte sostituibili. Il personaggio di Anne Hathaway è semplicemente la “nuova Emily”.

La trama diIl Il diavolo veste Pradaprevede che la Sachs debba superare le acerbità e le richieste della Priestly, perdendo così la sua individualità nella ricerca del successo. Sostituisce il suo abbigliamento cupo con scarpe Jimmy Choo e Chanel, si gode lo champagne e il prestigio della scena mondana di New York e vince contro Emily Blunt. Riesce persino ad assicurarsi unHarry Potterper i figli di Priestly prima che il libro venga pubblicato. Nonostante viva solo di un cubetto di formaggio al giorno per prepararsi al prestigioso viaggio annuale a Parigi, Emily viene messa da parte e Sachs viene scelto al posto suo.

Time Bandits,Technology and Evil

Banditi del tempo, tecnologia e male

Morgoth

11 feb

Leggi la storia completa

Tuttavia, il successo ha un prezzo, e più la carriera di Sachs avanza, più lei brucia le sue relazioni, più la sua carriera è rosea. Pertanto, il titolo del film potrebbe essere interpretato come un messaggio che indica che per salire la scala aziendale è necessario vendere la propria anima. La Sachs si allontana dagli amici, rompe con il fidanzato, ferisce il padre e si cala nel ruolo di Emily nuova e migliorata, finché Priestly non la convalida degnandosi di usare il suo vero nome, Andrea.

Dopo essere stata a letto con un magnate dell’editoria in una Parigi assurdamente romantica, la Sachs ritrova il suo cammino verso il vero sé quando si rende conto della natura dell’industria spietata in cui è coinvolta.

Il viaggio della donna millennial

Dato che non sono né una donna né una millennial, non sono mai stata a New York e non ho alcuna conoscenza della moda, sapevo che sarei stata molto estranea al mondo presentato in questo libro.Il diavolo veste Prada. Ancora più confuso è il fatto che non ho idea di cosa voglia il filmvuoleche io pensi a questo mondo o alle donne che lo abitano. L’ambiente ad alta pressione diRunwaysta danneggiando tutte e tre le donne nelle loro vite e relazioni personali.

L’identità di Emily dipende interamente da Miranda, come se fosse un pesce ago che si aggira intorno alla bocca di uno squalo. Sembra che non abbia un uomo nella sua vita, non abbia amici e non abbia una famiglia.

Miranda ha affidato l’educazione delle sue due bambine gemelle alla nonna ed è sull’orlo di un altro divorzio. Si lamenta del fatto che le sue bambine hanno avuto una serie di figure paterne che si sono avvicendate, e l’ultima sta per andarsene perché il suo carico di lavoro rende impossibile l’esistenza di una famiglia normale.

L’intero arco narrativo di Andrea Sachs, protagonista del film, è quello di una costante alienazione del fidanzato, della famiglia e degli amici, mentre insegue opportunità di carriera e perde la sua identità, scambiandola con una superficiale radicata nello status.

Tutto questo per dire che,Il diavolo veste Pradaè un film che dice al suo pubblico di (allora) giovani donne millennial che fare carriera distruggerà le loro speranze di avere una vita familiare soddisfacente – un sentimento sorprendentemente reazionario, data l’ambientazione e il team di produzione del film.

Whatever Happened To The Midlife Crisis?

Che fine ha fatto la crisi di mezza età?

Morgoth

16 novembre 2023

Leggi la storia completa

Mentre lo guardavo, ho iniziato a chiedermi come gli sceneggiatori si sarebbero tirati fuori da quella che poteva essere vista come una trappola creata da loro stessi, o forse il momento catartico alla fine avrebbe visto il personaggio della Sachs di Hathaway seduto su un portico a leggere al suo bambino, con un altro pancione visibile nella sua pancia ben tonica. Stavo forse assistendo a una cruda diatriba antifemminista? No. Gli sceneggiatori avevano previsto il rischio e si erano concessi l’equivalente di una polizza assicurativa per la trama.

Una regola comune nella narrazione e nella creazione di storie è nota come “pistola di Cechov” e segue il ragionamento di Cechov secondo cui:

Se nel primo atto avete appeso una pistola al muro, allora nel successivo dovrà sparare. Altrimenti, non mettetela lì.

Un esempio di Chekhov’s Gun è rappresentato dalle bombole pressurizzate per le immersioni subacquee inJaws. Gli sceneggiatori segnalano i contenitori all’inizio del film, assicurandosi che il pubblico li ricordi. Il problema che gli sceneggiatori si trovano ad affrontare è che sanno che più avanti nel film lo squalo divorerà la barca, e deve esserci qualcosa a bordo che permetta di sconfiggere lo squalo, incorporando al contempo un senso di catarsi.

InIl diavolo veste PradaLa pistola di Cechov non è un oggetto ma una mentalità. Fin dall’inizio era chiaro al pubblico che la vera ambizione della nostra protagonista era quella di lavorare come scrittrice o giornalista, non come corpo di cane nell’industria della moda. Quindi, la via d’uscita per il team di produzione, che ha permesso di allontanarsi dalle critiche al femminismo, è stata “inserita” fin dall’inizio.

Il film si conclude con Miranda che appoggia Andrea per un lavoro presso un importante giornale di New York. Tuttavia, dato tutto quello che abbiamo visto finora sulla pesantezza dell’anima di una carriera aziendale, non c’è motivo di supporre che la vita familiare di Andrea Sachs migliorerà in qualche modo. Inoltre, torna dal suo fidanzato dopo averlo cornificato a Parigi con un magnate, e lui la riprende volentieri perché lei non gliene parla.

Le narrazioni romanzesche incentrate sulle donne spesso diventano strane inversioni del Viaggio dell’Eroe. Il personaggio di Hathaway non ha accettato con riluttanza il richiamo all’avventura; ha insistito per entrare a far parte diRunwaycontro il parere della sua famiglia e dei suoi amici e, dopo aver varcato la soglia, si è alienata questi alleati. Tuttavia, il mondo della moda aziendale costituisce un discreto mondo alieno e lei deve affrontare delle prove. La sua versione del confronto finale consisteva nell’andare a letto con un multimilionario in un prestigioso hotel parigino o nel salvare il posto di lavoro di Miranda (l’antagonista), a seconda di come la si guardi. Il suo ritorno/resurrezione è stato quello di tornare esattamente com’era all’inizio del film, ma in un luogo di lavoro diverso. Tutte e tre le donne sono esattamente dov’erano all’inizio del film.

Il diavolo veste Pradaè un film che si rivolge alle donne millenarie che avevano vent’anni quando è uscito. Anne Hathaway aveva 24 anni, mentre Emily Blunt ne aveva 23. Il film finge di essere loro amico, riconoscendo che l’ufficio è una faticaccia umiliante, che la carriera può mettere a dura prova i rapporti personali e che, sì, può essere necessario adottare un personaggio falso per sopravvivere. Ma non ci sono vie di fuga: il meglio che le giovani donne possono fare è trovare una nicchia che non disprezzino.

Nella teoria generazionale di Strauss e Howe, ai millennial viene assegnato l’archetipo di “Eroe”, simile alla generazione della Seconda Guerra Mondiale. Sono gli strenui difensori di un sistema durante un grande disfacimento. Sono stoici e senza dubbi, affrontano una calamità dopo l’altra. Nonostante le mie riserve sulla teoria generazionale, ho una certa simpatia per questa prospettiva.

Tuttavia, non si può fare a meno di tornare al famoso monologo di Miranda sul maglione ceruleo.

https://www.youtube-nocookie.com/embed/-rDTRuCOs9g?rel=0&autoplay=0&showinfo=0&enablejsapi=0

L’essenza del monologo di Miranda è che l’agenzia umana è essenzialmente una fantasia rassicurante; ciò che esiste realmente sono le persone che prendono decisioni e progettano una serie di scelte che si ripercuotono sul pubblico. Per la maggior parte delle persone, l’agenzia umana è una scelta tra opzioni preselezionate e organizzate da un’élite. Andrea crede di essere al di fuori, e al di sopra, delle finzioni superficiali e materialistiche su cui l’industria della moda è ossessionata, e Miranda spiega perché non lo sia.

Ma non si potrebbe fare lo stesso ragionamento anche per la stessa Hollywood?Il diavolo veste Pradaera un prodotto venduto a giovani donne e, pur simpatizzando con loro, alla fine insisteva perché indossassero tutte il maglione blu ceruleo. Le scelte che il film mette a disposizione sono o un tedio insensato e schiacciante, o la stessa cosa con meno intensità.

Eppure non si può fare a meno di chiedersi se gli sceneggiatori fossero consapevoli di questo meta-gioco, e che forse il diavolo non stava solo indossando Prada, ma stava plasmando le ambizioni di una generazione di donne.


Abbonati alla recensione di Morgoth

Centinaia di abbonati a pagamento

Riflessioni sullo stato delle cose

In breve. Oppure, in difesa della sfumatura. Di Aurelien

In breve.

Oppure, in difesa della sfumatura.

Aurélien9 luglio
 LEGGI NELL’APP 

Il  sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:
– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;
– IBAN: IT30D3608105138261529861559
PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo
Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo
Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione).
Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373

Questi saggi saranno sempre gratuiti, ma potete continuare a sostenere il mio lavoro mettendo “Mi piace” e commentando, e soprattutto condividendo i saggi con altri e condividendo i link ad altri siti che frequentate. Se desiderate sottoscrivere un abbonamento a pagamento, non vi ostacolerò (ne sarei molto onorato, in effetti), ma non posso promettervi nulla in cambio se non una calda sensazione di virtù.

Ho anche creato una pagina “Comprami un caffè”, che puoi trovare qui . ☕️ Grazie a tutti coloro che hanno contribuito di recente.

E come sempre, grazie a tutti coloro che forniscono instancabilmente traduzioni nelle loro lingue. Maria José Tormo pubblica traduzioni in spagnolo sul suo sito qui , e anche Marco Zeloni pubblica traduzioni in italiano su un sito qui. Molti dei miei articoli sono ora online sul sito Italia e il Mondo: li potete trovare qui . Alexey Markov ha pubblicato un’altra traduzione di un mio saggio in russo qui . Sono sempre grato a coloro che pubblicano occasionalmente traduzioni e riassunti in altre lingue, a patto che citino la fonte originale e me lo facciano sapere. E ora…

***************************************************

Come tutti coloro che scrivono online, lo faccio perché spero di essere letto. Più di questo, spero che chi legge ciò che scrivo ne tragga qualche beneficio, o anche solo un po’ di svago, o almeno ne sia coinvolto e stimolato a riflettere. Non scrivo per far arrabbiare la gente (ce n’è già abbastanza) e non scrivo per farmi amare o odiare (ce n’è anche una quantità sorprendente). Ma mi sono interessato quando ho iniziato a capire se fosse possibile scrivere saggi relativamente lunghi su argomenti difficili e far sì che le persone li leggano e si interessino. Con mia sorpresa e grande piacere, la risposta sembra essere sì, a giudicare dal numero di abbonati in costante aumento nei tre anni di attività di questa serie di saggi. Inizio il saggio di questa settimana in questo modo per sottolineare quanto sia gratificante vedere qui, come in molti altri luoghi, qualche traccia di volontà di investire un po’ di tempo e riflessione nella lettura di qualcosa di più lungo di un paragrafo.

Perché? Perché è ormai opinione diffusa che nessuno legga più libri, che la capacità di attenzione si stia riducendo sempre di più, che gli articoli online siano sempre più brevi e che presto tutto sarà ridotto a frammenti sonori. Ci sono parecchie prove aneddotiche a riguardo: non ricordo l’ultima volta che ho visto qualcuno leggere un libro su un treno o su un aereo, per esempio, anche se non è raro vedere intere famiglie che viaggiano insieme o al ristorante, ognuna intenta a scorrere il proprio smartphone senza scambiare una parola. Le affermazioni secondo cui i giovani sono ormai incapaci di prestare attenzione in modo costante ai testi sono in gran parte vere nella mia esperienza personale: persino gli studenti delle università d’élite raramente hanno effettivamente letto libri e la loro conoscenza si acquisisce in gran parte di seconda e terza mano, dai riassunti e, sempre più spesso, dai corsi di laurea magistrale. Tutto ciò è deprimente perché suggerisce che ci stiamo muovendo verso una cultura post-alfabetizzata e rafforza le preoccupazioni che ho espresso di recente circa la capacità in declino di vedere gli argomenti in tutta la loro complessità e la trasformazione delle posizioni politiche in cori da stadio.

Eppure, ci sono segnali che la situazione stia cambiando, o almeno che ci stia ripensando, e che coloro che prevedevano la fine di qualsiasi cosa richiedesse più di trenta secondi per essere letta si sbagliavano, come al solito, nel dare per scontato che le tendenze a breve termine sarebbero continuate per sempre. L’eccellente Ted Goia, il cui sito sulla cultura popolare dovrebbe essere una lettura obbligatoria, ha recentemente analizzato i dati e ha scoperto che il pubblico apprezza effettivamente i testi più lunghi, che i siti che pubblicano saggi lunghi stanno andando bene e che persino su YouTube le persone sono sempre più disposte a guardare video di 20 minuti o più. La breve scarica di dopamina di un video di due minuti svanisce all’istante, mentre un saggio che richiede venti minuti di lettura potrebbe offrire spunti di riflessione per un po’ e incoraggiare ad approfondire l’argomento nei commenti. La mia modesta esperienza mi dice che spesso è così: ho un tasso di abbandono degli iscritti sorprendentemente basso e la somma totale dei commenti su alcuni dei miei saggi supera la lunghezza del saggio stesso.

Ora, naturalmente, il tempo necessario per fruire di una produzione intellettuale non dice nulla sul suo valore. Un’esecuzione completa di Amleto dura circa il doppio di una di Macbeth , ma un’opera non è il doppio bella dell’altra. Una sinfonia di Mahler può durare un paio d’ore interminabili, ma non è quattro volte migliore di una sinfonia di Mozart. Guerra e pace può essere dieci volte più lunga dell’ultimo best-seller premiato, ma non è necessariamente dieci volte più bella (anche se a pensarci bene probabilmente lo è). Molte di queste differenze sono legate alla sopravvivenza di varianti testuali, alle circostanze della composizione e alle circostanze della diffusione (i romanzi del XIX secolo venivano spesso pubblicati a puntate, ad esempio, e gli autori venivano pagati a rate).

Ma ciò che la lunghezza fa, se si riesce a evitare inutili complessità, è permettere lo sviluppo delle sfumature: più lunga è una produzione, di qualsiasi tipo, più spazio c’è per lo sviluppo e la sottigliezza. Una sinfonia di Mozart può in definitiva basarsi su forme di danza, ma un movimento di quindici minuti offre uno spazio di sviluppo che una danza di tre minuti non offre. Tuttavia, le discussioni sulla scrittura non-fiction sono piuttosto diverse, quindi parliamone separatamente e lasciamo da parte l’aspetto culturale.

È utile innanzitutto distinguere tra la questione della complessità e quella dell’incertezza. Gran parte della complessità della scienza, ad esempio, risiede nell’aggiunta di nuovi livelli di dettaglio e sottigliezza, nelle nuove scoperte di casi ambigui e nelle controversie sui dettagli precisi di cause ed effetti. Ma queste tendono a essere sotto l’ombrello della conoscenza e del consenso che si applica almeno fino a un certo livello. Nella storia, nella politica e nell’attualità, al contrario, può esserci disaccordo anche sui fatti più elementari, e quasi nessun punto di consenso. Se prendiamo ad esempio il Patto Molotov-Ribbentrop del 1939, tutto ciò su cui gli storici concordano è che fu firmato e che affermava quanto segue. Ci sono furiose controversie su chi ne fu l’idea, sul coinvolgimento comparativo di Hitler e Stalin, sulle motivazioni di ciascun leader, su come speravano che funzionasse, e così via. Tutto ciò che un articolo enciclopedico può fare è indicare quali siano le controversie.

Un esempio concreto delle ultime settimane potrebbe chiarire questa distinzione. Gli Stati Uniti hanno affermato di aver attaccato i siti nucleari iraniani con bombe MOP e di averli distrutti. Entro certi limiti, le caratteristiche di queste bombe sono note e i loro effetti possono essere calcolati secondo regole consolidate. Ci sono specialisti che possono dire cosa succede quando una bomba del genere colpisce diversi tipi di superfici in diversi scenari, con le relative equazioni, e possono entrare nei dettagli a piacimento, divergendo forse solo marginalmente in alcuni casi. Al contrario, non c’è consenso nemmeno sul fatto che l’attacco sia effettivamente avvenuto, o se si sia trattato di un’invenzione orchestrata per scopi politici e che l’attacco sia stato effettivamente condotto con altre armi. I commentatori sono in disaccordo anche sui fatti più elementari, nonostante la sicurezza con cui ciascuno di loro afferma di conoscerli. Ci sono decine di fattori – politici, strategici, militari, tecnici – che devono essere soppesati tra loro, e non c’è modo, allo stato attuale, di giungere a una risposta unanime. I veri “fatti”, infatti, potrebbero non essere mai conosciuti, soprattutto la natura e l’entità di qualsiasi collusione tra i diversi stati. Da qui la differenza tra complessità e incertezza.

La maggior parte delle questioni politiche e strategiche comportano quindi incertezza, non solo complessità, e richiedono quindi una trattazione più sfumata, rendendo problematica qualsiasi semplificazione. La ricerca nel dettaglio di tali problemi rivela non solo una maggiore complessità (sebbene la faccia), ma spesso livelli di incertezza sempre maggiori. Ora, naturalmente, questi due concetti non sono del tutto distinti: a volte la sola comprensione del grado di complessità esistente può essere di per sé salutare e richiedere una comprensione più sfumata. Anni fa, avevo una mappa etnica dell’ex Jugoslavia appesa alla parete del mio ufficio. Se avete familiarità con queste cose ( ecco un esempio), sapete che assomigliano a un’esplosione in una fabbrica di vernici. I visitatori del mio ufficio si fermavano a guardare a bocca aperta per un po’ se ero al telefono. “Mio Dio”, chiedevano, “è così complicato?”. Al che qualcuno rispondeva inevitabilmente: “Oh, questa è la versione semplificata”. Una complessità di questo tipo può imporre la necessità di sfumature, ma ovviamente le sfumature non sono qualcosa che si ottiene automaticamente, come vedremo.

A volte mi imbatto in uno scenario parallelo sulla complessità. Mettiamo che tu sia un giornalista o un ricercatore in visita in un paese in un conflitto multiforme. Coscienziosamente, fai il giro di esperti prima di partire. Il Ministero degli Esteri lamenta quanto sia difficile spiegare alla leadership politica la complessità della situazione nel paese e quante sfumature inaspettate ci siano. Quando arrivi, ti rechi all’Ambasciata, e ti spiegano stancamente quanto sia difficile far capire alla capitale quanto siano complicate le cose. Parli con antropologi, giornalisti residenti ed esperti di conflitti, che ti dicono che le Ambasciate non escono mai sul campo e non sanno nulla di quanto siano complesse le cose lontano dalla capitale. L’ultimo giorno, incontri qualcuno dell’Ambasciata, forse il “Primo Segretario (Politico)”, che sospetti fortemente lavori per un’agenzia di intelligence. Durante il pranzo, protestando di non criticare i suoi colleghi, spiega come i veri problemi del paese abbiano a che fare con i rapporti d’affari all’interno e tra le fazioni d’élite, dentro e fuori dal governo. Sull’aereo di ritorno ti chiedi sconsolato come farai a dare un senso a tutto questo. Di certo non accumulando spiegazioni una sull’altra.

Questo genere di cose – e accade di continuo – illustra la differenza tra il riconoscimento della sfumatura come prerequisito per la comprensione e il semplice accumulo di fatti, o almeno di affermazioni, che spesso si contraddicono a vicenda, ma che si spera in qualche modo, collettivamente, di fornire la risposta. Ironicamente, mentre la sfumatura incoraggia un’analisi più sofisticata, la complessità non necessariamente lo fa, e può anzi provocare una risposta eccessivamente semplificata. In parte, ciò è dovuto alla naturale reazione umana all’eccessiva complessità, che è quella di rifiutarla e cercare invece schemi semplici o episodi emblematici, o persino fattori noti, che possano spiegare tutto. Lo sviluppo del conflitto in Siria dal 2011 ne è un buon esempio. Ufficiali sunniti e le loro unità, alcuni sostenuti in ultima analisi dalla Turchia e altri dall’Arabia Saudita, costituirono l’opposizione iniziale ad Assad, ma furono rapidamente infiltrati e superati da gruppi populisti radicali di combattenti internazionali con nomi e lealtà in continua evoluzione che combattevano il regime, i curdi (da dove venivano ?) e talvolta tra di loro. Il fatto che solo gli specialisti potessero sperare di tenere traccia di tutti questi cambiamenti, e che fossero in disaccordo persino tra loro, ha spinto giornalisti ed esperti, in cerca di spiegazioni semplici, a ricorrere a espedienti disperati come chiamare gli islamisti “Al Qaeda in Siria”, ignorando la profonda frattura avvenuta in Iraq dopo l’invasione statunitense tra i resti malconci del movimento d’avanguardia leninista di AQ e i gruppi islamisti populisti radicali federati da Abu Musab al-Zarqawi, fino alla sua uccisione da parte degli Stati Uniti nel 2006, ancora attivi sotto vari nomi, e che furono gli antenati dell’odierno Hayat Tahir Al-Sham. (Sì, lo so di aver tralasciato molte sfumature.)

C’è anche il problema che complessità e sfumature raramente sono semplicemente lineari e cumulative. Molta complessità può derivare da tipi paralleli di spiegazioni provenienti da fonti concorrenti, ciascuna delle quali si dichiara “vera”. Ci sono pochissime questioni importanti al mondo in cui i governi, o persino i movimenti non governativi, sono completamente uniti o interamente sotto il controllo di una singola persona. Più grande è l’organizzazione, più facile è perdersi. Pertanto, ho letto diversi resoconti di esperti su come le “loro fonti” a Washington abbiano detto loro questo o quello sul conflitto con l’Iran. E ciò che dicono è probabilmente sincero, e i loro contatti probabilmente hanno effettivamente detto loro queste cose. Ma se si ha familiarità con il funzionamento di Washington, ci si rende conto che ci sono tanti punti di vista a Washington quanti sono i personaggi influenti, e che ogni organizzazione governativa fa trapelare informazioni, sia ufficialmente che ufficiosamente, continuamente, per motivi diversi. Un altro gruppo di “fonti” in un’altra organizzazione potrebbe benissimo aver detto qualcosa di completamente diverso, ognuna credendo sinceramente a ciò che diceva. Spesso, ogni membro del gruppo di fonti ripete di fatto lo stesso messaggio ricevuto separatamente dalla stessa persona: il problema ben noto alle agenzie di intelligence come “false garanzie”. E questo senza considerare altri governi e altri attori esterni al governo: in effetti, uno dei motivi principali della mancanza di sfumature negli scritti di esperti e giornalisti americani è che a Washington ci sono così tante fonti concorrenti disponibili che il resto del mondo difficilmente riesce a prenderle in considerazione.

Allo stesso modo, una delle ragioni dell’ossessione sia per “far cadere Putin” in Ucraina, sia per un “cambio di regime” in Iran, è la convinzione semplicistica che il potere politico in entrambi i Paesi sia concentrato in pochissime mani, che la maggioranza del Paese non sostenga tale potere e che non sia necessario ricercare ulteriori dettagli o considerare le sfumature. In effetti, il desiderio di farlo è di per sé piuttosto sovversivo, e un “inventare scuse” per cose di quei Paesi che non piacciono ai propri interlocutori. Il fatto che l’Occidente si perda sempre nei dettagli e sia spesso fuori dalla sua portata nelle sfumature, e di conseguenza inciampi dal caos al disastro, non viene realmente recepito. In effetti, l’Occidente si rifugia abitualmente in spiegazioni semplicistiche e prive di sfumature della propria sconfitta.

Ed è questo il punto principale che voglio sottolineare. Non si tratta di immergerci sconsideratamente in qualsiasi livello di complessità, né di cercare di identificare e tenere conto di ogni minima sfumatura potenziale. Non si tratta di consultare ogni possibile fonte a ogni livello di dettaglio. Tutto ciò sarebbe impossibile, e sarebbe comunque controproducente, e porterebbe a un’indigestione intellettuale. Ciò che serve piuttosto è un tipo di umiltà che accetti che le cose siano spesso più complesse di quanto possano apparire e riconosca che le sfumature possono esistere anche nella situazione politica apparentemente più semplice. Il problema è che per alcuni accettare sfumature e complessità è una minaccia, poiché implica che ci siano cose che non sappiamo, e che forse dovremmo scoprire, prima di prendere decisioni.

Ma ovviamente il problema va ben oltre i governi: riguarda tutti noi. Preferiamo spiegazioni semplici ove possibile, ma soprattutto, ci piace che siano unitarie e senza sfumature. Ci piacciono i buoni e i cattivi, ci piace sapere chi rappresenta il futuro e chi il passato, vogliamo essere in grado di simpatizzare con alcuni e denigrare altri. A sua volta, questo perché la maggior parte dei nostri giudizi importanti sono emotivi. Sono ciò che Daniel Khaneman ha notoriamente definito il prodotto del pensiero del “Sistema 1”, che è rapido e istintivo, e adatto alla necessità di esprimere giudizi immediati, spesso salvavita. Al contrario, il pensiero del “Sistema 2” è razionale e coerente, e più adatto alle decisioni a lungo termine. Eppure, mentre quest’ultimo è ovviamente più adatto a questioni importanti e a lungo termine, comprese quelle politiche, il primo tende a predominare nella pratica. Di conseguenza, non solo le nostre opinioni astratte e teoriche sulla politica, ma anche le nostre lealtà e avversioni pratiche, tendono a essere istantanee ed emotive. Una volta che abbiamo scelto da che parte stare, questa diventa egoisticamente importante per noi, e ci investiamo emotivamente nei suoi successi e nei suoi fallimenti, e una critica a un paese, una fazione o una figura politica è quindi implicitamente una critica a noi stessi. Nella misura in cui siamo disposti ad accettare una discussione razionale, è per trovare un supporto apparentemente logico a giudizi che abbiamo già formulato emotivamente. (In effetti, alcuni psicologi hanno suggerito che la funzione principale della mente cosciente, e persino dell’emisfero sinistro del cervello, sia quella di razionalizzare a noi stessi decisioni già raggiunte inconsciamente.)

Pertanto, se suggerisco che ci sia una sfumatura o un livello di complessità in un argomento controverso in cui sei emotivamente coinvolto, considererai naturalmente tale suggerimento come un attacco a te. Da giovane non me ne rendevo conto, e non riuscivo a capire perché spiegare pazientemente alla gente che il Sole in realtà sorgeva a Est potesse portare a tali scoppi d’ira. Bisogna anche ammettere, però, che le persone che hanno prevalentemente l’emisfero sinistro del cervello, come tendo ad essere io, possono non solo far infuriare gli altri, ma anche sommergerli di complessità e sfumature al punto da dimenticare completamente l’obiettivo. Tale obiettivo, ovviamente, dovrebbe essere quello di far lavorare insieme creativamente ciò che Iain McGilchrist chiama “il Maestro e il suo Emissario”, accettando che sia molto più difficile in pratica che in teoria. Ma la chiave, credo, è addentrarsi il più possibile nelle sfumature e nella complessità, e non oltre, per formulare giudizi e decisioni il più solidi possibile, senza affogarli in dettagli ingestibili. Beh, vale comunque la pena provare.

Pertanto, la nostra metodologia, il nostro algoritmo, se vogliamo, per contemplare il mondo e decidere cosa pensare, è poco adatta alla natura del mondo stesso. Ci piacciono le categorie chiare e distinte, il giusto e lo sbagliato, il bene e il male, il bene e il male, il bene e il male. Ma il mondo è pieno di sfumature e complessità, e ci riluttanza a riconoscerlo, perché ci destabilizza. Ora, naturalmente, se questo fosse tutto ciò che questo saggio cercava di dire, non avrebbe avuto molto senso scriverlo, poiché la maggior parte dei lettori, dopo un po’ di riflessione, sarebbe d’accordo, e dopo un po’ di riflessione in più si chiederebbe “e allora?”. Quindi il resto di questo saggio è dedicato al “e allora?”.

La radicale riduzione del tempo dedicato a pensare e reagire, introdotta da Internet nell’ultimo decennio circa, ha aggravato notevolmente questi problemi. Forse cinquant’anni fa, un articolo poteva apparire su un quotidiano del mattino e richiedere una reazione. Quindi, durante il giorno, qualcosa veniva assemblato, approvato dai ministri se necessario, e trasmesso all’ufficio stampa o a un equivalente, per essere utilizzato nel telegiornale della sera o sui quotidiani del mattino successivo. Già negli anni Novanta stavamo sperimentando quello che allora veniva chiamato “effetto CNN”, in cui la copertura mediatica continua significava che le notizie (o “storie”) potevano emergere in qualsiasi momento, spesso direttamente dal basso, senza contesto o sfumature, e che opinionisti a caso venivano trascinati negli studi televisivi per riempire il tempo con commenti casuali e generalmente disinformati. Oggigiorno, naturalmente, interi cicli di notizie possono svolgersi nel corso di un’ora, senza alcun tentativo di contesto o sfumatura da parte di chi contribuisce. Un tweet corredato da un video di un’atrocità può fare il giro di Internet in pochi minuti, scatenando richieste immediate di incriminazione dei presunti responsabili da parte della Corte penale internazionale, per poi essere rapidamente superato da smentite e accuse di inganno dell’intelligenza artificiale. Potresti perderti tutto questo perché eri impegnato a fare la spesa e non hai guardato il telefono.

Politicamente, questo rafforza gli spregiudicati, coloro che hanno opinioni rigide e immutabili, che sanno sempre cosa pensare, e coloro che diffidano delle sfumature e non sono interessati alla complessità. Al contrario, indebolisce coloro che sanno davvero di cosa stanno parlando e coloro che capiscono che la maggior parte delle situazioni sono complesse e quindi richiedono sfumature. Significa che prendere decisioni sensate e persino la semplice comprensione sono più difficili che mai, e porta alla lamentela che ho sentito da molte persone intelligenti e istruite negli ultimi anni: “Non so proprio cosa pensare!”

Ora, ho già suggerito che né la sfumatura né la complessità sono automaticamente positive, e certamente non in quantità illimitata, e quindi, per correttezza, dovrei ammettere che ci sono circostanze in cui il loro effetto cumulativo è chiaramente negativo. Dopotutto, le decisioni devono essere prese e i giudizi devono essere espressi sia nella nostra vita privata che dalle istituzioni. Non possiamo procrastinare all’infinito basandoci sul fatto che “è complicato”. Il modo in cui lo facciamo pragmaticamente è basare le nostre decisioni sulle migliori informazioni disponibili alla fine di un periodo di tempo ragionevole, che è, in pratica, ciò che tutti facciamo spesso nella vita quotidiana. A volte spiego questo agli studenti con l’analogia della scelta di un hotel in cui soggiornare in una città che non si conosce. Si possono consultare guide e siti di recensioni di maggiore o minore autorevolezza, si può fare una ricerca semplice ma basilare sulla città e sulla zona, si può chiedere ad altri, si può approfondire i dettagli di recensioni e valutazioni fino a un certo punto, ma in realtà ci si avvicina rapidamente al punto di rendimenti decrescenti, dove ulteriori dettagli lasciano solo più confusi. A un certo punto bisogna dire “Basta” e prendere una decisione sulla base delle migliori informazioni disponibili. E se si scopre che il giorno prima l’autorità locale ha iniziato dei lavori stradali di disturbo di fronte all’hotel, beh, succede.

Questa è una metafora, se vogliamo, per ciò che fanno i governi, dove le decisioni devono essere prese continuamente su questioni complesse e sfumate, sulla base di informazioni molto incomplete. C’è una tensione intrinseca in tutti i sistemi di governo tra la leadership politica, che vuole conoscere solo i fatti, e la comunità degli esperti, la cui frase d’apertura preferita è “è complicato”, come di solito è. Lo possiamo vedere molto bene nell’attuale questione del programma nucleare iraniano, dove gli esperti si sono resi ridicoli negli ultimi mesi, perché in generale sono irrimediabilmente confusi dal punto di vista epistemologico. Queste domande sono interessanti e potrebbero facilmente essere sviluppate in un saggio completo (cosa che potrei fare se ci fosse abbastanza interesse), ma per il momento atteniamoci a due punti.

Il primo è che le agenzie di intelligence (e organizzazioni come l’AIEA e, per estensione, varie ONG specializzate) forniscono risposte molto precise a domande altrettanto precise, e queste risposte sono generalmente molto sfumate e condizionate. Le domande “L’Iran sta costruendo una bomba?”, “L’Iran ha la capacità tecnica di costruire una bomba?”, “L’Iran ha un programma di armi nucleari?”, “Il governo iraniano ha deciso di costruire una bomba nucleare?” e “L’Iran ha la capacità di colpire altri paesi con armi nucleari?” sono tutte molto diverse, implicano diverse serie di informazioni e valutazioni e porteranno a risposte sfumate e condizionate in modi diversi. Il risultato paradossale è che la maggior parte delle dichiarazioni di governi, esperti ed esperti indipendenti negli ultimi due mesi sono in realtà coerenti tra loro (o almeno non contraddittorie), perché in pratica si riferiscono a cose diverse.

Ciò vale soprattutto per i giudizi che incorporano informazioni di intelligence, che sono per loro natura frammentarie e inconcludenti, e non sorprende che tali giudizi siano sfumati e condizionati, e spesso espressi in termini cauti. Così, ad esempio, parole come “valutare”, “credere” e “stimare” vengono usate a scapito di qualsiasi altra cosa più precisa. Spesso, le informazioni semplicemente non sono disponibili per formulare giudizi definitivi, e non possono esserlo, per quanto le si esamini. Quindi le agenzie tendono a produrre giudizi che assomigliano a degli haiku , o al dialogo di un’opera teatrale di Samuel Beckett:

Non ci sono prove certe

Per indicare che l’Iran sta attualmente costruendo un’arma nucleare.

Ma sarebbe poco saggio

Per escludere del tutto questa possibilità.

Il che, in pratica, equivale a dire “non ne siamo sicuri”. Ma al sistema politico questo non interessa: vuole risposte e, se possibile, banalizzerà e persino traviserà le valutazioni.

La seconda è che non c’è nulla di speciale nelle informazioni di “intelligence”. Tutto ciò che le distingue dal gossip, o da ciò che si legge sui giornali, è che sono state ottenute con mezzi subdoli. Definire qualcosa “intelligence” non dice nulla sulla sua validità o utilità: sono questioni ben distinte. Indica solo che l’informazione è stata, sostanzialmente, rubata. Pertanto, le informazioni di intelligence, più di qualsiasi altro tipo, devono essere attentamente valutate e presentate in una forma opportunamente sfumata. Un esempio comparativo può chiarire questo punto. Il Ministero degli Esteri di Teheran potrebbe annunciare che una squadra incontrerà una squadra statunitense in Qatar. In alternativa, i giornali iraniani potrebbero pubblicare articoli ben documentati con le stesse informazioni. Oppure l’ambasciatore iraniano a Berlino potrebbe informare il vostro ambasciatore durante un cocktail party. Una fonte al Ministero degli Esteri potrebbe informare la vostra ambasciata in via confidenziale. Una fonte nell’ufficio del Presidente potrebbe informare un interlocutore di fiducia nella massima riservatezza. Un telegramma dal Qatar alla sua ambasciata a Washington che voi intercettate potrebbe fortemente suggerire che ciò accadrà. Il contenuto informativo di tutti questi, pur non essendo identico, è sostanzialmente coerente, ma i mezzi di acquisizione e la sensibilità di tali mezzi sono molto diversi.

L’impulso a trovare certezze è insito negli esseri umani e non è necessariamente negativo. Si può simpatizzare (in una certa misura) con i leader politici costretti a prendere decisioni senza informazioni sufficienti. Ci sono molti casi in cui la ricerca di eccessive sfumature può essere invalidante, e le istituzioni che iniziano a feticizzare tale ricerca possono risentirne. Un esempio insolito ma importante in questo senso è stata la Chiesa cristiana. Fino a tempi molto recenti, la dottrina e la sua corretta osservanza erano le preoccupazioni centrali della Chiesa, perché credere in qualcosa di sbagliato poteva portare alla dannazione, e proporre dottrine errate poteva dannare altri: da qui l’ossessione per l’eresia. La gente ha pensato in questo modo per un periodo di tempo molto lungo.

Gli anni Sessanta videro l’inizio di un cambiamento radicale, con le Chiese che abbandonarono progressivamente le dottrine fisse e molti leader ecclesiastici di diverse dominazioni che si spostarono progressivamente verso una sorta di tiepido umanesimo agnostico. Le Chiese iniziarono ad abbandonare il loro ruolo di dispensatrici della Verità e incoraggiarono i loro fedeli, in pieno stile egocentrico tipico degli anni Sessanta, a “pensare con la propria testa”. In effetti, se negli ultimi decenni avessi chiesto a un prete anglicano “Dio ha davvero creato i cieli e la terra?”, probabilmente avresti ottenuto una risposta evasiva del tipo “beh, è una domanda molto difficile e ognuno di noi deve decidere da solo. Certo, gli scienziati dicono…”. Naturalmente, le chiese di tutto il mondo si svuotarono. L’unica cosa che conta nella religione, dopotutto, è se sia vera. Se è vera, allora i suoi precetti devono essere accettati e messi in pratica, a prescindere dall’irritazione che ciò potrebbe causare al nostro ego. Se non è vero, allora la religione perde ogni legittimità specifica e diventa solo un altro insieme di idee etiche astratte, come è successo nella maggior parte del mondo. In effetti, i dialoghi interreligiosi sono per definizione un’accettazione del fatto che i leader in questione non credano che le loro dottrine siano effettivamente vere, altrimenti non ci sarebbe nulla di cui parlare.

Esistono ovviamente delle eccezioni, anche nel mondo occidentale. A volte (come in alcune zone rurali della Francia) la Chiesa non è realmente separabile dalla comunità locale, e frequentare la chiesa è piuttosto comune. Ma più in generale, il cattolicesimo tradizionalista, spesso di epoca pre-Concilio Vaticano II, ha mantenuto la sua forza, così come il cristianesimo evangelico. (Quest’ultimo ha effettivamente guadagnato terreno in tutto il mondo negli ultimi decenni, e in luoghi sorprendenti come la Corea). Sebbene parte del fascino di tali sistemi sia dovuto al fatto che hanno conservato gli aspetti magici e drammatici che la religione un tempo mostrava, la ragione principale è sicuramente che non hanno paura di dire ai fedeli la Verità e di chiedere loro di crederci. La riluttanza delle chiese cristiane tradizionali a farlo ulteriormente incoraggia semplicemente i delusi a cercare la Verità altrove, nel gergo New Age o nelle teorie del complotto. Come osservò G.K. Chesterton, chi smette di credere in Dio non crede in nulla, crede in qualsiasi cosa. Questo è abbastanza ragionevole, dato che pochi di noi amano vivere in un universo privo di significato.

George Orwell commentò come, negli anni ’30, gli intellettuali britannici si rifugiassero in massa nella Chiesa cattolica o nel Partito Comunista. Nonostante le loro aspre differenze, i due erano notevolmente simili, non da ultimo per l’esistenza di una dottrina rigida e priva di sfumature, e la conseguente persecuzione dell’eresia ovunque si trovasse. Tendiamo a dimenticare, in effetti, quanto rigido e intransigente fosse il movimento comunista internazionale fino agli anni ’70, soprattutto sotto Stalin, che aveva un potere e un’autorità personali che i Papi medievali avrebbero invidiato. Il giudizio di Stalin era inappellabile, aveva sempre ragione e, se necessario, la storia doveva essere riscritta per far apparire sotto una luce migliore episodi imbarazzanti come il patto Molotov-Ribbentrop. Eppure Stalin e i suoi successori sarebbero stati molto meno potenti senza l’esistenza di leader ultraortodossi dei partiti comunisti nazionali, come Maurice Thorez in Francia, e il sostegno incondizionato degli intellettuali di tutto il mondo.

Queste persone si sono naturalmente trovate in difficoltà dopo il 1990 e, comprensibilmente, si sono rifugiate in altri insiemi di certezze prive di sfumature. Notoriamente, i neoconservatori e i liberisti di mercato estremi in vari paesi erano spesso ex marxisti. In modo piuttosto simile, i marxisti apostati (e, per estensione, i cattolici apostati) hanno avuto un ruolo influente nella formulazione dell’ideologia della giustizia sociale, adottando il rifiuto delle sfumature e l’intolleranza al dissenso, e mescolandoli con le tradizionali e feroci lotte intestine ideologiche che caratterizzavano quei sistemi di credenze. Eppure, a differenza della rigidità del pensiero cristiano (basato sulla rivelazione) e del pensiero marxista (basato sull’interpretazione corretta della storia), queste nuove ideologie non si reggevano su nient’altro che su affermazioni a priori , e spesso lasciavano i loro seguaci vulnerabili e insoddisfatti.

Il che contribuisce a spiegare, ad esempio, la curiosa tolleranza di alcuni esponenti della sinistra per il fondamentalismo islamico, nonostante disprezzi ogni minimo valore storico della sinistra stessa. In Francia, un numero sorprendente di intellettuali francesi accolse la presa del potere da parte degli islamisti in Iran nel 1979 come una rivolta popolare. (A dire il vero, alcuni trovarono congeniali anche i Khmer Rossi). Più recentemente, quello che è diventato noto come “islamo-sinistra” ha visto la sinistra fare causa comune con i movimenti politici islamisti, sia pubblicamente (con il pretesto di combattere l'”islamofobia”) sia in accordi elettorali. Questa è diventata l’ideologia ufficiale della France Insoumise , con la quale spera di ottenere importanti successi elettorali nei prossimi anni. È chiaro che molti intellettuali francesi nutrono una curiosa fascinazione per la cruda, rigida e incrollabile purezza ideologica dell’Islam politico, e per la sua intolleranza per il dissenso e la sua tolleranza per la violenza estrema. (Il romanzo del 2015 di Michel Houllebecqu Soumssion , che racconta di un’alleanza elettorale tra la sinistra e i partiti musulmani per sconfiggere Le Pen e che porta a un presidente musulmano, sembra forse meno una satira stravagante oggi di quanto non lo fosse allora. Non a caso, il personaggio centrale del romanzo è un intellettuale di medio livello insoddisfatto, che finisce per convertirsi lui stesso all’Islam.)

Ma non si tratta solo di intellettuali. Un’intera generazione di persone cresciute negli anni ’70 e ’80, che avevano imparato slogan marxisti senza mai confrontarsi con la teoria vera e propria, vagava alla ricerca di sostituti, imbattendosi in tutto, dall’ecologia punitiva intransigente alle varie ideologie di giustizia sociale, tutte idee che fornivano loro slogan facilmente assimilabili piuttosto che idee concrete, e un sistema di credenze implacabilmente rigido e privo di sfumature che spiegava tutto e non tollerava alcun dissenso. Alcuni seguirono la progressione logica verso teorie del complotto, dove ogni sfumatura e riserva poteva essere liquidata con l’affermazione di complotti ancora più profondi e sinistri di quanto si fosse precedentemente compreso. I loro allievi e i loro figli, a due generazioni di distanza da una formazione intellettuale coerente, stanno ora raggiungendo posizioni di influenza e potere. Trovo questo preoccupante.

La combinazione di trattazioni sempre più concise di fatti e idee, la riluttanza a confrontarsi con qualcosa di sostanziale e difficile, sia scritto che parlato, il fatto che la maggior parte delle persone identifichi le proprie idee con il proprio ego e consideri il disaccordo una forma di aggressione, e la conseguente paura delle sfumature e persino del dibattito, sono collettivamente un cattivo presagio per il futuro del nostro sistema politico. Considero le recenti assurdità universitarie sui “pericoli” della libertà di parola essenzialmente come una sorta di meccanismo di difesa dell’ego, per evitare di dover affrontare idee, e persino fatti, che ci destabilizzano e ci fanno capire che le nostre idee, in fin dei conti, non si basano su nulla di sostanziale.

Ecco perché, forse, il dibattito pubblico sembra ora essere a un livello più basso che mai. Le barriere all’ingresso, dopotutto, non sono mai state così basse: bastano pochi secondi per intervenire in un dibattito, anche solo per cercare di dimostrare quanto si è intelligenti o quanto si odia una parte o l’altra. La tendenza, quindi, è verso interventi sempre più semplici, sempre più brevi, sempre più evanescenti, pensati per creare un’impressione immediata e raccogliere “mi piace”, dopodiché possono essere dimenticati. Persino i politici, i cui interventi pubblici un tempo erano preparati con cura, ora sembrano ben contenti di scaricare i contenuti transitori dei loro cervelli su Internet, senza pensare minimamente alle conseguenze a lungo termine.

Ciò implica, ovviamente, che non ci sia spazio per le sfumature, né per la discussione. In effetti, gran parte di ciò che oggi passa per “dibattito” non è altro che un crescente scambio di insulti. A nostra volta, poiché le nostre opinioni politiche si basano più che mai su reazioni istintive e istinto di gruppo, non siamo affatto interessati a qualificazioni, sottigliezze o qualsiasi livello di complessità, non più di quanto un tifoso del Manchester United sia disposto ad ammettere a un tifoso del Real Madrid che questo o quel giocatore abbia commesso errori o sia stato acquistato a un prezzo troppo alto. Il risultato è che su questioni controverse – l’Ucraina, ad esempio, o l’Iran o Gaza – esistono semplicemente insiemi contrapposti di ortodossie strutturate, che devono essere accettate e riproposte nella loro interezza, come slogan, e che non tollerano alcuna domanda. È tutto o niente, perché in realtà non si sa molto del “tutto” e si teme che se si concede qualcosa non si ottenga nulla. Pertanto, introdurre una qualificazione del tipo “beh, in realtà penso che i media abbiano esagerato notevolmente le vittime russe” oppure “in realtà mi sembra che almeno alcuni ucraini stiano combattendo per sincero patriottismo” significa provocare una risposta spaventata e offensiva da parte di persone che si sentono destabilizzate e quindi spaventate da commenti a cui non sono in grado di rispondere razionalmente.

In definitiva, come ho suggerito, la forma estesa, e la pazienza e l’applicazione che richiede, è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per recuperare un certo grado di calma e razionalità nel discorso politico. Questo non significa, ovviamente, che non ci sia spazio per altre forme: persino Twitter può essere utile in certi contesti. Ma forse la natura sempre più frenetica e rigida del “dibattito” politico è arrivata al limite senza implodere, e ci sono segnali che indicano che almeno alcuni capiscono che il mondo è complesso e ricco di sfumature, e che qualsiasi cosa valga la pena di dire al riguardo richiede spazio a sufficienza per essere espressa. Possiamo solo sperare. E con questo si conclude un altro saggio di lunga durata.

Commedia trasformata in farsa: Trump promette ben dieci missili all’Ucraina, di Simplicius

Commedia trasformata in farsa: Trump promette ben dieci missili all’Ucraina

Simplicius 11 luglio
 
LEGGI IN APP
 
Il  sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:
– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;
– IBAN: IT30D3608105138261529861559
PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo
Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo
Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione).
Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373

Dopo aver fallito nel tentativo di costringere la Russia a una sfavorevole cessazione delle ostilità (leggi: resa), gli Stati Uniti stanno ora giocando di nuovo alla roulette delle “sanzioni”, che il vampiro neocon dello Stato profondo Lindsey Graham ha incastrato a Trump.

Le sanzioni sulle esportazioni di energia e sui servizi bancari russi hanno lo scopo di “degradare” la capacità della Russia di condurre la guerra in perpetuo, dato che l’élite occidentale si sta finalmente rendendo conto che la Russia non si sottometterà e intende continuare all’infinito.

Il NYT scrive che i senatori Lindsey Graham e Richard Blumenthal stanno preparando un disegno di legge su nuove sanzioni contro il settore energetico russo, che potrebbero portare a un crollo globale dei mercati energetici e a una recessione mondiale. Allo stesso tempo, la pubblicazione indica che a Mosca non c’è panico. La Russia è abituata alle pressioni delle sanzioni e si sta rapidamente adattando.

Ma c’è ancora qualche equivoco che è chiaramente inteso a dare a Trump la possibilità di giocare da entrambe le parti, come al solito, cioè di simulare il “duro” attraverso una legge sulle sanzioni, ma di avere la capacità di sminuirle diplomaticamente e di ridurle secondo le necessità, come un contentino per entrambe le parti.

Rubio lo lascia intendere:

In modo analogo, la stampa riferisce ora che Trump potrebbe avviare il primo pacchetto di armi completamente nuovo all’Ucraina sotto la sua amministrazione, in contrasto con il PDA dell’era Biden che stava ancora spremendo le ultime gocce.

https://www.reuters.com/world/europa/trump-uso-presidenziale-autorità-invio-armi-fonti-ucraine-dicono-2025-07-10/

Ma, ancora una volta, c’è qualcosa di più di quello che si vede?

In primo luogo, si parla di un misero pacchetto PDA (Presidential Drawdown Authority) da 300 milioni di dollari, che di fatto equivale a una manciata di missili, a seconda del sistema d’arma. Anche il PDA di Biden aveva quasi 4 miliardi di dollari da erogare.

In secondo luogo, come parte del suo nuovo pacchetto, Trump si sarebbe impegnato a inviare “10 missili Patriot” all’Ucraina:

https://kyivindependent.com/guerra-ucraina-ultima-trump-sarebbe impegnato a inviare-10-missili Patriot all’Ucraina-chiede alla Germania di inviare una batteria-06-2025/

Probabilmente starete pensando che si tratta di 10 lanciamissili completi, un’offerta considerevole!

Ma per quanto possa sembrare sconvolgente, i 10 missili sembrano riferirsi proprio a questo: 10 intercettatori missilistici veri e propri, cioè le munizioni.

Nell’articolo, Trump chiede alla Germania di inviare una batteria completa mentre lui invia 10 missili. Si tratta di una richiesta strana, in quanto 10 missili lanciatori rappresenterebbero essi stessi una batteria, per cui non sarebbe necessario fare una distinzione. In realtà, si tratta di quasi due batterie, ognuna delle quali costa circa 2,5 miliardi di dollari in termini di esportazioni; 5 miliardi di dollari sono una cifra estremamente improbabile da parte di Trump, dato che il suo nuovo pacchetto mira a regalare appena 300 milioni di dollari, come già detto.

Inoltre, gli aiuti precedentemente “congelati” contenevano in modo verificabile “30 missili Patriot” – cioè le munizioni vere e proprie – come si può verificare attraverso varie fonti tradizionali. Qui, Reuters:

Quindi, se questa tanto decantata spedizione ha generato tanto sconcerto per soli 30 missili, è ipotizzabile che l’annuncio di Trump di altri 10 si riferisca alle munizioni. Si tenga presente che i missili Patriot PAC-3 MSE costano circa 10 milioni di dollari l’uno. Ciò significa che altri 10 missili costerebbero fino a 100 milioni di dollari, il che ha certamente senso in questo contesto.

https://www.theguardian.com/us-news/2025/jul/08/us-pentagon-military-plans-patriot-missile-interceptor

Se così fosse, allora dovremmo rimanere a bocca aperta di fronte a questo teatro dell’assurdo: tutto questo rumore per appena 10 missili che verranno sparati in tre o quattro secondi durante il prossimo attacco della Russia?

Proprio ieri sera, la Russia ha ancora una volta battuto il record, questa volta bombardando l’Ucraina con oltre 700 droni e missili in una sola notte.

Cosa dovrebbero fare i miseri 10 missili contro questo? È evidente la deliberata doppiezza e i giochi di ritardo di questo spettacolo farsesco.

L’ultima ragione per dubitare che i 10 si riferiscano ai lanciatori è la dichiarazione di Rubio riguardo al fatto che altre nazioni devono pagare il conto per inviare i loro lanciatori all’Ucraina, implicando che gli Stati Uniti non dovrebbero inviarne altri:

Naturalmente, sappiamo tutti che se si tratta di 10 miseri missili o di 10 batterie, alla fine non fa alcuna differenza. A 10 milioni di dollari per missile, si prevede un costo di 7 miliardi di dollari al giorno per intercettare gli oltre 700 attacchi di droni Geran della Russia. Diverse personalità ucraine hanno recentemente affermato che la Russia lancerà presto più di 1.000 Geran al giorno.

Ora Trump ha dichiarato alla NBC che lunedì farà una “grande dichiarazione” sulla Russia, presumibilmente qualcosa che avrà a che fare con le sanzioni.

Se una qualche forma di sanzioni più severe dovesse essere approvata, sarebbe solo parte del solito piano europeo di mettere in gabbia le flotte mercantili russe, piano che si sta sviluppando ogni giorno in direzioni pericolose.

Per esempio:

https://www.ft.com/content/0c42af06-2139-4848-a980-b90494794c98

Ricordiamo il doppio gioco: escludere le navi russe dai mercati assicurativi internazionali, quindi “richiedere l’assicurazione” in acque interamente controllate da ZEE arbitrarie per attuare la “pirateria legale”.

Da un’altra fonte:

La Svezia ha ora annunciato che a partire dal 1° luglio la sua marina militare fermerà, ispezionerà e potenzialmente sequestrerà tutte le imbarcazioni sospette che transitano nella sua zona economica esclusiva, e sta dispiegando le forze aeree svedesi per sostenere questa minaccia. Dal momento che le zone economiche marittime combinate della Svezia e dei tre Stati baltici coprono l’intero Mar Baltico centrale, ciò equivale a una minaccia virtuale di tagliare tutti i commerci russi che escono dalla Russia attraverso il Baltico – il che sarebbe davvero un duro colpo economico per Mosca.

Inoltre, minaccerebbe di tagliare l’accesso alla Russia via mare all’exclave russa di Kaliningrad, circondata dalla Polonia.

Nel frattempo, la Russia ha continuato a scortare le navi della cosiddetta “flotta ombra”:

Un analista della Starboard Maritime Intelligence Ltd riferisce che le petroliere SELVA e SIERRA hanno attraversato il Canale della Manica contemporaneamente alla corvetta BOIKOY del Progetto 20380 della Flotta del Baltico della Marina russa. Si tratta della prima scorta registrata di petroliere russe da parte di navi da guerra russe (attraverso il Canale della Manica).

Per sicurezza, la Russia ha anche incrementato alcune di quelle riserve fantasma di cui abbiamo tanto parlato.

La Russia espande la presenza militare vicino al confine finlandese

Nuove immagini satellitari pubblicate da fonti occidentali mostrano che la Russia sta costruendo un nuovo complesso militare vicino al confine finlandese, un chiaro segno di un rafforzamento a lungo termine delle truppe nella regione.

Importanti lavori di sbancamento e nuove strutture sono apparse presso il presidio di Lupche-Savino, parte della città di Kandalaksha nella regione di Murmansk, a circa 110 km dalla Finlandia. Secondo i rapporti, due brigate sono già state trasferite in quest’area.

Le foto satellitari rivelano anche l’espansione del presidio di Sapyornoye sull’istmo careliano, situato a circa 70 km dal confine finlandese.

Contemporaneamente la Russia sta proseguendo i preparativi a Petrozavodsk, la capitale della Carelia. La città ospita il comando di una divisione mista dell’aviazione, che supervisiona la vicina base aerea di Besovets.

In particolare, la Russia sta formando un 44° Corpo d’Armata completamente nuovo nella Repubblica di Carelia – una mossa che di fatto aggiunge circa 15.000 truppe alla frontiera orientale della NATO.

Non stupitevi di vedere lì molti T-90M appena prodotti.

Le sanzioni statunitensi, in ogni caso, si dà il caso che siano nate morte, come lo scettico WaPo ci ha già informato la volta scorsa:

Sulla carta, la proposta di legge del senatore Lindsey Graham (R-South Carolina), che tenta di imporre alla Russia le sanzioni commerciali più dure e di più ampia portata, dovrebbe piacere ai sostenitori dell’Ucraina. Ma c’è un problema: per quanto audace sia la legislazione, essa equivarrebbe a lanciare una guerra commerciale con quasi tutto il resto del mondo, tagliando il naso all’America per far dispetto al Presidente russo Vladimir Putin.

Nel frattempo, la stanchezza per l’Ucraina si fa sentire in Occidente. Il presidente polacco Duda ha fatto una dichiarazione piuttosto provocatoria, minacciando essenzialmente di chiudere il gasdotto dell’aeroporto di Rzeszow verso l’Ucraina, che è di gran lunga il nodo di armi più critico della NATO:

In chiusura, il venditore di olio di serpente “Hissing Hegseth” ha pubblicato questo nuovo spot pubblicitario che fa rabbrividire, per annunciare la prossima era del “dominio dei droni” americano:

Sembra che sotto Trump l’America continui il suo rituale dionisiaco di umiliazione. O questo o la sua trasformazione in una sorta di bazar-casinò kitsch, campeggiante, post-capitalista e distopico.

Insomma, il tipo di luogo che questa ristrutturazione della Casa Bianca è adatta a simboleggiare:


Il vostro sostegno è inestimabile. Se vi è piaciuta la lettura, vi sarei molto grato se sottoscriveste un impegno mensile/annuale per sostenere il mio lavoro, in modo da poter continuare a fornirvi rapporti dettagliati e incisivi come questo.

In alternativa, potete lasciare una mancia qui: buymeacoffee.com/Simplicius

Sangue nell’acqua, sangue sulla spiaggia, di Big Serge

Sangue nell’acqua, sangue sulla spiaggia

Storia della guerra navale, parte 11

Il  sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:

– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;

– IBAN: IT30D3608105138261529861559

PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo

Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo

Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione).

Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373

Big Serge

08 luglio 2025

∙ Pagato

Anzac, lo sbarco, di George Lambert

Tra le molte memorie lasciate dai partecipanti alla Prima guerra mondiale, un motivo onnipresente è un profondo senso di disorientamento. L’esperienza della guerra era nettamente diversa, a seconda del nodo della gerarchia di comando in cui ci si trovava, ma gli arruolati, gli ufficiali e le autorità politiche condividevano tutti la sensazione che l’Europa fosse attanagliata da una macchina di morte che era sfuggita al controllo dell’uomo. Gli umili fanti al fronte lo sperimentarono più acutamente, nell’intenso disorientamento fisico che accompagnava i bombardamenti prolungati dell’artiglieria moderna, e anche nello strisciante intorpidimento spirituale che derivava da anni di assedio in trincee fangose piene di detriti, topi e cadaveri.

Per gli ufficiali delle alte sfere, il disorientamento della guerra fu caratterizzato non tanto dal disorientamento fisico del fronte e dalla sua infinita cacofonia di spari ed esplosioni, quanto piuttosto dalla rottura di presupposti di lunga data su come condurre le operazioni militari, con i pianificatori operativi che cercavano soluzioni nell’ignoranza. Col senno di poi, è facile liquidare le brutali e inefficaci offensive (in particolare sul fronte occidentale) come un esercizio di macelleria e ignoranza. In tempo reale, tuttavia, gli eserciti europei stavano cercando di risolvere problemi tattici e operativi che nessuno aveva mai affrontato prima, e nessuno aveva ottenuto risultati migliori di altri, soprattutto nei primi anni di guerra. Ypres, la Somme e Verdun si fondono in un velo di morte dissipata.

Data l’apparente insensatezza di queste operazioni, le perdite di massa che produssero e la natura bloccata di un fronte che si mosse pochissimo in un arco di tempo misurato in anni, è facile pensare alla Prima Guerra Mondiale come a un conflitto fondamentalmente sterile e statico. Questo sembrerebbe essere vero sia in mare che sulla terraferma, con le costose flotte dei combattenti che si scontravano in scontri che erano pochi, lontani tra loro e indecisi.

Tuttavia, se la guerra fu relativamente statica sulla scala operativa, gli immensi sforzi della guerra spinsero a sperimentare senza sosta. La Grande Guerra, pur essendo afflitta da fronti glaciali, combattimenti posizionali e intenso logoramento, vide la nascita di nuove forme di combattimento che sarebbero diventate fondamentali per la conduzione delle guerre successive. Tra queste, la guerra sottomarina senza restrizioni della Germania contro le navi nemiche, le innovative tattiche di fanteria incentrate sulle piccole unità e sull’infiltrazione e le primitive varianti del bombardamento strategico. È impossibile raccontare la storia della Seconda guerra mondiale senza questi concetti, tutti nati dal trauma apparentemente statico della guerra precedente.

Una delle nuove forme di combattimento della Grande Guerra, che come le altre avrebbe raggiunto la maturità nella seconda guerra, era la forma operativa che conosciamo come assalto anfibio. L’idea delle operazioni anfibie in sé non era nuova, naturalmente: i militari usavano il mare come spazio di manovra per il dispiegamento delle truppe fin dall’antichità. Una delle prime battaglie di cui la maggior parte delle persone ha sentito parlare –la battaglia di Maratona– iniziò con uno sbarco anfibio persiano nella Grecia centrale. Tuttavia, fu nella Prima guerra mondiale che le operazioni anfibie assunsero per la prima volta la forma riconoscibile dai popoli moderni: lo sbarco di una forza d’assalto contro una difesa preparata, di concerto con il supporto navale, con l’intenzione di tenere permanentemente la testa di ponte.

Come i grandi assedi dei principali fronti europei, queste operazioni marittime costituivano un problema di combattimento del tutto nuovo e le complicazioni non mancavano. Come praticamente tutti gli altri aspetti del combattimento offensivo nella Prima Guerra Mondiale, gli assalti anfibi erano chiaramente una forma operativa immatura, al punto che molti pianificatori tra le due guerre trassero la lezione che tali assalti non potevano essere condotti con successo. Naturalmente si sbagliavano, e le operazioni anfibie divennero pietre miliari della Seconda Guerra Mondiale in un’ampia varietà di teatri. In effetti, la più famosa battaglia americana di tutti i tempi, l’invasione della Normandia, fu condotta essenzialmente secondo le linee sperimentate nella prima guerra. Nel bene e nel male, il trattamento crudo di Spielberg nella scena d’apertura diSalvate il soldato Ryanè forse la rappresentazione più nota del combattimento americano.

Qui ripercorreremo la nascita di questa forma operativa, che fu generata – come praticamente tutti i disastri militari della Grande Guerra – da una combinazione di frustrazione strategica, imbroglio diplomatico, arroganza e un nodo tattico schiacciante per il quale nessuno aveva ancora trovato una soluzione. Mentre l’Europa cercava una soluzione nel 1915, alcuni uomini, come il Primo Lord dell’Ammiragliato britannico Winston Churchill, pensavano di averla trovata. Invece, si limitarono ad aprire un nuovo luogo di massacro nel luogo in cui la terra e l’acqua si incontrano.

Breve nota sulle operazioni anfibie.

Allora Dio disse: “Le acque sotto il cielo si riuniscano in un solo luogo e appaia la terra asciutta”; e così fu. E Dio chiamò la terra asciutta Terra, e il raduno delle acque lo chiamò Mare. E Dio vide che era cosa buona.

~ Genesi 1, 9-10

Il mare è sempre stato una zona di combattimento per gli Stati belligeranti del mondo e uno dei primi privilegi dello Stato che detiene il potere marittimo è il potere di usare l’acqua come spazio di manovra, per proiettare il potere di combattimento sulla terraferma attraverso vaste distanze. Questa proiezione di potenza, attraverso lo spostamento di forze da combattimento dal mare su una costa ostile, ciò che chiamiamo operazione anfibia, è uno dei compiti di combattimento più antichi dell’esperienza umana e uno dei più pericolosi. Una delle prime battaglie nella coscienza generale dell’occidente, laBattaglia di MaratonaLa battaglia di Maratona fu un’azione ateniese per contrastare uno sbarco anfibio persiano nella Grecia centrale, e nei secoli successivi il Mediterraneo divenne spesso un’autostrada per gli eserciti che navigavano (e remavano) avanti e indietro attraverso lo spazio interno del mondo antico.

La Grande Guerra, iniziata nel 1914, segnò un cambiamento sismico nella natura del compito di combattimento anfibio, che sembrò evolversi da un giorno all’altro in qualcosa di quasi completamente nuovo. La lunga storia del combattimento anfibio aveva generalmente enfatizzato il ruolo del mare come spazio di manovra libero, per lo sbarco preferenziale di forze in luoghi inaspettati o non difesi – in effetti, utilizzando il lungo raggio e la flessibilità del trasporto marittimo per aggirare il nemico. Per molti versi, l’intero scopo della proiezione di forze via mare era quello di sfruttare l’enorme raggio d’azione per far sbarcare le truppe dove il nemico non si trovava.

I britannici, ovviamente, non erano estranei a questa pratica. Come potenza navale preminente al mondo per molti secoli, pochi potevano vantare una così vasta esperienza nello spostamento di truppe negli angoli bui di teatri lontani. La capacità di depositare forze sul litorale aveva giocato un ruolo chiave nei numerosi conflitti coloniali della Gran Bretagna; in una delle più famose imprese d’armi britanniche, le forze del generale James Wolfe sbarcarono sulle rive del fiume San Lorenzo nel 1759 e scalarono le scogliere vicino a Quebec, cogliendo di sorpresa i francesi. Questa vittoria, che accelerò notevolmente l’acquisizione del Canada da parte degli inglesi, fu scandita dalle famose ultime parole del comandante francese Montcalm, che respinse la minaccia anfibia affermando: “Non si può pensare che i nemici abbiano le ali per poter attraversare il fiume nella stessa notte, sbarcare, scalare il dirupo ostruito e scalare le mura”. Infatti.

Sebbene lo sbarco a Quebec sia stato forse l’esempio più cinematografico della forma operativa, non era certo unico. Sia nella guerra rivoluzionaria americana che nelle guerre napoleoniche, il controllo britannico del mare permise di dispiegare e sostenere le forze nei teatri di loro scelta. Il controllo britannico del Chesapeake permise loro di penetrare nell’entroterra della costa americana (portando direttamente all’incendio di Washington DC nel 1812), e nelle guerre contro la Francia sostennero teatri di combattimenti terrestri scollegati in Iberia, compresa la famosa campagna di Wellington in Spagna.

Tutto questo è forse interessante, ma il punto chiave della lunga esperienza britannica con le operazioni anfibie era questo: il vantaggio del controllo del mare era che il mare diventava uno spazio di manovra, grazie al quale le forze potevano essere inserite in posizioni vantaggiose per ottenere un vantaggio sul nemico. Che si trattasse di un’impresa su piccola scala, simile alle moderne operazioni speciali, come nel caso della task force di Wolfe che scalò le scogliere del San Lorenzo, o su scala più strategica, come nel caso di Wellington che infiammò il fronte iberico contro Napoleone, il punto era che, poiché il mare permetteva di inserire le forze in un punto a scelta, poteva essere usato per aggirare o evitare le posizioni di forza del nemico.

In altre parole, lo scopo delle operazioni anfibie non era certo quello di usare il mare come piattaforma per lanciare assalti diretti ai punti di forza nemici. Anche ai tempi dei cannoni e delle vele, le fortificazioni litoranee, e in particolare i forti veri e propri, presentavano vantaggi intrinseci rispetto alle forze marittime che erano terribilmente difficili da superare. A parte la differenza di durata che derivava dallo scambio di cannoni tra un forte di pietra e una nave di legno, i forti godevano di un’elevazione vantaggiosa e di magazzini molto più grandi e meglio protetti.

Pertanto, nella maggior parte dei casi storici in cui le forze anfibie si sono trovate ad affrontare punti di forza costieri, hanno puntato ad aggirare il nemico sbarcando a distanza. Questo era stato il caso dell’assedio di Louisbourg (1758) e della battaglia di Beauport (1759). Quando Winfield Scott guidò l’invasione americana del Messico nel 1847, sbarcò l’intera forza a diverse miglia dalla spiaggia dalle fortificazioni di Veracruz e poi marciò via terra per assaltarle. Questo era considerato un metodo essenzialmente da manuale e idealizzato per affrontare una potente fortezza costiera. Nei rari casi in cui l’assalto diretto dal mare era inevitabile, i risultati erano spesso deludenti. Nella battaglia di Santa Cruz de Tenerife del 1797, Horatio Nelson perse un braccio guidando un assalto anfibio malriuscito alle fortificazioni spagnole nelle Isole Canarie. È sulla base di questa sconfitta che è stato attribuito a Lord Nelson il famoso detto, anche se quasi certamente non è stato lui a pronunciarlo: “Una nave è un pazzo a combattere un forte”.

Nelson ferito durante la battaglia di Santa Cruz de Tenerife, di Richard Westall

L’obiettivo di tutto ciò è relativamente semplice: esisteva una grande esperienza di operazioni anfibie in quanto tali, ma queste generalmente miravano a utilizzare il mare come spazio di manovra per depositare le truppe in teste di ponte non difese. Al contrario, non c’era un corpo di lavoro incoraggiante o sistematico che suggerisse che fosse desiderabile lanciare un assalto dal mare direttamente contro la forza delle difese nemiche preparate. Anche in casi di studio più recenti, come la guerra di Crimea, le forze navali francesi e britanniche non erano state in grado di sottomettere le fortificazioni russe in luoghi come Sebastopoli e Petropavlovsk attraverso un assalto via mare, e le operazioni intorno a Sebastopoli si trasformarono in un estenuante assedio via terra che assomigliava in modo inquietante a un’anteprima della guerra di posizione della Prima guerra mondiale. Anche nella guerra civile americana, la potenza navale permise alle forze dell’Unione di penetrare nel cuore della Confederazione attraverso i grandi fiumi interni, ma fu inadeguata per un assalto diretto alle potenti difese di Vicksburg, che alla fine fu sottomessa, come Sebastopoli, con operazioni via terra.

Quando scoppiò la Prima Guerra Mondiale, gli inglesi stavano studiando sistematicamente questi esempi passati di operazioni anfibie e stavano valutando come applicarli alle operazioni contro i tedeschi. Nel gennaio del 1913, Winston Churchill, in qualità di Primo Lord dell’Ammiragliato, incaricò l’ammiraglio Lewis Bayly di studiare la fattibilità dell’uso di operazioni anfibie per impadronirsi di una base di flottiglia avanzata sulle coste olandesi, danesi o scandinave, che Bayly in seguito restrinse all’isola di Borkum, a circa 18 miglia dalla costa tedesca. Churchill incaricò inoltre Bayly di studiare la fattibilità di uno sbarco di forze tedesche inosservate in Gran Bretagna, che rimaneva una preoccupazione sulla base di esercitazioni che avevano dimostrato la possibilità per una flotta da sbarco tedesca di raggiungere le coste britanniche senza essere individuata. Così, allo scoppio della guerra, Bayly stava già valutando il potenziale di operazioni anfibie in entrambe le direzioni, ovvero di sbarchi britannici sulla sponda opposta del Mare del Nord e di sbarchi tedeschi in Gran Bretagna.

Sulla base della sua analisi degli assalti anfibi del passato, Bayly trasse alcune importanti conclusioni: in particolare, che le finte e altri metodi di inganno sarebbero stati assolutamente necessari per coprire qualsiasi potenziale sbarco e, in secondo luogo, che la Royal Navy avrebbe dovuto acquisire mezzi da sbarco specializzati a fondo piatto. In effetti, egli aveva prodotto uno studio di fattibilità che, sebbene non avesse portato ad alcuna operazione anfibia a Borkum o in qualsiasi altro punto della costa del Mare del Nord, aveva fornito il primo schizzo intenzionale di futuri assalti anfibi. Il tema fu ripreso dal First Sea Lord Jacky Fisher, che sostenne la necessità di uno sbarco sulla costa baltica della Germania.

Tuttavia, la pianificazione sistematica fu minata dal generale senso di paralisi strategica che affliggeva la Marina britannica nel primo anno di guerra. Non emerse alcun consenso tra gli ammiragli su dove, come o addirittura se la flotta tedesca dovesse essere stanata per una battaglia di flotta decisiva, o su come si potesse utilizzare il dispiegamento di forze in avanti per raggiungere questo obiettivo. Fisher si batteva per l’opzione Baltico e ordinò una serie di mezzi da sbarco e cannoniere a basso pescaggio, mentre altri sostenevano l’offensiva del dragaggio di mine, le trappole per sottomarini e le operazioni sul litorale del Mare del Nord – c’era persino uno studio speculativo su un raid per distruggere le chiuse del Canale di Kiel. In breve, le proposte sembravano essere tante quante le personalità coinvolte. La sensazione generale era che la potenza marittima britannica avesse acquisito un’immensa flessibilità operativa e la capacità di proiettare la potenza di combattimento in qualsiasi luogo, ma c’era poco consenso su come capitalizzare tutto ciò. Ciò che contava, tuttavia, era che la marina stava già pensando sistematicamente alle operazioni anfibie, a partire dall’indagine storica di Bayly del 1913, quando si presentò un’opportunità nel ventre apparentemente molle del nemico.

La decisione per lo stretto

La grande catastrofe militare che conosciamo come battaglia di Gallipoli è una specie di paradosso storiografico. La ragione di ciò è abbastanza semplice. Poiché i responsabili della campagna britannica di Dardanelle furono in seguito costretti a difendersi davanti a una commissione d’inchiesta, fu prodotta un’enorme quantità di prove scritte sul processo di pianificazione. Di conseguenza, la battaglia è uno degli incidenti meglio documentati della storia militare. Tuttavia, poiché tra gli imputati c’era un individuo particolarmente verboso e famoso di nome Winston Churchill, questo stesso prolifico corpo di prove è stato pesantemente colorato dagli energici sforzi del suddetto signore per riabilitare il suo nome. In particolare, Churchill dedicò un ampio numero di parole nella sua storia della guerra in sei volumi per difendere le sue decisioni riguardo ai Dardanelli. Quindi, il paradosso è che quando si parla di Gallipoli e dei Dardanelli, in realtà sappiamo molto della campagna, ma le cose che sappiamo sono offuscate dalla versione della storia ampiamente diffusa da Churchill.

Per capire la disfatta militare che si è consumata negli stretti turchi, è bene tornare all’inizio. Convenzionalmente, alla campagna degli stretti si può attribuire una data d’origine precisa. Il 30 dicembre 1914, l’addetto militare britannico in Russia, il maggiore generale Sir John Hanbury-Williams, fu convocato allo Stavka (alto comando dell’esercito) di Baranovichi (l’odierna Bielorussia) per incontrare il cugino dello zar e comandante in capo russo, il granduca Nicola. Il Granduca informò il suo ospite che i Turchi avevano schierato un grande esercito nel Caucaso che stava avanzando sul fronte. Il Granduca tessé una fitta nube di melodramma, lamentando che la Russia era stata “costretta a privare il Caucaso della maggior parte delle sue truppe” per combattere i tedeschi. Suggerì, tuttavia, che “c’erano molti luoghi nell’Impero Ottomano in cui qualsiasi forza messa in campo avrebbe potuto ampiamente compensare le vittorie turche nel Caucaso”, e suggerì in particolare che una minaccia a Costantinopoli avrebbe potuto essere molto utile a questo proposito.

Senza dirlo esplicitamente, il Granduca chiedeva un attacco britannico diversivo contro gli Ottomani e, in un momento di notevole efficienza diplomatica, questo incontro ad hoc allo Stavka si trasformò in una vera e propria pianificazione operativa a Londra nel giro di pochi giorni. Quasi subito dopo aver concluso l’incontro con il Granduca, Hanbury-Williams salì su un treno per Pietrogrado, accompagnato dal principe Nikolai Kudashev (capo dell’ufficio diplomatico dello Stavka). Arrivati nella capitale zarista, i due incontrarono il ministro degli Esteri russo, Sergei Sazonov, e l’ambasciatore britannico, Sir George Buchanan. Il giorno di Capodanno, Buchanan inviò un telegramma urgente al ministero degli Esteri britannico a Londra, chiedendo che la Gran Bretagna escogitasse proprio un’operazione diversiva per alleggerire la pressione sui russi. Il giorno seguente (2 gennaio), il ministero degli Esteri trasmise questa richiesta a Churchill (Primo Lord dell’Ammiragliato) e a Kitchener (Segretario di Stato alla Guerra). Alla fine della giornata, Kitchener e Churchill conclusero che l’unico schema operativo adatto era l’assalto ai Dardanelli.

L’efficienza di questa catena di comunicazione lasciava senza fiato. La richiesta speculativa e poco velata del Granduca di un diversivo si trasformò in pochi giorni in una seria pianificazione operativa a Londra. In un modo strano, tuttavia, queste discussioni si stavano muovendo così velocemente da superare gli eventi sul campo. Fu proprio durante quei tre giorni di comunicazioni e discussioni urgenti che la Terza Armata ottomana fu portata sull’orlo della totale disintegrazione nella battaglia di Sarikamish, preannunciando una decisiva vittoria russa sul fronte caucasico. Il 2 gennaio, la situazione “urgente” nel Caucaso era stata completamente ribaltata e la premessa stessa della richiesta del Granduca di un attacco diversivo era diventata obsoleta. Questo, tuttavia, non ebbe alcun effetto significativo sul processo di pianificazione, che in pochi giorni aveva già preso un potente slancio.

Il motivo era piuttosto semplice. Anche prima della richiesta del Granduca di un attacco diversivo, il gabinetto di guerra britannico stava già pensando a dove aprire nuovi fronti per aggirare la situazione di stallo che si era creata sul fronte occidentale, pesantemente fortificato. Mentre Churchill, all’epoca, era ancora un sostenitore delle operazioni nel Baltico, altri membri del Consiglio di Guerra britannico avevano già maturato l’idea che il modo migliore per minare la Germania potesse essere quello di aprire un fronte contro la Turchia, soprattutto perché le vittorie alleate contro i turchi avrebbero potuto costringere gli Stati balcanici neutrali come la Bulgaria e la Grecia a entrare in guerra a fianco dell’Intesa. Un memorandum del 28 dicembre di Maurice Hankey, segretario del Consiglio di Guerra, sosteneva che “la Germania può forse essere colpita più efficacemente, e con i risultati più duraturi sulla pace del mondo, attraverso i suoi alleati, e in particolare attraverso la Turchia”. La richiesta del Granduca, quindi, servì solo ad accelerare una discussione già in corso a Londra.

Lord Kitchener

Churchill, da parte sua, era inizialmente scettico su un’operazione contro i Dardanelli e nelle discussioni iniziali del 2 gennaio sembra che lui e Kitchener pensassero solo a un attacco dimostrativo, piuttosto che a un vero e proprio sforzo per entrare nello stretto turco. Tuttavia, nelle due settimane successive Churchill fece una brusca virata e divenne un energico sostenitore della nascente operazione, e alla fine il “proprietario” di gran parte della colpa.

Il 3 gennaio Churchill inviò un telegramma all’ammiraglio Sackville Carden, comandante dello squadrone britannico nel Mediterraneo, chiedendogli senza mezzi termini se considerasse “un’operazione praticabile la forzatura dei Dardanelli con le sole navi”. Si trattava di un punto cruciale, poiché nel gennaio 1915 i britannici non avevano truppe da destinare a un nuovo fronte terrestre di dimensioni reali. Con grande sorpresa di Churchill, Carden rispose che, sebbene gli stretti turchi non potessero essere “affrettati”, riteneva possibile aprirli sistematicamente dal mare. Poi, il 7 gennaio, Churchill ricevette un rapporto di intelligence secondo cui la nave più potente della flotta turca era stata messa fuori uso per diversi mesi dopo aver colpito una mina. Si trattava dellaSMS Goeben, un potente incrociatore da battaglia tedesco che si era rifugiato a Costantinopoli ed era stato “adottato” nella marina turca dopo essere stato sorpreso nel Mediterraneo allo scoppio delle ostilità; infatti, il rifiuto dei turchi di sfrattare ilGoebenera stata una delle cause principali dell’ingresso formale della Turchia in guerra. Infine, il 12 gennaio, Jacky Fisher suggerì a Churchill che la nuova super-dreadnought britannica, laRegina Elisabettache era in viaggio verso il Mediterraneo per le prove di cannoneria, poté partecipare all’operazione e testare i suoi massicci cannoni da 15 pollici sulle fortificazioni turche. La disponibilità dellaLa Regina Elisabettaagli occhi di Churchill, migliorò significativamente le prospettive, dato che la flotta del Mediterraneo (un comando britannico privato di priorità) consisteva principalmente di incrociatori da battaglia più leggeri e di vecchie corazzate pre-dreadnought.

L’effetto netto di tutte queste informazioni fu quello di far cambiare completamente idea a Churchill sulla fattibilità di un’operazione nei Dardanelli. Sembra che sia rimasto sorpreso dalla risposta favorevole dell’Ammiraglio Carden sulle prospettive di sfondamento dello stretto e dall’improvvisa prospettiva di condurre l’operazione con rapporti di forza molto più favorevoli (cioè con l’aggiunta delle navi da guerra).Regina Elisabettae la sottrazione dellaGoeben) fece una forte impressione. Così, il 13 gennaio, Churchill sorprese tutti i membri del Consiglio di Guerra presentando un piano in quattro punti per forzare gli stretti turchi dal mare. Concludeva la sua proposta sostenendo che: “Una volta ridotti i forti, i campi minati sarebbero stati sgombrati, e la flotta avrebbe proceduto fino a Costantinopoli e distrutto laGoeben.Non avrebbero avuto nulla da temere dalle armi da campo o dai fucili, che sarebbero stati solo un inconveniente”. Ultime parole famose, ma l’operazione era in corso.

La Queen Elizabeth Super-Dreadnought

Sfortunatamente, dopo aver intrapreso la strada della Turchia, due fattori stavano cospirando per spingere gli inglesi a un vero e proprio disastro militare. In primo luogo, considerazioni diplomatiche e strategiche costrinsero i britannici a un assalto solo navale ai Dardanelli, escludendo altre scelte operative. Nel frattempo, gli intensi sforzi degli ufficiali tedeschi che collaboravano con i turchi stavano trasformando i Dardanelli nella posizione meglio difesa e più professionalmente presidiata dell’Impero Ottomano. In altre parole, nonostante avessero un’enorme portata operativa e molte scelte, Churchill e i suoi colleghi stavano inconsapevolmente puntando direttamente alla posizione ottomana più inespugnabile sulla mappa. Tutti questi fattori erano indipendenti, ma avevano una sinergia micidiale. Li esamineremo di volta in volta.

L’Impero Ottomano aveva un vasto litorale esposto alla potenza navale britannica. Infatti, nel momento in cui l’operazione dei Dardanelli cominciò a prendere slancio, i britannici stavano già combattendo i turchi nello Shatt Al Arab e, naturalmente, li stavano fissando attraverso il Sinai dal Canale di Suez – e c’erano altri luoghi potenziali per aprire un fronte. In effetti, Lloyd George (presto Primo Ministro, ma all’epoca Cancelliere dello Scacchiere) aveva suggerito già a dicembre che la Gran Bretagna avrebbe potuto sbarcare forze sulla costa siriana, dove avrebbe potuto interrompere la ferrovia di Baghdad e tagliare le linee interne di rifornimento e comunicazione ottomane. Per innumerevoli aspetti, questa era una prospettiva molto più facile che forzare i Dardanelli, ma le preoccupazioni diplomatiche la preclusero.

Il problema era rappresentato dai francesi, che avevano rivendicazioni postbelliche sulla regione ed erano già molto irritati per la questione del comando nell’operazione dei Dardanelli. Secondo i termini di un accordo firmato nell’agosto 1914, la Francia aveva il comando navale alleato nel Mediterraneo, mentre la Gran Bretagna aveva il comando nel Mare del Nord, nell’Atlantico e nella Manica. Tuttavia, poiché i britannici avrebbero impegnato il grosso delle forze nei Dardanelli, Churchill insistette che l’ammiraglio Carden dovesse avere il comando, con grande disappunto del ministro della Marina francese. Per placare i sospetti francesi, Churchill dovette garantire che i francesi avrebbero avuto il comando di qualsiasi operazione “in Levante” (cioè in Siria) e il ministero degli Esteri britannico dovette assicurare che nessuna truppa britannica sarebbe stata sbarcata sulla costa levantina. Così, l’idea di interrompere le comunicazioni ottomane con un assalto alla costa siriana – una soluzione militarmente molto sensata – dovette essere esclusa semplicemente per far contenti i francesi.

La decisione di forzare gli stretti, tuttavia, non riguardava solo i francesi. Il concetto strategico era già andato ben oltre una semplice diversione o dimostrazione, e Londra stava pensando di aprire gli stretti per permettere alle esportazioni di grano russo di uscire dal Mar Nero e alle munizioni per l’esercito russo di entrare. La questione della forzatura dei Dardanelli era anche intrinsecamente legata alla politica balcanica della Gran Bretagna. All’inizio del 1915, Paesi come la Grecia, la Romania e la Bulgaria erano ancora neutrali e si sperava fortemente che le operazioni britanniche contro gli stretti potessero far entrare in guerra una o più di queste potenze a fianco degli Alleati. In particolare, i britannici speravano che le truppe greche potessero partecipare all’operazione e costituire il grosso delle forze di terra.

Purtroppo, la partecipazione greca è stata esclusa dai russi, che hanno posto un veto inequivocabile a qualsiasi contributo greco all’operazione. La questione per i russi era molto semplice: Costantinopoli (che chiamavano Tsargrad) era l’ultimo premio di guerra per il governo zarista e non avrebbero permesso in nessun caso che i greci la conquistassero. Sir Edward Grey ebbe lo sgradevole compito di informare il consiglio di guerra che “l’ultima cosa che i russi volevano era vedere qualcun altro fare un ingresso trionfale a Costantinopoli”.

I russi avevano gli inglesi in pugno quando si trattava di Costantinopoli. La città doveva essere inequivocabilmente destinata ad essere un premio russo in qualsiasi accordo postbellico, al punto che i russi minacciarono (in più occasioni) di fare una pace separata con la Germania e di abbandonare semplicemente la guerra se questa condizione non fosse stata soddisfatta. Ciò significava che i greci non potevano contribuire con truppe di terra, ma i russi non erano altrettanto disposti a impegnarsi a fornire truppe proprie. C’era una sensazione generale che le truppe di terra avrebbero dovuto essere coinvolte ad un certo punto – come Churchill sottolineò in una riunione del 28 gennaio, anche se la flotta britannica fosse riuscita ad entrare con la forza negli stretti, “non avrebbe potuto aprire questi canali alle navi mercantili finché il nemico fosse stato in possesso della costa”. Kitchener assicurò vagamente che avrebbe “trovato gli uomini”, sotto forma di truppe del Commonwealth provenienti dall’Australia e dalla Nuova Zelanda, o della 29a Divisione di riserva in Inghilterra, ma l’idea era che le forze di terra sarebbero state rese disponibili solo dopo che la flotta avesse aperto gli stretti.

I Dardanelli

Si trattava di un pasticcio, ma non è difficile fare la somma di tutti questi fattori. Churchill e Kitchener avevano messo gli inglesi sulla strada per aprire un nuovo fronte contro i turchi, ma la necessità di pacificare l’indignazione francese escludeva qualsiasi operazione contro la costa levantina. L’importanza strategica di aprire il traffico navale nel Mar Nero garantiva inoltre che solo un assalto diretto agli stretti sarebbe stato sufficiente. Infine, il veto della Russia alla partecipazione della Grecia, la generale mancanza di truppe da parte della Gran Bretagna e l’incapacità della Russia stessa di contribuire, fecero sì che non ci fossero forze di terra disponibili a partecipare fin dall’inizio. Sommando il tutto, si ottiene il piano dei Dardanelli: un tentativo di aprire lo stretto turco con un assalto navale. Al diavolo l’adagio apocrifo di Nelson. Le navi avrebbero dovuto combattere contro i forti.

Sfortunatamente per i britannici, essi erano ora in procinto di attaccare il settore più formidabilmente difeso della costa ottomana. Allo scoppio della guerra, le difese sugli stretti turchi erano considerate altamente vulnerabili, ma da allora molto era cambiato. L’intelligence russa aveva già escluso un attacco dall’altra parte (contro il Bosforo), notando che “il momento favorevole per impadronirsi degli Stretti è andato perduto”. Questa conclusione, per qualche motivo, non fu condivisa dagli inglesi.

Gli stretti turchi: La regione di Marmara

Lo sviluppo critico per i turchi fu l’arrivo dell’ammiraglio tedesco Guido von Usedom, inviato da Berlino nell’autunno del 1914 per dirigere il Sonderkommando di Marmara.Sonderkommando(Comando Speciale) Turchia, portando con sé una schiera di specialisti in difesa navale, quasi 200 esperti di artiglieria e diverse batterie di cannoni pesanti, tra cui modelli Krupp da 14 pollici. Nei mesi successivi al suo arrivo, Usedom e la sua squadra condussero un’importante ristrutturazione delle difese turche: mimetizzazione dei cannoni, rafforzamento delle casematte, costruzione di batterie fittizie per attirare il fuoco nemico e creazione di otto batterie mobili in grado di lanciare fuoco a raffica sulle navi nemiche e molto difficili da colpire per il nemico. Il risultato netto di tutto ciò fu che le difese dei Dardanelli, che nell’agosto 1914 possedevano solo venti obici da terra, ora vantavano 235 cannoni sparsi tra fortificazioni e batterie mobili. Nel frattempo, nello stretto erano state posate non meno di undici linee di mine navali, per un totale di 323 mine.

Inoltre, gli esperti di artiglieria di Usedom avevano lavorato duramente per istruire gli equipaggi turchi, infondendo loro non solo le necessarie competenze tecniche, ma anche un senso della disciplina assolutamente tedesco. I turchi, da parte loro, impressionarono profondamente Usedom per la loro etica del lavoro e per i loro rapidi miglioramenti, tanto che egli inviò a Berlino rapporti entusiastici sul grande successo ottenuto nel portare gli artiglieri turchi al passo con i tempi. Usedom distribuì poi i suoi sottufficiali tedeschi in tutto il comando dei Dardanelli, in modo che in ogni squadra di cannonieri ci fosse almeno un tedesco. Mentre gli inglesi avevano una visione generalmente negativa sia della propensione turca a combattere sia dello stato delle difese dei Dardanelli, Usedom riteneva, a ragione, di aver organizzato una difesa motivata, disciplinata e schematicamente solida.

Admiral Guido von Usedom

Considerando il bilancio di tutti questi fattori, si ottiene una proposta abbastanza semplice. La flotta britannica (con un piccolo distaccamento francese) ammassata a Lemnos, nel Mar Egeo, si stava preparando a farsi strada attraverso una serie di fortezze, aumentate da batterie mobili a terra, per spianare la strada ai dragamine che dovevano entrare nello stretto e sbloccare la corsia. Inizialmente non erano disponibili truppe di terra per assistere l’operazione, anche se Churchill si aggrappava alle vaghe promesse di Kitchener che le truppe sarebbero state rese disponibili in seguito, in una data non specificata e per uno scopo non specificato. Gli inglesi non sembravano avere una valutazione accurata della forza turca, né dei numerosi miglioramenti che Usedom aveva apportato alla posizione. Nel complesso, l’inerzia strategica aveva semplicemente trascinato i britannici in questa direzione, con Churchill che insisteva ripetutamente sul fatto che la flotta avrebbe potuto attraversare lo stretto da sola, mentre copriva le sue scommesse sostenendo che alla fine sarebbero state necessarie truppe di terra per rendere completamente sicuro il canale. Non restava che fare un tentativo.

I Dardanelli

La campagna dei Dardanelli iniziò alle 9.51 del 19 febbraio 1915 con uno scambio farsesco di fuoco a lungo raggio. La flotta alleata che si era ammassata a Lemnos era una forza formidabile, anche se invecchiata. L’ammiraglio Carden aveva a disposizione una notevole armata di 18 navi capitali. Di queste, le due navi più potenti erano la nuovissima superdreadnoughtRegina Elisabettaarmata con otto cannoni da 15 pollici, e l’incrociatore da battagliaInflessibilecon otto cannoni da 12 pollici. Il grosso della flotta era costituito da corazzate pre-dreadnought, dodici britanniche e quattro francesi, armate con un totale di cinquantasei cannoni da 12 pollici e otto da 10 pollici. Non si trattava certo di una flotta in grado di rivaleggiare con la potente Grand Fleet britannica o con la Flotta d’altura tedesca, che si guardavano l’un l’altra attraverso il Mare del Nord, ma per un teatro secondario era certamente una forza imponente.

Le difese dei Dardanelli consistevano in due zone critiche. Quella di gran lunga più imponente era la sezione dello stretto a circa dieci miglia a monte dell’ingresso, nota appropriatamente comele Strette.Qui lo stretto si restringeva notevolmente, tanto che in alcuni punti era largo meno di un miglio, ed era qui che era disposta la maggior parte della potenza di fuoco ottomana (e tutti i campi minati). All’imboccatura dei Dardanelli, tuttavia, dove lo stretto si apre nel Mar Egeo, il passaggio era molto più ampio (2,5 miglia) e difeso da un piccolo gruppo di forti: Seddul Bahr e i forti di Capo Helles sulla penisola di Gallipoli (il lato settentrionale, europeo dello stretto) e Kum Kale sul lato meridionale, asiatico. Tutti questi forti erano di costruzione relativamente arcaica (Seddul Bahr, ad esempio, era un edificio del XVII secolo) e modestamente armati. Complessivamente, le postazioni turche all’imboccatura dello stretto disponevano di sedici cannoni pesanti e sette tubi medi.

Tenendo conto che Carden si era liberato di un volume significativo di artiglieria navale, i risultati dell’azione di apertura del 19 febbraio lasciarono molto a desiderare. Ridurre le difese all’imboccatura dello stretto avrebbe dovuto essere la fase più facile dell’operazione, sia per la mancanza di campi minati al di fuori dello stretto, sia per le dimensioni relativamente maneggevoli delle batterie turche, sia per il fatto che la flotta alleata – che sparava dal Mar Egeo – aveva uno spazio di manovra che sarebbe venuto a mancare una volta che si fosse inoltrata nello stretto stesso. L’attacco iniziale britannico, tuttavia, ebbe scarso effetto. Le corazzate di Carden, guidate dallaHMS Cornwallisaprì il fuoco da lunghe distanze a metà mattina, senza ottenere alcuna risposta dai difensori. Le navi britanniche erano al di là del raggio d’azione turco, ma a distanze così elevate era impossibile per gli Alleati valutare i danni provocati dalle loro salve iniziali. Alle 14:00, Carden si avvicinò a seimila metri e sparò di nuovo. Poco dopo le 16:00, gli inglesi arrivarono finalmente a tiro e i turchi aprirono il fuoco, mentre gli inglesi si ritirarono immediatamente. Alle 17:00, Carden abbandonò l’attacco e si ritirò.

La flotta alleata nei Dardanelli

Con il bombardamento iniziale del 19 febbraio, Carden aveva sprecato l’elemento sorpresa e sparato 139 proiettili, che non causarono praticamente alcun danno alle batterie turche e uccisero solo quattro difensori (due tedeschi e due turchi). Il problema di fondo, in quanto tale, era che le batterie difensive potevano essere messe fuori uso solo colpendo direttamente i cannoni, ma a lunga distanza il fuoco navale senza macchia era tristemente impreciso contro bersagli trincerati sulla terraferma. Se Carden sperava di aprire l’operazione con il botto, aveva fallito.

Perso l’elemento sorpresa, Carden fu ora ostacolato dal maltempo che impose un ritardo di cinque giorni prima di poter attaccare di nuovo. Mentre la flotta attendeva che il tempo si calmasse, i britannici rinnovarono la loro offensiva diplomatica e inviarono un sondaggio per verificare se i greci o i russi volessero partecipare all’azione. I greci risposero favorevolmente, con il primo ministro anglofilo che offrì tre divisioni da dispiegare nella penisola di Gallipoli per fornire una componente terrestre molto necessaria per l’operazione, ma la proposta fu nuovamente bocciata dai russi, che stavano giocando un gioco diplomatico molto efficace. Anche in questo caso i russi posero categoricamente il loro veto a qualsiasi coinvolgimento della Grecia, controbilanciandolo con un’offerta vaga e non vincolante di contribuire con un Corpo d’Armata che sarebbe stato coinvolto soltantodopodopo che gli inglesi avevano forzato i Dardanelli e distrutto la flotta turca. Come se non bastasse, Sazonov minacciò (tramite l’ambasciatore francese Maurice Paleologue) che se non avesse garantito alla Russia Costantinopoli e gli stretti, si sarebbe dimesso. Il significato di questa minaccia era chiaro: Paleologo informò Parigi che se le richieste della Russia non fossero state soddisfatte, Sazonov sarebbe stato sostituito da Sergei Witte, ampiamente conosciuto come germanofilo. Secondo l’interpretazione di Paleologo, Sazonov stava essenzialmente minacciando che la Russia avrebbe firmato una pace separata con la Germania se non le fosse stata garantita Costantinopoli.

Il risultato di tutto ciò fu un’immensa tensione per i decisori britannici, pressati da un lato dall’offensiva diplomatica di Sazonov e dall’altro dalla sorprendente tenacia della difesa turca. Il 25 febbraio, Carden si accinse a ridurre i forti esterni e rimase frustrato dall’inefficacia del fuoco dei cannoni. Gli inglesi riuscirono ad accedere all’ingresso dello stretto solo dopo aver sbarcato delle squadre di demolizione, che riuscirono a distruggere diverse batterie ottomane. Ciò suggerisce, ovviamente, che alla fine sarebbe stata necessaria una soluzione mista anfibia, ma poiché l’intero complemento di terra di Carden consisteva solo in alcune compagnie di Royal Marines, la sua capacità di impiegare questa strategia su scala ridotta era scarsa.

Avendo sfondato l’imboccatura dello stretto, Carden avrebbe potuto pensare di guadagnare slancio. Non era così. Una volta entrate nello stretto, le navi britanniche erano finite sotto i denti delle batterie mobili di Usedom, per le quali semplicemente non avevano una buona risposta. Il problema era una questione elementare di avvistamento. Le batterie di obici mobili, situate a una buona distanza nell’entroterra, potevano scatenare il “fuoco di tuffo” – proiettili ad alto arco che si abbattevano sulle navi britanniche – da punti di tiro al di là della linea di vista britannica, costringendo gli inglesi a rispondere al fuoco alla cieca. Gli idrovolanti britannici, che tentavano di sorvolare i difensori per individuare le batterie, venivano scacciati dal fuoco rastrellante dei fucili. Nel frattempo, i dragamine alleati (pescherecci riconvertiti) che tentavano di entrare nel canale erano dei veri e propri bersagli per gli obici nemici.

Una batteria tedesca interna nella zona difensiva dei Dardanelli

In questa fase dell’operazione, i giorni cruciali dal 10 al 13 marzo rivelano l’emergente disagio britannico e l’incombente crisi operativa. Il 10 marzo, Lord Kitchener accettò finalmente di costituire una forza di terra a sostegno dell’operazione, che sarebbe stata costruita attorno alla 29ª Divisione (che sarebbe stata inviata dall’Inghilterra pochi giorni dopo) aumentata da unità di origine australiana e neozelandese che stavano iniziando a radunarsi a Lemnos. Sebbene la decisione tardiva di formare una componente di terra, sotto il comando del generale Sir Ian Standish Monteith Hamilton, fosse molto gradita, essa non sarebbe stata disponibile per molte settimane e il suo scopo particolare non era ancora chiaro. Il 12 marzo, la pressione diplomatica di Sazonov (ancora diretta principalmente attraverso Paleologo) diede finalmente i suoi frutti e il ministero degli Esteri britannico approvò la rivendicazione postbellica della Russia su Costantinopoli e gli stretti. Infine, il 13 marzo l’ammiraglio Carden e il suo secondo in comando, l’ammiraglio de Robeck, giunsero alla conclusione che il loro lento e sistematico tentativo di ridurre le difese non stava funzionando e che “bisognava prendere in considerazione un pesante bombardamento concertato e l’attraversamento dei Dardanelli”.

Nel complesso, è chiaro che gli inglesi erano sull’orlo di una crisi operativa. Da un lato, Kitchener aveva finalmente accettato di riunire un contingente di terra a Lemnos, il che apriva una serie di nuove possibilità. Tuttavia, l’accumulo di forze di terra procedeva lentamente e iniziava proprio mentre i comandanti della Marina nel Mediterraneo, in particolare Carden, mostravano i nervi fragili e un crescente senso di urgenza. La pianificazione britannica si muoveva ora in due direzioni. L’ammiraglio Sir Henry Jackson, ad esempio, consigliava di non forzare seriamente gli stretti fino a quando non fossero state sbarcate le truppe per eliminare le batterie di obici mobili del nemico, mentre Churchill adottò l’approccio opposto ed esortò Carden ad abbandonare “la cautela e i metodi deliberati” a favore di una spinta aggressiva per “sopraffare i forti dei Narrows”.

Nel complesso, la seconda settimana di marzo avrebbe dovuto rappresentare il momento per una sistematica rivalutazione dell’operazione. Firmando la rivendicazione postbellica della Russia su Costantinopoli e sugli Stretti, la Gran Bretagna si era essenzialmente impegnata ad ampliare gli obiettivi strategici che ora implicavano la sconfitta totale e lo smembramento dello Stato ottomano. Quasi contemporaneamente, Carden e Churchill erano giunti alla conclusione che il loro approccio alla riduzione sistematica dei forti non stava funzionando, ma un po’ sorprendentemente non sembravano inclini a modificare il loro pensiero sulla base della decisione di Kitchener di organizzare una forza di terra. Lo sfortunato risultato fu che i britannici optarono per tentare una spinta più aggressiva per aprire gli stretti con la flotta prima che la forza di terra fosse organizzata. Ciò creò un’immensa confusione operativa, in particolare per le truppe di terra che cominciavano ad accumularsi a Lemnos. Hamilton ricorda che Kitchener gli disse, in modo poco incoraggiante, che “sperava che non dovessi sbarcare affatto” e che “pensava che non ci fosse una grande confusione”. In effetti, l’esercito stava formando un contingente a Lemnos, nella rosea ipotesi che la flotta sarebbe riuscita a forzare gli stretti da sola, lasciando ad Hamilton il compito relativamente facile di ripulire e occupare una Costantinopoli sconfitta.

Il 17 marzo, l’umore nel campo britannico era notevolmente migliorato. Hamilton era appena arrivato a Lemnos per supervisionare l’assemblaggio e la preparazione delle forze di terra, mentre il giorno precedente l’ammiraglio Carden aveva rassegnato le dimissioni (adducendo cattive condizioni di salute), lasciando il comando navale a de Robeck, personalità molto più forte e aggressiva. L’ipotesi generale, secondo il Consiglio di Guerra, era che un nuovo attacco navale sarebbe riuscito a rompere gli stretti, lasciando la forza di terra di Hamilton disponibile per “operazioni successive” di natura non specificata.

Il giorno seguente, 18 marzo, iniziò abbastanza bene, con un cielo sereno e una leggera brezza calda che dissipava la nebbia mattutina. De Robeck, energizzato dal suo nuovo comando, era pienamente preparato per quella che si aspettava fosse la spinta finale attraverso le strettoie. Il piano prevedeva una riduzione progressiva delle difese turche nel corso della giornata. In primo luogo, una linea delle navi più potenti (tra cui laRegina Elisabettae laInflessibile) avanzerebbero nella strettoia e distruggerebbero o sopprimerebbero i forti a lunga distanza. Dopo aver messo a tacere i cannoni dei forti, la seconda linea di corazzate si sarebbe spostata in avanti per impegnare le batterie più piccole sulla costa e fornire copertura ai dragamine che sarebbero entrati nella strettoia e avrebbero liberato un canale largo 900 metri nei campi minati. Con i campi minati sgombrati, la strettoia sarebbe stata aperta alle corazzate per avanzare a distanza ravvicinata e finire le difese costiere. Se tutto fosse andato bene, de Robeck si aspettava di attraversare lo stretto, sostare nel Mar di Marmara e bombardare Costantinopoli il giorno seguente.

L’attacco iniziò alle 11:00 del 18 marzo e cominciò come l’azione di apertura della campagna, con la prima linea di navi britanniche che bombardava le difese da oltre la portata dei cannoni turchi. Non essendoci alcun ritorno di fiamma dalle rive della strettoia, era difficile per gli inglesi valutare il danno che stavano arrecando. Era chiaro che avevano messo a segno alcuni colpi forti sui forti, e poco dopo mezzogiorno de Robeck ritenne che fosse giunto il momento di fare i conti a distanza ravvicinata. Inviò la sua seconda linea (composta dalle quattro pre-dreadnought francesi) in avanti per vedere cosa potevano fare a distanze più ravvicinate, con la sua potente prima linea che li seguiva e che continuava a riversare il fuoco.

Fu a questo punto, mentre la battaglia si protraeva nelle ore pomeridiane, che le cose cominciarono ad andare terribilmente male. Quando la flotta alleata si avvicinò finalmente al raggio d’azione, i cannoni turchi si aprirono da entrambi i lati della strettoia, soffocando il canale con fumo, spruzzi e schegge. La maggior parte dei cannoni turchi erano troppo piccoli per arrecare danni mortali a una nave da battaglia ben corazzata, ma creavano scompiglio nelle sovrastrutture delle navi e confondevano le mire degli alleati.

I cannoni britannici sparano sui forti

Un colpo diretto allaInflexibleLa postazione di controllo del fuoco, ad esempio, fu colpita da fuoco e schegge che attraversarono la postazione leggermente corazzata, appollaiata sull’albero di prua. Tre uomini furono uccisi e cinque feriti, tra cui l’ufficiale cannoniere dell’incrociatore, Rudolf Verner, che riportò una mano parzialmente tagliata, il cranio fratturato, una gamba frantumata e un braccio “spappolato”. Rimasto cosciente, Verner diede una di quelle notevoli dimostrazioni di stoicismo e coraggio che spesso vengono dimenticate nelle grandi storie di guerra. Disse “Grazie, vecchio mio” a un uomo che lo aiutò a sdraiarsi, poi riferì al ponte: “Comando di prua fuori uso. Siamo tutti morti e moribondi quassù. Mandate della morfina”. Verner e gli altri feriti nella stazione di controllo del fuoco furono alla fine salvati, conIl secondo in comando dell’Inflexible subì gravi ustioniIl comandante in seconda subì gravi ustioni salendo la scala d’acciaio che portava alla postazione, che era rovente a causa delle fiamme che ormai imperversavano intorno all’albero. Queste piccole vignette – Verner che chiede gentilmente della morfina e un soccorritore che si brucia le mani salendo su una scala d’acciaio surriscaldata – ricordano in modo toccante che, per tutto l’interesse che suscitano le grandi storie operative e i progetti, la guerra è sempre l’accumulo di innumerevoli drammi umani che sono vita o morte per le persone coinvolte.

Ancora peggiore è stato il destino della corazzata franceseBouvetche fu improvvisamente scosso da un’enorme esplosione intorno alle 14.00. La scena fu praticamente surreale: in meno di sessanta secondi la nave si inclinò, si capovolse e scomparve del tutto, portando con sé il suo capitano e 639 uomini. Si salvarono circa 66 uomini (quelli che avevano avuto la fortuna di trovarsi sul ponte o nelle vicinanze quando iniziò l’affondamento), che sopravvissero correndo lungo la fiancata e sul fondo della nave mentre questa si rovesciava, come criceti su una ruota. Perdere una nave da guerra in un batter d’occhio era già abbastanza grave, ma per de Robeck e gli altri membri dell’equipaggio che assistevano all’affondamento, l’elemento agghiacciante era che non era chiaro cosa avesse esattamente ucciso la nave.Bouvet. I più pensavano che un proiettile fosse penetrato nel caricatore, ma nessuno l’aveva visto accadere.

L’attacco stava facendo cilecca. Alle 4:00, notando un rallentamento del fuoco turco, de Robeck inviò i suoi dragamine. Le loro prestazioni lasciarono molto a desiderare: dopo aver eliminato un totale di tre mine dalla prima cintura, finirono sotto il fuoco degli obici e si ritirarono freneticamente verso l’ingresso dello Stretto. Alle 4:11, proprio mentre l’operazione di dragaggio delle mine stava crollando, l’Inflessibileha colpito una mina vicino alla costa asiatica, in un’area dove non era previsto alcun campo minato. Ora in lista,Inflessibilefu costretto a ritirarsi. Verner, ancora cosciente e gravemente sanguinante, fu trasferito su una nave ospedale per l’amputazione del braccio frantumato. Disse al chirurgo: “Dica alla mia gente che ho giocato la partita e che ho resistito”. Morì per il trauma accumulato poche ore dopo.

Poco dopo ilInflessibileha abbandonato la battaglia,Irresistibileanche lei colpì una mina, ma nel suo caso le sale macchine si allagarono quasi subito, lasciandola alla deriva. Il suo capitano, in particolare, issò una bandiera verde che indicava che credeva di essere stato silurato. Fortunatamente per l’equipaggio, un cacciatorpediniere si trovava in postazione e permise alla maggior parte degli uomini di abbandonare la nave in sicurezza, ma l’Irresistibile non fu in grado di far fronte alla situazione.Irresistibileera ormai alla deriva. QuandoHMS Oceanche tentò di accostarsi per rimorchiare la nave svogliata, colpì anch’essa una mina e l’equipaggio fu costretto a evacuare.

L’Irresistibile affonda

Fu a questo punto, mentre il pomeriggio si protraeva verso sera, che de Robeck staccò la spina dall’attacco e si ritirò. Delle dodici corazzate che componevano le sue tre linee di battaglia principali, tre erano ormai perdite totali (laBouvet,che era affondato in modo così spettacolare, e l’OceanoeIrresistibileche erano ormai alla deriva e abbandonate), e altre tre erano fuori uso, tra cui laInflessibilee il franceseGauloiseSuffren,entrambe parzialmente allagate dopo essere state colpite vicino alla linea di galleggiamento. De Robeck disponeva di navi di riserva, ma nel complesso l’azione del 18 marzo aveva portato alla distruzione di sei delle sue diciotto navi capitali. La parte peggiore di tutto questo, per de Robeck, era che non capiva veramente cosa stesse accadendo alle sue navi. Quattro delle navi perse o disabilitate (Bouvet, Ocean, Irresistible,eInflessibile)avevano apparentemente colpito le mine in punti in cui non erano attese. Sospettando una sorta di trucco, giunse alla conclusione che i turchi avevano escogitato un modo per inviare mine galleggianti a valle della strettoia.

In realtà, all’insaputa del comando alleato, i turchi avevano segretamente posato un campo minato non individuato (l’undicesimo di questo tipo), con il favore delle tenebre, nelle notti del 7, 10 e 11 marzo. Questo campo minato, molto abilmente, era disposto in modo molto diverso dagli altri. I primi dieci campi minati nei Dardanelli furono disposti orizzontalmente attraverso la strettoia (cioè perpendicolarmente da riva a riva) per bloccare l’accesso britannico. L’undicesimo, invece, fu disposto parallelamente alla sponda asiatica più a monte dello stretto, in modo che, quando la flotta alleata si avvicinava alla strettoia, alla sua destra si trovava un campo minato non individuato. Fu su questo campo minato laterale che tutte e quattro le navi citate caddero, colpendo le mine mentre cercavano di manovrare sotto il fuoco.

Il tentativo di aprire gli stretti era fallito, e fallito in modo spettacolare. Nell’elencare le cause della sconfitta alleata, spiccano tre fattori distinti, con importanti implicazioni per le operazioni future.

Innanzitutto, era diventato chiaro che, sebbene la potenza di fuoco dell’artiglieria navale moderna fosse estremamente potente, il suo utilizzo contro bersagli terrestri era limitato in assenza di un robusto sistema di avvistamento e controllo del fuoco. Nel caso ideale, questi cannoni dovevano essere sparati contro altre navi con un campo visivo non oscurato, con il mare aperto che forniva un orizzonte chiaro. I britannici disponevano di una grande potenza di fuoco, ma faticavano a mettere a punto un’artiglieria accurata contro le postazioni di tiro turche nascoste e soprattutto contro le batterie di obici mobili che sparavano “oltre l’orizzonte”, al di là del campo visivo degli Alleati. Sebbene siano stati compiuti alcuni sforzi per fornire un avvistamento con aerei e piccole squadre da sbarco, le comunicazioni e il controllo del fuoco dell’epoca erano semplicemente inadeguati al compito. In breve, gli inglesi disponevano di cannoni molto potenti che spesso sparavano alla cieca contro bersagli che non riuscivano a vedere.

In secondo luogo, l’armata alleata aveva capacità di dragaggio delle mine tristemente inadeguate. La forza di dragaggio consisteva in 21 pescherecci requisiti nel Mare del Nord, con i loro equipaggi di pescatori civili assegnati ai gradi della riserva navale. Dotati di armi dragamine e protetti da piastre d’acciaio improvvisate, i pescherecci si dimostrarono poco veloci sotto il fuoco e, cosa ancora più importante, inimmaginabilmente lenti. In acque calme, potevano spazzare a una velocità compresa tra i 4 e i 6 nodi, ma a causa della leggera corrente che scorreva fuori dalle strettoie, non potevano superare i 3 nodi quando spazzavano a monte, ovvero la velocità di una camminata veloce. Inoltre, il pescaggio dei pescherecci riconvertiti era più profondo della superficie delle mine, il che significava che correvano il rischio costante di saltare in aria se si imbattevano in una mina non spazzata. La corazzatura di fortuna, il pescaggio pericoloso e la velocità spaventosamente bassa si combinavano per creare un senso di intensa vulnerabilità, soprattutto quando si trovavano sotto il fuoco dell’artiglieria. Forse, piuttosto che chiedersi perché non riuscirono a liberare i campi minati, è più appropriato meravigliarsi che questi equipaggi civili siano stati in grado di fare il tentativo in primo luogo.

In breve, quindi, la mancanza di un avvistamento accurato impedì alla flotta di mettere a tacere con successo i cannoni turchi, e l’inadeguatezza delle navi spazzatrici garantì l’impossibilità di eliminare le mine, con l’effetto netto che entrambi gli elementi della difesa ottomana rimasero intatti. Quando il 18 marzo il polverone si dissolse, solo 9 dei 176 cannoni da terra turchi erano stati messi fuori uso, e le perdite combinate turche e tedesche furono di soli 29 morti e 66 feriti. Infine, il terzo fattore di disturbo – la presenza di un campo minato parallelo e non rilevato che correva lungo la costa asiatica – fece sì che il fallimento dell’attacco alleato avesse un costo esorbitante: le mine non rilevate fecero fuori quattro corazzate nel giro di poche ore.

Churchill rimase indifferente ed espresse la convinzione che i turchi fossero a corto di munizioni e che il loro morale fosse sul punto di crollare. Il primo punto è discutibile (i difensori stavano iniziando a scarseggiare le munizioni per i loro cannoni più grandi, ma le scorte complessive di proiettili erano ancora sane), mentre il secondo punto è una farsa. Tuttavia, il perdurante entusiasmo di Churchill per il piano di attacco esclusivamente navale era ormai un punto irrilevante. Dopo aver conferito il 22 marzo, de Robeck e Hamilton decisero che l’assalto navale era categoricamente fallito e che era giunto il momento che l’esercito entrasse in azione e distruggesse le difese costiere in modo che le spazzatrici potessero finalmente lavorare in relativa sicurezza. Gli inglesi avrebbero dovuto sbarcare sulla penisola di Gallipoli.

Gallipoli

La Battaglia di Gallipoli fu determinata in primo luogo da un paio di discussioni quasi simultanee che si svolsero tra i gruppi di comando contrapposti. Il 22 marzo, l’ammiraglio de Robeck ospitò una piccola riunione a bordo dellaRegina Elisabettache comprendeva il generale Hamilton (al comando generale delle forze di terra del Mediterraneo), il capo di stato maggiore di Hamilton, il maggior generale Walter Braithwaite, e il tenente generale Sir William Riddell Birdwood, che comandava le forze del Corpo d’armata australiano e neozelandese (ANZAC) che, insieme alla 29a Divisione ancora in viaggio dall’Inghilterra, avrebbe costituito il grosso delle forze di terra di Gallipoli. La conclusione della discussione fu duplice: in primo luogo, de Robeck convenne che era giunto il momento di abbandonare l’assalto solo navale e di sbarcare le truppe sulla penisola di Gallipoli; in secondo luogo, decise di opporsi al piano più aggressivo proposto da Birdwood di sbarcare immediatamente le forze Anzac senza attendere l’arrivo della 29a Divisione. Il risultato netto fu quindi la decisione di un assalto congiunto esercito-nave su larga scala alla penisola, che sarebbe stato necessariamente rinviato a metà aprile (al più presto) per consentire a Hamilton di allestire il suo gruppo d’armate al completo.

La tempistica, sia di questa conferenza di comando britannica che della proposta di sbarco, fu piuttosto serendipica, perché solo due giorni dopo, il 24 marzo, il ministro della Guerra ottomano, Enver Pascià, convocò il generale tedesco Otto Liman von Sanders e gli offrì il comando del neonato gruppo della Quinta Armata ottomana per la difesa dei Dardanelli e della penisola di Gallipoli. Così, dopo aver lasciato per diverse settimane che gli ammiragli si occupassero della questione (prima Carden e poi de Robeck per gli Alleati, e Usedom per i turchi e i tedeschi), entrambe le parti decisero quasi simultaneamente che era giunto il momento di lasciare che i generali (Hamilton e Sanders) prendessero il comando.

Liman von Sanders aveva una vasta esperienza di lavoro con i turchi, essendo stato nominato a capo di una commissione di Berlino con l’obiettivo di aiutare la modernizzazione militare ottomana nel periodo prebellico. In effetti, l'”Affare Liman von Sanders”, come venne chiamato, fu un importante punto di frizione nella rottura diplomatica prebellica, con gli Alleati che temevano la penetrazione tedesca in Medio Oriente. Nonostante la lunga relazione tra i turchi e Liman von Sanders, non fu una cosa da poco per Enver Pascià ingoiare il suo orgoglio e dare il comando del suo gruppo d’armate migliore e strategicamente più importante a un tedesco.

Liman von Sanders a cavallo

I turchi, tuttavia, disponevano di un buon flusso di informazioni che li avevano avvisati che era in corso una grande operazione anfibia ed Enver sapeva che la posta in gioco era alta. L’aspetto di intelligence della campagna dei Dardanelli-Gallipoli era piuttosto unico, a causa del bizzarro status amministrativo delle basi britanniche. I britannici si erano insediati nelle isole egee di Lemnos e Imbros, che erano territori greci. In particolare, però, la Grecia aveva preso possesso delle isole (in precedenza possedimenti ottomani di lunga data) solo in tempi molto recenti, con le guerre balcaniche del 1912 e 1913. Ciò significava, in effetti, che le basi britanniche a sostegno della campagna degli Stretti si trovavano su isole con una consistente popolazione turca, mentre l’amministrazione civile era nelle mani dei greci neutrali. Il risultato di tutto ciò era che le forze britanniche erano essenzialmente soggette a una persistente sorveglianza da parte dei turchi locali, che erano liberi di riferire ciò che vedevano ai loro contatti nella Turchia continentale. Enver Pascià era quindi pienamente consapevole che una consistente forza di terra alleata si stava radunando al largo dell’Egeo e che era il momento giusto per ingoiare un po’ di orgoglio turco e affidare il comando dei Dardanelli al miglior uomo disponibile, che riteneva essere Liman von Sanders.

All’indomani della Campagna di Gallipoli, come abbiamo notato in precedenza, le decisioni del comando in ogni fase furono sottoposte a un’accurata autopsia e criticate a fondo, e la scelta delle zone di sbarco da parte di Hamilton non fece eccezione. Una giusta valutazione delle opzioni, tuttavia, rivela che sia Hamilton che Liman presero decisioni essenzialmente sensate in una situazione difficile.

Il fatto fondamentale da capire è che c’erano solo quattro luoghi adatti sulla “faccia esterna” della penisola di Gallipoli che avevano un terreno adatto allo sbarco delle truppe in scala. Si trattava di Capo Helles, sulla punta sud-occidentale della penisola; Gaba Tepe e la Baia di Suvla sul versante occidentale; e il “collo” nord-orientale della penisola, vicino al villaggio di Bulair. Di questi, il collo di Bulair era di gran lunga il più interessante. Il collo della penisola di Gallipoli, dove confina con la Tracia, è molto stretto, con una larghezza di poco meno di tre miglia nel punto più angusto. Uno sbarco britannico qui comportava l’ovvia possibilità di interrompere i collegamenti della penisola con la Tracia, il che avrebbe tagliato fuori il grosso della Quinta Armata di Liman e l’avrebbe intrappolata. Liman ne era perfettamente consapevole e notò che uno sbarco a Bulair avrebbe potuto lasciare la Quinta Armata “tagliata fuori da ogni comunicazione terrestre”. Per Liman non si trattava solo di un esercizio teorico: avendo stabilito il suo quartier generale nella città di Gallipoli, al centro della penisola, rischiava di essere tagliato fuori e intrappolato insieme alle sue truppe. Per Hamilton, tuttavia, l’opzione Bulair comportava un rischio opposto: sbarcando le sue truppe all’estremità settentrionale della penisola, le avrebbe esposte a un possibile contrattacco da parte della Prima Armata turca, che era di stanza in Tracia. In sostanza, tra i pochi punti di sbarco possibili a Gallipoli, Bulair e il “collo” erano di gran lunga l’opzione ad alto rischio e alta ricompensa.

Sapendo, quindi, di dover difendere alcuni punti critici, Liman scelse un piano di schieramento sostanzialmente sensato, anche se appesantito dalla preoccupazione di non essere tagliato fuori dagli inglesi a Bulair. Liman aveva a disposizione sei divisioni, due delle quali (la 3ª e l’11ª) dovevano essere dislocate sul lato asiatico dello stretto per difendere i forti. Rimanevano quindi quattro divisioni per difendere la penisola di Gallipoli sul lato europeo dei Dardanelli. Liman scelse di posizionare una divisione (la 9ª) all’estremità sud-occidentale, intorno a Capo Helles, mentre ne tenne altre due (la 7ª e la 5ª) all’estremità settentrionale per difendere Bulair, che evidentemente aveva capito essere il punto più sensibile della mappa. Rimaneva l’ultima divisione (la 19ª, sotto il comando del futuro Ataturk, Mustafa Kemal), che egli collocò nell’entroterra, al centro della penisola, dove poteva essere dirottata in caso di necessità come una sorta di riserva operativa.

Il risultato di tutto ciò fu che, tra i possibili punti di sbarco a Gallipoli, quello meglio difeso era di gran lunga Bulair. Capo Helles era adeguatamente presidiato dalla 9a Divisione, mentre Gaba Tepe e la Baia di Suvla erano poco presidiate, anche se la 19a Divisione di Kemal era in grado di rinforzare le difese se necessario. Ironia della sorte, la preoccupazione di Liman per Bulair fece sì che fosse così solidamente presidiata che Hamilton decise di non sbarcarvi affatto. Invece, lo schema di sbarco alleato prevedeva sbarchi essenzialmente ovunque: Le forze francesi sarebbero sbarcate sul lato asiatico dello stretto, la 29a Divisione britannica avrebbe assaltato cinque diverse spiagge a Capo Helles e le forze dell’ANZAC sarebbero sbarcate a Gaba Tepe. A Bulair non ci sarebbero stati sbarchi, ma un distaccamento navale si sarebbe avvicinato alla costa per effettuare un bombardamento dimostrativo, nella speranza di fissare gran parte delle forze di Liman in attesa di uno sbarco che non sarebbe mai avvenuto.

Pertanto, le critiche allo schema di sbarco di Hamilton tendono a non cogliere il punto. Da un punto di vista puramente geografico, Bulair era certamente il posto migliore per sbarcare, in quanto offriva l’opportunità di tagliare fuori tutte le forze turche nella penisola e ottenere la “grande vittoria”. Poiché il mare era fondamentalmente uno spazio di manovra in questa campagna, i critici di Hamilton sottolineano la sua incapacità di sfruttare questa mobilità. Liman, tuttavia, era ben consapevole della vulnerabilità di Bulair e aveva posizionato due delle sue sei divisioni nell’area, con la possibilità che altre forze arrivassero dalla Tracia. Se il mare è davvero uno spazio di manovra, in questo caso era quasi certamente corretto che Hamilton lo usasse per evitare la forza della difesa nemica.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, un assillante disaccordo dottrinale si è protratto, incentrato sull’opportunità di sostenere gli sbarchi anfibi con un bombardamento navale preparatorio. Sulla carta, sembra ovviamente saggio ammorbidire le difese nemiche con il fuoco dell’artiglieria pesante, ma gli scettici sostenevano che i risultati di tali bombardamenti non valessero l’inconveniente di allertare i difensori dell’imminente sbarco. Gli Alleati nella seconda guerra provarono entrambe le cose, a volte applicando un generoso sbarramento preparatorio e a volte cercando di ottenere l’elemento sorpresa precipitandosi sulla spiaggia senza preavviso.

Gallipoli dimostrò fin dall’inizio il perché di questo dibattito e perché non esisteva una risposta univoca. Quando l’armata alleata si avvicinò alla penisola di Gallipoli nelle prime ore del mattino del 25, l’ammiraglio de Robeck notò che la notte era “calma e molto chiara, con una luna brillante”. La visibilità chiara facilita la supervisione di una complessa operazione di sbarco, ma aiuta anche il nemico. Alle 3:20 del mattino, poche ore prima che le prime truppe britanniche sbarcassero a Capo Helles, le sentinelle turche del 26° Reggimento avevano già avvisato il comando che la flotta nemica si stava avvicinando all’orizzonte. Quando i cannoni navali britannici aprirono il fuoco da distanze estreme alle 4:30 del mattino, fu inequivocabile che stava arrivando qualcosa di grosso. Le truppe che raggiunsero la costa alle 6:00, quindi, si scontrarono con una difesa che era essenzialmente in piena allerta, con conseguenze prevedibilmente deleterie.

Rassegna stampa tedesca 43a A cura di Gianpaolo Rosani

Intervista a Jens Spahn: dopo il Cancelliere, è forse l’uomo più potente della CDU/CSU – e non
perché sia così popolare nel suo partito. Molti riconoscono il suo talento politico e la sua diligenza.
Ma anche all’interno della CDU/CSU molti non sembrano fidarsi di Spahn, probabilmente anche
perché ha chiesto di trattare l’AfD “come qualsiasi altro partito di opposizione” e si è presentato
come un apologeta di Trump. “Prima di tutto, dobbiamo armarci. Il Cancelliere vuole l’esercito
convenzionale più forte d’Europa. Sono d’accordo. Poi dobbiamo imparare insieme a condurre
dibattiti sulla politica di sicurezza senza cadere nei soliti riflessi”.

STERN
10.07.2025
Possiamo fidarci di lei, signor Spahn?
Mercante di maschere, apologeta di Trump, cancelliere ombra: il capo del gruppo parlamentare della
CDU/CSU fa paura a molti. Quali piani sta realmente perseguendo.

Spahn ha agito a mente fredda?
Una cosa è certa: altri sono rimasti più fiduciosi durante la crisi
Jens Spahn non è alla ricerca di un lavoro; l’uomo ricopre una delle posizioni più importanti della politica
tedesca, come leader del gruppo parlamentare CDU/CSU al Bundestag. Proseguire cliccando su:

Il conflitto ultra vires ancora irrisolto all’interno dell’UE. Ultra vires (“al di là dei poteri”) significa che
le istituzioni dell’UE eccedono i poteri loro delegati dagli Stati membri. Tuttavia, in base al principio
del conferimento (art. 5, par. 2 TUE), l’UE può agire solo nei settori ad essa espressamente
delegati. Ciò solleva una questione istituzionale. Non è chiaro chi decida in ultima istanza dove
finiscono le competenze dell’UE: le corti supreme nazionali o la CGUE? Non esiste alcuna
disposizione del trattato in merito. La ragione del conflitto ultra vires è la diversa comprensione del
principio di validità del diritto dell’UE e del suo rapporto con il diritto nazionale (costituzionale).
Questa disputa sulla validità del diritto dell’Unione è antica quanto l’UE stessa, è il “nodo gordiano”
del diritto costituzionale europeo. Se i poteri dei parlamenti vengono svuotati, superando le loro
competenze in violazione del trattato, un pilastro della democrazia europea viene meno, cosicché
l’edificio europeo e quindi la legittimazione democratica dell’UE nel suo complesso non sono più
sufficientemente garantiti. La catena di legittimità che attraversa le democrazie nazionali si spezza
e i cittadini sono soggetti a un’azione sovrana che non hanno mai legittimato. Una volta che
compiti e poteri sono stati trasferiti all’UE, i cittadini degli Stati membri non possono facilmente
invertire la rotta.

9 luglio 2025
Tagliare il nodo gordiano
Il contenimento del conflitto ultraviolento europeo

Di Benedikt Riedl (è assistente di ricerca presso la cattedra di diritto pubblico e filosofia dello Stato dell’Università Ludwig Maximilian di Monaco)
Immaginate il seguente scenario fittizio: avete votato per la CDU/CsU alle elezioni del Bundestag e questa
ottiene la maggioranza assoluta. Proseguire cliccando su:

La Polonia compie un passo drastico in risposta al cambiamento della politica migratoria tedesca.
Da maggio, quando si è insediato il nuovo governo tedesco, sono aumentati i controlli alle frontiere
tedesche, comprese quelle con la Polonia. I migranti vengono “respinti” più spesso di prima. La
posizione della Polonia a questo proposito è contraddittoria. Da un lato, dal 2015 i governi polacchi
hanno regolarmente accusato la Germania di non avere il senso della realtà in materia di
migrazione. Poiché la Germania non espelle efficacemente i migranti illegali e le prestazioni sociali
sono elevate rispetto agli standard europei, anche per i migranti costretti a lasciare il Paese, la
Polonia ritiene che la Germania abbia sviluppato un effetto di attrazione per i migranti extraeuropei
verso l’UE – con conseguenze anche per la Polonia.


03.07.2025
Il segnale della Polonia alla Germania
Varsavia trae le conseguenze della politica migratoria della Germania e introduce controlli alle frontiere.
La decisione è accompagnata da un avvertimento a Berlino

DI PHILIPP FRITZ
Donald Tusk siede quasi immobile davanti al suo gabinetto. Non muove le braccia e fa a malapena una
smorfia. Proseguire cliccando su:

Al Parlamento europeo, il rumeno Piperea siede nel gruppo dei Conservatori e Riformisti europei
(ECR). Ma anche lì la sua mozione non gode di alcun sostegno. Il capogruppo dell’ECR Nicola
Procaccini (Fratelli) ha chiarito che due terzi del suo gruppo non appoggiano la mozione. “Il voto di
sfiducia è un errore”, ha dichiarato. Mentre la destra populista polacca PiS sostiene Piperea,
l’italiana Fratelli d’Italia respinge l’iniziativa. Le tensioni all’interno dell’ECR non sono una novità:
l’alleanza tra PiS e Fratelli è stata vista come una partnership di convenienza fin dall’inizio. Ciò che
è esplosivo è che Raffaele Fitto, esponente di spicco di Fratelli d’Italia, è un commissario dell’ECR
e addirittura uno dei vicepresidenti della Commissione.

08.07.2025
Crescono le critiche alla Von der Leyen
Nonostante il risentimento del campo pro-europeo, la mozione di censura contro di lei non ha alcuna
chance

DI SVEN CHRISTIAN SCHULZ – BRUXELLES
Se si crede a Gheorghe Piperea, la sua mozione di censura contro Ursula von der Leyen segna l’inizio della
fine del suo mandato di Presidente della Commissione UE. Proseguire cliccando su:

BRICS: durante l’incontro di quest’anno, i Paesi hanno quindi criticato anche la Banca Mondiale e il
Fondo Monetario Internazionale. I ministri delle finanze si sono espressi a favore di una
ridistribuzione dei diritti di voto e della fine della tradizionale leadership europea del Fondo per
superare “l’anacronistico ordine del dopoguerra”. Per quanto l’alleanza di Stati sia unita nel rifiuto
di alcune istituzioni di stampo occidentale, è probabile che ci sia troppo poco terreno comune per
un secondo centro di potere globale.

08.07.2025
I paesi Brics stanno diventando dei seri
concorrenti?
L’alleanza delle economie emergenti continua a crescere. Alcuni dei membri vogliono diventare meno
dipendenti dal dollaro USA come valuta di riserva, creando una propria valuta Brics.

Di Philipp Mattheis
I concetti di moda non esistono solo nella sottocultura, ma anche dove girano le ruote più grandi. La
“multipolarità” è una di queste parole d’ordine che negli ultimi anni ha fatto carriera nei think tank, nelle
ONG e nei media. Proseguire cliccando su:

Nella conferenza di chiusura dello scorso fine settimana, l’AfD ha redatto un documento di
posizione contenente sette punti, tra cui le misure per la sicurezza interna e le caratteristiche
principali di una nuova politica estera. Tuttavia, ciò che è più interessante di ciò che è contenuto
nel documento è ciò che non contiene. Mancano i termini “remigrazione” e “cultura dominante”,
che erano stati inseriti in una prima bozza. L’obiettivo è quello di liberarsi dall’isolamento politico; si
possono ipotizzare anche motivazioni tattiche: il partito vuole rendere il più difficile possibile ai
giudici la conferma della classificazione di “estremista di destra sicuro” da parte dei servizi segreti
nazionali. La chiamano “melonizzazione”, in riferimento al primo ministro italiano Giorgia Meloni.

8 luglio 2025
L’AfD cerca una via d’uscita dall’isolamento
Alla conferenza a porte chiuse si intravedono segni di moderazione: il “firewall” deve essere sfondato

Di MORTEN FREIDEL, BERLINO
L’AfD è un partito in un limbo. È il più forte partito di opposizione nel parlamento tedesco, ma attualmente
non ha alcuna prospettiva di potere a causa del “firewall”. In questa situazione contrastata sta accadendo
qualcosa: ci sono segnali di moderazione, almeno in termini di toni. Proseguire cliccando su:

C’è un ingorgo sull’“autostrada della libertà”. Un tempo importante collegamento tra la Polonia e la
Germania dopo la caduta del Muro di Berlino, il passaggio autostradale di Swiecko, lunedì mattina,
è un simbolo della nuova politica isolazionista di entrambi i Paesi. La Polonia non vuole erigere
barriere, barricate o tende bianche, queste ultime presenti sul lato tedesco. Il motivo per cui ora
anche la Polonia effettua controlli è un cambiamento nella prassi tedesca alle frontiere a partire
dall’inizio di maggio. In quel periodo, il nuovo governo tedesco guidato da Friedrich Merz non solo
ha inviato migliaia di agenti di polizia aggiuntivi ai confini. Per la prima volta, gli agenti sono stati
anche incaricati di respingere i rifugiati in cerca di asilo. La coalizione di centro-sinistra polacca
guidata da Donald Tusk probabilmente non era più in grado di resistere alle pressioni dell’opinione
pubblica sulla questione della sicurezza delle frontiere, soprattutto perché agli estremisti di destra
si è aggiunto il più grande partito di opposizione, il populista Diritto e Giustizia (PiS), che ha messo
in guardia dall’“invasione di migranti” dalla Germania in una campagna di propaganda orchestrata
su larga scala.

07.07.2025
I pullman di ritorno bloccano il traffico
Da lunedì mattina vengono effettuati controlli in entrambe le direzioni: La polizia di frontiera polacca sul
ponte che collega Słubice a Francoforte sull’Oder.

Prima la Germania, ora la Polonia: controlli reciproci alle frontiere, ingorghi e recriminazioni
Barriera bianco-rossa
Da lunedì la Polonia controlla il confine con la Germania, come reazione ai controlli effettuati sul
versante tedesco. La misura è presumibilmente rivolta solo ai contrabbandieri illegali
Da Francoforte (Oder) Anastasia Zejneli e Frederik Eikmanns
C’è un ingorgo sull’“autostrada della libertà”. Proseguire cliccando su:

Il  sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:

– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;

– IBAN: IT30D3608105138261529861559

PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo

Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo

Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione).

Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373

1 2 3 450