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L’UE dichiara guerra ai propri membri_di Simplicius

L’UE dichiara guerra ai propri membri

Simplicius23 ottobre
 
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Ieri, due atti di sabotaggio quasi simultanei hanno provocato esplosioni nelle raffinerie di petrolio sia in Ungheria che in Romania. In Ungheria è stata colpita la MOL di Százhalombatta, che secondo quanto riferito riceve petrolio russo, mentre in Romania è stata colpita la Petrotel-Lukoil, una filiale della società madre russa.

Come scrive un commentatore, questi attacchi sono avvenuti letteralmente poche ore dopo che il Consiglio europeo aveva appena approvato il divieto di importazione del gas russo a partire dal 2026:

La tempistica è particolarmente curiosa perché questo attacco è avvenuto poche ore dopo che il Consiglio europeo ha sostanzialmente confermato la sua posizione di vietare quasi completamente le importazioni di gas russo, con i nuovi contratti che saranno vietati all’inizio del 2026 e tutti i contratti a lungo termine che scadranno obbligatoriamente nel 2028. Un divieto simile sulle importazioni di petrolio è previsto nel prossimo futuro. L’Ungheria e la Slovacchia si sono impegnate a presentare ricorsi legali contro il divieto.

Al momento della stesura di questo articolo, erano state riportate notizie secondo cui una nuova esplosione avrebbe illuminato una raffineria a Bratislava, in Slovacchia, che presumibilmente lavora il petrolio russo proveniente dall’oleodotto Druzhba. Tuttavia, successivi aggiornamenti sembrano indicare che si trattasse di notizie false, anche se al momento non vi è ancora certezza.

veri attacchi alla Romania e all’Ungheria sono avvenuti pochi giorni dopo che l’Europa ha sostanzialmente dato carta bianca agli attacchi terroristici in tutta l’UE, attraverso diversi alti funzionari europei che hanno apertamente condonato non solo gli attacchi al Nord Stream, ma anche quelli contro gli oleodotti ungheresi. Qui il ministro degli Esteri polacco Sikorski si rivolge all’ungherese Peter Szijjarto:

Un post di un utente X riassume bene la situazione:

Sembra che il Regno Unito e l’UE abbiano iniziato una guerra terroristica contro i propri membri, alias con l’aiuto di un paese non appartenente all’UE. Sì. È così che si è spinta questa follia. Ed è pura follia, non fraintendete. Chiunque pensi che sia una coincidenza, dopo che pochi giorni fa il primo ministro polacco Donald Tusk ha dichiarato su X che tutti gli “obiettivi russi” nell’UE sono legittimi, è un ritardato. Purtroppo, questa follia e queste parole di un pazzo hanno portato alle prime vittime tra i civili innocenti nell’UE.

Nella notte tra il 20 e il 21 ottobre 2025, si è verificata un’esplosione nella raffineria MOL di Százhalombatta, in Ungheria, seguita da un grave incendio. L’azienda ha confermato che l’incendio è stato domato senza vittime e che le cause sono ancora oggetto di indagine. Il primo ministro Viktor Orbán ha assicurato che l’approvvigionamento di carburante del Paese rimane sicuro. La raffineria lavora principalmente petrolio russo, un’eccezione nell’UE, dove la maggior parte dei paesi ha ridotto le importazioni di energia russa dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022.

Poche ore prima, il 20 ottobre, un’altra esplosione si era verificata nella raffineria Lukoil di Ploieşti, in Romania. L’incidente aveva causato almeno un morto. Lukoil è una compagnia petrolifera russa, mentre la Romania è membro della NATO e dell’UE.

Queste esplosioni, avvenute nei giorni dell’incontro tra Putin e Trump in Ungheria per discutere del conflitto ucraino, seguono il rifiuto di Trump di vendere missili Tomahawk che consentirebbero di attaccare la Federazione Russa a distanza. L’SBU ucraina non ha più aspettato per agire, in una fase in cui la questione ucraina si avvicinava a un epilogo sfavorevole alla dittatura ucraina. Con questi attacchi terroristici nei paesi “alleati”, fanno pressione sulle entità ungheresi e rumene affinché rifiutino i combustibili russi, fondamentali per la loro economia, come una sorta di “attacco indiretto a Putin”, un “gioco di potere” che ha portato solo alla morte di persone innocenti.

Proprio come nell’esplosione del Nord Stream 1 e 2 – i cui autori sono già stati arrestati, ma le autorità polacche e italiane non vogliono consegnarli alla Germania per essere interrogati – l’SBU ha agito per vendetta e disperazione. Entrambi i sospetti (ucraini) sono attualmente latitanti, in attesa di ulteriori decisioni giudiziarie nei rispettivi paesi. La Germania finge di continuare la sua farsa di estradizione per affrontare le accuse contro gli autori di sabotaggio e distruzione di infrastrutture critiche, ma è solo il gioco di psicopatici il cui odio patologico per i russi ha distrutto così tanto le loro menti da far loro perdere completamente la capacità di ragionare.

L’UE diventa ostaggio di maniaci disposti a uccidere il proprio popolo. Che Dio ci aiuti!

Ora, apparentemente in coordinamento con le suddette operazioni di sabotaggio dei servizi segreti, l’amministrazione Trump ha annunciato le prime nuove sanzioni su larga scala contro la Russia, in particolare contro le due principali compagnie petrolifere russe Rosneft e Lukoil.

Ma c’è una strana incongruenza in tutta questa vicenda. Il segretario al Tesoro Scott Bessent sembrava essere il promotore dell’iniziativa e, anche quando Trump ha pubblicato l’annuncio, lo ha fatto in termini distaccati, limitandosi a “citare” che era il Tesoro il responsabile delle sanzioni, non lui:

Normalmente, Trump, guidato dal suo ego, sarebbe tutto tromba e fanfara nell’annunciare come sia stata la sua potente mano a orchestrare le severe sanzioni volte a mettere in ginocchio il Paese preso di mira. Ma in questo caso, Trump si nasconde misteriosamente dietro al bulldog Bessent: perché?

Certo, l’incontro con Putin è andato male proprio come avevamo previsto, e alcuni pensano che Trump stia ora sfogando la sua rabbia su Putin. Ma sembrerebbe piuttosto che Trump stia cercando ancora una volta di giocare su due fronti: placare i suoi critici e allo stesso tempo prendere le distanze dalla punizione per segnalare alla Russia che non prova alcun piacere in questo “male necessario”.

Infatti, proprio mentre venivano applicate le sanzioni, Trump sembrava raddoppiare la sua nuova posizione anti-Tomahawk a favore della Russia, oltre a minimizzare la “notizia falsa” secondo cui avrebbe autorizzato attacchi profondi contro la Russia; a proposito, da notare la sua ammissione che solo il personale americano può lanciare i Tomahawk.

Ascolta entrambe le parti qui sotto:

Dobbiamo anche vedere se queste sanzioni hanno davvero un qualche effetto concreto o se sono più che altro un gesto simbolico per placare i neoconservatori. Potrebbe trattarsi di un’iniziativa guidata dallo Stato profondo e progettata in concomitanza con la nuova guerra al terrorismo dell’UE contro il petrolio russo, che Trump era semplicemente impotente a fermare, essendo costretto ad assecondarla per mantenere una necessaria illusione. Detto questo, non escludo l’idea che Trump sia completamente d’accordo con questa iniziativa, come credo molti pensino, e probabilmente lo scopriremo presto, viste le nuove dichiarazioni di Trump che sicuramente arriveranno.

Da parte russa, Putin ha supervisionato le esercitazioni della tetrade nucleare, con i Tu-95 che hanno lanciato missili da crociera, nonché il lancio di un missile balistico intercontinentale Yars e di un missile balistico lanciato da sottomarino R-29RMU2 Sineva SLBM:

Alcuni hanno interpretato questo come una sorta di risposta, o “avvertimento” russo all’Occidente, anche se le esercitazioni sarebbero state programmate prima degli eventi odierni.

A questo proposito, l’ungherese Peter Szijjarto ha rivelato il comportamento maligno dell’UE dopo che l’oleodotto Druzhba è stato attaccato dai droni ucraini e ha causato il calo delle riserve petrolifere dell’Ungheria a livelli record. Egli afferma che l’Ungheria era molto vicina all’essere costretta ad attingere alle sue ultime riserve strategiche di emergenza, perché l’UE le aveva deliberatamente ostacolate:

È chiaro che l’UE agisce intenzionalmente contro gli interessi dei propri cosiddetti membri. Inoltre, si può affermare che l’UE stia apertamente sabotando i suoi membri più “scomodi” al fine di sottometterli. Ciò rende l’UE un’organizzazione tirannica, piuttosto che l'”ordine democratico” che cerca disperatamente di rappresentare.

Tutto sommato, conosciamo il motivo dell’urgenza di questo tentativo di destabilizzare l’economia russa: le vittorie russe si stanno accumulando e ora stanno iniziando ad accelerare. Molte città ucraine sono destinate a cadere presto e le notizie dal fronte continuano a peggiorare.

Sul fronte di Konstantinovka, le forze russe sono finalmente riuscite a sfondare definitivamente nella periferia della città stessa, segnando il vero inizio della battaglia per Konstantinovka:

Sul fronte di Novopavlovka, le forze russe hanno conquistato gran parte della piattaforma settentrionale, chiudendo nuovamente le mura della città da sud:

Sulla catena di insediamenti lungo il fiume Yanchur in direzione di Gulyaipole, l’esercito russo ha nuovamente ampliato il proprio controllo sia dal fianco settentrionale che da quello orientale, conquistando questa volta l’insediamento di Pavlovka al centro:

Come potete vedere, l’intera catena Yanchur sta venendo smantellata molto rapidamente e probabilmente sarà completamente eliminata entro una o due settimane. Dopodiché ci saranno solo campi aperti fino a Gulyaipole.

Ma la notizia più importante è che la direzione di Pokrovsk sta rapidamente crollando. Ora circolano voci secondo cui il comando delle forze armate ucraine avrebbe avviato una graduale ritirata sia da Pokrovsk che da Mirnograd.

Suriyak scrive:

Mirnograd, #l’esercito ucraino ha iniziato a ritirarsi dalla città, mantenendo però la difesa nella parte meridionale. Lì, l’esercito russo si è insediato nelle vie Stepna e Pishchanyi, da dove sta tentando di avanzare verso il terrikon della miniera 5/6, principale focolaio della resistenza ucraina.

Anche a Pokrovsk le forze ucraine hanno iniziato a ritirarsi, ma in misura minore. Di conseguenza, hanno perso il controllo di praticamente metà della città, mentre l’esercito russo continua a presidiare le posizioni abbandonate a sud della linea ferroviaria (oltre il 40% di Pokrovsk è ora sotto il controllo russo).

Perché stanno fuggendo anche da Mirnograd quando le forze russe hanno appena iniziato a entrarvi?

Probabilmente la risposta sta nella continua avanzata russa attraverso la vicina Rodynske:

Rodynske è ora occupata per metà e potrebbe cadere presto, il che metterà immediatamente in pericolo Mirnograd attraverso la via di rifornimento che la collega:

Pertanto, l’intera zona potrebbe crollare prima del previsto, soprattutto se le voci sull’evacuazione dell’AFU fossero vere, il che implicherebbe che il comando si è già rassegnato all’inevitabile.

L’ultimo tasso di avanzamento di Creamy Caprice mostra un forte aumento negli ultimi giorni:

21.10.25 Velocità di avanzamento Avanzamento medio giornaliero delle forze armate russe nell’area dell’operazione militare speciale. Aggiornamento basato sui dati dal 17 al 20 ottobre 2025. Velocità di avanzamento +36,3 km² al giorno nel periodo, avanzamento totale 145 km².


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Il trattato di Santo Stefano del 1878 e gli albanesi_di Vladislav Sotirovic

Il trattato di Santo Stefano del 1878 e gli albanesi

La politica europea dopo il 1871

Dopo la guerra franco-prussiana del 1870-1871, nei decenni successivi la politica europea fu caratterizzata da un periodo di intenso riarmo, che avrebbe portato allo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914. Nel frattempo, sia in Europa che nelle sue colonie d’oltremare scoppiarono diverse crisi internazionali che avrebbero potuto portare l’Europa alla Grande Guerra anche prima dell’estate del 1914.

Innanzitutto, il pericolo di una nuova guerra franco-tedesca incombeva sull’Europa perché la Francia perseguiva una politica revanscista nei confronti della Germania unita, e la questione dei territori dell’Alsazia e della Lorena era cruciale in quel contesto. Con queste due province, che nel 1871 appartenevano alla Germania, la Francia aveva perso le sue due aree economiche più sviluppate. La popolazione di entrambe queste zone chiedeva di essere restituita alla Francia, anche se la loro lingua madre era il tedesco, ma manifestava una coscienza nazionale francese.

Il secondo e ancora più pericoloso punto di crisi in Europa era rappresentato dai Balcani, ovvero le province ottomane abitate da popolazioni cristiane che, in molti casi, vivevano mescolate ai musulmani locali. Mentre i cristiani lottavano per la liberazione nazionale e la separazione dall’Impero ottomano, allo stesso tempo i musulmani locali, indipendentemente dall’appartenenza etnolinguistica, lottavano per preservare l’Impero ottomano come loro Stato nazionale. Ciò era particolarmente evidente nel caso dei musulmani in Bosnia-Erzegovina e dei musulmani albanesi in Albania e nei paesi circostanti.

Il declino del potere e dell’autorità ottomani e la lotta dei popoli cristiani balcanici per la liberazione dal secolare dominio turco-musulmano sollevarono la questione del futuro destino dei possedimenti ottomani in Europa, cioè nei Balcani. Tutte le principali potenze europee lottarono per ottenere influenza nei Balcani (compreso il Regno Unito, tradizionalmente preoccupato dei propri possedimenti coloniali d’oltremare), ma con obiettivi diversi, tra cui solo la Russia sosteneva l’idea di formare Stati nazionali dei popoli cristiani nei Balcani al posto dell’Impero Ottomano, che in tal caso avrebbe perso tutti i suoi possedimenti europei.

La prima grande crisi nei Balcani scoppiò nel 1875-1878 con lo scoppio di una grande rivolta cristiana in Erzegovina, che si estese rapidamente alla Bosnia e alla Bulgaria. Dopo l’intervento militare fallito della Serbia nel 1876-1877 contro l’Impero ottomano, che sosteneva gli insorti serbi in Bosnia-Erzegovina, nel 1877 la Russia entrò in guerra a fianco degli insorti balcanici e della Serbia e nel 1878 spezzò la resistenza turca sul Danubio e nella Bulgaria settentrionale, aprendo così la strada verso Istanbul. [1]

La “Bulgaria di Santo Stefano”

Dopo la vittoria militare russa sull’Impero ottomano nella guerra russo-ottomana del 1877-1878, il 3 marzo 1878 fu firmato il trattato di Santo Stefano tra questi due Stati. Secondo il trattato, una Grande Bulgaria di Santo Stefano, sotto la diretta protezione della Russia, doveva essere istituita all’interno dei confini dell’Impero Ottomano (di fatto, come uno Stato nello Stato). Tuttavia, l’idea della “Bulgaria di Santo Stefano” influenzò direttamente tre nazioni balcaniche: serbi, greci e albanesi, poiché alcuni dei loro territori etnici e storici dovevano diventare parte di una Grande Bulgaria sotto la protezione russa.

La “Bulgaria di Santo Stefano” era stata progettata dalle autorità russe per coprire il territorio dal Danubio al Mar Egeo e dall’attuale Albania al Mar Nero, compresa tutta la Macedonia geografica-storica, l’attuale Serbia orientale e l’attuale Albania sud-orientale. Di conseguenza, la nazione albanese che viveva nell’attuale Albania sud-orientale e nella Macedonia occidentale sarebbe entrata a far parte di una Grande Bulgaria governata dalle autorità russe.[2]

È caratteristico sia del Trattato di Santo Stefano del 1878 che del Congresso di Berlino del 1878 il fatto che essi concepivano che parti dei territori balcanici popolati da albanesi fossero cedute agli altri Stati balcanici secondo il principio dei diritti etnici e storici. Tuttavia, ciò non significa che gli albanesi etnici fossero la maggioranza in questi territori, e questo era proprio il motivo per cui sia la Russia che l’Europa li consegnarono ai vicini albanesi. Il restante spazio etnico albanese (l’Albania, in cui gli albanesi etnici costituivano la netta maggioranza della popolazione) sarebbe rimasto entro i confini dell’Impero Ottomano, ma senza alcuno “status speciale”, ovvero diritti autonomi e privilegi etnico-politici.

Lo stesso governo ottomano era troppo debole per proteggere i territori popolati da albanesi, costituiti per oltre l’80% da popolazione musulmana, che mostrava un alto grado di lealtà politica e ideologica nei confronti del Sultano e della Sublime Porta di Istanbul. Ciononostante, le decisioni del Trattato di Santo Stefano del 1878 portarono all’organizzazione di un sistema di autodifesa albanese da parte della leadership politica (musulmana), che considerava uno status autonomo dell’Albania, simile a quello della Serbia, della Moldavia e della Valacchia, come l’unica garanzia per un’amministrazione giustificabile degli albanesi in futuro.

Il Trattato di Santo Stefano del 1878 e la ridefinizione dei confini dei Balcani ottomani

Il Trattato di Santo Stefano assegnò alla Bulgaria slava le seguenti terre popolate dagli albanesi: il distretto di Korçë e l’area di Debar. Secondo lo stesso trattato, al Montenegro furono concessi diversi comuni nell’attuale Albania settentrionale e le zone di Bar e Ulcinj (oggi in Montenegro). Il confine tra l’Albania ottomana e il Montenegro fu fissato sul fiume Bojana e sul lago Scodra (i confini sono rimasti invariati fino ad oggi). Tuttavia, un rappresentante ufficiale del Principato del Montenegro, Radonjić, chiese ad Adrianopoli (Edirne) che la città di Scutari fosse inclusa nel Montenegro allargato.[3]

Tuttavia, ciò che all’epoca era considerato esattamente l’Albania e gli albanesi come identità etnica non era chiaro a nessuno in Europa. Il motivo principale era il fatto che i censimenti ufficiali ottomani erano diventati una fonte piuttosto inaffidabile per risolvere tali problemi, poiché si basavano più sull’identità religiosa che sulla stretta appartenenza etnico-nazionale (cioè etnico-linguistica). In pratica, tutta la popolazione islamica ottomana, che fosse albanese, bosniaca o turca, era classificata in un’unica categoria: i musulmani (come nazione di Allah). Le differenze nazionali/etniche non erano affatto indicate nei censimenti ottomani, poiché veniva presa in considerazione solo l’appartenenza religiosa (sistema confessionale “millet”).

Tuttavia, nonostante la mancanza di statistiche ufficiali, è possibile ricostruire la dispersione dell’etnia albanese in quel periodo utilizzando altre fonti storiche. Una di queste fonti è una relazione alle autorità austro-ungariche sui confini settentrionali della lingua albanese, redatta dal console austro-ungarico F. Lippich a metà del 1877, durante la Grande Crisi Orientale e la guerra russo-ottomana del 1877-1878. Secondo questa relazione, il confine linguistico settentrionale degli albanesi si estende dalla città di Bar, sul litorale adriatico montenegrino, verso il lago di Scutari, poi attraverso due regioni montenegrine, Kolašin e Vasojevićs, quindi verso il fiume Ibar e la città di Novi Pazar nel Sanjak (Raška) fino alla zona del fiume Morava meridionale nell’attuale Serbia. Il confine linguistico albanese era fissato a est e sud-est intorno al lago di Ochrid, alle città di Bitola (Monastir) e Debar e al corso superiore del fiume Vardar.[4] Tuttavia, in molte di queste zone, la lingua albanese era parlata insieme alle lingue slave come sono oggi, il serbo, il montenegrino e il macedone. In secondo luogo, nella maggior parte di queste “zone di confine di lingua albanese”, gli albanesi linguistici non costituivano la maggioranza etnica, come nel caso, ad esempio, della regione storica del Kosovo e della Metochia, dove a quel tempo i serbi etnolinguistici erano ancora in maggioranza aritmetica rispetto alla popolazione.

Tuttavia, è certo che il trattato di Santo Stefano del 1878 provocò il nazionalismo albanese e forgiò il movimento di rinascita nazionale albanese. Il germe del movimento nazionale albanese crebbe dal 1840 fino al periodo della Grande Crisi Orientale del 1875-1878, quando i primi requisiti per l’istituzione di scuole di lingua albanese e la conservazione della lingua nazionale furono richiesti dai funzionari pubblici albanesi dell’Impero Ottomano (Naum Panajot Bredi, Engel Mashi, Josiph Kripsi, John Skiroj, Hieronim de Rada, Vincenzo Dorsa, ecc.).

Tuttavia, la rinascita nazionale albanese ricevette un nuovo impulso durante la crisi balcanica del 1862, al tempo di una nuova guerra tra Montenegro e Impero Ottomano, quando diversi membri del cosiddetto “gruppo di Scutari” (Zef Ljubani, Pashko Vasa e altri) propagarono la rivolta delle tribù dell’Albania settentrionale nella regione di Mirditë contro le pretese territoriali montenegrine sulle aree popolate dagli albanesi. Si opposero anche alle autorità ottomane, poiché potevano contare sul sostegno dell’imperatore francese Napoleone III (1852-1870). In caso di esito positivo della ribellione, nei Balcani sarebbe stato creato il principato indipendente e unito dell’Albania. Esso avrebbe compreso tutti i territori popolati da albanesi nei Balcani, anche quelli in cui gli albanesi linguistici erano una minoranza etnica.

Il principale ideologo albanese dell’epoca era Zef Jubani, nato a Scutari nel 1818, il quale sosteneva che la popolazione albanese fosse già diventata una nazione a quel tempo. [5] Il suo obiettivo politico principale era la creazione di una provincia autonoma e unita dell’Albania all’interno dell’Impero Ottomano. Altri, come Thimi Mitko e Spiro Dineja, erano favorevoli alla separazione dell’Albania dall’Impero Ottomano e alla creazione di uno Stato confederato albanese-greco simile all’Austria-Ungheria (dal 1867). Durante la Grande Crisi Orientale del 1875-1878, la rivolta albanese a Mirditë nel 1876-1877, guidata dai patrioti albanesi di Scutari, aveva come obiettivo politico finale la creazione di un’Albania autonoma all’interno dell’Impero Ottomano. I leader della rivolta visitarono la corte montenegrina per ottenere il sostegno finanziario del principe montenegrino Nikola I (1860-1910; re dal 1910 al 1918). Tale sostegno fu promesso al capo della delegazione albanese, Preng Dochi. È importante sottolineare che il principe montenegrino dichiarò in questa occasione che il Montenegro non aveva alcuna aspirazione territoriale nei confronti dei territori “albanesi”, qualunque cosa ciò significasse in quel momento. Allo stesso tempo, il diplomatico russo a Scutari, Ivan Jastrebov, sottolineò che l’Europa si trovava ad affrontare la “questione albanese”.

Durante la Grande Crisi Orientale, i capi tribù albanesi dell’Albania meridionale e dell’Epiro settentrionale, sotto la presidenza di un importante signore feudale albanese musulmano, Abdul-beg Frashëri, convocarono nel 1877 una riunione nazionale nella città di Jannina (Ioannina) quando chiesero alla Sublime Porta di Istanbul di riconoscere una nazionalità albanese separata e quindi di concedere loro il diritto di formare una provincia autonoma albanese (vilayet) all’interno dell’Impero Ottomano. Chiesero inoltre che tutti i funzionari di tale vilayet albanese fossero di origine etnica albanese (ma solo musulmani), che fossero aperte scuole di lingua albanese e, infine, che fossero creati tribunali di lingua albanese. Il memorandum con tali richieste fu inviato alla Sublime Porta, ma questa suprema istituzione governativa ottomana rifiutò di soddisfare qualsiasi di queste richieste nazionali albanesi.

La reazione albanese al Trattato di Santo Stefano del 1878

La pubblicazione degli articoli del Trattato di Santo Stefano del 1878 causò grande agitazione e insoddisfazione tra il popolo albanese. [6] Da quel momento in poi, il precedente movimento albanese che mirava solo al miglioramento delle condizioni sociali degli albanesi che vivevano nell’Impero Ottomano si trasformò in un movimento nazionale albanese (ma in sostanza era radicato nella tradizione islamica e nel dogmatismo politico) che richiedeva la creazione di una provincia politicamente autonoma dell’Albania all’interno dell’Impero Ottomano o la creazione di uno Stato nazionale albanese indipendente (basato sulla tradizione islamica). [7]

Soprattutto l’Albania nord-orientale e orientale conobbe massicci disordini e proteste contro il trattato di Santo Stefano, rivolte alle grandi potenze europee.[8] Così, nell’aprile 1878, gli albanesi della città di Debar inviarono un telegramma agli ambasciatori britannico e austro-ungarico presso l’Impero Ottomano, Layard e Zichy, rispettivamente, per protestare contro l’annessione della regione di Debar al nuovo principato bulgaro di Santo Stefano. Nel telegramma si sottolineava che gli abitanti di Debar erano albanesi, non bulgari. Inoltre, secondo il memorandum di protesta, il distretto di Debar comprendeva 220.000 musulmani e 10.000 cristiani, tutti presumibilmente di etnia albanese. [9] Infine, si chiedeva alle grandi potenze europee di non consentire alla Bulgaria (cristiana ortodossa) di annettere la regione di Debar, che avrebbe invece dovuto rimanere nell’Impero ottomano (come Stato “nazionale” di tutti i musulmani albanesi). [10]

Analogamente agli albanesi di Debar, i loro compatrioti della città di Scutari e dell’Albania nord-occidentale chiesero alle autorità austro-ungariche di impedire l’inclusione dei territori “albanesi” nel Montenegro (la cui indipendenza era stata riconosciuta dal Congresso di Berlino nel 1878). [11] Gli albanesi di diversi distretti del Kosovo-Metochia (Prizren, Đakovica, Peć) protestarono in un memorandum inviato a Vienna contro la spartizione delle “loro” terre tra Serbia e Montenegro. [12] L’8 maggio 1878, quando “…oggi abbiamo appreso dai giornali che il governo ottomano, incapace di resistere alle pressioni della Russia, è stato costretto ad accettare la nostra annessione da parte dei montenegrini…”. una protesta della popolazione albanese di Scutari, Podgorica, Spuž, Žabljak, Tivat, Ulcinj, Gruda, Kelmend, Hot e Kastrat fu indirizzata all’ambasciatore di Francia a Istanbul contro l’annessione delle terre “albanesi” da parte del Principato del Montenegro. [13]

Il popolo albanese dell’Albania settentrionale e del Kosovo-Metochia, sia musulmano che cattolico, iniziò a organizzare propri distaccamenti di autodifesa (una milizia territoriale) e comitati locali contro l’incorporazione di questi territori nella Serbia o nel Montenegro. Un altro compito di questi numerosi comitati era quello di aiutare i “rifugiati” albanesi provenienti dalle zone già conquistate dai serbi e dai montenegrini, secondo il Trattato di Santo Stefano. [14] Così, ad esempio, il 26 giugno 1878 da Priština fu inviata una protesta di 6.200 emigranti albanesi, presumibilmente “espulsi” dai distretti di Niš, Leskovac, Prokuplje e Kuršumlija, indirizzata al Congresso di Berlino del 1878 contro gli omicidi di massa e gli stupri commessi dall’esercito serbo e dalle unità militari bulgare. [15] Tuttavia, la maggior parte di questi “rifugiati” albanesi lasciò volontariamente questi territori perché, in quanto musulmani, non voleva vivere in uno Stato cristiano, né in Bulgaria né in Serbia, dopo il Trattato di Santo Stefano. Lo stesso accadde dopo il Congresso di Berlino del 1878, con un numero enorme di musulmani della Bosnia-Erzegovina che emigrarono nell’Impero Ottomano ancora prima che l’esercito austro-ungarico raggiungesse le loro case senza alcuna intenzione di espellerli.

In sostanza, tali proteste ufficiali da parte degli albanesi erano più che altro un modo per fare propaganda e non rispecchiavano la realtà sul campo, almeno non nella misura presentata. Il fatto era, come già detto, che la maggior parte dei “rifugiati” albanesi (musulmani) aveva in realtà lasciato volontariamente quelle terre assegnate dal trattato russo-ottomano di Santo Stefano alla Grande Bulgaria (o successivamente alla Serbia dal Congresso di Berlino) perché i musulmani non possono, in linea di principio, vivere sotto un governo non musulmano, cioè il governo degli “infedeli”. Semplicemente, i musulmani non potevano sopravvivere in un paese in cui non detenevano il potere politico e non controllavano l’ordine sociale e la vita.

Il Congresso di Berlino del 1878

La pace russo-turca di Santo Stefano, firmata il 3 marzo 1878, annunciò la nascita di un grande Stato bulgaro sotto il patrocinio e l’influenza della Russia, sebbene formalmente nell’ambito dell’Impero ottomano. In altre parole, questo trattato di pace avrebbe garantito la supremazia della Russia sia nei Balcani orientali che sugli stretti (Bosforo e Dardanelli). Pertanto, al fine di impedire la cruciale influenza russa nei Balcani orientali e negli stretti, le grandi potenze dell’Europa occidentale (su iniziativa formale della Germania di Bismarck) organizzarono il Congresso di Berlino, che durò un mese dal 15 giugno al 15 luglio 1878, e durante il quale cercarono di appianare le loro reciproche controversie e quindi di agire congiuntamente contro la Russia. L’obiettivo principale del Congresso di Berlino era una revisione totale del Trattato di pace di San Stefano a scapito della Russia e al fine di preservare il più possibile i possedimenti dell’Impero ottomano in Europa.

Il risultato principale del Congresso di Berlino fu che la Russia fu costretta a ridurre notevolmente le sue richieste nei Balcani. Così, l’Austria-Ungheria ottenne il diritto di occupare la Bosnia-Erzegovina, la Gran Bretagna ottenne Cipro, mentre la Germania rafforzò la sua influenza nei Balcani e successivamente in tutto l’Impero Ottomano realizzando la sua politica imperiale di penetrazione verso est (Drang nach Osten). La Serbia, la Romania e il Montenegro ottennero l’indipendenza formale e l’espansione territoriale, così come la Grecia, mentre sul territorio del popolo bulgaro si formarono due Bulgarie a scapito del progetto russo di una Grande Bulgaria da Santo Stefano. Per quanto riguarda gli albanesi, essi non ottennero di fatto nulla, nonostante avessero chiesto la tutela dei loro diritti nazionali su determinati territori. Anzi, il leader e ospite del Congresso di Berlino, Otto von Bismarck, affermò che l’Europa non aveva mai sentito parlare del popolo albanese. Il Congresso di Berlino fu l’ultimo grande incontro internazionale a cui parteciparono solo statisti europei.[16] In ogni caso, anche dopo il 1878, i Balcani rimasero al centro della crisi in Europa fino alla prima guerra mondiale.

Dr. Vladislav B. Sotirovic

Ex professore universitario

Ricercatore presso il Centro di studi geostrategici

Belgrado, Serbia

© Vladislav B. Sotirovic 2025

www.geostrategy.rs

sotirovic1967@gmail.com

RIFERIMENTI E NOTE FINALI:

[1] Mitchel Beazley (ed.), Ilustrovana enciklopedija Istorija, Vol. 2, 1984, 190 (titolo originale: The Joy of Knowledge Encyclopaedia, 1976).

[2] Parliamentary Papers, serie “Accounts and Papers”, Vol. LXXXIII, Turchia, № 22, Londra, 1878, 10.

[3] “Articolo № 1” del Trattato di pace di San Stefano in Documenti parlamentari, serie “Conti e documenti”, Vol. LXXXIII, Turchia, № 22, Londra, 1878, 9−10; Sumner B. H., Russia and the Balkans, 1870−1880, Oxford, 1937, 410−415.

[4] Haus-Hof-und Staatsarchiv, Politisches Archiv, XII/256, Türkei IV, Lippich F., “Denkschrift über Albanien”, Vienna, 20 giugno 1877, 8-9.

[5] Secondo M. Jevtić, gli albanesi non erano ancora una nazione nel senso moderno europeo del termine all’epoca, né lo sono ancora oggi, poiché il quadro principale dell’identità nazionale albanese era ed è principalmente l’Islam, una religione che non riconosce l’esistenza di alcuna identità etnico-linguistica tra i musulmani, considerati un’unica “nazione” (confessionale). [Јевтић М., Албанско питање и религија, Београд: Центар за проучавање религије и верску толеранцију, 2011; Јевtić M., „Исламска суштина албанског сецесионизма и културно наслеђе Срба“, Национални интерест, Vol. 17, No. 2, 2013, 238]. Sulla tradizione islamica e la dottrina politica, cfr. [Itzkowitz N., Ottoman Empire and Islamic Tradition, Chicago−Londra: The University of Chicago Press, 1980].

[6] Archives du Ministère des Affaires Etrangères, Parigi, «Ceccaldi a Waddington, 27 aprile 1878», n. 213, Turchia, Corrispondenza politica dei consoli, Scutari, 1878-1879, Vol. XXI.

[7] Sulla forte divisione confessionale-politica e persino sulle guerre religiose tra gli albanesi più tardi nel 1915, si veda [Pollo S., Puto A., Histoire d’Albania des origines á nos jours, Roanne, 1974, 183−186; Јевтић М., Проблеми политикологије религије, Београд: Центар за проучавање религије и верску толеранцију, 2012, 159−161].

[8] Il concetto accademico di grande potenza è definito come uno Stato «considerato tra i più potenti in un sistema statale gerarchico. I criteri che definiscono una grande potenza sono oggetto di controversia, ma spesso se ne identificano quattro. (1) Le grandi potenze sono al primo posto tra le potenze militari, hanno la capacità di mantenere la propria sicurezza e, potenzialmente, di influenzare altre potenze. (2) Sono Stati economicamente potenti… (3) Hanno sfere di interesse globali e non solo regionali. (4) Adottano una politica estera “progressista” e hanno un impatto reale, e non solo potenziale, sugli affari internazionali” [Heywood A., Global Politics, New York−Londra: Palgrave Macmillan, 2011, 7].

[9] Il numero di abitanti del distretto di Debar è stato drasticamente esagerato. Gli albanesi non erano gli unici abitanti del distretto.

[10] Parliamentary Papers, serie “Accounts and Papers”, “Layard to Salisbury, Therapia, 4 maggio 1878, Vol. LXXXIII, Turchia, № 41, Londra, 1878, 60-61; Archivi del Ministero degli Affari Esteri, Parigi, “Ceccaldi a Waddington, Scutari, 4 maggio 1878”, n. 214, Turchia, Corrispondenza politica dei consoli, Scutari, 1878-1879, vol. XXI.

[11] Novotny A., Österreich, die Türkei und das Balkan-problem im Jahre des Berliner Kongresses, Graz−Colonia, 1957, 246.

[12] Ibid, 37, 247−253; Parliamentary Papers, serie “Accounts and Papers”, 1878, Vol. LXXXI, Turchia, № 45, Londra, 1878, 35−36.

[13] Archives du Ministère des Affaires Etrangères, Parigi, Ambasciata francese presso la Sublime Porta, Turchia, Vol. 417, 51−54, Supplemento alla Relazione № 96 (originale in francese); Pollo S., Pulaha S., (a cura di), Pagine della rinascita nazionale albanese, 1878-1912, Tirana, 1978, 12-13.

[14] Documenti parlamentari, serie “Conti e documenti”, “Green a Salisbury, 3 maggio 1878”, Vol. LXXXIII, Turchia, n. 40, Londra, 1878, 60; Archives du Ministère des Affaires Etrangères, Parigi, “Ceccaldi a Waddington, Scutari, 4 maggio 1878”, n. 214, Turchia, Correspondance politique des consuls, Scutari, 1878-1879, Vol. XXI; Ibid, copia del telegramma firmato dal principe montenegrino Nikola I Petrović-Njegoš, Cetinje, 5 giugno 1878, come allegato n. 1 a Dèpêche, 9 giugno 1878, n. 218.

[15] Politisches Archiv des Auswartigen Amtes, Bonn, Turchia 129, Vol. 2, Gli atti del Congresso di Berlino, 2, 1878, documento n. 110 (telegramma); Pollo S, Pulaha S., (a cura di), La Lega albanese di Prizren, 1878-1881. Documents, Vol. I, Tirana, 1878, 73−74.

[16] Mitchel Beazley (ed.), Ilustrovana enciklopedija Istorija, Vol. 2, 1984, 190 (titolo originale: The Joy of Knowledge Encyclopaedia, 1976).

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Di tutti i progressi nella nostra comprensione della mente umana nell’ultimo secolo circa, nessuno è più fondamentale della scoperta dell’Inconscio e della lenta comprensione del suo funzionamento, eppure nessuno ha avuto così scarso effetto sul nostro modo di pensare al mondo, nella maggior parte dei casi. Questo saggio riguarda cosa potrebbe accadere se ciò accadesse.

In teoria, le intuizioni di Freud (sì, so che aveva dei predecessori, ma non ho lo spazio per trattare tutto, mi dispiace) le precedevano tutte. Il modello meccanico delle funzioni cerebrali, l’assunto che la mente cosciente fosse tutto ciò che contava, o addirittura esistesse, la convinzione che ci fosse una corrispondenza esatta tra pensiero ed espressione, e che dicessimo ciò che intendevamo, e intendessimo ciò che dicevamo, non erano più sostenibili. Nella vita quotidiana (dove, ironia della sorte, si era sempre riconosciuta l’importanza di apparenti confusioni ed errori verbali) divenne comune parlare di “lapsus freudiani”, in inglese, e di lapsus révélateur in francese, anche tra coloro che non avevano mai letto, o sentito parlare, di Psicopatologia della vita quotidiana. Generazioni di studenti di letteratura furono introdotte all’idea che il narratore di Proust non sempre comprende le proprie motivazioni, e che quando Antonio ne Il mercante di Venezia non sa perché è così triste, è a causa dei suoi sentimenti inconfessati per Bassanio.

Solo nella psicologia accademica, ironicamente, l’idea dell’inconscio è stata disprezzata e sminuita. Nella prima metà del XX secolo, la ricerca psicologica era sotto la morsa del comportamentismo, e quindi contava solo il comportamento effettivo delle persone, non ciò che pensavano. Il rifiuto irritabile di Freud e del movimento psicoanalitico fu rafforzato dal desiderio di far apparire la ricerca psicologica una scienza “dura”, che si occupava di cose quantificabili e quindi rappresentabili su grafici e tabelle. Solo lentamente gli psicologi si sono avvicinati allo studio dei processi mentali, e sono stati infine costretti a prendere in considerazione i processi inconsci solo quando le letture hanno mostrato che nel cervello dei soggetti sperimentali accadevano cose di cui i soggetti stessi erano completamente inconsapevoli. Solo di recente gli psicologi hanno accettato a malincuore le intuizioni della psicoanalisi e a riconoscere l’enorme importanza dell’Inconscio. Ora è accettato che l’Inconscio sia fondamentale nel determinare i nostri pensieri e comportamenti, e che i processi mentali inconsci siano in realtà altamente sofisticati e adattivi, anche se ne siamo in gran parte inconsapevoli. In effetti, alcuni psicologi sono arrivati ​​al punto di suggerire che la mente inconscia svolge praticamente tutto il lavoro e che, in fin dei conti, la volontà cosciente potrebbe essere solo un’illusione.

Eppure, l’effetto di questo riconoscimento sul modo in cui vengono scritti la storia, la biografia, le scienze politiche e l’opinione pubblica d’attualità è stato prossimo allo zero, con alcune infelici eccezioni che affronteremo più avanti. Questo è, a dir poco, strano. Non si tratta qui di cercare di erigere nuove ed elaborate teorie psicologiche per spiegare eventi attuali o passati; si registra solo il pensiero che, ora come in passato, i decisori e coloro che ne scrivono potrebbero agire o parlare per ragioni di cui non sono del tutto consapevoli. Eppure, in varie occasioni nel corso dei decenni, quando ho suggerito, su carta o di persona, che questo tipo di fattori debbano almeno essere riconosciuti, sono stato accolto con ogni sorta di atteggiamento, dalla semplice incomprensione al sarcastico rifiuto. Il che è, a dir poco, curioso.

In parte, ovviamente, abbiamo a che fare con quel tipo di scientismo volgare e argomentativo del diciannovesimo secolo che ancora oggi determina il modo in cui la maggior parte delle persone pensa al mondo. La visione materialistica del mondo, sempre più abbandonata nelle ultime generazioni dagli stessi scienziati, ha ancora oggi una presa potente sul pensiero anche delle persone istruite. Ha il vantaggio di rendere facili spiegazioni ampie, di richiedere poca conoscenza di materie come la lingua e la cultura (e, in effetti, la psicologia) e di fornire spiegazioni opportunamente riduzioniste per quasi tutto ciò che accade nel mondo. Le interpretazioni rozzamente materialiste della storia e degli eventi attuali si dimostrano errate o incomplete con soporifera regolarità, eppure rimangono più potenti che mai. Gli esperti presumono che gli attori, anche nelle crisi, si comportino con incrollabile razionalità e siano guidati da motivazioni del tutto consapevoli, la maggior parte delle quali interamente materialistiche. Questo è, a dir poco, singolare.

Parte del motivo, come ho già accennato, è la sua semplicità. Questo modo di pensare si adatta perfettamente alle teorie realiste e neorealiste del comportamento statale e a molti paradigmi di comportamento politico basati sull’attore razionale. Si sposa bene con i tentativi di ridurre tutto il comportamento politico a fattori economici, iniziati con il marxismo, ma non conclusi con esso. E soprattutto evita la necessità di pensare agli attori politici come esseri umani viventi e respiranti, con le proprie fragilità, desideri e bisogni, piuttosto che come sagome di cartone che agiscono secondo un qualche modello teorico. È anche l’equivalente politologico delle teorie dell’attore economico razionale con informazione perfetta e, almeno in teoria, apre la strada a un trattamento finale del comportamento politico con il (falso) rigore intellettuale della teoria economica. Inoltre, naturalmente, Freud è attualmente fuori moda, per nessun’altra ragione ovvia se non il fatto che è nato nel diciannovesimo secolo in una società molto diversa e non aveva le stesse idee delle nostre élite culturali contemporanee. Ma nonostante ciò, oggigiorno nessuno sosterrebbe seriamente che l’Inconscio non esista affatto. (E comunque la psicoanalisi come disciplina si è sviluppata notevolmente nell’ultimo secolo.) Eppure il fatto è che le motivazioni inconsce giocano in modo dimostrabile e inequivocabile un ruolo nel modo in cui sia il grande pubblico che le élite politiche concepiscono il mondo e nel modo in cui cercano di interpretare gli eventi.

Ecco un esempio semplice e classico, che è stato effettivamente studiato dagli storici. Se si esamina attentamente il linguaggio usato dai sostenitori della guerra in Ucraina, si scopre subito che dobbiamo “fermare Putin ora”, altrimenti… accadrà qualcosa in futuro, non sappiamo cosa. Questa ingiunzione viene ripetuta all’infinito da paesi spesso molto lontani (Parigi dista circa 2500 km da Mosca, per esempio). Anzi, viene spesso ripetuta da paesi che non hanno alcun disaccordo strategico con la Russia. Quindi Gran Bretagna e Francia, tra i maggiori allarmisti, hanno intrattenuto relazioni ragionevoli con la Russia per molto tempo. Sono stati per lo più alleati e, a parte la breve guerra di Crimea e il sostegno a diverse parti in alcuni conflitti, le loro relazioni non sono state particolarmente conflittuali secondo gli standard europei. Non c’è alcuna ragione logica per cui dovrebbero essere nemici, e tanto meno combattersi tra loro.

La risposta, ovviamente, risiede nelle esperienze degli anni Trenta, e in particolare nell’autoflagellazione che le classi politiche e intellettuali britannica e francese si inflissero quasi immediatamente dopo l’accordo di Monaco del 1938, e sempre più dopo lo scoppio della guerra. Sono stati scritti interi libri su “Se solo avessimo”, “Se solo non avessimo”, “Chi sono i colpevoli?” e, soprattutto, “Questo non deve mai più accadere”. Persone come Churchill e De Gaulle, che all’epoca non erano al governo, riuscirono a imporre una narrazione di debolezza e codardia di fronte all’aggressione che dominò a lungo la narrazione storica del periodo e che non è ancora stata superata. E quando inglesi e francesi si stancano temporaneamente dell’autoflagellazione, gli americani sono sempre pronti a intervenire per colmare il vuoto. “Qualcosa”, a quanto pare, si sarebbe dovuto fare, ma come spesso accade in questi casi, quel qualcosa non può essere effettivamente definito e non va mai oltre la fase esitante di “resistere all’aggressione” o qualcosa di simile. L’idea che in qualche modo la Germania avrebbe potuto essere persuasa o costretta ad accettare per sempre le disposizioni di Versailles, o in alternativa avrebbe potuto essere duramente bastonata in una rapida guerra preventiva, continua a circolare in assenza di prove a sostegno.

A questo punto, è importante ricordare che la cosa più fondamentale, ma anche la più sorprendente, della mente inconscia è che non ha il senso del tempo. È sempre presente. Lo sappiamo per esperienza personale: un trauma, una delusione, un errore di giudizio di decenni fa, se non affrontati, producono oggi gli stessi sintomi fisici ed emotivi di allora. Probabilmente abbiamo tutti incontrato persone che hanno fatto qualcosa di cui si sono amaramente pentite quando erano molto più giovani e che inconsciamente mettono in atto rituali di espiazione per tutta la vita, come se il passato potesse essere cambiato. E naturalmente, dal punto di vista dell’inconscio, dove il tempo è sempre presente, potrebbe esserlo. Esistono diverse terapie per cercare di portare alla luce questi conflitti e forse dissiparli, ma nulla di simile, per quanto ne so, è disponibile per la classe politica occidentale.

Ciò che colpisce è come l’impulso all’espiazione, in questo caso, fosse inizialmente relativamente palese, e nel corso dei decenni sia scivolato impercettibilmente nell’inconscio. Il mantello del nuovo Hitler e del nuovo regime nazista è stato posto sulle spalle di destinatari improbabili: ma d’altronde l’inconscio ha una sua logica particolare. Alla fine degli anni Quaranta, si pensava ampiamente, e si sosteneva spesso, che Stalin stesse semplicemente ripetendo il modello di conquista territoriale di Hitler, e che quindi dovesse essere fermato. Negli anni Cinquanta, Nasser era il “nuovo Hitler” e la sua Filosofia della Rivoluzione era il nuovo Mein Kampf. Gli inglesi e i francesi si congratulavano con se stessi perché l’operazione di Suez aveva almeno impedito la distruzione di gran parte dell’Africa da parte di Nasser. Negli anni Sessanta, Patrice Lumumba era il nuovo uomo pericoloso, proprio mentre si temeva che la vittoria del FLN in Algeria avrebbe aperto la strada a un’invasione sovietica dell’Europa meridionale. La teoria del domino che portò alla guerra del Vietnam fu essenzialmente un esempio di questo modo di pensare, così come la reazione occidentale all’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979, ma a questo punto le reazioni dei leader occidentali avevano perso ogni contatto con gli eventi degli anni ’30 ed erano diventate in gran parte inconsce. All’epoca delle due guerre contro l’Iraq o del bombardamento della Serbia, allora, secondo la mia osservazione, queste idee si erano praticamente ritirate completamente nell’inconscio, lasciando solo vaghe tracce verbali nella mente cosciente a significare la loro presenza.

Ma come hanno sempre detto gli analisti, ciò che conta davvero non è ciò che le persone vogliono dire, ma ciò che effettivamente dicono e ciò che rivelano inavvertitamente. La crisi ucraina è un classico assoluto, l’epitome di come generazioni di sensi di colpa e tentativi di espiazione, di abuso della storia per scopi politici di parte e di uso di emozioni represse come scuse per giustificare guerre ovunque siano finalmente sprofondate così profondamente nell’inconscio che i partecipanti non sanno più nemmeno perché pensano ciò che pensano. E in effetti, qualsiasi osservatore imparziale dovrebbe concludere che la crisi ucraina incontrollata è disperatamente e inespertamente guidata dal lato occidentale da un gruppo di leader di capacità rigorosamente moderate che, francamente, ora non hanno la minima idea di cosa stiano facendo . Questa è, ovviamente, una prospettiva spaventosa per chi è occidentale, ed è comprensibile che alcuni abbiano cercato conforto nell’immaginare un gruppo oscuro e anonimo di manipolatori che sanno cosa stanno facendo, mentre altri hanno sostenuto che ovunque ci trovassimo in un dato momento, il Piano era sempre stato in atto. (Tornerò tra un attimo all’origine di tali idee.) Ma se ci pensate, se accettate che la maggior parte del nostro comportamento nella vita quotidiana è determinato da fattori inconsci, non dovrebbe essere altrettanto vero per le crisi politiche, con il loro panico, lo stress e la mancanza di informazioni?

Eccoci qui, guidati da persone a malapena consapevoli di ciò che stanno facendo e del perché, che vivono un’allucinazione collettiva e giocano a prendere le decisioni che i loro bisnonni avrebbero dovuto prendere ma non hanno fatto. Così, la “guerra” che alcuni leader ed esperti occidentali immaginano oggi con leggerezza contro la Russia è simbolicamente la guerra di aggressione non combattuta contro la Germania del 1938-39, proprio come l’armamento dell’Ucraina è una sorta di espiazione per il mancato invio di armi al governo repubblicano in Spagna durante la Guerra Civile: un’azione che molti hanno sostenuto (erroneamente, a mio avviso) avrebbe potuto impedire la Seconda Guerra Mondiale. E per quel che vale, dal punto di vista dell’argomentazione, a sostegno della Russia c’è la motivazione inconscia di combattere simbolicamente la guerra preventiva non combattuta che avrebbe potuto (e alcuni pensano avrebbe dovuto) essere scatenata da Stalin nel 1941. Ci sono alcune prove che l’attuale leadership russa sia guidata da questi stessi impulsi inconsci, ma non ne so abbastanza sulla Russia per poter esprimere un giudizio.

Questo è tutto ciò che dirò direttamente sull’Ucraina, poiché ho già trattato ampiamente altri aspetti della questione altrove. Vorrei passare a modi in cui potremmo comprendere più genericamente l’influenza dell’inconscio sulla psiche dei decisori, con esempi concreti, ma prima sono necessarie alcune precisazioni.

Tanto per cominciare, la mia argomentazione non ha alcuna relazione con la psicologizzazione popolare di personaggi storici, come se potessimo entrare nei loro crani. (“Cosa avrà pensato Napoleone mentre salpava dall’Oceano Atlantico da Sant’Elena nel 1816?” Non ne abbiamo idea e sarebbe uno spreco di tempo e di energie speculare). Né è correlata alla moda della psicoanalisi amatoriale di persone decedute, come nei tentativi di spiegare la Seconda Guerra Mondiale facendo riferimento all’infanzia apparentemente travagliata di Hitler. E non è nemmeno fattibile cercare di costruire una sorta di teoria generale dell’Inconscio nella Storia, proprio perché i contenuti della mente inconscia differiscono da persona a persona, così come gli effetti dell’Inconscio e le circostanze in cui questi effetti diventano importanti. Inoltre, la maggior parte delle decisioni politiche viene presa da gruppi (anche se un leader ha l’ultima parola) e quasi per definizione i contenuti del mio inconscio non sono i contenuti del tuo. Solo in casi come quello sopracitato, che ho chiamato sindrome di Monaco, si può parlare di un’influenza collettiva della mente inconscia più o meno nella stessa direzione e su larga scala.

In ogni caso, non dovremmo denigrare l’inconscio con leggerezza: ne abbiamo bisogno. Se ogni pensiero, parola e azione dovesse essere preparato ed eseguito consapevolmente, non saremmo in grado di vivere. Il problema è cosa c’è nell’inconscio, se è pericoloso in un dato caso, e perché coloro che scrivono con erudizione sulle cause della guerra non prendono mai in considerazione le intuizioni della psicologia, rifugiandosi invece in fuorvianti banalità sull’aggressività umana istintiva. L’influenza dell’inconscio non è sempre negativa, né le decisioni che propone, e per le quali la mente conscia deve trovare una giustificazione, sono necessariamente sbagliate o inadeguate.

Infine, e cosa più importante, il fatto che le decisioni siano in gran parte prese dalla mente inconscia non significa che siano necessariamente casuali o irrazionali. Dopotutto, è abbastanza chiaro che tutte le decisioni e i discorsi sono in qualche modo influenzati dalla mente inconscia. In effetti, gli psicologi ci dicono che in casi estremi – ad esempio nei paranoici – questi processi possono essere, e spesso lo sono, razionali e coerenti. Potete verificarlo visitando qualsiasi sito di cospirazionismo, dove personalità anal-ritentive con troppo tempo a disposizione usano argomentazioni ingegnose e ricerche estremamente dettagliate per cercare di convincerci che, ad esempio, Paul McCartney morì in un incidente d’auto nel 1966 e fu sostituito da un sosia, o che i nazisti fuggirono in Antartide nel 1945 a bordo di un disco volante.

Se si accetta l’ovvia ipotesi che l’inconscio sia presente tanto nel processo decisionale in caso di crisi, nello scrivere e nel parlare di essa, quanto nella vita di tutti i giorni, allora ci si aspetterebbe di vedere ripetuti schemi comuni della vita quotidiana, e in effetti è così. Basteranno alcuni semplici esempi. Uno è la semplice cecità a ciò che non vogliamo vedere. Pertanto, sia gli amici che i nemici trattano ancora gli Stati Uniti come se fossero una potenza militare decisiva in Europa, quando in realtà non hanno forze militari in grado di fare la differenza nei combattimenti in Ucraina. Questa è una di quelle scomode verità di cui decidiamo semplicemente di non parlare, come l’imminente necessità di rimborsare un prestito o la preoccupante rata che non vogliamo ammettere possa essere maligna. L’inconscio ci protegge dalla necessità di fare qualcosa per affrontare la nuova situazione.

Un caso parallelo è la nostra capacità di dimenticare e distorcere fatti scomodi, e di rimanere convinti della loro verità anche sotto pressione. Mi è stato detto da diverse persone presenti all’epoca , ad esempio, che i bombardamenti NATO sulla Jugoslavia furono una risposta all’espulsione degli albanesi, sebbene una semplice occhiata alle notizie dell’epoca, per non parlare dei miei ricordi, dimostri che ciò è sbagliato. Ma inconsciamente, le persone invertono causa ed effetto in tali situazioni per apparire virtuose. Ci sono molti altri casi di “buco della memoria”: uno di questi è la convinzione, ormai comune, che la Siria non avesse armi chimiche nel 2013, sebbene il governo le avesse ammesse e che fossero state ritirate sotto controllo internazionale. In entrambi i casi, l’inconscio funziona come un potente editor, plasmando e semplificando i nostri ricordi (come dimostrano inevitabilmente i miseri risultati dell’affidarsi alle prove dei testimoni oculari nei casi giudiziari).

Un caso correlato è quello in cui la mente inconscia si ritrae in preda al disordine da un problema troppo grande e spaventoso da risolvere o comprendere. Sarebbe interessante sapere, ad esempio, se i leader mondiali e i loro consulenti riuniti alle riunioni della COP sull’ambiente siano consapevoli dello stato del clima mondiale e di ciò che probabilmente accadrà. Ci sono cose che sono semplicemente troppo opprimenti da assimilare, e la nostra mente inconscia le nasconde alla nostra normale coscienza. Ci pensavo di recente leggendo diversi articoli sul cessate il fuoco di Gaza che si presentavano come disinteressati e che si soffermavano amorevolmente sull’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e sulla necessità di assicurarsi che Hamas non prendesse parte al prossimo governo, ma non si sono nemmeno soffermati a menzionare le morti palestinesi , nemmeno per minimizzarle. Questo è l’inconscio che trattiene cose angoscianti che non riusciamo a elaborare fuori dalla mente cosciente, ed è ragionevole scommettere che molti leader europei e i loro consulenti si trovino probabilmente in questa situazione.

La domanda è quindi se esistano modi per pensare alla mente inconscia in modo più organizzato e se possiamo avvalerci del lavoro di qualcuno che ne sa molto più di me su questi temi. Vorrei suggerire che alcuni lavori di Jacques Lacan potrebbero essere utili in questo caso.

Ora, ci sono un paio di avvertenze di sicurezza da dare prima. Lacan era un pensatore notoriamente, e deliberatamente, complesso e difficile, che cambiò idea su diverse questioni importanti nel corso degli anni e non cercò un vasto pubblico, preferendo limitare il suo pubblico ai colleghi professionisti. Pubblicò poco durante la sua vita e la sua eredità è una serie di seminari settimanali nella seconda metà della sua vita, successivamente dattiloscritti e pubblicati lentamente in forma rivista nel corso degli anni, dopo la sua morte nel 1980. Non è chiaro se siano già stati tutti pubblicati, ma se vi sentite coraggiosi potete trovare una copia delle trascrizioni qui . Inoltre, la complessità del suo pensiero e della sua espressione rendeva difficile una traduzione accurata, e non è esagerato affermare che molte delle scuole più impenetrabili della moderna teoria sociale americana traggano origine da incomprensioni di ciò che Lacan diceva. (Niente di che, se non un risultato piccante per uno psicoanalista.) I risultati della sua influenza sono quindi alquanto ambigui.

Ciononostante, vorrei analizzare e prendere un paio delle idee più interessanti e utili di Lacan, e vedere dove ci portano. Ognuna è preziosa: nessuna, come ci si aspetterebbe, è del tutto originale. In ogni caso le delineerò brevemente e poi passerò a spiegare come ritengo possano essere utili per comprendere sia come vengono gestite le crisi politiche, sia come vengono interpretate e descritte. Se siete interessati ad approfondire, ci sono diverse buone guide al pensiero di Lacan in inglese, di cui la più recente e meno tecnica è quella di Todd McGowan, che ha anche un canale YouTube informativo.

La prima è l’idea dell’Ordine Simbolico, che è la struttura che sottende tutte le nostre azioni e conferisce loro significato. È il modo in cui comprendiamo la realtà e, attraverso il linguaggio, comunichiamo con gli altri. L’Ordine Simbolico non è facoltativo e noi siamo sempre soggetti ad esso. Ora, questo sembra strutturalismo, e in effetti gli studenti di Lacan hanno trovato chiari precedenti in Lévi-Strauss e Saussure , ma Lacan si sforza di non presentare il Soggetto come una vittima indifesa dell’Ordine (come potrebbero fare Marcuse e Foucault), bensì come un individuo attivo e soggettivo. L’Ordine Soggettivo stabilisce una serie di concetti (alcuni li hanno chiamati “finzioni”) che permettono al Soggetto di orientarsi, ma non esiste una struttura complessiva visibile, e in effetti agisce solo indirettamente. Questi concetti non sono necessariamente coerenti tra loro, né tantomeno coerenti, e non si impongono a noi. Accettiamo quelli che meglio corrispondono alle esigenze della nostra psiche. Naturalmente non c’è motivo per cui i concetti debbano rispecchiare fedelmente l’ordine reale delle cose, e questo è un punto importante su cui torneremo tra un attimo.

Il linguaggio è fondamentale qui, e Lacan eredita da Saussure l’idea che non vi sia alcun legame tra le parole stesse (significanti) e gli oggetti a cui presumibilmente si riferiscono (il significato). Il linguaggio non si riferisce quindi alla realtà degli oggetti. Nella misura in cui esiste una relazione, questa è negativa: quindi, dice Saussure, il significante “bambino” è semplicemente inteso convenzionalmente come “non adulto”. Ma mentre per Saussure il significato è più importante, per Lacan, in quanto psicoanalista, il significante – in questo caso le parole effettivamente usate – è ciò che conta davvero, perché il significante rappresenta il funzionamento della mente inconscia: come, se vogliamo, l’inconscio sceglie di rappresentare il mondo materiale agli altri e a se stesso. Un esempio evidente e rilevante è il significante “aggressione”, il cui uso pressoché infinitamente variabile ci dice molto sulla persona che lo usa e su come vede il mondo. Da giovane, un certo tipo di persona si chiedeva “come possiamo fermare l’aggressione statunitense in Vietnam?” Comunicando così in forma sintetica, seppur inconsciamente, un’intera filosofia politica. Oggigiorno, se qualcuno ti dice che la guerra in Ucraina è il risultato di un'”aggressione della NATO” (e che non sta lavorando per il governo russo), questo comunica allo stesso modo, seppur inconsciamente, un’intera visione del mondo, e ti permette di prevedere le sue opinioni su una vasta gamma di altre questioni.

Inoltre, non tutte le parti dell’Ordine Simbolico hanno lo stesso status: alcuni significanti hanno uno status più elevato di altri. Pochi movimenti politici abbracciano volontariamente il significante “estremo”, ad esempio: è considerato un significante di basso status, indipendentemente dalle politiche effettive che il movimento può abbracciare e da come sarebbe stato descritto in passato. Allo stesso modo, i significanti vanno e vengono di moda: “patriottico” nel corso della mia vita si è trasformato da un significante ampiamente positivo a uno prevalentemente negativo, come dettato da misteriose regole di interpretazione. È noto che i gruppi politici violenti fanno tutto il possibile per evitare il significante “criminale”, sebbene le loro attività lo siano innegabilmente secondo le leggi del loro paese. L’IRA era pronta a far morire di fame alcuni dei suoi uomini per cercare di cambiare il significante in “prigioniero politico”. In questi casi, ovviamente, la realtà, il significato, non è cambiato affatto. E gli effetti possono essere piuttosto profondi. Cinquanta o sessant’anni fa, i giovani maschi tendevano prevalentemente ad attrarre significanti idealizzati come “avventuroso”, “autosufficiente”, “maturo” e “affidabile”, a cui erano incoraggiati ad aspirare. Oggigiorno, i giovani maschi sono prevalentemente rappresentati come “violenti” e “sessualmente aggressivi” e, con sorpresa generale, lo sono sempre di più. Come semini, così raccogli.

Sebbene Lacan non abbia discusso l’uso politico dei significanti, alcuni di coloro che sono stati influenzati dalle traduzioni inglesi della sua opera lo hanno fatto. Le femministe hanno sottolineato che diverse professioni (vigile del fuoco, lattaio) usavano il suffisso “man” e, confondendo le parole tedesche originali Man, una parola neutra che significa “qualcuno” o “una persona”, e Mann , una parola maschile che significa, appunto, “uomo”, hanno sostenuto che usare una parola diversa avrebbe incoraggiato le donne a intraprendere nuove attività lavorative. In una certa misura, questo è stato implementato: l'”uomo della spazzatura” della mia giovinezza è ora un “addetto allo smaltimento dei rifiuti”, sebbene non disponga di dati sulla partecipazione femminile in quell’ambito. Ma, cosa ancora più importante, c’è una tendenza politica moderna a cambiare il significante in qualcosa che distorce o maschera attivamente ciò che il significato è in realtà. Quindi “senza fissa dimora” suona come se una persona fosse solo temporaneamente a corto di una casa, “senza documenti” suggerisce che un immigrato illegale semplicemente non abbia ancora ricevuto i documenti per qualche errore, “in cerca di lavoro” maschera il fatto che la persona in questione potrebbe essere stata licenziata e le attribuisce la responsabilità di trovare un impiego. Più seriamente, forse, rappresentare Gaza come una “guerra” porta con sé tutta una serie di presupposti e norme, molti dei quali naturalmente inconsci, che hanno l’effetto pratico di cambiare ciò che pensiamo degli eventi sul campo: il significato.

Il secondo concetto che voglio discutere è il Grand Autre, tradotto in modo un po’ poco elegante come il Grande Altro. Con questo, Lacan non intende autorità formali come il governo, ma piuttosto una sorta di autorità sociale i cui dettami seguiamo e che struttura le nostre vite, e che ci permette di dare un senso al mondo e di comunicare tra noi (piccoli) altri. Tuttavia, e ancora una volta in contraddizione con gli strutturalisti, Lacan è molto chiaro sul fatto che il Grande Altro non ha un’esistenza oggettiva. È un costrutto umano collettivo, fatto di regole e consuetudini che creiamo per noi stessi (se questo sembra improbabile, basta pensare al cortile di una scuola). Noi reifichiamo il Grande Altro, cerchiamo la sua approvazione e il suo riconoscimento e ne ricaviamo la nostra identità simbolica. Ma poiché in realtà non esiste, non possiamo mai soddisfarlo, e poiché è un costrutto collettivo di nostra concezione, non può fornirci una guida utile.

Il Grande Altro si manifesta in molte forme, alcune delle quali in competizione tra loro. Nella sua forma originale, si tratta ovviamente dell’Autorità Genitoriale: non dei nostri genitori umani, veri e imperfetti, ma del concetto che creiamo attorno a loro. Ai tempi in cui l’educazione dei figli era più severa di oggi, l’adolescenza era il momento della sfida e della liberazione da questo Grande Altro, e della sua sostituzione con regole sociali più ampie. Oggigiorno, in un mondo di adolescenza permanente, molti dei nostri leader ed esperti continuano a combattere con il loro Grande Altro genitoriale: Putin, ad esempio, è per molti di loro la figura del genitore severo che, a differenza dei loro, non permette loro di ottenere tutto ciò che desiderano, come l’Ucraina. E le illusioni che abbiamo sui nostri genitori quando siamo piccoli – onniscienti, onnipotenti, onniscienti, con rituali misteriosi che non comprendiamo – vengono trasferite man mano che cresciamo in astrazioni immaginarie come il Patriarcato o lo Stato profondo, o addirittura proiettate sulle agenzie di intelligence della vita reale, la cui conoscenza e i cui poteri sono illimitati e il cui funzionamento è per sempre misterioso.

Ma, dice Lacan, liberarci dal Grande Altro genitoriale, se ci riusciamo, significa solo cercare altri Altri. Cerchiamo convalida, status e riconoscimento da altri costrutti collettivi immaginari. Alcuni sono ovvi – il sistema legale, i codici sociali dominanti, la religione organizzata – ma altri sono più indiretti e più interessanti. Esiste un Grande Altro politico dominante, dove il prezzo per l’ammissione e il riconoscimento è avere le Giuste Opinioni. Lo possiamo vedere al momento con l’Ucraina e Gaza. Ma ci sono anche Grandi Altri dissidenti o trasgressivi, dove gli individui cercano riconoscimento e status proprio perché non hanno le Giuste Opinioni o il Giusto Comportamento. A dieci minuti di macchina da dove sto scrivendo ci sono comunità in cui status e riconoscimento derivano dalla disobbedienza alla legge, dall’uso della violenza e dal guadagno rapido di molti soldi, e dove il Grande Altro è la criminalità organizzata legata alla droga.

Non è impossibile sfuggire agli effetti del Grande Altro (anzi, Lacan lo considerava uno degli obiettivi della psicoanalisi), ma è molto difficile. I veri individualisti sono estremamente rari, ed è per questo che, ad esempio, ogni volta che seguo il link di un blog che “smaschera le bugie” sull’Ucraina o su Gaza ed è orgogliosamente indipendente e ferocemente anticonformista, trovo che dica esattamente la stessa cosa di qualsiasi altro blog orgogliosamente indipendente e ferocemente anticonformista che smaschera le bugie ecc. Per molti versi, questo non sorprende. Al di là della nostra esperienza di vita immediata, e forse della conoscenza e dell’esperienza professionale, pochi di noi hanno effettivamente ciò che serve per giudizi autenticamente indipendenti: tutto ciò che abbiamo è la scelta tra i Grandi Altri. Questo non significa che non abbiamo o non dovremmo avere opinioni personali, ma se iniziamo a diffonderle e ad aspettarci che gli altri ci ascoltino, dobbiamo accettare che in pratica stiamo cercando l’approvazione e la convalida di un Grande Altro o, al contrario, venendo rifiutati ed emarginati, cerchiamo l’approvazione di un Altro Grande Altro. È noto che non esiste nessuno più conformista del radicale anticonformista: solo il Grande Altro è diverso.

È importante capire cosa significa e cosa non significa. L’Inconscio non è qualcosa di cui aver paura, non è un residuo primitivo di violenza e terrore, e le decisioni che prende (che sono la maggior parte) non sono intrinsecamente peggiori di quelle prese dalla mente cosciente. Senza di esso non potremmo funzionare. Ma come suggerisce il nome, è al di là del nostro controllo cosciente e non ha il senso del tempo: è sempre Ora. Alcuni trovano questo spaventoso e scoraggiante, e non sorprende che ci sforziamo molto per trovare spiegazioni razionali e consapevoli per le decisioni prese dall’Inconscio, proprio come a nostra volta ci sforziamo molto per trovare spiegazioni razionali e consapevoli per le decisioni di governi e organizzazioni che sono ovviamente per lo più il prodotto di forze inconsce.

In realtà, ben poco di quanto detto sopra dovrebbe essere controverso. Considerate: ci sono due possibilità. O tutti i giudizi, le decisioni e i discorsi tendono a basarsi in modo sproporzionato sull’Inconscio e su motivazioni, speranze e paure inconsce, oppure, in modo univoco, nel caso della gestione e della scrittura di crisi politiche, solo la mente cosciente è coinvolta, e tutti (o almeno un ipotetico Grande Altro) sanno esattamente cosa stanno facendo. (Quel suono che avete sentito era quello di Guglielmo di Occam che affilava il suo rasoio.) Il problema non è se questa immagine di come funzionano le cose sia vera (dato che ovviamente lo è), ma come la utilizziamo per comprendere meglio il mondo. Ho cercato di avanzare qui alcune timide proposte.

La capra espiatoria_di Teodoro Klitsche del la Grange

LA CAPRA ESPIATORIA

Capita spesso di leggere sulla stampa e ascoltare in televisione che i risultati delle elezioni regionali stiano indebolendo la segreteria del PD. Questo perché la ormai (quasi) triennale  permanenza della Schlein non ha portato alcun significativo cambiamento nel consenso dei governati: il PD mantiene le posizioni, e la coalizione di governo anche: continuando, con tale andazzo, alle elezioni politiche prossime (salvo lo scioglimento del Parlamento)  nel 2027 il risultato sarà lo stesso delle ultime: maggioranza (confermata) al centrodestra. Secondo molti commentatori la prospettiva induce molti maggiorenti del PD a sostituire la (deludente) segretaria.

Non sono convinto che tale ragionamento sia corretto, e per due ragioni. La prima è che la difficoltà principale della Schlein e del PD non sono quelle che la stessa sbandiera a ogni piè sospinto, spesso smentite poco tempo dopo averle esternate.

In primis l’inadeguatezza del governo Meloni a gestire la situazione economica, l’imminente default (o simili) lo spread in agguato, ecc. ecc. Il fatto che da tre anni non sia successo nulla del profetizzato, anzi qualche giorno fa, si legge, l’Italia è tornata ad affacciarsi nella categoria “A” dei paesi debitori, per un governo dipinto come votato alla bancarotta, un risultato sorprendente. E assai migliore di quelli appoggiati dal PD, tanto osannati. E così per il resto: dalla tregua per Gaza dovuta all’amico Trump, della cui corte la Meloni farebbe parte (meglio, anche qua, un armistizio che un massacro ormai biennale); all’andamento dei flussi migratori (calati con i relativi naufragi e spese). Quasi in ogni campo risultati superiori a quanto realizzato dai precedenti governi appoggiati dal PD. Il fatto che il governo Meloni non sia come sostiene il PD, animato da buone intenzioni, non fa che confermare il vecchio detto che le vie dell’inferno (dei governati) è lastricata dalle buone intenzioni (dei governanti). Per cui a scegliere i malintenzionati spesso ci si indovina.

Ma non è questa la sola ragione delle difficoltà del P.D, e dei suoi segretari, così come dei loro omologhi di sinistra (???) negli altri Stati europei. I sistemi politici-partitici europei erano ordinati lungo l’asse destra/sinistra, a sua volta fondato sull’opposizione borghesia/proletariato. Ora largamente soppiantata da quella globalizzazione/sovranismo. Partiti come il PD, fondati sull’inimicizia calante, si trovano in crescenti difficoltà, dovendo nuotare contro corrente (della storia).

Pretendere che ne invertano il corso è chiedere il (quasi) impossibile. Tant’è che non c’è riuscito nessuno dei segretari frequentemente sostituiti negli ultimi (quasi) venti anni. Compresi i reggenti, siamo a 9, mentre il partito comunista dal 1943 al 1991 ne aveva cambiati 6 (durata media 8 anni). Si vede che il contesto era tutt’altro, a beneficio della durata delle leadership.

E di tutto ciò si pensa siano consapevoli i dirigenti del P.D. Onde far carico alla Schlein di non essere riuscita a fare quel che nessuno dei suoi predecessori aveva conseguito è profondamente errato. Nessuno di questi – a parte Renzi – in un’occasione aveva tirato il PD al di sopra del limite (superiore) del 30% dei votanti. Anche se nel 2008 la coalizione di centrosinistra riporti il 37,5% dei voti era per l’appunto una coalizione di più partiti di cui il PD era magna pars, ma non tutto. Nelle elezioni politiche del 2019 il PD conseguiva il 22,8% dei suffragi; nel 2022 il 19,07%.

I predecessori della Schlein non facevano quindi di meglio; anzi a sostegno della stessa, si può dire che i modesti risultati del PD governante non le sono ascrivibili, perché nei governi amici del PD non c’era lei, ma altri, compresi quelli pronti a silurarla.

Perciò se di sicuro la giovane segretaria non è un Bismarck o un Cavour, ma anche se ne avesse le capacità, non  ha la fortuna di tali grandi statisti: di essere spinti dall’onda lunga della storia. Con cui sarebbe più produttivo fare i conti.

Teodoro Klitsche de la Grange

Stalin, lo zar_di WS

Questo McMeekin dice cose giuste, ma non le dice tutte.

Non rivela ad esempio l’essenza politica che alimentò la lotta di Stalin per emergere e poi emarginare, fino a sostanzialmente liquidare, la setta mondialista che dominava il partito bolscevico di modo che egli, da “rivoluzionario” non ” di rango”, sostanzialmente era solo un “operativo”, si fece Zar dell’impero di cui i bolscevichi si erano impadroniti.

 In questa sua “trasformazione” operò certamente la sua ambizione personale ma anche quelle “leggi ferree della geopolitica” che fanno sì che una “civiltà” viva trovi sempre una sua “guida”.

 L’altra cosa che non viene detta è che da “zar” del nuovo Impero russo di nome URSS Stalin capì subito la verità di sempre : “la Russia ha solo due amici….”;  il suo “comunismo in un solo paese” era una forma tattica di questa constatazione.

Certo  i congressi del PCUS  parlavano  di   “rivoluzione    comunista”   da esportare in tutto il mondo, ma per  Stalin la cosa  da evitare  era che “tutto il mondo”  ritenesse  l’URSS una vera  minaccia  a “l’ ordine  costituito”.

L’ ulteriore cosa omessa è che Stalin capì subito che la crisi del ’29 portava di nuovo la guerra e che l’ascesa del Nazismo l’avrebbe condotta nella forma di una guerra Germania-URSS.

Dal  che  l’industrializzazione forzata imposta all’URSS in maniera brutale era quindi una esigenza strategica.

 Un processo largamente doloroso e inefficiente, a parte lo sforzo  in ambito militare,  proprio perché il riarmo era l’obbiettivo primario di un sistema, quello comunista, sicuramente disfunzionale , come poi tutti hanno visto.

Ma dal punto di vista dell’ efficacia  geopolitica lo sforzo sicuramente poi funzionò come appunto a posteriori tutti hanno visto.

In più, io  non ho letto il libro di McMeekin, ma da questa intervista ritengo che vi sia omessa anche parte dell’impianto  della partita geopolitica che Stalin dovette giocare affinché l ‘URSS non subisse l’aggressione unita dell’intero mondo capitalista “andato a destra” dopo la crisi del ’29.

In ogni  caso  quella partita la  riporto  qui   per come io l’ho ricostruita dalle mie letture.

Incominciamo  subito  dal fatto  che    Stalin  fu sempre prodigo  nell’offrire buoni  affari al capitalismo americano  affinché esso  avesse  buoni interessi nella sopravvivenza  dell’URSS,  nonostante la dichiarata volontà  dei   vari  fascismi  a  contrastarlo  dappresso ( patto anticomintern ).

 E  quella  ben pagata  collaborazione   fu  fondamentale  per  l’industrializzazione  dell’URSS.

Di converso  Stalin  operò poi  da  subito all’interno   delle   relazioni  europee    per contenere   l’inevitabile  revanchismo   tedesco   sorto con il nazismo, ma  senza mai  trovarvi sponda. Tutti volevano     a parole  contenere   la  revanche  tedesca  ma   tutti  erano     tanto “ russofobi”,   anzi “anticomunisti”  come dicevano allora, da odiare più la Russia   comunista   che la Germania nazista.

Stalin da questo ne ricavò solo  due  certezze: la guerra ci sarebbe  stata    e  sarebbe stata comunque  contro l’ URSS . Si  trattava  solo di capire il come   e il quando.

La cosa  che ovviamente più temeva  Stalin   era  una  “europa unita”  in guerra con l’ URSS con il placet  inglese; l’esito del “patto  di Monaco”  confermava questo incubo.

Ma qualcosa nella primavera  del ‘39  cambiò: la  Gran Bretagna   rifiutò l’appeasement  tedesco.  Perché ?

Io  azzardo l’ipotesi    di un    “Germany  first”  voluto  dal “  Grande kapitale Anglosassone”   e porto a conferma il fatto   ormai  accertato  che  Churchill  , “il mastino”   che prese la direzione   di questa  politica,  precedentemente  lui  era   stato un feroce  antibolscevico,   la prese  dopo  essere  stato salvato  dal  fallimento  dal “generoso  aiuto”  di un banchiere, ebreo per altro.

C’erano insomma  per  il “Grande  Capitale  anglosassone “ motivi  per fare  la guerra  alla Germania prima  che questa  si decidesse a farla  all’URSS .

Ma in contemporanea in quell’estate   il  Giappone invase la Mongolia   impegnando  duramente  l’ Armata  Rossa. Come quindi  credere  che    l’improvviso indurimento inglese non fosse una sceneggiata ?   Stalin quindi per prudenza    si mantenne  sulla difensiva   nell’affare mongolo.

Chi invece     si dimostrò poco prudente  fu Hitler,  il quale  non  resse  le provocazioni polacche  aizzate  dagli inglesi; per risolvere alla svelta la questione , alla  faccia   di quanto  aveva scritto  e detto prima , cercò  la  guerra  ,  ma cautelandosi  con un patto  di non aggressione con L’ URSS.

L’  abile Stalin  ovviamente  accettò;  aveva  trovato il modo di allontanare  la minaccia   tanto temuta.  Ed infatti   subito,   dopo  tanto traccheggio,   Zukov   ne approfittò impegnando  a piena forza  la  sua “guardia  siberiana”   e  sbaragliò i giapponesi in  due  settimane.

Quella   disfatta  lampo    in Manciuria  non  ebbe allora  eco nel mondo ,  coperta  dal ben più forte  rumore  della  guerra in  Europa, ma fu  determinante   a minare     la fiducia  nipponica  nella propria   armata in Manciuria; due anni più tardi, infatti, il Giappone   si vide costretto alla  guerra , scelse la strada del mare   piuttosto   che  quella   della Siberia.

Comunque  Stalin non si illudeva che presto o  tardi  l’ URSS avrebbe  dovuto combattere  con una  Germania che avesse  trovato  dal campo di battaglia  il  tanto  desiderato, da Hitler,    “appeasement”   con l’ impero inglese. Ma    per  quell’ evento  ora aveva  migliorato  la sua posizione  strategica    su  tutto il futuro  fronte , dalla  Finlandia  alla Romania.

Ora il problema  era tutto di Hitler che  non riuscendo a  chiudere la guerra con la GB  si  trovava in una  “disperazione  strategica”  perché vedeva   che  nel  tempo   il rapporto  delle  forze    sarebbe cresciuto a vantaggio  dell’URSS.

E così l’ imprudente  scelse  la via  dell’attacco  all’ URSS   SENZA  aver  fatto pace  con gli inglesi, facendo  quindi   per motivi  strategici quello   che  aveva sempre  dichiarato  di voler fare per  convinzione ideologica: cioè la   cosa  per  cui  era  stato    sollevato   dalle  sale delle birrerie  a quelle  del Reichstag; in questo sorprendendo  uno Stalin     che  non si aspettava una mossa tanto irrazionale.

Il problema di Stalin in quell’ estate    fu  infatti capire    se  gli inglesi  non lo avessero buggerato   e  solo   la  certezza  che  gli USA  sarebbero comunque  presto  entrati in guerra tramite il Giappone lo convinse  a sguarnire   la Siberia lanciando la “guardia siberiana” nella battaglia di Mosca.

Il  resto è storia  certa   che però lascia  non chiarite   alcune   domande  alle quali provo   a dare  le mie   risposte

La prima  è ovvia   ed è stata già dibattuta  a lungo

1)  Datosi lo schieramento  avanzato in  cui  fu sorpresa l’Armata  Rossa , Stalin  stava preparando un attacco    alla Germania per l’ autunno del ‘41 ?

Ris:  Si , ma non  programmaticamente per l autunno  del ‘41 perché non aveva certezza della reale posizione inglese.  Lui avrebbe  sfruttato fino in fondo  il  fattore  tempo a suo vantaggio per  attaccare  al primo sintomo  di un appeasement   anglo-tedesco

La  seconda è meno ovvia, ma è un dato di  fatto   visto  a Yalta  dove      al  “bulldog” inglese  fu messa la museruola.

2)  Cosa  spingeva  Stalin a fidarsi degli USA  laddove sapeva di non potersi  fidare degli inglesi ?

 RIS : la  certezza   che il vero  scopo  strategico  dell’intervento americano in guerra era  appropriarsi  della  posizione  di  dominio che l’ Europa aveva sul mondo, il che  avrebbe lasciato ampi margini all’URSS in Europa in una “divisione del mondo”  che ovviamente e SUCCESSIVAMENTE  nessuno  dei  due  avrebbe   rispettato.

La terza  quindi è  inevitabile  e la risposta   consequenziale      per  quanto  sorprendente

3)   Da  dove passavano  gli oscuri  contatti non  ufficiali  tra Stalin  e  e la  cabala  di Roosevelt ?

RIS: Passavano dal   Walford Astoria  per il tramite   dei grandi  “uomini  d’ affari”  che  avevano  da sempre  interessi in URSS e  contatti  diretti con  alti   esponenti  del PCUS   della  stessa “etnia”.

La quarta   è  anchessa   quindi inevitabile  e la  risposta  innominabile

4)    quale  era  l’ interesse  comune in questo   di  entrambi i gruppi ufficialmente  “ contrapposti” tra ”capitalisti “  e “comunisti”?

RIS :ST di  IS

Cioè  quella  cosa  per  cui     Stalin  si  sentì  poi buggerato  davvero  e  a cui provò a reagire;  ma  era ormai  troppo tardi.

Conclusione: Stalin   fu uno  zar  che   ha  fallito , ma che si difese molto bene. LORO    hanno  duvuto  poi aspettare    altri  quaranta anni  dopo  di lui   per  trovare  uno zar  “coglione”. 

E  se oggi la Russia  è  ancora sulla breccia  molto si deve  all’opera  sua.

Per  questo LORO ancora lo odiano.

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Il cascinale del nostro scontento_de il Simplicissimus

Il cascinale del nostro scontento

Di ilsimplicissimus il 16 ottobre 2025
Non mi occupo quasi mai di cronaca perché tutto ciò che accade ogni giorno ha sempre più i tratti della storia e della terribile storia. Ma in questi giorni  un dramma mi ha colpito non tanto per il fatto in sé, quanto per le reazioni che denunciano la lontananza dell’opinione pubblica da un minimo di realtà e dunque anche dalla possibilità di vedere con chiarezza lo stato reale del Paese in cui vivono. La diffusa percezione di un malessere, di un male oscuro, non arriva mai nemmeno nei dintorni della politica, lievita in un sublimine sempre più incazzato e livoroso che si concreta poi in una sfiducia così totale da tradursi in inazione oppure nella intenzione di andarsene che è  la più perfetta espressione del coraggio dei deboli. Mi riferisco alla vicenda del cascinale del Veronese fatto esplodere dai suoi abitanti e che ha ucciso tre carabinieri, cui sono state immediatamente conferite le ali degli angeli mentre la consueta retorica viene versata a piene mani dalla dispensa dell’informazione. Verrebbe da dire dalla madia per coerenza ambientale .Pochi si sono chiesti come mai ci fosse una specie di esercito con droni, elicotteri, forze speciali, agenti dell’anticrimine della polizia, pompieri e squadre di soccorso sanitario, davanti a un cascinale fatiscente con dentro tre fratelli e qualche mucca: visto che vogliamo a tutti i costi fare la guerra alla Russia non oso pensare quanti uomini avrebbero dovuto essere mobilitati se lì dentro ci fossero stati tre Spetsnaz. Ma al di là dell’ironia, cosa ha provocato questo imponente schieramento di forze di fronte a tre persone che assolutamente non volevano lasciare questa sorta di natio casolare selvaggio e che avevano espresso l’intenzione di distruggerlo piuttosto che lasciarlo? In fondo si trattava di un bene di modesto valore e certamente tra Comune, prefetto, questore, forse pure Regione, si sarebbe potuta trovare una soluzione meno spettacolare e alla fine meno tragica per risolvere questo problema. Ma il fatto è che i tre fratelli avevano acceso un’ipoteca sull’immobile e sul fazzoletto di terra che lo circonda e la banca assolutamente voleva  sloggiarli in fretta, visto che non era stata pagata. Ora i tre fratelli sostengono di non aver mai firmato quell’ipoteca, ma se sia vero o meno lo dirà il processo: il cuore della questione è che l’insieme delle autorità pubblica non si è nemmeno sognata di contrattare una soluzione, per esempio un consolidamento del debito e si è subito messa sugli attenti di fronte all’istituto di credito. Se il casolare fosse stato di proprietà di un privato intenzionato a liberare la costruzione, avrebbe dovuto attendere anni e anni, i poteri pubblici non avrebbero avuto alcuna fretta e non ci sarebbero certamente stati tre morti. Ma di fronte a un modesto debito bancario non si discute e si manda un piccolo esercito, anche sotto la minaccia di un gesto folle. Non voglio certo giustificare chi ha fatto esplodere  le bombole di gas, una pazzia certamente, anche se inferiore a quella di chi vuol far saltare l’intero continente e che oggi piange i tre carabinieri, ma la responsabilità dei tre morti non è soltanto loro, è una responsabilità anche del sistema e delle sue viscere non sempre visibili. Sono le condizioni generali a generare il delirio e non viceversa.Da quanti decenni il sistema bancario – finanziario, completamente slegato da ogni responsabilità generale, agisce esclusivamente in nome dei propri interessi, pretendendo che il pubblico faccia anche da mano armata? Possiamo prendere la data simbolo del 12 febbraio 1981 , quando un accordo fra Beniamino Andreatta e Carlo Azeglio Ciampi, palesemente propiziato altrove, sancì il divorzio fra la Banca d’Italia e il Tesoro gettando di fatto il Paese in pasto alla speculazione internazionale. Da allora il debito pubblico italiano si impennò passando dal 57,7% sul Pil del 1980 al 124,3% nel 1994, a fronte – questo è importante sottolinearlo – di spese dello Stato largamente inferiori a quello di altri Paesi Paesi raffrontabili. Quindi chi vi dice che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, non esprime solo una posizione ideologica, ma vi rifila una palla dal punto di vista tecnico. E da allora inflazione e caduta salariale sono state le ombre di Banco della nostra vita pubblica e sociale, divenute poi un incubo con l’euro.Soprattutto da allora il sistema bancario e finanziario è diventato il vero padrone del Paese e questo emerge chiaramente non solo dalle cronache politiche, ma anche dai fatti di cronaca più apparentemente lontani  da questo empireo del denaro. Chiunque sia stato truffato, scippato, derubato, rapinato, fatto oggetto di violenza in qualsiasi contesto, sa con quanta flemma lo Stato e i suoi cosiddetti servitori, prendano la cosa, ma se una banca rischia anche una cifra del tutto insignificante del suo bilancio, allora vengono messi insieme interi reparti operativi che probabilmente costano alla comunità cifre ben più alte del debito stesso. Ma sopra il cascinale la banca campa.  E sotto crepano i poveracci.

Massimiliano Piatera

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LA STORIA DEI FRATELLI RAMPONI, (ve la dico io com’è la storia vera…)che hanno provocato la tragica morte di 3 Carabinieri ed il ferimento di altri 27. Tutti i media e tutti i politici, compreso Mattarella ed il ministro della difesa Crosetto, hanno descritto i fratelli come dei TERRORISTI e la procura li ha accusati di STRAGE DOLOSA.

Tutto vero, ma nessuno racconta le cause che li hanno portati a questo gesto folle, ci sono delle responsabilità del sistema. Questi 3 contadini vivevano una vita fatta di lavoro e di sacrifici, erano proprietari della casa dove erano nati, possedevano terreni ed allevavano animali, fino a quando nel 2012 uno dei 3 fratelli ebbe un incidente stradale dove morì un ragazzo. Nonostante il Ramponi avesse ragione, l’assicurazione si RIFIUTÒ di pagare la famiglia del ragazzo, perché Ramponi guidava il trattore con i fari spenti (e non credo che andasse in giro con il trattore di notte), condannando al pagamento i fratelli Ramponi. Si trattava di una grossa somma, che i Ramponi non disponevano, quindi furono costretti a chiedere un mutuo in banca, dando in garanzia tutti i loro terreni e la loro modesta casa.

Poi non furono in grado di pagare le rate del mutuo, così la banca si impossessò di tutti i loro terreni, quindi i fratelli Ramponi non potevano più coltivarli e non potevano più allevare animali. Non avevano più niente per vivere e si erano ridotti a sopravvivere in quella loro modestissima casa nella quale erano nati, ma senza acqua, gas e luce (infatti lo scoppio è stato causato da delle bombole del gas). Ma la banca vorace ha voluto impossessarsi anche di quella catapecchia ed il giudice ha disposto l’immediato sgombero, facendo intervenire 30 Carabinieri (con anche i droni) ed i Vigili del fuoco in forze…Bene, ci mancava che mandassero anche l’esercito con le truppe d’assalto, e questo per riuscire a buttare nella strada 3 vecchi. Bene, tutto giusto, ma credo che poi non ci sia da stupirsi più di tanto se questi 3 vecchi disperati siano arrivati a compiere un gesto folle. Ma quel giudice avrebbe mandato 30 carabinieri e tutti quei vigili del fuoco, a sgomberare almeno 1 di quelle molte migliaia di case occupate abusivamente da immigrati clandestini? E la banca aveva davvero bisogno di impossessarsi ANCHE di quella catapecchia, buttando in mezzo ad una strada quei 3 vecchi disperati? E l’assicurazione aveva davvero bisogno di rovinarli, attaccandosi al pretesto dei fanali non accesi, per non pagare? Ecco, allora che tutti i media, che tutti i nostri politici (compresi Mattarella e Crosetto), è giusto che piangano i 3 Carabinieri morti, ma prima di paragonare questi 3 vecchi a dei terroristi pari a quelli di Nassiriya (ho sentito ripetutamente anche questa), magari provare a valutare un po’ più a fondo le cause, non gli farebbe male!

Scegli la tua Apocalisse, di Morgoth

Scegli la tua Apocalisse

Molte sottoculture di Internet, un solo futuro

Morgoth20 ottobre
 LEGGI NELL’APP 

Ho passato l’ultima settimana a osservare l’impennata dei prezzi dell’argento e dell’oro, sperando che le due monete d’argento che ho comprato per combattere Klaus Schwab nel 2021 potessero aumentare di valore. La mia conoscenza dei mercati e delle materie prime è pressoché inesistente; i dettagli più sottili dell’economia occidentale, setacciandoli, sono come leggere le viscere di un corvo morto alla ricerca di segni di buona o cattiva sorte. Avrei potuto, ovviamente, comprare un libro di economia di base, ma questa è l’era di Internet, quindi mi sono limitato a concentrarmi sulla sottocultura che circonda mercati, finanza e banche, e ho consumato contenuti su YouTube.

Sbirciare in una sottocultura di internet sconosciuta è divertente perché, come ogni altra fazione di internet, ha il suo gergo, i suoi meme e le sue divisioni interne. Essendo un tecnofobo, ho naturalmente più affinità per la fazione dell’oro e dell’argento che per i Bitcoin Bros. Eppure, a prescindere dalla fazione del mondo economico a cui si presta attenzione, sembrano tutte preoccuparsi del futuro successo del dollaro e dell’Occidente in generale.

L’opinione generale è che il nostro sistema monetario fiat da Topolino sia destinato al fallimento e che, per scelta o per esaurimento, l’intero edificio stia crollando. È semplicemente una questione di quale forma immagazziniamo la ricchezza mentre tutto crolla. In un’intervista, l’esperto di finanza Alisdair Macleod ha saggiamente ricordato agli estasiati accumulatori di argento e agli amanti dell’oro che, se fossero stati scagionati, avrebbero avuto familiari e amici in difficoltà economiche e avrebbero perso la casa.

In alternativa, la Cina era responsabile del rodeo dell’oro e dell’argento, o le banche centrali in combutta con la Federal Reserve, o lo Stato profondo. Qualunque fosse la micro-narrazione o la tradizione da cui si volesse guardare la situazione, l’esito era sempre disastroso.

Per gli econbros il tempo stringe; il collasso è inevitabile. E potrebbero benissimo avere ragione. I circoli online degli econbros, tuttavia, non vanno confusi con le vere e proprie istituzioni del mondo reale, perché, dopotutto, tutti hanno bisogno dei loro clic e dei loro abbonamenti.

Tuttavia, sbirciando in una sottocultura di internet con cui non si ha molta familiarità, si scopre che ogni sottocultura ha contorni e flussi narrativi simili, e quasi tutte si concludono con esiti distopici difficili da ignorare. Spesso si sovrappongono e convergono, o si completano a vicenda.

Per la maggior parte, sono coinvolto e coinvolto in questioni legate all’identità, all’immigrazione e alla classe politica britannica. Di recente, la conversazione si è concentrata su speculazioni su conflitti civili ed etnici in un futuro non troppo lontano. Di solito, si parla della graduale erosione della popolazione britannica bianca, così come risulta dal censimento, o della riduzione della popolazione nativa a minoranza all’interno del proprio territorio.

Anche in questo caso, il discorso porta verso uno scenario pessimistico per il futuro, ma è più immediato e tangibile nel mondo reale rispetto ai numeri dell’inflazione o alla volatilità dei metalli preziosi sul mercato.

L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, dal nome inquietante, è un altro argomento che ha generato una propria cerchia di ricercatori, teorici e creatori di contenuti. Ancora una volta, ci troviamo di fronte a una serie di “buchi del coniglio” da esplorare. La narrazione centrale è che gli obblighi delle nazioni di tutto il mondo entro il 2030 ci stanno conducendo verso un orrore totalitario fatto di riduzione dei consumi, punteggi di crediti di carbonio e persino sforzi concertati per ridurre la popolazione del pianeta con mezzi nefasti.

È un mondo di una popolazione di servi della gleba vaccinati e microchippati che vive in città da 15 minuti, alimentate (male) da parchi solari e turbine eoliche disseminate su terreni agricoli lasciati inattivi perché mangiamo tutti larve di vermi sintetici.

Come nel caso di coloro che prevedono un crollo finanziario, i nuovi resoconti vengono prontamente consultati per convalidare le teorie e, ancora una volta, potrebbero rivelarsi corretti.

La spinta del governo britannico verso l’identità digitale conferma coloro che da anni ne avevano previsto l’arrivo e costituisce di per sé un complemento alla più ampia visione dell’Agenda 2030. Ora, un’intera comunità si è aggregata attorno ai contenuti, concentrandosi sull’identità digitale e sui vari miliardari, istituzioni e aziende che la promuovono.

Nel frattempo, i canali geopolitici su YouTube hanno trascorso anni a prevedere un’imminente guerra tra Europa e Russia, NATO contro Russia, America contro Cina, o Israele e America in guerra contro l’Iran. Ogni segnalazione di un drone fuori controllo sopra la Polonia o di un bombardamento in Medio Oriente diventa l’inizio della fine.

Esiste una vasta comunità che consuma contenuti che suonano l’allarme sull’Intelligenza Artificiale e sulla nostra incombente dipendenza da essa per i compiti più elementari. Non appena clicchi su un contenuto che descrive il futuro dei film hollywoodiani generati dall’IA e che resuscitano attori e attrici morti da tempo, ti troverai di fronte a ulteriori contenuti su come l’IA ci sterminerà prima che abbiamo la possibilità di reagire, e i modelli attuali ci stanno già mentendo.

Come consumatori di contenuti, possiamo scegliere l’apocalisse della settimana, come se stessimo setacciando un menu. In quale tana del Bianconiglio carica di sventura vi immergerete la prossima settimana?

Naturalmente, puoi mescolare e abbinare i tuoi contenuti catastrofici. Si dice comunemente che ai rifugiati sia permesso di riversarsi nelle isole britanniche perché rappresentano un esercito segreto delle Nazioni Unite pronto a uscire allo scoperto non appena tutti i ragazzi inglesi saranno stati sfrattati sul fronte russo/iraniano/cinese. L’aumento del valore dell’argento e dell’oro preannuncia un sistema che si prepara a ridurre tutti in miseria e a offrirci il reddito di cittadinanza come via d’uscita.

In alternativa, il valore dell’argento e dell’oro è lo stesso; solo che la nostra valuta è spazzatura, ma il gulag digitale del reddito di cittadinanza gestito dall’intelligenza artificiale ci attende comunque.

A meno che l’intelligenza artificiale non sia una bolla da mille miliardi di dollari pronta a scoppiare perché l’offerta energetica non riesce a tenere il passo con la domanda.

Nessuno ha guadagnato nulla da un canale YouTube chiamato ” Nothing Ever Happens TV”, dove il conduttore minimizza ogni crisi e calamità imminente. I grandi numeri sono contenuti in titoli accattivanti e iperbolici come “Scegli la tua Apocalisse”.

Eppure, resta il fatto che c’è qualcosa nell’aria, lo zeitgeist, che segnala esaurimento, decadenza e un semplice trascinarsi verso il baratro. Il neoliberismo e il denaro fittizio hanno reso la vita in tutto il mondo occidentale sempre più priva di significato; le persone sono state ridotte a insiemi di dati e zavorra per gonfiare il PIL.

Il fatto che il sistema attuale, tra tutti i sistemi, sia destinato a scomparire come intrattenimento, completamente monetizzato e super chiacchierato, sembra essere la strada giusta per farlo.

Una matrifagia algoritmica, con un miliardo di creatori di contenuti e consumatori come piccoli ragni che mangiano la loro madre.

I media rivelano l'”inversione” privata delle convinzioni di Trump sulla guerra in Ucraina_di Simplicius

I media rivelano l'”inversione” privata delle convinzioni di Trump sulla guerra in Ucraina

Simplicius 21 ottobre
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Un’altra affascinante rivelazione è giunta tramite l’ultimo articolo del FT, le cui “fonti” rivelano un ritratto di Trump completamente diverso dalla sua immagine “ad uso del pubblico”:

https://www.ft.com/content/7960c6aa-dbfa-4a55-91e8-ae44601842ec

Certo, insisto spesso sul fatto che le “fonti” di queste mierdia mainstream non dovrebbero mai essere prese per oro colato, ma in questo caso il buon senso e la ragione ci dicono che probabilmente c’è del vero in queste notizie. Contrariamente alle sue dichiarazioni pubbliche secondo cui la Russia sta perdendo milioni di uomini e la sua economia è sull’orlo del collasso, Trump ha avvertito privatamente l’Ucraina che la Russia avrebbe “distrutto” lo Stato ucraino se Zelensky non avesse fatto immediatamente importanti concessioni rinunciando al Donbass.

Secondo un funzionario europeo a conoscenza dell’incontro, Trump avrebbe detto a Zelenskyy che il leader ucraino avrebbe dovuto raggiungere un accordo, altrimenti sarebbe stato annientato.

Il funzionario ha affermato che Trump ha detto a Zelenskyy che stava perdendo la guerra, avvertendolo: “Se [Putin] lo vuole, ti distruggerà”.

Come se non bastasse, l’opinione privata di Trump sulla situazione economica della Russia è completamente opposta a quella pubblica. Ricordate il video che ho pubblicato nell’ultimo articolo in cui Trump afferma che l’economia russa sta “collassando”? Sembra che nemmeno lui creda alle sue stesse sciocchezze:

Bene, bene, bene; chi avrebbe mai pensato che i leader occidentali fornissero alle loro masse ingenue una quantità di cibo inutile per motivi di convenienza politica?

Inoltre, non dimentichiamo l’ormai celebre sfogo di Trump sui social media, in cui dichiarava che l’Ucraina può sicuramente vincere la guerra e dovrebbe passare all’offensiva. La mia posizione, secondo cui si trattava di una vera e propria presa in giro da parte di Trump, è stata considerata “controversa” da alcuni, poiché la gente l’ha semplicemente presa per buona; un’altra delle nostre interpretazioni dell’inganno di Trump si è dimostrata corretta.

I realisti occidentali si stanno rendendo sempre più conto di questa realtà più che ovvia:

https://www.independent.co.uk/news/world/europe/ukraine-russia-war-defeat-david-richards-world-of-trouble-podcast-b2844349.html

Il feldmaresciallo Lord Richards, che era a capo dell’intera forza armata britannica e il più alto dirigente della struttura di comando, ritiene che l’Ucraina non abbia alcuna speranza di vittoria. Sebbene questa opinione sia ormai divenuta un luogo comune, la differenza fondamentale è che Richards ritiene che l’Ucraina non abbia alcuna possibilità di vittoria, nemmeno con le risorse che gli alleati riusciranno a reperire e a consegnare:

Riflettendo sulle possibilità di successo dell’Ucraina contro la Russia, ha affermato: “La mia opinione è che non vincerebbero”.

“Non potresti vincere, nemmeno con le risorse giuste?” gli è stato chiesto.

“No”, rispose.

Incredulo, l’Independent gli chiese una seconda volta:

Incalzato ulteriormente dal quotidiano The Independent, gli è stato chiesto: “Anche con le risorse giuste?”

“No, non hanno la manodopera necessaria”, ha detto l’ex commando.

BENE.

In effetti, i pensieri successivi di Lord Richards sono ancora più rivelatori per il loro senso della realpolitik :

Nella sua prima lunga intervista in un podcast, Lord Richards, l’unico ufficiale britannico ad aver comandato truppe statunitensi in massa in guerra dal 1945, ha affermato che le prospettive per l’Ucraina non sono buone.

“A meno che non ci schieriamo con loro, cosa che non faremo perché l’Ucraina non è una questione esistenziale per noi. Per i russi, tra l’altro, lo è chiaramente “, ha dichiarato a World of Trouble.

“Abbiamo deciso, poiché non è una questione esistenziale, di non andare in guerra. Siamo, si può sostenere – e lo accetto pienamente – in una sorta di guerra ibrida [con la Russia]. Ma non è la stessa cosa di una guerra in cui i nostri soldati muoiono in gran numero.

“Nonostante la nostra attrazione per tutto ciò che hanno realizzato e il nostro sincero affetto per così tanti ucraini, continuo a seguire questa scuola che sostiene che questo non rientra nei nostri vitali interessi nazionali.

“Il mio istinto mi dice che il meglio che l’Ucraina può fare, e lo vedete già, il presidente Zelensky, che è un leader ispiratore… il meglio che possono fare è una sorta di pareggio.”

A proposito, ci sono alcune cose importanti da dire sulla proposta dell’incontro di Budapest.

In primo luogo, come accaduto l’ultima volta, sono stati gli Stati Uniti a riferire dell’imminente incontro come se fosse cosa fatta, mentre i russi hanno affermato con molta più circospezione che la proposta di incontro verrà esaminata. Per non parlare del fatto che Rubio e Lavrov dovrebbero incontrarsi inizialmente per definire l’ordine del giorno, molto prima che l’incontro tra Trump e Putin possa aver luogo. Ci sono buone ragioni per credere che l’incontro non avrà luogo, perché è difficile immaginare su quale “ordine del giorno” le due parti possano concordare: semplicemente non c’è nulla da discutere tra Trump e Putin, dato che le due parti non sono nemmeno sulla stessa lunghezza d’onda per quanto riguarda la risoluzione del conflitto.

Ma su questo argomento – e questa è l’altra cosa più importante – ci sono nuove voci secondo cui, durante la recente telefonata con Trump, Putin avrebbe ribadito di essere disposto a rinunciare a parti di Kherson e Zaporozhye in cambio della rinuncia dell’Ucraina al Donbass, ovvero le parti di quelle regioni non sotto il controllo russo. Questo ha scatenato l’ira e il rifiuto della fazione “Z-Patriot”. Ma sono qui per dirvi: l’idea non è irrealistica,  implica di per sé la “capitolazione” di Putin o un ridimensionamento degli obiettivi del conflitto, anche se in superficie potrebbe sembrare così.

Il motivo è che questa presunta affermazione deve essere interpretata nel contesto appropriato. Il contesto qui non è la fine totale e definitiva della guerra – Putin non ha mai offerto una cosa del genere. Ciò che Putin ha offerto è che avrebbe indetto un cessate il fuoco immediato – inteso come condizionale e temporaneo – qualora le truppe ucraine si fossero ritirate dalle regioni di Donetsk e Lugansk.

Lo scopo di questo cessate il fuoco – come appena affermato – non è la fine totale della guerra, ma una riduzione provvisoria volta a facilitare ulteriori negoziati concreti sulle restanti questioni. Pertanto, in quest’ottica, l'”offerta” di Putin di Kherson e Zaporozhye può essere vista sotto questa luce: a suo avviso, è una situazione vantaggiosa per tutti, perché lo fa apparire disponibile nei confronti dei suoi “partner”, non ultimo Trump. Allo stesso tempo, procura alla Russia un’enorme quantità di territorio a titolo gratuito, ovvero Donetsk e Lugansk. L’aspetto più significativo è l’intero agglomerato di Slavjansk-Kramatorsk, che l’Ucraina dovrebbe cedere.

Ed è qui che entra in gioco l’astuzia. Da un lato, ci sono pochissime possibilità che Zelensky o l’AFU abbandonino volontariamente sia Slavyansk che Kramatorsk in questo modo, il che rende l’offerta di Putin una mossa a basso rischio, pensata per farlo apparire disponibile ai negoziati.

D’altro canto, Putin sa anche che, anche se Zelensky dovesse smascherare il suo bluff e cedere Slavjansk e Kramatorsk, l’abisso di disaccordi tra Ucraina e Russia sulle varie questioni che pongono fine alla guerra è così ampio che Putin sa che ci sono poche possibilità che il cessate il fuoco condizionato regga. Ciò significa che la Russia otterrebbe Slavjansk e Kramatorsk gratuitamente – che ora sarebbero “dietro” l’esercito russo – mentre le regioni di Kherson e Zaporozhye apparentemente “cedute” da Putin in cambio rimarrebbero di nuovo sul tavolo della liberazione russa. Il vantaggioso valore della teoria dei giochi in questo caso è abbastanza semplice da vedere.

Sul fronte russo, continuano ad arrivare grandi guadagni.

Il caso più notevole è stato quello della zona del fiume Yanchur, lungo il fronte di Gulyaipole. Ricordiamo che le forze russe avevano appena iniziato ad assaltare la catena di insediamenti in quella zona. Ora, in qualche modo, hanno attraversato il fiume e invaso Novomykolaivka, conquistandola completamente, così come parte della vicina Novovasilyvske:

Nei pressi di Pryviliya, appena conquistata nell’ultimo rapporto, le forze russe hanno già ampliato notevolmente la zona verso sud, allargando il saliente:

Questa catena del fiume Yanchur viene rapidamente smantellata dalle forze russe, il che dimostra che le difese ucraine ormai esaurite devono essere in pessime condizioni.

A Pokrovsk, le forze russe si sono limitate a consolidare il centro della città, potenziando la logistica e fortificandosi per avanzare. Nella vicina Mirnograd, le forze russe hanno continuato a incunearsi nella periferia meridionale della città:

Ancora più critico è il fatto che in quel momento le forze russe hanno preso una larga fetta di Rodynske dalla direzione nord-est:

Il fatto che Rodynske sia ora per metà o quasi per metà catturata è una notizia ancora più importante perché la cattura completa di questa città significherebbe il completo blocco della principale via di rifornimento, piuttosto che il mero controllo del fuoco, come illustrato di seguito:

Poco più a nord, sul fianco orientale del saliente di Dobropillya, le forze russe iniziarono finalmente ad assaltare Shakhove da nord-ovest, catturando per la prima volta la prima sezione dell’insediamento:

In direzione Lyman, le forze russe consolidarono il percorso verso la città stessa, conquistando una buona parte di territorio corrispondente all’incirca all’area evidenziata in blu qui sotto:

Come potete vedere, ciò significa che le forze russe sono ormai praticamente alle porte della città, il che spiega perché l’ultima volta c’erano state segnalazioni secondo cui i DRG avevano già fatto irruzione nella città stessa.

Nel frattempo, ecco come l’ultimo articolo di successo dell’Economist pubblicizza l’inesorabile avanzata russa:

https://www.economist.com/interactive/europe/2025/10/17/russia-latest-big-ukraine-offensive-gains-next-to-nothing-again

A dire il vero, non vale nemmeno la pena di soffermarsi sui dettagli di questa sciocchezza. È sempre la solita vecchia e stanca sofisticazione sulla Russia che non guadagna molto territorio quando “si allontana abbastanza dalla mappa”.

Ehi, guarda, vedi quella linea ondulata, è tutto ciò che la Russia ha catturato, ah ah!

Ehi, guarda un po’! Vedi quel minuscolo puntino rosso? È tutto ciò che la Russia è riuscita a catturare, ah ah!

Si tratta sempre della solita vecchia sofisticheria e delle solite tattiche infantili. L’Occidente sa benissimo che l’esercito ucraino è sotto pressione e che le sue infrastrutture statali stanno crollando, mentre il sostegno europeo e alleato è sceso ai minimi storici – ricordate cosa ho detto a proposito del PURL?

Gli aiuti militari all’Ucraina hanno registrato un forte calo nei mesi di luglio e agosto 2025, nonostante l’introduzione dell’iniziativa PURL (Prioritized Ukraine Requirements List) della NATO .

Gli aiuti militari diminuiscono del 43 per cento rispetto alla prima metà dell’anno

L’articolo dell’Economist si conclude con questa ridicola previsione:

Ma la capacità della Russia di continuare a combattere al ritmo attuale potrebbe anche essere prossima al termine. E se Putin continuasse comunque a insistere, correrebbe un altro rischio. Dopo tre anni di offensive sventate, un crollo improvviso potrebbe diventare più probabile nell’economia di guerra russa che nelle linee difensive dell’Ucraina.

Una rapida ricerca mostra una miriade di articoli dell’Economist risalenti al 2022 che prevedevano il collasso economico della Russia. Per essere una rivista chiamata Economist, sa davvero poco di economia.


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Tajani, Quindi Roosevelt ed Eisenhower Erano “Sovietici”?_di Cesare Semovigo

Tajani, Quindi Roosevelt ed Eisenhower Erano “Sovietici”?

In un dibattito che ha infiammato il panorama politico-economico italiano, Antonio Tajani, figura di spicco di Forza Italia, ha liquidato con decisione la proposta di tassare le banche, bollandola come un’idea degna dell’Unione Sovietica. Questa etichetta, che richiama un passato di controllo statale estremo, sembra voler difendere a tutti i costi i grandi profitti del settore finanziario, lasciandoli Invariati . Ma per i cittadini comuni – i risparmiatori che faticano a mettere da parte qualcosa per il futuro – e per chi, come noi, osserva con attenzione le dinamiche geopolitiche globali, questa posizione appare come un’occasione mancata. 

Viviamo in un mondo dove l’inflazione, ovvero l’aumento continuo dei prezzi che erode il valore del denaro, è strettamente legata a extraprofitti aziendali che oscillano tra il 18% e il 25%. In questo scenario, i guadagni smisurati delle banche finiscono per colpire duramente pensioni, conti correnti personali e quella stabilità economica che dovrebbe essere il pilastro di una società moderna e giusta.

L’ironia di questa situazione salta agli occhi se guardiamo al passato. Prima dell’accordo di Bretton Woods – un sistema internazionale nato nel 1944 per regolare il commercio e la finanza globale, legando le valute al dollaro americano e il dollaro all’oro per garantire stabilità – gli Stati Uniti, simbolo del capitalismo mondiale, imponevano tasse molto elevate sui redditi dei più ricchi. 

Non lo facevano per inseguire ideologie estremiste, ma per finanziare una crescita economica senza precedenti e per rafforzare le difese nazionali, creando quello che è stato chiamato il “secolo americano”. Leader come Theodore Roosevelt, Franklin D. Roosevelt e Dwight D.

Eisenhower lo avevano capito: vedevano le tasse alte non come una punizione contro chi aveva successo, ma come uno scudo per proteggere la società da squilibri pericolosi, che oggi alimentano crisi globali sempre più gravi.

No, signor Tajani, questi presidenti non erano comunisti. Erano piuttosto architetti di un capitalismo equilibrato, in cui la ricchezza andava di pari passo con la responsabilità, per tutelare i risparmi delle persone comuni e il potere nazionale complessivo.

Questo principio è cruciale oggi, in un mondo dove le banche centrali – come la Federal Reserve negli Stati Uniti o la Banca Centrale Europea – sembrano spesso collaborare con il sistema finanziario per sostenere una moneta fiat. Con “moneta fiat” intendiamo una valuta che non è garantita da beni fisici come l’oro o l’argento, ma solo dalla fiducia nel governo che la emette.

Questo sistema può portare a un debasement monetario, ovvero una perdita graduale del valore del denaro, perché i governi o le banche centrali stampano più moneta per coprire debiti o stimolare l’economia. Quando ciò accade, il potere d’acquisto delle persone si riduce, mentre i prezzi di beni rifugio come l’oro schizzano alle stelle. Non è un caso che il prezzo di un’oncia d’oro abbia superato i 4.200 dollari: è un segnale lampante che il valore delle monete tradizionali sta crollando.

Eppure, in questo contesto, assistiamo a mosse che sembrano quasi un tradimento della fiducia pubblica. Prendiamo il caso di BlackRock, una delle più grandi società di gestione patrimoniale al mondo. Recentemente, hanno gestito outflows – cioè vendite massive di asset che riducono il valore degli investimenti – per circa 300 Bitcoin, in un momento di calo dei prezzi delle criptovalute, seguito a minacce di nuove tariffe doganali annunciate da Trump. 

Queste operazioni hanno sollevato sospetti che alcuni hanno “ esagerando “ tacciato come pratiche al limite dell’insider trading, ovvero guadagni basati su informazioni riservate , rumors interni tra addetti ai lavori , rigorosamente non accessibili al pubblico, amplificando accuse di profitti ottenuti sfruttando variaziazioni , volatilità , financo a  crolli improvvisi del mercato.

 Nel frattempo, l’embrione del fondo sovrano di Trump cerca un precedente istituzionalizzato che nonostante  l’inflazione proprio a questi extraprofitti aziendali. 

Tutto ciò appare come un affronto aperto, specialmente se consideriamo i recenti riposizionamenti dell’Arabia Saudita, che con accordi da trilioni di dollari sta spostando i suoi investimenti dal petrolio verso settori come la tecnologia e le criptovalute.

Le “tre sorelle” – BlackRock, Vanguard e State Street, colossi della gestione patrimoniale che controllano enormi fette di mercato – stanno pompando liquidità in modi che sembrano incoerenti, quasi come una strategia per proteggersi da un’imminente instabilità. 

Noi, che osserviamo con attenzione questi movimenti, percepiamo un rischio: tutto questo potrebbe essere il preludio a un crollo sistemico, una crisi che coinvolge l’intero sistema finanziario globale. La nostra inchiesta predittiva, basata su analisi di interruzioni e anomalie nei mercati, ha visto l’indice di confidenza – una misura che indica quanto siano probabili le nostre previsioni – passare da 0.90 a 1.30 in direzione negativa. 

Questo lavoro,  è un analisi geoeconomica olistica, che integra prospettive economiche, politiche ampliate  tecnologiche. Utilizziamo strumenti moderni come gli esploratori di blockchain – software che permettono di tracciare transazioni pubbliche sulle reti di criptovalute, come quelle di Bitcoin – e l’intelligenza artificiale per identificare pattern ricorrenti nei dati. 

È un’analisi che si allinea perfettamente alla realtà accelerata in cui viviamo, dove, ad esempio, le uscite di BlackRock da 1 miliardo di dollari in Bitcoin il 14 ottobre 2025 hanno mantenuto il prezzo della criptovaluta sopra i 100.000 dollari, nonostante un crollo legato a minacce tariffarie. Questo conferma i nostri modelli predittivi, aiutandoci a colmare il divario tra ciò che vediamo e ciò che sta per accadere, prima che il tempo a disposizione finisca.

I Roosevelt, Tasse Progressive e Predizioni sul Potere Economico-Militare: Sovrapposizione con la Realtà Accelerata

Theodore Roosevelt, conosciuto come il “trust-buster” per la sua lotta contro i monopoli aziendali, affrontò i cosiddetti “robber barons” – quelli senza scrupoli che dominavano l’economia americana durante la Gilded Age, un periodo di grande ricchezza ma anche di profonde disuguaglianze . Questi colossi rischiavano di soffocare la democrazia con il loro potere economico. Roosevelt sosteneva una tassa progressiva sulle grandi fortune, cioè un sistema in cui chi guadagna di più paga una percentuale maggiore di tasse, per garantire che il successo economico fosse condiviso equamente. 

Diceva che “nessuna nazione può permettersi lo spreco delle sue risorse umane”, sottolineando che ignorare le disuguaglianze indebolisce la società nel suo complesso. Questa visione si sovrappone perfettamente alla nostra realtà accelerata, fatta di speculazioni sulle criptovalute e svalutazione della moneta fiat. La nostra inchiesta  utilizza dati raccolti dopo i discorsi di Trump per spingere l’indice di confidenza a 1.30 in direzione ribassista, rivelandosi un capolavoro di geoeconomia olistica. Questo lavoro valida schemi storici – pattern che si ripetono nel tempo – con dati on-chain, ovvero informazioni registrate sulla blockchain, la tecnologia dietro le criptovalute che garantisce trasparenza e immutabilità delle transazioni, per decifrare movimenti di liquidità che non tornano.

Le predizioni di Roosevelt, come l’idea che “le corporazioni giganti creano un’aristocrazia irresponsabile” o che “dietro una grande fortuna c’è spesso un grande crimine”, riecheggiano il lobbismo militare – le pressioni delle industrie belliche sui governi per ottenere contratti miliardari – che erode i risparmi delle famiglie. Queste idee si allineano alle recenti uscite di BlackRock e ai riposizionamenti strategici dell’Arabia Saudita, creando un distanziamento esponenziale, un divario che cresce rapidamente e che dobbiamo colmare con urgenza per non perdere il controllo della situazione.

Franklin D. Roosevelt, l’architetto del New Deal – un insieme di riforme economiche e sociali lanciate negli anni ’30 per risollevare gli Stati Uniti dalla Grande Depressione – portò le tasse sui redditi più alti fino al 94%. Sosteneva che “le tasse sono debiti che paghiamo per far parte di una società organizzata” e che “nessuno dovrebbe arricchirsi sfruttando la difesa nazionale”. In un’epoca di crisi e guerra, queste misure salvarono il capitalismo da se stesso.

La sua visione si sovrappone alla nostra inchiesta, dove i pattern di interruzioni e anomalie, amplificati da dati raccolti dopo i discorsi di Trump, dimostrano che la realtà accelerata in cui viviamo è prevedibile grazie a tecnologie moderne. È un capolavoro geoeconomico progettato per evitare che l’umanità si estingua in mezzo a queste turbolenze.

Le sue parole – come “l’accumulo di potere economico mette in pericolo la democrazia” o il lobbismo bellico “affama le risorse umane” – trovano eco nelle uscite di BlackRock e nei riposizionamenti sauditi, un distanziamento esponenziale che dobbiamo colmare per agire in tempo.

Eisenhower, Tasse GOP e Allarmi sul Complesso Militare: Risparmiatori Avvisati 

Forse Salvati

Dwight D. Eisenhower, generale e presidente repubblicano che guidò gli Stati Uniti durante la Guerra Fredda, univa una visione olistica che intrecciava difesa nazionale ed economia. Mantenne tasse alte, fino al 91% sui redditi elevati, sostenendo che “una nazione non può permettersi lo spreco delle sue risorse umane” e che “le tasse sono legami essenziali per una difesa forte senza indebolire l’economia”. Questo approccio si sovrappone alla nostra inchiesta predittiva sulle interruzioni sistemiche, un capolavoro di geoeconomia applicata a tecnologie moderne che valida schemi storici come una forma di protezione contro l’instabilità futura.

Eisenhower è famoso per aver avvertito del pericolo del “complesso militare-industriale”, un’alleanza tra forze armate, industrie belliche e governo che potrebbe esercitare un’influenza eccessiva e non giustificata sulle decisioni nazionali.

Disse anche di “non rischiare improvvisazioni nella difesa nazionale”, un monito che risuona ancora oggi. Ministro Tajani, questi leader non erano comunisti, ma statisti di spessore (ormai estinti ) con tanta autevolezza e coraggio da opporsi al lobbismo che divora trilioni di dollari, erodendo i risparmi delle famiglie e la sovranità nazionale.

Questo avvertimento si allinea perfettamente alle uscite di BlackRock e ai riposizionamenti strategici di Riad, l’Arabia Saudita, dove la nostra inchiesta approfondisce un mix sovrapposto alla realtà accelerata. 

Per i risparmiatori che seguono la geopolitica, tassare le banche non è un’eresia sovietica, ma l’eco di un capitalismo equilibrato che protegge una ricchezza condivisa. Viva i ricchi, ma con la responsabilità di contrastare gli squilibri globali – un concetto che la nostra analisi, un capolavoro olistico applicato a strumenti tecnologici nuovi, sovrappone alla realtà accelerata per non estinguerci in questo distanziamento esponenziale.

Le mosse di BlackRock, come le uscite di Bitcoin da 1 miliardo di dollari il 14 ottobre 2025, segnalano che il tempo per agire sta per scadere.

Cesare Semovigo – italiaeilmondo.com

Note:

1. Theodore Roosevelt, “Seventh Annual Message to Congress,” 3 December 1907: “A heavy progressive tax upon a very large fortune is in no way such a tax upon thrift or industry as a like tax upon a small fortune.” (Fonte: Miller Center, University of Virginia).

2. Theodore Roosevelt, speech on corporations: “The great corporations which we have grown to speak of rather loosely as trusts are the creatures of the State, and the State not only has the right to control them, but it is duty bound to control them wherever the need of such control is shown.” (Fonte: Goodreads, da “An Autobiography”).

3. Franklin D. Roosevelt, “Message to Congress on Curbing Monopolies,” 29 April 1938: “The accumulation of economic power in few hands is the danger of democracy.” (Fonte: American Presidency Project).

4. Franklin D. Roosevelt, “Address at Worcester, Mass.,” 21 October 1936: “Taxes, after all, are the dues that we pay for the privileges of membership in an organized society.” (Fonte: American Presidency Project).

5. Dwight D. Eisenhower, “Farewell Address,” 17 January 1961: “In the councils of government, we must guard against the acquisition of unwarranted influence, whether sought or unsought, by the military-industrial complex.” (Fonte: National Archives).

6. Dwight D. Eisenhower, “The President’s News Conference,” 8 April 1959: “Reduction of taxes is a very necessary objective of government—that if our form of economy is to endure, we must not forget private initiative.” (Fonte: American Presidency Project).

Summit Trump-Putin: la rivincita di Orban e la “variabile cubana” – AGGIORNATO_di Gianandrea Gaiani

Summit Trump-Putin: la rivincita di Orban e la “variabile cubana” – AGGIORNATO

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(aggiornato alle ore 23,55)

Donald Trump sorprende di nuovo quasi tutti e soprattutto coloro che lo immaginavano sul piede di guerra contro Vladimir Putin e la Russia e al fianco degli “alleati” europei. Mentre in Europa e Ucraina tutti si aspettavano l’annuncio della fornitura di missili da crociera Tomahawk a Kiev, l’istrione della Casa Bianca, cambia gioco, spiazza tutti e va in rete annunciando un nuovo summit con il presidente russo.

Dopo un colloquio telefonico di quasi due ore e mezza, ii leader delle due maggiori potenze nucleari si vedranno infatti entro due settimane a Budapest, per discutere la fine della guerra in Ucraina.

Trump ha espresso nuovo ottimismo sulla possibilità di concludere il conflitto attribuendo questo momento favorevole anche al cessate il fuoco tra Israele e Hamas: “Credo che il successo in Medio Oriente ci aiuterà nei negoziati per arrivare alla fine del conflitto con Russia e Ucraina”.

Prima del summit, il segretario di stato americano Marco Rubio guiderà una delegazione statunitense in un primo incontro preparatorio con rappresentanti russi, tra cui il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, già la prossima settimana.

Su X il premier ungherese, Viktor Orban, ha parlato di “una grande notizia per le persone del mondo che amano la pace. Siamo pronti!”.

Dopo gli attacchi e gli ostracismi subiti dall’Ucraina, da gran parte dei partner europei e dalla Commissione UE, Viktor Orban si gode la rivincita e il prestigio offerto dal palcoscenico internazionale che un simile vertice assicura. Trump ha dichiarato sui social che la telefonata con Putin è stata “molto produttiva” e ha portato a “progressi significativi”, aggiungendo che “abbiamo anche dedicato molto tempo a parlare di commercio tra Russia e Stati Uniti una volta terminata la guerra con l’Ucraina”.

Tomahawk fantasma?

E i Tomahawk, l’ennesima arma “game changer” che secondo la propaganda avrebbe permesso agli ucraini di mettere finalmente in ginocchio la Russia e che Zelensky spera di portare a casa dall’incontro di oggi con Trump alla Casa Bianca?

Trump, ha ammesso di “avere parlato un po’” anche della possibilità di fornire i missili a lungo raggio Tomahawk all’Ucraina, durante la sua telefonata con Vladimir Putin. “Ne abbiamo tanti, ma servono anche a noi e non possiamo esaurire le nostre scorte: non so cosa potremo fare su questo“, ha detto ai giornalisti alla Casa Bianca.

Esattamente il contrario di quanto aveva affermato il 15 ottobre, quando Trump aveva affermato circa questi missili che “ne abbiamo molti, e lui (Zelensky) li vuole”.

Oggi, incontrando il presidente ucraino Zelensky a Washington ha aggiunto che gli attacchi dell’Ucraina in territorio russo “sarebbero una escalation, ma ne parleremo”. Poi ha ammesso di ”sperare di poter finire la guerra senza dover dare i Tomahawk. Sono armi devastanti che servono anche a noi nel caso di una guerra e a rendere l’esercito degli Stati Uniti il più forte al mondo. Stiamo vendendo molti tipi diversi di armi all’Unione europea” (in realtà gli Sati Uniti  le starebbero vendendo agli alleati della NATO) .

Secondo Mark Cancian, ex funzionario del Pentagono oggi al Center for Strategic and International Studies, gli Stati Uniti dispongono attualmente di 4.150 missili Tomahawk. Tuttavia, il Pentagono ha acquistato solo 200 unità dal 2022 e ne ha già utilizzate oltre 120 durante esercitazioni e altri nelle recenti operazioni contro gli Houthi yemeniti e l’Iran. Per il 2026 il Pentagono ha chiesto fondi per l’acquisto di ulteriori 57 Tomahawk, armi necessarie in caso di nuovi attacchi a Iran e Venezuela.

Secondo Stacey Pettyjohn, direttrice del programma di difesa presso il Center for a New American Security, citata dal quotidiano Financial Times. “Washington potrebbe stanziare dai 20 ai 50 missili Tomahawk, il che non cambierebbe le dinamiche della guerra”!

Anche il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, amico di Putin ma in ottimi rapporti anche con Trump, ha valutato il 14 ottobre che la fornitura dei Tomahawk all’Ucraina “non risolverà il conflitto ma potrebbe solo portare la situazione a una guerra nucleare. Nessun Tomahawk risolverà la questione. Questo intensificherà il conflitto fino a una guerra nucleare.

Probabilmente, questo è capito meglio di tutti dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che non ha fretta di consegnare queste armi letali e di permettere di colpire in profondità la Russia, come si aspetta il presidente ucraino Volodymyr Zelensky”, ha detto Lukashenko.

Lukashenko probabilmente ha visto giusto: sono state valutazioni legate alla deterrenza a influenzare l’apparente passo indietro di Trump sui Tomahawk.

La versione di Mosca

Riferendo alla stampa, il consigliere presidenziale russo, Yury Ushakov, ha precisato che il colloquio tra i due presidenti è stato, “estremamente franco”, e Putin “ha fornito una valutazione dettagliata della situazione attuale, sottolineando l’interesse della Russia a raggiungere una soluzione politica e diplomatica pacifica” in Ucraina.

Quindi, ha aggiunto, i due leader hanno discusso anche della possibile fornitura a Kiev dei missili Tomahawk e Putin ha ribadito che “non cambierebbero la situazione sul campo di battaglia, ma causerebbero danni importanti alle relazioni tra i nostri Paesi e al processo di pace“.

Putin ha avvertito che l’invio dei Tomahawk all’Ucraina rappresenterebbe una “linea rossa”. Inoltre, “è stato sottolineato, in particolare, che nell’operazione militare speciale le Forze armate russe possiedono completamente l’iniziativa strategica lungo tutta la linea di contatto”, ha dichiarato Ushakov.

Ushakov ha riferito che “una delle tesi principali del presidente statunitense è stata che la fine del conflitto in Ucraina aprirebbe enormi prospettive per lo sviluppo della cooperazione economica tra Stati Uniti e Russia”.

Qualche considerazione

Il nuovo summit Trump-Putin, proprio mentre in molti parlavano di esaurimento della spinta propulsiva emersa dall’incontro in Alaska, è una sorpresa per molti ma forse non per tutti.

E’ il caso di sottolineare che poche ore prima dell’annuncio di Trump, il premier ungherese Viktor Orban aveva lanciato l’ennesima dura critica al bellicismo dell’Unione europea riprendendo gli stessi temi toccati il giorno prima dal ministro degli Esteri Peter Szijjarto.

“L’Europa è consumata da una psicosi pro-guerra. Invece, i leader devono svegliarsi e assumersi la responsabilità di raggiungere una vera pace. Il momento di negoziare è adesso!” ha scritto ieri su X il premier ungherese. Solo un caso che il tweet abbia anticipato di poco l’esito del colloquio telefonico tra Trump e Putin?

Nel suo post Orban è tornato a puntare il dito contro la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che “viaggia per il mondo parlando di guerra senza alcun mandato, mentre i trattati dell’Ue assegnano chiaramente la politica estera e di sicurezza agli Stati membri“.

Un attacco al presidente della Commissione UE non solo giustificato (persino il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius ne aveva criticato i proclami bellicosi fuori dal suo mandato) ma di certo apprezzato da questa amministrazione statunitense che non ha mai perso l’occasione per umiliare i vertici UE.

Infatti nessun leader europeo ha espresso entusiasmo per gli spiragli di pace che sembrano aprirsi, nel Parlamento Europeo i partiti che sostengono la Commissione von der Leyen esprimono scetticismo per gli esiti del summit (che deve ancora tenersi) mentre le forze di opposizione come il gruppo dei Patrioti, hanno reagito con entusiasmo alla notizia. Del resto sia Bruxelles che Kiev faranno molta fatica a mascherare sorpresa e rabbia per il fatto che sarà “l’Ungheria ribelle”, indicata spesso come putiniana e filo-russa, ad ospitare il summit tra Trump e Putin.

Non è u caso che molte reazioni politiche oggi negli ambienti che sostengono a Commissione von der Leyen non mostrino alcun apprezzamento, sostegno o speranza per il summit Putin-Trump ma evidenzino l’obbligo formale del governo ungherese di arrestare il presidente russo in base al mandato della CPI.

Del resto Orban ha sempre cercato di risolvere il conflitto con un negoziato mentre l’intera Ue chiedeva di combattere fino all’ultimo ucraino per fermare “i russi alle porte”. Il leader magiaro si fece ambasciatore (ostracizzato dall’Unione europea) del piano di pace di Trump prima ancora delle elezioni presidenziali statunitensi.

Comunque vada il vertice, per Orban sarà un grande successo e un riconoscimento da parte delle due maggiori potenze militari mondiali del rilevante ruolo politico e diplomatico ricoperto dall’Ungheria mentre per la UE e i suoi vertici costituirà l’ennesimo smacco.

Inoltre Putin verrà sul suolo dell’Unione dove dovrebbero arrestarlo in base al mandato di cattura della Corte Penale Internazionale che oggi ha ricordato oggi che dal 2023 c’è un mandato d’arresto nei confronti di Putin in relazione all’invasione russa dell’Ucraina. Un portavoce ha ribadito in dichiarazioni a Europa Press che per l’Ungheria sussiste il dovere di arrestare Putin nonostante la decisione di ritirarsi dallo Statuto di Roma annunciata nei mesi scorsi.

Il ritiro dallo Statuto di Roma è una decisione sovrana, soggetta alle disposizioni dell’articolo 127 dello Statuto – ha rimarcato il portavoce – Un ritiro diventa effettivo un anno dopo la notifica al segretario generale delle Nazioni Unite”, quindi il 2 giugno 2026. Per questo, ha insistito, “un ritiro non pregiudica i procedimenti aperti o qualsiasi altro caso già all’esame del tribunale prima che il ritiro sia effettivo”.

Invece ieri abbiamo appreso che persino le sanzioni europee poste a Putin e Lavrov, riguardano l’immobilizzazione dei loro beni nell’Unione Europea e il divieto di attività economiche o di finanziamenti da parte di soggetti che operano nell’Ue ma non impediscono loro l’ingresso nell’Unione europea.

L’unico aspetto positivo per il grosso delle nazioni aderenti alla UE è rappresentato dal fatto che se Washington rinuncerà a fornire i missili Tomahawk all’Ucraina noi europei risparmieremo un po’ di euro. Perché sia chiaro a tutti, li dovremmo pagare (o li avremmo dovuti pagare) noi.

E in ogni caso se la guerra finisse forse potremmo evitare di pagare 90 miliardi di dollari di armi americane da fornire agli ucraini.

Colto o meno di sorpresa dall’annuncio del summit, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ieri ha dichiarato che “domani è previsto un incontro con il Presidente Trump e ci aspettiamo che lo slancio nel contenere il terrorismo e la guerra, che ha avuto successo in Medioriente, aiuti a porre fine alla guerra della Russia contro l’Ucraina.

Putin non è certamente più coraggioso di Hamas o di qualsiasi altro terrorista. Il linguaggio della forza e della giustizia funzionerà inevitabilmente anche contro la Russia”.

Zelensky, grazie anche al suo background professionale. ha trovato anche una battuta efficace dichiarando che “possiamo già vedere che Mosca si affretta a riprendere il dialogo non appena sente parlare dei Tomahawk. Non deve esserci altra alternativa se non la pace e una sicurezza affidabilmente garantita ed è fondamentale proteggere le persone dagli attacchi e dalle aggressioni russe il prima possibile”.

Difficile dire se si tratti dei soliti slogan a cui l’istrionico presidente ucraino ci ha ormai abituato o se Trump abbia già imposto a Zelensky le condizioni di pace, cioè le indispensabili cessioni territoriali e condizioni di sicurezza per la Russia che Putin non ha mai smesso di porre come punto fermo per chiudere il conflitto.

Condizioni che Zelensky dovrebbe però far digerire agli ultranazionalisti in Ucraina e ai “bellicosi” in Europa.

Zelensky a Washington 

Durante l’incontro tra Trump e Zelensky oggi a Washington di contenuti veri ne sono emersi davvero pochi.  Trump sembra averci ripensato circa la  disponibilità a fornire i missili da crociera Tomahawk all’Ucraina ma sui possibili accordi di pace non ci sono novità.

Trump sostiene che Zelensky e Putin stanno “negoziando bene ma devono eliminare un po’ di odio reciproco. Ora cerchiamo di capire cose può succedere, credo che le cose ora si possono allineare bene. Riusciremo a fare finire questa guerra”.

Anche il presidente ucraino si è detto fiducioso. “Penso che Putin non sia pronto” per la fine della guerra “ma sono fiducioso che con il tuo aiuto possiamo fermarla” ha detto Zelensky, rivolgendosi al presidente americano e complimentandosi “per il successo con il cessate il fuoco in Medioriente”.

Trump ha aperto all’ipotesi di un incontro a tre. “L’incontro sarà in Ungheria perché c’è un premier che ci piace, sta facendo un ottimo lavoro e quindi abbiamo deciso di incontrarci lì. Credo che sarà un doppio incontro, avremo il presidente Zelensky in contatto, è una situazione difficile perché non si piacciono e quindi potrebbe essere un incontro a tre o forse separati. Ieri ho parlato per oltre due ore con Putin, anche lui viole che la guerra finisca“.

Più tardi la Casa Bianca ha fatto sapere che a Budapest vi saranno incontri separati e non a tre. Il presidente russo “vuole finire la guerra o non parlerebbe così“, ha aggiunto Trump.

Sui temi militari Zelensky ha proposto a Trump di scambiare i droni ucraini con i missili da crociera americani Tomahawk ma ha anche  assicurato che i russi “non stanno avendo progressi sul campo di battaglia e hanno molte perdite in termini di economia e per le persone“.

In realtà i russi continuano ad avanzare, le ultime roccaforti in Donbass sono assediate e le perdite spaventose le soffrono gli ucraini, ma la narrazione di Zelensky ha l’evidente lo scopo di aggirare il vero ostacolo su cui potrebbero infrangersi ancora una volta i negoziati. e cioè le condizioni postbelliche dell’Ucraina e la cessione di territori a Mosca.

Nello scambio di battute con i giornalisti (un po’ puerile il tenore delle risposte dei due presidenti), Trump è stato come spesso accade evasivo e non ha mai fatto riferimento a una base negoziale su cui aprire i colloqui mentre Zelensky ha fatto un confuso riferimento alla necessità di fermare la guerra sulle posizioni attuali, lasciando quindi intendere di volere un cessate il fuoco pima di negoziare. Opzione già da mesi rigettata da Mosca.

Del resto non è dato sapere se Trump ha ripetuto al presidente ucraino che non è nella posizione di dettare condizioni. ma all’aeroporto anche Trump ha parlati con i giornalisti di “fermare la guerra sull’attuale linea del fronte e che tutti tornino a casa dalle loro famiglie”.

Visione un po’ semplicistica. Non a caso dopo aver incontrato Trump, il presidente ucraino ha telefonato ad alcuni leader europei per confrontarsi con loro sul da farsi.

La variabile cubana

I missili Tomahawk che gli USA sembrava potessero eventualmente cedere a Kiev non avevano molto impressionato i russi sul piano militare (“rafforzeremo le difese aeree” aveva detto Putin) ma rischiavano di far tornare Russia e USA al un braccio di ferro tale da rievocare la crisi di Cuba e quella degli Euromissili.

Come è facile intuire Mosca non potrebbe lasciare senza risposta la provocazione di schierare a ridosso del confine russo e in una nazione esterna alla NATO missili da crociera potenzialmente in grado di trasportare testate nucleari e gestiti necessariamente da personale militare statunitense.

Per questo dovremmo chiederci quanto abbia influito, non solo nella apparente decisione di Trump di frenare sulla fornitura dei Tomahawk a Kiev ma sul contesto complessivo che ha portato i due presidenti a decidere di vedersi in un campo amichevole per entrambi (Budapest) un elemento del tutto esterno alla guerra in Ucraina e che potremmo definire la “variabile cubana”.

Anche se, come spesso accade per le notizie davvero rilevanti, i nostri media e TV non ne hanno quasi per nulla riferito, l’8 ottobre il Consiglio della Federazione Russa ha ratificato in sessione plenaria l’accordo intergovernativo di cooperazione militare con Cuba che fornisce piena base giuridica per definire gli obiettivi, le modalità e gli ambiti della cooperazione militare tra i due Paesi, rafforzando ulteriormente i legami bilaterali nel settore della difesa.

L’accordo era stato firmato il 13 marzo all’Avana e il 19 marzo a Mosca. In passato, esperti e funzionari russi avevano ipotizzato un possibile dispiegamento di sistemi militari russi nell’area caraibica, tra cui Cuba e il Venezuela. La portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, ha ribadito che eventuali decisioni in tal senso rientrano nelle competenze del ministero della Difesa ma secondo i servizi segreti militari ucraini almeno un migliaio di volontari cubani combatterebbero attualmente al fianco dei russi in Ucraina.

In base al nuovo accordo potrebbero forse venire trasferiti in Russia reparti organici dell’Esercito Cubano, come è accaduto con l’esercito della Corea del Nord.

L’accordo russo-cubano viene ratificato mentre le forze statunitensi operano al largo delle coste del Venezuela e un attacco alla nazione alleata di Mosca non viene escluso dallo stesso Trump, che ha confermato di aver autorizzato operazioni clandestine della CIA in Venezuela, come anticipato dal New York Times.

Non a caso Alexander Stepanov, dell’Istituto di Diritto e Sicurezza Nazionale dell’Accademia Presidenziale Russa di Economia Nazionale e Pubblica Amministrazione, ha dichiarato alla TASS che la ratifica dell’accordo di cooperazione militare russo-cubano, rappresenta “una risposta simmetrica alla potenziale fornitura di Tomahawk”.

“L’accordo ratificato amplia al massimo la nostra cooperazione militare e consente, nell’ambito dell’interazione bilaterale e in coordinamento con il governo della Repubblica di Cuba, di schierare praticamente qualsiasi sistema offensivo sul territorio dell’isola”.

Per intenderci, è probabile che Putin abbia spiegato a Trump che in risposta ai Tomahawk in Ucraina, la Russia potrebbe schierare i missili ipersonici Kinzhal o Oreschnik a Cuba.

In attesa di avere tra poche ore chiarimenti ulteriori dall’incontro tra Trump e Zelensky, a indurre Trump a rivalutare la cessione dei Tomahawk potrebbe aver contribuito la valutazione che mentre i missili americani subsonici verrebbero almeno in parte intercettati dalle difese aeree russe, contro i missili ipersonici russi non ci sono al momento difese efficaci negli Stati Uniti e in Europa.

Quindi il contesto che potrebbe aver dato vita al nuovo summit russo-americano potrebbe risultare molto diverso da quello raccontato da Zelensky, cioè la paura russa dei Tomahawk.

Di conseguenza le possibilità di giungere alla pace in Ucraina dipenderanno soprattutto dalla disponibilità di Zelensky e degli europei ad accettare le ben note condizioni poste da Mosca (che sta vincendo la guerra sui campi di battaglia), tese a ridefinire una cornice di sicurezza ai confini occidentali della Russia e a quelli orientali dell’Europa con l’obiettivo di concludere definitivamente il conflitto, non solo di sospenderlo a tempo determinato.

Foto: TASS, Ministero Difesa Russo, Presidenza Ucraina, Faebook/Viktor Orban

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