L’aborto negli Usa: una caso che riflette la frammentazione politica e istituzionale
Autore: Alberto Cossu 18/05/2025
L’aborto negli Stati Uniti rappresenta uno dei temi più controversi e divisivi della storia politica e sociale del Paese, con una lunga evoluzione normativa che ha riflesso e alimentato profonde tensioni culturali e ideologiche. La sua storia moderna inizia con la sentenza storica della Corte Suprema del 1973, Roe v. Wade, che ha legalizzato l’interruzione volontaria di gravidanza a livello federale, ma che è stata poi ribaltata nel 2022 durante la Presidenza Biden, lasciando gli Stati liberi di regolamentare autonomamente la materia.
Prima di Roe v. Wade, la disciplina sull’aborto era affidata ai singoli Stati, con una situazione molto frammentata: in 30 Stati l’aborto era considerato un reato, mentre in altri era consentito solo in casi molto limitati, come pericolo per la donna, stupro, incesto o malformazioni fetali. Nel 1970, le Hawaii furono il primo Stato a legalizzare l’aborto su richiesta della donna, anticipando la svolta federale. La causa Roe v. Wade nacque dal caso di Norma McCorvey, alias Jane Roe, una donna del Texas che contestava le restrizioni statali sul diritto di interrompere la gravidanza. La Corte Suprema, con una maggioranza di 7 a 2, riconobbe che il diritto all’aborto rientrava nella sfera della privacy tutelata dal 14° emendamento della Costituzione, sancendo così un diritto costituzionale che limitava l’ingerenza statale fino al momento in cui il feto non fosse in grado di sopravvivere fuori dall’utero, generalmente intorno alla 24ª settimana di gravidanza. Questa sentenza rappresentò una svolta epocale, stabilendo un equilibrio tra il diritto della donna e l’interesse dello Stato a proteggere la vita prenatale.
Negli anni successivi, però, la questione è rimasta fortemente politicizzata e oggetto di scontro tra gruppi pro-choice, favorevoli al diritto all’aborto, e gruppi pro-life, contrari all’interruzione di gravidanza. Negli anni ’80 e ’90, l’opposizione all’aborto si è organizzata in lobby potenti e iniziative legislative volte a limitare l’accesso all’aborto. A livello federale, sono stati approvati emendamenti che limitano i finanziamenti pubblici all’aborto, come l’emendamento Hyde, che vieta l’uso di fondi federali per finanziare aborti tranne che in casi di stupro, incesto o pericolo per la vita della donna.
La situazione è radicalmente cambiata nel 2022, quando la Corte Suprema ha ribaltato la sentenza Roe v. Wade con la sentenza Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, eliminando la protezione federale del diritto all’aborto e restituendo ai singoli Stati la facoltà di legiferare liberamente in materia. Questo ha portato a una frammentazione normativa senza precedenti: alcuni Stati hanno vietato l’aborto quasi completamente, mentre altri hanno rafforzato le garanzie di accesso.
Attualmente, circa 19 Stati vietano l’aborto con divieti totali o quasi totali, spesso a partire da 6 settimane di gravidanza, un termine molto precoce che rende di fatto impossibile l’accesso all’interruzione di gravidanza. Tra questi Stati vi sono Texas, Alabama, Arkansas, Mississippi, Oklahoma, South Dakota, Tennessee, e altri. Alcuni Stati come Florida, Georgia, Iowa e South Carolina hanno introdotto divieti molto restrittivi con limiti a 6 settimane. Altri Stati impongono restrizioni intermedie, con divieti dopo 12 o 18 settimane, come Nebraska, North Carolina e Utah.
Dall’altra parte, ci sono Stati che tutelano e garantiscono il diritto all’aborto, spesso inserendolo nella propria Costituzione o con leggi che ne assicurano l’accesso fino alla 24ª settimana o oltre. Tra questi Stati “abortisti” figurano California, New York, Colorado, Maryland, Massachusetts, Oregon, Washington, e altri. Alcuni Stati hanno recentemente approvato referendum per rafforzare la protezione costituzionale del diritto all’aborto, come Arizona, Colorado, Maryland, Nevada, New York, Montana, Florida, Nebraska, South Dakota e Missouri.
Due esempi emblematici che mostrano il divario tra Stati sono il Texas e New York. Il Texas rappresenta il modello più restrittivo: dal settembre 2021 è in vigore la legge SB 8, che vieta l’aborto già a partire da circa 6 settimane di gravidanza, senza eccezioni per stupro o incesto. La legge permette a privati cittadini di fare causa a chiunque aiuti o esegua aborti dopo questo limite, con ricompense pecuniarie, creando un meccanismo di controllo diffuso e difficile da contrastare legalmente. Questo ha portato alla chiusura di molte cliniche e ha costretto molte donne a cercare assistenza in altri Stati. Anche in casi di grave rischio per la salute della donna, l’accesso all’aborto è fortemente limitato e soggetto a battaglie legali.
Al contrario, New York ha una legislazione molto più permissiva e protettiva. L’aborto è legale fino a 24 settimane e può essere consentito anche oltre in caso di pericolo per la salute della donna o anomalie fetali incompatibili con la vita. Nel novembre 2024, un referendum ha rafforzato la protezione costituzionale del diritto all’aborto nello Stato, inserendo esplicitamente il diritto all’autonomia riproduttiva nella Costituzione di New York. Questo garantisce un accesso più sicuro e tutelato all’interruzione di gravidanza, in netto contrasto con le restrizioni texane.
Queste differenze riflettono anche le profonde divisioni politiche che attraversano il Paese e i partiti stessi. L’aborto è diventato uno dei temi più divisivi all’interno del Partito Repubblicano, che vede una forte componente conservatrice e religiosa contraria all’aborto, ma anche alcune posizioni più moderate o libertarie. Nel Partito Democratico, invece, il diritto all’aborto è generalmente considerato un principio fondamentale, con un forte sostegno alle politiche di accesso e tutela della salute riproduttiva. Questa polarizzazione ha reso l’aborto un tema centrale nelle campagne elettorali, nelle elezioni di midterm e presidenziali, e nei referendum statali, influenzando l’orientamento politico degli elettori e la composizione dei tribunali.
A livello federale, nonostante l’assenza di un divieto nazionale, sono in corso iniziative politiche per limitare ulteriormente l’aborto, come la proposta di legge H.R. 722, che mira a vietare l’aborto basandosi su un’interpretazione estensiva del 14° emendamento, riconoscendo diritti legali al concepito sin dal concepimento.
In conclusione, l’aborto negli Stati Uniti è un tema che ha attraversato una lunga evoluzione storica, da un regime di divieti diffusi a una tutela federale sancita da Roe v. Wade, fino al ritorno a una legislazione frammentata e polarizzata dopo il 2022. Le differenze tra Stati come Texas e New York illustrano chiaramente come il diritto all’aborto sia oggi profondamente legato alle dinamiche politiche e culturali locali, riflettendo e alimentando le divisioni di un Paese che continua a confrontarsi con uno dei temi più sensibili e decisivi della sua storia contemporanea.
Un analisi particolarmente illuminante riguardo alle cointeressenze e alle affinità che si articolano e intersecano lungo le dinamiche del conflitto geopolitico tra stati e centri decisori_Giuseppe Germinario
Proprio come l’Occidente ha i suoi vari canali “China Watching”, la Cina ospita numerose piattaforme “America Watching”. Tra questi blog e podcast, trovo che l’analisi di Wang Haolan sia tra le più perspicaci.
Wang è assistente di ricerca presso il Center for China Analysis dell’Asia Society Policy Institute, specializzato in politica ed elezioni americane, nonché in politica cinese. La sua posizione al di fuori delle istituzioni tradizionali cinesi gli consente di offrire osservazioni sull’America indipendenti dalle prospettive tipicamente presenti nei think tank cinesi più affermati come il CASS.
Oltre ai suoi contributi ai principali media della Cina continentale e di Hong Kong, Wang gestisce il suo blog WeChat “Lanmu” (《岚目》), che ha ottenuto un notevole riconoscimento nel mondo del giornalismo internazionale cinese. Appare regolarmente come commentatore ospite nel podcast politico americano in lingua cinese ” The American Roulette ” (《美轮美换》). E se avrete l’opportunità di cenare con lui, scoprirete che, essendo originario di Tianjin, il suo gusto per la cucina cinese è davvero impeccabile.
Wang Haolan
Ringrazio il mio amico Wang per avermi autorizzato a pubblicare la sua analisi del Partito Democratico a questo bivio.
Con l’avvicinarsi del cruciale traguardo dei 100 giorni della seconda amministrazione di Trump, molteplici ondate di proteste hanno colpito gli Stati Uniti. Contemporaneamente, il consenso personale di Trump è crollato drasticamente, avvicinandosi ai livelli storicamente più bassi del suo primo mandato. Questa reazione pubblica contro Trump e la governance repubblicana ha offerto al Partito Democratico, che ha subito una sconfitta totale alle elezioni dello scorso anno e da allora è stato afflitto da lotte intestine e vuoti di leadership, l’opportunità di riorganizzarsi e riprendere fiato.
Sebbene l’immagine politica del Partito Democratico rimanga in gran parte negativa agli occhi della maggior parte degli elettori, e le ideologie e le politiche neoliberiste adottate durante l’era Obama-Biden siano ancora respinte dall’elettorato come “errori del passato”, le turbolenze politiche ed economiche interne e internazionali create dal ritorno al potere dei Repubblicani hanno in qualche modo convalidato la precedente “strategia dello struzzo” della leadership democratica. Il loro approccio di resistenza passiva – che ha permesso a Trump e ai Repubblicani di avere carta bianca per attuare il loro programma e innescare la resistenza degli elettori – ha effettivamente dimostrato una certa efficacia.
Tuttavia, i problemi politici interni del Partito Democratico, in particolare i conflitti ideologici tra le diverse fazioni e il divario generazionale tra leader nuovi e affermati, non possono essere risolti semplicemente migliorando i sondaggi e promettendo prospettive per le elezioni di medio termine. Gli attuali dibattiti sulla direzione futura e sull’ideologia fondamentale del partito derivano essenzialmente dal completo ripudio del paradigma democratico dominante degli ultimi due decenni. Questo paradigma, che promuoveva il liberalismo postmoderno (sostenendo tolleranza e diversità sulle questioni sociali e abbracciando al contempo la globalizzazione e l’innovazione tecnologica in ambito economico) e si basava su una coalizione di bianchi liberal e minoranze (elettori afroamericani, latinoamericani e asiaticoamericani) per vincere le elezioni, è stato nettamente respinto dai risultati delle elezioni del 2024.
Mentre la vittoria di Trump del 2016 potrebbe essere spiegata da fattori come l’eccessiva sicurezza di Hillary Clinton, l’interferenza dell’ultimo minuto di Comey nelle indagini via email e la curiosità sperimentale degli elettori nei confronti di un nuovo arrivato in politica, la sconfitta del 2024 ha dimostrato che il trumpismo – o Trump stesso – ha sfatato con successo la tanto amata teoria politica dei Democratici di una “maggioranza democratica emergente”. Dopo aver vissuto i quattro anni di elevata crescita economica di Biden abbinati a un’inflazione elevata, e aver assistito all’adozione di iniziative per la diversità, l’equità e politiche migratorie indulgenti che hanno innescato una crisi di confine, gli elettori americani non solo hanno scelto di reintegrare Trump – la figura controversa che ha perso la rielezione quattro anni fa e si è nascosta all’ombra del 6 gennaio – ma molti elettori operai e appartenenti alle minoranze hanno compiuto inaspettati cambiamenti politici, squarciando direttamente il velo del ruolo autoproclamato dei Democratici di paladini e protettori della classe operaia e delle minoranze etniche.
I fatti dimostrano che, nonostante l’amministrazione Biden abbia attuato numerose politiche per soddisfare gli elettori operai del Midwest – che si trattasse del mantenimento di molti dei dazi di Trump, dell’approvazione di leggi per promuovere il reshoring manifatturiero attraverso la politica industriale, o del costante impegno a dare priorità ai lavoratori americani sia in politica interna che estera – nulla di tutto ciò è riuscito a convincere questi elettori, un tempo fondamento del sostegno democratico, a tornare. Al contrario, Harris ha assistito a un’ulteriore erosione del sostegno operaio. Nel frattempo, la spinta alla diversificazione sociale iniziata sotto Obama, fiorita durante il primo mandato di Trump e che ha raggiunto il suo apice sotto Biden – DEI, azioni positive, politiche migratorie indulgenti, enfasi sul multiculturalismo – non è riuscita ad aiutare i Democratici a mantenere un elevato sostegno tra gli elettori delle minoranze. I risultati delle elezioni del 2024 mostrano che, fatta eccezione per la comunità afroamericana che, a causa di fattori storici e sociali unici, è rimasta saldamente democratica senza subire un declino significativo, altri gruppi minoritari abbracciati dai democratici e le cui politiche sociali di sinistra avrebbero teoricamente dovuto attrarre – elettori latini e asiatici – hanno subito un sostanziale spostamento a destra.
Pertanto, a differenza delle precedenti perdite di potere nel 2000 e nel 2016, quando i presidenti democratici avevano completato con successo due mandati e perso per un soffio contro i repubblicani, seguendo il naturale schema dell’alternanza di partito, senza che l’immagine politica e la direzione politica consolidata del loro partito venissero completamente ripudiate, il Partito Democratico post-2024 si trova in un periodo di trasformazione politica forzata che ricorda gli anni ’80, dopo la devastante sconfitta di Carter contro Reagan e il completo collasso della coalizione del New Deal. Il vecchio copione non funziona più, ma l’intero partito non sa quale direzione prendere o chi potrebbe essere il nuovo leader democratico più appropriato. Per sfuggire completamente a questa confusione politica, i Democratici hanno bisogno di qualcuno che possa assumere il ruolo di leader del partito per una nuova era su scala nazionale. Ma il problema è che il sistema politico americano – sistema presidenziale più federalismo – impedisce al partito di opposizione di nominare un leader di opposizione formale come nei sistemi parlamentari/di Westminster. Anche se i Democratici controllassero entrambe le Camere del Congresso (e attualmente sono in minoranza in entrambe), i leader del Congresso, non essendo eletti dagli elettori nazionali e spesso limitati dalla natura delle loro posizioni a essere semplici fanatici del partito privi di un’immagine e di una posizione politica distintive, faticano a svolgere efficacemente il ruolo di leader dell’opposizione. Pertanto, nel sistema politico americano, spesso solo quando emerge un nuovo candidato presidenziale si instaura una strategia nazionale unitaria. In altre parole, fino alla conclusione delle primarie del 2028, i Democratici rimarranno probabilmente nell’attuale stato di caos senza via d’uscita, con varie fazioni in lotta accanita per il controllo della narrativa del partito.
D’altra parte, l’attuale immagine pubblica del Partito Democratico, caratterizzata da frequenti lotte intestine, deriva da conflitti generazionali e da problemi di riforma istituzionale interna. Sebbene Democratici e Repubblicani siano i due principali partiti che dominano congiuntamente la politica americana, i loro ecosistemi politici differiscono radicalmente a causa delle loro distinte storie politiche e della composizione degli elettori (ciò che i politologi chiamano “polarizzazione asimmetrica”). Fin dalla sua fondazione, il Partito Democratico è stato ideologicamente eterogeneo, essenzialmente una coalizione politica poco strutturata, composta da gruppi e demografie diverse. Alla sua nascita, nel XIX secolo, il partito era già una strana alleanza politica tra lavoratori delle minoranze etniche del Nord (irlandesi e italiani) e nuovi immigrati, insieme ai proprietari terrieri del Sud. A metà del XX secolo, la coalizione del New Deal di Roosevelt, che dominò la politica americana per quasi cinquant’anni, era parimenti un’alleanza bizzarra che trascendeva l’etnia e l’ideologia. Dopo il movimento per i diritti civili, sebbene i democratici perdessero gradualmente la loro presa sul solido Sud, mantennero comunque una base multietnica composta da una parte significativa di bianchi conservatori insieme a liberali urbani e minoranze afroamericane.
Anche se la polarizzazione politica ha spinto entrambi i partiti verso un’unità ideologica interna, con i Democratici che hanno ampiamente eliminato i conservatori del Sud che un tempo costituivano un terzo del partito (mentre i Repubblicani hanno perso elettori repubblicani Rockefeller/liberal nel New England), l’indice di purezza ideologica del Partito Democratico è ancora inferiore a quello dei Repubblicani. Questa tradizione storica di numerose fazioni locali, fazioni ideologiche e fazioni etniche ha reso il partito molto “conservatore” nel suo assetto politico istituzionale interno, preservando un sostanziale protezionismo localista e un’estrema riverenza per i sistemi di anzianità (che onorano gli anziani rispetto ai giovani).
Ad esempio, i Democratici richiedevano ai loro candidati presidenziali di ottenere il sostegno di una maggioranza di due terzi alle convention fino alla metà del XX secolo, concedendo di fatto il potere di veto ai Democratici degli stati del Sud che controllavano un terzo dei delegati. Sebbene questo potere di veto sia stato poi abolito con il passare del tempo, i Democratici rimasero riluttanti a nominare candidati presidenziali provenienti da fuori dalle loro tradizionali roccaforti: la costa orientale, il Sud e, al massimo, il Midwest. Quindi, sebbene il contingente californiano esercitasse un’enorme influenza a Capitol Hill sotto la guida di Pelosi, fino a quando Harris non sostituì inaspettatamente Biden come candidato per il 2024, i Democratici non avevano mai schierato un candidato presidenziale proveniente dalla costa occidentale/dagli stati occidentali. Queste tensioni regionali – che si tratti della nuova roccaforte democratica sulla costa occidentale e delle tradizionali élite politiche della costa orientale, o dei Democratici del Midwest della Rust Belt e del Sud della Sun Belt, intrappolati nella lotta tra le figure dell’establishment costiero per ottenere influenza – rappresentano un significativo catalizzatore storico per l’attuale conflitto interno al partito.
Nel frattempo, dopo il ritiro forzato di Biden nel 2024 a causa di problemi di età e salute, le discussioni sull’età della leadership e sulla transizione generazionale all’interno del Partito Democratico sono esplose. Per anni, poiché i Democratici del Congresso non hanno imposto limiti di mandato ai leader del partito e ai presidenti di commissione come hanno fatto i Repubblicani (ad eccezione delle posizioni di Speaker/Leader della Maggioranza), la gerontocrazia ha prosperato all’interno del caucus congressuale democratico. Il precedente triumvirato di leader dei Democratici della Camera che ha detenuto il potere per oltre un decennio (Pelosi/Hoyer/Clyburn) aveva tutti ottant’anni alla fine del suo mandato, e i presidenti di commissione erano per lo più settantenni e ottantenni che avevano prestato servizio al Congresso per oltre trent’anni. Mentre la leadership democratica al Senato ha mostrato una maggiore fluidità rispetto alle controparti della Camera, ci sono ancora casi come Whip Durbin che ha ricoperto la carica di numero due per 22 anni. Con l’uscita forzata di Biden, criticare la gerontocrazia è passato dall’essere un argomento politicamente sensibile a un consenso all’interno del Partito Democratico. Negli ultimi mesi, numerosi leader democratici più anziani sono stati costretti a dimettersi, sostituiti per lo più da membri più giovani di mezza età (al Congresso, i 50-60enni sono considerati giovani), e diversi rappresentanti e senatori più anziani hanno annunciato o pianificano di annunciare il loro ritiro. Questo cambio generazionale continuerà a fermentare e, in ultima analisi, a plasmare il posizionamento strategico dell’intero Partito Democratico per il 2026 e il 2028.
Fazioni/ideologie del partito e atteggiamenti verso Trump/repubblicani
Attualmente, il Partito Democratico è caratterizzato da molteplici filosofie politiche e visioni contrastanti per la direzione futura del partito, che possono essere suddivise in tre fazioni: l’establishment tradizionale, i progressisti e i conservatori moderati.
La fazione dell’establishment, o liberal mainstream all’interno del partito, si riferisce ai “liberali” che hanno saldamente occupato il mainstream democratico fin dall’era Clinton, abbracciando la diversità progressista sulle questioni sociali e aderendo al neoliberismo in materia economica. In quanto fazione dominante e principali beneficiari della crescita economica americana negli ultimi decenni, i democratici dell’establishment generalmente enfatizzano la stabilità istituzionale, sostengono riforme graduali e preferiscono mantenere gli attuali quadri diplomatici, di sicurezza e commerciali. I Democratici dell’establishment accettano ampiamente il sistema capitalista americano; pur mantenendo il sostegno ai colletti blu, non rifiutano la cooperazione e la prosperità reciproca con le aziende, in particolare Wall Street e la Silicon Valley. Rappresentano i liberal mainstream del nuovo secolo, favorevoli alla globalizzazione e alla “Terza Via”. Tuttavia, negli ultimi anni, a causa dell’ascesa delle forze populiste e del trumpismo, i Democratici dell’establishment hanno iniziato ad assorbire alcuni sentimenti anti-globalizzazione e ad abbracciare il populismo economico/protezionismo commerciale che favorisce la delocalizzazione manifatturiera.
L’organizzazione rappresentativa del partito per l’establishment è la New Democratic Coalition, composta da circa 100 membri della Camera. Tra le figure rappresentative figurano leader del partito come il leader della minoranza al Senato Schumer e il leader della minoranza alla Camera Jeffries, oltre agli ex presidenti Obama e Clinton. Per quanto riguarda Biden, sebbene il suo mandato al Senato si sia generalmente allineato al mainstream ideologico del partito – evidenziando forti caratteristiche dell’establishment – il suo approccio di governo presidenziale assomiglia in realtà più a una versione democratica di America First, con marcati elementi populisti economici e progressisti. Pertanto, dopo che gli elettori hanno giudicato l’amministrazione Biden un fallimento, molti democratici hanno iniziato a chiedersi se questa combinazione di sinistra economica, sinistra sociale e politica d’élite rimanga un percorso politico praticabile a lungo termine.
La fazione dell’establishment mantiene una posizione fortemente unitaria nei confronti di Trump, opponendosi in modo uniforme al trumpismo per motivi ideologici, considerando Trump una minaccia per le istituzioni democratiche e un fascista contemporaneo. Soggettivamente, sono fermamente impegnati ad opporsi e resistere a Trump, rifiutando una cooperazione proattiva. Tuttavia, l’establishment possiede allo stesso tempo quella che potremmo definire una mentalità di governo naturale: non sopporta di vedere le istituzioni politiche americane e gli interessi legati al governo subire danni o sconvolgimenti eccessivi, e rimane disposto a garantire che i finanziamenti governativi e gli stanziamenti annuali procedano senza ritardi nei momenti critici. Molti esponenti democratici dell’establishment stanno anche riconsiderando se la loro opposizione istintiva a tutto ciò che riguarda Trump negli ultimi otto anni abbia creato un’immagine unidimensionale e calcificata dei Democratici agli occhi degli elettori, facendo loro perdere il carattere distintivo e l’attrattiva politica. Questo spiega perché, sotto la guida della leadership del Congresso, i Democratici di entrambe le Camere hanno sostanzialmente fallito nell’organizzare una resistenza attiva alle politiche dell’amministrazione Trump, adottando invece una risposta passiva: restare a guardare la governance di Trump creare caos sociale, economico e diplomatico, preparandosi a uscirne indenni e a beneficiare delle future oscillazioni dell’opinione pubblica e dell’effetto pendolo/vantaggi strutturali che naturalmente derivano ai partiti di opposizione nelle elezioni di medio termine. Dato il graduale miglioramento dello slancio dei Democratici nei sondaggi di medio termine, questa strategia passiva di finta morte, pur facendo infuriare la base del partito e spingendo molti Democratici a sostenere apertamente le primarie di leader dell’establishment come Schumer, rimane un approccio semplice ed efficace a lungo termine per gestire Trump.
La fazione progressista è attualmente la più attiva e politicamente attiva all’interno del Partito Democratico. I progressisti rappresentano in generale il polo ideologico di sinistra più radicale all’interno del partito, condividendo con il trumpismo caratteristiche populiste e anti-establishment/anti-sistema. Sulle questioni economiche, i progressisti sostengono politiche di sinistra radicale come Medicare for All, il Green New Deal e la cancellazione dei prestiti studenteschi, sostenendo l’introduzione di imposte sul patrimonio, la limitazione del potere delle aziende e la rottura dei monopoli. Sulle questioni sociali, abbracciano con convinzione la diversità, impegnandosi a fondo per affrontare la “discriminazione e il razzismo sistemici” americani, sostenendo al contempo percorsi di legalizzazione per gli immigrati clandestini. In politica estera, i progressisti tendono al non-interventismo e al multilateralismo, mantenendo una posizione critica nei confronti del complesso militare-industriale americano e della sua persistente elevata spesa per la difesa, e rifiutando generalmente di fornire sostegno incondizionato a Israele.
Attualmente, circa 96 membri democratici appartengono all’organizzazione progressista – il Congressional Progressive Caucus – con il senatore del Vermont Sanders e la deputata di New York Alexandria Ocasio-Cortez (AOC) come indiscussi portabandiera. Di recente, Sanders e AOC hanno collaborato in un tour nazionale tenendo discorsi critici nei confronti della politica “oligarchia”, attirando una notevole attenzione da parte degli elettori e dei media. La loro capacità di attrarre grandi folle anche negli stati conservatori repubblicani suggerisce che il populismo economico e le politiche anti-oligarchia abbiano il potenziale per trascendere i tradizionali confini geografici tra repubblicani e repubblicani e le divisioni politiche tra aree urbane e rurali. Tuttavia, dopo la svolta a destra a livello nazionale del 2024 e il ripudio dell’approccio di governo di stampo progressista dell’amministrazione Biden, rimane altamente dubbio che i Democratici sceglieranno di proseguire su una strada populista di sinistra. Data l’età di Sanders, è chiaro che voglia passare la fiaccola progressista alle generazioni più giovani come AOC. Ma la domanda rimane: AOC, che ha ormai 36 anni, si candiderà alla presidenza nel 2028 come membro della Camera (solitamente, tali credenziali politiche non sarebbero sufficienti ad AOC per distinguersi in una primaria presidenziale)?
Riguardo a Trump, i Democratici progressisti nutrono ovviamente un’antipatia ancora maggiore nei suoi confronti e nei confronti del trumpismo rispetto all’establishment. Negli ultimi anni, i Democratici progressisti hanno costantemente e chiaramente chiesto conto delle responsabilità penali di Trump negli eventi del 6 gennaio, definendolo autoritario e razzista, mentre l’intero Partito Repubblicano, sotto la guida del trumpismo, si è evoluto in un “partito di destra estremamente irragionevole”. La strategia progressista nei confronti di Trump si basa essenzialmente su tattiche da terra bruciata – combattere Trump fino alla fine senza alcuna concessione, persino disposti a usare chiusure governative e inadempienze sul tetto del debito come merce di scambio – linee rosse politiche che i Democratici tradizionali esitano a oltrepassare. Tuttavia, sebbene questo approccio progressista trovi profonda risonanza tra gli elettori della base democratica, non può ancora influenzare direttamente le decisioni strategiche della leadership del partito. Da qui la svolta di Sanders e AOC verso la mobilitazione dal basso, usando comizi e discorsi come forme alternative di resistenza.
I conservatori moderati rappresentano la controparte progressista del Partito Democratico, posizionandosi più a centro-destra sullo spettro ideologico rispetto all’establishment del partito. Provengono principalmente da distretti indecisi/stati repubblicani dove il sostegno democratico è debole o dove l’etichetta stessa del partito rappresenta un grave ostacolo. Storicamente, i Democratici hanno avuto numerosi membri moderato-conservatori provenienti dal Sud, ma con il graduale abbandono della scena politica da parte di questi tradizionali Democratici del Sud a causa della polarizzazione e della trasformazione politica del Sud, i membri moderati del partito provengono sempre più da aree rurali agricole e sobborghi benestanti, resti della vecchia coalizione democratica o territori indecisi recentemente competitivi. Questi Democratici centristi mantengono generalmente posizioni politiche moderate, opponendosi a riforme radicali e iniziative per la diversità su questioni sociali. Alcuni si oppongono persino al diritto all’aborto (ora estremamente raro) e riconoscono la linea dura di Trump e dei Repubblicani su immigrazione e sicurezza delle frontiere. Sulle questioni economiche, sostengono il conservatorismo fiscale e sono riluttanti a concedere al governo un ruolo espansivo nella vita economica.
Tra questi membri, figure rappresentative potrebbero includere l’ex senatore della Virginia Occidentale Manchin, che ha lasciato il Congresso, mentre gli attuali membri includono i soli dieci Democratici Blue Dog rimasti alla Camera. A livello statale, diversi governatori del Sud come Beshear del Kentucky e Stein della Carolina del Nord corrispondono a questo profilo democratico. Com’era prevedibile, i Democratici moderati danno priorità alle opinioni degli elettori locali, convinti che le passate sconfitte elettorali del partito derivino in gran parte dal distacco dell’immagine politica d’élite e dell’agenda politica dei Democratici dalla società americana dominante. Affinché i Democratici rimangano competitivi in futuro, devono allinearsi proattivamente ideologicamente con il popolo americano (ad esempio, modificando l’atteggiamento nei confronti dell’immigrazione, enfatizzando la forza maschile evitando un’eccessiva femminilizzazione e intellettualizzazione, e promuovendo posizioni patriottiche), essenzialmente virando a destra come fece Clinton con la Terza Via.
Pertanto, questi democratici moderati non vogliono interrompere completamente i canali di cooperazione e comunicazione con i repubblicani e Trump, sostenendo che il partito dovrebbe evitare l’approccio “opporsi a Trump a tutti i costi” degli ultimi otto anni. I democratici moderati condannano Trump personalmente e le sue misure estreme, ma mantengono la volontà di collaborare con i repubblicani moderati, in particolare su questioni di difesa e sicurezza.
Le prospettive delle elezioni di medio termine e presidenziali per ciascuna fazione
Nel complesso, i disaccordi politici e le dispute strategiche tra le tre principali fazioni del Partito Democratico non avranno un impatto significativo sulle prospettive e sul posizionamento strategico del partito alle elezioni di medio termine. Le elezioni di medio termine sono diverse dalle elezioni presidenziali: non sono confronti comparativi tra due partiti e due candidati presidenziali, ma piuttosto una valutazione unilaterale della performance del partito di governo negli ultimi due anni. La storia politica moderna degli Stati Uniti dimostra ripetutamente che le elezioni presidenziali e di medio termine esistono in ecosistemi politici completamente diversi, con innumerevoli esempi di partiti che hanno ottenuto vittorie schiaccianti e un controllo unificato solo per subire sconfitte schiaccianti e perdere entrambe le Camere due anni dopo. Il principale vantaggio del partito di opposizione alle elezioni di medio termine risiede nella composizione dell’elettorato che favorisce naturalmente il partito opposto. Gli elettori delle elezioni di medio termine spesso esprimono insoddisfazione nei confronti dell’attuale amministrazione votando per i candidati dell’opposizione al Congresso e alla carica di governatore. Pertanto, ciò che fanno i democratici stessi, la loro situazione attuale o se hanno un’ideologia e un orientamento politico unificati non sono cruciali: ciò che conta sono i tassi di approvazione dei repubblicani e di Trump.
Attualmente, il consenso dei Repubblicani e di Trump al governo è già sceso a circa il 40%, poco dopo il traguardo dei cento giorni. Considerando che questo periodo dovrebbe ancora essere considerato la fase di “luna di miele” di Trump o la sua fase finale, il suo sostegno potrebbe continuare a calare, con l’ulteriore impatto dei dazi e dell’inflazione sull’economia americana. A meno che non si interrompano gli schemi storici, la vittoria dei Democratici alle elezioni di medio termine e la riconquista del controllo della Camera dovrebbero essere una conclusione scontata. Il Senato, dato l’ampio margine di errore dei Repubblicani e i vantaggi strutturali nella mappa elettorale, presenta una sfida diversa: la capacità dei Democratici di ribaltare il controllo dipenderà da quanto impopolare Trump diventerà entro la metà del suo secondo mandato.
Dato che le elezioni di medio termine eleggeranno probabilmente un numero considerevole di nuovi membri/governatori democratici provenienti da distretti/stati indecisi, le fila dei democratici centristi moderati dovrebbero espandersi dopo le elezioni di medio termine. Se i democratici otterranno l’auspicata vittoria di medio termine, la strategia dello struzzo dell’establishment riceverà una riluttante convalida dagli elettori e il controllo continuo del potere e della macchina politica da parte della leadership del Congresso diventerà altamente probabile. L’unica suspense: con molti membri democratici più anziani che si ritirano volontariamente o sotto pressione, i loro sostituti saranno figure dell’establishment mainstream o i progressisti attualmente in ascesa? L’ulteriore espansione delle fila progressiste – in particolare superando l’attuale concentrazione nei distretti sicuri urbani e di matrice democratica – determinerà in larga misura la loro accettazione da parte degli elettori neri della minoranza ideologicamente “conservatrice” del partito alle primarie presidenziali del 2028.
Per quanto riguarda le elezioni del 2028, ancora a più di tre anni di distanza, la svolta definitiva dei Democratici a sinistra o a destra dipenderà dal contesto politico-economico americano nel biennio 2027-2028. In altre parole, affinché i Democratici abbiano successo nel 2028, devono trovare un candidato che corrisponda ai desideri degli elettori americani del 2028: hanno avuto successo nel 2020, hanno chiaramente fallito nel 2024, ma finché non arriverà quel momento critico, nessuno sa cosa vogliano veramente gli elettori o se gli elettori delle primarie accetteranno nuovi candidati che si discostano troppo dai percorsi consolidati.
Gli atteggiamenti delle fazioni democratiche verso la Cina
Tra le varie fazioni del Partito Democratico, le differenze generali negli atteggiamenti e nelle posizioni politiche sulla Cina non sono estremamente pronunciate, ma a differenza dei Repubblicani, non considerano l’ostilità generalizzata e l’aggressività nei confronti della Cina come l’unica ortodossia politica. In generale, i Democratici mainstream hanno accettato il cambiamento strategico nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina, da un approccio basato sull’impegno a uno basato sulla competizione, avvenuto negli ultimi anni, ma ogni fazione ha le proprie priorità politiche distinte riguardo ad approcci e aree specifiche.
L’establishment domina chiaramente il quadro politico di base del Partito Democratico sulla Cina. Le figure dell’establishment democratico in genere sottolineano il mantenimento della stabilità bilaterale nel contesto della “competizione strategica”. Sostengono di evitare conflitti diretti, promuovendo al contempo una limitata cooperazione con la Cina attraverso meccanismi diplomatici e multilaterali, in particolare nella governance climatica globale, nel controllo delle pandemie e nella non proliferazione nucleare. Rappresentanti dell’establishment come l’ex presidente Biden e Schumer enfatizzano la “cooperazione all’interno della competizione”, tentando di limitare l’ascesa della Cina attraverso regole e sistemi di alleanze, preservando al contempo finestre di cooperazione su questioni globali. È stato proprio l’establishment, insieme ai moderati, a sostenere il divieto di TikTok nonostante l’opposizione progressista all’interno del partito, salvo poi tirarsi indietro quando il divieto stava per entrare in vigore.
I centristi moderati condividono posizioni simili sulla Cina con l’establishment, adottando generalmente una linea più dura nei confronti della Cina e concentrandosi sulla rilocalizzazione della produzione, sulla sicurezza della catena di approvvigionamento e sulla competizione tecnologica. Molti democratici centristi moderati provengono da contesti di difesa, sicurezza e intelligence, enfatizzando la sicurezza nazionale e sostenendo che la politica statunitense nei confronti della Cina dovrebbe dare priorità all’equità commerciale, alla protezione della proprietà intellettuale e alla sicurezza nazionale, mantenendo una maggiore cautela nelle relazioni economiche con la Cina. Tuttavia, su questioni di “sicurezza dura” come la lotta alla criminalità transnazionale, la sicurezza informatica e l’antiterrorismo, i centristi ritengono possibile una cooperazione pragmatica con la Cina, preferendo un approccio “prima difendere, poi cooperare” alla gestione delle relazioni con la Cina.
I Democratici Progressisti rappresentano probabilmente gli ultimi sostenitori della Cina di quest’epoca, preferendo sminuire il confronto geopolitico e ritenendo che Stati Uniti e Cina non debbano procedere verso un conflitto militare o una nuova Guerra Fredda. Sebbene i progressisti amino enfatizzare le questioni dei diritti umani, danno maggiore priorità alla giustizia sociale globale e alla cooperazione multilaterale, sostenendo una cooperazione sostanziale con la Cina sulla transizione energetica verde, la riduzione della povertà globale e l’equità sanitaria. I legislatori progressisti rappresentati da AOC e Sanders generalmente propugnano la sostituzione del contenimento con la cooperazione, spingendo la Cina ad assumersi maggiori responsabilità nei programmi di sviluppo globale piuttosto che isolarla e avviare un nuovo confronto da Guerra Fredda e una struttura bipolare.
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L’ultimo articolo del Telegraph illustra la presunta strategia russa, denominata “tripla morsa”, responsabile degli arretramenti e delle perdite territoriali subite dall’Ucraina negli ultimi tempi:
Il termine e il concetto sembrano essere stati ripresi da un articolo del Center for European Policy Analysis del mese scorso, di cui parleremo in seguito. Ma prima esaminiamo il pezzo del Telegraph, che almeno fornisce qualche immagine per visualizzare meglio la presunta tattica russa.
L’articolo inizia con un esperto ucraino che dà credito al concetto:
L’anno scorso, secondo quanto riferito al The Telegraph, c’erano stati i primi segnali che la Russia stava impiegando questa tattica sul campo di battaglia, ma negli ultimi due mesi gli eserciti di Mosca ne hanno aumentato significativamente l’uso lungo la linea del fronte.
“L’intero esercito russo sta utilizzando la strategia del triangolo”, ha dichiarato Serhii Kuzan, presidente del Centro ucraino di sicurezza e cooperazione. “La chiamiamo strategia e guerra di esaurimento”.
Ci permettiamo anche di dire che di recente in Ucraina e in Occidente si sono moltiplicati i riconoscimenti del fatto che la Russia è passata a una strategia di logoramento, per quanto ovvio possa essere per noi. Persino Zaluzhny è stato costretto a ribadirlo in una nuova intervista:
Si noti il suo accenno al deterioramento delle condizioni dell’Ucraina, che si inserisce nel tema successivo di questo rapporto:
Nelle condizioni attuali – con un’enorme carenza di risorse umane e la catastrofica situazione economica che stiamo affrontando – possiamo solo parlare di una guerra di sopravvivenza ad alta tecnologia. Una guerra che utilizza risorse umane e mezzi economici minimi per ottenere il massimo effetto. L’Ucraina è semplicemente incapace di combattere qualsiasi altro tipo di guerra, date le sue realtà demografiche ed economiche, e non dovremmo nemmeno prendere in considerazione questo pensiero”.
Ricordiamo che era stato Zaluzhny a sostenere la necessità di “bot al plasma clandestini” per rompere il cosiddetto “stallo” strategico del fronte.
Il Telegraph sottolinea ancora una volta il modello di guerra di tipo “attrizionale” nel prefigurare la propria esegesi tattica:
“Si tratta di una modalità di guerra molto attritiva”, ha spiegato Nick Reynolds, ricercatore di guerra terrestre presso il Royal United Services Institute (RUSI). “Questi tre elementi creano imperativi contrastanti per i difensori ucraini”.
La strategia fabiana è una strategia militare in cui si evitano le battaglie campali e gli assalti frontali a favore di un logoramento dell’avversario attraverso una guerra di logoramento e indiretta.
L’impiego di questa strategia implica che la parte che la adotta ritiene che il tempo sia dalla sua parte, di solito perché la parte che impiega la strategia sta combattendo in patria, o vicino ad essa, e il nemico è lontano da casa e per forza di cose ha lunghe e costose linee di rifornimento.
La definizione sopra riportata parla di lunghe linee di rifornimento, il che potrebbe far pensare che sia la Russia a trovarsi in una posizione sfavorevole. In realtà, nonostante la Russia sia l'”attaccante”, è l’Ucraina che tecnicamente ha le linee di rifornimento più lunghe e lente: è costretta a importare tutto dal lontano occidente attraverso il confine polacco, senza la possibilità di riparare la maggior parte delle cose sul fronte – in particolare quando si tratta di armature occidentali, veicoli, sistemi di artiglieria, eccetera – che devono essere rispediti indietro in lunghi viaggi tortuosi alle nazioni occidentali.
E ricordate: sebbene la strategia fabiana si riferisca generalmente a forze più piccole che combattono contro forze più grandi, è la Russia ad essere tecnicamente la forza più piccola in guerra; lo stesso Zelensky si è recentemente vantato che l’AFU è composta da 880.000 uomini, mentre le forze russe in Ucraina si stanno avvicinando solo ora a 640.000 uomini. (In realtà, le cose non sono così chiare: la stragrande maggioranza delle forze ucraine consiste in ruoli non di combattimento, mentre la Russia ha più unità attive di combattimento).
Arrivando alla tattica principale della “tripla morsa”, inizia il Telegraph:
L’approccio metodico inizia con assalti di terra che combattono per abbattere le truppe ucraine, costringendole in posizioni difensive e bloccando la loro capacità di manovra.
I continui assalti esercitano una forte pressione sulle difese ucraine.
“Utilizzando un numero enorme di persone e inviandole in assalti alle posizioni ucraine, stanno cercando di esaurire i nostri soldati e le nostre risorse”, ha dichiarato Kuzan. “L’intensità dei combattimenti in luoghi come Pokrovsk è molto alta, con assalti ogni due ore. Questo è ovviamente estenuante per i nostri soldati”.
Il punto chiave di quanto sopra è: “bloccare la loro capacità di manovra”. Ciò che è importante capire è che la Russia essenzialmente “scherma” – per usare un’analogia sportiva – le unità ucraine su un determinato fronte, tenendole occupate con un flusso costante di assalti a bassa intensità. Si può trattare di piccoli assalti di poche unità di motociclette ciascuno che entrano ed escono continuamente per attaccare le posizioni, “congelando” le unità difensive ucraine e costringendole a scavare.
Questo impedisce loro di essere reindirizzati in modo rapido ed efficiente verso altri corridoi nelle vicinanze quando si verifica un attacco, anche a causa del fattore “esaurimento” di cui sopra. Perché le unità russe non sono ugualmente esauste? Perché sono in grado di subire un numero maggiore di rotazioni, che mantengono le unità fresche in arrivo attraverso una sorta di “carosello” d’attacco irrequieto.
Inoltre, come accenno veloce, cosa intendevo con unità che si muovono “dentro e fuori”? Non si tratta semplicemente di squadre suicide che entrano e muoiono continuamente, per essere rifornite di altra “carne”. In molti casi, le unità russe attaccano, mantengono brevemente le posizioni e poi si ritirano. È successo proprio di recente con l’assalto dell’80° Reggimento della 90° Divisione carri armati delle Guardie. Ricordiamo nell’ultimo SitRep la menzione della violazione del confine di Dnepropetrovsk da parte della RPD: si tratta delle truppe dell’80° che hanno brevemente conquistato posizioni oltre il confine, hanno disturbato i difensori ucraini e poi hanno ripiegato. Un affidabile analista russo legato all’esercito lo ha confermato oggi:
I ragazzi che hanno fatto irruzione nella regione di Dnepropetrovsk, combattenti dell’80° reggimento del 90° carro armato. Tutti sono vivi, tutti sono tornati.
Prima si diceva che erano tutti morti durante la ritirata.
Anche l’80° reggimento carri mi ha informato ieri che i ragazzi sono tornati. Bene, e il resto, come ho descritto, è solo qualcosa che qualcuno ha bisogno di pubblicizzare per il gusto di raccontare una finta verità.
Questa azione di “appuntatura” ha molteplici effetti simultanei sull’AFU. Ma vediamo quello pertinente alla spiegazione del Telegraph.
La fase successiva, secondo loro, è il dispiegamento di droni e artiglieria per “bloccare” veramente l’azione di blocco: una volta che le truppe ucraine si sono trincerate per respingere gli assalti, i droni e l’artiglieria fanno pressione sulla loro logistica e impediscono loro di ritirarsi adeguatamente o, in molti casi, di essere riforniti:
In seguito, i droni vengono dispiegati per limitare la mobilità ucraina, condurre la sorveglianza, colpire i punti vulnerabili e disturbare i movimenti delle truppe.
Questi droni includono droni con visuale in prima persona (FPV), che consentono alle forze russe di seguire le posizioni ucraine in tempo reale e di rispondere rapidamente a qualsiasi movimento di truppe.
“A causa di questi droni, l’Ucraina è costretta a presidiare la linea del fronte con posizioni difensive statiche supportate da ampie misure di inganno, ad esempio, scavi su larga scala, per oscurare dove sono effettivamente concentrate le truppe”, ha detto Reynolds.
Come si è detto, l’Ucraina è costretta a posizioni statiche, mentre la Russia ha libertà di manovra. Questo porta alla fase finale e più distruttiva di questa tattica: lo sbarramento di bombe a volo radente:
La terza fase vede la Russia dispiegare bombe a caduta per colpire posizioni offensive chiave da lunghe distanze, indebolendo la capacità dell’Ucraina di sostenere le operazioni. Queste munizioni a lungo raggio e a guida di precisione prendono di mira le posizioni chiave ucraine, in particolare l’artiglieria e le installazioni difensive.
“È qui che si presenta il vero dilemma, o quello veramente difficile, a cui non c’è una vera e propria risposta”, ha detto Reynolds. “Scavare e tutte queste misure di protezione sono eccellenti per ridurre il logoramento da parte dell’artiglieria o dei FPV, ma le bombe a caduta distruggeranno quelle fortificazioni e seppelliranno le persone”.
In breve, una volta che lo schieramento ucraino è “congelato” sul posto, viene fatto a pezzi da devastanti bombardamenti a tappeto.
Secondo il Telegraph, questo crea una posizione di zugzwang ineluttabile per gli ucraini:
La combinazione costringe i soldati ucraini a scegliere tra mantenere le posizioni – rischiando pesanti perdite e l’esaurimento delle risorse – o rimanere mobili, il che aumenta la loro esposizione agli attacchi dei droni e agli attacchi isolati.
Ricordate il video sulle tattiche di Arestovich che avevo postato all’inizio dell’anno, in cui spiegava proprio come la Russia sia in grado di superare costantemente le forze ucraine nonostante abbia apparentemente linee di rifornimento locali più lunghe:
Il loro esperto RUSI fa notare che le bombe glide sono state il perno di questa tattica, e la Russia è pronta a produrne 205 al giorno nel 2025. Non è detto che questo sia il limite di utilizzo giornaliero, dato che la Russia ha probabilmente ancora una vasta scorta di bombe Fab “mute” dell’era sovietica.
L’articolo osserva che l’Ucraina sta cercando di adattarsi a questa minaccia utilizzando uno stile di difesa molto più dinamico, piuttosto che affidarsi a posizioni statiche. Questo è in linea con quanto avevo riportato settimane fa, ovvero che l’Ucraina starebbe utilizzando meno le tradizionali strutture statiche di trincea e più le tane di volpe e le trincee disperse e di basso profilo.
Ma recentemente le truppe russe ne hanno fatto scempio, impiegando la tattica di lanciare al loro interno cariche di carri armati-mine TM-62, radendo al suolo i nascondigli più piccoli.
Come già detto, il Telegraph sembra aver tratto il suo rapporto da un precedente rapporto del CEPA:
Analogamente al mio paragone con la strategia fabiana, il rapporto di cui sopra mette in parallelo gli sforzi russi con le armi combinate degli antichi Romani:
Dopo tre anni e un milione di vittime, la Russia ha scoperto qualcosa che anche gli antichi Romani sapevano: combinare diversi tipi di armi crea una sinergia più letale della somma delle sue parti.
Questo ha permesso alla Russia di ottenere guadagni “piccoli” ma costanti:
Combinando gli assalti di terra con l’artiglieria e le bombe radenti, oltre che con i droni, in quello che gli esperti britannici chiamano un “triangolo offensivo”, la Russia è stata in grado di ottenere guadagni piccoli ma costanti nel 2024, mettendo le truppe ucraine in una posizione insostenibile.
Ebbene, il motivo per cui i guadagni sono “piccoli” è che ogni volta che le linee difensive dell’Ucraina vengono scavate nella terra con le bombe glide, l’Ucraina semplicemente le riempie con altra “carne”. Pertanto, i progressi saranno sempre “piccoli” quando il nemico scambia le perdite di massa con il tempo.
Il rapporto CEPA riprende quanto successivamente riformulato dal Telegraph:
“In primo luogo, le AFRF [forze armate russe] continuano a bloccare le forze di terra ucraine sulla linea di contatto con fanteria e forze meccanizzate,” secondo uno studio del Royal United Services Institute (RUSI), un think tank britannico.
“In secondo luogo, impediscono le manovre e infliggono un logoramento con droni con visuale in prima persona (FPV), droni Lancet e artiglieria che spara sia proiettili ad alto esplosivo che mine a dispersione”.
Il rapporto del CEPA sottolinea il fatto che le bombe a vela russe sono state un vero e proprio cambiamento di gioco e non sono una cosa da ridere:
Sottolinea ulteriormente il punto precedente, ovvero che l’uso di queste bombe a elica ha completamente modificato le tattiche difensive ucraine, a volte a scapito dell’AFU:
“L’aumento della produzione di bombe glide UMPK da 40.000 unità nel 2024 a 70.000 unità previste nel 2025, ha aumentato in modo significativo il numero di truppe ucraine uccise durante le operazioni difensive”, ha detto RUSI. “Questo ha avuto numerose ripercussioni sulle tattiche difensive ucraine, a volte a scapito dell’AFU.
“Questo ha avuto numerosi effetti a catena per le diverse armi e servizi, che sono stati spinti a evitare completamente l’osservazione delle loro posizioni, a disperdersi o a cercare l’occultamento nel sottosuolo, e ad affidarsi a sistemi non equipaggiati o autonomi per tenere e uccidere il nemico a distanza”.
Notano giustamente che “congelare” i difensori ucraini in posizioni statiche paga due volte per la Russia, data la sua classica dipendenza dall’artiglieria: permette alla Russia di portare davvero le sue forze d’artiglieria, martellando le linee statiche ucraine, con i difensori incapaci di fuggire, per non essere masticati dai droni.
Tra l’altro, una delle ragioni del relativo ‘esaurimento’ delle unità ucraine è anche il fatto che stanno essenzialmente costruendo le fortificazioni a mano per entrambe le parti. Dal rapporto RUSI, da cui il rapporto CEPA prende spunto:
A causa della minaccia degli incendi, gli sviluppi tattici durante il terzo anno della guerra russo-ucraina 13 le attrezzature di scavo sono raramente portate a più di 7 km dal fronte, il che significa che la maggior parte delle posizioni difensive deve essere preparata a mano. Per i soldati di fanteria che spostano manualmente grandi volumi di terreno con picconi e pale, il lavoro è arduo e richiede tempo. Questo ha fatto sì che le unità di combattimento a terra abbiano spesso difficoltà a costruire strutture difensive adeguate.
Se le unità vengono ruotate, non beneficiano direttamente del loro lavoro, e nelle aree in cui sono state ruotate più unità in un breve periodo di tempo, si è notato che questo disincentiva lo scavo…
Le unità ucraine spesso utilizzano truppe separate per preparare posizioni lontane dalla linea di contatto, per evitare di esaurire la fanteria.
Gli ucraini costruiscono a mano queste fortificazioni che i russi poi catturano e usano come trampolino di lancio per ulteriori assalti; ripetere e ripetere.
Per fare un esempio, il successo dell’assalto russo di ieri a Novopoltavka è stato riferito da un BMP-3M che smontava verso le posizioni nemiche:
Ora l’istituto RUSI ha pubblicato le sue ultime notizie sulla prossima stagione di offensive russe:
Il reclutamento russo, tuttavia, ha superato gli obiettivi del Cremlino per ogni mese del 2025. Dopo aver rimescolato i comandanti e accumulato riserve di equipaggiamento, la Russia è ora pronta ad aumentare il ritmo e la portata degli attacchi.
Sebbene la Russia abbia “testato” le difese ucraine a Kharkov, Sumy e Zaporozhye, RUSI ritiene che la spinta principale si concentrerà sull’asse Konstantinovka-Pokrovsk:
Il principale sforzo russo in estate sarà ancora una volta contro le città chiave di Kostyantynivka e Pokrovsk. Le forze russe continuano a pianificare, contro gli ordini di completare l’occupazione di Donetsk.
RUSI osserva che la Russia è diventata più abile nel distribuire informazioni net-centriche sul campo di battaglia, il che ha comportato un aumento della letalità nei confronti delle unità UAV ucraine sul fronte:
Un’altra importante linea di sforzo per i russi è quella di attaccare i piloti UAV dell’Ucraina. In questo caso, la metodologia consiste nell’utilizzare l’individuazione della direzione, l’intelligence dei segnali e la ricognizione per individuare la posizione dei piloti e quindi colpirli con droni filoguidati e bombe a caduta. Questa metodologia è diventata più efficace in quanto la Russia ha aumentato la velocità di trasmissione delle informazioni tra le sue unità.
La conclusione della RUSI è duplice. Da un lato, ritengono che la Russia dovrà affrontare tempi più duri in autunno, dopo l’esaurimento delle scorte di armature sovietiche. Dall’altro lato, ritengono che l’Ucraina sia attesa da un potenziale scenario più “oscuro”:
C’è un possibile futuro più oscuro, in cui l’offensiva estiva supera le difese ucraine per conquistare città chiave nel Donbas, dopo di che la Russia si orienta verso l’attacco a Kharkiv in autunno, mentre cambia ancora una volta la sua campagna di attacco profondo per degradare la produzione e la distribuzione di energia elettrica ucraina in vista dell’inverno. In queste circostanze, i russi sperano di poter convincere costantemente l’Europa a fare pressione sull’Ucraina affinché chieda la pace, anche a condizioni inaccettabili.
Questo punto di vista è condiviso nell’ultimo rapporto di 19FortyFive:
Il colonnello Daniel Davis scrive in questo articolo:
No, la guerra non è in una situazione di stallo, ma i russi continuano a vincere sul campo. La scorsa settimana il New York Times ha rivelato che negli ultimi 16 mesi i russi hanno conquistato 1.826 miglia quadrate di territorio ucraino. L’articolo ammetteva che le perdite ucraine avrebbero potuto avere conseguenze catastrofiche, osservando che nelle “guerre di logoramento, i guadagni incrementali possono far presagire una svolta, se la parte perdente esaurisce le truppe e le munizioni e le sue linee difensive alla fine crollano”.
Come già notato, l’unico argomento a favore della sopravvivenza dell’Ucraina che gli analisti filo-ucraini sostengono è che la Russia esaurirà i principali armamenti, come i carri armati, nel prossimo futuro. La bizzarra contraddizione è che nello stesso momento deridono la Russia per essere passata quasi interamente agli assalti con motociclette, ATV e veicoli leggeri. Eppure la Russia sta ancora avanzando in modo deciso, con un ritmo crescente nelle ultime settimane. Come possiamo allora credere che la presunta carenza di mezzi corazzati pesanti da parte della Russia possa influire su questo fenomeno? Gli assalti con veicoli leggeri sembrano andare bene per condurre con successo le avanzate – i carri armati non sono quasi più utilizzati, in particolare quelli migliori – ricordate il precedente rapporto del WSJ secondo cui i T-90M russi sono ora tutti inviati alle unità di riserva posteriori.
Di certo la Russia non rimarrà a corto di droni o di artiglieria, dato che anche secondo i contatori OSINT pro-UA l’AFU non sta distruggendo le unità di artiglieria russe in misura quasi pari a quella dei corazzati, data la loro predisposizione a trovarsi molto più nelle retrovie. Allo stesso modo, sembra che la Russia non abbia bisogno di unità d’assalto pesanti in prima linea per infliggere perdite attritive all’AFU, dato che il già citato rapporto RUSI afferma che il 50% delle perdite ucraine è conseguenza di attacchi russi a lungo raggio nelle retrovie
Il rifornimento tattico è diventato una sfida importante per le stesse ragioni dell’evacuazione medica. Le brigate ucraine riferiscono che circa il 50% delle loro vittime sono state colpite nelle retrovie dai FPV, dall’artiglieria e dalle bombe plananti russe. La rotazione delle truppe, la spinta dei rifornimenti in avanti e il recupero delle attrezzature danneggiate comportano il movimento del personale allo scoperto e sono tutte imprese rischiose.
Di conseguenza, possiamo presumere che le tattiche russe di incursione leggera, senza l’uso di mezzi corazzati pesanti, possano mantenere l’attuale ritmo di avanzamento a tempo indeterminato, soprattutto se si considera che l’Ucraina non si sta rafforzando in alcun modo concepibile che possa prevedibilmente neutralizzare questi assalti russi. Certo, l’Ucraina sta aumentando l’uso dei droni, ma proprio come ha notato il precedente rapporto di RUSI, la Russia ha aumentato la sua efficienza nel cacciare e uccidere le squadre ucraine di UAV triangolando le loro posizioni, in particolare i piccoli radar portatili che usano per tracciare gli UAV di sorveglianza a lungo raggio della Russia, al fine di dare loro la caccia con i FPV.
Inoltre, l’ufficiale della riserva ucraina e recentemente ricercatore-analista Tatarigami nel nuovo rapporto del suo team ha scoperto documenti “trapelati” che dimostrerebbero che la Russia sta facendo ogni tipo di accordo con le compagnie di produzione cinesi, in particolare per quanto riguarda la produzione di barili:
13/ Ultima ma non meno importante è la questione dell’espansione della produzione. Come già accennato, la società della Shvabe Holding chiamata “Zenit-Investprom” ha acquistato attrezzature industriali cinesi per sostenere gli sforzi produttivi della Rostec.
14/ Ulteriori indagini sulla Zenit-Investprom hanno rivelato un’ampia corrispondenza con la Zavod No. 9 – che può essere tradotta come “Fabbrica No. 9” – un impianto noto per la produzione di pezzi di artiglieria trainati come gli obici D-30, nonché di cannoni per carri armati, compresi i più recenti modelli T-90.
15/ Dato che alcune attrezzature richieste per l’espansione – come il sistema laser di rafforzamento termico – sono progettate per la lavorazione dei metalli, e considerando che la fabbrica produce barili per carri armati e artiglieria, è probabile che la Russia cerchi di espandere la sua produzione di barili.
Possiamo quindi concludere che la Russia sta espandendo le sue capacità di costruzione di sistemi chiave, come i barili per carri armati e artiglieria, il che rende difficile prendere sul serio le argomentazioni sul crollo militare della Russia.
Se siete perplessi su come o perché una mega-banca abbia bisogno di una propria ala geopolitica, non siete soli. Si tratta di uno sviluppo che fa scuotere la testa. Tuttavia, il rapporto evidenzia quattro possibili opzioni per la fine del conflitto ucraino, che JP Morgan è certa avverrà “entro l’anno”.
Quindi, in sostanza, vedono il 65% di possibilità di una brutta fine, con l’Ucraina che torna “nell’orbita della Russia”, sia lentamente che immediatamente.
Sempre più fonti, all’interno dell’Ucraina stessa, prevedono una forte accelerazione del ritmo offensivo della Russia. Il deputato della Rada Goncharenko ritiene che presto inizierà una grande stagione offensiva tra l’estate e l’autunno:
Considera che la Russia accelererà il suo ritmo per sei mesi, e poi ci sarà probabilmente una sorta di pace – ma cosa può avergli dato l’idea che quelle condizioni di pace tra sei mesi – dopo una pesante stagione di guadagni russi – saranno in qualche modo più favorevoli all’Ucraina?
Dopo tutto, proprio oggi Putin ha annunciato ufficialmente che verrà creata una zona cuscinetto lungo il confine russo:
Tenete presente che si tratta di un annuncio ufficiale del compito, non di una semplice domanda retorica sulla necessità o meno di una zona cuscinetto, come Putin ha fatto in precedenza. Ciò significa che la Russia si sta impegnando in un obiettivo militare completamente nuovo a lungo termine: vi sembra un Paese pronto a fare qualche offensiva e a chiudere la faccenda entro l’anno, come sembra aspettarsi il commentario occidentale?
E come si concilia il “crollo” materiale della Russia con le recenti dichiarazioni di Rutte?
Il giornale di Monaco Münchner Merkur vede anche lo sviluppo della stagione offensiva estiva:
Il documento ribadisce la precedente strategia della RUSI:
La strategia di Putin: La Russia prende di mira piloti e radar per rompere le difese
Secondo Watling, parte della strategia russa consiste nel neutralizzare gli scudi dei droni ucraini prendendo di mira le stazioni radar e i piloti di droni.
Il collega tedesco Roepcke mette in guardia dal collasso ucraino sul fronte critico di Pokrovsk quest’estate:
Ricordiamo che recenti rapporti hanno suggerito che la Russia ha appena iniziato a spostare le attrezzature di riserva nelle posizioni e non ha ancora iniziato i suoi principali assalti offensivi, anche se è già stata notata un’enorme impennata nell’avanzamento territoriale. All’inizio di quest’anno, esperti occidentali e ucraini – tra cui Budanov – ci hanno detto che le forniture critiche dell’aiuto militare di Biden sarebbero durate fino all’estate del 2025.
Tuttavia, dobbiamo notare che l’Ucraina non ha ancora dovuto impegnarsi in alcunveramentedisperata mobilitazione “ad oltranza” del contingente 18-25, affidandosi invece a vari altri meccanismi coercitivi. Né Zelensky è stato usurpato, come molti avevano previsto che sarebbe accaduto a quest’ora – per questo possiamo dire che l’Ucraina sta ancora andando meglio di quanto la maggior parte delle aspettative ci aveva fatto credere, quindi i discorsi sul “collasso” dovrebbero essere in qualche modo mitigati.
D’altra parte, le nozioni di collasso militare-produttivo o economico della Russia sono ancora più lontane.lontana dalla realtàquindi possiamo aspettarci un graduale deterioramento delle forze armate ucraine per tutto il resto di quest’anno e molto probabilmente anche per il prossimo. La verità è questa: alcuni nel campo dell’informazione pro-USA hanno a lungo creduto che più la guerra andrà avanti, meno russi si arruoleranno per combattere e più gli sforzi della Russia diminuiranno per una combinazione di stanchezza e scoraggiamento.
Ma in realtà, man mano che le cose si avvicinano alla fine, i russi sono orapiùsono più eccitati e incoraggiati a partecipare alla guerra perché sentono che la fine è vicina; vedono l’Ucraina avvicinarsi al suo arco finale e questo li spinge a offrirsi volontari per quello che percepiscono come il momento di coronamento della “gloria” che presto arriverà. Questo potrebbe spiegare perché le ultime cifre di Putin indicano un aumento dei volontari mensili di 50-60 mila unità, rispetto alle precedenti cifre di 30-40 mila fornite da Medvedev e altri per tutto il 2024.
Allo stesso modo, i “venti contrari” economici sono difficili da prendere sul serio, dato che il Rublo ha appena raggiunto il suo miglior tasso di cambio con il dollaro USA dal 2022:
E dato che in Europa manca ancora il consenso o la coesione per un’azione economica seria, soprattutto ora che gli Stati Uniti sono contrari a ulteriori sanzioni.
Quindi possiamo solo concludere che le attuali tendenze sul campo di battaglia continueranno invariate, tranne che per il fatto che la posizione dell’Ucraina si deteriorerà ulteriormente. L’unica domanda che rimane è quanto a lungo l’Ucraina potrà resistere prima che gli sfondamenti “d’urto” inizino a sgretolare completamente intere linee del fronte, in modo più simile all’offensiva ucraina di Kharkov su Izyum, in cui le forze russe, in grande inferiorità numerica, furono costrette a cedere vasti territori in tempi record. Il crollo totale dell’AFU come forza combattente probabilmente non avverrà a breve, ma tali crolli “localizzati” potrebbero non essere lontani, il che farebbe presagire la fine.
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Scopri come il futuro della sicurezza dell’Europa sia in bilico mentre il sostegno degli Stati Uniti si affievolisce, esponendo profonde faglie geopolitiche, lacune militari e incertezza strategica.21 maggio 2025
Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale nel 1945, l’Europa occidentale ha funzionato meno come un’entità geopolitica sovrana e più come un’estensione spaziale degli imperativi strategici americani. Questo assetto non è stato forgiato attraverso un partenariato egualitario o una parentela ideologica, ma piuttosto attraverso un deliberato atto di contenimento egemonico. Gli Stati Uniti, agendo in linea con la loro grande strategia di impedire l’ascesa di una potenza dominante sul continente eurasiatico, hanno costruito una rete di accordi di sicurezza, in particolare la NATO, che ha portato l’Europa occidentale sotto la loro influenza militare e politica. Questo sistema ha funzionato per pacificare una regione storicamente instabile, la cui frammentazione politica e le rivalità di potere erano state, per secoli, fonte di conflitti continentali e globali.
La “pace” del dopoguerra celebrata da molti fu, in realtà, il risultato meno di un’illuminazione morale o di un’armonia istituzionale, quanto piuttosto di un’ingegneria geopolitica americana. Attraverso la loro presenza come bilanciatore offshore, gli Stati Uniti mantennero la stabilità non risolvendo le rivalità endemiche dell’Europa, ma neutralizzandole attraverso una superiore potenza militare e un predominio economico. La NATO fu l’espressione istituzionale di questo accordo, fungendo da ombrello di sicurezza sotto il quale gli stati europei sospesero i loro tradizionali comportamenti competitivi. Tuttavia, mentre gli Stati Uniti iniziano a ricalibrare le proprie priorità, allontanandole dall’Europa e puntando a contrastare l’ascesa della Cina nell’Indo-Pacifico, la durata di questo ordine a guida americana è sempre più messa in discussione.
L’idea che la zona euro-atlantica possa tornare al suo stato storico (un panorama frammentato di nazioni reciprocamente diffidenti e strategicamente autonome) viene spesso liquidata nel discorso liberale come impensabile o regressiva. Eppure, nel quadro del realismo classico, questo risultato appare non solo plausibile, ma probabile. La coerenza geopolitica dell’Europa non è mai stata il prodotto di un consenso interno, ma piuttosto di un equilibrio imposto. La garanzia di sicurezza degli Stati Uniti non è stata un atto disinteressato di tutela internazionale, ma uno sforzo calcolato per impedire la dominazione sovietica del continente. Con la scomparsa di quella minaccia e l’emergere della Cina come principale concorrente strategico, l’interesse di Washington a garantire la sicurezza europea è naturalmente diminuito.
Nonostante questo cambiamento strategico, molti leader politici europei continuano a invocare un linguaggio di valori condivisi, identità collettiva e governance multilaterale, come se questi costrutti retorici possedessero una forza causale indipendente. Ma l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022 ha infranto questa illusione. Ha messo a nudo la struttura repressa del contesto di sicurezza europeo, rivelando un panorama ancora governato dalla logica di potere, territorio e capacità militare. In seguito, la Polonia si è procurata carri armati statunitensi , la Germania ha annunciato una Zeitenwende (punto di svolta) volta a rivitalizzare le sue forze armate e Finlandia e Svezia, storicamente neutrali, hanno cercato di aderire alla NATO . Queste mosse segnalano il riconoscimento che l’assenza di hard power favorisce l’instabilità e che il mantenimento della pace dipende da una deterrenza tangibile, non dal sentimento istituzionale.
Tuttavia, questi sforzi, seppur notevoli, rimangono in gran parte reattivi e frammentati. Il riarmo dell’Europa manca della coerenza strategica necessaria per trasformare la capacità in potenza. La Germania, nonostante la sua ricchezza e la sua posizione centrale, rimane ostacolata dalla cautela politica , dall’ortodossia fiscale e dall’avversione culturale all’assertività militare. La Francia mantiene un arsenale nucleare, ma lo fa in un quadro nazionale, non continentale. Nel frattempo, i paesi sul fianco orientale della NATO, in particolare gli Stati baltici e la Polonia, danno priorità agli accordi di difesa bilaterali con gli Stati Uniti rispetto alla governance collettiva della sicurezza europea. Questa frammentazione sottolinea un’intuizione realista fondamentale: le alleanze sono durature solo quando gli Stati membri percepiscono minacce congruenti e interessi strategici condivisi. Mentre l’impegno americano vacilla, le divisioni latenti tra gli Stati europei vengono alla luce.
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Il realismo ci obbliga a considerare il comportamento degli Stati attraverso la lente dei vincoli strutturali, ovvero la geografia, la capacità di penetrazione materiale e la natura anarchica del sistema internazionale. La persistente ansia nell’Europa settentrionale e orientale per una potenziale aggressione russa non è una reazione emotiva, ma una risposta strategica razionale. La semplice possibilità di un’incursione, in particolare nel vulnerabile valico di Suwalki o nei Paesi Baltici, genera un comportamento difensivo. La paura strategica, nella teoria realista, non è solo valida; è funzionale. Promuove gli armamenti, incoraggia il consolidamento delle alleanze e sostiene la coesione politica in condizioni di minaccia.
Tuttavia, emerge una domanda più profonda: la Russia è ancora il fulcro delle preoccupazioni strategiche europee o è diventata un attore secondario in una più ampia trasformazione eurasiatica dominata dalla Cina? Vi sono sempre più prove che l’allineamento strategico a lungo termine della Russia si stia spostando verso est. I suoi territori ricchi di risorse in Siberia e la sua frontiera artica potrebbero presto fungere da estensioni logistiche della Belt and Road Initiative cinese e di una più ampia espansione geoeconomica. Se questa tendenza continua, la Russia potrebbe diventare meno una grande potenza autonoma e più un fornitore di risorse e un partner minore in un ordine geopolitico incentrato sulla Cina. Quello che appare come un dilemma di sicurezza europeo potrebbe invece essere il sintomo di una più ampia riorganizzazione dello spazio eurasiatico in cui l’Europa non è più centrale.
Questo equilibrio mutevole si interseca con un altro vincolo critico: la demografia. L’ aumento dell’età media in tutta l’Europa occidentale rappresenta una limitazione fondamentale alla prontezza militare e alla credibilità strategica. Le forze armate moderne richiedono non solo tecnologie sofisticate, ma anche personale fisicamente capace e ideologicamente motivato. Nelle società in cui l’età media si avvicina o supera i 45 anni , dove i tassi di natalità sono in calo e dove l’aspettativa culturale di pace è profondamente radicata, la capacità di mobilitazione per una guerra ad alta intensità è gravemente compromessa. Tecnologie militari avanzate come droni e strumenti informatici non possono sostituire l’elemento umano in conflitti territoriali prolungati.
La questione strategica non è quindi se gli Stati Uniti ridurranno il loro impegno in Europa. Lo stanno già facendo . La vera domanda è se l’Europa riuscirà ad adattarsi a questo nuovo contesto. Senza la garanzia di sicurezza americana, gli Stati europei devono fare i conti con un ritorno a un contesto strategico multipolare caratterizzato da competizione, incertezza e dal rischio sempre presente di escalation. Ciò richiede una riscoperta dei fondamenti della politica di potenza: la capacità di dissuadere, costringere e, se necessario, combattere. Richiede inoltre un riesame della premessa secondo cui istituzioni multilaterali e norme liberali possono sostituire la solida impalcatura della forza militare.
Il recente monito di J.D. Vance a Monaco (secondo cui il vero pericolo per l’Europa non risiede negli avversari stranieri, ma nella disunità interna) dovrebbe essere interpretato in quest’ottica. La sua affermazione riflette una preoccupazione tipicamente realista. Senza un equilibratore esterno, l’Europa regredirà alla frammentazione e alla rivalità che hanno caratterizzato la sua storia prima del 1945. Non si tratta di allarmismo; è un’osservazione storicamente fondata. L’ordine liberale del dopoguerra non ha eliminato la concorrenza. L’ha repressa attraverso la schiacciante potenza americana. Con il venir meno di quella forza repressiva, la struttura sottostante si riafferma.
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Visto attraverso la lente realista, il momento presente non è un’aberrazione, ma un ritorno alla forma. Nella politica internazionale, il potere definisce i confini esterni dell’azione e l’interesse detta la logica interna. La geografia plasma la percezione della minaccia; la demografia limita il potenziale militare; e le promesse istituzionali valgono poco senza la capacità materiale di sostenerle. La visione liberale di un’Europa pacificata e vincolata da regole e norme è sempre stata subordinata a un fondamento geopolitico posto dal primato americano.
L’Europa oggi non si trova sull’orlo del fallimento morale, ma sulla soglia di una resa dei conti strategica. L’ordine post-1945 è stato un interludio storicamente unico, non una condizione irreversibile. La sua continuazione richiede più che rituali affermazioni di unità. Richiede la valuta forte del potere. Dove la forza si ritira, l’ambizione rivive, sia essa mascherata da ideologia, nazionalismo o opportunismo. La vera questione che l’Europa si trova ad affrontare non è se riuscirà a rimanere pacifica, ma se riuscirà a tornare strategicamente competente.
L’Europa al Bivio: Crisi Geopolitica e Stallo Militare in Ucraina
Una Guerra di Logoramento che Espone le Fragilità dell’Occidente
Il conflitto ucraino, ormai al quarto anno nel maggio 2025, si è trasformato in una guerra di attrito che mette a nudo le debolezze strutturali dell’Europa, la resilienza pragmatica della Russia e i complessi riallineamenti globali. Lungi dall’essere un semplice scontro militare, la crisi rappresenta un punto di svolta per la geopolitica mondiale, con l’Unione Europea intrappolata in un interventismo ambizioso ma privo di mezzi, gli Stati Uniti sempre più defilati e Mosca che, pur isolata, dimostra una capacità di adattamento che le consente di dettare il ritmo del conflitto. Questo editoriale, critico verso l’UE, neutrale verso gli USA e lievemente favorevole alla posizione russa, intreccia le dinamiche militari, diplomatiche e strategiche per offrire una visione realista, ancorata agli appunti originari ma ampliata con un’analisi coerente e fluida.
Sul campo, l’Ucraina si trova in una posizione di stallo insormontabile. Kiev non ha la capacità militare di riconquistare i territori sotto controllo russo, come Donetsk e altre aree orientali, un dato evidente dalle difficoltà logistiche e umane che affliggono le sue forze armate. Con oltre 100.000 diserzioni registrate entro la fine del 2024 e un reclutamento in crisi, l’esercito ucraino si affida a tattiche asimmetriche, come attacchi con droni su infrastrutture russe, per mantenere una parvenza di pressione. L’incursione su una raffineria moscovita del 17 maggio 2025, per esempio, ha fatto notizia ma non ha alterato l’equilibrio strategico. Queste azioni, pur dimostrando inventiva, non compensano la carenza di risorse e manodopera, lasciando Kiev in una posizione di inferiorità strutturale.
La Russia, al contrario, ha adottato un approccio misurato, mantenendo il conflitto a un’intensità medio-bassa per preservare le proprie risorse e sostenere l’industria della difesa. La produzione di armamenti è aumentata significativamente, con un incremento del 20% nel 2024, includendo migliaia di carri armati e droni, secondo stime interne. Questo pragmatismo si è manifestato nel massiccio attacco con droni del 17-18 maggio, il più grande della guerra, che ha dimostrato la capacità di Mosca di intensificare quando necessario senza esaurire le riserve. La sinergia tra esercito e comparto industriale ha permesso alla Russia di resistere alla pressione occidentale, gestendo un conflitto simmetrico che l’Ucraina non può eguagliare. Questo equilibrio riflette una pianificazione a lungo termine, che contrasta con l’affanno di Kiev e dei suoi alleati europei.
L’Europa Frammentata: Interventismo senza Sostanza
L’alleanza occidentale, che dovrebbe sostenere Kiev, è segnata da una frammentazione che ne mina l’efficacia. Con l’avvento dell’amministrazione Trump, gli Stati Uniti hanno progressivamente delegato all’Europa la gestione operativa della crisi, limitandosi a un ruolo di pressione diplomatica. Trump ha recentemente proposto un cessate-il-fuoco di 30 giorni, ma la sua iniziativa è stata accolta con scetticismo da Putin, che insiste su condizioni considerate inaccettabili da Kiev, come il riconoscimento dei territori occupati. Zelenskyy, dal canto suo, ha espresso un’apertura ai negoziati, ma solo con garanzie che appaiono irrealistiche, evidenziando la difficoltà di trovare un compromesso.
All’interno dell’Europa, le divisioni sono ancora più evidenti. Francia e Regno Unito guidano un progetto interventista, con Parigi che fornisce jet da combattimento e missili a lungo raggio per rafforzare Kiev, mentre l’elezione del cancelliere tedesco Friedrich Merz ha consolidato un asse militarista che sembra voler riaffermare il ruolo geopolitico di queste capitali. L’Italia, sotto Giorgia Meloni, rappresenta invece una voce dissonante, spingendo per una soluzione diplomatica, come emerso in un incontro con Merz a maggio 2025. Questa divergenza di visioni riflette non solo priorità nazionali diverse, ma anche una mancanza di coesione strategica che indebolisce l’UE.
Il sostegno europeo a Kiev, pur dichiarato con enfasi, si scontra con limiti strutturali. L’industria militare dell’UE non è in grado di sostenere un conflitto prolungato: la produzione di munizioni è solo un terzo di quella russa, e le carenze logistiche limitano l’efficacia degli aiuti. Il 17° pacchetto di sanzioni, varato a maggio 2025, ha avuto un impatto trascurabile sull’economia russa, che, nonostante tassi d’interesse al 23% e un’inflazione sopra il 9%, continua a resistere senza segni di collasso imminente. Questo interventismo, privo di una base industriale solida, appare più come un tentativo di Parigi e Londra di riaffermare la loro influenza che come una strategia capace di cambiare il corso del conflitto. L’Europa, in altre parole, rischia di perpetuare una guerra che erode la sua credibilità senza offrire soluzioni concrete.
Un’Impasse Diplomatica e il Ruolo Globale degli Attori Non Occidentali
La via diplomatica, che potrebbe spezzare l’impasse, resta bloccata. I negoziati di Istanbul del 2022, che avevano delineato una possibile cornice per la pace, sono naufragati per il rifiuto di Kiev, sostenuta dall’asse franco-britannico-tedesco, di accettare concessioni territoriali o garantire la neutralità richiesta da Mosca. Le condizioni del Cremlino, note da tempo, includono il riconoscimento dei territori occupati e garanzie di sicurezza contro l’espansione della NATO, ma l’Europa sembra intenzionata a ostacolare ogni accordo, preferendo un’escalation che mantiene la pressione su Mosca. Questo approccio, però, appare sempre più miope: senza un’industria militare adeguata e con un alleato statunitense distaccato, l’UE si trova in una posizione di stallo autoimposto, incapace di proporre un’alternativa credibile.
A livello globale, la crisi ucraina ha accelerato i riallineamenti geopolitici, con la Cina che emerge come attore chiave ma distaccato. Pechino mantiene una neutralità strategica, criticando le sanzioni occidentali e proponendo piani di pace, ma senza impegnarsi direttamente nel conflitto. Il suo focus è altrove: il sostegno al Pakistan, attraverso il Corridoio Economico Cina-Pakistan con investimenti superiori a 60 miliardi di dollari, rafforza la sua influenza regionale senza coinvolgerla nelle dinamiche ucraine. All’interno dei BRICS, la Cina si mantiene disallineata, con India e Sudafrica neutrali e il Brasile critico delle sanzioni ma non attivo nel supportare Mosca. Questa frammentazione lascia la Russia in una posizione di isolamento relativo, con l’Iran come unico alleato affidabile.
La partnership con Teheran si è intensificata, con l’Iran che fornisce droni e missili balistici che hanno sostenuto le operazioni russe nel 2024. Questa alleanza, radicata in una comune opposizione all’egemonia occidentale, è cruciale per Mosca, ma evidenzia anche la sua vulnerabilità: senza un blocco coeso, la Russia dipende da un partner che, pur strategico, non può compensare la mancanza di un sostegno più ampio. Per Mosca, il conflitto assume una dimensione esistenziale, con la caduta del governo Zelensky vista come l’unica via per una risoluzione definitiva. La ricostruzione di un nuovo sistema di sicurezza europeo, invocata dalla Russia sin dal 2021, rimane un obiettivo lontano, ostacolata dall’intransigenza di Kiev e dall’incapacità dell’Occidente di affrontare le cause profonde della crisi, come la pressione militare della NATO.
Conclusione: Un Equilibrio Precario e il Futuro dell’Europa
Al 20 maggio 2025, il conflitto ucraino è un crocevia per la geopolitica globale. L’Europa, frammentata tra un interventismo ambizioso e un’impotenza industriale, rischia di prolungare una guerra che ne mina la coesione e la statura internazionale. Gli Stati Uniti, delegando responsabilità, mantengono un’influenza indiretta, mentre la Russia, pur isolata e dipendente dall’Iran, dimostra una resilienza che le consente di gestire il conflitto con pragmatismo. La Cina, con la sua neutralità strategica, si concentra su altre priorità, come il rafforzamento del Pakistan, lasciando Mosca senza un supporto significativo dai BRICS.
Una soluzione realista richiederebbe un ripensamento degli accordi di sicurezza europei, ma le divisioni attuali e l’intransigenza di Kiev, sostenuta dall’UE, rendono questa prospettiva un miraggio. Il rischio è che il conflitto si protragga, con l’Europa che paga il prezzo più alto in termini di risorse, credibilità e stabilità. La crisi ucraina non è solo una guerra, ma uno specchio delle fragilità occidentali e della capacità di attori come la Russia di sfruttare queste divisioni. Il futuro dell’Europa dipenderà dalla sua capacità di superare le proprie contraddizioni, ma per ora, il bivio sembra condurre a un vicolo cieco.
Riferimenti: Institute for the Study of War, Wikipedia, The Guardian, TASS, Al Mayadeen, Al Jazeera, Atlantic Council, Reuters, Euronews, BBC, NPR, Kommersant, POLITICO, CNN, The Washington Post, Global Times, Indian Express, CSIS, Foreign Affairs.
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Oggi vorrei condividere un lungo ma molto ben scritto articolo del professor Zhao Huasheng 赵华胜, che spiega la posizione della Cina durante la crisi ucraina e le motivazioni che la giustificano.
Zhao è un ex direttore del Centro Studi sulla Russia e l’Asia Centrale presso l’Istituto di Studi Internazionali dell’Università Fudan e un ex direttore del Centro di Ricerca dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Dal 1989 al 1990 ha studiato presso l’Istituto Statale di Relazioni Internazionali di Mosca (MGIMO) del Ministero degli Affari Esteri sovietico. Da aprile ad agosto 2011 è stato visiting scholar presso il CSIS negli Stati Uniti.
Zhao Huasheng al Club di Discussione Valdai
L’analisi del professor Zhao contesta l’idea che la Cina mantenga una posizione di “neutralità” e definisce invece il suo approccio come “impegno costruttivo”. Egli analizza attentamente i malintesi che circondano la dichiarazione di “cooperazione senza limiti” che ha attirato così tanta attenzione ed esamina il complesso contesto storico delle relazioni Cina-Russia.
Ciò che trovo particolarmente prezioso in questo articolo è il modo in cui riconosce i dibattiti in corso in Cina, presentando al contempo una visione sfumata dei calcoli strategici in gioco. Il professor Zhao non esita ad affrontare le tensioni e i compromessi nella posizione cinese, spiegando perché mantenere relazioni stabili con la Russia serva gli interessi cinesi a lungo termine senza necessariamente approvare tutte le azioni russe.
Per chi cerca di comprendere la complessità delle decisioni di politica estera della Cina durante questa crisi, credo che valga sicuramente la pena leggerlo. Spero che lo troviate illuminante come l’ho trovato io.
Un effetto collaterale inaspettato della crisi ucraina è stato quello di portare le relazioni Cina-Russia al centro dell’attenzione della politica internazionale. Sebbene la Cina non sia parte in causa nella crisi ucraina, lo scoppio del conflitto non ha nulla a che fare con la Cina e la sua risoluzione non dipende da essa. Tuttavia, le relazioni Cina-Russia rimangono una variabile importante nel contesto internazionale che circonda la crisi ucraina, con un impatto critico sull’equilibrio strategico tra la Russia e il blocco USA-Europa. Pertanto, le relazioni Cina-Russia sono state poste sotto i riflettori dell’opinione pubblica mondiale, con particolare attenzione alla politica cinese. Nelle circostanze consolidate della crisi ucraina, le scelte politiche della Cina sono il principale fattore che determina i cambiamenti nelle relazioni Cina-Russia, o in altre parole, l’evoluzione delle relazioni Cina-Russia dipende principalmente dalla Cina. In questo senso, la Cina è la più grande, se non l’unica, forza esterna in grado di modificare l’equilibrio di potere internazionale. Le scelte della Cina non solo determinano la direzione delle relazioni Cina-Russia, ma influenzano anche l’orientamento dell’equilibrio di potere internazionale. Se la Cina si avvicinasse agli Stati Uniti e all’Europa allontanandosi dalla Russia, anche solo a livello politico ed economico, la posizione strategica della Russia si deteriorerebbe gravemente e la struttura strategica internazionale diventerebbe estremamente sbilanciata, aggravando ulteriormente la vulnerabilità della Russia. Al contrario, se la Cina si alleasse con la Russia, il peso si sposterebbe verso la Russia e i due principali Paesi formerebbero inevitabilmente una forza potente, rafforzando significativamente la capacità della Russia di contrastare Stati Uniti ed Europa. Nel frattempo, ciò promuoverebbe anche la formazione di due principali schieramenti, conferendo alla crisi ucraina un tono di scontro di blocco. Pertanto, le scelte politiche della Cina sono cruciali, richiedendole di determinare la posizione più appropriata in condizioni di spazio di manovra molto ristretto. In questo contesto, la politica nei confronti della Russia è fondamentale, perché la politica nei confronti della Russia determina le relazioni Cina-Russia, che a loro volta influenzano il panorama strategico e l’equilibrio di potere, così importanti per la crisi ucraina.
I. Neutralità e impegno costruttivo
Molti studiosi e alcuni funzionari diplomatici cinesi hanno descritto la posizione della Cina nella crisi ucraina come neutrale, un’espressione abituale e facilmente comprensibile, ma a rigor di termini, imprecisa o errata. La Cina non è un Paese permanentemente neutrale, né ha firmato accordi bilaterali rilevanti con la Russia o l’Ucraina, né ha dichiarato una posizione neutrale sulla crisi ucraina. Pertanto, in termini di diritto internazionale, la Cina non è un Paese neutrale nella crisi ucraina e non ha dichiarato una posizione neutrale. Anche in termini di politica, piuttosto che di diritto internazionale, la politica cinese non è neutrale. Una politica neutrale non dipende dalla natura delle azioni di entrambe le parti, non esprime giudizi su ciò che è giusto o sbagliato e non prende posizione, mentre il principio della Cina riguardo alla crisi ucraina è quello di esprimere giudizi basati sul merito della questione stessa e di determinare autonomamente la propria posizione. Il merito della questione stessa include naturalmente i comportamenti di entrambe le parti, il che logicamente significa che la posizione della Cina dipende anche dai comportamenti di entrambe le parti, piuttosto che non esprimere alcun giudizio sulle loro azioni. Questo principio è stato stabilito il 25 febbraio 2022, il giorno dopo lo scoppio della crisi ucraina, e da allora non è cambiato. Ciò significa che la Cina ha un senso del giusto e dello sbagliato riguardo alla crisi ucraina, distingue tra giusto e sbagliato e determina la propria posizione di conseguenza, il che chiaramente non è neutralità. La Cina non si schiera con una parte contro l’altra nel conflitto russo-ucraino, ma ciò non si basa su una posizione neutrale, bensì sull’approccio e sugli obiettivi costruttivi della Cina. Il sostegno non si limita al supporto militare; anche il supporto politico, economico, diplomatico e morale rientrano nell’ambito del sostegno. Da questa prospettiva, la Cina fornisce supporto e opposizione alla questione della crisi ucraina, anziché non fare nulla. Il comportamento della Cina alle Nazioni Unite riflette chiaramente questo. Se dovesse mantenere una posizione neutrale, in genere si asterrebbe dal votare sulle proposte di entrambe le parti per dimostrare imparzialità, ma la Cina ha sostenuto, opposto e si è astenuta nelle votazioni sulle risoluzioni pertinenti sin dallo scoppio della crisi ucraina. Il voto della Cina si basa sul suo giudizio sulla natura delle questioni, non su una posizione neutrale.
Per quanto riguarda le cause della crisi ucraina, esistono due prospettive esplicative: una è una prospettiva statica e diretta, che affronta i fatti senza includere altri fattori, che è la prospettiva adottata da Stati Uniti ed Europa; l’altra è una prospettiva macro-storica, che enfatizza cause e conseguenze, che è la prospettiva adottata dalla Russia. Ciò ha portato a due spiegazioni opposte: una è che l’azione militare della Russia contro l’Ucraina sia la causa diretta dello scoppio della crisi ucraina, che è la spiegazione fornita da Stati Uniti ed Europa; l’altra è che le cinque espansioni della NATO verso est dopo la fine della Guerra Fredda e la pressione strategica sulla Russia siano le cause profonde del conflitto, che è la spiegazione russa. La Cina non ha mai negato la spiegazione statica e diretta, ritenendo che i principi fondamentali delle relazioni internazionali debbano essere rispettati, ma la Cina comprende la complessità delle cause della crisi ucraina. Adotta un approccio più completo, considerando sia le cause dirette dello scoppio della crisi ucraina sia, da una prospettiva macro-storica, comprendendo le cause della crisi ucraina nell’intero processo di sviluppo della sicurezza europea dalla fine della Guerra Fredda – ciò che i funzionari cinesi spesso definiscono “contesto storico complesso”. In altre parole, la Cina non si limita a esprimere giudizi da una prospettiva statica, ma la osserva anche nel processo dinamico in cui si manifesta il problema. Oggettivamente, la Cina non si è opposta alle dichiarazioni statunitensi ed europee, ma comprende anche la spiegazione della Russia. La Cina ritiene che questo sia un metodo di comprensione più obiettivo, ma lo fa per obiettività e correttezza, non per una posizione neutrale.
La crisi ucraina non è solo una guerra tra Russia e Ucraina, ma anche un conflitto tra l’Occidente e la Russia. Gli Stati Uniti e l’Europa forniscono continuamente all’Ucraina enormi quantità di fondi, armi e munizioni, e impongono blocchi e accerchiamenti alla Russia in vari campi, tra cui politico, militare, economico, energetico, finanziario, informatico, mediatico, dei trasporti e persino culturale e sportivo. Questa è già diventata una guerra per procura tra Occidente e Russia, con i veri avversari della Russia che sono proprio l’Occidente. Infatti, sia la Russia che l’Ucraina credono che questa non sia più una guerra per procura, ma una guerra tra la Russia e la NATO guidata dagli Stati Uniti. Se affermiamo che la politica della Cina è neutrale, allora non è neutrale solo tra Russia e Ucraina, ma anche tra Russia e Occidente. Tuttavia, se l’Occidente e la Russia fossero considerati le due parti in conflitto, la valutazione della Cina sulla natura della crisi ucraina sarebbe molto diversa. La Cina ritiene che una delle principali cause del conflitto sia l’espansione della NATO verso est, che lo scoppio del conflitto sia dovuto all’istigazione degli Stati Uniti, che la sua continuazione sia dovuta agli aiuti militari occidentali e che l’obiettivo del conflitto per gli Stati Uniti sia il mantenimento della propria egemonia. La Cina si oppone alle sanzioni statunitensi ed europee contro la Russia e alle forniture di armi statunitensi ed europee all’Ucraina, e ha respinto le proposte statunitensi in consessi internazionali come le Nazioni Unite. Sebbene la Cina non sia direttamente coinvolta nel conflitto, interpretare questo come un mantenimento della neutralità tra Russia e Occidente non è conforme ai fatti.
Una caratterizzazione più accurata della politica cinese nella crisi ucraina dovrebbe essere quella di impegno costruttivo, ovvero la partecipazione attiva in modo costruttivo con obiettivi costruttivi, il ruolo costruttivo, il contributo attivo alla risoluzione dei problemi e la promozione di uno sviluppo costruttivo della situazione. Naturalmente, su questioni complesse come la crisi ucraina, diversi Paesi avranno interpretazioni diverse e persino opposte di ciò che è costruttivo. In teoria e in pratica, l’impegno costruttivo è un concetto più appropriato e una politica migliore rispetto alla neutralità. Lo scopo dell’impegno costruttivo è risolvere i problemi e ha una natura proattiva; la neutralità consiste nell’allontanarsi dai problemi e ha una natura passiva. L’impegno costruttivo è la volontà di assumersi la responsabilità, mentre la neutralità non è la disponibilità ad assumersi la responsabilità, quindi l’impegno costruttivo incarna un valore di pensiero più elevato e una posizione più elevata rispetto alla neutralità. Da una prospettiva politica, una politica neutrale è rigida, fissa i propri confini politici con scarso margine di adattamento, mentre l’impegno costruttivo è flessibile, con maggiore margine di manovra politica e la capacità di adattare le politiche in modo più flessibile in base all’evoluzione della situazione. La Cina insiste nel non schierarsi nella crisi ucraina, nel non essere parziale e nel non gettare benzina sul fuoco: questi sono tutti approcci e obiettivi costruttivi, non neutralità.
La neutralità non è in linea con il posizionamento internazionale e il pensiero diplomatico della Cina. La diplomazia cinese sta attraversando una trasformazione; si posiziona come una grande potenza responsabile, cercando di svolgere un ruolo più importante negli affari internazionali e assumersi maggiori responsabilità. Negli eventi e nelle controversie internazionali tra altri paesi, la Cina è passata dall’essere abituata a essere una spettatrice a un coinvolgimento attivo, dall’essere abituata ad accettare passivamente qualsiasi cambiamento di situazione a plasmare attivamente le situazioni, tutti comportamenti fondamentalmente diversi dal concetto di neutralità. La neutralità non implica solo non intervento e distacco, ma anche, in un certo senso, una riluttanza ad assumersi alcuna responsabilità, che non corrisponde all’immagine e al ruolo internazionale che la Cina desidera.
La crisi ucraina è il conflitto internazionale più grave dalla fine della Guerra Fredda. Coinvolge l’ambiente strategico della Cina, è legata all’evoluzione della situazione internazionale e incide sulla sicurezza e la stabilità del mondo intero. Di fronte a un evento di tale portata, non è né realistico né appropriato che la Cina si astenga completamente dal coinvolgimento e rimanga distaccata. Infatti, sin dallo scoppio della crisi ucraina, la Cina ha cercato di promuovere i negoziati, raggiungere un cessate il fuoco, impedire l’escalation del conflitto e risolvere la questione con mezzi pacifici. La Cina si è adoperata in tal senso sia con la Russia che con l’Ucraina e continuerà a impegnarsi in questo senso in futuro. Di fatto, negli ultimi anni la diplomazia cinese ha esplorato la possibilità di un impegno costruttivo nelle questioni di conflitto più calde, con il termine ufficiale di “partecipazione costruttiva”, e ha iniziato a metterlo in pratica. Nel suo discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel settembre 2022, l’allora Ministro degli Esteri Wang Yi ha affermato che, in quanto grande potenza responsabile, la Cina partecipa in modo costruttivo alla risoluzione delle questioni più calde, nel rispetto del principio di non ingerenza negli affari interni. Sebbene questa politica non sia specificamente mirata alla crisi ucraina, è comunque applicabile ad essa.
II. Non allineamento e “Cooperazione senza limiti”
Sin dallo scoppio della crisi ucraina, la “cooperazione senza limiti” annunciata da Cina e Russia ha suscitato scalpore a livello internazionale, con i media occidentali che generalmente la interpretano come prova del fatto che la Cina fosse a conoscenza dell’azione militare russa e la sostenesse. La premessa fondamentale di questa deduzione è la cronologia. Il 4 febbraio 2022, Putin ha visitato la Cina. Questa visita ha avuto due importanti esiti: in primo luogo, Putin ha partecipato alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi invernali tenutesi in Cina; in secondo luogo, Cina e Russia hanno rilasciato la “Dichiarazione congiunta sulle relazioni internazionali che entrano in una nuova era e sullo sviluppo sostenibile globale”, da cui ha avuto origine l’espressione “cooperazione senza limiti”. A giudicare dalla sequenza degli eventi, la deduzione dei media occidentali sembra logica. Putin è arrivato a Pechino il 4 febbraio e Cina e Russia hanno annunciato “cooperazione senza limiti”, un’espressione che appare per la prima volta in una dichiarazione congiunta Cina-Russia; Putin è partito in fretta, tornando in Russia lo stesso giorno, apparendo molto urgente; 20 giorni dopo, è iniziata l’operazione militare speciale russa. I media occidentali hanno ipotizzato che Putin si sia recato a Pechino per informare la Cina, abbia ricevuto il sostegno cinese, sia poi tornato frettolosamente a Mosca e abbia lanciato l’azione militare. In altre parole, la Cina era a conoscenza dei piani russi e ha fornito il suo appoggio.
Tuttavia, l’elemento chiave mancante in questa storia sono le prove fattuali. Si tratta di mera speculazione basata su dati temporali privi di prove specifiche, con contenuti puramente immaginari, il che la rende intrinsecamente inaffidabile. In realtà, questa speculazione è errata e incoerente con la situazione reale. I funzionari cinesi lo hanno chiarito più volte e Putin lo ha esplicitamente negato. Una conclusione più logica si può trarre analizzando il comportamento della Cina. Il giorno dopo lo scoppio della crisi ucraina, il 25 febbraio, il presidente Xi Jinping ha chiamato il presidente Putin per esprimere la posizione fondamentale della Cina, che includeva il rispetto della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale e la speranza di risolvere la questione attraverso negoziati pacifici. Ciò implica naturalmente il rispetto per l’integrità territoriale dell’Ucraina e la disapprovazione della guerra. Questi due principi sono diventati anche componenti essenziali della politica di base della Cina sulla crisi ucraina, che i funzionari cinesi ribadiscono in ogni dichiarazione. Se la Cina fosse stata a conoscenza dell’azione militare russa e avesse sostenuto l’azione militare russa, non avrebbe rilasciato tali dichiarazioni, il che sarebbe contraddittorio, soprattutto a soli 20 giorni dall’assunzione di un impegno. È difficile immaginare che un grande Paese agisca in questo modo. Dal punto di vista russo, se la Cina dovesse farlo, non solo tradirebbe la fiducia, ma sarebbe anche come tendere una trappola alla Russia, che non mancherebbe di reagire con forza. Pertanto, credere che la Cina fosse a conoscenza dell’azione militare russa e l’abbia sostenuta non è né logico né ragionevole.
Ancora più fondamentalmente, l’integrità territoriale e l’opposizione alla guerra non sono politiche specifiche della Cina nei confronti della crisi ucraina, ma principi e posizioni fondamentali della politica estera cinese. Negli ultimi decenni, le questioni relative alla divisione territoriale si sono presentate più volte nel mondo, e guerre e conflitti armati si sono verificati con frequenza. La politica cinese è sempre stata quella di sostenere il mantenimento dell’integrità territoriale di tutti i Paesi e di promuovere la pace.
“Cooperazione senza limiti” non è apparsa per la prima volta nella dichiarazione congiunta Cina-Russia del febbraio 2022; era già entrata nel vocabolario delle relazioni tra Cina e Russia da oltre un anno ed era comparsa più volte nei discorsi ufficiali. La sua espressione iniziale era “La cooperazione strategica Cina-Russia non ha fine, non ha aree proibite e non ha limiti massimi”, espressione poi concretizzata in “L’amicizia Cina-Russia non ha fine, la cooperazione non ha aree proibite e la fiducia reciproca non ha limiti massimi”. Ciò indica che la comparsa di questa espressione non aveva nulla a che fare con lo scoppio della crisi ucraina, né tantomeno con il sostegno della Cina all’operazione militare speciale russa. Si trattava semplicemente di un rafforzamento letterario del desiderio della Cina di continuare a sviluppare le relazioni Cina-Russia. Per oltre un anno dalla sua comparsa, poche persone, a parte gli studiosi specializzati nelle relazioni Cina-Russia, hanno prestato attenzione a questa espressione o le hanno attribuito un significato particolare; se non fosse stato per la crisi ucraina, non avrebbe ricevuto particolare attenzione.
“Cooperazione senza limiti” non deve essere intesa in senso restrittivo, interpretata solo dalla prospettiva della crisi ucraina o collegata a politiche specifiche. La Cina intende la cooperazione in senso ampio, non limitata a occasioni specifiche o riferita a politiche specifiche. La Cina ha utilizzato frequentemente questa espressione per oltre un anno, ma la sua politica di fondo non è cambiata, il che indica che si tratta di un’espressione generale piuttosto che di un riferimento a una politica specifica. Inoltre, all’epoca era impossibile prevedere che la crisi ucraina si sarebbe verificata.
“Cooperazione senza limiti” significa che la porta all’alleanza è stata aperta? O significa che anche un’alleanza è una possibile opzione? Nella comprensione cinese, chiaramente non ha questo significato. Il non allineamento, il non confronto e il non prendere di mira terze parti sono i principi fondamentali dell’approccio cinese alle relazioni Cina-Russia, che sono stati sanciti nei documenti formali dei due Paesi dal 2001, assumendo quindi il significato di norme comuni. Questi principi non sono stati abbandonati per oltre 20 anni e non sono cambiati grazie alla “cooperazione senza limiti”. Si può interpretare in questo modo: nel rapporto tra non allineamento e “cooperazione senza limiti”, il non allineamento è il principio fondamentale, mentre la “cooperazione senza limiti” è un atteggiamento; oppure il non allineamento è superiore, e la “cooperazione senza limiti” è subordinata. “Cooperazione senza limiti” si riferisce a “nessuna area proibita” nell’ambito del non allineamento, del non confronto e del non prendere di mira terze parti.
In effetti, questo è anche il significato espresso nella dichiarazione congiunta Cina-Russia. L’espressione completa nella dichiarazione congiunta è la seguente: “Il nuovo tipo di relazioni interstatali tra Cina e Russia supera il modello di alleanza politico-militare dell’era della Guerra Fredda. L’amicizia tra i due Paesi non ha fine, la cooperazione non ha ambiti proibiti, il rafforzamento del coordinamento strategico non ha come obiettivo paesi terzi e non è influenzato dall’evoluzione della situazione internazionale o da paesi terzi”. Da ciò si evince chiaramente che la “cooperazione senza limiti” qui menzionata non va oltre il principio di non allineamento e non ha come obiettivo paesi terzi. Molti interpreti non comprendono questa frase nella sua interezza, ma la estraggono dal suo contesto, elencando “cooperazione senza limiti” separatamente. Intenzionale o meno, ciò trasmette informazioni errate, dando luogo a fraintendimenti e interpretazioni errate.
È necessario sottolineare che il non allineamento è una scelta politica autonoma della Cina basata su principi politici, ma non costituisce un obbligo nei confronti di paesi terzi, in particolare di paesi alleati. Dopo la fine della Guerra Fredda, molti paesi non solo hanno mantenuto gruppi militari, ma li hanno anche ampliati e hanno persino formato nuove alleanze militari. Questo si riferisce principalmente agli Stati Uniti, dove le alleanze sono uno dei pilastri della loro politica estera. Pertanto, se altri paesi formano alleanze, gli Stati Uniti e l’Europa non dovrebbero trovarlo incomprensibile, né tantomeno pretendere che altri paesi non si allineino, poiché l’esistenza stessa delle loro alleanze militari è un fattore che stimola la formazione di nuovi schieramenti. La Cina aderisce al principio di non allineamento, ma ciò non significa che non abbia gli stessi diritti politici degli altri paesi. Da questa prospettiva, anche se “cooperazione senza limiti” includesse il significato di alleanza – sebbene non lo faccia – ciò non supererebbe le pratiche di altri paesi. L’alleanza non ha solo connotazioni di valore, ma ha anche funzioni strumentali. Nei casi in cui lo scopo è giusto e necessario, si tratta anche di una possibile opzione strumentale, e non c’è bisogno di considerarla meccanicamente come un concetto assolutamente negativo.
In generale, un’alleanza difensiva non significa che una parte debba fornire supporto ogni volta che l’altra è in guerra, ma solo quando un alleato viene invaso da un paese terzo. In questa crisi ucraina, a parte la Bielorussia che ha fornito assistenza limitata, gli altri Stati membri dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva non hanno sostenuto l’azione militare della Russia, né tantomeno fornito supporto militare. Questo perché ritenevano che le condizioni per la realizzazione dell’alleanza non fossero soddisfatte e la Russia non ha avanzato tali richieste. Questa funzione dell’alleanza non è stata attivata. Naturalmente, questa è solo una discussione teorica sulla questione dell’alleanza e non sostiene un’alleanza Cina-Russia.
Anche l’interpretazione del concetto di cooperazione Cina-Russia è una questione importante. Si può percepire che nei commenti statunitensi ed europei sulla cooperazione Cina-Russia vi sia una sottile presunzione di fondo, ovvero quella di dipingere la cooperazione Cina-Russia in modo negativo, di trattarla come un fenomeno negativo nella politica internazionale, arrivando persino a far credere che la cooperazione Cina-Russia stessa sia sbagliata e non una questione aperta. Ciò equivale a porre il concetto di cooperazione Cina-Russia in una narrativa negativa. Dal punto di vista della Cina, la cooperazione Cina-Russia è indubbiamente positiva, così come lo sono i suoi effetti, e la proposta cinese di “cooperazione senza limiti” si basa anche su questa intenzione. La cooperazione Cina-Russia comprende vari aspetti, come la politica, l’economia, la sicurezza, l’energia, la scienza e la tecnologia, i trasporti e gli scambi interpersonali, e non c’è nulla di anomalo nel cercare di espandere la cooperazione. La cooperazione Cina-Russia non è vantaggiosa solo per i due Paesi, ma anche per l’intera regione. La cooperazione tra i due Paesi nella loro periferia comune è fondamentale per il mantenimento della sicurezza e della stabilità di questa regione, e i due Paesi sono forze imprescindibili e importanti per promuovere la cooperazione regionale.
L’aspetto più rilevante a livello internazionale è la cooperazione internazionale tra Cina e Russia. Anche in questo caso, l’effetto della cooperazione tra Cina e Russia è positivo. Prima dello scoppio della crisi ucraina, il fulcro della cooperazione internazionale tra Cina e Russia era la creazione di una struttura internazionale multipolare, il mantenimento del sistema internazionale con le Nazioni Unite al centro e la promozione della costruzione di un ordine internazionale giusto e ragionevole. La cooperazione tra Cina e Russia contribuisce al mantenimento dell’equilibrio strategico internazionale, rafforzandone così la stabilità. La cooperazione tra Cina e Russia non mira, ma si impegna a evitare la formazione di uno scontro di gruppo.
Nella crisi ucraina, anche il ruolo delle relazioni Cina-Russia è positivo. Le relazioni Cina-Russia non sono la causa della crisi ucraina. Dopo lo scoppio della crisi ucraina, le relazioni Cina-Russia non sono un fattore che stimola il deterioramento della situazione. Sebbene la Cina sia la più grande forza esterna in grado di influenzare l’equilibrio di potere, non ha intrapreso alcuna azione per intensificare l’escalation della crisi. La Cina non solo invita l’Occidente e l’Ucraina a ripristinare la pace, ma consiglia costantemente alla Russia di negoziare negli scambi bilaterali con la Russia, per risolvere pacificamente i conflitti, esprimendo chiaramente la sua opposizione all’escalation bellica e opponendosi fermamente all’uso di armi nucleari. Pertanto, le relazioni Cina-Russia rappresentano una forza stabilizzatrice per la crisi ucraina, sebbene non possano risolvere il problema ucraino.
Va inoltre sottolineato che, dal punto di vista dell’accuratezza linguistica, “cooperazione senza limiti” presenta una certa ambiguità. Da un punto di vista puramente letterale, contraddice il non allineamento e, senza contesto, può facilmente portare a malintesi e ambiguità. Il linguaggio letterario differisce dal linguaggio diplomatico; il linguaggio letterario è vivido e fantasioso, ma per lo più “qualitativo”, con grande apertura semantica. Pertanto, quando si definiscono i concetti di politica estera, è necessario tenere presente questo punto quando si utilizza il linguaggio letterario. In effetti, forse proprio in considerazione di questo aspetto, i funzionari cinesi hanno ora modificato la loro formulazione, utilizzando espressioni più esplicite come “relazioni Cina-Russia basate sul non allineamento, sul non confronto e sul non prendere di mira terze parti”.
III. Propensione per la Russia contro propensione per l’Ucraina
La crisi ucraina ha acceso il dibattito tra accademici e opinione pubblica cinesi, con opinioni divergenti sulle relazioni Cina-Russia e commenti polarizzati sull’evento. Alcuni sostengono che la Cina dovrebbe opporsi esplicitamente alla Russia e sostenere la necessità di frenare le relazioni Cina-Russia. Altri ritengono che le relazioni Cina-Russia comportino più svantaggi che vantaggi per la Cina. Le loro argomentazioni principali sono triplici: in primo luogo, hanno un impatto negativo sull’immagine morale della Cina; in secondo luogo, spingono le relazioni Cina-USA verso uno scontro; e in terzo luogo, espongono le imprese cinesi al rischio di sanzioni. L’autore di questo articolo ha una visione diversa su questo tema.
Sulla crisi ucraina, non solo non esiste un giudizio morale unificato, ma anche una forte opposizione, con interpretazioni completamente diverse di giustizia e moralità. Ma indubbiamente, la diplomazia cinese dovrebbe basarsi su principi di valore e rispettare il diritto internazionale. Il problema sta nell’esprimerli nel modo più appropriato. Politica e strategia formano un tutt’uno; politiche corrette senza strategie appropriate non solo non riescono a ottenere i risultati desiderati, ma possono persino essere controproducenti. Utilizzare il danno o persino la distruzione delle relazioni di un intero Paese come mezzo è chiaramente indesiderabile e non può raggiungere l’obiettivo del perseguimento dei valori. Sebbene l’idealismo sia necessario, i Paesi in definitiva vivono in un mondo di realismo, e le relazioni interstatali e gli interessi nazionali hanno un contenuto più ampio e duraturo.
La crisi ucraina ha danneggiato l’immagine morale della Cina nella società occidentale, soprattutto in Europa. Finché la Cina non condannerà la Russia, questa situazione sarà difficile da evitare, e anche una semplice condanna potrebbe non soddisfare l’Occidente. Tuttavia, la Cina non definirà la sua politica nei confronti della Russia in base alle richieste occidentali, non si lascerà influenzare dalla coercizione di altri paesi e, soprattutto, non si unirà al fronte occidentale nel sanzionare la Russia.
Va inoltre riconosciuto che, in un certo senso, la crisi ucraina può essere intesa come due guerre interconnesse: una tra Russia e Ucraina e un’altra guerra per procura tra Russia e Stati Uniti. Le loro nature sono molto diverse e, da prospettive diverse, anche i ruoli di ciascuna parte differiscono e non possono essere equiparati. Dal punto di vista della guerra Russia-Ucraina, i ruoli di Russia e Ucraina sono di una stessa natura; dal punto di vista della guerra per procura tra Stati Uniti e Russia, i ruoli di Stati Uniti e Russia assumono una natura diversa. Inoltre, nella guerra per procura tra Stati Uniti e Russia, persino negare la legittimità dell'”operazione militare speciale” russa non significa automaticamente affermare che la controparte sia giusta e legittima. Pertanto, non aderire alle sanzioni statunitensi contro la Russia non significa necessariamente essere politicamente in errore, soprattutto quando questo approccio non facilita la soluzione del problema.
È esagerato affermare che la Cina sia stata trascinata allo scontro con gli Stati Uniti dalla Russia. La Russia non ha questa capacità, la Cina non è così ingenua e gli Stati Uniti non sono così sciocchi. Lo sviluppo delle relazioni Cina-USA fino ad oggi è dovuto principalmente alla sua logica, non alle relazioni Cina-Russia. Nella traiettoria trentennale delle relazioni Cina-USA dopo la fine della Guerra Fredda, è quasi impossibile trovare esempi di deterioramento dovuto alle relazioni Cina-Russia. La crisi ucraina ha creato nuovi problemi per le relazioni Cina-USA, ma questi sono secondari e servono come nuovi stimoli piuttosto che come causa principale delle contraddizioni Cina-USA. Il punto di maggiore attrito nelle relazioni Cina-USA è la questione di Taiwan. Indubbiamente, a prescindere da ciò che la Cina farà sulla crisi ucraina, le contraddizioni tra Cina e Stati Uniti sulla questione di Taiwan non scompariranno.
Le imprese cinesi rischiano effettivamente di incorrere in sanzioni secondarie, che rappresentano una seria minaccia per gli interessi commerciali della Cina. Tuttavia, qualsiasi Paese che intrattenga relazioni di cooperazione con la Russia in aree soggette a sanzioni statunitensi incorrerà in sanzioni, il che non è direttamente correlato al fatto che Cina e Russia siano partner strategici. Ciò è dovuto alle politiche sanzionatorie statunitensi; la cooperazione economica tra Cina e Russia non ne è la causa. La cooperazione economica è uno scambio normale; non è sbagliata di per sé. Le sanzioni statunitensi ed europee contro la Russia non hanno solo colpito l’economia russa, ma hanno anche causato perdite economiche a se stesse e hanno dirottato tutti gli altri Paesi innocenti, danneggiando gravemente i loro interessi, il che è irragionevole. Le imprese cinesi possono solo cercare di evitare i rischi, ridurre le perdite e ricercare metodi di cooperazione relativamente sicuri per adattarsi alla nuova situazione.
Le opinioni a favore del proseguimento dello sviluppo delle relazioni Cina-Russia sono diffuse, sebbene le argomentazioni siano divergenti. In generale, due punti sono i più importanti: in primo luogo, secondo un’interpretazione diversa del principio di giustizia, la Russia è vista come costretta a contrattaccare, combattendo contro l’egemonia, che ha legittimità, e la Cina dovrebbe sostenerla; in secondo luogo, dal punto di vista degli interessi realistici, anche se la Cina dovesse condannare la Russia e aderire alle sanzioni contro la Russia, gli Stati Uniti non cambierebbero la loro politica nei confronti della Cina e continuerebbero a trattare con la Cina con la massima forza.
La questione della giustizia delle azioni della Russia non ha bisogno di essere approfondita; le opinioni su questo tema divergono e non esiste una visione unificata. Tuttavia, a un esame più attento, si può scorgere un’altra logica dietro questa argomentazione. Il suo vero focus non è interamente sulla moralità, né sulla Russia, ma sugli Stati Uniti. In altre parole, gli Stati Uniti sono il cuore del problema, e la competizione tra Cina e Stati Uniti è il punto di partenza di questa visione, il che significa che, a prescindere da quale sia il Paese, finché combatte contro gli Stati Uniti, dovrebbe essere sostenuto: la crisi ucraina è, in un certo senso, anche una guerra tra Russia e Stati Uniti. Naturalmente, la Cina dovrebbe sostenere la Russia. Pertanto, il sostegno alla Russia è più per colpire gli Stati Uniti che per il bene della Russia stessa. Non si tratta di affermare o negare questa visione, ma semplicemente di sottolinearne l’essenza.
Tra le varie argomentazioni a sostegno delle relazioni Cina-Russia, quella dell’interesse realistico è la più rappresentativa. Poiché l’opposizione cinese alla Russia non può in alcun modo modificare la politica statunitense di contenimento della Cina, il risultato finale di un simile intervento da parte della Cina sarebbe solo “perdere sia la donna che le truppe”, né invertire realmente le relazioni Cina-USA sacrificando quelle Cina-Russia. La Cina non può fare una mossa così sconsiderata e, nell’ambito della politica statunitense del “doppio contenimento”, in cui gli Stati Uniti considerano la Cina il loro principale concorrente strategico, aiutare gli Stati Uniti a indebolire la Russia equivale a un autoindebolimento mascherato, mentre sostenere la Russia equivale indirettamente a sostenere se stessi. Ovviamente, si tratta di un’argomentazione realista. È la più incisiva e la più pragmatica. Che si sia d’accordo o meno, la realtà della politica internazionale è che le relazioni interstatali sono ancora in gran parte governate da un pensiero realista, e la Cina non fa eccezione.
Un fenomeno interessante è che, nonostante le opinioni contrastanti sulla questione russa, questi due punti di vista condividono un elemento comune: la formazione delle loro opinioni non è dovuta interamente alla crisi ucraina, ma principalmente alle loro posizioni preesistenti. In altre parole, le loro posizioni preesistenti hanno determinato i loro punti di partenza, e la crisi ucraina ha semplicemente reso le loro opinioni più marcate e la loro opposizione più acuta.
IV. Attività positive e negative
Dopo la crisi ucraina, alcuni hanno ipotizzato che le relazioni Cina-Russia siano diventate un fattore negativo per la diplomazia cinese, manifestandosi principalmente nel già citato danno agli interessi cinesi. La Cina ha effettivamente subito un certo danno ai propri interessi, sebbene non semplicemente a causa delle relazioni Cina-Russia. Considerando il quadro generale, le relazioni Cina-Russia rimangono un fattore positivo per la Cina. Questo da una prospettiva statica. Da una prospettiva dinamica, fattori positivi e negativi si trovano in una relazione dialettica, a seconda di come vengono utilizzati.
Le relazioni Cina-Russia rivestono un interesse significativo per la Cina. L’opinione che le relazioni Cina-Russia non siano molto vantaggiose per la Cina viene valutata principalmente da una prospettiva commerciale. Da questo punto di vista, rispetto a Stati Uniti, Unione Europea e ASEAN, il volume degli scambi commerciali Cina-Russia è relativamente ridotto. Nel 2021, prima della crisi ucraina, l’ASEAN era il principale partner commerciale della Cina, con un volume di scambi di 5.674 miliardi di yuan, pari al 14,51% del commercio estero totale della Cina. L’Unione Europea si collocava al secondo posto, con un volume di scambi di 5.351 miliardi di yuan, pari al 13,69% del commercio estero totale della Cina. Gli Stati Uniti si classificavano al terzo posto, sebbene siano il principale singolo paese commerciale della Cina, con un volume di scambi di 4.882 miliardi di yuan, pari al 12,49% del commercio estero totale della Cina. Stati Uniti e Unione Europea rappresentano insieme oltre il 26% del commercio estero totale della Cina. La Russia si è classificata all’undicesimo posto tra i partner commerciali della Cina, con un volume commerciale di 948,67 miliardi di yuan nel 2021, pari al 2,43% del commercio estero totale della Cina. L’obiettivo a breve termine per il commercio Cina-Russia è di raggiungere i 200 miliardi di dollari USA, cifra comunque di gran lunga inferiore a quella con Stati Uniti e Unione Europea. Inoltre, il surplus commerciale della Cina proviene principalmente da Stati Uniti e Unione Europea. Nel 2021, il surplus commerciale della Cina con gli Stati Uniti è stato di circa 400 miliardi di dollari USA e con l’Europa di circa 200 miliardi di dollari USA. A causa della struttura commerciale, la Cina ha un deficit commerciale con la Russia, che nel 2021 si è attestato a circa 10 miliardi di dollari USA. Oltre al volume commerciale, in settori come investimenti, finanza e tecnologia, l’importanza degli Stati Uniti e dell’Unione Europea per gli interessi della Cina è incomparabile a quella della Russia.
Tuttavia, anche economicamente, sebbene il volume degli scambi commerciali tra Cina e Russia sia relativamente piccolo rispetto a quello della Cina con Stati Uniti e Unione Europea, non è irrilevante. Il commercio tra Cina e Russia ha i suoi punti di forza, soprattutto nel settore energetico. La sicurezza energetica è un importante interesse nazionale per la Cina e riveste un’importanza strategica cruciale. La Russia si è costantemente classificata al primo o al secondo posto tra i paesi fornitori di petrolio della Cina. Da gennaio a ottobre 2022, la Russia ha esportato 72 milioni di tonnellate di petrolio in Cina, leggermente meno dei 73,8 milioni di tonnellate dell’Arabia Saudita, che si colloca al secondo posto. La Russia è anche il secondo paese fornitore di gas naturale per la Cina. Nel 2022, la Cina ha importato dalla Russia 15,5 miliardi di metri cubi di gas naturale tramite gasdotto. La Russia fornisce relativamente meno gas liquefatto, classificandosi al quarto posto tra i fornitori di gas liquefatto della Cina. Inoltre, la Russia è il secondo paese esportatore di carbone verso la Cina. In futuro, vi è un significativo margine di crescita nelle forniture di petrolio e gas naturale russe alla Cina. Pertanto, la Russia è estremamente importante per la sicurezza energetica della Cina, che non può essere misurata semplicemente in base al volume degli scambi commerciali, e la Cina attribuisce alla cooperazione energetica con la Russia un ruolo particolarmente importante. Allo stesso tempo, ci sono molti ambiti nella cooperazione economica Cina-Russia che possono essere sviluppati e approfonditi, con un grande potenziale di sviluppo.
Le interazioni economiche della Cina con i diversi Paesi sono relazioni parallele e additive, non sostitutive o escludenti. Ciò significa che, nonostante le differenze di dimensioni, l’importanza di un Paese non può sostituire o escludere l’importanza di un altro. I benefici della cooperazione economica con un Paese non possono sostituire o escludere i benefici della cooperazione economica con un altro. Relativamente più piccolo non significa irrilevante o insignificante; sono tutti componenti della cooperazione economica estera della Cina e non possono essere abbandonati dalla Cina. La cooperazione economica estera riguarda l’inclusività e lo sviluppo globale, non l’abbandono del piccolo per il grande, né tantomeno la scelta dell’uno rispetto all’altro.
Nelle relazioni interstatali, si ritiene generalmente che le relazioni economiche svolgano un ruolo fondamentale, rappresentando il fattore più basilare che le determina. Indubbiamente, gli interessi economici sono cruciali per i paesi, ma nella politica moderna, l’abituale convinzione che l’economia determini tutto è stata ripetutamente infranta. Il ruolo degli interessi economici nelle relazioni interstatali è complesso e variabile; non è sempre coordinato e sincronizzato con le relazioni politiche, né ha sempre un effetto assolutamente decisivo su di esse. Esistono numerosi casi simili, e le relazioni della Cina con Stati Uniti, Unione Europea, Giappone e Russia ne sono esempi evidenti. La Cina intrattiene le relazioni economiche più strette con Stati Uniti, Unione Europea e Giappone, ma ciò non ha garantito strette relazioni politiche. Le relazioni Cina-Russia sono l’opposto; nonostante le relazioni economiche relativamente deboli tra Cina e Russia, che difficilmente possono eguagliare quelle con Stati Uniti e Unione Europea, le relazioni politiche sono molto migliori rispetto a quelle con Stati Uniti e Unione Europea. La stessa situazione si è verificata nelle relazioni della Russia con l’Europa e l’Ucraina. Prima della crisi ucraina, la Russia era il partner commerciale più importante dell’Ucraina e il principale fornitore di gas naturale dell’Europa. Le relazioni economiche tra le parti erano innegabilmente strette e gli interessi economici erano innegabilmente significativi, ma ora si trovano in uno stato di guerra e quasi di guerra.
Gli interessi nazionali abbracciano una vasta gamma di contenuti, di cui gli interessi economici rappresentano solo un aspetto. Oltre agli interessi economici, le relazioni Cina-Russia rivestono un’altra importanza per la Cina, alcune delle quali sono uniche e insostituibili. Le relazioni Cina-Russia rivestono una posizione speciale nella sicurezza periferica della Cina. La Russia è il vicino più grande e più forte della Cina, con una lunga linea di confine. È il collegamento più importante per la sicurezza dei confini cinesi e lo stato delle relazioni Cina-Russia è cruciale per la sicurezza delle regioni di confine cinesi, un punto ben noto e che non necessita di ulteriori approfondimenti. L’importanza delle relazioni Cina-Russia per la sicurezza periferica della Cina non riguarda solo le regioni di confine tra i due Paesi, ma svolge anche un ruolo importante nella sicurezza complessiva della periferia settentrionale della Cina, tra cui Mongolia, Asia centrale, Afghanistan e persino la penisola coreana e l’Asia meridionale, che fanno parte della periferia comune di Cina e Russia. I due Paesi esercitano ciascuno la propria influenza in queste regioni e la loro amicizia e cooperazione sono fattori importanti anche per il mantenimento della stabilità e della sicurezza nella periferia più ampia della Cina.
Va inoltre notato che se i problemi con i paesi limitrofi più piccoli hanno solo una rilevanza locale, allora i problemi con una grande potenza come la Russia potrebbero potenzialmente avere un impatto globale e strategico sulla Cina, il che rappresenta un aspetto peculiare delle relazioni Cina-Russia. Sullo sfondo della maggiore pressione strategica esercitata dalla Cina dal mare, buone relazioni Cina-Russia possono garantire un continente eurasiatico relativamente stabile in periodi normali e una retroguardia strategica relativamente stabile per la Cina quando si trova ad affrontare gravi crisi strategiche, il che comporta enormi vantaggi strategici per la Cina. Questa importanza è implicita in periodi normali e potrebbe non sembrare significativa, ma quando la Cina si troverà ad affrontare importanti cambiamenti esterni, la sua importanza strategica per il Paese diventerà evidente.
Le relazioni Cina-Russia occupano una posizione speciale nel panorama strategico cinese. Che lo si voglia o no, che lo si riconosca o meno, le relazioni interattive tra le grandi potenze esistono oggettivamente e hanno un impatto significativo sul panorama internazionale. Nella composizione delle relazioni tra grandi potenze, Cina, Russia, Stati Uniti, Europa, India e Giappone sono gli elementi fondamentali. Possono formare molteplici relazioni interattive trilaterali o quadrilaterali, e persino quadrilatere, e persino strutture pentagonali o esagonali. Tuttavia, tra tutte le grandi potenze, le relazioni Cina-Russia-Stati Uniti sono senza dubbio le più importanti. Sono i tre perni più indipendenti nella politica internazionale odierna. Europa e Giappone hanno relazioni di alleanza con gli Stati Uniti, con gli Stati Uniti come leader dell’alleanza, e Europa e Giappone mantengono ancora una certa dipendenza. Sebbene l’India persegua una politica estera indipendente, è più spesso oggetto di corteggiamento e non è ancora sufficiente per essere un centro indipendente con una forte forza centripeta.
Si ritiene comunemente che il grande triangolo Cina-USA-Russia sia scomparso e non tornerà. In effetti, un grande triangolo identico a quello dell’era della Guerra Fredda non riapparirà, ma ciò non significa che i modelli triangolari non torneranno. Alleanze, coalizioni e allineamenti verticali e orizzontali nelle relazioni interstatali esistono fin dall’antichità e persistono ancora oggi. Il grande triangolo Cina-USA-Russia è solo una manifestazione, ma non una forma eccezionale di relazioni interstatali. In altre parole, in quanto forma normale, piuttosto che eccezionale, delle relazioni tra grandi potenze, le relazioni triangolari sono ripetibili. La questione è solo se siano soddisfatte le condizioni per la sua comparsa. Se le condizioni sono soddisfatte, la ricomparsa di un nuovo grande triangolo non è un’immaginazione infondata. Naturalmente, la forma del grande triangolo può essere ripetuta, ma il contenuto specifico non sarà lo stesso. Se emerge una nuova relazione triangolare, la sua natura ostile, il grado di opposizione e la portata d’influenza saranno tutti diversi rispetto al grande triangolo dell’era della Guerra Fredda.
Il prerequisito per la formazione di un nuovo triangolo è l’opposizione reciproca tra Cina, Russia e Stati Uniti. La Cina non ha alcuna intenzione di impegnarsi nei tradizionali giochi geopolitici, né si prepara ad allearsi con la Russia né spera di confrontarsi con gli Stati Uniti. Tuttavia, dato che gli Stati Uniti hanno già fatto della Cina il loro principale concorrente strategico, un’inversione delle relazioni Cina-Russia creerebbe le condizioni per un’opposizione reciproca tra i tre Paesi e potrebbe emergere una nuova relazione triangolare. Nella nuova relazione triangolare, i ruoli e le posizioni di Cina e Russia cambierebbero, con Cina e Stati Uniti come i due poli più forti e la Russia come parte relativamente più debole. È necessario spiegare che il significato di “due poli” qui menzionato differisce dal bipolarismo USA-URSS; si riferisce allo status speciale di Cina e Stati Uniti, dotati di una forza nazionale complessiva di gran lunga superiore ad altre grandi potenze nel quadro di una struttura mondiale multipolare, che potrebbe essere definita “due superpotenze tra molteplici potenze forti”. Questo è lo stato oggettivo dell’attuale struttura internazionale, ma non significa che Cina e Stati Uniti rappresentino ciascuno metà del mondo. Inoltre, non si tratta di una ricerca politica e non contraddice il processo di multipolarizzazione né la politica di multipolarizzazione della Cina.
Gli Stati Uniti hanno fatto della Cina il principale obiettivo di contenimento, ponendo la Russia in una posizione secondaria rispetto alla Cina. Considerate le particolari condizioni politiche e geografiche tra Cina e Russia, le complesse questioni di confine e storiche, il rapido ampliamento del divario di potere e la crescente influenza della Cina in regioni come l’Asia centrale e il Caucaso, quando le relazioni bilaterali diventano negative, è più probabile che la Russia consideri la Cina la principale fonte di pressione. Pertanto, si verificherebbe una situazione in cui sia gli Stati Uniti che la Russia considererebbero la Cina la loro principale sfida strategica. Naturalmente, questa è un’ipotesi pessimistica, ma una gestione scorretta delle relazioni Cina-Russia creerebbe senza dubbio le condizioni affinché questa ipotesi diventi realtà.
Attualmente, la Russia è in netta contrapposizione con gli Stati Uniti e l’Europa, senza alcuna possibilità di un miglioramento sostanziale delle relazioni bilaterali nel prossimo futuro. Tuttavia, nell’imprevedibile mondo odierno, in cui i “cigni neri” compaiono frequentemente, con il cambiare dei tempi, cambierà anche il contesto internazionale. Solo considerando sia il parziale che il complessivo, il breve e il lungo termine, si può rimanere incontestati.
V. Stabilità a lungo termine contro forti fluttuazioni
Le relazioni Cina-Russia dovrebbero rimanere stabili, sebbene le ragioni e le prospettive in questo caso differiscano leggermente dalla suddetta “fazione del mantenimento”. Non si basa sull’essere filoamericani o antiamericani, né filorussi o antirussi, ma considera le relazioni interstatali come punto di partenza e di arrivo. Le relazioni interstatali sono un sistema complesso guidato da molteplici fattori, con la propria inerzia e i propri schemi, e una certa indipendenza. Mantenere normali relazioni interstatali non significa necessariamente sostenere o opporsi a una delle parti in causa in un evento. In parole povere, non sono necessariamente collegate.
La crisi ucraina ha gettato il mondo in un profondo tumulto e la politica internazionale sembra aver subito cambiamenti radicali. Tuttavia, a un’attenta osservazione, si può constatare che il modello di base delle relazioni interstatali non è cambiato in modo significativo. È stato modificato, ma non completamente stravolto e riorganizzato: i paesi che originariamente erano amici della Russia mantengono ancora relazioni normali, sebbene alcuni paesi subiscano fluttuazioni politiche o si allontanino per determinati motivi. Pochi paesi non occidentali hanno radicalmente cambiato posizione per schierarsi fermamente contro la Russia. Il Sud del mondo continua sostanzialmente a mantenere relazioni con la Russia e non aderisce alle sanzioni contro la Russia. Coloro che si oppongono risolutamente alla Russia sono fondamentalmente paesi occidentali o paesi con relazioni politiche più strette con l’Occidente, e nessun paese occidentale ha cambiato posizione per schierarsi con la Russia.
Ciò non è casuale; situazioni simili sono comuni nella politica internazionale, a indicare che le relazioni interstatali sono influenzate da vari fattori interni ed esterni, ma lo stato delle relazioni bilaterali è fondamentale. Tra paesi amici, quando le circostanze esterne cambiano o sorgono crisi, in assenza di conflitti di interesse diretti e significativi, i paesi tendono tipicamente a mantenere relazioni normali piuttosto che distruggerle attivamente a causa di determinati problemi. Le buone relazioni interstatali sono il risultato dell’accumulo di anni o addirittura generazioni, portatrici di interessi nazionali multiformi e a lungo termine. L’impulso a mantenere le relazioni interstatali è spesso più forte dell’impatto di problemi esterni temporanei, conferendo alle relazioni interstatali amichevoli una tendenza auto-orientata e inerziale alla stabilità. Le relazioni interstatali sono a lungo termine; non sono relazioni con un regime, né sono le esigenze di un certo periodo. I regimi cambieranno, i tempi passeranno, ma le relazioni interstatali continueranno a esistere. Le politiche mature per le relazioni interstatali dovrebbero anche essere stabili, continue e prevedibili, piuttosto che irregolari e opportunistiche, prive di continuità.
Le relazioni Cina-Russia sono normali relazioni interstatali. In quanto relazioni interstatali, sono influenzate da complessi fattori interni e internazionali, con particolare importanza dei fattori bilaterali. Fattori esterni non direttamente correlati alla Cina, come lo stato del regime russo, il suo andamento interno positivo o negativo, la sua vittoria o sconfitta nella crisi ucraina, il miglioramento o il deterioramento delle sue relazioni con altri Paesi, hanno tutti un certo impatto sulle relazioni Cina-Russia, ma non sono condizioni chiave che determinano la politica cinese nei confronti della Russia. La Cina sviluppa relazioni con vari tipi di Paesi, compresi quelli con religioni, culture politiche e politiche diverse nei confronti della Cina. Naturalmente, non vi è alcun motivo per non sviluppare relazioni con la Russia. Inoltre, la Cina persegue una politica estera indipendente e non è soggetta a coercizioni da parte di altri Paesi nelle sue relazioni estere. Da questa prospettiva, la politica della Cina nella crisi ucraina non è speciale; non differisce significativamente dai modelli di comportamento di altri Paesi e si conforma ai modelli generali delle relazioni interstatali.
Nel corso dell’ultimo secolo, le relazioni tra Cina e Russia hanno avuto un andamento altalenante, con alti e bassi significativi e senza precedenti nel mantenimento di una stretta e amichevole cooperazione a lungo termine. A partire dal 1996, anno in cui i due Paesi si sono dichiarati partner strategici, l’attuale rapporto di cooperazione amichevole dura da 27 anni, un risultato senza precedenti non solo nel secolo scorso, ma anche nei 400 anni di storia delle relazioni Cina-Russia, rappresentando il periodo più lungo di cooperazione continuativa. Questo risultato deriva dall’apprendimento di entrambi i Paesi dalle dolorose lezioni del passato. Le relazioni Cina-Russia/Unione Sovietica erano straordinariamente cordiali negli anni ’50, ma precipitarono rapidamente negli anni ’60, trasformandosi da stretti amici in nemici, portando a conflitti militari di confine e sull’orlo di una guerra su vasta scala. Ci vollero 25 anni, fino al 1989, perché le relazioni bilaterali si normalizzassero dalla rottura completa, e altri 7 anni, fino al 1996, perché le relazioni bilaterali raggiungessero il livello di cooperazione strategica.
Cina e Russia intrattengono relazioni molto amichevoli, che non necessitano di ulteriori spiegazioni; entrambe le parti ritengono che le relazioni bilaterali siano ai loro massimi storici. Sebbene la crisi ucraina sia intensa, non è rivolta alla Cina, che può essere considerata un’entità esterna, non direttamente coinvolta. In questa situazione, mantenere relazioni normali con la Russia è una scelta naturale, non solo con la Russia, ma anche con l’Ucraina, gli Stati Uniti e l’Europa. Naturalmente, questo non significa che la Cina non abbia una propria posizione.
Mantenere le relazioni Cina-Russia non solo serve gli interessi di Cina e Russia, ma contribuisce anche alla stabilità internazionale e regionale. Con Europa e Russia già in un intenso scontro, il deterioramento delle relazioni Cina-Russia farebbe precipitare l’intero continente eurasiatico nel caos e nell’incertezza. Buone relazioni Cina-Russia possono almeno garantire la stabilità di base di metà del continente eurasiatico e mantenervi l’ordine. Ciò è in linea con gli interessi economici e di sicurezza della Cina.
La Cina adotta una politica di non allineamento, non promuove il confronto con Stati Uniti ed Europa, non desidera formare due blocchi principali e non cerca di distruggere l’ordine internazionale. Le politiche e le idee della Cina si riflettono anche nelle relazioni Cina-Russia e le influenzano. Pertanto, la cooperazione Cina-Russia non accelererà il crollo dell’ordine internazionale, non rafforzerà il confronto con Stati Uniti ed Europa e non approfondirà la divisione della comunità internazionale.
In particolare, è necessario ribadire che il mantenimento di relazioni cooperative non implica il sostegno a tutti i comportamenti e le politiche dell’altra parte, cosa naturale nelle relazioni interstatali. Nell’ambito della crisi ucraina, il mantenimento della cooperazione Cina-Russia non implica il pieno appoggio alla politica russa. La Cina non ha sostenuto l’operazione militare speciale russa, non ha riconosciuto l’annessione della Crimea, di Luhansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson alla Russia, sostiene il mantenimento della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina e ritiene inoltre che i legittimi interessi di sicurezza di tutte le parti debbano essere rispettati e adeguatamente affrontati. Ciò ha chiaramente espresso il significato della politica cinese, che si basa sul diritto internazionale e non sul sostegno incondizionato a tutte le azioni di qualsiasi parte.
Considerare il mantenimento delle relazioni Cina-Russia come un sostegno all’azione militare russa contro l’Ucraina, o credere che non essere d’accordo con alcune politiche russe significhi opporsi alla Russia, è una mentalità semplicistica. Anche dal punto di vista della risoluzione dei problemi, il suo effetto sarebbe solo peggiore, non migliore. Le relazioni amichevoli sono una risorsa e un canale importanti. In condizioni di mantenimento dell’amicizia, la Cina può comunicare più facilmente con la Russia, fornire suggerimenti alla Russia ed è più propensa a mediare, raffreddando e spegnendo gli incendi nei momenti di crisi. Se le relazioni bilaterali si raffreddano, la comunicazione tra Cina e Russia diventerà difficile e la possibilità di esprimere opinioni si ridurrà. Alcune guerre avviate dagli Stati Uniti spesso non ottengono l’approvazione di alcuni dei loro alleati europei, ma questo non si è mai intensificato al livello delle loro relazioni interstatali.
Mantenere le relazioni Cina-Russia non è una politica eccezionale nei confronti della Russia; si applica a tutte le relazioni bilaterali della Cina, il che significa che le relazioni con gli altri Paesi dovrebbero essere le stesse. Nel frattempo, mantenere le relazioni Cina-Russia non è diretto contro l’Occidente e non significa non sviluppare relazioni con Stati Uniti ed Europa. Di fronte a varie sfide, è necessario impegnarsi per mantenere e sviluppare le relazioni tra i Paesi; questa dovrebbe essere la politica di base per la gestione delle relazioni interstatali. In effetti, questo è ciò che fa la Cina. Quando gli Stati Uniti hanno lanciato la guerra in Iraq su false basi, anche senza un contesto storico, la Cina non ha interrotto le sue relazioni con gli Stati Uniti, e questo non significava sostenere l’inizio della guerra da parte degli Stati Uniti. Oggi, gli Stati Uniti attuano misure di contenimento e sanzioni contro la Cina, insistendo gradualmente su questioni che riguardano gli interessi fondamentali della Cina, mentre l’Europa segue gli Stati Uniti. Ciononostante, la Cina spera ancora di migliorare le relazioni con Stati Uniti ed Europa, cercando di riportare alla normalità le relazioni bilaterali, e gli sforzi della Cina in questo senso non sono inferiori a quelli in qualsiasi altra direzione. La Russia non ha danneggiato gli interessi fondamentali della Cina, quindi perché distruggere attivamente un rapporto amichevole? Dopo la distruzione, sarebbero inevitabilmente necessari enormi sforzi per ripararla: non sarebbe questo un modo per cercarsi dei guai?
VI. Conclusion
Per quanto riguarda il posizionamento della Cina nella crisi ucraina, una definizione più accurata è quella di impegno costruttivo piuttosto che di neutralità. A differenza degli Stati Uniti e dell’Occidente, la politica cinese non si basa sulla scelta di una sola parte, ma è orientata a risultati costruttivi. Allo stato attuale, ciò che la Cina intende come costruttivo può essere riassunto nel suo piano di pace in 12 punti per l’Ucraina, proposto nel febbraio 2023. Secondo la Cina, la crisi ucraina presenta una grande complessità in termini di cause, partecipanti e perseguimento di interessi. Non si tratta solo di una guerra tra Russia e Ucraina, ma anche di una guerra per procura o quasi-guerra tra Russia, Stati Uniti e NATO. Tra Russia e Ucraina, la Cina non ha mai sollevato obiezioni nei confronti dell’Ucraina, ma tra Russia, Stati Uniti e NATO, la Cina ritiene che quest’ultima abbia una responsabilità importante sia per lo scoppio che per la continuazione della guerra, e sospetta che alcuni paesi stiano utilizzando la crisi ucraina per raggiungere obiettivi geopolitici. Da questa prospettiva, la Cina non è neutrale. L’impegno costruttivo è una politica flessibile, con margini di adattamento specifici in base alla situazione, non fissa su una posizione specifica.
L’espressione “cooperazione senza limiti” è stata ampiamente utilizzata dall’opinione pubblica occidentale come prova del fatto che la Cina sostenga l’azione militare russa e potrebbe formare un’alleanza con la Russia. Si tratta di un malinteso o di un’interpretazione errata. Putin non ha informato la Cina dell’azione militare pianificata e, naturalmente, non poteva esserci alcun sostegno cinese alla Russia. Inoltre, “cooperazione senza limiti” non ha alcun collegamento con la formazione di un’alleanza. Cina e Russia hanno stabilito il principio di non allineamento nel 2001, e questo principio non è mai cambiato. Esaminando l’intero paragrafo della dichiarazione congiunta Cina-Russia, si può notare che “cooperazione senza limiti” rientra nel quadro di “non allineamento, non scontro, non attacco a terze parti”.
Negli ambienti accademici cinesi esistono due visioni diametralmente opposte sulla crisi ucraina: una a sostegno dell’Ucraina e l’altra a sostegno della Russia. Il sostegno alla Russia è prevalente, con l’argomentazione principale che gli Stati Uniti e la NATO hanno una responsabilità importante nello scoppio della crisi ucraina e che, dopo aver sconfitto la Russia, gli Stati Uniti saranno liberi di trattare con la Cina con tutte le forze. Pertanto, la Cina non dovrebbe aiutare gli Stati Uniti ad attaccare la Russia.
La Cina continuerà a mantenere normali relazioni statali con la Russia. Le relazioni Cina-Russia hanno ampi e importanti interessi per la Cina, in particolare per quanto riguarda la sicurezza delle regioni di confine, la stabilità delle regioni periferiche, la cooperazione regionale, la cooperazione energetica e altri aspetti. Questi interessi sono a lungo termine e richiedono buone relazioni statali come garanzia. Mantenere relazioni normali non significa sostenere tutte le politiche dell’altra parte, ma la Cina non può rinunciare a tutti questi importanti interessi nazionali per questo motivo. Ciò è conforme allo schema generale delle relazioni interstatali, ovvero, in assenza di conflitti di interesse diretti e significativi, due paesi di solito mantengono relazioni normali tra loro piuttosto che distruggerle attivamente. Il fatto che la maggior parte dei paesi al mondo non abbia aderito alle sanzioni contro la Russia conferma anch’esso questo schema.
La Cina è disposta a mantenere buoni rapporti con tutte le parti, compresi Stati Uniti ed Europa. Ma l’Occidente, soprattutto gli Stati Uniti, aderisce ancora al credo del “se non sei con me, sei contro di me”, non concedendo spazio alla Cina e interpretando il non opporsi alla Russia come un sostegno alla Russia. Le conseguenze di questo approccio sono evidenti; il suo risultato naturale è quello di avvicinare Cina e Russia, approfondendo la tendenza alla divisione globale e allo scontro tra blocchi. Anche la politica statunitense del “bianco o nero” è selettiva. La politica cinese sulla crisi ucraina non differisce in linea di principio da quella di molti paesi del mondo, compresi tutti i paesi dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, inclusa l’India, che hanno posizioni simili a quella cinese, ma gli Stati Uniti puntano la loro punta di diamante contro la Cina. Questo è certamente dovuto al fatto che il fattore Cina è più importante, ma è anche guidato da determinate esigenze geopolitiche.
La crisi ucraina è ancora in corso e, al momento, non si intravedono né l’esito finale della guerra né la sua fine. Finché la guerra continua, potrebbero verificarsi improvvisamente diversi incidenti e perdite di controllo, sconvolgendo l’intera situazione. La situazione futura non è rosea e la politica cinese, le relazioni Cina-Russia e le relazioni della Cina con l’Occidente potrebbero affrontare nuove prove e sfide.
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Il 20 maggio 2025, un gruppo di militanti armati ha lanciato un attacco coordinato e letale alla base aerea russa di Hmeimim, situata nella provincia siriana di Latakia. L’assalto ha causato la morte di due militari russi e di almeno due aggressori, sebbene alcune fonti locali suggeriscano che potrebbe essere stato ucciso anche un terzo aggressore. Testimoni oculari hanno descritto la scena come caotica, con intensi spari, molteplici esplosioni e l’inconfondibile ronzio dei droni che volteggiavano sopra la testa. Gli abitanti dei villaggi circostanti hanno segnalato improvvise interruzioni della connettività dei telefoni cellulari, attribuite alle contromisure elettroniche russe volte a impedire le comunicazioni in tempo reale durante l’assalto.
Gli aggressori, a quanto pare cittadini stranieri di origine uzbeka, non erano ufficialmente affiliati ad alcun gruppo militante noto. Tuttavia, il loro precedente ruolo di istruttori militari presso un’accademia navale ha alimentato speculazioni sulla loro competenza tattica e su un possibile appoggio non ufficiale.
Il Ministero della Difesa russo non ha diffuso dettagli definitivi riguardo all’identità dei membri del personale deceduti, contribuendo all’attuale incertezza e alle speculazioni.
Questo attacco si è verificato in un contesto più ampio di instabilità regionale. Dopo il crollo del regime del presidente Bashar al-Assad nel dicembre 2024, un governo di transizione guidato da ex elementi di Hay’at Tahrir al-Sham ha preso il controllo di Damasco. Questa instabilità politica ha destabilizzato la Siria occidentale, provocando scontri tra i resti lealisti, le fazioni di opposizione recentemente rafforzate e vari gruppi militanti stranieri.
Hmeimim, principale base militare russa in Siria, rimane un avamposto strategico chiave. È dotato di sistemi avanzati di difesa missilistica S-400 e Tor e funge da centro logistico e di comando regionale.
L’attacco alla base aerea di Hmeimim è significativo per i seguenti motivi:
Guerra per procura e combattenti stranieri : il coinvolgimento di cittadini stranieri nell’addestramento militare evidenzia la labile linea di demarcazione tra attori statali e non statali nel conflitto siriano in continua evoluzione. La loro presenza nei pressi della base e il loro ruolo di istruttori suggeriscono un certo grado di coordinamento e un potenziale tacito supporto da parte di fazioni regionali o elementi all’interno della nuova amministrazione siriana, a testimonianza delle dinamiche persistenti del conflitto per procura.
Erosione dell’autonomia russa : le operazioni militari russe in Siria si trovano ora ad affrontare nuove limitazioni. Il personale russo, a quanto pare, necessita di coordinamento con le forze di sicurezza locali e di scorte provenienti da fazioni islamiste, il che indica una sostanziale riduzione della libertà operativa e dell’autonomia strategica. Questo cambiamento mina la capacità della Russia di agire unilateralmente e proietta un’immagine di minore controllo.
Declassamento strategico dell’influenza russa : precedentemente simbolo della rinascita russa in Medio Oriente, Hmeimim è ora minacciata. La ridotta prontezza dei sistemi di difesa missilistica e i segnali di un parziale ritiro delle forze armate suggeriscono che Mosca stia ricalibrando la propria posizione. Invece di fungere da base operativa avanzata per la proiezione di potenza regionale, si sta trasformando in un’enclave fortificata progettata per la difesa e la presenza simbolica.
Attacco ad asset strategici : l’attacco diretto a Hmeimim è sia un attacco tattico che un messaggio strategico. Mette a dura prova la credibilità militare della Russia nella regione e segnala agli altri attori regionali che gli asset di Mosca, un tempo considerati invulnerabili, sono ora obiettivi accessibili nel volatile panorama siriano.
Sovraestensione dipendente dal percorso : la Russia ha investito oltre 5 miliardi di dollari in Hmeimim dal 2016, trasformandolo in un complesso militare con infrastrutture e personale estesi. Nonostante i costi crescenti e la diminuzione dell’utilità strategica, questi investimenti irrecuperabili ora determinano la riluttanza di Mosca a disimpegnarsi. Di conseguenza, rimane intrappolata in una posizione strategicamente precaria.
In sostanza, l’attacco a Hmeimim sottolinea la fragilità della posizione russa nella Siria post-Assad. Sebbene la base rimanga operativa, la sua funzione strategica è sempre più limitata alla sopravvivenza e al simbolismo, piuttosto che all’influenza attiva. Ciò rivela crepe più ampie nella strategia di proiezione di potenza regionale della Russia.
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Sono passati circa tre mesi da quando il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha iniziato il processo di negoziazione con il Presidente russo Vladimir Putin per la pace in Ucraina. Sono seguite molte discussioni, ma non è stato fatto alcun progresso reale. Trump è sempre ottimista, Putin dice sempre di volere la pace (nonostante la situazione renda impossibile una rapida soluzione) e il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy è impotente nel mezzo.
Non sono solito personalizzare la geopolitica, ma questi colloqui non riguardano la geopolitica, la cui realtà è chiara: la Russia non è riuscita a sconfiggere l’Ucraina. La fase del processo di pace in cui ci troviamo, per quanto sia, è quella che io chiamo ingegneria. È il processo con cui i leader dei Paesi cercano di costruire un edificio che sia necessariamente basato sulla realtà, ma che sia compatibile con le esigenze politiche di ciascuna parte – sia in termini di relazioni internazionali che di politica interna. Il processo di ingegneria è essenziale e straordinariamente difficile. Le parti più difficili di questa particolare impresa di ingegneria sono le esigenze politiche di Putin.
Paragono questa fase di ingegneria ai negoziati che hanno posto fine alla guerra del Vietnam. Gli Stati Uniti entrarono in guerra per impedire al Vietnam del Nord, uno Stato comunista, di conquistare il Vietnam del Sud e di estendere il potere cinese e russo nel Sud-Est asiatico. Il presupposto era che la potenza militare statunitense avrebbe sconfitto facilmente i Viet Cong e che farlo era una necessità geopolitica. Gli Stati Uniti hanno fallito perché hanno sottovalutato la potenza dei Viet Cong, sostenuti dall’Unione Sovietica, e perché non hanno saputo elaborare una strategia militare adeguata per sconfiggere il nemico che avevano di fronte. I Viet Cong combattevano per imperativi nazionali fondamentali – tra cui la riunificazione del Vietnam sotto il controllo di Hanoi – mentre gli Stati Uniti combattevano per un imperativo geopolitico marginale. In breve, gli Stati Uniti persero la guerra non vincendola e la sconfitta ebbe conseguenze politiche interne in tutto il mondo, in particolare negli Stati Uniti. I negoziati per porre fine alla guerra si svolsero dal 1969 al 1973. I presidenti Lyndon B. Johnson e Richard Nixon stavano ovviamente negoziando la fine del conflitto, ma avevano anche l’imperativo politico di dimostrare al mondo che la potenza degli Stati Uniti non era diminuita.
I russi invasero l’Ucraina nel 2022 per riconquistare il cuscinetto che avevano perso con il crollo dell’Unione Sovietica. Mosca ha sopravvalutato di molto la propria capacità militare e ha sottovalutato la volontà dell’Ucraina e la potenza degli aiuti militari statunitensi. Ma se il Vietnam era una questione geopolitica marginale per gli Stati Uniti, l’Ucraina è una questione geopolitica fondamentale per la Russia, perché aumenta la sua profondità strategica. Allo stesso modo, l’Ucraina, come il Vietnam, non è una questione esistenziale per gli Stati Uniti, che ovviamente non hanno mai rischiato di essere occupati dal nemico. Un accordo che preservi la nazione russa è chiaramente possibile dal punto di vista geopolitico, ma le considerazioni politiche confondono le acque. Come gli Stati Uniti, la Russia deve proteggere il suo status di grande potenza e allo stesso tempo gestire le sue tensioni politiche interne. (Le tensioni erano molto più visibili negli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam di quanto non lo siano ora in Russia, ma sono comunque presenti). I negoziati per porre fine alla guerra in Ucraina sono una questione di ingegneria e, a differenza della geopolitica, l’ingegneria è diplomazia e quindi è personale e politica.
La Russia ha invaso l’Ucraina, ma non è riuscita a raggiungere il suo obiettivo di riconquistare un cuscinetto sostanziale. L’imperativo politico di Putin è quello di porre fine alla guerra, ma senza dare l’impressione di aver capitolato o fallito. Deve quindi uscire dai colloqui dando l’impressione di non essere stato costretto a un accordo, idealmente ottenendo concessioni significative. Per questo motivo, chiede all’Ucraina concessioni territoriali sostanziali, territori che la Russia non ha conquistato o da cui ha dovuto ritirarsi.
Avendo respinto la Russia dall’attacco iniziale a Kiev e ad altre aree cruciali, l’Ucraina può accettare la perdita dei territori ora in mano alla Russia, ma non può cedere volontariamente i territori che la Russia non ha preso o che non è riuscita a tenere. Più che una questione di orgoglio, l’Ucraina non può permettersi di cedere queste terre per paura di successive rappresaglie russe in posizioni geografiche più favorevoli.
Da parte loro, gli Stati Uniti vogliono liberarsi degli obblighi di sicurezza globale assunti dopo la Seconda Guerra Mondiale. Vedono quindi la situazione in Ucraina come una buona opportunità per ridurre il loro impegno e la loro vulnerabilità in Europa. Gli Stati Uniti vogliono porre fine alla guerra in modo da confermare i limiti della Russia. Washington non ha alcun interesse intrinseco nell’Ucraina, ma vede il successo dell’Ucraina nella difesa di se stessa come una conferma del fatto che gli Stati Uniti non hanno più bisogno di difendere l’Europa.
Il ruolo di Trump è quello di architettare questo risultato. Un accordo è qualcosa che la Russia non può accettare facilmente perché confermerebbe la debolezza russa e, in questo caso, i fallimenti di Putin. Egli sarà ritenuto responsabile del lancio di una guerra che non ha vinto, che è costata molte vite e che ha danneggiato gravemente l’economia russa. Allo stesso tempo, Zelenskyy non può semplicemente fare concessioni per un rapido accordo perché ha guidato una resistenza di successo (anche a costo di molte vite). E Trump non può permettere che la Russia emerga come vincitrice; la sua decisione di disimpegnarsi dall’Europa si basa sul presupposto che la Russia non sia più una minaccia per l’Europa, almeno non una minaccia che l’Europa non possa gestire da sola.
La tattica negoziale della Russia consisterà nel dimostrare che non è stata sconfitta e che è pronta a continuare la guerra, anche se utilizza il prolungamento della guerra come mezzo per ottenere concessioni territoriali. Cercherà di far cadere la pressione su Trump, che è sotto stress politico in patria e all’estero per mantenere la pace promessa. Avendo anche rivendicato un’intesa con Putin sulla fine della guerra e avendo anche chiarito pubblicamente la sua influenza su Zelenskyy, Trump non può sembrare di essere stato ingannato da Putin.
Si tratta ora di capire che cosa Putin concederà, apertamente o tacitamente, che gli consenta di sembrare vincente nei negoziati, e se Trump si fiderà delle sue promesse. Trump ha la possibilità, come Putin sa, di dichiarare il fallimento dei colloqui e di impegnarsi nuovamente e temporaneamente nella difesa europea, ordinando l’invio di più armi e tecnologie in Ucraina per bloccare la Russia. E tutto questo dipenderà in qualche misura dal fatto che il sistema politico russo – l’opinione pubblica, gli oligarchi e così via – tollererà la perdita di altri soldati e denaro.
Ogni azione comporta un rischio politico. Per Zelenskyy sarà difficile fare concessioni territoriali dopo aver speso tanto sangue in guerra. Putin avrà difficoltà a giustificare tre anni di combattimenti con poco da dimostrare. Per Trump sarà difficile non riuscire a concludere un accordo.
A mio avviso – e questa non è una previsione perché l’ingegneria non è prevedibile – tutto questo finirà quando Trump minaccerà in modo credibile di intervenire militarmente in modo massiccio, magari con delle truppe, se Putin continuerà con la sua posizione aggressiva. Un intervento militare europeo non solo è improbabile, ma non è nemmeno politicamente e militarmente possibile. Pertanto, la domanda è quando Trump renderà la minaccia di un intervento massiccio così credibile da costringere Putin ad accettare il fallimento.
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Poco a poco, gli Stati Uniti sembrano prendere le distanze dall’Ucraina, ma con una sorta di “ansia da separazione” infantile. Dal rifiuto di definire l’invasione russa “illegale”, alle affermazioni che gli Stati Uniti non riattiveranno gli aiuti per le armi di Biden, alle nuove dichiarazioni che affermano che Trump si sta “allontanando”, stiamo assistendo a una sorta di lenta alba della realtà per l’Occidente collettivo: la Russia ha il controllo ed è pronta a conquistare tutta l’Ucraina se nessuno interverrà per porre fine alle sue sofferenze prima di allora.
Lavrov ha espresso la stanchezza della Russia nei confronti della farsa della “tregua prima di tutto”, affermando che non ci saranno più accordi del tipo “tregua poi vedremo”:
E perché? La ragione è stata trasmessa ieri in modo molto chiaro dal ministro della Difesa belga Theo Francken, il quale ha affermato che le truppe della NATO saranno immediatamente in grado di operare sul territorio ucraino non appena verrà stabilito un cessate il fuoco:
“Nel momento in cui ci sarà un cessate il fuoco la coalizione dei volenterosi potrà operare sul territorio ucraino” – Il ministro della Difesa belga Theo Francken ha dichiarato che Francia, Regno Unito, Belgio e altri paesi trasferiranno immediatamente le truppe in Ucraina quando cesseranno i combattimenti. La Russia non può accettare un cessate il fuoco per questo motivo”.
Ecco, quello di cui ho parlato per mesi è stato spiegato con estrema chiarezza: non appena la trappola del “cessate il fuoco” viene tesa alla Russia, l’Europa intende inondare l’Ucraina di truppe per congelare il conflitto in modo perpetuo, fino a quando l’Ucraina non sarà riempita di nuove armi e potrà ricominciare la sua aggressione contro la Russia.
E per quanto riguarda ciò che accadrà se l’Ucraina non accetterà le condizioni della Russia, un interessante scambio è avvenuto durante l’incontro di ieri tra Putin e i funzionari del Kursk:
Durante un incontro con i capi delle municipalità della regione di Kursk, in risposta alla dichiarazione di uno dei partecipanti all’incontro secondo cui Sumy dovrebbe diventare russa, Putin ha scherzato sul fatto che anche Alexander Khinshtein vuole più di tutto, motivo per cui è stato nominato governatore ad interim della regione.
Durante l’incontro, il capo del distretto di Glushkovsky, Pavel Zolotarev, parlando di quanti chilometri il nemico deve essere allontanato dal confine, ha dichiarato:
“Sumy deve essere nostra. Non possiamo vivere come nella penisola. Dobbiamo essere più numerosi. Almeno a Sumy. Io credo di sì. E con lei come comandante in capo, vinceremo”, ha detto un partecipante all’incontro.
“Ecco perché hanno eletto Alexander Yevseyevich, anche lui vuole più di tutto”, ha scherzato Putin.
Putin non è sembrato esitare alla proposta di incorporare Sumy nella Federazione Russa. Questa non è stata nemmeno la dichiarazione più provocatoria della giornata. Anton Kobyakov, consigliere di Putin, ha dichiarato che l’URSS non è mai stata sciolta legalmente, e che quindi il conflitto tra Ucraina e Russia è un “processo interno”.
A me è sembrato che fosse piuttosto serio.
Ho già raccontato in precedenza come l’Ucraina non si sia mai legalmente seceduta dall’URSS perché la “dichiarazione” parlamentare dell’agosto 1991 era illegale a causa del rigido requisito della costituzione dell’URSS che la secessione può essere riconosciuta solo tramite referendum popolare. Nel dicembre 1991 si è tenuto un referendum per “affermare” la precedente secessione parlamentare, ma questo può essere considerato legalmente invalido solo perché la stessa secessione di agosto era già illegale secondo i requisiti costituzionali.
Sul fronte
La Russia continua la sua stagione di avanzamenti. I dati recenti hanno mostrato un altro enorme picco di catture territoriali russe:
Avanzamento medio giornaliero delle Forze Armate russe nella zona SMO. Dati aggiornati dal 14 al 17 maggio 2025. Il tasso di avanzata è di 31,5 km² al giorno per il periodo, l’avanzata totale è di 126 km². A maggio saranno conquistati non meno di 400 km, segnando chiaramente un ritorno alle operazioni offensive iniziate in questo periodo nel 2024 e durate fino all’inizio del 2025.
Nonostante ciò, ecco la menzogna che la stampa gialla mainstream occidentale propina al suo pubblico dell’Anp:
Certo, si tratta di un fragile castello di carte basato sulla menzogna.
Cominciamo dal nord, dove le forze russe hanno continuato a conquistare il territorio di Sumy, con una storia che sostiene che le truppe russe hanno persino “accidentalmente” catturato Marino, visto appena oltre il confine, quando si sono “perse” e hanno trovato il borgo non occupato da truppe ucraine:
In particolare, hanno catturato Loknaya e stanno iniziando a dirigersi verso la città di Sumy, dando credito al precedente video di Putin sulla cattura di Sumy:
Una breve nota: molti, da parte ucraina, hanno messo in dubbio la cattura di una grande città con le attuali “scarse” forze russe, perché di solito ci vogliono almeno 100-150 mila uomini per catturare un centro abitato così grande. Il problema è che questo funziona solo quando anche il nemico ha un numero così elevato di truppe in difesa. Se il nemico è stato assottigliato attraverso le tattiche fabiane al punto da poter risparmiare solo 10-20k per difendere una tale capitale, allora è difficile sostenere che ne servano 150k per saccheggiarla.
Inoltre, i rapporti indicano che le forze russe hanno attivato il fronte di Vovchansk a Kharkov per la prima volta da settimane, e hanno catturato nuovi blocchi nella parte orientale della città.
“Tutti sono sotto shock”: Le forze armate ucraine subiscono pesanti perdite e perdono posizioni nei pressi di Volchanskiye Khutors e Tikhoy, l’esercito russo avanza
“La situazione tesa e difficile sta sistematicamente peggiorando a causa della mancanza di un comando adeguato negli insediamenti di Vovchanskie Khutora e Tykhoye”, scrivono gli analisti militari ucraini.
Le Forze Armate ucraine hanno perso circa il 30% dell’area forestale nella zona di Volchansky Khutors. Il percorso logistico verso l’insediamento di Pokalyanoye è minacciato.
Il nemico incolpa il distaccamento di frontiera di Kramatorsk, che ha perso le sue posizioni e ora le Forze Armate ucraine devono “tappare i buchi”.
Il comando ucraino chiede la riconquista delle posizioni; le Forze Armate ucraine hanno già perso decine di militanti nei sanguinosi assalti.
Ora la 113esima brigata di difesa territoriale sta tappando i buchi in questa direzione, secondo le Forze Armate ucraine, “tutti sono sotto shock per il loro comando, la pianificazione e l’organizzazione, che ha fallito a tutti i livelli”.
Lo stesso comando del distaccamento di frontiera di Kramatorsk è “poco chiaro dove e non è preoccupato per le perdite del suo personale”.
Gli ufficiali del comando stanno già partecipando agli scontri a fuoco nelle postazioni di tiro.
“C’è una completa disorganizzazione a tutti i livelli, che porta alla perdita del fianco e, di conseguenza, della logistica”, lamenta il nemico.
RVvoenkor
A sud di lì, sul fronte di Seversk, la Russia ha fatto un grande passo avanti, catturando finalmente la città-fortezza di Verkhnokamyanske, che era stata contestata a lungo, senza che i russi riuscissero a conquistare un punto d’appoggio adeguato:
Ora le difese ucraine sono improvvisamente crollate, lasciando per la prima volta aperte le porte di Seversk. Tuttavia, alcune fonti russe indicano che la presa qui è tenue e potrebbe invertirsi in futuro, quindi dovremo tenere d’occhio la situazione.
Saltando all’estremo fronte sud-occidentale, pochi giorni fa le truppe russe hanno catturato Bogatyr e ora stanno iniziando a entrare nella vicina Otradnoye da sud:
Alcune note su Bogatyr: La 36a brigata motorizzata di fucilieri dell’estremo Zabaykalsky Krai, in Russia, è stata responsabile della cattura di Bogatyr:
Molti continuano a essere scioccati dalle unità russe dell’Estremo Oriente, con un recente esempio di video che sta facendo il giro, in cui le minoranze etniche si mostrano divertite per la mancanza di un solo russo nella loro unità:
Una piccola storia da Bogatyr: I comandanti ucraini, disperati, hanno inviato una squadra di sabotatori in tuta mimetica per abbattere e calpestare la bandiera russa per “dimostrare” che Bogatyr non era stato “catturato”. Potete giudicare voi stessi nel “prima e dopo” se questa “missione” è valsa la pena:
Il canale militare ucraino di punta lamenta la situazione:
Poco lontano, per la prima volta nella guerra, le forze russe della 90esima divisione carri armati della Guardia sono riuscite a raggiungere il confine con Dnipropetrovsk proprio vicino a Novomykolaivka. Si noti la linea tratteggiata in basso che indica il confine tra la Repubblica Popolare di Donetsk e l’Oblast’ di Dnipropetrovsk:
Questo segna la pietra miliare di una nuova oblast’ di cui la Russia sta ora tecnicamente occupando un pezzo, anche se piccolo. Sono state conquistate anche aree a nord e a sud della vicina Kotlyarovka:
Ma le conquiste più importanti, che abbiamo lasciato per ultime, sono avvenute sull’asse critico Pokrovsk-Toretsk. A est di Mirnograd le forze russe hanno effettuato importanti conquiste in tutta l’area di Novopoltavka:
Poi il calderone intorno a Zorya, a sud di Konstantinovka, è stato in gran parte distrutto dal fianco occidentale:
Essenzialmente quasi la metà del calderone è stata catturata, mentre la parte orientale è rimasta.
Scrive l’analista ucraino Myroshnykov:
Direzione Myrnograd
Attualmente il nemico si sta concentrando sull’avanzata verso Novoekonomichesky dal lato dell’autostrada T0504 e lungo il fiume Kazennyi Torets.
Ha ottenuto successi tangibili di natura tattica.
Le battaglie per Malynivka e Myrolyubivka sono ancora in corso, ma a giudicare dalle dinamiche non sarà possibile resistere a lungo.
I combattimenti a Myrolyubivka sono iniziati relativamente di recente, ma in qualche modo la difesa è crollata abbastanza rapidamente.
Se questo villaggio verrà perso, inizieranno i combattimenti per Novoekonomichne. E questo è un grosso problema nel contesto dell’intera difesa di Myrnograd.
Purtroppo, in questo momento, i perni del fianco sinistro dell’agglomerato Pokrov-Mirnograd si stanno formando con successo.
Sul fianco destro, invece, si sono formati praticamente dall’inverno.
Ho la sensazione che il nemico abbia deciso di giocare al gioco “indovina dove schiereremo le forze principali dell’intera campagna estiva”.
Perché questo istmo Mirnograd-Toretsk tra Pokrovskoe e Konstakha può causare molti problemi.
Dopo tutto, questo permette al nemico di cambiare costantemente il vettore di sforzo delle forze principali.
E tutto è iniziato con un’altra rotazione non riuscita. L’abbiamo già visto da qualche parte. Era vicino a Toretsk un anno fa? Non può essere, una sorta di dissonanza cognitiva.
Sì, torniamo allo stesso rastrello (ndr: “calpestare il rastrello”, cioè autosabotarsi).
Un alto ufficiale dell’esercito ucraino aggiunge sulla direzione:
In sintesi, un analista russo scrive dell’arrivo della 90ª Divisione al confine con Dnipropetrovsk, sostenendo che è iniziata una nuova fase:
L’arrivo delle unità della 90ª Divisione carri al confine della DPR con la regione di Dnipropetrovsk significa, tra le altre cose, una conseguenza importante. Ora hanno davanti a sé un terreno completamente diverso, dove i paesaggi industriali del Donbass, che stanno gradualmente scomparendo, lasciano il posto a terre steppose con insediamenti molto più rari – fino al Dnieper (in questo caso, stiamo parlando del grande fiume russo, la città si chiama Dnepropetrovsk). E l’occupazione di questi punti, la stessa Pavlograd, così come l’uscita delle nostre truppe verso il Dnieper già in questa zona, significherà una situazione negoziale e una percezione generale della guerra completamente diversa. No, non è domani, ma è una prospettiva che ora è costantemente sospesa, e non ci sono modi concepibili per chiuderla – è generalmente difficile difendersi in campo aperto. Ci sono pochi dubbi sul fatto che il desiderio chiaramente accresciuto di Trump di abbandonare la guerra si basi anche sulle valutazioni del Pentagono su queste prospettive. Vediamo quanto tempo ci mette l’UE a rendersene conto.
– “Meister”
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L’ultima volta che abbiamo riferito dei problemi della 47ª Brigata ucraina, il comandante che si è dimesso ha scritto un’altra dichiarazione schiacciante che vale la pena di leggere:
Un’altra cosa importante da notare. Ricordiamo che nei colloqui di Istanbul l’unico “passo avanti” è stato lo scambio di prigionieri da 1000 a 1000, come concordato. Molti giustamente dubitavano che l’Ucraina avesse così tanti prigionieri russi, ma ora sono emerse le prove che quei dubbi erano giustificati. Il giornale ucraino “Strana” riferisce che tutti i tipi di prigionieri politici hanno la possibilità di essere inclusi nello scambio al posto dei prigionieri di guerra russi:
Lo riferisce il quotidiano ucraino “Strana”: “Alla vigilia del più grande scambio di prigionieri secondo la formula “1000 per 1000″, i detenuti dei centri di detenzione ucraini accusati di tradimento, separatismo, collaborazionismo e reati simili hanno iniziato a essere convocati e a proporre di partecipare allo scambio” .
“Coloro che ricevono queste proposte sono per lo più cittadini ucraini. Tra loro ci sono uomini d’affari, fotografi adolescenti che hanno immortalato attacchi missilistici e oggetti militari, piromani di auto, filorussi incalliti e persone che sono state semplicemente incastrate”, ha osservato il nostro interlocutore. I cittadini russi costituiscono solo una minima parte dei detenuti politici nei centri di detenzione”.
“‘Strana’ ha già suggerito che, dopo questo scambio, l’Ucraina potrebbe rimanere praticamente senza prigionieri russi – o con pochissimi prigionieri. Questo potrebbe spiegare la spinta a reclutare ucraini in detenzione preventiva disposti a partecipare allo scambio”. Anche in questo caso, non si tratta di una pratica nuova. Risale al 2014. Kiev ha iniziato a prendere ostaggi dalla propria popolazione civile e a scambiarli con le milizie in cambio dei propri soldati catturati durante la prima guerra del Donbass.
Il presidente russo della Commissione Difesa della Duma di Stato Andrey Kartapolov conferma che Zelensky sta radunando persone a caso perché non ha molti prigionieri russi da offrire:
Questo conferma i nostri risultati di lunga data, secondo i quali la disparità tra prigionieri di guerra russi e ucraini è altrettanto fuori scala come le cifre delle vittime. L’Ucraina ha sempre avuto fino a 1.000-2.000 prigionieri di guerra russi in qualsiasi momento, la maggior parte dei quali durante la prima disfatta di Kursk, quando un numero relativamente elevato di guardie di frontiera fu catturato al confine nel primo assalto a sorpresa. La Russia, d’altra parte, ha mantenuto più di 10.000 prigionieri di guerra ucraini fin dalla prima parte della guerra. Letteralmente ogni giorno nuovi video di prigionieri di guerra ucraini vengono diffusi attraverso le reti, ecco solo un esempio dell’ultima settimana:
Dopo aver deriso i moto-assalti russi, l’Ucraina ha ora proceduto ad adattare e copiare le tattiche di crescente successo della Russia, lanciando una propria unità motociclistica completa nel 425° Reggimento Skala:
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L’ultima volta abbiamo parlato del nuovo drone russo “Yolka” (abete rosso/abete rosso). Sono emersi altri filmati sul suo utilizzo:
Un’altra intercettazione dell’UAV ucraino da ricognizione ottico-elettronica a media quota “Furia-11SM” da parte di uno “Yolka”.
Questo dispositivo è dotato di una testa di homing termotelevisiva bi-spettrale, sincronizzata con un modulo AI dotato di algoritmi per la selezione di bersagli aerei a contrasto ottico e termico su spazi aperti e sfondi terrestri, senza la necessità di correzione radio dell’operatore da un terminale di controllo. Secondo lo sviluppatore, la portata operativa dichiarata del dispositivo raggiunge i 20 km e la sua velocità di volo è di 350 km/h, sufficiente per intercettare tutti gli UAV a benzina delle Forze armate ucraine senza eccezioni, anche quando li inseguono.
Questi droni intercettori diventeranno il principale supporto per i gruppi d’assalto nel formare una barriera anti-drone sui settori delle operazioni offensive.
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Si noti ancora una volta la menzione dell’auto-tracking dell’IA che è importante nel drone Yolka. Ora gli ucraini riferiscono di un altro drone russo che utilizza la selezione automatica dei bersagli per l’intera catena operativa:
La politica degli Stati Uniti nei confronti del conflitto dipenderà probabilmente dall’andamento dei prossimi negoziati.
Trump sembra aver riconosciuto i limiti della mediazione di terze parti tra Russia e Ucraina nel post pubblicato dopo la sua ultima chiamata con Putin di lunedì. Ha annunciato l’avvio “immediato” dei negoziati per un cessate il fuoco tra le due parti, ma ha specificato che “le condizioni saranno negoziate tra le due parti, come è possibile, perché conoscono dettagli di un negoziato di cui nessun altro sarebbe a conoscenza”. Ecco dieci briefing di approfondimento che contestualizzano la sua ultima posizione:
Per riassumere, gli Stati Uniti hanno finora voluto che la Russia accettasse il congelamento della Linea di Contatto (LOC) in cambio di una serie di accordi redditizi (probabilmente incentrati sulle risorse), in assenza dei quali potrebbe essere attuato un altro ciclo di sanzioni americane e forse persino la ripresa su larga scala degli aiuti militari all’Ucraina. Le sanzioni sono ancora sul tavolo , ma l’ultimo post di Trump è stato scritto in modo molto più educato rispetto ad alcuni precedenti che esprimevano crescente impazienza nei confronti di Putin, suggerendo quindi che sono stati compiuti alcuni progressi.
Si può solo ipotizzare cosa abbiano ottenuto durante il loro colloquio durato due ore, ma Trump ha lasciato intendere che una diplomazia economica/energetica creativa da parte degli Stati Uniti potrebbe aumentare le probabilità che la Russia raggiunga un compromesso con l’Ucraina. Ha scritto che “la Russia vuole fare COMMERCIO su larga scala con gli Stati Uniti quando questo catastrofico ‘bagno di sangue’ sarà finito, e sono d’accordo. Questa è un’enorme opportunità per la Russia di creare enormi quantità di posti di lavoro e ricchezza. Il suo potenziale è ILLIMITATO”.
Putin rimane riluttante a un cessate il fuoco incondizionato da quando, lo scorso giugno, ha dichiarato che la Russia lo avrebbe accettato solo se l’Ucraina si fosse ritirata da tutte le regioni contese, avesse abbandonato i suoi piani di adesione alla NATO e fosse stata esclusa da qualsiasi armamento straniero. Zelensky ha appena dichiarato, dopo i colloqui di lunedì, che l’Ucraina non si ritirerà , pur rimanendo impegnata ad aderire alla NATO. Inoltre, sarà dura per gli Stati Uniti convincere gli europei a smettere di armare l’Ucraina, quindi non è chiaro come procederanno i colloqui per il cessate il fuoco.
Ciononostante, Putin ha anche affermato, dopo la sua chiamata con Trump, che “la questione chiave, ovviamente, ora è che la parte russa e quella ucraina dimostrino il loro fermo impegno per la pace e raggiungano un compromesso accettabile per tutte le parti. In particolare, la posizione della Russia è chiara. Eliminare le cause profonde di questa crisi è ciò che più conta per noi”. Il suo desiderio di raggiungere un compromesso reciprocamente accettabile suggerisce che potrebbe mostrare maggiore flessibilità di prima, forse allettato dalle offerte economiche degli Stati Uniti.
Mentre certamente vuole il nascenteRusso – USA ” NuovoLa distensione “si evolverà in una partnership strategica a pieno titolo dopo la fine del conflitto, la sua riaffermazione che le cause profonde della crisi devono essere eliminate dovrebbe dissipare le speculazioni secondo cui si “svenderà” abbandonando lo speciale Gli obiettivi dell’operazione in cambio. Ricordiamo al lettore che si tratta del ripristino della neutralità costituzionale dell’Ucraina, della sua smilitarizzazion e della sua denazificazione, e ora anche del riconoscimento delle nuove realtà territoriali dopo i referendum del settembre 2022.
Il primo e l’ultimo sono chiari, mentre gli altri due lasciano ampio margine di interpretazione. Ciò significa che è improbabile che la Russia scenda a compromessi sul ripristino della neutralità costituzionale dell’Ucraina o sul ritiro da qualsiasi territorio che rivendica come proprio. Potrebbe ipoteticamente congelare la dimensione territoriale del conflitto, non cercando più militarmente di ottenere il controllo sull’intera area contesa, se la restante parte controllata dall’Ucraina ricevesse l’autonomia promessa al Donbass con gli accordi di Minsk.
Per essere chiari, non ci sono indicazioni che questa ipotesi sia in fase di valutazione e si tratta solo di congetture plausibili, così come la proposta di una regione “Trans-Dnepr” smilitarizzata controllata da forze di peacekeeping non occidentali, che comprenderebbe tutto ciò che si trova a nord della LOC e a est del fiume. Quest’ultima potrebbe rappresentare un compromesso reciprocamente accettabile su smilitarizzazione e denazificazione, i cui obiettivi lasciano ampio spazio all’interpretazione, come scritto sopra, ma al momento non sembra rientrare nei colloqui.
In ogni caso, il punto è che la smilitarizzazione e la denazificazione potrebbero essere i due obiettivi su cui Putin potrebbe realisticamente scendere a compromessi, ma solo per garantire un miglioramento tangibile degli interessi di sicurezza nazionale della Russia a lungo termine. In generale, ciò significa che l’Ucraina non dovrà più fungere da rappresentante della NATO entro la fine del conflitto, oppure che le minacce che ancora rappresenta in quanto tali dovranno essere allontanate ulteriormente dal confine, cosa che potrebbe essere realizzata attraverso la proposta “Trans-Dnepr”.
Più in generale, sarebbe l’ideale se si verificasse anche un riavvicinamento radicale tra Russia e Stati Uniti, riducendo così notevolmente la probabilità che il membro più potente della NATO possa essere manipolato per entrare in guerra contro la Russia da eventuali provocazioni messe in atto dai suoi alleati “canaglia”. Questo risultato sarebbe di gran lunga il più significativo, data la sua grande importanza strategica, quindi è possibile che Putin scenda a compromessi più del previsto se pensasse davvero che questo obiettivo sia a portata di mano.
Allo stesso tempo, Trump è interessato solo a scendere a compromessi, non a concessioni unilaterali come quelle che Zelensky sta chiedendo e che gli Stati Uniti hanno fortemente lasciato intendere di volere. Ciò significa che qualsiasi compromesso proponga, soprattutto se inaspettato, deve essere ricambiato dall’Ucraina e/o dagli Stati Uniti. Se Zelensky rifiutasse, spetterebbe a Trump costringerlo ad acconsentire, in modo da non perdere l’opportunità di pace che qualsiasi compromesso inaspettato da parte di Putin offrirebbe.
Qualsiasi insubordinazione da parte di Zelensky dovrebbe essere affrontata con rigore, altrimenti il “COMMERCIO su larga scala” previsto da Trump con la Russia, che a suo avviso ha un potenziale “ILLIMITATO”, andrebbe perso, così come la credibile possibilità di vincere il Premio Nobel per la Pace in seguito, come auspica per la sua eredità. Questo potrebbe tradursi nel blocco di tutti gli aiuti militari e di intelligence e forse persino nella minaccia di sanzioni contro i Paesi europei che continueranno a fornirli durante quel periodo.
Trump ha accennato alla possibilità di congelare nuovamente gli aiuti militari all’Ucraina, affermando, dopo la sua telefonata con Putin, che “Questa non è la nostra guerra. Questa non è la mia guerra… Voglio dire, ci siamo invischiati in qualcosa in cui non avremmo dovuto essere coinvolti”. Ha anche confermato che Zelensky “non è la persona più facile con cui avere a che fare. Ma penso che voglia fermarsi… Spero che la risposta sia che vuole risolvere la questione”. Se dovesse arrivare a considerare Zelensky come l’ostacolo alla pace, non Putin, allora potrebbe interromperlo di nuovo.
In definitiva, il diavolo si nasconde nei dettagli dei prossimi colloqui di cessate il fuoco russo-ucraini, che a loro volta determineranno in larga misura se gli Stati Uniti sanzioneranno la Russia o se escludono l’Ucraina. L’opinione pubblica non è a conoscenza della strategia negoziale di entrambe le parti, né della flessibilità che i rispettivi leader hanno concesso loro, quindi d’ora in poi ci saranno molte fake news, speculazioni e congetture plausibili. Tutti dovrebbero quindi prepararsi e rinfrescare la propria cultura mediatica per non essere fuorviati.
La battaglia è persa, ma la guerra politica non è finita.
La lotta tra liberal-globalisti e populisti-nazionalisti in Romania si è conclusa a favore dei primi dopo il ballottaggio presidenziale di domenica, preceduto dall’annullamento del primo turno da parte delle autorità all’inizio di dicembre, con il falso pretesto che il favorito fosse sostenuto dalla Russia. A Calin Georgescu è stata infine impedita la rielezione e al suo posto è stato nominato il suo alleato George Simion, che ha vinto il secondo turno di inizio maggio, perdendo però il ballottaggio.
Simion ha affermato che il governo moldavo stava istigando la diaspora locale contro di lui e ha anche affermato che i seggi elettorali di altre diaspore più amichevoli non avevano abbastanza schede elettorali. Alcuni hanno anche sospettato brogli tradizionali come il broglio elettorale. Nel frattempo, il fondatore di Telegram, Pavel Durov, ha rivelato di aver respinto la richiesta del capo dell’intelligence francese di bloccare gli account conservatori rumeni, dimostrando così la posta in gioco internazionale in queste elezioni. Ora, alcune considerazioni saranno condivise sul contesto geostrategico.
L’unico modo per impedirlo sarebbe che i nazionalisti-populisti salissero al potere e cacciassero le truppe francesi o garantissero l’adozione di misure volte a impedire loro di utilizzare unilateralmente il suolo rumeno per operazioni militari convenzionali in Ucraina. Allo stesso modo, l’unico modo per preservare la fattibilità di questo scenario è tenere i nazionalisti-populisti fuori dal potere, da qui la presunta frode ai danni di Simion. L’importanza delle elezioni di domenica è stata quindi quella di mantenere aperta questa possibilità, anche se non venisse mai sfruttata.
Se c’è un lato positivo in questa sconfitta, i populisti nazionalisti potrebbero trovare una parziale consolazione nel fatto di aver galvanizzato i loro sostenitori in modo senza precedenti durante le elezioni, e questa mobilitazione della società civile potrebbe proseguire per denunciare la corruzione dei liberal-globalisti e organizzare proteste pacifiche. Potrebbero anche tentare di aumentare al massimo la consapevolezza sullo scenario sopra menzionato, in cui la Francia usa la Romania come trampolino di lancio per intervenire in modo convenzionale in Ucraina, con tutto ciò che ne potrebbe derivare.
A tal fine, sarà fondamentale intensificare il giornalismo investigativo, così come diffondere le proprie scoperte attraverso la rete globale di amicizie che si sono costruiti negli ultimi sei mesi. I nazionalisti populisti negli Stati Uniti e in tutta Europa sono infuriati per l’ingiustizia commessa dai liberal-globalisti contro Georgescu, tanto che persino Vance l’ha menzionata durante il suo famoso discorso di febbraio alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, quindi possono contare su di loro per informare il mondo se la Francia dovesse prendere iniziative per utilizzare la Romania come base militare.
Questo è ciò che segue la vittoria (presumibilmente fraudolenta) dei liberal-globalisti in Romania: il rafforzamento del movimento populista-nazionalista, che obbliga le nuove autorità a rispondere di tutto ciò che fanno, inclusa la denuncia di possibili piani militari francesi nei confronti dell’Ucraina. La battaglia è stata persa, ma la guerra politica non è finita, e l’impressionante risultato di Simion al secondo turno, nonostante i presunti brogli, dimostra che il populista-nazionalista è finalmente diventato mainstream in Romania.
Le preoccupazioni espresse indirettamente da un importante diplomatico in merito sono comprensibili ma inutili.
Il Primo Vice Ministro degli Esteri bielorusso Sergej Lukaševič ha rilasciato una curiosa osservazione in una recente intervista ai media brasiliani in merito al processo di pace russo-ucraino mediato dagli Stati Uniti. Ha affermato che “la voce della Bielorussia dovrebbe essere ascoltata al tavolo dei negoziati e che gli accordi finali dovrebbero riflettere anche gli interessi bielorussi”. Questo avrebbe dovuto essere dato per scontato, dato che Bielorussia e Russia sono alleati di difesa reciproci e cooperano nell’ambito dell’Unione, quindi è necessaria una spiegazione.
Uno degli scenari ipotizzati da alcuni è che un accordo di pace in Ucraina potrebbe portare gli Stati Uniti a ridurre la loro presenza militare nella regione. Ciò soddisferebbe in parte la richiesta della Russia in vista della speciale…operazione che gli Stati Uniti ripristinino l’Atto Fondativo NATO-Russia, ovvero ritirino le proprie risorse militari dai paesi dell’ex Patto di Varsavia. In cambio, la Russia potrebbe ridurre la propria presenza in Bielorussia, potenzialmente includendo le sue armi nucleari tattiche e/o gli Oreshnik.
Né gli Stati Uniti né la Russia ritirerebbero tutti i loro assetti dalla regione e dalla Bielorussia, rispettivamente, ma il ricalibrato equilibrio di forze tra i due Paesi potrebbe contribuire a disinnescare le tensioni Est-Ovest. Gli Stati Uniti vogliono già ridistribuire alcune delle loro risorse regionali in Asia per contenere la Cina in modo più efficace, ma farlo senza che la Russia reagisca, anche se in modo asimmetrico, in Bielorussia potrebbe ritorcersi contro di loro se l’UE dovesse ulteriormente prendere le distanze dagli Stati Uniti in risposta, con conseguente possibile interesse degli Stati Uniti per questo tango militare con la Russia.
È qui che entrano in gioco gli interessi dei partner regionali più stretti di Stati Uniti e Russia, Polonia e Bielorussia. Non vogliono che il loro partner senior rimuova nessuno dei mezzi già schierati sul loro territorio a causa del timore che la controparte possa un giorno invaderlo. Non ha importanza cosa possano pensare gli osservatori sulla validità di queste affermazioni.preoccupazioni, poiché ciò che conta è che preferiscono che non si verifichi alcun tango del genere e che solo l’altra parte riduca o elimini completamente i propri beni.
Di conseguenza, entrambi hanno espresso pubblicamente le proprie preoccupazioni riguardo a questo scenario, la Polonia in modo molto più esplicito rispetto alla Bielorussia. Il curioso commento di Lukashevich della scorsa settimana è stato il primo esempio noto di questo da parte sua, ed è stato espresso anche in modo molto più indiretto rispetto alle preoccupazioni della Polonia. Ciononostante, questo dimostra che questi due Paesi condividono preoccupazioni simili a causa delle loro posizioni simili nel sistema di sicurezza europeo post-2022, sia attualmente che prevedibilmente in futuro.
Estrapolando da questo, poiché Polonia e Bielorussia rappresentano rispettivamente le avanguardie militari di Stati Uniti e Russia nell’Europa centrale, è logico che un eventuale compromesso tra i loro leader possa vederli ridurre i propri asset in quella regione come misura di rafforzamento della fiducia. Un ritorno all’Atto Fondativo NATO-Russia è tuttavia praticamente impossibile al giorno d’oggi, a causa della nuova base militare permanente tedesca in Lituania , nonché della prospettiva di una base militare permanente britannica in Estonia e di una francese in Romania .
In ogni caso, un ritiro coordinato di alcune risorse americane dalla Polonia e di quelle russe dalla Bielorussia potrebbe comunque contribuire notevolmente a disinnescare le tensioni Est-Ovest, dato che si tratta delle uniche due superpotenze nucleari al mondo e delle più potenti potenze militari in Europa, quindi non può essere escluso. Se ciò dovesse accadere, la Bielorussia dovrebbe confidare nella tutela dei propri interessi da parte della Russia, poiché Mosca non ha mai dato a Minsk motivo di dubitare della sua tesi, eppure il curioso commento di Lukashevich suggerisce che nutra dei dubbi.
Sebbene non si possa sapere con certezza, è possibile che la Russia non abbia tenuto informata la Bielorussia sui colloqui con gli Stati Uniti, il che non sorprenderebbe, dato che è irrealistico condividere aggiornamenti su ogni ipotesi non ufficiale che non abbia ancora raggiunto il livello di gravità, come potrebbe essere il caso di questo scenario. In tal caso, Lukashevich potrebbe essere stato incaricato di trasmettere indirettamente le preoccupazioni del suo Paese attraverso i media, forse nella speranza che ciò potesse poi spingere la Russia a chiarire eventuali voci.
Per essere chiari, è normale che la Bielorussia nutrisse le preoccupazioni descritte e che la Russia non l’abbia tenuta al corrente di suggerimenti non ufficiali che avrebbero potuto essere condivisi con o dagli Stati Uniti, quindi nulla di quanto scritto in questa analisi dovrebbe essere interpretato erroneamente come un’implicazione di una frattura crescente. Lo stesso vale per le stesse preoccupazioni della Polonia e per il fatto di essere stata esclusa dagli Stati Uniti. Sarebbe contrario all’approccio pragmatico di Putin e Trump lasciare che i loro partner minori abbiano voce in capitolo in qualsiasi accordo di grande portata.
Non sacrificheranno gli interessi delle loro avanguardie, indipendentemente dai termini militari regionali che potrebbero accettare per rafforzare il nascenteRusso – USA ” NuovoDistensione “, poiché ciò metterebbe la loro parte in una posizione di svantaggio se mai scoppiasse una guerra aperta tra loro. Bielorussia e Polonia non hanno quindi nulla di cui preoccuparsi. Qualsiasi potenziale riequilibrio delle forze russe e statunitensi in Europa centrale alla fine del conflitto ucraino salvaguarderebbe i legittimi interessi di sicurezza di tutti.
La Russia ritiene che si tratti di una serie di progetti logistici militari venduti al pubblico come progetti economici.
A fine aprile si è concluso a Varsavia il 10 vertice dell'”Iniziativa dei Tre Mari” (3SI), che si riferisce alla piattaforma fondata congiuntamente da Polonia e Croazia per promuovere l’integrazione dell’Europa centrale. La loro dichiarazione congiunta, i cui paragrafi relativi all’Ucraina da cui l’Ungheria si è dissociata, ha dichiarato che la Spagna e la Turchia si uniranno alla Commissione Europea, alla Germania, al Giappone e agli Stati Uniti come partner strategici, mentre l’Albania e il Montenegro si uniranno alla Moldavia e all’Ucraina come Stati partecipanti associati.
Il paragrafo 13 ha ribadito l’impegno degli Stati membri a realizzare sei progetti prioritari dei Tre Mari: BRUA (gasdotto Bulgaria-Romania-UngheriaAustria), l’espansione della capacità del terminale GNL della Croazia sull’isola di Krk, Rail Baltica, Rail2Sea, Via Baltica, e Via Carpatia Questo link qui dal sito ufficiale della 3SI elenca tutti gli altri progetti e li mostra anche su una mappa. Una volta completati, questi progetti rafforzeranno l’integrazione economica e militare, che darà forma all’Europa postbellica.
Francia, Germania e Polonia sono in competizione per la leadership in quest’era emergente, le cui dinamiche sono state analizzate qui, con la Polonia pronta a sfruttare il suo ruolo di leader nella 3SI per avere un vantaggio e far avanzare la sua visione di diventare il primo partner degli Stati Uniti in Europa. Dal punto di vista strategico degli Stati Uniti, la 3SI potrebbe diventare il mezzo attraverso il quale la Polonia potrebbe ripristinare parte del suo status di potenza regionale perduto nelle condizioni moderne, il che potrebbe creare un cuneo tra l’Europa Occidentale e la Russia.
Al tempo stesso, alcuni in Germania considerano la 3SI un mezzo per espandere ulteriormente il proprio commercio con i Paesi ex comunisti dell’UE, mentre la Francia potrebbe concepirla come un mezzo per espandere la propria influenza romanocentrica nella regione al resto dell’Europa centrale. Questa convergenza di interessi attraverso la 3SI, nonostante la competizione tra Francia, Germania e Polonia per la leadership dell’Europa post-bellica, aumenta le probabilità di realizzazione dei progetti precedentemente menzionati.
Tutti hanno anche un duplice scopo militare rispetto a quello che è ormai noto come “Schengen militare“, che mira a facilitare la libera circolazione di truppe ed equipaggiamenti in tutto il blocco, ovviamente in direzione est come parte della pianificazione di contingenza nei confronti della Russia. I progetti BRUA e Krk hanno anche un valore militare, poiché diversificano le rotte di importazione energetica dell’UE. La Russia vede quindi la 3SI come una serie di progetti logistici militari venduti all’opinione pubblica come progetti economici.
Ancora più preoccupante, dal punto di vista del Cremlino, è il fatto che la 3SI riunisce i Paesi europei più politicamente russofobi, garantendo così che questa piattaforma dia priorità al suo scopo militare non dichiarato rispetto a quello economico. Ciò aumenta la probabilità che gli Stati Uniti sfruttino la 3SI come un cuneo per prevenire qualsiasi potenziale riavvicinamento tra l’Europa occidentale e la Russia, anche se gli Stati Uniti potrebbero anche esercitare un’influenza positiva su questi stessi Paesi per dissuaderli dal provocare un conflitto con la Russia.
Comunque vada a finire, sarebbe un errore ignorare o negare il ruolo di primo piano che la 3SI giocherà nell’Europa postbellica, anche se è prematuro prevedere come influenzerà le dinamiche tra Francia-Germania-Polonia (sia tra di loro che nel complesso), Stati Uniti e Russia. Gli osservatori dovrebbero quindi monitorare l’attuazione dei progetti prioritari precedentemente menzionati, il coinvolgimento dei vari partner strategici della 3SI in ciascuno di essi e il modo in cui vengono militarizzati.
È noto per essere un realista, non un pioniere, ed è per questo che la sua previsione è stata così sorprendente per molti osservatori.
Putin ha previsto qualche settimana fa che la Russia si sarebbe inevitabilmente riconciliata con l’UE e l’Ucraina. Riguardo alla prima, ha affermato : “Non ho alcun dubbio che, a tempo debito, ricostruiremo le nostre relazioni con l’Europa. È solo questione di pazienza e impegno”. Quanto alla seconda, ha affermato diversi giorni dopo: “Mi sembra che questo sia inevitabile, nonostante la tragedia che stiamo vivendo”. È noto per essere un realista , non un pio desiderio , ed è per questo che la sua previsione è stata così sorprendente per molti osservatori.
Sebbene possa averli cronometrati per convincere Trump di non essere lui l’ostacolo alla pace che Zelensky potrebbe averlo indotto a credere, percezione questa che è responsabile di aver complicato il processo di pace negli ultimi tempi, probabilmente crede davvero a ciò che ha detto. Putin ha sempre considerato la Russia un Paese europeo, seppur con un’identità culturale unica, mentre nel suo capolavoro del giugno 2021 ha spiegato perché considera russi e ucraini popoli affini.
Queste opinioni spiegano perché sia rimasto fedele agli Accordi di Minsk nonostante né Francia, né Germania, né Ucraina li abbiano rispettati. Putin ha inconsciamente proiettato su di loro la sua visione del mondo (realista/razionale) guidata dagli interessi, dando per scontato che condividessero la sua visione di trasformare l’Ucraina in un ponte economico (imperfetto) per facilitare il commercio via terra dell’UE con Russia e Cina, una volta che Kiev avesse attuato gli Accordi di Minsk. Pertanto, ha faticato a comprendere la loro mancata adesione.
Non poteva accettare che lo stessero ingannando per tutto questo tempo finché non fu troppo tardi e sentì che non aveva altra scelta che iniziare lo specialeoperazione per difendere gli interessi di sicurezza nazionale della Russia. Lungi dall’avere una visione del mondo guidata dagli interessi (realista/razionale), ne hanno una ideologicamente guidata (utopica/irrazionale) che privilegia il contenimento della Russia rispetto ai propri interessi materiali. Quella dell’UE è liberal-globalista, mentre quella dell’Ucraina è ultranazionalista, quindi esistono alcune differenze, ma condividono questo obiettivo.
Affinché possano riconciliarsi in modo significativo con la Russia, i loro politici devono prima sostituire la loro visione del mondo ideologicamente orientata con una orientata agli interessi, cosa che non è ancora accaduta. Sebbene vi siano segnali di dissenso all’interno delle loro società, che si manifestano sotto forma di un crescente sentimento populista-nazionalista nell’UE e di una crescente opposizione al governo di Zelensky in Ucraina, i brogli elettorali e la polizia segreta si combinano per impedire ai riformisti di arrivare al potere in entrambi i Paesi. Questa è la situazione oggettivamente esistente oggi.
Sebbene i critici dell’UE e dell’Ucraina vogliano credere che un cambiamento positivo sia “inevitabile”, ciò non può essere dato per scontato, e sarebbe irresponsabile da parte della Russia formulare prematuramente una politica tenendo conto di questa aspettativa, quando si trovano ancora in uno stato di guerra ibrida e di guerra aperta con l’UE. Per essere chiari, Putin non ha suggerito alla Russia di ammorbidire la sua politica nei confronti di entrambi, poiché probabilmente sa che la sua previsione potrebbe non avverarsi durante la sua vita, ma spera comunque che un giorno accada.
Considerando tutto ciò, la previsione di Putin era probabilmente solo un tentativo di convincere Trump a non abbandonare il processo di pace, invece di accennare a imminenti cambiamenti di politica nei confronti dell’UE e dell’Ucraina. Anche nello scenario migliore, in cui la Russia raggiunga la maggior parte dei suoi obiettivi nell’operazione speciale, sia con mezzi diplomatici che militari, sono già successe troppe cose perché una riconciliazione possa avvenire in tempi brevi. Probabilmente ci vorrà una generazione o più, se mai accadrà, ma nessuno dovrebbe illudersi.
I segnali contrastanti che ha inviato venerdì suggeriscono che non ha ancora deciso cosa fare.
I primi colloqui bilaterali russo-ucraini in oltre tre anni si sono svolti venerdì a Istanbul, dopo che Zelensky ha accettato, probabilmente sotto la pressione di Trump, la proposta di Putin della settimana precedente. Non hanno portato al cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni richiesto dall’Ucraina, né l’Ucraina ha accettato di ritirarsi da tutte le regioni contese come richiesto dalla Russia, ma hanno accettato uno scambio di prigionieri e di tenere un altro round di colloqui in futuro. Quindi, non sono stati vani.
La cosa più importante è che la Russia e l’Ucraina sono riuscite a dimostrare a Trump di essere interessate alla pace dopo che lui ha segnalato il suo crescente interesse.insofferenza per la mediazione finora fallita degli Stati Uniti tra loro, che potrebbe portarlo a “de-escalation” o semplicemente ad abbandonare il conflitto. Prima di prendere la sua fatidica decisione sul futuro del coinvolgimento americano, Trump probabilmente incontrerà Putin, almeno telefonicamente, ma idealmente di persona nelle prossime settimane.
Dopotutto, la palla è ora nel suo campo, dopo che le posizioni russa e ucraina si sono dimostrate inconciliabili, quindi o la Russia otterrà inevitabilmente i suoi massimi obiettivi continuando a fare affidamento su mezzi militari a tal fine, oppure gli Stati Uniti raddoppieranno il sostegno all’Ucraina per impedire tale risultato. L’unico compromesso realistico sarebbe che gli Stati Uniti costringessero con successo l’Ucraina a ritirarsi da alcune o tutte le regioni contese, in cambio dell’accettazione da parte della Russia di un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni.
Gli Stati Uniti non ci hanno ancora provato, anche se avrebbero potuto farlo in qualsiasi momento negli ultimi tre mesi da quando Trump è tornato alla Casa Bianca, il che ha portato allo scenario sopra menzionato. Non è quindi chiaro cosa farà esattamente Trump. Da un lato, ha appena minacciato la Russia con sanzioni “schiaccianti”, ma si è anche lamentato dei miliardi che gli Stati Uniti hanno “sperperato” a sostegno dell’Ucraina. Sembra quindi che lui stesso non abbia ancora deciso come procedere.
“L’escalation per de-escalation” comporterebbe enormi costi finanziari e strategici, questi ultimi in termini di potenziale compensazione del suo pianificato “ritorno in Asia” per contenere più energicamente la Cina e persino rischiare la Terza Guerra Mondiale nel peggiore dei casi. Allo stesso tempo, un ritiro lo porterebbe ad assumersi quella che potrebbe presto diventare una delle peggiori sconfitte geopolitiche dell’Occidente. La via di mezzo tra questi estremi potrebbe essere l’applicazione rigorosa di sanzioni secondarie contro i clienti energetici della Russia.
Per essere più precisi, l’obiettivo sarebbe quello di fare pressione su Cina e India affinché riducano drasticamente le loro importazioni, la prima come “gesto di buona volontà” dopo il “ reset totale ” recentemente annunciato da Trump nei loro legami e la seconda come mezzo per segnalare il suo valore agli Stati Uniti nella speranza che Trump riconsideri il suo incipientepuntare sul Pakistan. Tuttavia, uno o entrambi potrebbero comunque rifiutarsi di ottemperare o continuare segretamente ad acquistare grandi quantità di energia russa, costringendo così gli Stati Uniti a chiudere un occhio o a peggiorare i rapporti sanzionandoli.
Una combinazione di questi scenari potrebbe vedere Trump minacciare Zelensky di una rottura netta con questo conflitto se non si ritira dal Donbass, e Putin di sanzioni secondarie rigorosamente applicate se non accetta un cessate il fuoco (incondizionato?) di 30 giorni nel caso in cui ciò accada. Si potrebbero quindi contattare Xi e Modi per informarli dei suoi piani, nella speranza che convincano Putin ad accettare. Una proposta del genere sarebbe la più pragmatica dal punto di vista degli Stati Uniti e potrebbe portare a una svolta.
L’Ucraina rappresenta una minaccia molto più credibile per l’Ungheria rispetto al contrario.
Il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán ha rivelato, dopo un incontro con il Consiglio di Difesa, che l’Ucraina si sta intromettendo nel referendum ungherese in corso sul sostegno o meno al piano di adesione dell’Ucraina all’UE. Ha inoltre accusato l’opposizione di una collusione senza precedenti. Ciò ha coinciso con l’abbattimento, da parte dell’Ungheria, di un drone ucraino, avvenuto in seguito a una serie di espulsioni diplomatiche reciproche, dopo che l’Ucraina aveva accusato l’Ungheria di spionaggio e l’Ungheria di propaganda ostile.
Il contesto più ampio riguarda il rifiuto di principio dell’Ungheria di inviare armi all’Ucraina o di consentire che il suo territorio venga utilizzato da altri a tal fine, a causa della sua politica di pace. Come si può evincere in precedenza, è anche contraria all’adesione dell’Ungheria all’UE, poiché l’Ucraina discrimina la minoranza ungherese in Transcarpazia/Carpazia. Sebbene Orbán abbia ripetutamente spiegato come le suddette politiche siano in linea con gli interessi nazionali ungheresi, Zelensky e molti in Occidente lo accusano di essere un burattino di Putin.
Questo è stato il tacito pretesto con cui l’Ucraina ha lasciato scadere un accordo sul gas con la Russia all’inizio dell’anno, a scapito di clienti a valle come Ungheria e Slovacchia, la seconda delle quali ha iniziato a seguire le orme geopolitiche di Budapest dopo il ritorno al potere del Primo Ministro Roberto Fico alla fine del 2023. La mossa dell’Ucraina mirava quindi chiaramente a punirla per le sue politiche pro-pace, che l’Ucraina ritiene minino l’unità europea di fronte al conflitto e potrebbero un giorno ostacolare gli aiuti finanziari dell’UE.
Le ultime tensioni sono più preoccupanti di quelle sopra menzionate, poiché riguardano questioni di sicurezza. La sfiducia reciproca era in fermento da un po’, come spiegato in precedenza, ma ora sta assumendo una nuova dimensione. Dato il deterioramento dei loro rapporti dal 2022, era prevedibile che si spiassero a vicenda, ma pochi avrebbero potuto prevedere le insinuazioni dell’Ucraina sul fatto che l’Ungheria potesse preparare un’invasione e le insinuazioni dell’Ungheria sul fatto che l’Ucraina potesse tentare di orchestrare una Rivoluzione Colorata . Queste affermazioni meritano di essere analizzate attentamente.
L’Ucraina si basa sulle diffamazioni secondo cui l’Ungheria sarebbe un’agenzia di stampa russa e potrebbe quindi ricevere l’ordine di aprire un “secondo fronte” in futuro con il pretesto di proteggere i propri connazionali. Sebbene siano effettivamente discriminati, i costi di un intervento militare ungherese a loro sostegno superano di gran lunga i benefici. L’Ungheria si ostracizzerebbe dall’Occidente, si esporrebbe a sanzioni paralizzanti e forse persino ad attacchi alleati, e dovrebbe incorporare o espellere con la forza la popolazione ucraina della Transcarpazia.
Le affermazioni dell’Ungheria sono più credibili poiché l’Ucraina si comporta già come un rappresentante dell’Occidente. L’ex Ministro della Difesa Alexei Reznikov si vantava nel gennaio 2023: “Stiamo portando a termine la missione della NATO oggi, senza versare il loro sangue”. Il Wall Street Journal ha poi riportato nel marzo 2024 che l’Ucraina stava combattendo contro la Russia in Sudan, mentre la scorsa estate un funzionario del GUR si è attribuito il merito di un mortale attacco tuareg contro Wagner in Mali. Non sorprenderebbe quindi che l’Ucraina stia aiutando l’Occidente a indebolire Orbán, amico della Russia.
Alla luce di questa intuizione, l’Ucraina rappresenta una minaccia molto più credibile per l’Ungheria rispetto al contrario. Anzi, l’Ucraina potrebbe sfruttare le ultime tensioni come pretesto per aumentare la pressione sull’Ungheria, il che a sua volta potrebbe spingere altri paesi europei a fare lo stesso. Qualsiasi azione legale contro l’opposizione ungherese per la sua collusione con i servizi segreti ucraini potrebbe anche portare a gravi sanzioni da parte dell’UE. L’Ungheria deve quindi prepararsi a una grave ingerenza in vista delle elezioni parlamentari del prossimo anno.
In breve, il suo ” reset totale ” con la Cina , recentemente annunciato, potrebbe presagire un accordo globale con la Repubblica Popolare che si traduca in un ritorno alla bi-multipolarità sino-americana in una qualche forma, che alcuni descrivono come lo scenario G2/”Chimerica”. Il “ritorno in Asia” pianificato dagli Stati Uniti per contenere più energicamente la Cina, in cui l’India dovrebbe svolgere un ruolo chiave, perderebbe quindi importanza. Questo potrebbe spiegare perché apparentemente non abbia scrupoli a offendere così profondamente l’India oggigiorno.
Ciononostante, il suo serio interesse per la base aerea di Bagram è esplicitamente motivato dalla sua vicinanza alla Cina, il che implica che stia valutando con attenzione qualsiasi “Nuova Distensione”. Allo stesso tempo, tuttavia, un eventuale ripristino della presenza militare statunitense potrebbe anche essere parte di un accordo di ampia portata con la Cina. Questo potrebbe vedere gli Stati Uniti aumentare gli aiuti militari al Pakistan con pretesti antiterrorismo, contribuendo così a garantire il Corridoio Economico Cina-Pakistan (CPEC), in cambio della concessione da parte della Cina al Pakistan di agevolare il rientro militare statunitense in Afghanistan.
L’accettazione tacita del CPEC da parte degli Stati Uniti, a cui l’India si oppone perché attraversa il Kashmir rivendicato dall’India ma controllato dal Pakistan, indignerebbe l’India, così come l’aumento degli aiuti militari al Pakistan dopo il loro ultimo scontro, poiché tali equipaggiamenti potrebbero avere un duplice scopo contro l’India. L’accordo speculativo descritto potrebbe avere implicazioni negative anche per la Russia se (fattore qualificante!) si compissero progressi, dato che il Cremlino si oppone al ritorno militare degli Stati Uniti nella regione dopo l’inglorioso ritiro del 2021.
Inoltre, il ripristino dell’influenza statunitense sul Pakistan potrebbe mettere a repentaglio i piani di fine dicembre della Russia di modernizzare il suo settore delle risorse, che sono stati analizzati qui con la conclusione che gli Stati Uniti hanno tacitamente accettato di non imporre sanzioni, poiché questo accordo potrebbe erodere parte dell’influenza cinese in quel Paese. Se gli Stati Uniti concludono una “Nuova Distensione” con la Cina prima di farlo con la Russia, o se questa viene raggiunta invece di una con la Russia nel caso in cui le tensioni … si intensificheranno sulla questione dell’Ucraina, allora agli Stati Uniti potrebbe non importare se la Cina ottenga questi contratti.
C’è anche la possibilità che gli Stati Uniti sfruttino la loro influenza su chi il Pakistan assegna questi contratti redditizi, anche in una “Nuova Distensione” con la Russia, indipendentemente dal fatto che se ne raggiunga una anche con la Cina, per convincere la Russia ad accettare tacitamente il ritorno militare degli Stati Uniti in Afghanistan. In cambio, gli Stati Uniti potrebbero permettere al Pakistan di cedere questi contratti alla Russia e non cercherebbero di estrometterlo dall’Afghanistan, accettando invece di essere “concorrenti amichevoli” e consentendo ai progetti russi pianificati di procedere.
Un accordo russo-americano di tale portata in Pakistan (e poi in Afghanistan), soprattutto se anche la Cina fosse coinvolta nell’eventualità di una “Nuova Distensione” sino-americana, farebbe suonare un campanello d’allarme in India. Un corridoio commerciale russo-pakistano attraverso l’Afghanistan potrebbe integrarsi con il CPEC e i possibili investimenti minerari critici degli Stati Uniti in entrambi i Paesi (insieme alle armi statunitensi) per rimodellare l’ordine regionale. Stati Uniti, Cina, Pakistan e persino la Russia potrebbero quindi esercitare pressioni sull’India affinché accetti la spartizione del Kashmir per il “bene superiore della Grande Eurasia”.
Questa analisi, risalente all’estate scorsa, ne elenca diverse altre che ipotizzano l’esistenza in Russia di una fazione politica pro-BRI, rivale amichevole di quella consolidata, equilibratrice e pragmatica. La prima ritiene inevitabile il ritorno a una forma di bi-multipolarità sino-americana e quindi vuole accelerare la traiettoria di superpotenza della Cina come vendetta contro gli Stati Uniti per tutto ciò che hanno fatto dal 2022. La seconda, al contrario, vuole evitare una dipendenza sproporzionata dalla Cina, affidandosi all’India come contrappeso amichevole .
La neutralità della Russia nei confronti dell’ultimo conflitto indo-pakistano, unita ai commenti filo-pakistani (e talvolta persino anti-indiani) dei principali influencer “non russi filo-russi” all’interno del suo ecosistema mediatico globale, che avrebbero potuto essere corretti con qualche “gentile spintarella”, ma non lo sono stati, ha sorpreso alcuni osservatori. Dopotutto, dopo il viaggio di Modi a Mosca la scorsa estate, si era concluso che la sua visita fosse stata una vittoria per la fazione politica equilibrata/pragmatica, eppure, come si è visto, è stata evidentemente di breve durata.
Sembra che la fazione pro-BRI sia tornata a influenzare la politica russa nell’Asia meridionale, come suggerito dagli esempi precedenti, e questa percezione è stata enormemente rafforzata dal discorso del Ministro degli Esteri Sergej Lavrov al Diplomatic Club di giovedì. Ha avvertito che l’Occidente vuole mettere l’India contro la Cina e ha fatto un forte riferimento al Quad , a cui partecipa l’India, come esempio di formato “apertamente conflittuale”. Tutto ciò implica che la Russia potrebbe rivalutare il ruolo dell’India in Eurasia.
Entrambi gli scenari consoliderebbero probabilmente la rinnovata influenza della fazione pro-BRI sui rivali più equilibrati/pragmatici, sebbene Putin stesso rimanga un membro convinto della seconda fazione, motivo per cui il suo viaggio in India previsto per la fine dell’anno potrebbe riequilibrare le cose in questo caso. Se nessuno degli scenari sopra menzionati si concretizzasse, l’influenza politica potrebbe naturalmente tornare a favore della fazione più equilibrata/pragmatica col tempo, o almeno dopo il viaggio programmato da Putin.
Tornando a Zakharov, ha ragione nell’affermare che i crescenti legami della Russia con il Pakistan siano stati responsabili della neutralità russa durante l’ultimo conflitto indo-pakistano, ma ciò è dovuto solo alla nuova influente fazione politica pro-BRI che li concettualizza in un contesto di bi-multipolarità sino-americana. Ciò contrasta con il modo in cui i loro rivali, più equilibrati e pragmatici, li concettualizzano come parte della strategia di multiallineamento russa. L’India dovrebbe essere consapevole di queste nuove dinamiche politiche per evitare malintesi con la Russia.