Italia e il mondo

TERZO AGGIORNAMENTO *** (Lituania chiude il valico per l’approvvigionamento energetico di Kaliningrad)_di Daniele Lanza

https://www.facebook.com/daniele.conti.5203TERZO AGGIORNAMENTO *** (Lituania chiude il valico per l’approvvigionamento energetico di Kaliningrad)

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Nel giro di una settimana è necessario intervenire in merito al caso lituano, già menzionato, per la TERZA volta.

A quanto pare, in concomitanza alle sanzioni americane contro la russa LUKOIL (petrolio), la compagnia ferroviaria di stato lituana avrebbe deciso di sospendere il diritto di transito di cui la Lukoil ancora godeva fino ad oggi per arrivare a Kaliningrad: ricordiamo che a partire dal 2022 l’approvvigionamento di petrolio e gas in area UE è possibile esclusivamente tramite i condotti già costruiti (cioè non può più essere trasportato in Europa su alcun mezzo).

Solo la Lituania faceva eccezione nel senso che permetteva alla Lukoil di arrivare a Kaliningrad via ferrovia traverso il proprio territorio: questo in virtù del fatto che Kaliningrad è un’enclave isolata con necessità particolari.

Da ora in avanti non è più possibile tale transito – come si vede in carta) il che significa che la popolazione di Kaliningrad per il proprio approvvigionamento energetico dipende direttamente da SAN PIETROBURGO (o meglio dalla rotta marittima tra le due città lungo il Baltico.

Come dire……che la sua sopravvivenza da ora in avanti sarebbe tutta affidata al trasporto navale: in assenza di questo si rimane al buio.

P.S. = ….si rimane al BUIO, oppure si acquista lo Shale gas americano (?!?).

Me viene in mente questa: “Occorre ridurre la dipendenza energetica dalla Russia”. L’UE deve smettere di comprare gas russo. Anche i paesi confinanti alla Russia devono smettere di comprare gas russo: anzi l’ideale sarebbe che la RUSSIA medesima, piano piano smettesse di utilizzare il PROPRIO gas….e si decidesse di comprare quello americano (!!).

Capite signori ?

AGGIORNAMENTO ** (in merito all’intervento sulla LITUANIA che chiude i confini: di utilità per i viaggiatori)

Dunque: dopo aver chiuso a tempo indefinito il valico di frontiera con la Bielorussia, il governo lituano comunica oggi – per voce del ministro degli Esteri Kestutis Budrys alla radio nazionale – che è pronto a bloccare anche il passaggio verso la regione russa di KALININGRAD (in giallo, sotto), se venisse provato il coinvolgimento russo nel caso dei palloni aerostatici bielorussi. La misura verrebbe presa nel nome della sicurezza nazionale (…).

Come a dire: dichiaro guerra ad un mio vicino che non mi piace, anche se quest’ultimo non mi è vicino (ossia non confina nemmeno con me, ma il pretesto lo trovo lo stesso).

STOP.

Come si sa, Kaliningrad costituisce un’enclave autonoma russa del tutto separata dalla patria, fisicamente: se già chiudere la frontiera con la Bielorussia danneggiava bielorussi e russi che si servivano di tale passaggio, ora chiudendo il passaggio tra Lituania e Kaliningrad, allora il territorio lituano diverrebbe in tutto e per tutto un BLOCCO di separazione fatto appositamente per tenere i russi lontani e scoraggiarne la circolazione fisica, una specie di buco nero sulle mappe per chiunque abbia passaporto russo o bielorusso (sono ormai la stessa cosa).

Gli abitanti di Kaliningrad nello specifico……si ritroverebbero sigillata quasi il 50% della propria frontiera terrestre, potendo così contare soltanto su quella polacca (col cui stato i rapporti non sono idilliaci), per poter FISICAMENTE uscire dalla propria regione. Non esistono alternative se buttarsi nel mare (…).

Per i viaggiatori dall’area UE = se anche la Polonia un giorno decidesse di chiudere i suoi valichi con Bielorussia e Kaliningrad, diventa materialmente impossibile raggiungere la Russia dal continente Europeo (toccherà servirsi esclusivamente di aeroporti da Turchia, Caucaso ed Emirati). Mai successo nemmeno ai tempi di Stalin.

27.10.2025

Si comunica che il confine terrestre tra LITUANIA e BIELORUSSIA è chiuso a tempo indeterminato.

La misura – presa a seguito dei palloni aerostatici che le autorità lituana avrebbero localizzato nel proprio spazio aereo e considerati mezzo spionistico (?) – di fatto chiude completamente una delle poche vie di passaggio tra Russia ed UE: un cittadino russo (moscovita) che volesse raggiungere l’Europa come faceva ? Semplice: da Mosca si raggiungeva in treno o in aereo Minsk a bassissimo costo……..quindi da Minsk (vedere la carta) si raggiungeva Vilnius in poche ore di autobus, ritrovandosi già in UE (dalla capitale lituana poi, partono voli low cost per tutto il continente).

Perlomeno era così per i russi dotati di visto famigliare (quello turistico non era più accettato nemmeno per il basilare transito del paese): da ora in poi con il valico CHIUSO non sarà proprio fisicamente possibile. Direi che a questo punto tutta la fascia di frontiera dalla Finlandia alla Lituania è impenetrabile……

Il solo momento in cui la circolazione è stata così chiusa nel secolo passato…….è stato nel 1918 e nel 1945: in perfetta coincidenza con le guerre mondiali.

Non vado oltre.

Rassegna stampa tedesca, 58a puntata_a cura di Gianpaolo Rosani

Se si credono ai sondaggi attuali, il Paese rischia di trovarsi di fronte nel prossimo anno alla marcia
trionfale dell’AfD. L’aritmetica del potere politico della Repubblica potrebbe trovarsi di fronte a un
cambiamento fondamentale. A livello nazionale, i sondaggisti vedono l’AfD praticamente alla pari
con l’Unione al governo da settimane. L’AfD ha candidati di punta attivi in quasi tutti i Länder in cui
si voterà il prossimo anno. I leader dei partiti storici non sembra abbiano ancora trovato un’idea
concreta su come sconfiggere l’AfD.

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30.10.2025
L’ebbrezza dell’ estremismo
Estremisti di destra – Alle elezioni del 2026, l’AfD vuole diventare la forza politica più forte in diversi
Länder. Il partito punta su una strategia che coinvolge sia la Germania occidentale che quella orientale.

Di Matthias Bratsch, Fabian Hillebrand, Christine Keck, Ann-Katrin Müller
I riflettori sono abbaglianti e verdi, immergono il palco in colori spettrali. Lì c’è Alice Weidel. Ricorda un po’
una showgirl in un trenino fantasma. «L’era dei patrioti è iniziata», dice sorridendo.

Le sanzioni americane non dovrebbero essere dirette contro le filiali tedesche di Rosneft. Il
Ministero federale tedesco dell’economia e dell’energia ha ricevuto questa assicurazione dalle
autorità statunitensi, ha dichiarato un portavoce del ministero su richiesta. Una lettera di conforto in
merito è stata inviata come soluzione provvisoria alla Luzerner Kantonalbank. È quindi possibile
continuare a intrattenere rapporti commerciali con le filiali tedesche di Rosneft anche oltre la data
di scadenza del pacchetto di sanzioni, ovvero il 21 novembre. Il conflitto continua a covare sotto la
cenere. Rimangono poco chiari soprattutto i rapporti di proprietà. Con la proroga semestrale
dell’amministrazione fiduciaria, questo problema viene rinviato a tempo indeterminato.

30.10.2025
Raffinerie senza proprietari chiari
Gli Stati Uniti risparmiano per il momento le sanzioni alle filiali tedesche di Rosneft

Di THOMAS FUSTER
Il pacchetto di sanzioni contro la Russia recentemente approvato dagli Stati Uniti ha causato nervosismo in
Germania per giorni. Infatti, nel mirino degli americani c’è la compagnia petrolifera russa Rosneft, che ha
un’importante filiale in Germania.

Paesi Bassi: non è ancora chiaro chi guiderà il nuovo governo, ma in linea di principio il candidato
di punta del partito più forte ha le migliori prospettive. Secondo le previsioni, si tratta del 38enne
Jetten. Con lui, il candidato più giovane e il primo apertamente omosessuale potrebbe diventare
primo ministro del Paese. Mercoledì sera, alla festa elettorale del D66, sono esplosi cori di “Yes,
we can”. I Paesi Bassi si trovano ad affrontare una complessa formazione di governo che potrebbe
richiedere mesi. Uno scenario possibile è un’alleanza quadripartita tra D66, i cristiano-democratici
(CDA), il partito liberale di destra VVD e l’alleanza verde-sinistra. Il voto nei Paesi Bassi è seguito
con grande attenzione in tutta Europa, perché è considerato un test per capire se l’estrema destra
può espandere la sua influenza o se ha raggiunto il suo apice in alcune parti d’Europa.


30.10.2025
Paesi Bassi – Il populista di destra Wilders perde
consensi

Di Annette Birschel e Christoph Driessen
Secondo le previsioni, il partito del populista di destra Geert Wilders non è risultato il più forte alle elezioni
parlamentari nei Paesi Bassi.

Intervista a Thomas Chatterton Williams, critico culturale USA, in occasione del suo nuovo libro
sulle dinamiche dell’intolleranza di sinistra negli Stati Uniti: “il movimento MAGA Make America
Great di Trump riprende i comportamenti peggiori della sinistra illiberale e li utilizza per i propri
scopi. I suoi sostenitori credono che le norme liberali ostacolino la loro «chiarezza morale» e la
loro politica del risentimento. L’idea esagerata che con Obama sarebbe iniziata un’era «post-
razziale» negli Stati Uniti è stata delusa”.

29.10.2025
I democratici hanno spianato la strada a Trump
e al suo movimento illiberale
La «wokeness» di sinistra è considerata uno dei motivi per cui Trump è riuscito a tornare alla ribalta nel

  1. Ma ora la destra sta copiando la strategia, lasciando indietro il liberalismo, come spiega il critico
    culturale Thomas Chatterton Williams in un’intervista con Isabelle Jacobi

Signor Williams, recentemente gli Stati Uniti sono stati sconvolti dall’omicidio dell’attivista conservatore
Charlie Kirk. Cosa significa questo per la libertà di espressione?

La Cina sta valutando fino a che punto può disciplinare gli attori europei nella loro politica nei
confronti di Taiwan. “Un chiaro segno di una nuova rigidità nella politica estera”. Il fatto che il
ministro degli Esteri tedesco Wadephul non si rechi ora a Pechino è un problema per l’economia.
Nonostante le promesse, da mesi la Cina non fornisce quasi più terre rare o prodotti derivati alle
aziende europee. Wadephul avrebbe voluto incontrare i responsabili della politica commerciale
cinese ai massimi livelli, ma questi ultimi non sembravano interessati a discutere. “Stiamo vivendo
un punto di svolta storico nelle relazioni con la Cina, non si tornerà più al vecchio mondo in cui
essa forniva materie prime critiche in modo diligente, economico e affidabile”.

27.10. 2025
Svolta nelle relazioni con la Cina
Secondo alcuni diplomatici europei, Pechino avrebbe posto delle condizioni per la visita del ministro degli
Esteri tedesco. Ciò dimostra che la leadership cinese sta adottando un atteggiamento di confronto nei
confronti dell’Europa come mai prima d’ora.

Di Dana Heide, Britta Rybicki – Berlino
Nel giro di pochi mesi, la Cina ha compiuto una svolta di 180 gradi nelle relazioni con la Germania. Venerdì
la situazione ha raggiunto il suo punto più basso:

L’Associazione federale dell’industria tedesca non dispone di informazioni sulle scorte di terre rare
delle sue aziende e rimanda a “commercianti che potrebbero essere in grado di fornire
informazioni”. Il riciclaggio di terre rare è ancora pari a circa lo 0% in tutta l’UE. Secondo l’Agenzia
tedesca per le materie prime, le stime sulle quantità di scarti magnetici di neodimio-ferro-borio
disponibili per i processi di riciclaggio sono molto divergenti. Mancano strutture di raccolta,
separazione e trattamento, quantità pianificabili, regolari e sufficienti di rottami, nonché impianti e
processi adeguati.

29.10.2025
Nessuna informazione sulle scorte, riciclaggio
insufficiente
È vero che molte aziende tecnologiche in Germania dipendono da questo gruppo di metalli costosi.
Tuttavia, le terre rare non vengono ancora riciclate

Di Heike Holdinghausen
Quando arriva la crisi, si invoca una maggiore sicurezza dell’approvvigionamento.

Il Senato USA ha confermato il nuovo ambasciatore degli Stati Uniti in Danimarca, incaricato da
Trump di “procurargli” la Groenlandia; al momento della nomina di Ken Howery a ambasciatore,
Trump aveva indicato la direzione da seguire: “Il possesso e il controllo della Groenlandia sono
una necessità assoluta”, ha scritto allora su Truth Social. “Ken farà un lavoro fantastico nel
rappresentare gli interessi degli Stati Uniti”. Trump vede evidentemente in Howery l’intermediario
ideale per negoziare un accordo in tal senso, che, va notato, i governi danese e groenlandese
escludono categoricamente. Howery non è solo un diplomatico esperto – durante il primo mandato
di Trump è stato ambasciatore in Svezia – ma anche un uomo d’affari di successo.


22.10.2025
La terza fase dell’acquisizione della Groenlandia
Ultimamente il presidente degli Stati Uniti non ha più fatto parlare di sé in relazione all’isola danese.
Tuttavia, ci sono sempre più segnali che indicano che non ha abbandonato i suoi piani di annessione. Il
nuovo ambasciatore statunitense ha buoni contatti con imprenditori che hanno progetti concreti.

Di LARA JÄKEL
Da quando all’inizio dell’anno il presidente degli Stati Uniti ha sconvolto gli abitanti dell’isola danese e il
resto d’Europa con la sua dichiarazione di voler assumere il controllo della Groenlandia, se necessario
anche con mezzi militari, dalla Casa Bianca non si è più sentito parlare di questo argomento.

Il confine come strumento geopolitico: L’importanza strategica del confine tra Stati Uniti e Messico_di Alberto Cossu

Il confine come strumento geopolitico: L’importanza strategica del confine tra Stati Uniti e Messico

Dott. Alberto Cossu

Introduzione

Il confine tra Stati Uniti e Messico è più di una semplice demarcazione geografica. È uno spazio dinamico e complesso, un vero e proprio fulcro geopolitico che condensa e riflette le identità nazionali, i rapporti di potere e l’interdipendenza economica di due nazioni. La gestione di questo confine ha profonde implicazioni, influenzando non solo le politiche interne ed estere degli Stati Uniti, ma anche la loro stessa percezione di sé. Questo articolo esamina l’importanza strategica di questo confine e valuta l’efficacia di politiche di controllo aggressive nel frenare l’immigrazione clandestina, inquadrando questo approccio come una risposta pragmatica a una situazione di emergenza.

Contesto storico e costruzione del confine

La creazione formale del confine risale al Trattato di Guadalupe Hidalgo del 1848 , che sancì la cessione di vasti territori messicani agli Stati Uniti. Inizialmente, questo confine era scarsamente regolamentato. Col tempo, tuttavia, si trasformò in una frontiera militarizzata, un processo accelerato nel XX secolo con la creazione della USBorder Patrol nel 1924 , l’agenzia incaricata della sua sorveglianza. Questo sviluppo segnò la transizione da una semplice linea di separazione a una barriera attiva e sorvegliata, riflettendo le crescenti preoccupazioni degli Stati Uniti in materia di sicurezza e flussi migratori.

Il confine come spazio geopolitico e interdipendenza economica

Il confine è uno “spazio conteso” in cui si manifestano tensioni tra diverse visioni del mondo, un concetto esplorato da Robert D. Kaplan e Samuel Huntington. Da un lato, è un simbolo di sovranità e sicurezza nazionale; dall’altro, è un’area di profonda interconnessione. L’integrazione economica, promossa da accordi come il NAFTA e il successivo USMCA , ha creato una significativa interdipendenza economica tra i due paesi. Tuttavia, questa collaborazione ha anche generato disparità, poiché le politiche commerciali hanno favorito lo sviluppo industriale negli Stati Uniti, spesso a scapito dell’agricoltura messicana, alimentando indirettamente le ragioni che spingono alla migrazione. Geopoliticamente, gli Stati Uniti usano la loro influenza oltre il confine per proiettare il loro potere in America Latina e per affrontare minacce transnazionali come il narcotraffico.

Le politiche sull’immigrazione dell’amministrazione Trump: principi e obiettivi

L’amministrazione Trump ha adottato una politica sull’immigrazione basata sulla ” tolleranza zero “, con l’obiettivo di ridurre drasticamente l’immigrazione illegale attraverso una deterrenza aggressiva. La retorica del “muro”, sebbene la sua costruzione sia stata solo parzialmente completata, ha avuto un forte impatto simbolico, rappresentando una barriera fisica e psicologica contro i flussi migratori. L’amministrazione ha implementato politiche restrittive, tra cui la separazione delle famiglie e il diniego del diritto d’asilo, con l’intento di scoraggiare gli attraversamenti illegali.

Effetti e critiche delle politiche aggressive

I dati pubblicati dal Dipartimento per la Sicurezza Interna (DHS) e dalla Protezione delle Dogane e delle Frontiere (CBP) degli Stati Uniti per il 2025 indicano una significativa diminuzione degli attraversamenti di frontiera. Dopo l’insediamento della nuova amministrazione a fine gennaio, i numeri sono crollati a minimi storici. A maggio 2025, la Border Patrol ha segnalato 8.725 “incontri” al confine sud-occidentale, con un calo del 93% rispetto a maggio 2024. A luglio 2025, il numero di “incontri” a livello nazionale da gennaio 2025 è sceso a 57.303 con un calo evidente rispetto alla precedente amministrazione che si assestava a oltre 2 milioni.

Questi dati dimostrano che, in un contesto di crisi, un approccio assertivo e rigoroso al controllo delle frontiere può produrre risultati immediati. Sebbene una tale politica possa avere un elevato costo umanitario e sociale, suscitando critiche da parte delle organizzazioni per i diritti umani e creando tensioni con i paesi limitrofi, il suo obiettivo principale è ripristinare la sicurezza e il controllo in una situazione di emergenza.

Il ruolo del confine nella politica interna e nell’identità nazionale

Il confine è una questione determinante nella politica interna americana, alimentando un dibattito acceso e spesso polarizzato. Per alcuni, il controllo delle frontiere rappresenta la difesa della sicurezza e della sovranità nazionale; per altri, è un simbolo di xenofobia e un tradimento dei principi di accoglienza e opportunità. Questa dicotomia si riflette nell’identità nazionale degli Stati Uniti, dove il confine è sia un simbolo di separazione che un’area di potenziale integrazione culturale.

Il confine e le minacce transnazionali

Il confine tra Stati Uniti e Messico è un punto di transito per minacce transnazionali come il traffico di droga, in particolare il fentanyl, e la criminalità organizzata. Le politiche di frontiera non mirano solo a fermare l’immigrazione, ma anche a smantellare le attività dei cartelli criminali. La collaborazione con il governo messicano, sebbene complessa, è fondamentale per affrontare queste sfide. Gli Stati Uniti, con le loro politiche di frontiera, cercano di esercitare pressione sul Messico affinché cooperi nel contrasto a queste attività illecite.

Conclusione

Il confine tra Stati Uniti e Messico è uno strumento geopolitico di cruciale importanza strategica, come ha sottolineato Henry Kissinger. Politiche di controllo aggressive, come quelle attuate da alcune amministrazioni, possono avere un impatto tangibile sui flussi migratori, contribuendo alla loro riduzione. In un contesto di emergenza e criminalità, un approccio assertivo può essere considerato il più efficace per ottenere risultati immediati.

Tuttavia, è importante notare che una tale strategia non affronta le cause profonde della migrazione, come la povertà e l’instabilità politica, come discusso. In futuro, una volta ripristinata la sicurezza e quando la ripresa dell’economia statunitense richiederà nuove risorse umane, si potrebbe prendere in considerazione una transizione verso un approccio multidimensionale. Questo approccio combinerebbe il controllo delle frontiere con la cooperazione internazionale e gli aiuti allo sviluppo nei paesi di origine, rappresentando una soluzione più completa e sostenibile a lungo termine.

Appendice

Tabella: attraversamenti annuali del confine tra Stati Uniti e Messico

AnnoNumero di “incontri” (dati CBP)
20001.643.629
20051.201.217
2010463.092
2015337.137
2020458.088
20232.475.669
20242.135.000
Gen-Lug 202557.303

Riferimenti

  1. Cossu, A. (2025). Geopolitical implications of the US_ Mexico Boder” in Geopolitics 1/2025, vol. XIV, pp. 387-407.
  2. Friedman, G. (2009). The Next 100 Years. A Forecast for the 21st Century. Allison Busby, London.
  3. Friedman, G. (2020). The Storm Before the Calm. Doubleday, New York.
  4. Graziano, M. (2018). The Island at the Center of the World. Il Mulino, Bologna.
  5. Graziano, M. (2019). Geopolitics. Il Mulino, Bologna.
  6. Huntington, S. (2004). Who Are We? The Challenges to America’s National Identity. Simon & Schuster, New York.
  7. Kaplan, R. D. (2013). The Revenge of Geography. Random House, New York.
  8. Kissinger, H. (2015). World Order. Mondadori, Milan.
  9. U.S. Customs and Border Protection. Official 2025 data.
  10. https://www.welforum.it/trump-inaugura-la-nuova-stagione-della-crudelta-verso-immigrati-e-minoranze/
  11. https://it.wikipedia.org/wiki/Detenzioni_di_migranti_dell%27amministrazione_Trump
  12. https://www.internazionale.it/notizie/alessio-marchionna/2025/01/27/trump-sistema-migratorio-statunitense
  13. https://www.notiziegeopolitiche.net/messico-tutte-le-sfide-del-2025/
  14. https://www.airuniversity.af.edu/JIPA/Display/Article/3768220/protecting-the-hemisphere-safeguarding-us-interests-and-prioritizing-partnershi/

Articolo pubblicato da BWW society: https://bwwsociety.org/journal/archive/the-strategic-importance-of-the us-mexico-border.htm

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Dove sta andando l’Occidente?_di Peter Slezkine

Dove sta andando l’Occidente?

30.10.2025

Peter Slezkine

© Reuters

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L’Occidente ha effettivamente dominato gli affari mondiali per secoli. E il suo potere relativo sta rapidamente diminuendo. Gli europei – e le popolazioni di origine europea – sono sempre stati una minoranza a livello globale, ma hanno a lungo occupato le stanze del potere. Questa influenza sproporzionata sta chiaramente diminuendo e probabilmente continuerà a diminuire nei prossimi decenni. Ma “declino” non significa “sostituzione”, scrive Peter Slezkine in un articolo preparato appositamente per la 22a riunione annuale del Valdai Discussion Club.

L’Occidente potrebbe perdere il suo potere di governare con il diktat. Le sue istituzioni, la sua cultura e le sue mode morali potrebbero perdere il loro fascino. Ma continueremo a vivere in un mondo profondamente moderno e globalizzato di origine occidentale. I nostri sistemi educativi e scientifici, le nostre forme di governo, i nostri meccanismi legali e finanziari, il nostro ambiente costruito continueranno a poggiare su fondamenta occidentali.

Con questa premessa, possiamo passare alle domande principali. Che tipo di potere occidentale sta scomparendo dalla scena? E cosa dovremmo aspettarci dall’Occidente in futuro?

Possiamo dividere la storia dell’egemonia occidentale in due epoche distinte. Fino al 1945, l’Occidente può aver governato il mondo, ma lo ha fatto come un insieme di Stati in competizione tra loro piuttosto che come un’entità unica. In realtà, è stata proprio la competizione all’interno di un Occidente frammentato a fornire un importante impulso all’espansione verso l’esterno.

Dopo il 1945, il quadro è cambiato radicalmente. Per la prima volta, sotto l’egida americana è emerso un Occidente politicamente unito. Ma mentre i funzionari americani consolidavano l’Occidente, non organizzavano la politica estera degli Stati Uniti attorno ad esso. Al contrario, rivendicavano la leadership del “mondo libero”, che definivano negativamente come equivalente all’intero “mondo non comunista”. Il nucleo occidentale dell’ordine americano del dopoguerra era quindi doppiamente cancellato: era identificato con un liberalismo globale basato sul minimo comune denominatore che dipendeva, a sua volta, da una minaccia esterna per qualsiasi parvenza di coerenza interna.

22° incontro annuale del Valdai Discussion Club

29.09.2025 – 02.10.2025

Maggiori informazioni sull’evento

Diplomazia moderna

Il crollo dell’ordine mondiale e una visione della multipolarità: la posizione della Russia e dell’Occidente

Andrey Sushentsov

Gli Stati Uniti percepiscono la pace, la sicurezza e la stabilità come un dato di fatto che si realizza da sé. Secondo Washington, non sono necessari sforzi significativi per mantenerli e, quando ce n’è bisogno, sono gli stessi Stati Uniti ad avviare un conflitto militare. Questa è una grande differenza tra gli Stati Uniti e la Russia: la Russia capisce che, per salvare il mondo dalla catastrofe, le grandi potenze devono raggiungere un consenso e mantenere l’ordine nelle loro regioni, scrive il direttore del programma del Club Valdai Andrey Sushentsov.

Opinioni

Il crollo dell’Unione Sovietica non ha cambiato questa logica di fondo. L’Occidente ha continuato a identificarsi con l’intera “comunità internazionale” e, quando la democrazia liberale non è riuscita a diffondersi in tutto il mondo, è tornato a difendere il “mondo libero”, prima contro l’“Islam radicale” e poi contro i suoi familiari nemici della Guerra Fredda: Russia e Cina.

L’amministrazione Biden ha rappresentato sia il culmine che il compimento di questo approccio di politica estera. Biden è entrato alla Casa Bianca dichiarando una divisione globale tra democrazia e autocrazia e ha cercato di creare legami tra Europa e Asia come parte di un’alleanza globale contro Russia e Cina.

Ma il risultato, soprattutto dopo l’inizio dell’operazione speciale in Ucraina, non è stata l’unità di un “ordine liberale” globale, bensì un divario in rapida crescita e sempre più evidente tra le pretese universalistiche dell’Occidente e la sua portata limitata.

L’Europa ha seguito a ruota. Il resto del mondo ha per lo più seguito la propria strada. Alla fine, l’“ordine liberale” è stato respinto non solo dal mondo non occidentale, ma anche dall’elettorato americano, che l’anno scorso ha votato per la seconda volta a favore dell’America First.

A che punto è quindi l’Occidente? In linea di principio, vedo tre strade da seguire. La prima è una restaurazione liberale limitata. Si può immaginare che le élite europee respingano l’opposizione interna, sopravvivano a Trump e trovino un sostenitore nel Partito Democratico che prometta un parziale ritorno allo status quo ante. L’infrastruttura atlantista è forte e l’inerzia è una forza potente. Ma anche nel caso di una restaurazione post-Trump, l’antipatia popolare verso il programma internazionalista liberale comporterà una notevole contropressione e i vincoli di risorse continueranno a limitare la portata occidentale.

Un’altra possibilità è un vero e proprio ridimensionamento americano, inteso come abbandono dell’impero a favore della nazione. Dal punto di vista politico, una mossa del genere sarebbe molto popolare. La promessa di mettere al primo posto gli interessi dei cittadini americani ha un evidente fascino per l’elettorato americano. Anche in gran parte dell’Europa risuonano gli appelli a dare nuova priorità alla nazione. Il nazionalismo si inserisce naturalmente nel quadro della politica democratica. Rappresenta anche l’alternativa apparentemente ovvia al quadro precedentemente dominante dell’universalismo liberale. Una politica più nazionalista è la premessa fondamentale del MAGA, e figure come Steve Bannon – e altri “influencer” di destra – stanno attivamente promuovendo questo programma. La neutralizzazione dell’USAID, di Radio Free Europe (identificata come agente straniero e organizzazione indesiderabile in Russia) e del National Endowment for Democracy (identificato come organizzazione indesiderabile in Russia) rappresenta un passo sostanziale in questa direzione. Una nuova strategia di difesa nazionale che dia priorità alla difesa interna potrebbe costringere a un ulteriore allontanamento da una politica estera dedicata alla leadership dell’“ordine liberale”.

Allo stesso tempo, sarà difficile sciogliere i legami esistenti. Le élite atlantiste rimangono radicate in posizioni chiave all’interno e all’esterno del governo, e strutture vaste e complesse come la NATO e l’Unione Europea probabilmente resisteranno, anche se i partiti populisti acquisiranno potere in tutto l’Occidente. Altrettanto importante è il fatto che i leader nazionalisti occidentali sembrano comprendere che la ricerca ostinata della sovranità nazionale produrrà paesi troppo deboli per possedere una vera autonomia sulla scena internazionale. Se gli Stati Uniti si ritirassero nell’emisfero occidentale, il progetto di integrazione europea crollerebbe quasi certamente. E in un mondo di grandi potenze, le singole nazioni europee non sarebbero più in grado di puntare al di sopra delle loro possibilità (come facevano prima del 1945). Sebbene i partiti nazionalisti in Europa possano opporsi alle strutture transatlantiche dell’“ordine liberale”, tendono a non immaginare una rottura totale con gli Stati Uniti. Gli Stati Uniti, dal canto loro, sono abbastanza grandi (e sicuri) da mantenere una posizione relativamente forte nel sistema internazionale anche se abbandonassero completamente il loro impero. Ma la maggior parte dei membri del MAGAverse non immagina un ritiro così completo. Come minimo, tendono a immaginare il mantenimento del dominio statunitense da Panama alla Groenlandia.

Ma molti sostenitori dell’America First preferirebbero mantenere il controllo dell’intero Occidente. La terza e ultima opzione, quindi, è un nuovo consolidamento transatlantico che sostituisca la logica universalista liberale con un quadro civilizzatore consapevole, con gli Stati Uniti come metropoli riconosciuta e l’Europa come periferia privilegiata. Se la leadership americana dell’ordine liberale rappresentasse un drenaggio netto di risorse (secondo Trump e Co), allora il nuovo accordo transatlantico invertirebbe il flusso. Allo stesso tempo, consentirebbe alle nazioni europee di entrare a far parte di un club con una popolazione e risorse sufficienti per competere sulla scena globale. Infine, l’adesione al club occidentale non richiederebbe il sacrificio dell’identità nazionale sull’altare del liberalismo globale. Anzi, richiederebbe la riaffermazione dell’identità nazionale e panoccidentale a scapito delle politiche che favoriscono l’immigrazione illimitata e l’espansione senza fine.

La costruzione di un “Occidente collettivo” consapevole costituirebbe un abbraccio della multipolarità e un tentativo di creare il polo più potente del sistema.

Probabilmente porterebbe anche a un riorientamento lontano dalla logica dei carri armati e delle truppe creata dalla contrapposizione della Guerra Fredda con l’Unione Sovietica e verso un’attenzione alla tecnologia e al commercio più adatta alla concorrenza con la Cina. Il discorso del vicepresidente Vance al vertice sull’intelligenza artificiale a Parigi, il suo attacco contro gli atlantisti alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco e il recente discorso del presidente Trump alle Nazioni Unite hanno spinto l’Europa a riorganizzarsi in questo senso. Gli sforzi per trasferire gli oneri all’interno della NATO, insieme ai recenti accordi commerciali con la Gran Bretagna e l’UE, rappresentano passi concreti in questa direzione.

Il problema è che l’Occidente ha trascorso decenni dissolvendosi nell’ordine liberale e ha pochi contenuti civili su cui fare affidamento. Il canone occidentale è stato in gran parte distrutto nell’istruzione superiore. E la pratica religiosa è in declino in tutto l’Occidente. Il cristianesimo è ancora una forza potente nella politica americana (come abbiamo visto alla commemorazione in stile revival per Charlie Kirk). Ma l’Occidente non può più pretendere di essere la cristianità. Al momento, l’idea dell’Occidente attrae principalmente un piccolo numero di influenti intellettuali della Nuova Destra, geopolitici e titani della tecnologia che desiderano espandersi (ma si rendono conto che il globo è troppo grande per essere inghiottito).

Ci sono ostacoli su tutte e tre le strade. E non sono, in realtà, alternative. Il risultato più probabile è probabilmente una combinazione di tutte e tre. L’inerzia burocratica favorisce la prima opzione: un limitato ripristino liberale; la logica della politica interna favorisce la seconda: il ridimensionamento nazionalista; e gli imperativi geopolitici favoriscono la terza: la creazione di un vero e proprio “Occidente collettivo”.

In ogni caso, gli Stati Uniti dovrebbero essere in grado di mantenere una posizione favorevole. Le strutture dell’ordine liberale sono ancora forti, nonostante le crescenti crepe nelle fondamenta. Nel frattempo, l’amministrazione Trump continuerà a spingere per un rinnovamento delle relazioni transatlantiche verso un consolidamento più consapevole del blocco occidentale, unito da un approccio comune al commercio, all’alta tecnologia e alla gestione delle risorse. Infine, se l’Europa non riuscirà ad accettare il suo nuovo ruolo, o a svolgerlo bene, Washington potrà tagliare i ponti e ritirarsi nelle posizioni preparate nell’emisfero occidentale.

Il crollo dell’ordine mondiale e una visione multipolare: la posizione della Russia e dell’Occidente

20.11.2023

Andrey Sushentsov

© Reuters

Gli Stati Uniti considerano la pace, la sicurezza e la stabilità come un dato di fatto che si realizza da sé. Secondo Washington, non sono necessari sforzi significativi per mantenerle e, quando è necessario, sono gli stessi Stati Uniti ad avviare un conflitto militare. Questa è una grande differenza tra gli Stati Uniti e la Russia: la Russia comprende che, per salvare il mondo dalla catastrofe, le grandi potenze devono raggiungere un consenso e mantenere l’ordine nelle loro regioni, scrive il direttore del programma del Club Valdai Andrey Sushentsov.

Il rapporto del Club Valdai “Certificato di maturità, o l’ordine che non c’è mai stato” è un nuovo capitolo della serie analitica che i miei colleghi ed io prepariamo ogni anno per le riunioni annuali. Un ruolo importante nel rafforzare l’influenza delle argomentazioni del rapporto è svolto dal fatto che noi, forse prima di altri, abbiamo iniziato a scrivere del fatto che l’ordine mondiale ha iniziato a sgretolarsi. Ciò sta accadendo, da un lato, a causa del tentativo degli Stati Uniti di imporre il proprio dominio su tutti e, dall’altro, a causa della formazione nel mondo di un numero significativo di centri di potere strategicamente autonomi che non sono d’accordo con Washington.

La nostra tesi sul crollo dell’ordine mondiale è stata espressa per la prima volta nel rapporto del 2018. Abbiamo scritto di come la pressione dell’Occidente sul resto del mondo sia uno degli ultimi tentativi di mantenere il proprio dominio, che sta volgendo al termine. Per 500 anni, l’Occidente è stato un centro di potere e di iniziativa politica fondamentale e influente. I conflitti chiave si sono svolti in Occidente e le innovazioni e le idee politiche fondamentali sono nate nei paesi occidentali. Oggi, il centro di gravità dell’economia globale si sta inevitabilmente spostando verso Oriente.

Con un certo ritardo, anche il centro dell’iniziativa politica si sposterà verso Oriente. Questo fenomeno non sarà di breve durata, ma diventerà un processo determinante nel corso del XXI secolo e, molto probabilmente, anche oltre.

L’Occidente è ben consapevole dell’inevitabilità di questo processo. La sua pressione sul resto del mondo, sul non-Occidente, sulla Russia e sulla Cina è un tentativo di rallentare lo spostamento verso l’Oriente o di preservare l’iniziativa occidentale nel nuovo mondo complesso e di ottenere condizioni preferenziali di interazione con il resto del mondo.

Il fatto che l’Occidente diventerà un’altra regione del mondo alla pari delle altre, importante e significativa, ma non leader globale o egemone, è la caratteristica più importante dell’ordine emergente. Il mondo sta diventando uniformemente denso, complesso e influente. Tuttavia, questo processo richiederà del tempo e non avverrà dall’oggi al domani.

Diplomazia moderna

Chi è meglio preparato per una lunga crisi geopolitica?

Andrey Sushentsov

Il mondo sta cambiando in modo irreparabile e l’Occidente sta incontrando difficoltà nel consolidare i partecipanti al sistema internazionale mobilitandosi contro la Russia, scrive Andrey Sushentsov, direttore del programma del Valdai Club.

Opinioni

Invece di comprendere correttamente la natura dei cambiamenti e di proporsi come moderatore ragionevole ed esperto o come centro di competenza politica per conciliare gli interessi contrastanti dei diversi paesi, l’Occidente agisce come centro attivo di disorganizzazione dei processi in diverse regioni del mondo. Con le sue azioni, aggrava i conflitti, disorganizza i sistemi regionali e quindi favorisce lo scenario più sfavorevole per sé stesso. In realtà, le azioni occidentali stanno spingendo la Russia ad allearsi con altri influenti centri di potere nel mondo, e un processo che potrebbe richiedere diversi decenni si sta verificando nel giro di pochi mesi.

Inoltre, le tendenze sociali, economiche e demografiche rendono il trasferimento del potere verso l’Oriente un processo oggettivo che non può essere fermato. Il potere militare e il possesso di risorse materiali e potenziale economico stanno ricominciando, come nel corso della storia mondiale, a svolgere un ruolo di primo piano. Qualche tempo fa, i paesi di tutto il mondo, influenzati dalla narrativa occidentale secondo cui “il mondo è piatto” e “la fine della storia” è arrivata, hanno iniziato a credere che l’economia dei servizi, l’interconnessione globale e i valori condivisi fossero la risorsa più significativa nel nuovo contesto internazionale. Alcuni paesi hanno effettivamente intrapreso la strada della riduzione delle loro risorse materiali e della loro influenza sulle relazioni internazionali.

Gli attuali sviluppi mondiali hanno dimostrato che si è trattato di un errore. I paesi la cui quota di servizi supera il 70% del PIL si sentono estremamente a disagio nell’attuale contesto internazionale. Tuttavia, i paesi in cui le risorse materiali e la loro estrazione, la produzione industriale, la produzione agricola e il commercio di risorse rappresentano una quota importante del PIL si sentono più a loro agio. Si rendono conto che la situazione sui mercati mondiali dipende da loro e, naturalmente, il centro di gravità globale politico, militare e di altro tipo si sposta verso di loro. Pertanto, vediamo che il potere, compreso quello militare, è ancora una valuta molto importante nel sistema internazionale. Gli Stati Uniti non si sono discostati molto da questa conclusione, nonostante abbiano proposto che tutti debbano considerare il mondo stabile e sicuro, poiché essi stessi rimangono il principale militarista mondiale con il più grande bilancio militare.

Gli americani considerano la multipolarità una situazione instabile con un gran numero di rischi e minacce. Allo stesso tempo, accusano i paesi che ritengono la multipolarità la configurazione ottimale del sistema internazionale di non essere pronti ad assumersi la responsabilità della stabilità nelle loro regioni e che solo gli Stati Uniti sono costretti ad assumere questo ruolo.

Dal punto di vista russo, questa interpretazione è errata. Le azioni americane, come hanno dimostrato gli ultimi 30 anni, portano ad un aumento della tensione e all’accumulo di contraddizioni che esplodono in crisi militari.

La Russia considera la multipolarità come una struttura naturale e organica delle relazioni internazionali, poiché si rende conto che nessuna potenza è attualmente in grado di gestire la comunità internazionale in tutta la sua complessità.

La Russia propone di considerare il mondo come una struttura fragile, il cui mantenimento richiede sforzi significativi da parte di tutti i paesi. Gli Stati Uniti percepiscono la pace, la sicurezza e la stabilità come un dato di fatto che si realizza da sé. Secondo Washington, non sono necessari sforzi significativi per mantenerla e, quando ce n’è bisogno, sono gli stessi Stati Uniti ad avviare un conflitto militare. Questa è una grande differenza tra gli Stati Uniti e la Russia: la Russia comprende che, per salvare il mondo dalla catastrofe, le grandi potenze devono raggiungere un consenso e mantenere l’ordine nelle loro regioni.

Man mano che queste grandi tendenze verso la formazione della multipolarità vengono attuate, gli Stati Uniti capiranno che non è necessario esagerare l’area della loro responsabilità per gli affari internazionali e si sentiranno in modo abbastanza armonioso come uno degli Stati leader, ma non più come un’egemonia. Nel prossimo futuro, questo obiettivo non può essere considerato rilevante, poiché l’Occidente sta attuando una strategia volta a sconfiggere la Russia. Il nostro rapporto è conflittuale, una rivalità molto intensa, in cui l’Occidente utilizza tutte le misure contro la Russia. Naturalmente, date le condizioni attuali, non abbiamo intenzione di costruire nulla insieme.

Tuttavia, dopo che l’Occidente avrà compreso come si presenta l’equilibrio di potere in Europa, si verificherà un risveglio che dovrebbe portare al potere in Occidente nuove forze politiche che si rendono conto che i tentativi di dominio sono un vicolo cieco. Se ciò si concretizzerà, sarà possibile tornare a un dialogo paritario su come possiamo cooperare per garantire la stabilità e la sicurezza globali.

Il disperato tentativo delle forze speciali di salvare Pokrovsk fallisce mentre le forze armate ucraine affrontano un crollo senza precedenti su tutti i fronti_di Simplicius

Il disperato tentativo delle forze speciali di salvare Pokrovsk fallisce mentre le forze armate ucraine affrontano un crollo senza precedenti su tutti i fronti

2 novembre
 
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La situazione continua a peggiorare sempre più per l’Ucraina.

Le principali testate giornalistiche riportano sempre più spesso i fatti concreti relativi alla situazione in Ucraina, che si tratti della crisi di manodopera o del collasso della rete elettrica:

In linea con quanto riportato nell’articolo del Telegraph, gli ultimi dati mostrano che nel 2025 le diserzioni in Ucraina sono aumentate vertiginosamente:

Nell’articolo dello Spectator sopra riportato, intitolato “Chi salverà le truppe ucraine a Pokrovsk?”, l’autore chiede essenzialmente alle autorità ucraine di salvare le truppe presenti sul posto, piuttosto che lasciarle “massacrare” come nei precedenti accerchiamenti, in cui il comando ucraino ostinato ha rifiutato di cedere terreno per privare spietatamente la Russia del suo trionfo il più a lungo possibile, a costo della vita di molti soldati.

Il comando militare ucraino non è sempre riuscito a mantenere tale equilibrio, permettendo talvolta alle proprie truppe di essere circondate e massacrate piuttosto che ordinare una ritirata tempestiva. Oggi, quella stessa scelta tra territori e vite umane viene compiuta a Pokrovsk.

L’unico modo per evitare un massacro una volta ordinata la ritirata è che i soldati ucraini si allontanino in piccoli gruppi attraverso la linea del fronte porosa, abbandonando tutte le attrezzature pesanti. Come ad Avdiivka e, più recentemente, nella regione russa di Kursk, alcuni dovranno rimanere indietro per coprire la ritirata, affrontando una morte certa o mesi di tortura nella prigionia russa.

La scorsa settimana le forze armate ucraine hanno dovuto affrontare un crollo della linea del fronte senza precedenti, praticamente su tutti i fronti principali. Sono state segnalate avanzate ovunque, dalla linea Zaporozhye-Dnipro a Pokrovsk, Konstantinovka, Seversk, Lyman e Kupyansk.

Poiché questa è l’unica vera notizia che conta in Ucraina in questo momento, passeremo subito ad analizzarla per comprendere la portata del collasso ucraino. Ma prima rivediamo le recenti dichiarazioni di Putin sulla situazione al fronte, rilasciate durante una visita ai soldati feriti in convalescenza:

Putin:

“La situazione generale nella zona dell’operazione militare speciale si sta sviluppando molto bene per noi. I vostri compagni d’armi stanno avanzando attivamente su tutti i fronti. In due luoghi, come sapete, nelle città di Kupyansk e Krasnoarmeysk, il nemico è stato bloccato e circondato. A proposito, ho discusso la questione con i comandanti dei rispettivi gruppi di truppe. Non si oppongono a far entrare nella zona dell’accerchiamento i rappresentanti dei media – giornalisti stranieri e ucraini – affinché possano entrare e vedere con i propri occhi cosa sta succedendo lì e verificare le condizioni delle unità ucraine circondate. In questo modo, la leadership politica dell’Ucraina potrà prendere la decisione appropriata riguardo al destino dei propri cittadini e dei propri militari, proprio come è stato fatto una volta ad «Azovstal». Avranno questa opportunità. Ci preoccupa solo una cosa: che non ci siano provocazioni da parte ucraina. Siamo pronti a cessare le ostilità per un certo periodo, per alcune ore – due, tre, sei ore – affinché gruppi di giornalisti possano entrare in questi insediamenti, vedere cosa sta succedendo, parlare con i militari ucraini e andarsene.

Putin ha offerto in modo controverso un cessate il fuoco temporaneo a Pokrovsk affinché i giornalisti occidentali potessero vedere con i propri occhi quanto fossero realmente circondate le forze ucraine presenti sul posto, un fatto attestato da Julian Ropcke che ha deriso il proprio invito personale:

La controversa richiesta di Putin ha sollevato un vespaio tra i sostenitori della Russia, che temono che il leader russo stia nuovamente mostrando debolezza nei confronti del nemico offrendo concessioni. Capisco il punto di vista di entrambe le parti, ma in questo caso penso che un cessate il fuoco di poche ore, come proposto da Putin, non causerebbe molti danni, ma porterebbe grandi benefici in termini di pubbliche relazioni. Inoltre, come sempre, Putin ha l’abitudine di fare offerte che sa saranno rifiutate dalla parte avversaria solo per apparire come un leader misericordioso e ragionevole, in contrasto con il suo avversario Zelensky.

Il motivo per cui ciò riveste particolare importanza, tuttavia, è che l’accerchiamento di Pokrovsk è diventato un importante segnale d’allarme per le attuali condizioni delle AFU. L’accerchiamento che le forze russe hanno realizzato attorno a questo agglomerato sembra essere il più stretto che abbiano mai realizzato attorno a una città, se dobbiamo credere alle mappe filo-russe, il che è un segnale estremamente eloquente rispetto all’attuale capacità di combattimento delle truppe ucraine.

La configurazione attuale mostra una distanza di soli ~2 km tra le linee russe rimanenti:

Si tratta di un varco molto stretto attraverso il quale, secondo quanto riferito, solo uno o due soldati ucraini alla volta possono tentare di fuggire, approfittando della nebbia, della notte o di altre “condizioni particolari”.

Certo, c’è molto dibattito su quante truppe ucraine siano effettivamente rimaste in quella sacca, e come ho affermato di recente, è probabile che non siano molte, forse poche centinaia o meno, ma nessuno sembra saperlo con certezza.

Tuttavia, o la quantità rimasta è ancora significativa, oppure ci sono ancora alcune persone molto importanti rimaste, perché il GUR ucraino ha deciso di lanciare un’audace operazione delle forze speciali con elicotteri “dietro le linee nemiche” fino alla punta dell’accerchiamento, per ragioni che per ora possiamo solo ipotizzare.

L’operazione è stata condotta qui, dove gli operatori delle forze speciali si sono trincerati negli edifici o nella vegetazione, prima di essere apparentemente distrutti dai droni russi in attesa:

Annuncio ufficiale del Ministero della Difesa russo:

Come affermato, un simile tentativo di infiltrazione suicida da parte delle GUR è quasi senza precedenti e rappresenta un atto disperato commisurato alla gravità della situazione. Considerando questo tentativo e la proposta senza precedenti di Putin di consentire ai media di assistere all’accerchiamento, possiamo solo supporre che la “morsa” di Pokrovsk sia una delle più complete che le forze russe abbiano mai realizzato finora.

Un post pubblicato direttamente da un importante canale ucraino legato all’esercito:

Certo, gli ucraini hanno ottenuto un grande successo nel respingere le forze russe dall’insediamento di Dobropillya a nord, il che ha persino suscitato voci secondo cui Gerasimov avrebbe “licenziato” il generale della 51ª Armata responsabile di quel quadrante, proprio a causa di questo fallimento. Ma le azioni qui erano state progettate per alleggerire la pressione su Pokrovsk e questo non sembra aver funzionato per l’AFU.

https://news.sky.com/story/le-truppe-ucraine-iniziano-ad-arrendersi-in-una-città-chiave-ma-Kiev-afferma-che-la-situazione-è-dinamica-13461786

Il crollo più consistente delle AFU continua a verificarsi lungo la linea del fiume Yanchur, dove la catena di insediamenti che abbiamo seguito per settimane è stata finalmente quasi completamente smantellata:

Da notare in particolare a nord, dove le forze russe stanno già entrando a Danylovka e ne hanno conquistato una parte. Questa città domina l’importante autostrada T0401 che rifornisce Gulyaipole a sud, e la sua conquista complicherà la logistica per Gulyaipole, che sta già iniziando a essere assediata su tre lati in termini di principali vie di rifornimento.

Inoltre, le forze russe hanno conquistato un’ampia fascia di territorio direttamente a nord di quest’area per rafforzare i fianchi e iniziare l’assalto verso l’altra Pokrovske, situata a nord-ovest della linea:

Appena a nord-est di lì, le forze russe hanno già iniziato a entrare e a conquistare Novopavlovka, che era stata lentamente circondata nelle ultime settimane:

Vista più ampia:

Per chi non segue da vicino, nella panoramica sopra è possibile vedere Pokrovsk a nord-est e la linea Yanchur a sud-ovest.

Cosa significa questo? Significa che si aggiunge un altro insediamento di grandi dimensioni che le forze russe probabilmente conquisteranno presto, insieme a Pokrovsk, Kupyansk e molti altri che stanno iniziando a cadere.

A nord, le forze russe hanno iniziato a prendere d’assalto la punta meridionale di Seversk, il che significa che anche questa città chiave è destinata a cadere nel prossimo futuro:

Progressi ancora più significativi sono stati registrati a nord-ovest di lì, a Krasny Lyman, dove le forze russe stanno ora assaltando la parte meridionale della città, dopo averne già conquistato una parte considerevole:

Ciò che è ancora più scioccante è la rapidità con cui le forze russe stanno avanzando sul fianco settentrionale di questo fronte, dove si sono spinte in profondità nelle foreste verso il fiume Seversky Donets:

Di fatto, questo li pone già nel raggio d’azione dell’artiglieria di Izyum:

Infine, Kupyansk ha registrato nuovamente importanti progressi. Le forze russe hanno attraversato il fiume da ovest e stanno avanzando anche da nord per conquistare l’ultima sezione sulla riva sinistra o orientale:

Una vista più ravvicinata mostra la zona più settentrionale della sponda orientale sotto assedio:

Inoltre, sulla prima mappa più ampia sopra riportata, è possibile vedere che le forze russe hanno già preso d’assalto il lato occidentale per conquistare Sadove, il che sta trasformando sempre più l’intera zona di Kupyansk in un vero e proprio calderone:

Allora, cosa abbiamo?

Pokrovsk e Mirnograd sono entrambe destinate a cadere presto. Kupyansk è destinata a cadere; Seversk, Krasny Lyman, Novopavlovka e Konstantinovka sono tutte sotto assedio e probabilmente cadranno prossimamente, mentre Gulyaipole e altre città saranno poi assediate.

La Russia era arrivata a conquistare in media solo una grande città all’anno (Mariupol nel 2022, Bakhmut nel 2023, Avdeevka nel 2024). Ora, le forze russe sono pronte a conquistare una serie di città in rapida successione. Allo stesso modo, l’Ucraina ha lanciato una grande “controffensiva” ogni anno dall’inizio della guerra: c’è stata quella di Kherson e Kharkov nel ’22, quella “grandiosa” di Zaporozhye nel ’23 e quella di Kursk nel ’24. Il 2025 è stato il primo anno senza una grande controffensiva ucraina.

Queste due statistiche contrastanti sono eloquenti: l’AFU è ormai esaurita e l’avanzata russa sta accelerando drasticamente.

Allo stesso tempo, gli attacchi della Russia alla rete elettrica ucraina sono stati i più determinati mai visti, con molti che hanno notato comportamenti “insoliti” come il doppio attacco alle squadre di riparazione e il lancio di giganteschi sciami di droni su ogni struttura, invece che semplicemente uno o due missili. Diversi funzionari ucraini hanno già invitato la popolazione ad abbandonare Kiev, avvertendo che per gran parte del prossimo inverno non ci sarà il riscaldamento.

La principale autorità energetica ucraina Ukrenergo:

Alcuni parlamentari ucraini stanno addirittura sollecitando una tregua energetica:

Un commentatore ucraino riassume la situazione: prestate particolare attenzione all’ultimo paragrafo.

Roman Ponomarenko scrive su TG:

“Un post pessimista, ma è così. Data l’attuale configurazione della guerra a cui stiamo assistendo, la sua conclusione chiaramente non sarà a nostro favore. Nessuno parla più dei confini del 1991 e il presidente Zelensky ha ripetutamente dichiarato la sua disponibilità a cessare le ostilità lungo la linea di contatto. E sebbene egli sottolinei costantemente che l’Ucraina non cederà nemmeno un centimetro del proprio territorio, l’attuazione pratica di questa intenzione appare incerta. Al momento non possiamo riconquistarli con mezzi militari. E sperare che la Russia rinunci volontariamente alle terre incorporate nella sua costituzione è futile: così facendo, Putin non solo delegittimerebbe se stesso come leader russo, ma firmerebbe anche la sua condanna a morte.

Le garanzie di sicurezza che Zelensky cerca così disperatamente sembrano una chimera palese nel mondo di oggi. Né gli Stati Uniti, né l’Europa, né la NATO combatteranno per noi, né ora né tra 5-10-15 anni. L’unica cosa su cui possiamo contare è un conflitto diretto tra la NATO o l’Europa e la Russia, ma solo dopo la fine della nostra guerra. Considerando che attualmente né gli Stati Uniti né l’UE ritengono vantaggioso o necessario il crollo della Russia, non sono sicuro che l’Europa combatterà attivamente nemmeno per se stessa. È più probabile che cercherà di comprare il conflitto, con denaro o territorio. Non è un caso che nei Paesi baltici non ci sia attualmente alcuna fiducia che la NATO combatterà per loro anche in caso di aggressione diretta da parte della Russia.

Pertanto, dopo la guerra, avremo perdite territoriali e una Russia guidata da Putin ai nostri confini, incoraggiata dalla vittoria e dalla grandezza imperiale. Ci imporrà le sue richieste in materia di politica estera e interferirà nella politica interna attraverso le elezioni a tutti i livelli. Considerando che gli ucraini sono molto bravi a litigare tra loro, questo non sarà difficile da realizzare per il nemico. Come esempio, guardate l’attuale Georgia, che 15 anni fa era categoricamente anti-russa.

E la domanda principale: l’Ucraina può vincere e garantirsi un futuro sicuro per almeno alcuni decenni? Teoricamente sì. Per questo, abbiamo bisogno di una destabilizzazione interna in Russia e di un cambiamento del regime al potere. Ciò è possibile con un approccio globale da parte nostra (alcuni aspetti sono già stati attuati: sul fronte stanno morendo più russi che soldati ucraini e gli attacchi alle raffinerie hanno provocato una crisi di benzina in molte regioni della Russia; alcuni aspetti devono ancora essere realizzati, come fomentare il confronto interno in Russia, ad esempio tra la popolazione indigena e i migranti, ecc. Tuttavia, i nostri sforzi da soli non sono sufficienti. Anche i partner occidentali dell’Ucraina devono dare il loro contributo. Sono disposti a correre dei rischi, dato che non vogliono il collasso della Russia? Una domanda retorica, semmai.

Il fatto più rivelatore delle improvvise avanzate russe su tutti i fronti è che queste non sembrano essere state ottenute a scapito di grandi assalti meccanizzati con enormi perdite, come era avvenuto in alcune delle precedenti “offensive” ufficiali della Russia. Certo, nelle ultime due settimane abbiamo assistito a una serie di assalti meccanizzati, ma questi hanno interessato principalmente fronti secondari, ad esempio la zona occidentale di Zaporozhye, intorno a Orekhove, a Shakhove, a nord di Pokrovsk, ecc.

I principali fronti discussi in precedenza sembrano tutti collassare nella solita vecchia tattica del “mille tagli”. Ciò significa, soprattutto, che la Russia non sembra pagare un prezzo elevato in termini di vittime e perdite di equipaggiamento per questi recenti successi, ad eccezione di equipaggiamenti sacrificabili come biciclette, auto civili, bukhankas, ecc.

Se così fosse, ciò rappresenterebbe un segnale estremamente negativo per l’AFU. Significherebbe infatti che è stato raggiunto un punto di non ritorno, in cui la Russia non dovrà più impiegare risorse ingenti per continuare a compiere questi progressi, il che significa che essi proseguiranno senza sosta.

Non sappiamo con certezza se sia così; ad esempio, il fatto che questo improvviso crollo delle AFU abbia coinciso proprio con l’arrivo della rasputitsa e di altre condizioni climatiche avverse simili a quelle invernali potrebbe significare che ciò ha più a che fare con la recente avanzata della Russia. Ma, come ho già affermato più volte in precedenza, la Russia ha sempre condotto le sue campagne più importanti durante l’inverno, periodo in cui sono state effettuate le operazioni di Bakhmut e Avdeevka.

Inoltre, in molte campagne precedenti, le forze russe hanno esercitato una forte pressione sin dall’inizio, per poi esaurirsi a causa delle perdite e dell’arrivo delle riserve ucraine; si vedano ad esempio la campagna di Sumy, Volchansk a Kharkov, ecc. Ma in questo caso, l’AFU sembra davvero rompersi in massa per la prima volta, tanto che è difficile immaginare che le forze russe possano arrivare a un esaurimento lungo l’intero fronte da questo punto in poi: ci sono semplicemente troppe aree in cui l’Ucraina non ha più le risorse umane per difendersi adeguatamente.

Alcuni hanno anche notato altre interessanti peculiarità dei recenti successi della Russia: stanno conquistando importanti insediamenti senza raderli al suolo, come avveniva in passato con Avdeevka, Bakhmut e persino con insediamenti più piccoli come Marinka:

Una delle cose che ho notato riguardo alla battaglia di Pokrovsk è che, a differenza di quanto accaduto all’inizio della guerra, i russi non hanno distrutto la città. Sembra che l’uso di munizioni pesanti sia notevolmente diminuito. Probabilmente ci sono varie ragioni per questo. Me ne vengono in mente due. Gli attacchi di precisione con i droni hanno probabilmente sostituito in una certa misura la necessità di munizioni pesanti. In secondo luogo, i problemi di personale dell’AFU potrebbero significare che non sono più necessarie.

Ciò sembra avere più a che fare con il fatto che le forze ucraine sono così ridotte che non sono nemmeno più in grado di difendere le città abbastanza a lungo da consentire ai russi di radere al suolo tutto. Le forze armate ucraine iniziano a ritirarsi anche contro gli ordini diretti e la schiacciante superiorità numerica delle truppe russe le spazza via da ogni lato.

https://kyivindependent.com/le-truppe-russe-superano-in-numero-l’ucraina-8-1-nel-settore-di-pokrovsk-afferma-zelensky/

Come è possibile superare numericamente il proprio avversario in quel modo quando questi sta infliggendo perdite pari a 10:1?

Una cosa da ricordare è che, con il progredire del crollo delle AFU, esso non potrà che accelerare per il fatto che gli intervalli di tempo a disposizione dell’Ucraina per costruire adeguate linee difensive a una distanza appropriata dietro ogni fronte in crollo o ogni avanzata russa sono sempre più brevi. Questo è il motivo per cui da tempo sostengo che il crollo, a un certo punto, non potrà che assumere un andamento parabolico, anziché rimanere lineare in termini di intensità.

L’unica cosa che potrebbe rallentarlo a questo punto è probabilmente una nuova grande mobilitazione da parte dell’Ucraina, che coinvolga sia i diciottenni che le donne. Ma, primo: ciò potrebbe significare il suicidio politico di Zelensky; e secondo: anche se la mobilitazione iniziasse ora, ci vorrebbe almeno sei mesi prima di vedere effetti concreti.

Concludiamo con queste riflessioni di un analista militare russo sui prossimi mesi di sviluppi nel campo dei droni:


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Il coccodrillo nello stagno_di WS

Oggi  commenterò per  esteso  il mellifluo  Korybko   sempre  così prodigo  di buoni  consigli  alla  Russia   e lo faccio dopo  aver letto   quanto  di  esso riportato  qui, dove , seppur  concludendo  con  consigli  che   non mi convincono , Korybko     parte  da una  corretta  constatazione :  gli U$A , gli  attuali  signori    del “rimland” non  stanno  “ritirandosi”  ma  ampliando  il loro  assalto  all’ “heartland”  e lo fanno  con la solita  strategia  ereditata  dai loro  parenti  inglesi : la strategia  dell’Anaconda.

E  qui  dobbiamo  innanzitutto  comprendere   come   questa  si sviluppi   e  quanto    sia antica  e determinata   questa  strategia di  predazione.

La  “ strategia de “l ‘Anaconda ”   o    del “Leviatano/ serpente  di mare/coccodrillo “, volendo  andare molto   più indietro fin  nella mitologia ,  consiste  nell’ avvolgere per  stritolare/affogare  la propria  vittima,   che nel caso   del “Behemot/ animale  di  terra/ippopotamo”  deve essere  una strategia ben   dissimulata      per  evitare  che  il   potente  ippopotamo possa  difendersi  lacerando  a morte  il  coccodrillo    con la sua       forza.

E’ infatti  evidente   che  questa mitologia  nasca   dalla  forzata  “convivenza”   tra  coccodrilli  ed ippopotami  nelle pozze  in restringimento    del deserto egiziano e  che la  cosa abbia profondamente  colpito allora l’ immaginario  di  coloro  che   avevano osservato la cosa  ,   trasferendola così   nella mitologia  di quei popoli  del mediterraneo orientale

Comunque nel mito  del  “Leviatano”, questa     creatura   “contorta , malvagia  e avvolgente” opera  sempre   nella dissimulazione  e nel  caos; è lui  sempre  e solo l’ aggressore   perché  deve  predare  per  vivere   mentre  il Behemot   il suo  vitale avversario     può prosperare     mangiando  erba.

Ovviamente  tutto questo  è un mito,  ma   ciò che   stiamo  vivendo  gli   assomiglia  molto e potrebbe  essere  raccontato  come   la  favola  de “ il coccodrillo nello  stagno”.

  In  questo “stagno”  che  è di fatto ormai  il mondo  globalizzato   sono  cresciuti coccodrilli  molto  grossi e voraci   che  in   mancanza   di  sufficienti  erbivori   “facili”      cominciano a divorarsi  tra loro     guardando anche   ai pochi  ippopotami   che  stanno insieme  a loro   nello “stagno”  e   che  “prede  facili”   non sono.

 I coccodrilli  questo lo  sanno,  ma non  sanno  come altro  calmare la propria  voracità  e quindi  cercano  di predare anche i pochi ippopotami  rimasti  nello specchio d’acqua   con,    guarda caso,  quella  che    è sempre  stata  la strategia del regno inglese:  avvolgere  e dividere  le  varie  “bestie”  con cui è entrato contatto  fino  a privarle delle  loro  forza,  smembrarle  e  “cibarsene”.

Tutti i più potenti    stati  del continente europeo    sono passati  da questo “trattamento”   e nessuno  se ne è accorto in tempo.  Nessuno, anzi,  aveva  raccolto  l’ analogia,  finché gli  stessi inglesi  non hanno   teorizzato  questa loro  strategia  di dominio   con Mackinder,  rivelando  così  quella  che era  diventata la loro  ossessione: l’ inarrivabilità  dell’ impero Russo,    questo    enorme animale  cresciuto  possente   nelle  steppe  dell’  Eurasia.

Sono infatti   almeno  170  anni  che l’ elite inglese  si  arrovella  in  questa impotenza  perché nonostante  gli enormi  colpi già  inflitti  a     “l’ animale” ,  esso  è ancora  vivo   ed in grado   fargli molto male.

Ma a  che  serve   tutto questo mio allegorico  preambolo?  Solo  a dire  che   questa ossessione  e questa  strategia     è  trasmigrata  nella  testa   del ben  più  enorme “coccodrillo”  americano     : gli U$A.

I  quali  U$A,   ormai  diventati   i principali “predatori”  nello “stagno”,  possono anche  raccontare in giro    che  vorrebbero    tornare  a “mangiare  erba”  come  tutti  gli altri stati, ma l’ unico  modo  con cui possono  risolvere  alla  svelta la loro  smisurata fame (  “american  way of life” la chiamano loro )  è solo  quello  di trovare  un modo migliore  per   catturare ANCHE le  “ grosse prede”.

 Che poi è sempre il solito modo : dividerle    e poi  attaccarle  una  alla volta. Questo che ci  sta  dicendo Korybko.

E   se tutte “ bestie”  sono in allarme ?  Beh , laddove non si possano  tranquillizzare,  bisogna    almeno confonderle   ed è a questo  che  serve la girandola Trump. L’ importante   è  che le “bestie “ non  facciano “branco”  per  difendersi.

Il  che   poi  negli “erbivori”  è cosa abbastanza normale,  perché in  genere  ognuno  “bruca”  per  proprio conto.

Ma ora, entrando nel più specifico    triangolo   U$A-Russia-Cina ,   sarebbe  veramente   da  bischeri    se   Russia e Cina, ma soprattutto  Russia,   non  si  ricordassero     dei  trattamenti già ricevuti;  “il serpente” però è abilissimo a raccontare  favole   e soprattutto   specializzato  a  ipnotizzare  le élites.  Da qui l’ estrema prudenza  di  entrambe   le potenziali “vittime”.

A molti    di sicuro meraviglierà    soprattutto la “prudenza”  russa     la cui  dirigenza , nonostante la Russia  si trovi  sotto  attacco VERO, continua  a  cercare  un appeasement   con un “  caro partner”   la cui   maligna falsità      dovrebbe  essergli   già ben nota. Un paradosso     quindi   che li rinchiude  così nella veste     dei  “deboli  ed ingenui”,  incoraggiando  quindi l’aggressione  in corso.

Quale spiegazione  allora ?  La darò   dopo  aver     ricordato   quanto  apparisse  debole  ed  esitante lo   zar Stalin   tra   il 1938  e il 1941   quando  sappiamo per certo  dai  documenti riservati del tempo  che  Stalin  avesse  già  da  anni prima definita inevitabile la guerra  e prioritario un   riarmo massiccio  e forzato.

Semplicemente  allora Stalin  stava  guadagnando  tempo    per  rafforzarsi  ed     vedere  con    migliore  chiarezza   nel quadro  strategico. Questa  stessa cosa  sta facendo  adesso Putin

Ma quale chiarezza  strategica     sta aspettando Putin ?     Su due aspetti   ovviamente .

 La prima è la stabilità del quadro interno.  Stalin non si poteva fidare  del partito   esattamente   quanto Putin  non si può  fidare   della  sua elite; l’ unica  differenza  è nella modalità delle “purghe”  attualmente in corso.

La  seconda è capire la reale posizione   di  TUTTI i propri  vicini   quando lo scontro   entrerà     veramente  “nel vivo”.

  Ma allora  quale è  la conclusione   della  favola ? 

 Non lo so , ma posso dire, e  ce lo ha mostrato la stessa BBC,    che   nelle pozze   dell’ Okawango   quando un  coccodrillo  attacca  un ippopotamo  ,  di  solito  finisce  con una strage  di  coccodrilli .

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Ancora una volta sulla tragedia geopolitica del XXI secolo: lo scisma mondiale e le sue radici NATO-russe_di Gordon Hahn

Ancora una volta sulla tragedia geopolitica del XXI secolo: lo scisma mondiale e le sue radici NATO-russe

Gordon Hahn 31 ottobre∙Pagato
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In un raro caso di correttezza riguardo a qualcosa sulla Russia, il New Yorker e Masha Gessen hanno pubblicato diversi anni fa un breve articolo che discuteva estratti dalle trascrizioni di Clinton-Eltsin appena pubblicate. L’articolo risale a un’epoca passata, in cui era possibile non incolpare la Russia e il presidente russo Vladimir Putin per ogni crimine commesso. Gessen non è mai stata una “burattinaia di Putin”; è un’attivista gay radicale, anzi rivoluzionaria, e una dissidente russa che si oppone fermamente a Putin. Ha scritto numerosi libri e articoli sulla “Russia di Putin” da quando è stato pubblicato l’articolo descritto di seguito, molti dei quali contengono resoconti molto unilaterali che criticano Putin. Ma l’estratto qui sotto è di natura diversa e merita di essere letto. È un ritorno al passato, a prima della grande rottura di Maidan, quando era possibile, almeno per gli oppositori di Putin, scrivere in modo obiettivo, riportando le sfumature di grigio.

A quel tempo, si potrebbe persino immaginare di considerare – sorprendentemente! – se la Russia non fosse l’unica responsabile della nuova guerra fredda, quali azioni occidentali abbiano portato alla rottura delle relazioni tra Stati Uniti e Russia e quanto inevitabile e persino provocata fosse l’attuale guerra in Ucraina a causa di tali azioni. Tutte queste erano catastrofi geopolitiche preannunciate dall’espansione della NATO a est e dalle conseguenti violazioni del diritto internazionale. In Jugoslavia e Serbia, l’Occidente ha registrato la prima grande violazione militare da parte di una grande potenza estera dopo che il riavvicinamento tra Stati Uniti e Unione Sovietica aveva inaugurato l’era post-Guerra Fredda. Questa azione occidentale, in particolare della NATO, è stata il bombardamento della Jugoslavia e il conseguente riconoscimento dell’indipendenza albanese, violando la risoluzione sponsorizzata dall’Occidente stesso che ne sanciva l’integrità territoriale.

Per una volta Gessen è imparziale e coglie nel segno la Russia nel descrivere l’effetto che i bombardamenti illegali della Jugoslavia da parte della NATO hanno avuto sul pensiero politico russo, anche se permangono alcuni dei soliti pregiudizi:

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Eltsin non fa che rattristarsi. “D’ora in poi il nostro popolo avrà sicuramente un atteggiamento negativo nei confronti dell’America e della NATO”, dice. “Ricordo quanto sia stato difficile per me cercare di orientare la testa del nostro popolo, la testa dei politici verso l’Occidente, verso gli Stati Uniti, ma ci sono riuscito, e ora perdere tutto questo. Bene, dal momento che non sono riuscito a convincere il Presidente, significa che ci aspetta una strada molto difficile, molto difficile, per quanto riguarda i contatti, se si dimostreranno possibili. Addio.”

Diciannove anni dopo, sembra chiaro che un presidente sia stato più onesto dell’altro. Contrariamente a quanto affermato da Clinton, lui e gli altri leader della NATO avevano certamente una scelta in quella situazione, e la scelta che fecero – lanciare un’offensiva militare senza l’approvazione delle Nazioni Unite – cambiò il modo in cui gli Stati Uniti esercitano la forza. Aggirando il Consiglio di Sicurezza e affermando gli Stati Uniti come unico arbitro del bene e del male, aprì la strada, tra le altre cose, alla guerra in Iraq.

Cambiò anche la Russia. Quella che fu vista come una decisione unilaterale americana di iniziare a bombardare un alleato russo di lunga data incoraggiò l’opposizione nazionalista e fece leva su un profondo complesso di inferiorità. Sensibile a questi sentimenti, Eltsin rispose quel maggio celebrando il Giorno della Vittoria con una parata militare in Piazza Rossa, la prima in otto anni. In effetti, quell’anno si svolsero parate militari in tutto il Paese, che da allora si sono ripetute ogni anno. Ciò che fu ancora più spaventoso fu una serie di parate non governative del Giorno della Vittoria da parte di ultranazionalisti. Il fatto che queste manifestazioni pubbliche, alcune delle quali raffiguravano la svastica, fossero tollerate, e in così stretta prossimità con le celebrazioni della festa più sacra del Paese, suggeriva che la xenofobia avesse acquisito nuovo potere in Russia. Più tardi, quello stesso anno, Eltsin nominò Vladimir Putin suo successore e firmò una nuova guerra in Cecenia. Questa offensiva, progettata per rafforzare il sostegno al nuovo leader scelto dal Paese, fu sia ispirata che resa possibile dal Kosovo. Era una sfida agli Stati Uniti, un’affermazione che la Russia avrebbe fatto ciò che voleva nella sua autonomia musulmana.

Non sapremo mai se la politica russa si sarebbe sviluppata diversamente se non fosse stato per l’intervento militare statunitense in Kosovo. E, naturalmente, la nuova guerra in Cecenia e l’ascesa dello stesso Putin sono stati sintomi di problemi più profondi, tra cui l’incapacità della Russia di reinventarsi come stato post-sovietico e post-imperiale. Di questo, la responsabilità maggiore ricade su Eltsin stesso. Eppure, queste trascrizioni raccontano una tragica storia di molto più di un’amicizia finita male ( www.newyorker.com/news/our-columnists/the-undoing-of-bill-clinton-and-boris-yeltsin-friendship-and-how-it-changed-both-countries ).

Sebbene Gessen e TNY abbiano ragione su alcune cose, ne hanno sbagliate anche parecchie.

Gessen e il direttore di TNY David Remnick non possono fare a meno di ricadere nella loro modalità “dare sempre la colpa alla Russia”. Quando Gessen scrive ” naturalmente, la nuova guerra in Cecenia e l’emergere di Putin stesso erano sintomi di problemi più profondi, tra cui l’incapacità della Russia di reinventarsi come stato post-sovietico e post-imperiale “, sta esagerando per incolpare la Russia delle guerre cecene. In realtà, il movimento indipendentista ceceno era un movimento estremista ultranazionalista con elementi semi-islamisti, e Mosca aveva tutto il diritto di preservare la sua integrità territoriale. Inoltre, contrariamente all’opinione e/o alla propaganda di alcuni a Washington (Bryan Glynn Williams), tra i ceceni non c’erano George Washington o Thomas Jefferson. La loro ideologia nazionalista, già venata di islamismo e che portava ad attacchi terroristici (ad esempio, Budyonovsk), era destinata a evolversi verso un jihadismo conclamato, come accadde nel 2002, dando vita all’Imarat Kavkaz (Emirato del Caucaso), alleato di Al Qaeda, nell’autunno del 2007, e a migliaia di attacchi terroristici in tutto il Caucaso settentrionale e in Russia.

In effetti, la questione del Kosovo fu un fattore irritante che contribuì a provocare la seconda guerra cecena. A parte l’invasione cecena del Daghestan e gli attacchi terroristici, il Kosovo presentava troppi parallelismi con la questione cecena perché Mosca potesse rischiare che la situazione sfuggisse ulteriormente al controllo e diffondesse il jihadismo al resto del Caucaso settentrionale, come poi accadde. I parallelismi includono: i ceceni che si armarono e si rifugiarono sulle montagne per ottenere l’indipendenza, un movimento ultranazionalista che si dedicò al terrorismo e alle operazioni militari prima dello Stato centrale, un popolo islamico in parte suscettibile alle ideologie islamiste e jihadiste radicali, e l’esistenza di sostenitori a Washington DC e in altre capitali occidentali, che avrebbero potuto convincere l’Occidente a intervenire in Cecenia in modi simili o diversi dal suo intervento in Kosovo. Dubito che Washington tollererebbe un movimento separatista ultranazionalista come quello della Repubblica cecena di Ichkeriya sul territorio statunitense per tutto il tempo che la Russia ha tollerato, dal 1991 al 1994 e di nuovo dal 1998 al 1999, quando Mosca ha negoziato con i terroristi ceceni. La condotta della guerra da parte della Russia è un’altra storia. Più brutale del necessario, ma non così brutale come molti in Occidente sostengono.

Gessen e Remnick sono anche selettivi nelle questioni e nei documenti che scelgono di discutere e citare. L’espansione della NATO non viene menzionata. Ma ha aperto la strada e ha fornito il contesto, rispettivamente, per l’intervento della NATO in Kosovo senza un mandato ONU e per la resistenza della Russia alla guerra della NATO contro un alleato russo.

L’emergere di Putin come concorrente ostinato non era inevitabile, come non lo era per la Russia nel suo complesso. La persistenza dell’Occidente nell’espandere la NATO e nell’ignorare gli interessi nazionali russi ha fatto sì che Putin e la Russia si rivoltassero contro l’Occidente. Putin era più o meno filo-occidentale e filo-democratico quando salì al potere; almeno non era contrario a questa direzione. Espresse disprezzo per Lenin e i bolscevichi e, nel suo primo “discorso sullo stato dell’Unione” a entrambe le Camere dell’Assemblea Federale, menzionò positivamente la democrazia almeno una decina di volte. In effetti, Paul Noble, analista di lunga data del governo statunitense, ha sofferto nel corso della sua carriera per aver affermato che Putin non aveva menzionato affatto la democrazia.

Gli occidentali stanno commettendo lo stesso errore a distanza di oltre due decenni. Il professore della Stanford University ed ex ambasciatore statunitense a Mosca, Michael McFaul, capovolge completamente la questione. Sostiene che Putin e i russi non si oppongono all’espansione della NATO. Piuttosto, Putin si oppone alla democrazia e non negozierà a meno che le forze russe non vengano fermate in Ucraina: “I negoziati si svolgono solo quando l’esercito di Putin viene fermato. Dobbiamo dare all’Ucraina ciò di cui ha bisogno per far sì che ciò accada” (https://x.com/mcfaul/status/1983673555821982058 ).

Per chi è confuso da questo punto di vista, l’opposizione russa all’espansione della NATO è un “mito”, come dice McFaul, e l’opposizione all’espansione della democrazia presumibilmente spiega le azioni militari russe in Georgia e Ucraina. Non importa che solo pochi mesi prima che la Russia intraprendesse per la prima volta un’azione militare contro i candidati alla NATO – in Georgia nell’agosto 2008, a seguito dell’attacco di Tbilisi all’Ossezia del Sud che uccise le truppe russe di peacekeeping – la NATO avesse dichiarato che un giorno sarebbe entrata a far parte della NATO. Non importa che le forze russe, di gran lunga superiori, si trovassero a 80 chilometri da Tbilisi e non abbiano fatto alcun tentativo di conquistare il territorio. Né ha annesso l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia separatiste, come avrebbe potuto fare e potrebbe ancora fare oggi. Non importa che la Russia, debolmente democratica, sotto il suo primo presidente post-sovietico Boris Eltsin (che McFaul ha contribuito a far eleggere), si sia opposta all’espansione della NATO, ma non abbia potuto fare nulla al riguardo e che all’epoca l’espansione non sia stata accompagnata da numerosi colpi di stato nei paesi confinanti con la Russia. Dimentichiamo che la Russia post-sovietica non ha mai attaccato la sua vicina democratica, la Finlandia, prima o dopo la sua adesione alla NATO. Non importa che la Russia intrattenga ottimi rapporti con la più grande democrazia del mondo, l’India, e solidi rapporti con l’Ungheria democratica, la Slovacchia e la Serbia, nella misura in cui ciò è possibile data la loro appartenenza alla NATO.

Era l’Occidente ad avere tutto il potere nelle relazioni post-Guerra Fredda, ed era quindi soprattutto responsabilità dell’Occidente definire tali relazioni. Avrebbe dovuto dimostrare la stessa magnanimità dimostrata dai vincitori nella Seconda Guerra Mondiale. Purtroppo, non è stato così, e una tragedia geopolitica lascia il mondo nuovamente diviso tra alleanze occidentali e orientali sempre più antagoniste. L’espansione della NATO, e non la democrazia, ha creato il dilemma di sicurezza che oggi definisce le relazioni tra Stati Uniti e Russia e tra Occidente e Russia.

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Il Pentagono ordina forze di reazione rapida a livello nazionale per “operazioni di disturbo civile”_ di Veronika Kyrylenko

Tre articoli di grande importanza che rappresentano la prima attuazione pratica della nuova strategia militare statunitense, per ora adombrata dall’autorevole E. Colby, ma che sarà sistematizzata e formalmente approvata, presumibilmente, nei prossimi mesi, a partire dagli otto punti già illustrati, qualche settimana fa, su questo sito. Importanti sotto vari aspetti:

  1. Lo sfilacciamento del corpo politico demo-neocon sta producendo il passaggio progressivo ad uno scontro politico sempre più interno alla amministrazione trumpiana, con tutti gli ondeggiamenti, le contraddizioni stridenti e le ambiguità che ne conseguono e ne conseguiranno
  2. Il confronto politico sta assumendo sempre più le caratteristiche di uno scontro frontale man mano che l’amministrazione Trump sta assumendo progressivamente il controllo di numerose leve dello stato centrale e/o che numerosi centri decisori e di potere si stanno spostando nella sua compagine
  3. Grazie al progressivo sfilacciamento delle connessioni organiche tra centri di potere di orientamento demo-neocon, più visibile e marcato all’interno degli Stati Uniti, il confronto sta assumendo sempre più l’aspetto di un conflitto e di una sovrapposizione potenzialmente violenta tra competenze dello stato centrale, paradossalmente sempre più detenuta dalle componenti federaliste e decentraliste, e competenze di buona parte degli stati federati, alcuni dei quali di particolare importanza e peso politico
  4. è evidente che l’attenzione e la priorità assoluta dell’azione della amministrazione è rivolta alla situazione interna, sia nelle politiche economico-sociali che di ordine pubblico, in previsione di disordini interni facilmente fomentabili in una situazione di “anarchia sociale” e di attuazione delle politiche antiimmigratorie in un contesto nel quale sarà difficile distinguere un conflitto sociale “genuino” dalle pesanti strumentalizzazioni, per altro già verificatesi nel recente passato. Tanto più che le previsioni economiche lasciano presagire, in questa fase di transizione, condizioni di instabilità e di crisi acuta.
  5. Quasi ogni atto ed evento in politica estera, sia esso riconducibile alla ispirazione demo-neoconservatrice che a quella più affine al nuovo corso, vedi la presenza assertiva nei Caraibi e la minaccia al Venezuela, ma anche alla Colombia, è perpetrato e attuato in funzione dello scontro politico interno agli Stati Uniti. Da questo, però, non scaturisce una sufficiente consapevolezza della impossibilità di scindere la politica interna dalle dinamiche geopolitiche e una maggiore coerenza ed interazione tra di essa, vista la vitale necessità di arrivare ad una regolazione accettabile del confronto geopolitico almeno con i principali attori dell’agone

Stiamo assistendo, di fatto, alla costruzione strisciante di uno “stato di eccezione” i cui strumenti, finalizzati in prospettiva alle nuove politiche e al nuovo corso, potrebbero, secondo le alterne vicende, però ritorcersi nel corso del loro utilizzo. La storia offre innumerevoli esempi in proposito. Tutto dipenderà dal successo dell’almeno parziale rinnovamento dei centri di potere e dalla solidità e genuinità della loro adesione al nuovo corso. Il “Gattopardo” alligna dappertutto, non solo in Sicilia. Mai come adesso il movimento isolazionista, ma che isolazionista in senso letterale non è, ha assunto, negli Stati Uniti, un peso politico ed una chiarezza politica così rilevante; è anche vero che, storicamente, questa area politica è stata alla fine regolarmente sconfitta o relegata ad una condizione di testimonianza. Si vedrà. I segnali inquietanti non mancano; all’interno di MAGA, però, vi è una crescente consapevolezza della situazione e della necessità di costruire un ceto politico dirigenziale ed una classe dirigente in grado di sostenere il confronto e di gestire la costruzione di un nuovo assetto._Giuseppe Germinario

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Il Pentagono ordina forze di reazione rapida a livello nazionale per “operazioni di disturbo civile”

 di Veronika Kyrylenko 31 ottobre 2025    

Pentagon Orders Nationwide Quick Reaction Forces for “Civil Disturbance Operations”
AP Images

Audio dell’articolo sponsorizzato da The John Birch Society

Il National Guard Bureau (NGB), un organo del Dipartimento della Guerra, ha ordinato a tutti gli Stati e territori degli Stati Uniti di creare una “forza di reazione rapida” (QRF) composta da truppe pronte a essere dispiegate entro il 1° gennaio 2026.

Secondo una nota riservata trapelata e visionata da Task & Purpose, ogni Stato schiererà circa 500 soldati. Secondo il rapporto,

Tutti i 50 stati, Porto Rico e Guam avranno una propria forza di reazione rapida, o QRF. I promemoria del National Guard Bureau mostrano che la maggior parte degli stati avrà 500 soldati assegnati a queste unità, ad eccezione di quelli con una popolazione più ridotta come il Delaware, che avrà 250 soldati nella sua QRF, l’Alaska con 350 e Guam con 100 soldati. La Guardia Nazionale di Washington, D.C. ha ricevuto l’ordine di mantenere un battaglione di polizia militare “specializzato” con 50 soldati della Guardia Nazionale in servizio attivo.

Lo sviluppo fa seguito a un ordine esecutivo firmato dal presidente Trump il 25 agosto, intitolato “Misure aggiuntive per affrontare l’emergenza criminalità nel Distretto di Columbia”. L’ordine ha disposto la creazione di nuove “unità specializzate” federali e militari per un rapido dispiegamento in tutto il territorio nazionale. Trump lo ha definito una necessità per garantire la sicurezza pubblica a Washington, D.C. e oltre.

Come funzionerà

Secondo gli screenshot del promemoria pubblicato da The Guardian, la nuova Forza di reazione rapida della Guardia Nazionale (NGQRF) sarà integrata nell’Elemento di supporto e assistenza CBRN (CASE), una sottounità della Forza di risposta interna (HRF) di ogni Stato.

Nel linguaggio militare, CBRN sta per “Chemical, Biological, Radiological, and Nuclear” (chimico, biologico, radiologico e nucleare), ovvero la gamma di disastri che queste squadre erano state originariamente create per contenere. Il memorandum designa la nuova QRF come una “serie di missioni aggiuntive” composta da 200 membri “addestrati in operazioni di gestione dei disordini civili”.

In effetti, le nuove unità all’interno di una struttura un tempo progettata per gestire fuoriuscite di sostanze chimiche e fughe radioattive ora si prepareranno a gestire le folle.

L’NGB fornirà a ogni Stato 100 set di equipaggiamento antisommossa e assegnerà due soldati a tempo pieno per supervisionare il personale, l’addestramento e le attrezzature. Ogni unità dovrà presentare mensilmente dei “rapporti di prontezza”. Ciò dovrà essere fatto tramite il Defense Readiness Reporting System-Strategic (DRRS). Si tratta di un database riservato del Pentagono utilizzato per monitorare lo stato operativo delle forze militari statunitensi, ora ampliato per includere controlli digitali per la preparazione alle rivolte civili.

Sulla base delle assegnazioni statali, la forza totale potrebbe superare i 23.000 soldati a livello nazionale. Il promemoria stabilisce tempi di risposta rapidi. Un quarto di ogni squadra dovrebbe essere dispiegato entro otto ore, metà entro 12 ore e l’intera unità entro 24 ore.

Il promemoria è stato firmato l’8 ottobre dal maggiore generale Ronald Burkett, direttore delle operazioni dell’NGB.

Forza contro il “dissenso”

Task & Purpose descrive come le QRF saranno unità “completamente nuove” all’interno della Guardia, citando un membro della Guardia che ha familiarità con il piano.

Tradizionalmente, le truppe della Guardia Nazionale vengono mobilitate per assistere le forze dell’ordine o rispondere a calamità naturali. Al contrario, le QRF saranno pronte per “attività civili”, ha affermato il membro della Guardia Nazionale:

Questo è diverso perché stiamo essenzialmente creando un’unità per lo spazio che risponda alle attività civili… Siamo pronti a intervenire quando ci viene richiesto. Non ci viene chiesto di mettere in piedi un’intera unità pronta a sedare il dissenso in qualsiasi momento.

Citando il promemoria, il giornale descrive inoltre come verrà gestita la “dissidenza”:

Gli Stati sono tenuti a utilizzare il “Corso interservizi per istruttori di armi individuali non letali”. Forniranno inoltre una formazione di “Livello I” e “Livello II” in materia di disordini civili, che comprende corsi sulle tecniche di de-escalation della forza, controllo della folla, comunicazioni radio portatili, uso corretto di scudi protettivi, manganelli e taser, spray al peperoncino e sicurezza pubblica, secondo quanto riportato nelle note.

Il Guardsman ha affermato che le nuove attrezzature e le nuove istruzioni “portano [l’addestramento normale] a un livello superiore”, precisando che includerebbe

Ciò che occorre per i posti di blocco improvvisati e per le operazioni relative ai detenuti[,] nonché l’addestramento che riceveranno, è molto più approfondito rispetto a quello che facciamo generalmente quando addestriamo il personale per assistere le autorità civili.

I corsi di formazione si svolgeranno in cicli di cinque giorni, nei mesi di ottobre, novembre e dicembre.

Supervisione e ambiguità

Il memorandum non definisce le condizioni che determinerebbero il dispiegamento, lasciando incerta la linea di demarcazione tra il controllo statale e quello federale. Storicamente, le truppe della Guardia Nazionale operano sotto l’autorità del Titolo 32. Tale quadro normativo consente ai governatori di dispiegare le proprie forze in caso di emergenza, mentre Washington si fa carico dei costi. Quando le truppe vengono “federalizzate” ai sensi del Titolo 10, passano sotto il pieno controllo federale e diventano, a fini legali, parte dell’esercito degli Stati Uniti. La distinzione è importante perché alle forze del Titolo 10 è generalmente vietato svolgere funzioni di polizia interna ai sensi del Posse Comitatus Act. Il memorandum non specifica quale autorità governerà le nuove unità. Ha anche lasciato aperta la questione se i futuri dispiegamenti risponderanno ai governatori o al Pentagono.

Gli obblighi di rendicontazione offrono una supervisione limitata. I comandanti devono aggiornare mensilmente i dati relativi alla prontezza operativa, ma il sistema tiene traccia principalmente dei numeri, non degli standard relativi all’uso della forza o della giustificazione delle missioni.

Anche la definizione di “mobilitazione rapida” rimane vaga. La maggior parte degli Stati dispone già di forze di reazione rapida o forze di risposta rapida (RRF). Si tratta di piccoli contingenti composti da circa 50-125 soldati addestrati a intervenire entro quattro-otto ore in caso di emergenze quali calamità naturali o incidenti di sicurezza localizzati. Il nuovo piano sembra semplicemente ampliare tale modello, dotandolo di una struttura permanente e di una nuova attenzione ai disordini civili.

Tali ambiguità potrebbero mettere alla prova sia i limiti costituzionali che quelli politici. I governatori potrebbero opporsi agli ordini che ritengono eccessivi da parte del governo federale. Le forze di polizia locali potrebbero mettere in discussione il modo in cui la Guardia Nazionale si integrerà nelle operazioni di controllo della folla già regolate dalla legge statale.

Contesto politico

L’iniziativa fa seguito a una serie di interventi interni di alto profilo sotto l’amministrazione Trump. Negli ultimi mesi, le truppe della Guardia Nazionale sono apparse a Los Angeles, Washington, Chicago, Memphis e Portland, spesso nel mezzo di controversie tra funzionari federali e locali su chi dovesse controllare la risposta a eventi che andavano dalle proteste legittime alle rivolte.

I critici sostengono che il nuovo programma QRF crei un meccanismo permanente per un rapido dispiegamento interno che si presta ad abusi. Janessa Goldbeck, ex capitano del Corpo dei Marines, ha dichiarato al The Guardian che

L’ordine rappresentava “un tentativo da parte del presidente di normalizzare una forza di polizia nazionale militarizzata”.

La Casa Bianca ha respinto tale interpretazione. Abigail Jackson, portavoce, ha dichiarato:

Il presidente ha legittimamente dispiegato la Guardia Nazionale in diverse città, sia in risposta a violente rivolte che i leader locali si sono rifiutati di sedare, sia su invito delle forze dell’ordine locali per fornire assistenza, ove opportuno.

Il modello è difficile da ignorare. I disordini, spontanei o orchestrati che siano, sono seguiti da un aumento della sicurezza federale.

Il momento è particolarmente critico in vista del ciclo elettorale del 2026. L’espansione della preparazione militare per le “operazioni di disturbo civile” rischia di accentuare la normalizzazione del coinvolgimento militare nella vita politica, in particolare perché i malintenzionati potrebbero cercare di incanalare la legittima frustrazione dell’opinione pubblica in manifestazioni distruttive e illegali. Tuttavia, l’interazione tra i campi del “caos” e dell'”ordine” funziona meno come un conflitto che come una coreografia, un meccanismo ricorrente attraverso il quale entrambe le parti promuovono il consolidamento del potere statale.

“Invasione dall’interno”: il piano di Trump di usare l’esercito nelle città degli Stati Uniti

 di Veronika Kyrylenko 1 ottobre 2025    

“Invasion From Within”: Trump’s Plan to Use the Military in U.S. Cities
AP Images

Audio dell’articolo sponsorizzato da The John Birch Society

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Martedì, il presidente Trump si è rivolto ai capi di Stato Maggiore congiunti, al suo segretario alla guerra e agli alti comandanti (la trascrizione è disponibile qui) presso la base dei Marine Corps di Quantico, in Virginia. La sessione è stata convocata per esaminare la prontezza militare, le priorità di bilancio e le iniziative imminenti. L’ordine del giorno comprendeva nuovi programmi di armamento, l’ampliamento della struttura delle forze armate e il cambiamento di dottrina dell’amministrazione sotto il nome ripristinato di “Dipartimento della Guerra“. Si è trattato sia di un briefing politico che di una direttiva, che ha delineato le missioni che Trump si aspetta che le forze armate intraprendano nel prossimo anno.

Tuttavia, l’elemento più sorprendente del discorso non sono state le cifre del bilancio o gli annunci relativi alle attrezzature, ma il linguaggio utilizzato da Trump per descrivere la situazione interna della nazione. Egli ha avvertito che l’America è sotto attacco, non dall’estero ma dall’interno:

Siamo sotto invasione dall’interno, non diversamente da un nemico straniero, ma in molti modi è ancora più difficile…

L’esercito, ha sottolineato, dovrebbe difendere non solo i confini della nazione, ma anche le sue strade, trattando i disordini interni come un teatro di guerra.

Washington D.C. come caso di studio

Trump ha indicato Washington, D.C., come prova della validità della sua visione di un intervento militare nelle città americane. L’11 agosto ha firmato l’Ordine Esecutivo 14333 che pone il Dipartimento di Polizia Metropolitana (MPD) sotto il controllo federale. L’ordine ha anche mobilitato la Guardia Nazionale di Washington sotto il comando federale e ha chiamato unità della Guardia da altri stati per “rafforzare la missione“. Trump ha giustificato la presa di potere citando una “emergenza criminale”, anche se sia i dati indipendenti che quelli ufficiali (vedi qui e qui) mostravano che i crimini violenti nella capitale erano già ai minimi storici degli ultimi 30 anni o quasi.

Davanti ai generali, ha descritto l’operazione come un successo travolgente:

Washington D.C. era la città più insicura e pericolosa degli Stati Uniti d’America… E ora… dopo 12 giorni di grande, grande intensità, abbiamo arrestato 1.700 criminali recidivi… Ci sono passato in macchina due giorni fa, era bellissima… Washington D.C. ora è una città sicura.

Ma questa affermazione contiene una contraddizione. Se Washington è ora “la nostra città più sicura”, perché mantenere la polizia federale e la Guardia Nazionale militarizzata nelle strade? Trump presenta la repressione come un successo compiuto e una necessità continua. Secondo lui, 1.700 criminali sono stati eliminati, ma l’emergenza rimane, per ora prorogata fino a dicembre. La capitale diventa non solo la prova del “ripristino dell’ordine”, ma anche una giustificazione permanente per esportare il modello altrove.

Le “zone di guerra” dei democratici

Partendo dall’esempio di Washington, Trump è passato a un quadro urbano più ampio. Ha criticato aspramente il governo democratico:

I democratici governano la maggior parte delle città che versano in cattive condizioni… Ma sembra che quelle governate dai democratici di sinistra radicale, come hanno fatto a San Francisco, Chicago, New York, Los Angeles, siano luoghi molto insicuri e noi le rimetteremo in sesto una per una.

Ha reso esplicita la sua visione militarizzata:

E questo sarà un aspetto importante per alcune delle persone presenti in questa sala. Anche questa è una guerra. È una guerra dall’interno.

Da quel momento in poi, il discorso è degenerato in ripetizioni e improvvisazioni. Trump ha mescolato avvertimenti sulla criminalità urbana con un discorso sull’immigrazione:

Ne sono arrivati milioni, a fiumi. 25 milioni in tutto… Molti di loro non dovrebbero nemmeno trovarsi nel nostro Paese. Prendono le persone peggiori… Le mettono su un camion e le fanno arrivare.

Poi arrivò la proposta sorprendente:

Ho detto al [Segretario alla Difesa] Pete [Hegseth] che dovremmo usare alcune di queste città pericolose come campi di addestramento per la nostra Guardia Nazionale militare, ma militare, perché molto presto entreremo a Chicago.

Chicago

Chicago era l’esempio principale di Trump. Ha ridicolizzato la leadership dello Stato con parole crude:

È una grande città, con un governatore incompetente, uno stupido governatore… La settimana scorsa ci sono stati 11 omicidi e 44 persone ferite da arma da fuoco… Ogni fine settimana ne perdono cinque, sei. Se ne perdono cinque, considerano che sia stata una settimana fantastica. Non dovrebbero perderne nessuna.

Il linguaggio era stato studiato per dipingere l’immagine di una città in totale collasso, un campo di battaglia che invocava l’intervento delle truppe federali. Ma i fatti raccontano una storia più complessa. Nella prima metà del 2025, le sparatorie e gli omicidi a Chicago erano diminuiti di oltre il 30% rispetto all’anno precedente. I funzionari della città hanno celebrato quell’estate come la più sicura dal 1965.

Ciò non significa che Chicago sia immune da tragedie. La città continua a vivere weekend violenti: durante il Labor Day, 58 persone sono state colpite da arma da fuoco, otto delle quali mortalmente. A luglio, una sparatoria di massa durante una festa per il lancio di un album ha causato quattro morti e 14 feriti. La violenza nei quartieri, concentrata in poche zone, rimane persistente e devastante.

Ma questo non significa che la città sia “fuori controllo”. Eppure Trump propone di inviare l’esercito in una città dove, a quanto pare, la criminalità violenta è gestibile, solo perché ritiene che il governatore sia “stupido”. Trattare una delle più grandi città americane come una “zona di guerra” serve soprattutto a dimostrare chi, secondo lui, è “il capo”.

Portland

Trump ha poi preso di mira Portland:

Portland, Oregon, dove sembra una zona di guerra… A meno che non stiano trasmettendo registrazioni false, sembrava la Seconda Guerra Mondiale. Il tuo posto sta andando a fuoco… Questo posto è un incubo.

Trump lo ha collegato direttamente all’opposizione all’applicazione delle leggi sull’immigrazione:

Se la prendono con i nostri agenti dell’ICE, che sono grandi patrioti.

Le proteste si sono concentrate fuori dalla struttura dell’ICE in Macadam Avenue, a partire dai primi di giugno. I manifestanti hanno organizzato sit-in e marce, accusando l’agenzia di pratiche di detenzione abusive e chiedendo la chiusura della struttura. Il 12 giugno, la polizia ha arrestato 10 manifestanti. Allo stesso tempo, è stato riferito che agenti federali hanno sparato palline al pepe e altri proiettili dal tetto dell’edificio contro i manifestanti che bloccavano il vialetto. La città ha registrato diversi casi di utilizzo di proiettili chimici nei quartieri vicini, sollevando preoccupazioni in materia di salute pubblica, sicurezza e costituzionalità.

Dal punto di vista legale, la linea è chiara: interrompere o ostacolare il lavoro delle forze dell’ordine federali è un reato federale. Alcuni manifestanti a Portland sono stati arrestati proprio per questo motivo. Tuttavia, gran parte delle attività sono rimaste legittime forme di dissenso ai sensi del Primo Emendamento.

Trump ha cancellato questa distinzione. Un movimento di protesta – caotico, controverso e talvolta al limite dell’illegalità – è diventato, secondo lui, un campo di battaglia degno di un’occupazione militare.

“Loro sputano, noi colpiamo”

Trump ha trasformato il controllo della folla in una dottrina di combattimento. Ha descritto i manifestanti che sputavano in faccia ai soldati e ha annunciato una nuova regola: “Loro sputano, noi colpiamo”.

Ha poi descritto pietre e mattoni che distruggevano veicoli federali e ha dichiarato:

Esci da quella macchina e fai quello che ti pare.

Ovviamente, sputare addosso a un ufficiale è un gesto spregevole e a volte criminale, ma non è un permesso per “colpire”. Allo stesso modo, ordini vaghi come “fai quello che cavolo ti pare” in situazioni percepite come pericolose per la vita invitano all’eccesso, alla responsabilità civile e all’abuso politico. Il pericolo non è solo quello che i civili potrebbero fare per strada, ma anche quello che i soldati potrebbero arrivare a credere di poter fare in risposta.

Matematica elastica

Va brevemente sottolineato con quanta disinvoltura Trump manipoli i numeri per giustificare l’intervento militare nella vita interna, specialmente in materia di immigrazione. Durante la campagna elettorale, il suo team ha avvertito gli anziani della presenza di “10 milioni di clandestini” che avrebbero avuto diritto alla previdenza sociale. Quel numero proveniva dai controlli alle frontiere, una misura che include i passaggi ripetuti e le espulsioni.

Persino alleati come il rappresentante Chip Roy (R-Texas) hanno utilizzato cifre inferiori. Il suo rapporto del 2024 citava 8,5 milioni di attraversamenti, con 5,6 milioni di persone rilasciate e due milioni di “fuggitivi”.

Tornato in carica, Trump ora sostiene che siano “25 milioni in totale”. La cifra cresce ogni volta che viene ripetuta.

Non c’è dubbio che l’immigrazione clandestina comporti dei costi, dai bilanci locali alla droga e al traffico illegale. Ma la distorsione di Trump non riguarda la precisione. È studiata per trasformare un problema legittimo in un pretesto per trattare le città statunitensi come campi di battaglia militari.

Una nuova unità domestica

Trump ha ricordato al suo pubblico che il meccanismo è già in moto:

Il mese scorso ho firmato un ordine esecutivo per fornire addestramento a una forza di reazione rapida in grado di aiutare a sedare i disordini civili.

L’ordine impone al segretario alla guerra di creare un nuovo corpo di polizia all’interno della Guardia Nazionale di Washington, “dedicato a garantire la sicurezza pubblica e l’ordine nella capitale della nazione”, “in altre città” e persino “a livello nazionale”. I membri possono essere delegati dal procuratore generale, dal segretario degli interni o dal segretario della sicurezza interna per far rispettare la legge federale: una combinazione di ruoli che cancella il confine tra soldati e polizia.

Trump ha citato i presidenti del passato che hanno utilizzato le truppe per mantenere l’ordine interno. Richiamandosi al giuramento contro “tutti i nemici, stranieri e interni”, ha chiarito che ora anche il “interno” fa parte della missione militare.

Campi di allenamento

I commentatori spesso liquidano la retorica di Trump come semplice spacconata. Ma quando il comandante in capo dice ai generali che le città americane dovrebbero fungere da “campi di addestramento”, non si può ignorare la cosa.

Nella pratica militare, i campi di addestramento sono spazi controllati con regole di sicurezza e supervisione legale. Trump li ha ridefiniti come città reali, trattando le comunità come campi di battaglia piuttosto che luoghi in cui vivono milioni di persone.

Questo cambiamento non è simbolico. Pronunciato dalla massima autorità militare della nazione, sembra più un ordine che una metafora. Il divario tra retorica e politica è pericolosamente sottile quando chi parla può impartire ordini. Quello che Trump ha definito “prontezza” è, in effetti, un invito a militarizzare la vita civile.

Legge e Costituzione

Il fondamento giuridico dell’approccio di Trump è instabile. Il Posse Comitatus Act vieta alle truppe federali di svolgere attività di polizia civile. L’Insurrection Act consente delle eccezioni, ma solo in casi di emergenza specifici, come insurrezioni o il collasso dell’autorità statale. Utilizzare le città come “campi di addestramento” significherebbe estendere la portata della legge oltre ogni limite riconoscibile.

La Guardia Nazionale è il perno. Sotto l’autorità dello Stato, i membri della Guardia possono far rispettare la legge. Una volta federalizzati, non possono più farlo. Una “forza di reazione rapida” controllata a livello federale per sorvegliare le proteste offusca questo confine e invita all’abuso.

È difficile sopravvalutare la gravità delle mosse di Trump. Esse rischiano di trasformare l’esercito da scudo contro gli attacchi stranieri a strumento di controllo interno, erodendo proprio quei limiti che dovrebbero preservare una repubblica libera e creando un precedente che i futuri presidenti potrebbero sfruttare.

Abbiamo messo in sicurezza il confine, ma “non abbiamo ancora finito”

Rodney Scott, commissario dell’agenzia doganale e di protezione delle frontieresi è seduto con Il conservatore americanoper discutere dei recenti successi e dei piani a lungo termine per proteggere gli americani.

Rodney Scott Testifies In His Senate Nomination Hearing To Be Customs And Border Protection Commissioner

(Foto di Chip Somodevilla/Getty Images News)

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Joseph Addington

26 ottobre 202512:05

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Poche agenzie governative sono state coinvolte così profondamente nelle priorità dell’amministrazione Trump come la U.S. Customs and Border Protection (CBP), che si occupa non solo della sicurezza delle frontiere, ma anche delle tariffe doganali e delle normative commerciali. Il commissario della CBP Rodney Scott ha incontrato The American Conservative per discutere di come l’agenzia sta affrontando queste priorità e di ciò che gli americani dovrebbero sapere sulle frontiere del nostro Paese.

Una delle cose che abbiamo visto dall’amministrazione Trump è stato un aumento piuttosto drastico dell’importo dei dazi doganali applicati. L’Ufficio doganale e di protezione delle frontiere degli Stati Uniti (CBP) ha un ruolo piuttosto importante nella gestione e nell’applicazione di tali dazi. In che modo ciò ha influito sulle operazioni qui al CBP?

Penso che l’aspetto più importante che le persone devono comprendere è che la sicurezza economica degli Stati Uniti è fondamentale per la sicurezza nazionale tanto quanto gli aspetti più tradizionali a cui si pensa, come la sicurezza delle frontiere o l’esercito. Il compito dell’Ufficio doganale e di protezione delle frontiere degli Stati Uniti è semplicemente quello di sapere chi e cosa entra nel Paese. Ci occupiamo già delle attività doganali relative alla riscossione e all’imposizione dei dazi. 

All’interno del CBP abbiamo due uffici dedicati a questo compito. L’Ufficio Commercio si occupa degli aspetti normativi. L’Ufficio Relazioni Commerciali collabora con gli intermediari, ovvero con il settore, per garantire che la comunicazione sia fluida e che i processi funzionino senza intoppi. Entrambi questi uffici collaborano con l’Ufficio Operazioni sul Campo, dove si svolge il lavoro visibile: gli addetti con le uniformi blu che ispezionano le merci in arrivo e verificano che corrispondano a quanto dichiarato.

C’erano molte persone che gridavano che il cielo stava cadendo, che tutto sarebbe crollato, che non avremmo ricevuto la posta, che l’economia sarebbe crollata. Niente di tutto ciò è successo, perché dietro le quinte ci sono molti professionisti che si assicurano che queste cose vadano avanti e funzionino senza intoppi. E la Customs and Border Protection è uno degli ingranaggi più importanti di quella macchina. Collaboriamo con il Dipartimento del Commercio e con la Casa Bianca per garantire che tutto funzioni correttamente. E penso che stiamo facendo un ottimo lavoro.

In effetti, stavo proprio guardando i numeri poco fa, e c’è un aumento delle entrate pari a 174 miliardi di dollari per gli Stati Uniti grazie ai dazi. Ma penso che anche questo non colga il punto. Non era quello l’intento. L’intento è ricostruire l’America e assicurarci di poter sostenere l’America, l’America in cui siamo cresciuti, e riportare l’industria e la produzione in America. Durante la pandemia di Covid e la crisi dei chip abbiamo capito che avevamo esportato troppo della nostra capacità produttiva al di fuori degli Stati Uniti. Dobbiamo riportarla indietro. Dobbiamo ristabilire la nostra capacità intrinseca di produrre beni, in modo che se dovessimo entrare in guerra o subire un attacco da parte di un avversario, non dovremmo dipendere da terzi per ottenere gli strumenti di cui abbiamo bisogno.

Ci sono state particolari preoccupazioni in materia di sicurezza nazionale per il CBP per quanto riguarda le dogane? Abbiamo visto, ad esempio, la Cina spedire merci illecite sotto mentite spoglie o effettuare operazioni di transito per eludere i dazi doganali.

Una delle missioni principali della CBP è proprio quella di sapere chi e cosa entra negli Stati Uniti. E io sostengo che, al di fuori di un contesto accademico, politico o mediatico, non è possibile separare le minacce. Per la CBP, che si tratti di uno Stato che cerca di introdurre clandestinamente merci o persone negli Stati Uniti, o di un’azienda che cerca di eludere i dazi doganali effettuando trasbordi o etichettando in modo falso merci diverse, dobbiamo occuparci di tutto questo.

Uno dei motivi principali per cui abbiamo eliminato l’esenzione de minimis è stata l’identificazione di minacce in arrivo negli Stati Uniti che non potevamo controllare efficacemente senza modificare l’intera infrastruttura e il processo. L’e-commerce ha creato un enorme volume di importazioni al di sotto della soglia de minimis, che non avevamo realmente la possibilità di ispezionare. Eravamo in ritardo su questo fronte, il che aumentava drasticamente il rischio per la sicurezza nazionale, e abbiamo affrontato il problema eliminando l’esenzione de minimis. Ora disponiamo di molte più informazioni che ci consentono di prendere decisioni informate su quali pacchi aprire in base alle minacce che abbiamo individuato, che in molti casi sono minacce alla sicurezza nazionale.

Tra un’amministrazione e l’altra abbiamo assistito a cambiamenti piuttosto drastici al confine sud-occidentale: durante l’amministrazione Biden abbiamo registrato un numero record di incontri al confine, mentre ora stiamo registrando un numero record di incontri. Quali sono stati i cambiamenti più importanti tra le due amministrazioni e in che modo hanno influito sulle operazioni della CBP?

Le questioni politiche sono importanti. L’amministrazione Trump crede nello Stato di diritto e nelle conseguenze che derivano dalla violazione della legge, indipendentemente dal contesto: immigrazione, dogane o commercio, come abbiamo appena discusso. Crediamo nelle leggi approvate dal Congresso. Crediamo nella loro applicazione.

L’amministrazione Biden era concentrata al 100% sull’obiettivo di far entrare nel Paese il maggior numero possibile di persone, senza curarsi delle conseguenze. Non abbiamo parlato di sicurezza nazionale. Non ci era permesso farlo. L’amministrazione Trump mette l’America al primo posto, garantendo prima di tutto la sicurezza dell’America. 

E tutto ciò significa semplicemente che si dà ai funzionari delle forze dell’ordine il potere di fare il loro lavoro. Da un giorno all’altro, non appena sono state introdotte delle conseguenze per l’ingresso illegale negli Stati Uniti e non ci siamo più limitati a rilasciare le persone, quel flusso si è ridotto. 

Quasi dall’oggi al domani siamo riusciti a sottrarre 400 funzionari della CBP dalle attività amministrative relative all’immigrazione e a reinserirli nel loro ruolo originario, ovvero quello di controllare le persone e le merci che entrano negli Stati Uniti, in modo da poter identificare tutte le altre minacce. Questi effetti a cascata derivanti dalla semplice applicazione della legge e dalla garanzia che vi siano conseguenze in caso di violazione della stessa scoraggiano una quantità enorme di attività illegali. 

Ora abbiamo più tempo per concentrarci su ciò che entra legalmente, identificare il fentanil, identificare i trasbordi, identificare tutte le minacce che incombono sul Paese e rispondere in modo molto più appropriato. E non abbiamo ancora finito. 

Negli ultimi nove mesi abbiamo apportato miglioramenti significativi, ma la sicurezza delle frontiere migliorerà ulteriormente con la costruzione del muro di confine intelligente, l’introduzione di apparecchiature di ispezione non invasive e l’aggiornamento di alcuni dei nostri sistemi di individuazione all’interno del CBP, per garantire che quando un agente o un funzionario individua una minaccia, questa possa essere rapidamente neutralizzata.

Uno dei grandi cambiamenti che abbiamo visto per il CBP nell’ambito di questa amministrazione è stato un notevole aumento dei finanziamenti e del sostegno attraverso il One Big Beautiful Bill. Quali sono i cambiamenti più importanti che il CBP intende attuare in risposta a ciò?

Personale e infrastrutture a lungo termine. 

C’è stato un aumento significativo sia per la polizia di frontiera che per le operazioni sul campo e il personale, perché alla fine dei conti la “tecnologia” si limita a indirizzare un essere umano verso qualcosa. La tecnologia non trova il fentanil, la tecnologia non interroga un individuo per scoprire se ha intenzioni terroristiche o se è venuto negli Stati Uniti come turista. Ci vuole un essere umano per farlo. Quindi abbiamo dovuto aumentare il personale. Ma gran parte delle infrastrutture e dei fondi sono destinati anche al sistema di muri di confine intelligenti, a nuovi aerei e ad alcune tecnologie aggiuntive nei porti di ingresso.

Lasciatemi spiegare perché anche questo è così importante. Credo che spesso si trascuri il fatto che il muro è un vero e proprio investimento progettato dagli agenti di frontiera in prima linea per uno scopo specifico. Abbiamo dimostrato la validità di questo concetto a San Diego negli anni ’90 e da allora è stato notevolmente migliorato. Nel tratto di 12 miglia in cui l’abbiamo testato e dimostrato, ci ha permesso di migliorare notevolmente, notevolmente la sicurezza delle frontiere, passando da una situazione in cui credevamo di non avere alcun controllo e non sapevamo nemmeno quante persone attraversassero il confine, a una situazione in cui abbiamo raggiunto un’efficacia del 96-98%. Abbiamo visto tutto e abbiamo intercettato il 98% dei casi (oggi direi che intercettiamo circa il 99% dei casi di attraversamento del confine). 

Ma, cosa ancora più importante, siamo riusciti a ritirare 150 agenti da quella zona e a riassegnarli ad altre aree dove non disponevamo delle infrastrutture necessarie per condurre interrogatori, per sequestrare le imbarcazioni che approdavano sulla costa o per svolgere altre attività che la tecnologia non era in grado di svolgere. Ciò ha comportato un ritorno sull’investimento di 28 milioni di dollari all’anno, anno dopo anno, per tutto il ciclo di vita di quella sezione del muro di confine.

E quello che stiamo costruendo ora è in realtà più tecnologico e migliore di quello che abbiamo costruito finora. Man mano che lo espandiamo, i contribuenti americani ottengono un ritorno diretto e immediato sul loro investimento, poiché la risorsa più costosa che abbiamo, ovvero gli esseri umani, viene impiegata per concentrarsi su cose che solo gli esseri umani possono fare. Uno o due agenti possono coprire una porzione di confine significativamente più ampia rispetto a prima. Possiamo anche destinare una parte maggiore dei nostri fondi ai porti di ingresso, dove disponiamo di tecnologie di ispezione non invasive, che consentono agli agenti di svolgere solo le attività che solo loro possono svolgere. Stiamo utilizzando la tecnologia per filtrare il disordine, per così dire, e accelerare il flusso del commercio e dei viaggi legali, in modo che la nostra economia continui a riprendersi.

So che in passato il CBP ha avuto alcuni problemi di reclutamento e fidelizzazione. Come vede cambiare questi parametri? Immagino che l’effettivo sostegno dell’amministrazione Trump all’applicazione delle leggi alle frontiere abbia fatto miracoli per il morale qui all’agenzia.

È incredibile l’effetto che hanno i messaggi. Quando vieni costantemente criticato, insultato e umiliato in pubblico, il reclutamento cala. Ma in questo momento abbiamo più reclute in arrivo che posti disponibili nell’accademia. Tutti i posti della nostra accademia sono occupati. Stiamo ampliando la nostra accademia. Stiamo andando alla grande, e gran parte del merito va all’amministrazione che ha detto alle forze dell’ordine: “Vi copriamo le spalle. Se fate il vostro lavoro, se fate rispettare le leggi che il Congresso vi ha chiesto di far rispettare, noi vi copriamo le spalle”.

Questo semplice messaggio ha avuto grande risonanza in tutto il Paese, perché ora la nostra sfida più grande è convincere le persone a entrare nella CBP invece che nell’ICE, nell’FBI o nella DEA, perché le persone vogliono una missione. La missione della CBP è fantastica. È incredibile. Quindi al momento non abbiamo alcun problema di reclutamento.

Tornando alla situazione al confine, gli attraversamenti sono diminuiti drasticamente e la sicurezza è aumentata notevolmente. Ci sono tendenze significative di cui il pubblico dovrebbe essere a conoscenza? Esistono rischi particolari o tendenze interessanti nelle statistiche, come il paese di origine delle persone fermate al confine, che vale la pena sottolineare?

Me ne vengono in mente diversi, ma vorrei partire dall’inizio, perché credo che la gente non capisca quanto sia importante questo aspetto. I cartelli hanno bisogno dell’immigrazione clandestina per ridurre i costi e i rischi legati al contrabbando di merci di alto valore negli Stati Uniti. Quando parlo di merci di alto valore, la gente pensa immediatamente alla droga, e non ha torto. Il fentanil, la droga, sono cose che perderanno quando le sequestreremo. Li bruciamo e li distruggiamo, e scompaiono. Ma con l’immigrazione clandestina, la persona viene espulsa e il cartello può creare un mercato per cercare di riaverla. Considerano gli esseri umani una sorta di risorsa rinnovabile.

Quello che abbiamo visto nell’amministrazione Biden è che molte persone hanno attraversato il confine e sono rimaste lì ad aspettare di essere arrestate, perché l’amministrazione Biden ha creato questo processo in cui venivano catturate e poi rilasciate. Ciò ha ridotto la necessità dei cartelli di spendere soldi in marketing. L’amministrazione Biden ha fatto marketing per conto dei cartelli. 

Perché i cartelli hanno bisogno degli immigrati clandestini? Non è per i soldi che pagano. Decidono in modo molto strategico quante persone attraversano il confine alla volta e dove, in modo da esaurire le risorse delle forze dell’ordine nella zona, così che chiunque sia disposto a pagare di più per non essere identificato e fotografato, per non essere catturato, o qualsiasi merce di alto valore – ancora una volta, narcotici, ma anche animali selvatici in via di estinzione (abbiamo sequestrato cuccioli di tigre e scimmie, tutti tipi di specie in via di estinzione contrabbandate), qualsiasi cosa per cui la gente sia disposta a pagare molto denaro per contrabbandare, il cartello la trattiene fino a quando non fa passare tutti i clandestini. A quel punto noi siamo occupati e loro possono portare le cose di maggior valore che non vogliono rischiare di essere catturate. Riducendo drasticamente il flusso di immigrazione clandestina, abbiamo tolto loro questa possibilità. Ora devono uscire e spendere soldi per fare marketing e cercare di convincere le persone ad attraversare illegalmente il confine per creare quella distrazione.

Questo messaggio è stato diffuso a livello globale. Quindi ora siamo tornati a quelle che definirei le norme tradizionali alla frontiera, dove la maggior parte delle persone che arrestiamo proviene dal Messico. I paesi esotici, quelli con un rischio molto elevato di terrorismo in tutto il mondo, sono tutti scomparsi. Non compaiono quasi più nei miei rapporti. La situazione è cambiata radicalmente: durante l’amministrazione Biden, ogni giorno c’erano persone provenienti da circa 150 paesi diversi che attraversavano il confine sud-occidentale. In questo momento provengono solo da tre o quattro paesi e i nostri agenti sono lì per catturarli.

Come hanno reagito i cartelli a queste nuove tendenze nella sicurezza delle frontiere? Le frontiere sicure devono essere molto più difficili da attraversare per loro, ma sono sicuro che hanno dei modi per aggirarle. Quali sono i modi più evidenti con cui ha visto reagire la criminalità organizzata e cosa ha fatto la CBP per contrastare queste operazioni?

Non è la prima volta che ci capita. Stiamo vedendo ciò che avevamo previsto. 

Abbiamo fatto alcune previsioni informate basandoci sulla nostra esperienza precedente. Nel corso della storia, ci sono stati periodi in cui abbiamo effettivamente migliorato la sicurezza dei confini e abbiamo assistito a dei cambiamenti. Trump 45 ne è un buon esempio. Abbiamo ridotto l’immigrazione clandestina come mai prima d’ora. Abbiamo iniziato a costruire il muro di confine. Abbiamo visto cambiare le cose. 

Prima di tutto, vi sfido a ripensare agli ultimi quattro anni dell’amministrazione Biden e a trovare un solo caso in cui avete visto o sentito parlare della scoperta di un tunnel sofisticato lungo il confine. Il cartello non ha dovuto spendere tutti quei soldi né fare tutti quegli sforzi. Ha semplicemente attraversato il confine a piedi. Crediamo quindi che torneranno indietro e proveranno altre tecniche collaudate in passato, come i tunnel sofisticati. Noi siamo pronti. Abbiamo task force molto preparate e ben informate in luoghi specifici. Abbiamo a disposizione tecnologie che non avevamo in passato, ma affronteremo questa minaccia. Non mi addentrerò troppo nei dettagli, ma ci stiamo lavorando attivamente.

Sappiamo che si spingeranno nell’ambiente marittimo e inizieranno a risalire la costa della California e del Golfo. In questo momento, abbiamo collaborato con la Guardia Costiera degli Stati Uniti e il Dipartimento della Guerra per dispiegare navi e risorse marittime in un modo che non abbiamo mai fatto prima. Quindi quello che state vedendo al confine terrestre è una cosa importante, ma non ci siamo fermati qui. Stiamo già mettendo a frutto tutte le lezioni apprese in passato e stiamo apportando le opportune modifiche.

Abbiamo assistito a un aumento dell’attività dei droni, non solo per sorvegliare le nostre attività, ma anche per trasportare droga. Stiamo anche osservando ciò che accade in Messico, che non viene riportato molto pubblicamente. I cartelli messicani hanno armato i droni e li stanno letteralmente usando gli uni contro gli altri, contro la polizia messicana e contro l’esercito messicano. Il loro uso della violenza per commettere crimini è aumentato a dismisura, soprattutto in Messico, ma anche a sud di alcune delle nostre stazioni, in particolare in Texas, a Laredo e nella valle del Rio Grande, dove gli agenti sentono effettivamente gli spari. Gli scontri a fuoco sono continui. Abbiamo avuto proiettili vaganti calibro .50 che sono arrivati a nord, negli Stati Uniti. 

Quindi ora stiamo tenendo riunioni di pianificazione chiedendoci: come affrontiamo la questione? Perché sappiamo che la violenza aumenterà. Non se ne andranno semplicemente a casa. Vogliono continuare a fare soldi. Stiamo intaccando i loro profitti e loro si sentiranno frustrati. Ma noi siamo preparati. Questo è uno dei motivi principali per cui abbiamo impiegato molte risorse del Dipartimento della Guerra per aiutarci, non solo per quanto riguarda lo schieramento e le operazioni di alto profilo, ma anche per la pianificazione, per determinare quali strumenti e quali tecniche dobbiamo mettere in atto al confine per garantire la sicurezza dell’America in futuro.

A proposito del Messico, che tipo di collaborazione ha la CBP con questo Paese? Il governo messicano è collaborativo? Che tipo di collaborazione con il governo messicano vorresti vedere in futuro?

Per stare sul sicuro, potresti sostituire il Messico con qualsiasi altro Paese e io vorrei sempre che la cooperazione fosse migliore, che la condivisione delle informazioni fosse migliore e che le operazioni integrate fossero migliori. Con il Messico, ora sono dieci volte migliori rispetto agli ultimi quattro anni. Il Messico sta effettivamente intensificando i propri sforzi e ci sta aiutando. Sta effettuando pattugliamenti congiunti con noi, in cui le forze dell’ordine statunitensi operano sul lato americano del confine e quelle messicane sul lato sud, lavorando in tandem. Condividiamo informazioni e collaboriamo molto meglio che in passato.

Non dirò che è perfetto, non dirò che vorrei di più; riserverò queste conversazioni per i colloqui individuali con il Dipartimento di Stato e con il Messico. Ma penso che anche questo sia un aspetto importante. Queste conversazioni sono in corso. Finché siamo nella stessa stanza a discutere e a lavorare per migliorare le cose, penso che stiamo andando nella direzione giusta, ed è così.

A proposito di cooperazione, un altro sviluppo che abbiamo visto negli sforzi dell’amministrazione Trump in materia di frontiere è la dichiarazione di aree di difesa nazionale lungo il confine, che consente l’uso delle risorse del Dipartimento della Guerra nella protezione delle frontiere. Pensa che sia stata una misura efficace? È qualcosa che vorrebbe vedere più spesso? O pensa che ci sia un approccio diverso che possa utilizzare in modo più efficace le risorse del Dipartimento della Guerra per la sicurezza delle frontiere?

Penso che sia molto, molto efficace. Tutti gli altri paesi considerano una forza invasiva proveniente dall’esterno come un rischio per la sicurezza nazionale, ma per qualche motivo, in questo paese abbiamo deciso che si trattava esclusivamente di una questione di applicazione della legge. Le aree di difesa nazionale ci offrono un’area mista. Sono tutte collegate a una base militare, ma consentono alle forze armate di fare sostanzialmente ciò che farebbero in qualsiasi base militare degli Stati Uniti, ovvero contribuire a proteggere il perimetro. Per noi è stato un enorme moltiplicatore di forza.

Ma vorrei anche sottolineare che durante la mia carriera come agente di pattuglia di frontiera, prima di diventare commissario, poco più di 29 anni, non c’è mai stato un momento in cui non abbiamo collaborato con l’esercito al confine in modi diversi. Le diverse amministrazioni hanno consentito diversi livelli di cooperazione e dispiegamenti. Direi che ora la situazione è migliore che mai. In parte ciò è dovuto al fatto che, senza entrare troppo nei dettagli, sei giorni alla settimana ho una telefonata in cui parlo con i miei omologhi del Dipartimento della Guerra e di molte altre organizzazioni. Sono telefonate in cui ci chiediamo: come vanno le cose? Cosa funziona? Cosa non funziona e come possiamo migliorare? 

Questo tipo di chiamate integrate sono state promosse dalla Casa Bianca e, sebbene abbiamo sempre parlato in precedenza, non lo abbiamo mai fatto in questa misura.

Vorrei anche porre una domanda più attuale. Quest’estate abbiamo assistito all’arresto di due ricercatori cinesi che trasportavano un fungo che avrebbe potuto causare danni significativi all’industria agricola americana. Esiste un rischio particolare di ulteriori atti di agroterrorismo cinese o altre minacce simili? Qual è l’approccio della CBP per contrastarli?

Sono davvero contento che tu abbia sollevato questo argomento, perché è una delle altre questioni di cui parliamo che non riceve molta attenzione. 

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Abbiamo una capacità di ispezione agricola completa. All’interno di questa organizzazione, abbiamo specialisti agricoli che si occupano specificamente di questo tipo di cose. Abbiamo un altro componente chiamato Laboratorio dei Servizi Scientifici. Pensatelo come una sorta di CSI per questo tipo di cose. Lavoriamo direttamente con il Dipartimento dell’Agricoltura e cerchiamo specie invasive, determinati semi, persino i pallet su cui arrivano altre merci vengono ispezionati alla ricerca di insetti, tarli o persino ragni che non appartengono agli Stati Uniti.

È una cosa che succede ogni giorno. Mentre cerchiamo il fentanil, mentre cerchiamo i terroristi cinesi che entrano negli Stati Uniti, o gli iraniani, o qualunque altra minaccia ci sia quel giorno, è un’operazione continua. Grazie per averlo sottolineato, perché molte persone, me compreso, a volte dimenticano di metterlo in evidenza. Ma è un aspetto fondamentale, che riguarda la sicurezza economica degli Stati Uniti. Riuscite a immaginare la scomparsa dell’industria del grano? È una parte importante del nostro lavoro che spesso passa inosservata.

Questa intervista è stata modificata per motivi di concisione e chiarezza.

Informazioni sull’autore

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Joseph Addington

Joseph Addington è redattore associato presso The American Conservative. Si è laureato alla Brigham Young University. Potete seguirlo su Twitter all’indirizzo @JosephAddington.

Perché la Confisca degli Asset Russi Congelati nell’UE è un Passo Inopportuno per l’Italia_di Eugenio Fratellini

Perché la Confisca degli Asset Russi Congelati nell’UE è un Passo Inopportuno per l’Italia

Dall’inizio del conflitto in Ucraina, i paesi dell’Unione Europea (UE) e i membri del G7 hanno congelato quasi la metà delle riserve valutarie russe. Secondo stime ufficiali, il volume degli asset sovrani e privati russi immobilizzati nell’UE ammonta a 224-238 miliardi di dollari, con la quasi totalità concentrata nel deposito centrale dei titoli Euroclear, con sede in Belgio, che detiene 185-193 miliardi di euro (circa 200-210 miliardi di dollari). Il resto è distribuito tra piccoli depositi in Francia, Lussemburgo e varie banche nazionali. Questa concentrazione rende Euroclear il “cuore finanziario” degli asset congelati: oltre l’85% dei fondi UE è sotto il suo controllo, e i proventi dalla loro gestione finiscono in gran parte nelle casse del depositario stesso. Tra gennaio e settembre 2025, Euroclear ha registrato profitti per 3,9 miliardi di euro, pur segnalando una perdita diretta di 82 milioni di euro e una contrazione operativa di 25 milioni di euro.

Queste cifre alimentano accesi dibattiti a Bruxelles, con implicazioni dirette per l’Italia. Da un lato, Belgio e alcuni Stati usano già i proventi per finanziare un “credito di riparazione” all’Ucraina: tra gennaio e luglio 2025, l’UE ha trasferito a Kiev 10,1 miliardi di euro derivanti da Euroclear. Dall’altro, Italia, Germania e Francia temono che una confisca diretta trasformi il congelamento in un precedente giuridico pericoloso, provochi ritorsioni da Mosca e mina la fiducia nell’Europa come hub finanziario affidabile. L’Italia, con la sua economia vulnerabile all’instabilità energetica e bancaria, è particolarmente esposta: il governo Meloni ha ribadito che qualsiasi misura deve essere “legale e proporzionata”, insistendo su garanzie collettive prima di passare dalla “congelamento” all'”utilizzo” dei fondi. Senza un voto unanime nel Consiglio UE, la decisione finale slitta a dicembre 2025, limitandosi ora a schemi parziali di impiego dei proventi come prestito per l’Ucraina.

Il contesto internazionale rende dubbia qualsiasi confisca diretta. L’immunità sovrana, sancita dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati internazionali e dagli statuti degli istituti finanziari globali, vieta l’esproprio di asset statali senza sentenza giudiziaria. Anche un mero impiego dei proventi come “riparazioni” richiederebbe un rimborso formale alla Russia in caso di accordi futuri. Qualsiasi elusione di questa norma rischia di evolvere in un contenzioso decennale: Mosca ha già definito tali mosse “furto illegale” e minaccia ricorsi alla Corte Internazionale di Giustizia, arbitrati all’Aia e corti nazionali. Le stime dei costi legali oscillano tra centinaia di miliardi di euro: in caso di esproprio totale, l’UE potrebbe affrontare class action collettive, con ogni Stato membro – inclusa l’Italia – obbligato a coprire una quota proporzionale, aggravando il nostro deficit pubblico già al 140% del PIL.

Le ripercussioni economiche di una confisca supererebbero qualsiasi calcolo politico, colpendo l’Italia in modo sproporzionato. Un trasferimento diretto degli asset al governo ucraino infliggerebbe all’UE un colpo finanziario immediato di 230-240 miliardi di dollari (circa 225 miliardi di euro). Per l’Italia, che detiene una quota minore ma strategica (stimata in 5-10 miliardi di euro tra banche e depositi), il danno si amplificherebbe attraverso catene di ritorsioni: aziende come Eni e UniCredit, con esposizioni residue in Russia, rischierebbero perdite immediate da blocchi di dividendi e asset, stimabili in 1-2 miliardi di euro solo per il settore energetico. Belgio sopporterebbe il peso maggiore (quasi 200 miliardi di euro), ma l’Italia vedrebbe un effetto domino su PMI esportatrici e sul sistema bancario, già stressato dalle sanzioni del 2025 che hanno ridotto le esportazioni verso Mosca del 40%.

Un’analisi settoriale evidenzia la vulnerabilità italiana. Il settore bancario, guidato da UniCredit e Intesa Sanpaolo, subirebbe perdite dirette di 500 milioni-1 miliardo di euro da calo dei proventi su asset congelati e costi legali. I giganti energetici (Eni, Snam) affronterebbero rincari su gas e petrolio, con danni annuali di 0,5-1 miliardo di euro, aggravati dalla dipendenza dal gas russo pre-2022 (ancora **15% delle importazioni UE da fonti alternative più care). Chimica, metallurgia e trasporti – pilastri dell’industria italiana – vedrebbero costi energetici extra di 0,3-0,7 miliardi di euro, mentre logistica e manifattura perderebbero 0,1-0,3 miliardi da rotte deviate. In totale, senza ritorsioni russe, il danno settoriale per l’Italia sfiorerebbe i 2-3 miliardi di euro annui; con confisca piena, balzerebbe a 10-15 miliardi, inclusi contenziosi, erosione reputazionale e forzati disimpegni dal mercato russo, dove Eni ha ancora joint venture residue.

Mosca ha già dimostrato prontezza alle contromisure: dal conflitto, ha espropriato oltre 50 miliardi di dollari di asset stranieri, e una nuova mossa UE accelererebbe confische, blocchi di dividendi su conti rublo e contro-sanzioni su import UE in energia, meccanica e pharma. Per l’Italia, ciò significherebbe ulteriori barriere alle esportazioni (già colpite dal 19° pacchetto UE di ottobre 2025) e cause contro Euroclear e banche nazionali, con compensi potenziali fino a 20-30 miliardi di euro. Analisi di KSE Institute, Carnegie Endowment e GMFUS prevedono che tali ritorsioni potrebbero raddoppiare il danno totale, trasformando l’Europa in un “rischio sistemico” per investitori globali.

Gli esperti delineano quattro scenari principali:
Scenario A – “Prestito sotto pegno”. I proventi finanziano un fondo per l’Ucraina, asset congelati: danno UE limitato a 10-12 miliardi di dollari di opportunità perse, rischio legale medio per l’Italia.

Scenario B – Confisca totale. Asset diretti a Kiev: impatto immediato di 230-240 miliardi di dollari, alto rischio legale e cause per l’Italia su Eni/UniCredit.

Scenario C – Riscatto parziale. Meccanismo di vendite e crediti per 30-40 miliardi di dollari, rischi moderati, con possibile rimborso alla Russia.

Scenario D – Escalation russa. Post-confisca, Mosca accelera espropri: perdite extra di 50-100 miliardi di dollari, “rischio legale altissimo” per l’Italia.Tra questi, lo schema “prestito sotto pegno” appare il più razionale: preserva la legalità UE, minimizza perdite italiane e mantiene l’eurozona attraente per capitali.

Il mondo business italiano deve preparare piani di contingenza, limitare esposizioni russe e attivare strumenti finanziari anti-ritorsione.

In sintesi, una confisca totale degli asset russi congelati rappresenta per l’Italia un rischio economico, legale e sistemico che potrebbe costare decine di miliardi di euro, erodere la fiducia nella nostra infrastruttura finanziaria e intensificare tensioni con Mosca. Un approccio soft, basato su proventi e garanzie collettive, sostiene l’Ucraina preservando la stabilità italiana: una via che, pur complessa, evita un “crisi economica” più duratura del conflitto attuale.

Riferimenti Bibliografici

  1. Open.online. (2025, 24 ottobre). Le ritorsioni di Putin, i capitali in fuga dall’Europa. https://www.open.online/2025/10/24/confisca-asset-russi-ue-belgio-bce-rischi-capitali-eutopia/
  2. Askanews. (2025, 25 ottobre). Tra 27 revalgono dubbi su utilizzo asset russi per prestito a Ucraina. https://askanews.it/2025/10/25/tra-27-revalgono-dubbi-su-utilizzo-asset-russi-per-prestito-a-ucraina/
  3. La Mia Finanza. (2025, 25 ottobre). Congelamento e possibili utilizzi degli asset russi. https://www.lamiafinanza.it/2025/10/congelamento-e-possibili-utilizzi-degli-asset-russi/
  4. IARI Site. (2025, 26 ottobre). Il Prestito che può Far Saltare l’Europa. https://iari.site/2025/10/26/il-prestito-che-puo-far-saltare-leuropa-dentro-la-battaglia-sugli-asset-russi-congelati/
  5. Repubblica. (2025, 22 ottobre). Gli asset russi congelati e come usarli per l’Ucraina. https://www.repubblica.it/economia/rubriche/outlook/2025/10/22/news/gli_asset_russi_congelati_e_come_usarli_per_l_ucraina_senza_compiere_il_furto_del_secolo-424928345/
  6. Reuters. (2025, 22 ottobre). Italy says any new EU measures on Russian assets must be lawful. https://www.reuters.com/world/italy-says-any-new-eu-measures-russian-assets-must-be-lawful-2025-10-22/
  7. Bloomberg. (2025, 23 ottobre). EU Leaders Defer Russian Frozen Asset Plan Decision to December. https://www.bloomberg.com/news/articles/2025-10-23/eu-leaders-defer-russian-frozen-asset-plan-decision-to-december
  8. Linkiesta. (2025, 16 ottobre). Le aziende italiane che aggirano le restrizioni europee sulla Russia. https://www.linkiesta.it/2025/10/italia-sanzioni-russia-europa/
  9. Non Solo Ambiente. (2025, 24 ottobre). La nuova ondata di sanzioni UE contro la Russia e le implicazioni per l’Italia. https://www.nonsoloambiente.it/2025/10/24/la-nuova-ondata-di-sanzioni-ue-contro-la-russia-e-le-implicazioni-per-litalia-tra-rigore-e-vulnerabilita-economica/
  10. Formiche. (2025, 22 ottobre). La prudenza italiana sugli asset russi. https://formiche.net/2025/10/russia-asset-ucraina-meloni-italia-beni-congelati/

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Cinque punti chiave dall’accerchiamento dell’Ucraina

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Putin sta nuovamente tendendo una mano a Zelensky e Trump con il suo ultimo gesto di buona volontà, perché non vuole davvero che il conflitto si protragga né che si espandano le rivendicazioni territoriali della Russia, come probabilmente accadrebbe in tal caso.

Putin ha annunciato che più di diecimila soldati ucraini sono stati circondati a Kupyansk e Krasnoarmeisk (Pokrovsk), con il suo Ministero della Difesa che ha presto aggiunto Dimitrov (Mirnograd) vicino a quest’ultima alla lista. Il leader russo ha anche proposto di interrompere i combattimenti in modo che i giornalisti stranieri, compresi quelli ucraini, possano recarsi al fronte per riferire sulla situazione. Putin ha suggerito una resa di massa proprio come nella situazione di stallo di Azovstal all’inizio del 2022, ma Zelensky sembra disinteressato, almeno per ora. Ecco cosa significa tutto questo:

———-

1. La Russia continua a guadagnare terreno nonostante i miliardi di aiuti occidentali all’Ucraina

The Economist ha recentemente pubblicato un articolo in cui sollecita l’Europa a finanziare l’Ucraina nei prossimi quattro anni, con un costo per i contribuenti che secondo loro ammonterebbe ad almeno 390 miliardi di dollari. L’articolo riporta inoltre che quest’anno sono stati spesi 100-110 miliardi di dollari, “la somma più alta mai raggiunta”, per un totale di 360 miliardi di dollari dal 2022 (probabilmente una stima al ribasso). È abbastanza chiaro che gli aiuti occidentali non sono riusciti a respingere la Russia, ma solo a rallentarne l’avanzata. L’accerchiamento dell’Ucraina dimostra quindi che nessuna somma di denaro potrà infliggere una sconfitta strategica alla Russia.

2. Il treno della fortuna potrebbe finire se l’Ucraina riconoscesse questo accerchiamento

Sulla base di quanto sopra, Zelensky e il comandante in capo Alexander Syrsky hanno negato questi accerchiamenti, molto probabilmente perché temono che il suddetto treno della fortuna possa finire o almeno rallentare se ordinano alle loro forze di arrendersi. Dopo tutto, la perdita di migliaia di soldati in tre accerchiamenti nel corso di tre anni e mezzo di conflitto non è cosa da poco, e potrebbe indurre alcuni funzionari occidentali a riconsiderare il finanziamento all’Ucraina, dato che la vittoria che era stata loro promessa non è più in vista.

3. La conquista di questi tre insediamenti da parte della Russia sarebbe un evento piuttosto importante.

Che le forze ucraine vengano eliminate o si arrendano, la conquista di questi tre insediamenti da parte della Russia sarebbe un evento piuttosto importante, specialmente quello di Krasnoarmeisk/Pokrovsk, poiché è la porta d’accesso alla regione di Dnipropetrovsk dove le forze russe sono già entrate all’inizio dell’estate. Qualsiasi ulteriore avanzata lungo le pianure non presidiate oltre il suddetto insediamento potrebbe costringere l’Ucraina a soddisfare le richieste di pace della Russia o spingere gli Stati Uniti a “intensificare per allentare la tensione”.

4. Putin preferisce una rapida soluzione politica piuttosto che una lunga guerra di logoramento

Contrariamente a quanto alcuni hanno valutato, Putin non vuole che il conflitto si protragga né vuole espandere le rivendicazioni territoriali della Russia, motivo per cui ha invitato le truppe ucraine circondate ad arrendersi. Egli spera che questo gesto di buona volontà possa portare al ritiro dell’Ucraina dal resto del Donbass e quindi a una rapida soluzione politica che soddisfi gli altri obiettivi della Russia. Zelensky vuole continuare a combattere per i motivi egoistici citati in precedenza, quindi alla fine tutto dipenderà da ciò che vuole Trump.

5. Trump deve decidere presto se vuole fare sua questa guerra

Trump considera il conflitto ucraino come “la guerra di Biden” e insiste sul fatto che non sarebbe scoppiato se lui avesse vinto le elezioni del 2020, eppure presto dovrà decidere se vuole davvero la pace, come sostiene, o se è disposto a fare sua questa guerra, perpetuandola a tempo indeterminato. Putin gli sta offrendo una via d’uscita invitando le truppe ucraine circondate ad arrendersi come mezzo per rilanciare i negoziati di pace congelati, quindi spetta a Trump decidere se fare pressione su Zelensky affinché accetti o se accettare la sua sfida con tutto ciò che ne consegue.

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Il recente accerchiamento delle forze ucraine in questi tre insediamenti è quindi molto più importante di quanto possa sembrare a prima vista, alla luce delle informazioni appena condivise. Putin sta nuovamente tendendo una mano a Zelensky e Trump con il suo ultimo gesto di buona volontà, perché non vuole davvero che il conflitto si protragga né che si espandano le rivendicazioni territoriali della Russia, come probabilmente accadrebbe in tal caso. Questo momento sarà quindi visto come una pietra miliare col senno di poi, indipendentemente da ciò che Trump deciderà di fare.

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