Italia e il mondo

Rendi di nuovo grandi gli alligatori, di Emmanuel Todd

Rendi di nuovo grandi gli alligatori

Emmanuel Todd7 luglio
 
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Disegno di Alexis Lecaye

L’istituzione da parte di Trump di un “Alligator Alcatraz” nel mezzo della palude della Florida ha suscitato indignazione. Gli agenti dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE) ci hanno scioccato. Sembra che il punto fosse proprio questo. Potremmo anche essere grati a Trump per averci finalmente detto la verità sull’America. Qui ci permette di rileggere per immagini la frase più famosa della Dichiarazione d’Indipendenza americana, che ha fatto sognare il mondo.

Riteniamo che queste verità siano evidenti, che tutti gli uomini sono creati uguali, che sono dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili, che tra questi ci sono la Vita, la Libertà e il perseguimento della Felicità“.

Trump è un uomo onesto. Ci dice che il sogno americano è diventato un incubo.

Il martello di Thor, di Emmanuel Todd

Il martello di Thor

Emmanuel Todd1 luglio
 
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Una sequenza a tre stadi può descrivere la scomparsa della matrice religiosa dalle nostre società: religione attiva (credenza e pratica regolari), religione zombie (incredulità con sopravvivenza di valori morali e sociali), religione zero (non rimane nulla). Ho applicato questa sequenza dapprima al cristianesimo, nelle sue diverse varianti – cattolica, protestante, ortodossa. In seguito l’ho estesa ai due monoteismi genitori, l’ebraismo e l’islam, e più specificamente alla sua componente sciita. Per la Scandinavia, ad esempio, possiamo descrivere una sequenza di “protestantesimo attivo, protestantesimo zombie, protestantesimo zero”. Per l’Iran, avremmo la stessa sequenza, ma incompleta: “sciismo attivo, sciismo zombie”, senza escludere la possibilità di uno “sciismo zero” in futuro. Per Israele, possiamo già descrivere una sequenza completa: “ebraismo attivo, ebraismo zombie, ebraismo zero”.

Il caso di Israele, come quello degli Stati Uniti, ci obbliga a spingere più in là l’analisi storica perché in questi due Paesi sono apparse nuove religioni: l’evangelismo pazzoide negli Stati Uniti, l’ebraismo ultraortodosso in Israele. Si tratta certamente di religioni, ma di innovazioni, post-cristiane in un caso, post-ebraiche nell’altro. Mai prima d’ora nella storia del protestantesimo avevamo visto un dio così freddo, che dispensava gratificazioni monetarie in assenza di moralità; mai prima d’ora nella storia ebraica avevamo visto la crescita esponenziale di un gruppo di fannulloni che vivevano di sussidi statali e del lavoro delle loro mogli per girare in tondo nella Torah. Ciò che accomuna queste due nuove religioni è il rifiuto dell’etica del lavoro del protestantesimo o dell’ebraismo. Queste due innovazioni, tuttavia, non sono le più importanti se cerchiamo di cogliere il fenomeno religioso dopo il cristianesimo o dopo l’ebraismo.

L’ho detto in La sconfitta dell’Occidente : il vuoto che succede al cristianesimo produce una deificazione del vuoto, quel nichilismo che vuole la distruzione delle cose, degli uomini e della realtà. Il nichilismo è la matrice delle nuove religioni. Ma la vera nuova religione di massa è il culto della guerra. Paradossalmente, o logicamente, questa innovazione ci riporta a prima del monoteismo. La storia dell’umanità ha elencato infinite religioni di guerra, o almeno di dei e dee della guerra. Ares e Atena tra i greci, Indra tra gli indo-ariani, Ningirsu a Sumer, Sekhmet in Egitto, senza dimenticare quello che conosciamo meglio, grazie ad Asterix, Toutatis, il dio celtico della guerra. I nostri antenati galli erano semplicemente dei tagliatori di teste .

Huitzilopochtli (Codice Telleriano-Remensis)

Sul canale Fréquence populaire, discutendo con Diane Lagrange dell’ultimo assalto americano-israeliano all’Iran, avevo citato, un po’ improvvisamente, il dio azteco della guerra Huitzilopochtli come possibile candidato per la nuova religione americano-israeliana. Grazie al Pentagono, possiamo fare di meglio. Il nome dell’operazione di bombardamento dei siti nucleari iraniani, Martello notturno, ci indica il dio ideale. Il “martello” è lo strumento e l’emblema di Thor, il dio scandinavo (e più in generale germanico) della guerra. Si tratta di un martello a manico corto che, dopo essere stato colpito, torna nella mano del suo padrone. All’inizio del terzo millennio, Thor è il dio dei neonazisti. Il suo mondo scandinavo originario è ora il luogo di un impressionante revival guerrafondaio. Propongo quindi di chiamare il culto di Thor la nuova religione della guerra che sta succedendo, nei Paesi protestanti o ebraici, al monoteismo e alla sua morale.

Avremo bisogno di immagini per fissare questo concetto. Perché non sostituire le stelle a cinque o sei punte delle bandiere americana e israeliana con il martello di Thor? Cinquantuno mini martelli di Thor, tutti bianchi, nell’angolo sinistro della bandiera dell’Unione; un unico martello di Thor, tutto blu, al centro della bandiera israeliana. Thor è il vero dio dell’America e di Israele.

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Una pausa civile: L’immagine divina di William Blake e La tempesta di Giorgione_di Emmanuel Todd

Una pausa civile: L’immagine divina di William Blake e La tempesta di Giorgione

Emmanuel Todd24 giugno
 
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Mentre gli Stati Uniti e il loro satellite israeliano marciano verso la barbarie – il genocidio a Gaza, presto in Cisgiordania, l’assassinio del diritto internazionale in Iran – una delle poesie più toccanti di William Blake, “L’immagine divina”, ci ricorda che ogni uomo, se sceglie, può essere qualcosa di diverso da un assassinoLeggere questa poesia ci permette di sfuggire alla dinamica di violenza in cui le forze del male (le cose devono essere nominate) cercano di trascinarci.

Nessuna traduzione può rendere giustizia a questo testo. Se il vostro inglese non è abbastanza buono, potete fare lo sforzo di capirlo prima, e poi rileggerlo tutto d’un fiato per sentirne la forza morale.

Non l’ho illustrato con un’incisione di Blake, ma con “La tempesta” di Giorgione, un altro vertice dell’arte occidentale. Nessuno sa cosa ci stia dicendo questo quadro. Ognuno è libero di penetrare il suo mistero come vuole. Per me, evoca alcune dimensioni in più dell’esperienza umana: bellezza, maternità, fragilità, minaccia, protezione.

L'immagine divina  Alla Misericordia, alla Pietà, alla Pace e all'Amore, tutti pregano nelle loro angosce: e a queste virtù di delizia restituiscono la loro gratitudine.

Perché la Misericordia, la Pietà, la Pace e l'Amore sono Dio, nostro padre caro; e la Misericordia, la Pietà, la Pace e l'Amore sono l'uomo, suo figlio e suo figlio.

Perché la Misericordia ha un cuore umano, la Pietà un volto umano, l'Amore una forma umana divina e la Pace un abito umano.

Allora ogni uomo di ogni tempo, che prega nella sua angoscia, prega la forma umana divina, Amore, Misericordia, Pietà, Pace.

E tutti devono amare la forma umana, pagani, turchi o ebrei.
Dove dimorano la misericordia, l'amore e la pietà, lì dimora anche Dio.

Il nichilismo potrebbe spiegare il comportamento di Israele a Gaza, di Emmanuel Todd

Il nichilismo potrebbe spiegare il comportamento di Israele a Gaza

Intervista per Elucid, dicembre 2024

Emmanuel Todd12 giugno
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A volte vengo criticato per non essermi espresso a sufficienza sull’abominio che si sta verificando a Gaza. Desidero quindi ripubblicare sul mio blog questo testo pubblicato nel dicembre 2024 sul sito web di Elucid . Non ho cambiato idea su nulla di essenziale. Intuisco l’inizio di una piccola ma insufficiente evoluzione tra gli ebrei di Francia.

Immagine tratta da “C’era una volta in famiglia”, Terreur Graphique e Emmanuel Todd, Casterman

Il nichilismo potrebbe spiegare il comportamento di Israele a Gaza

Oggi vi proponiamo l’intervista a Emmanuel Todd, originariamente pubblicata sul sito italiano Krisis , tradotta e rielaborata dall’autore per Élucid.

Accesso gratuito

pubblicato il 12/01/2024 da Emmanuel Todd

Il 7 ottobre c’è stato un massacro; questo è indiscutibile. Ma la risposta israeliana a Gaza è una carneficina, accettata dalle élite occidentali. Come lo spiega?

Emmanuel Todd: Nel mio libro sviluppo il concetto di nichilismo, la necessità di distruggere cose, persone e realtà, che in Occidente deriva da una situazione di vuoto religioso, metafisico e carico di valori. È un problema sociale e storico che studio principalmente negli Stati Uniti e che menziono anche per l’Ucraina. Ma da quando ho pubblicato ” La sconfitta dell’Occidente” , la rilevanza del concetto di nichilismo mi è diventata sempre più evidente nella sua generalità. Ho iniziato ad applicarlo nelle mie riflessioni su alcuni atteggiamenti delle élite francesi, incluso il comportamento del tutto insolito del presidente Emmanuel Macron. Lo applico al comportamento della parte guerrafondaia delle élite tedesche, all’immigrazione senza limiti e ovviamente lo applico agli eventi in Israele. Dico sempre “gli eventi in Israele” perché per me Gaza è parte di Israele in quanto spazio di sovranità politica. Per questo non capisco affatto i commentatori che si rifiutano di ammettere che Hamas sia un’organizzazione terroristica. Hamas pratica il terrorismo, ma è nato e continua ad appartenere al dominio dello Stato israeliano. Hamas è un fenomeno israeliano.

In che senso?

Possiamo ovviamente, anzi dobbiamo, da un punto di vista antropologico o religioso, definire Hamas come arabo o musulmano. Ma Gaza è solo una componente dello spazio sovrano israeliano, una prigione a cielo aperto. E da questo punto di vista (quello della prigione), Hamas è israeliano. Ciò che intendo dire è che Hamas è ovviamente un gruppo terroristico, ma il suo terrorismo è solo un elemento tra gli altri della violenza israeliana complessiva, così come si sviluppa nel corso della storia.

Ma cosa provi quando vedi cosa sta succedendo a Gaza?

Per me, questo è un argomento piuttosto doloroso, di cui non mi piace parlare, perché sono per metà di origine ebraica, la metà dominante della mia famiglia. Questa famiglia non ha mai avuto, è vero, un legame particolare con lo Stato di Israele. Era una famiglia borghese, israelita come si diceva in Francia, e soprattutto di patrioti francesi. La nostra gloria familiare del XIX secolo fu Isaac Strauss, il musicista preferito di Napoleone III, l’uomo che raccolse la collezione di oggetti rituali ebraici precedentemente esposta al Museo di Cluny e ora al Musée d’Art et d’Histoire du Judaïsme du Marais. Per inquadrare più precisamente questa tipica famiglia israelita: Isaac Strauss è il mio antenato comune con Claude Lévi-Strauss. Lucie Hadamard, moglie di Alfred Dreyfus, era cugina della mia bisnonna. Questa famiglia, in modo abbastanza caratteristico, non si è mai interessata molto al sionismo. Nemmeno io mi sono mai interessato molto. Detto questo, gli antisionisti militanti mi hanno sempre preoccupato; ho sempre pensato che una frequenza troppo elevata di dichiarazioni antisioniste da parte di un individuo rivelasse probabilmente un background antisemita. Al di là di opinioni e argomentazioni, le statistiche rivelano l’ossessione che è una dimensione del razzismo.

In sostanza, non ero né sionista né antisionista, ma mi aggrappavo all’idea che fosse ragionevole mostrare un minimo di solidarietà nei confronti dello Stato ebraico. Il nazismo ci ha dimostrato che, in fondo, non si sceglie di essere ebrei o meno: la mia famiglia materna dovette rifugiarsi negli Stati Uniti durante la guerra. I cugini che non agirono con altrettanta cautela furono deportati. L’antisemitismo esiste e, come mi diceva mia nonna, esisterà sempre. Quindi, inizialmente, avevo un atteggiamento piuttosto sfumato. Ma il comportamento dello Stato di Israele è diventato moralmente troppo problematico. Non mi piace ancora parlarne, ma ora devo farlo.

Per quello ?

Perché lo Stato di Israele ha raggiunto un livello estremo nell’esercizio della violenza. E soprattutto una violenza che non sembra più avere altro obiettivo che se stessa. Per questo ho iniziato a riflettere sul comportamento dello Stato di Israele in termini di nichilismo.

Cioè?

Il nichilismo è una creazione del vuoto. Nel caso degli Stati Uniti, lo esamino principalmente a livello delle classi dirigenti, dove osservo un vuoto di valori, che si traduce in un interesse esclusivo per il denaro, il potere e la guerra. Nel caso dello Stato di Israele, sebbene non abbia lavorato sulle credenze religiose in Israele, ipotizzo che esista anche un problema di vuoto religioso, nonostante la presenza di gruppi ultraortodossi la cui reale natura socio-metafisica merita di essere esaminata. Gli evangelici americani pongono un problema diverso, ma parallelo. Per quanto riguarda gli Illuminati americani che sostengono Israele perché credono che l’espansione di Israele riporterà Cristo…

Una moltitudine di concezioni recenti, nonostante le loro pretese metafisiche, deve essere interpretata come componente di uno stato zero della religione, intendendo qui il termine religione nel suo senso monoteistico classico: cattolico, protestante o ebraico. Nelle mie analisi del presente storico, parlo ora non solo di cattolicesimo zero, di protestantesimo zero, ma anche di ebraismo zero. Presto, senza dubbio, di islam zero. Mi è quasi più facile formalizzare il deficit di veri valori religiosi in Israele perché ho tra le mani il libro del mio antenato Simon Lévy, rabbino capo di Bordeaux, “Mosè, Gesù e Maometto e le tre grandi religioni semitiche” (1887), che mi offre accesso diretto, sia a livello familiare che a stampa, a ciò che la religione ebraica rappresenta in termini di valori. D’ora in poi, l’Occidente ha raggiunto uno stato zero della religione che ci permette di spiegare il nichilismo americano o europeo. La stessa logica storica si applica a Israele. Ciò che mi suggerisce, ipoteticamente, il comportamento dello Stato di Israele è una nazione che, privata dei suoi valori socio-religiosi (zero ebraismo), fallisce nel suo progetto esistenziale e trova nell’esercizio della violenza contro le popolazioni arabe o iraniane che la circondano la sua ragione di esistere.

La guerra fine a se stessa?

Applicherei allo Stato di Israele lo stesso tipo di interpretazione che applico nel mio libro all’Ucraina. Ho spiegato che l’Ucraina era uno Stato in decadenza prima della guerra e che tutti erano sorpresi dall’energia militare degli ucraini, dalla loro capacità di difendersi. In realtà, l’Ucraina ha trovato la sua ragione d’essere nella guerra contro i russi. E in effetti, tutto nell’atteggiamento degli ucraini è determinato dalla Russia, ma in modo negativo. L’eliminazione della lingua russa, la lotta contro i russi, la sottomissione delle popolazioni russe del Donbass. Ma attenzione: sono un ricercatore, quindi queste sono ipotesi che sto formulando per Israele. Ho l’impressione che la nazione israeliana abbia perso il suo significato per sé stessa e che la pratica della violenza, che un tempo era un mezzo militare necessario per garantire la sicurezza dello Stato, sia diventata fine a se stessa.

Vedo possibili obiezioni alla mia ipotesi, come l’elevata fecondità della popolazione israeliana, e non solo tra gli ultra-ortodossi, sebbene il loro caso sia estremo. L’era del nichilismo è accompagnata in Occidente da tassi di fecondità molto bassi, da una difficoltà per le popolazioni a riprodurre la vita. Ma la costellazione logica “religione-zero/nichilismo/violenza/guerra/fertilità” è un campo di indagine socio-storica molto vasto che meriterebbe un approccio globale. Esistono religioni di guerra, un’attività umana purtroppo piuttosto comune dal punto di vista dello storico. Mi sento perfettamente in grado di immaginare nichilismi con bassa e alta fecondità in futuro. La bassa fecondità è anche caratteristica di tutta l’Asia orientale, e in particolare della Cina, una regione del mondo che non mi sembra, a prima vista, afflitta dal nichilismo, ma piuttosto felice di decollare economicamente.

Quindi secondo lei in Israele si è scatenata una spirale di violenza senza alcun obiettivo concreto se non quello di perpetuarsi?

Esatto. Ciò che mi sorprende è che le élite occidentali affermino sempre: “Israele ha il diritto di garantire la propria sicurezza”. Parlano come se il comportamento di Israele fosse essenzialmente razionale, con questo obiettivo di sicurezza. Ma io non la vedo affatto così. Quello che vedo è la necessità di fare qualcosa. E quel qualcosa è la guerra.

E che guerra…

Quando guardo i video pubblicati sui social media dai soldati dell’IDF a Gaza, penso che evochino il nichilismo piuttosto che una guerra con uno scopo razionale. Vedete, ho detto che non mi piace pensare a Israele. Ma se inizio a pensarci, cerco di farlo con distacco e senza pensare solo in termini morali. Per quanto riguarda la situazione attuale, potrei essere indignato; sono un essere umano come tutti gli altri. Potrei semplicemente dire che quello che gli israeliani stanno facendo a Gaza è mostruoso. È mostruoso. Ma ciò che mi interessa qui è il futuro. Quindi mi chiedo se coloro che vedono questo come un orrore si rendano conto che questo è solo l’inizio dell’orrore e che tutto peggiorerà ulteriormente. Si è messa in moto una dinamica di violenza che non vediamo perché dovrebbe arrestarsi. La necessità per lo Stato di Israele (7 milioni di abitanti, compresa la popolazione ebraica) di dichiarare guerra all’Iran (90 milioni di abitanti) è qualcosa di sconcertante. Se adottiamo l’ipotesi del nichilismo, troviamo un elemento di risposta.

Cioè?

Facciamo un’ipotesi intermedia “razionale”, seppur violenta. Per definire un obiettivo razionale, potremmo dire che uno degli obiettivi di Israele è quello di creare una conflagrazione globale per svuotare improvvisamente, brutalmente e completamente Gaza e la Cisgiordania nel caos generale.

Ma non sarebbe finita qui…

Esatto. La guerra continuerebbe, in quale direzione non lo so. Perché dietro questo comportamento, credo di percepire il fatto che lo Stato di Israele abbia perso la sua identità originaria. Sento un vuoto. Da tempo avverto negli assassini individuali di quadri e leader delle forze avversarie un bisogno di uccidere che non ha alcun reale interesse strategico. Forse, nelle profondità inconsce della psiche israeliana, essere israeliani oggi non significa più essere ebrei, significa combattere gli arabi. Sono in parte ebreo, forse, non ne sono affatto sicuro, ma non sono nemmeno sicuro che la maggioranza degli israeliani sia ancora ebraica.

In che senso non sei sicuro di essere ebreo?

L’asse centrale della mia famiglia, come ho detto, appartiene all’antica comunità ebraica francese, israelita, ma è una famiglia con matrimoni misti fin dal periodo tra le due guerre. Ho un nonno bretone e una nonna inglese. Nato nel 1951, sono stato battezzato e le chiese mi sono a dir poco più familiari delle sinagoghe. L’universalismo cattolico, nella sua versione repubblicana secolarizzata (zombie), mi definisce senza dubbio meglio dell’appartenenza al popolo eletto. Tuttavia, i miei due valori fondamentali, i figli e i libri, sono due ancore più tipicamente ebraiche che cattoliche. E per quanto riguarda il senso di emarginazione e l’ansia, nessun problema…

Se dovessi definirmi in una categoria, farei riferimento a “Storia del Ghetto di Venezia” di Riccardo Calimani, un libro in cui viene descritto il processo a un marrano. Nella concezione cristiana comune, il marrano è un ebreo convertito con la forza o che si è convertito per salvarsi, ma che, in fondo, è rimasto ebreo. In realtà, non è così. In questo processo vediamo chiaramente che il marrano è una persona che, in fondo, non sa più cosa sia. Quest’uomo non sa più se è ebreo o se è cristiano. Questo sono completamente io. Potrei dire che ci sono momenti in cui penso di essere ebreo, ma devo ammettere che mi sento molto bene quando entro in una chiesa, dove mi faccio sempre il segno della croce attraversando la navata centrale. Quando è iniziata l’operazione israeliana contro Gaza, stavo leggendo le memorie di mia nonna, la madre di mia madre.

Ebreo?

Assolutamente. Durante la guerra, si rifugiò negli Stati Uniti con i genitori e i due figli. Sebbene suo marito, un intellettuale comunista bretone, fosse stato ucciso nella sacca di Dunkerque, la vita della famiglia negli Stati Uniti, in particolare quella di mia madre, era felice. Vivevano a Hollywood, e mia nonna lavorava lì come doppiatrice. Le sue memorie parlano di un Buster Keaton ormai anziano e di un Clark Gable non proprio bello. Mia madre era un’adolescente a Hollywood. Si può vivere peggio. In effetti, la sua vita lì, di cui mi parlava con nostalgia, sembra essere stata fantastica. Fu una scelta ovvia ma difficile per loro tornare in Francia non appena il loro paese fu liberato. Trovarono la loro casa devastata, occupata da bravi francesi. La recuperarono. Tutti gli oggetti di valore erano stati rubati. Soprattutto, dovettero contare il numero dei membri della famiglia che erano stati deportati e morti nei campi. Erano una famiglia ebrea francese borghese che aveva assistito da vicino all’Olocausto e per la quale il nome Auschwitz assunse il suo vero significato. Questo è ciò che mi è capitato di leggere quando sono iniziati i bombardamenti di Gaza. E mi sono chiesto: cosa c’entra lo Stato di Israele con la storia della mia famiglia?

Sì, qual era la relazione?

Nel suo libro di memorie, “Il mondo di ieri” , lo scrittore austriaco Stefan Zweig parla della spiacevole sorpresa dei borghesi ebrei viennesi, che improvvisamente si ritrovarono assimilati agli ebrei degli shtetl dell’Europa orientale. Scoprirono che, nella mente dei nazisti, erano tutti la stessa cosa. Molto tempo dopo la guerra, nella mia famiglia, facevamo battute ironiche e autocritiche sul periodo in cui gli ebrei polacchi appena arrivati ​​venivano stupidamente definiti “quelli che ci fanno del male”. Lezione di storia imparata. Anche se a volte mi chiedo se, purtroppo, qualcosa di quella cecità ebraica borghese prebellica non sia rimasta in me, figlio di Saint-Germain-en-Laye, quando penso ai risentimenti etnici o razziali di Alain Finkielkraut o Éric Zemmour.

Scherzi a parte. Torniamo alla conclusione. In definitiva, non sta a noi decidere se siamo ebrei o no. Sono coloro che perseguitano che alla fine decidono. Questa è stata probabilmente la base del mio attaccamento a Israele in passato. Per un certo periodo ho mantenuto questo attaccamento ragionevole, ma, ripeto in tutta onestà, non è mai stato entusiasta. Non sono mai stato in Israele ed è probabile che non ci andrò mai. La mia seconda patria spirituale è l’Italia.

Penso che oggi ci stiamo avvicinando a un momento di separazione, in cui molti ebrei della diaspora perderanno il loro senso di legame con Israele. Questo fenomeno è iniziato negli Stati Uniti, forse perché la comunità ebraica americana è numerosa e autonoma, nel Paese più potente del mondo. In Francia, invece, nulla di simile è percepibile. Un atteggiamento come il mio non è nemmeno minoritario lì; è insignificante. In Francia, per quanto posso giudicare senza un’indagine seria, sia tra gli ashkenaziti, che provengono dall’Europa orientale, sia tra i sefarditi, che provengono dal Mediterraneo, la solidarietà con Israele è intatta. Dal mio punto di vista, sono un po’ arretrati moralmente.

La stessa cosa sta succedendo in Italia

Credo che il problema sia che gli ebrei, o persone come me, che non sanno cosa siano, marrani (nel senso storicamente corretto del termine), non si rendono conto che il loro dilemma sarà ancora più doloroso in futuro. Perché, come ho detto prima, la situazione in Medio Oriente peggiorerà.

Al di là delle dinamiche intrinseche della violenza, un elemento di analisi demografica ci permette di comprendere perché la radicalizzazione di estrema destra di Israele sia un processo continuo e storicamente necessario. Le persone che emigrano in Israele (non tutte ebree, tra l’altro) sono attratte dalla violenza che è ormai un elemento costitutivo del sistema nazionale. D’altra parte, le persone che emigrano, che lasciano Israele per il Nord America, l’Europa, la Russia o altrove, aspirano per sé e per i propri figli a una vita pacifica, normale e saggia. Ciò significa che la percentuale di persone violente è in aumento, tendenzialmente inevitabile, in Israele. Un fenomeno simile si è verificato con l’emigrazione di parte della classe media dalla Jugoslavia prima della guerra civile interetnica e dall’Ucraina, ovviamente, prima dell’ondata russofoba. Quindi siamo solo all’inizio.

Gli ebrei francesi e italiani si troveranno di fronte a un divario sempre più evidente tra i valori ebraici tradizionali e il comportamento dello Stato di Israele. Arriverà il momento della scelta. Soprattutto perché la popolazione francese in generale, e non solo quella di origine musulmana, giudicherà sempre più Israele per quello che è, a prescindere dal ricordo dell’Olocausto. Certamente, le élite occidentali, gli attivisti di estrema destra europei e i repubblicani evangelici americani nutrono una simpatia attiva e a volte frenetica per Israele. Se riflettiamo per tre minuti, non è illogico che, nell’era della religione zero e del culto della disuguaglianza, classi e gruppi che un tempo erano antisemiti siano oggi presi da una passione positiva per lo Stato di Israele, che è diventato di estrema destra.

Ma credo che la gente comune giudichi e giudicherà Israele sempre più ragionevolmente, e quindi severamente. Certo, l’islamofobia europea, effetto dell’immigrazione, sta attualmente creando una sorta di cortina fumogena. In Francia, ad esempio, esistono sentimenti anti-musulmani o anti-arabi che potrebbero suggerire ad alcuni, seppur eccitati, un legame tra la lotta di Israele e i “valori della Repubblica”, come si dice oggi. Credo, tuttavia, che la maggioranza dei francesi sarà in grado di distinguere tra le situazioni e giudicare ciò che sta accadendo in Medio Oriente indipendentemente dai nostri problemi sociali. Dopotutto, siamo nella terra dei diritti umani. In Francia abbiamo ben altro che islamofobia. Presto, non sarà più sufficiente a proteggere Israele (relativamente) da un giudizio meramente umano.

Anche in Italia è così…

C’è una vera e propria divisione tra i media e i politici da un lato, e la gente comune dall’altro, su molti argomenti, in particolare su Israele, in Francia, in Italia e altrove. Credo che questo sia un tema su cui lavorerò. Quando intervengo nel dibattito pubblico, è perché ho l’impressione, come ricercatore, di vedere qualcosa che altri non vedono. Non mi considero più morale degli altri. Ad esempio, nel mio libro sulla guerra in Ucraina, ho la sensazione di aver capito cose che altri non hanno visto. Ma su Israele non ho lavorato. Non scriverò certamente un libro sull’argomento; sarebbe troppo doloroso. Ma probabilmente lavorerò sulla questione per me stesso, per non morire idiota. Vorrei trovare nuove spiegazioni. Ho due ipotesi di lavoro su Israele, che ho già presentato. La prima è il nichilismo, dovuto alla perdita di significato della società israeliana e della sua storia. La seconda, che ne è una conseguenza, è l’ipotesi che la situazione peggiorerà ulteriormente.

Come pensi di analizzare la situazione israeliana?

Dovremo affrontare la questione di ciò che sta accadendo in Israele all’interno di un quadro sociologico generale. Ritornerò su quanto ho delineato all’inizio dell’intervista. Questo è il problema fondamentale. Merita di essere ripetuto. Uno dei concetti che sviluppo sistematicamente nel mio libro, per comprendere la crisi degli Stati Uniti e la passività degli europei, è il concetto di “religione zero”. Distinguo tre stadi della religione. Il primo è uno stadio attivo, in cui le persone sono credenti, vanno a messa o alle funzioni domenicali, o osservano lo Shabbat. Il secondo è uno “stadio zombie”, durante il quale le persone non sono più credenti, ma i valori religiosi sopravvivono o si reincarnano in una forma secolare. In questa fase fioriscono ideologie politiche sostitutive: l’ideale della Nazione, l’ideale rivoluzionario francese, il liberalismo progressista inglese, il socialismo, il comunismo, il nazismo… Poi arriva lo stadio zero della religione, in cui non esiste né una morale individuale di origine religiosa né la strutturazione della società attraverso la morale religiosa. Applico questo concetto all’intero mondo occidentale. E ovviamente vale anche per lo Stato di Israele.

E come pensi di procedere?

Lo Stato di Israele è nato da una questione religiosa. L’ebraismo era inizialmente semplicemente una religione attiva, vissuta dai credenti. Poi arrivò il declino delle credenze, come nel mondo cristiano, e la comparsa di un ebraismo zombie, in cui si poteva rimanere ebrei, con la sensazione di esserlo, individualmente e collettivamente, senza credere in Dio. Ho trovato all’inizio dei quaderni scritti dal mio trisavolo Paul Hesse durante la Prima Guerra Mondiale la frase introduttiva “…Io, ebreo di razza e libero pensatore per fede…”. I sionisti erano spesso laici; non si definivano credenti. Spero di non commettere un errore di fatto. Non sono un esperto in materia. Sto conducendo una ricerca dal vivo. Quindi, comincio a chiedermi se il sionismo non rientri semplicemente nella categoria della fase zombie della religione.

Ma per quanto riguarda l’attuale Stato di Israele, mi chiedo se non abbia in gran parte raggiunto lo stadio zero della religione. Questo stadio zero potrebbe spiegare il nichilismo. Rimane, come ho detto, un problema da risolvere, che riguarda la fascia degli ebrei molto religiosi, che a mio avviso rappresentano qualcosa che non è più l’ebraismo tradizionale, l’ebraismo rabbinico che conoscevamo. Non sono in grado di definirne la natura, perché non ci ho ancora lavorato, anche se ritengo che non si tratti più di ebraismo in senso classico. L’argomento è tecnicamente affascinante per l’eterogeneità iniziale della popolazione israeliana: originaria dell’Europa orientale, del mondo arabo, poi della Russia, con correnti minoritarie più antiche provenienti dall’Iran o dal Kerala, e più recenti dagli Stati Uniti o dalla Francia. La domanda “Chi è diventato cosa?” apre un’affascinante matrice di sviluppi religiosi interni in Israele.

Comunque, sapete che i padri fondatori dello Stato di Israele dissero: “Dio non esiste, ma ci ha dato uno Stato”.

Sì, sì. Chiamiamola una frase zombie. E questo confermerebbe l’ipotesi del sionismo come “fase zombie” della religione. Ma ciò che è vertiginoso è l’ipotesi della religione zero, perché significherebbe che Israele non è più uno stato ebraico. Per non parlare del fatto che la scomparsa dei veri ebrei non implica in alcun modo la scomparsa dell’antisemitismo in Occidente e altrove.

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Il ritorno della questione tedesca, di Emmanuel Todd

Il ritorno della questione tedesca

Intervista a Weltwoche, 22 maggio 2025

Emmanuel Todd10 giugno
 
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A fine maggio ho rilasciato un’intervista al signor Jürg Altwegg per la rivista svizzera Weltwoche. Il titolo della pubblicazione in tedesco è “La Russia ha vinto la guerra“. Ecco la traduzione.

Weltwoche, 22 maggio 2025

Emmanuel Todd aveva previsto la caduta dell’Unione Sovietica utilizzando le statistiche. Oggi, il demografo e storico francese vede arrivare la fine dell’Occidente. A suo avviso, l’Ucraina è persa e gli americani hanno solo cattive carte da giocare contro la Cina. Il pericolo maggiore per l’Europa verrebbe da una Germania troppo armata.

Jürg Altwegg

Una nuova bandiera per l’Europa?

Quando si è trattato di introdurre l’euro in Europa, il demografo e storico Emmanuel Todd è stato un interlocutore molto richiesto dai media tedeschi. Egli aveva criticato il Trattato di Maastricht, la crescente burocratizzazione e centralizzazione dell’UE, la tutela dei popoli e la moneta unica, richiesta ai tedeschi come prezzo della riunificazione e imposta dal Cancelliere Helmut Kohl. Todd capì che gli esportatori tedeschi sarebbero stati i principali beneficiari della nuova moneta e che i Paesi più statalisti come la Francia avevano molto da perdere. Dopo aver sostenuto il protezionismo europeo, l’amore della Germania per Todd svanì.

Dopo l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, Osama Bin Laden, l’istigatore dell’atto terroristico, parlò in un video di un intellettuale francese che aveva previsto la caduta dell’Unione Sovietica e ora stava predicendo la fine dell’impero americano. Si trattava di Emmanuel Todd, che poco prima aveva pubblicato il suo bestseller internazionale “Dopo l’Impero: Saggio sulla Decomposizione del Sistema Americano“.

Lo abbiamo intervistato per la prima volta sul conflitto ucraino all’inizio del 2023 (“Questa guerra riguarda la Germania”). L’anno successivo, Todd ha pubblicato un libro che è stato tradotto in molte lingue, compreso il tedesco (“La Défaite de l’Occident“). Il più importante quotidiano giapponese ha dedicato la prima pagina all’autore francese più venduto, mentre l’europeista Repubblica ne ha fatto il titolo di un supplemento del fine settimana. Per la prima tedesca del libro, Emmanuel Todd si è recato a Francoforte. Ci sono state critiche? Nessuna risposta: “In Germania sono passato sotto silenzio. Non un solo giornalista delle principali testate mi ha parlato. Una coltre di piombo sembra schiacciare il Paese. Al ritorno da Francoforte mi sono ammalato, la Germania mi fa di nuovo paura”. Dopo la dichiarazione del governo di Friedrich Merz del 14 maggio 2025, anche la paura storica della Germania sta riemergendo.

Weltwoche: Mr Todd, lei è tornato da Mosca pochi giorni fa. Che cosa ha visto in Russia?

Emmanuel Todd: Diffido delle valutazioni affrettate, non sono un giornalista. Mio padre lo era. Io sono diventato uno storico, un antropologo, un ricercatore perché l’ho visto viaggiare per il mondo, scrivere grandi relazioni e fare interviste. Ma tutto quello che vedeva, non lo capiva davvero.

Weltwoche: Non è vero. Suo padre Olivier Todd è stato un grande e coraggioso giornalista. Quando giornali come Le Monde e Libération ignoravano il genocidio dei Khmer Rossi negli anni del delirio maoista, lui scriveva la verità. E per questo ha pagato un prezzo altissimo.

Todd: Aveva una comprensione piuttosto scarsa del contesto geopolitico. Sono anche diffidente nei confronti della mia stessa percezione. Il mio metodo si basa su fatti profondi. Ho usato le statistiche sulla mortalità infantile per prevedere il crollo dell’Unione Sovietica, senza esserci mai stato. Oggi, in Francia, devo dire che la mortalità infantile è in aumento. In Russia, invece, sta diminuendo ed è ora più bassa che in America. Sulla base di questa osservazione, sono convinto che la Russia abbia imboccato la strada della normalizzazione dopo Putin. Nonostante il suo sistema politico, che è una democrazia autoritaria. È stata la mia prima visita in Russia dal 1993.

Weltwoche: Qual è stato il motivo che l’ha spinta a recarsi a Mosca?

Todd: Un invito, quattro giorni. Ho frequentato i circoli accademici e ho tenuto una conferenza. Non ho incontrato avversari. Quello che ho vissuto è stato uno shock di normalità: tutto era ancora più normale di quanto pensassi. La gente ha gli occhi incollati al cellulare, paga con la carta di credito, usa i motorini elettrici come a Parigi. La grande differenza è che tutte le scale mobili funzionano. Si può parlare con le persone normalmente.

Weltwoche: Che cosa ha detto ai suoi ascoltatori?

Todd: Ho presentato il mio nuovo libro e ho spiegato che mi ero subito reso conto che con Putin la Russia era uscita dal caos degli anni Novanta. Ho detto che gli Stati Uniti stavano precipitando in un abisso senza fondo. Ho citato come elementi della mia analisi le strutture familiari, la mortalità infantile e la scomparsa delle basi religiose. Sono stato intervistato da una rivista del Ministero degli Esteri e dalla televisione.

Weltwoche: In patria, lei verrà fatto passare per l’utile idiota di Putin.

Todd: Mi è indifferente. Ho anche detto agli ascoltatori che non sono uno di quegli intellettuali che hanno una simpatia ideologica reazionaria per la Russia di Putin. Sono un liberale di sinistra. Il mio atteggiamento positivo nei confronti della Russia è espressione della mia gratitudine per la sua vittoria nella Seconda guerra mondiale. La Russia ci ha liberato dal nazismo. I primi libri di storia che ho letto per piacere, quando avevo circa sedici anni, parlavano della guerra combattuta dall’Armata Rossa – di Stalingrado e Kursk. In televisione si parlava anche della russofobia dell’Occidente. Ora credo che sia una patologia delle nostre società, come l’antisemitismo. Non può essere giustificata da ciò che ho visto in Russia. Sono infatti giunto alla conclusione di una patologia russofobica dell’Occidente. Il nostro odio per la Russia riguarda noi, non la Russia.

Weltwoche: In precedenza, lei è stato in Ungheria.

Todd: Sempre per una conferenza. Per due ore ho potuto parlare anche con Viktor Orbán. L’Ungheria è molto reale per me, l’ho visitata quando avevo 25 anni. È stato in Ungheria che sono diventato anticomunista, perché dovevo salutare le persone alla stazione senza sapere se le avrei mai riviste. Dall’Ungheria comunista sono tornato alla libertà e alla normalità. Ora sono tornato dalla Russia ed è l’opposto: dopo la normalità russa, l’irrazionalità occidentale. Anche questo ritorno è stato uno shock. Mentre guidavo da Parigi alla Bretagna per riposare qualche giorno, ho sentito un programma su France Culture “da Mosca”. Raccontava di giovani braccati nelle stazioni della metropolitana per essere inviati al fronte in Ucraina. In televisione ho visto il balletto di Keir Starmer, Friedrich Merz ed Emmanuel Macron a Kiev e mi sono reso conto che l’Occidente era completamente fuori dal contatto con la realtà.

Weltwoche: Che ruolo ha avuto la guerra nel processo di normalizzazione della Russia?

Todd: L’Occidente ha perso la guerra, gli effetti non si fanno sentire a Mosca. Le sanzioni hanno costretto la Russia ad adottare efficaci misure protezionistiche che Putin non avrebbe potuto imporre senza la guerra. Hanno sviluppato il loro commercio con altri Paesi. Dagli anni ’90, i russi hanno sviluppato un’immensa capacità di adattamento. L’Unione Europea è arrugginita.

Weltwoche: Ho capito bene quello che ha detto? La Russia ha vinto la guerra?

Todd: Sì. Gli Stati Uniti non sono riusciti a battere la Russia con l’aiuto dell’esercito ucraino. Così hanno spostato il fronte e hanno dichiarato una guerra commerciale alla Cina. La Cina ha vinto la guerra in una settimana. Gli americani stanno perdendo il controllo del sistema finanziario internazionale e del commercio mondiale. Il mio argomento, vi ricordo, non è la Russia, ma la sconfitta dell’Occidente. I Paesi europei sono tra quelli che soffrono di più a causa della guerra, con il risultato che i partiti populisti-conservatori sono in aumento. Descrivere anacronisticamente questi partiti come partiti di “estrema destra” è, a mio avviso, un insulto all’intelligenza.

Weltwoche: Nella nostra intervista di due anni fa, lei ha spiegato la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali del 2016 con la distruzione della classe operaia americana da parte della Cina.

Todd: Ora si tratta di molto più del declino dell’industria americana. In America c’è una strana volontà di distruggere le cose, le persone e la realtà. La causa principale è il declino del protestantesimo. Ha lasciato dietro di sé un vuoto esistenziale.

Weltwoche: Che si può osservare anche in Europa.

Todd: I Paesi fondatori dell’Unione Europea – Francia, Germania, Italia – sono stati soprattutto ignorati in questa guerra condotta con le armi e talvolta per procura dai vincitori della Seconda Guerra Mondiale, gli angloamericani e i russi. L’Europa stessa è stata ristrutturata sotto la tutela americana. Certo, questi Paesi europei sotto tutela sono anche tra gli sconfitti della guerra, ma ancora non se ne rendono conto.

Weltwoche: Al contrario, in Europa c’è una sorprendente disponibilità alla guerra, almeno retoricamente. Si parla di una “coalizione dei volenterosi”. Come la interpreta? .

Todd: Lo vedo come un impulso suicida. Lo si può vedere in queste sanzioni, che stanno danneggiando l’Europa più della Russia. Il brusco abbandono dell’energia nucleare da parte della Germania era già una prova di una tendenza suicida, così come la scelta improvvisa di un’immigrazione incontrollata. Anche il desiderio di fare a meno del gas russo è suicida. Siamo di fronte a una malattia delle classi superiori. Tutto questo mi è tornato alla mente a Mosca. Ero in uno strano stato d’animo. Ero nervoso all’idea di tenere questa conferenza in un Paese “nemico”, contro il quale il mio Paese è di fatto in guerra. Ma il nostro “nemico” è sul punto di vincere quella guerra. Ho pensato all’Europa dall’esterno e ho visto improvvisamente la sua deriva verso l’autodistruzione.

Weltwoche: E la Russia? Il politico, giornalista ed esperto di Russia francese Raphaël Glucksmann ha descritto il sistema di Putin come fascista in un’intervista a Weltwoche.

Todd: Non vedo il fascismo russo. La Russia ha un’economia di mercato funzionante, rispetta la libertà degli imprenditori. Le persone possono muoversi liberamente.

Weltwoche: Anche parlare? Non ci sono dissidenti che vengono messi nei campi o avvelenati all’estero? .

Todd: La Russia è una democrazia autoritaria. C’è una violenza che proviene dallo Stato. Non ho intenzione di ignorare il trattamento riservato agli oppositori. Lo Stato russo è forte e dispone di mezzi di propaganda, intimidazione e repressione. Da un punto di vista storico, Putin ha usato soprattutto strategicamente questi mezzi contro gli oligarchi e ha annientato il loro potere. Questo è stato fatto ovviamente in modo autoritario e persino violento, ma è stato fatto anche in modo democratico: la popolazione russa sostiene Putin – sia nel mettere alle strette gli oligarchi che nella guerra. Gli oligarchi sono ormai un problema spettacolare solo per l’Occidente, in particolare per l’America. In Russia, Putin ha risolto il problema. Da un punto di vista intellettuale, posso capire cosa sta facendo Putin. È razionale. Capisco il comportamento russo, il che non significa affatto che lo condivida. E sono sempre consapevole che la mia simpatia per la Russia deriva da un’emozione, da un sentimento di gratitudine storica. Ma l’Occidente rimane per me un enigma.

Weltwoche: E non c’è nessuna soluzione a questo enigma?

Todd: Non ce l’ho ancora. Ma ogni conferenza, ogni intervista mi fa fare qualche passo avanti. Per molto tempo ho pensato che il compito di Donald Trump sarebbe stato quello di gestire la sconfitta dell’Occidente. Poi mi sono reso conto che è stato eletto addirittura grazie a questa sconfitta. Se Biden fosse riuscito a sconfiggere economicamente la Russia, la vittoria dell’impero americano avrebbe portato all’elezione di un democratico. La rivoluzione di Trump, come quella russa e tante altre, è arrivata dopo una guerra persa.

Weltwoche: Trump deve la sua elezione nel 2024 alla vittoria della Russia in Ucraina?

Todd: Sono interessato alla globalizzazione da oltre trent’anni. Ero contrario al Trattato di Maastricht. Non appena è stato introdotto l’euro, che ho respinto, mi sono schierato a favore del protezionismo europeo. In seguito, ho difeso l’euro perché avrebbe potuto consentire il protezionismo europeo. Ma tutto ciò che temevo è accaduto: regressione industriale, disuguaglianza tra le nazioni europee, ecc. La guerra in Ucraina ci costringe finalmente a guardare in faccia la realtà. Il nostro successo economico è una finzione e non possiamo più negare la realtà: il prodotto nazionale lordo della Russia è il 3% di quello dell’Occidente, eppure la Russia è in grado di produrre più armi dell’Occidente.

Weltwoche: Con Trump torna la realtà?

Todd: In America, la rivoluzione di Trump è interpretata da Peter Thiel come un’apocalisse. Come un cambiamento epocale e – in senso biblico – la rivelazione di una nuova verità. È una valutazione corretta. Ma non dobbiamo questa rivelazione al libertarismo e a Internet. La dobbiamo allo shock della realtà provocato dalla sconfitta in Ucraina. In America è iniziata l’apocalisse che ha rivelato la verità: la guerra è persa. I piani per la controffensiva del 2023 sono stati elaborati dal Pentagono. Le scorte negli arsenali americani si stanno esaurendo e il riarmo non fa progressi. L’America voleva porre fine alla guerra perché i russi avevano vinto. Gli europei resistono a questa presa di coscienza. Sono il bersaglio di questa guerra condotta dagli ucraini e dagli americani, ma non hanno ancora capito che è persa. Hanno fornito le armi e pagato le sanzioni che li stanno distruggendo, ma non erano al posto di comando quando la guerra è stata concepita e condotta. Quindi sognano di continuarla. Per l’Europa, l’apocalisse, la rivelazione con le sue conseguenze, deve ancora venire.

Weltwoche: E per l’Ucraina questa apocalisse significa la fine del mondo, la caduta della nazione?

Todd: L’Ucraina prima della guerra era uno Stato fallito, uno Stato fallito e corrotto, che ha trovato la sua ragione d’essere nella guerra. Con la fine della guerra, ha perso la sua ragion d’essere. Per il regime ucraino, la pace significherebbe la perdita delle entrate occidentali e il ritorno al suo status originario di Stato fallito, con un territorio ridotto. Per Kiev, la pace significherebbe la morte.

Weltwoche: C’è una fine del genere in vista?

Todd: I russi hanno perso la fiducia nell’Occidente. Dal loro punto di vista, non è più possibile negoziare con gli americani in buona fede. Trump è piuttosto gentile con i russi, ma rimane totalmente imprevedibile. I leader russi, che a differenza dei nostri sono, non dimentichiamolo, molto intelligenti, non possono prenderlo sul serio. A rigor di logica, dovrebbero considerare le trattative con Trump ancora più impossibili di quelle con Biden.

Weltwoche: Una fine della guerra andrebbe comunque a vantaggio di tutti.

Todd: La Russia vuole raggiungere i suoi obiettivi. Ha pagato un prezzo pesante in questa guerra e ha perso molti soldati. Putin deve garantire la sicurezza del suo Paese. Gli attacchi dei droni a Sebastopoli hanno dimostrato quanto sia vulnerabile la sua flotta. Per proteggerla, la Russia dovrebbe prendere Odessa. Quindi penso che alla fine dovrà conquistare Odessa e l’Ucraina orientale fino al Dnieper. Anche la parte di Kiev sulla riva sinistra del fiume diventerebbe russa. Il resto dell’Ucraina cadrebbe sotto l’influenza russa o verrebbe neutralizzato. I russi non possono più fidarsi delle garanzie di sicurezza previste dai trattati. Devono assicurarsi “sul terreno”.

Weltwoche: E quindi l’Ucraina non sarà neanche un membro dell’Unione Europea?

Todd: I russi sono diversi dagli americani: fanno quello che dicono. Non volevano che l’Ucraina entrasse nella NATO. È questo che ha scatenato la guerra. Oggi è quasi impossibile distinguere l’UE dalla NATO. L’adesione è diventata inimmaginabile. La Russia farà la guerra finché l’Ucraina non sarà neutralizzata.

Weltwoche: I negoziati sono in agenda.

Todd: Sono manovre di copertura. Gli americani vogliono porre fine alla guerra e distogliere l’attenzione dal fatto che l’hanno persa. Le lacrime di coccodrillo di Trump, i suoi lamenti sugli orrori della guerra e sui tanti morti da entrambe le parti sono osceni. Basti pensare alle bombe che fornisce a Israele e che permettono la carneficina a Gaza. Personalmente, in questa fase non parlo di genocidio, ma di carneficina. Come storico, sono sempre restio a usare categorie che identificano il presente con il passato. Forse più tardi. Resta il fatto che Trump, come tanti altri presidenti americani, è responsabile di Gaza – così come gli Stati Uniti sono responsabili della guerra in Ucraina. La sua doppiezza è insopportabile. Ma i russi sono persone educate, non vogliono umiliarlo e complicare ulteriormente le cose. Così sono stati al gioco. In ogni caso, la guerra si combatte in prima linea e nelle fabbriche. Ora si tratta di capire se Putin invierà i due eserciti di recente formazione, stanziati nel nord-ovest del Paese, all’offensiva finale in Ucraina. Quest’ultima ha perso la guerra, i suoi alleati la abbandoneranno – proprio come l’America ha già tradito il Vietnam e l’Afghanistan.

Weltwoche: Più la sconfitta diventa chiara, più Gran Bretagna, Francia e Germania diventano bellicose.

Todd: Viviamo in un mondo alla rovescia. È come nel Medioevo, quando i poveri e i ricchi si scambiavano i ruoli a carnevale. Il comportamento dei capi di governo europei è carnevalesco: minacciano sanzioni e lanciano ultimatum su ultimatum – senza avere gli eserciti e nemmeno le armi o i satelliti di osservazione per dare peso alle loro parole. Non sono nemmeno in grado di far valere i propri interessi in patria. Il sabotaggio di Nord Stream, ad esempio, ha dimostrato che la Germania è di nuovo un Paese occupato.

Weltwoche: Sono stati gli americani?

Todd: Il silenzio dei media tedeschi su Nord Stream è assordante. La Germania ha perso la sua indipendenza. La sua capitale, dall’inizio della guerra in Ucraina, sarà Ramstein, sede della più grande base aerea statunitense in Europa.

Weltwoche: Friedrich Merz è il nuovo cancelliere. Nella sua dichiarazione di governo, ha annunciato che la Germania costruirà l’esercito più potente d’Europa.

Todd: Qui raggiungiamo una nuova dimensione di irresponsabilità storica. A differenza della Gran Bretagna o della Francia, la Germania ha un enorme potenziale industriale che permetterebbe a Merz di raggiungere questo obiettivo. Includo nel potenziale tedesco l’Austria, la Svizzera e le ex democrazie popolari, gli ex satelliti dell’Unione Sovietica, annessi al sistema industriale tedesco, in particolare Polonia e Repubblica Ceca. Se il sistema industriale tedesco verrà messo al servizio del riarmo, la Germania diventerà una vera e propria minaccia per i russi, che attualmente producono senza difficoltà più armi dell’America.

Weltwoche: Guerra o pace, sarà il comportamento della Germania a decidere?

Todd: In ogni caso, molto più di quello della Gran Bretagna o della Francia. I primi ministri britannici sono sempre più ridicoli, e non importa. Macron è sempre stato ridicolo, e non importa. Ma il passaggio della Germania da Scholz a Merz cambia molte cose, dal punto di vista psicologico e geopolitico. Merz è un guerrafondaio ostile alla Russia. Quando era ancora solo un candidato, si è espresso a favore della consegna di missili Taurus all’Ucraina. Questi vengono utilizzati per colpire obiettivi in Russia, compreso il ponte di Crimea. I nostri contemporanei non sembrano misurare il significato storico e morale di una scelta del genere.

Weltwoche: Ora anche lei parla di moralità.

Todd: Sono favorevole a perdonare i crimini storici, ma non a dimenticarli. La Germania è responsabile della morte di 25-27 milioni di sovietici durante la Seconda guerra mondiale. E oggi vorrebbe impegnarsi militarmente contro la Russia ancora una volta. È inimmaginabile. Cosa c’è di sbagliato nei tedeschi? .

Weltwoche: Hai una risposta?

Todd: Non sono uno specialista della Germania, ma so come si è comportata storicamente. Un elemento importante che spiega l’amnesia è sicuramente l’invecchiamento della popolazione, l’età media è di 46 anni. Sto lavorando sulla nuova irresponsabilità degli anziani, anche in Francia. La Germania, pur essendo economicamente efficiente, sembra persa nella sua stessa storia. Battersi il petto per espiare la Shoah non è sufficiente. Ci sono molti altri errori nella storia tedesca oltre alla Shoah. A cominciare dalla Prima guerra mondiale. Più recentemente, da quando è arrivata a dominare l’Europa sulla scia della crisi finanziaria del 2007-2008, la Germania è tornata a essere storicamente irresponsabile. Sta prendendo decisioni assurde senza consultare i suoi partner: l’abbandono graduale del nucleare, l’immigrazione, l’assenza di qualsiasi senso di responsabilità per l’equilibrio economico dell’Europa, che tuttavia domina e dirige. Senza dimenticare, naturalmente, il desiderio della Germania di integrare l’Ucraina, o almeno la sua popolazione attiva, nel suo potenziale industriale, che ha contribuito al Maidan e alla marcia verso la guerra. Posso formulare uno scenario catastrofico?

Weltwoche: Prego.

Todd: In risposta a Trump, da cui si sente tradita, l’Europa sta disperatamente cercando di far rivivere il mito della sua fondazione: la fine delle guerre tra nazioni. L’Europa è ora così ossessionata dai suoi valori pacifisti-moraleggianti che si rifiuta persino di riflettere sulle cause dell’intervento militare della Russia, che è stato classificato come un abominio per l’eternità e inaccettabile per tutti i tempi. Così l’Europa persiste in Ucraina, per alimentare una guerra infinita condotta in nome dei suoi valori pacifisti. Ma che razza di Europa è questa, resa bellicosa dalla sua ideologia pacifista?

Il riarmo era possibile solo in Germania, la principale potenza industriale del continente. Tuttavia, dalla fine della Seconda guerra mondiale, la Germania era interessata solo all’economia. L’unificazione europea è stata possibile solo perché la Germania ha rinunciato al suo potere militare ed è diventata pacifista. Durante la crisi greca, la Germania ha effettivamente preso il potere economico in Europa. La Banca Centrale Europea è a Francoforte e Ursula von der Leyen è a capo dell’UE a Bruxelles. Ci stiamo quindi muovendo verso un’Europa centralizzata con la Germania come centro di potere. Questa Germania economicamente dominante vuole ora costruire l’esercito più potente d’Europa.

Weltwoche: La Bundeswehr è ancora lontana dal raggiungere questo obiettivo. L’esercito francese è l’unico in Europa a possedere armi nucleari. In Germania, è un tabù.

Todd: Macron è pronto a condividerlo. E se in Germania prevale la volontà di costruire una potenza militare, la Germania realizzerà il suo progetto. Attualmente, in Europa prevale la paura della Russia. Putin ha preso il posto di Hitler nei nostri cervelli indeboliti. Ma la Russia è lontana e non rappresenta un vero problema, tanto meno per la Francia o il Regno Unito. Ma i francesi e i polacchi potrebbero presto avere più paura dei tedeschi che dei russi. La storia è dimenticata, ma la geografia, immutabile, resta lì a dirci dove si trova il pericolo.

Weltwoche: Sarebbe quindi l’apocalisse in Europa. Con il ritorno delle nazioni e la paura dei tedeschi? .

Todd: La globalizzazione ha cercato di imporre la convinzione che le nazioni non esistono più e che i confini devono essere aperti. Che le persone in tutto il mondo siano uguali e intercambiabili, come i prodotti o i segni di valuta. Non ci sarebbero più specificità culturali, ma solo il mercato. Ma questo mondo da sogno si sta dissolvendo sotto i nostri occhi. Vediamo rivolte ovunque: Brexit, Trump, il Rassemblement National, l’AfD. Oggi percepiamo una certa solidarietà tra questi movimenti populisti-conservatori. Il vicepresidente americano J. D. Vance ha invocato a Monaco la loro libertà di espressione. Ma siamo in una fase di transizione. Quando il mito della globalizzazione crollerà e ogni popolo tornerà a essere se stesso, che gli piaccia o no, scopriremo che le persone sono diverse. Gli italiani sono italiani e i francesi sono francesi. L’implosione della globalizzazione porterà, tra l’altro, a un’apocalisse europea che potrebbe essere il crollo dell’Unione.

Weltwoche: Questo porterà a nuovi conflitti. Guerre, nazionalismo, fascismo? .

Todd: Non mi preoccupa la Francia. Non perché i francesi siano migliori come esseri umani, ma perché non siamo mai completamente seri. I tedeschi sono sempre seri. Quando iniziano qualcosa, la portano a termine. Se vogliamo davvero parlare di un pericolo “fascista”, allora penso a quello che potrebbe venire dalla Germania, piuttosto che dalla Francia, dagli Stati Uniti o dalla Russia. Ma non so se la minaccia fascista verrà dall’AfD o da chi la combatte.

Weltwoche: L’AfD è contro la guerra in Ucraina, ma probabilmente non solo per simpatia ideologica e reazionaria verso Putin.

Todd: Abbiamo un parallelo in Francia. Una decisione del tribunale ha vietato a Marine Le Pen, che è in testa nei sondaggi, di partecipare alle elezioni presidenziali. Rispetto all’AfD, il suo Rassemblement national è un partito di centro-sinistra! Resta il fatto che sono rimasto sconcertato dalla classificazione dell’AfD come partito di estrema destra. Non in sé, ma perché è stata proposta dai servizi segreti tedeschi. Come molti, mi preoccupa l’arrivo di giudici, rumeni o francesi, in politica, ma l’arrivo dei servizi segreti! Mio Dio… Vi rendete conto di cosa significa, in profondità? Ho qui un altro scenario disastroso. E se lo includerete nel vostro testo finale, sappiate che vorrei scusarmi in anticipo con i tedeschi. E spero che lo presenterà in modo tale da farmi apparire come uno storico ragionevole.

Weltwoche: Lo prometto.

Todd: Questa è la visione dei tedeschi che, per antifascismo, hanno messo nei campi di concentramento persone classificate come estremisti di destra.

Sono rimasto inorridito dalle cerimonie occidentali dell’8 maggio per commemorare la fine della Seconda guerra mondiale. Voler dimenticare che è stata la Russia a schiacciare la Germania nazista non è solo immorale, è estremamente pericoloso.

Weltwoche: I russi erano già stati esclusi dalle cerimonie di liberazione del campo di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa .

Todd: Tutti parlano sempre dell’Olocausto. Ma il resto della storia viene dimenticato. I tedeschi sanno benissimo di essere stati sconfitti dai russi. Se prevale l’idea che i russi non hanno vinto la guerra, i tedeschi finiranno per immaginare di non averla persa. Il riarmo e la militarizzazione della Germania, in un’Europa che domina, sono una minaccia per la Russia. Non dimentichiamo che in un simile scenario la dottrina militare russa considera possibile l’uso di armi nucleari tattiche. Si tratterebbe di una ripetizione della Seconda guerra mondiale.

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Saluti dalla Russia, di Emmanuel Todd

Saluti dalla Russia

Conferenza a Mosca, 23 aprile 2025 per l’Accademia russa delle scienze

Emmanuel Todd24 maggio
 
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Dopo Budapest, Mosca: ecco il testo della conferenza che ho tenuto all’Accademia russa delle scienze il 23 aprile 2025, intitolata “Antropologia e realismo strategico nelle relazioni internazionali” :

Questa conferenza mi ha colpito. Tengo spesso conferenze in Francia, Italia, Germania, Giappone e nel mondo anglo-americano – in altre parole, in Occidente. Parlo dall’interno del mio mondo, da una prospettiva critica, certo, ma dall’interno del mio mondo. Qui è diverso, sono a Mosca, nella capitale del Paese che ha sfidato l’Occidente e che senza dubbio riuscirà in questa sfida. Psicologicamente, è un esercizio completamente diverso.

Autoritratto anti-ideologico

Inizierò presentandomi, non per narcisismo, ma perché molto spesso le persone francesi o di altri Paesi che parlano della Russia con comprensione, o addirittura con simpatia, hanno un certo profilo ideologico. Molto spesso queste persone provengono dalla destra conservatrice o dal populismo e proiettano a priori un’immagine ideologica della Russia. A mio avviso, le loro simpatie ideologiche sono alquanto irrealistiche e fantasiose. Non appartengo affatto a questa categoria.

In Francia, sono quello che si definirebbe un liberale di sinistra, fondamentalmente legato alla democrazia liberale. Ciò che mi distingue dalle persone attaccate alla democrazia liberale è che, poiché sono un antropologo, poiché conosco la diversità del mondo attraverso l’analisi dei sistemi familiari, ho una grande tolleranza per le culture esterne e non parto dal principio che tutti devono imitare l’Occidente. La tendenza a dare lezioni è particolarmente tradizionale a Parigi. Credo che ogni Paese abbia la sua storia, la sua cultura e il suo percorso.

Tuttavia, devo ammettere che in me esiste una dimensione emotiva, una vera e propria simpatia per la Russia, che può spiegare la mia capacità di ascoltare le sue argomentazioni nell’attuale confronto geopolitico. La mia apertura non deriva da ciò che la Russia è in termini ideologici, ma da un sentimento di gratitudine nei suoi confronti per averci liberato dal nazismo. È il momento di dirlo, visto che ci avviciniamo al 9 maggio, giorno in cui celebriamo la vittoria. I primi libri di storia che ho letto, quando avevo 16 anni, raccontavano della guerra condotta dall’Armata Rossa contro il nazismo. Sento un debito che deve essere onorato.

Vorrei aggiungere che sono consapevole che la Russia è uscita dal comunismo da sola, con i propri sforzi, e che ha sofferto enormemente durante il periodo di transizione. Credo che la guerra difensiva a cui l’Occidente ha costretto la Russia, dopo tutte quelle sofferenze, proprio mentre si stava rimettendo in piedi, sia un errore morale da parte dell’Occidente. Questo per quanto riguarda la dimensione ideologica, o meglio emotiva. Per il resto, non sono un ideologo, non ho un programma per l’umanità, sono uno storico, sono un antropologo, mi considero uno scienziato e ciò che posso contribuire alla comprensione del mondo e in particolare alla geopolitica deriva essenzialmente dalle mie competenze professionali.

Antropologia e politica

Mi sono formata come ricercatrice in storia e antropologia all’Università di Cambridge, in Inghilterra. Il mio relatore di tesi era Peter Laslett. Ha scoperto che la famiglia inglese del XVII secolo era semplice, nucleare e individualista. I suoi figli dovevano disperdersi molto presto. Poi ho avuto come esaminatore della mia tesi a Cambridge un altro grande storico inglese ancora in vita, Alan Macfarlane. Egli comprese che esisteva un legame tra l’individualismo politico ed economico degli inglesi (e quindi degli anglosassoni in generale) e la famiglia nucleare identificata da Peter Laslett nel passato dell’Inghilterra.

Sono uno studente di questi due grandi storici britannici. In sostanza, ho generalizzato l’ipotesi di Macfarlane. Mi sono reso conto che la mappa del comunismo finito, intorno alla metà degli anni ’70, assomigliava molto alla mappa di un sistema familiare che io chiamo comunitario (che altri hanno chiamato famiglia patriarcale o famiglia mista), un sistema familiare che per certi versi è l’opposto concettuale del sistema familiare inglese. Prendiamo ad esempio la famiglia contadina russa. Non sono uno specialista della Russia, ma quello che so della Russia sono gli elenchi di nomi di abitanti del XIX secolo che descrivono le famiglie contadine russe. Non si trattava, come le famiglie contadine inglesi del XVII secolo, di piccole famiglie nucleari (padre, madre, figli), ma di enormi nuclei familiari con un uomo, sua moglie, i suoi figli, le mogli di questi ultimi e i nipoti. Questo sistema era patrilineare, perché le famiglie si scambiavano le mogli per farle diventare mogli. La famiglia comunale si trova in Cina, Vietnam, Serbia e Italia centrale, una regione che ha votato comunista. Una delle peculiarità della famiglia comunale russa è quella di mantenere uno status elevato per le donne, perché si tratta di un fenomeno recente.

La famiglia comunale russa è emersa tra il XVI e il XVIII secolo. La famiglia comune cinese è apparsa prima dell’inizio dell’Era Comune. La famiglia comune russa è esistita per qualche secolo, quella cinese per due millenni.

Questi esempi rivelano la mia percezione del mondo. Non vedo un mondo astratto, ma un mondo in cui ognuna delle grandi nazioni, ognuna delle piccole nazioni, aveva una particolare struttura familiare contadina, una struttura che spiega ancora molto del suo comportamento attuale.

Posso fare altri esempi. Giappone e Germania, così simili in termini industriali e nella concezione della gerarchia, condividono anche una struttura familiare diversa da quella nucleare e comunitaria, la famiglia stem, di cui non parlerò in questa conferenza.

Se si guarda ai media oggi, giornalisti e politici parlano di Donald Trump e Vladimir Putin come se fossero gli agenti fondamentali della storia, o addirittura le persone che stanno plasmando la loro società. Io li vedo soprattutto come espressioni di culture nazionali, che possono essere in espansione, stabili o decadenti.

Vorrei chiarire una cosa sulla mia reputazione. Il 95% della mia vita di ricercatore è stato dedicato all’analisi delle strutture familiari, argomento sul quale ho scritto libri di 500 o 700 pagine. Ma non è per questo che sono più conosciuto al mondo. Sono conosciuto per tre saggi di geopolitica in cui ho usato la mia conoscenza di questo background antropologico per capire cosa stava accadendo.

Nel 1976 ho pubblicato La chute finale, Essai sur la décomposition de la sphère soviétique in cui prevedevo il crollo del comunismo. Il calo della fertilità delle donne russe dimostrava che i russi erano persone come tutte le altre, in via di modernizzazione, e che nessun homo sovieticus era stato fabbricato dal comunismo. Soprattutto, avevo individuato un aumento della mortalità infantile, tra il 1970 e il 1974, in Russia e Ucraina. L’aumento della mortalità tra i bambini di età inferiore a un anno dimostrava che il sistema aveva iniziato a deteriorarsi. Scrissi quel primo libro molto giovane, avevo 25 anni, e dovetti aspettare circa 15 anni perché la mia previsione si avverasse.

Nel 2002 ho scritto un secondo libro di geopolitica, intitolato in francese Après l’Empire, in un periodo in cui tutti parlavano solo dell’iperpotenza americana. Ci dicevano che l’America avrebbe dominato il mondo per un periodo indefinito, un mondo unipolare. Io dicevo il contrario: no, il mondo è troppo grande, la dimensione relativa dell’America si sta riducendo economicamente e l’America non sarà in grado di controllare questo mondo. Questo si è rivelato vero. In Dopo l’Impero, c’è una particolare previsione corretta che sorprende anche me. Un capitolo è intitolato “Il ritorno della Russia”. In esso prevedo il ritorno della Russia come grande potenza, ma sulla base di pochissimi indizi. Avevo osservato solo una ripresa del calo della mortalità infantile (tra il 1993 e il 1999, dopo un aumento tra il 1990 e il 1993). Ma sapevo istintivamente che il retroterra culturale comunitario russo, che aveva prodotto il comunismo in una fase di transizione, sarebbe sopravvissuto al periodo di anarchia degli anni Novanta, e che costituiva una struttura stabile che avrebbe permesso di ricostruire qualcosa.

C’è però un errore enorme in questo libro: in esso prevedo un destino autonomo per l’Europa occidentale. E c’è una lacuna: non vi menziono la Cina.

Questo mi porta al mio ultimo libro di geopolitica, che credo sarà l’ultimo, La Défaite de l’Occident. È per parlare di questo libro che sono qui a Mosca. Esso prevede che, nel confronto geopolitico aperto dall’ingresso dell’esercito russo in Ucraina, l’Occidente subirà una sconfitta. Ancora una volta mi trovo in contrasto con l’opinione generale del mio Paese, o del mio campo, dato che sono un occidentale. Dirò innanzitutto perché è stato facile per me scrivere questo libro, ma poi vorrei provare a dire perché, ora che la sconfitta dell’Occidente sembra certa, è diventato molto più difficile per me spiegare a breve termine il processo di dislocazione dell’Occidente, pur rimanendo capace di una previsione a lungo termine sulla continuazione del declino americano.

Siamo a un punto di svolta: stiamo passando dalla sconfitta alla dislocazione. Ciò che mi rende cauto è la mia esperienza passata del crollo del sistema sovietico. Avevo previsto questo crollo, ma devo ammettere che quando il sistema sovietico è effettivamente crollato, non ero in grado di prevedere l’entità della dislocazione e il livello di sofferenza che questa dislocazione avrebbe comportato per la Russia.

Non avevo capito che il comunismo non era solo un’organizzazione economica, ma anche un sistema di credenze, una quasi-religione, che strutturava la vita sociale sovietica e russa. La dislocazione delle convinzioni avrebbe portato a una disorganizzazione psicologica ben superiore a quella economica. Oggi stiamo raggiungendo una situazione simile in Occidente. Quello che stiamo vivendo non è semplicemente un fallimento militare e un fallimento economico, ma una dislocazione delle convinzioni che hanno organizzato la vita sociale occidentale per diversi decenni.

Dalla sconfitta alla dislocazione

Ricordo molto bene il contesto in cui ho scritto La sconfitta dell’Occidente. Ero nella mia piccola casa bretone nell’estate del 2023. Giornalisti francesi e non solo si esaltavano commentando i (fantasiosi) “successi” della controffensiva ucraina. Mi vedo scrivere con calma: “La sconfitta dell’Occidente è certa”. Non avevo assolutamente alcun problema. D’altra parte, quando oggi parlo di dislocazione, assumo una posizione di umiltà di fronte agli eventi. Il comportamento di Trump è una messa in scena dell’incertezza. Il guerrafondaio di questi europei che hanno perso la guerra a fianco degli americani e ora parlano di vincerla senza gli americani è qualcosa di davvero sorprendente.

Questo è il presente. Gli eventi a breve termine sono molto difficili da prevedere. D’altra parte, il medio e lungo termine in Occidente, in particolare negli Stati Uniti, mi sembra più accessibile alla comprensione e alla previsione – senza certezza, ovviamente. Molto presto, nel 2002, avevo una visione positiva a medio e lungo termine per la Russia, come ho detto. Ma oggi ho una visione molto negativa a medio e lungo termine degli Stati Uniti. Quello che stiamo vivendo è solo l’inizio della caduta degli Stati Uniti e dobbiamo essere pronti a vedere cose ancora più drammatiche.

La sconfitta dell’Occidente: una facile previsione

Inizierò ricordando lo schema de La sconfitta dell’Occidente. Questo libro è stato pubblicato, chiunque può verificare ciò che vi è scritto. Dirò perché è stato relativamente semplice concepire questa sconfitta. Negli anni precedenti, avevo già analizzato a lungo il ritorno della Russia alla stabilità.

Non vivevo nella fantasia occidentale di un mostruoso regime di Putin, di Putin come il diavolo e dei russi come idioti o sottomessi, che era la visione occidentale dominante. Avevo letto Russia, il ritorno del potere, un eccellente libro di un francese troppo poco conosciuto, David Teurtrie, pubblicato poco prima che le truppe russe entrassero in Ucraina. In esso descrive la rinascita dell’economia russa, della sua agricoltura e delle sue esportazioni di centrali nucleari. Ha spiegato che la Russia si è preparata fin dal 2014 per lo sganciamento dal sistema finanziario occidentale.

Avevo anche i miei soliti indicatori, che riguardano la stabilità sociale piuttosto che quella economica. Ho continuato a monitorare il tasso di mortalità infantile, l’indicatore statistico che uso di più. I bambini sotto l’anno di età sono i membri più fragili della società e le loro possibilità di sopravvivenza sono l’indicatore più sensibile della coesione e dell’efficienza sociale. Negli ultimi 20 anni, il tasso di mortalità infantile della Russia è diminuito ad un ritmo accelerato, anche se la mortalità complessiva russa, in particolare quella maschile, è insoddisfacente. Per diversi anni, il tasso di mortalità infantile russo è sceso al di sotto del tasso di mortalità infantile statunitense.

Il tasso di mortalità infantile americano è uno degli indicatori che ci mostra che l’America non sta andando bene. Purtroppo, credo che al momento il tasso di mortalità infantile francese, che è in aumento, stia superando quello russo. È doloroso per me, come francese, ma come storico devo essere in grado di vedere e analizzare le cose che non mi piacciono. La storia che si sta svolgendo non è lì per compiacermi. È lì per essere studiata.

Il soddisfacente sviluppo economico e la stabilizzazione sociale della Russia. C’era anche la rapida diminuzione del tasso di suicidi e di omicidi negli anni 2000-2020. Avevo tutti questi indicatori e avevo anche la mia conoscenza del retroterra familiare comunitario russo, di origine contadina, che non esiste più visibilmente ma continua ad agire. Naturalmente, la famiglia contadina russa del XIX secolo non esiste più. Ma i suoi valori sopravvivono nelle interazioni tra gli individui. In Russia esistono ancora valori normativi di autorità, uguaglianza e comunità, che garantiscono un particolare tipo di coesione sociale.

È un assunto che può essere difficile da accettare per gli uomini e le donne moderni della vita urbana. Sono appena arrivato a Mosca, che sto riscoprendo nel 2025, trasformata dal mio ultimo viaggio nel 1993. Mosca è una città enorme e moderna. Come posso immaginare, in un tale contesto materiale e sociale, la persistenza dei valori comunitari del XIX secolo? Ma lo faccio come lo faccio altrove. È un’esperienza che ho fatto, per esempio, in Giappone. Anche Tokyo è una città immensa, in verità, con i suoi 40 milioni di abitanti, il doppio di Mosca. Ma è facile vedere e accettare l’idea che lì si sia perpetuato un sistema di valori giapponese, ereditato da un’antica struttura familiare. La penso allo stesso modo sulla Russia, con la differenza che la famiglia comunale russa, che è autoritaria ed egualitaria, non era la famiglia giapponese, che è autoritaria e inegalitaria.

Economia, demografia, antropologia della famiglia: nel 2022 non avevo il minimo dubbio sulla solidità della Russia. E così, dall’inizio della guerra in Ucraina, ho assistito con un misto di divertimento e tristezza alle ipotesi di giornalisti, politici e politologi francesi sulla fragilità della Russia, sull’imminente crollo della sua economia, del suo regime, ecc. e sul futuro della Russia.

L’autodistruzione degli Stati Uniti

Sono un po’ imbarazzato a dirlo qui a Mosca, ma devo ammettere che la Russia non è un argomento importante per me. Non sto dicendo che la Russia non sia interessante, sto dicendo che non è al centro del mio pensiero. Il cuore del mio pensiero è indicato nel titolo del mio libro, La sconfitta dell’Occidente. Non è la vittoria della Russia, è la sconfitta dell’Occidente che sto studiando. Penso che l’Occidente si stia distruggendo da solo.

Per avanzare e dimostrare questa ipotesi, avevo anche una serie di indicatori. Mi limiterò qui agli Stati Uniti. Mi sono occupato a lungo dello sviluppo degli Stati Uniti.

Sapevo della distruzione della base industriale americana, soprattutto dopo l’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio nel 2001. Sapevo quanto sarebbe stato difficile per gli Stati Uniti produrre abbastanza armamenti per alimentare la guerra.

Ero riuscito a stimare il numero di ingegneri – persone che costruiscono cose reali – negli Stati Uniti e in Russia. Sono giunto alla conclusione che la Russia, con una popolazione pari alla metà di quella degli Stati Uniti, è in grado di produrre più ingegneri degli Stati Uniti. Semplicemente perché solo il 7% degli studenti americani studia ingegneria, mentre in Russia la percentuale si avvicina al 25%. Naturalmente, questo numero di ingegneri deve essere visto come un dato di riferimento, che si riferisce in modo più approfondito a tecnici, operai specializzati e capacità industriale generale.

Avevo altri indicatori a lungo termine per gli Stati Uniti. Ho lavorato per decenni sul declino del livello di istruzione, sul declino della qualità e della quantità dell’istruzione superiore americana, un declino iniziato nel 1965. Il declino del potenziale intellettuale americano risale a molto tempo fa. Ma non dimentichiamo che questo declino arriva dopo un’ascesa durata due secoli e mezzo. L’America ha avuto un immenso successo storico prima di sprofondare nel suo attuale fallimento. Il successo storico degli Stati Uniti è stato un esempio, tra gli altri ma il più massiccio, del successo storico del mondo protestante. La religione protestante era al centro della cultura americana, così come lo era della cultura britannica, di quella scandinava e di quella tedesca, dato che due terzi della Germania erano protestanti.

Il protestantesimo esigeva che tutti i fedeli avessero accesso alle Sacre Scritture. Esigeva che la gente sapesse leggere. Il protestantesimo era quindi molto favorevole all’istruzione ovunque. Intorno al 1900, la mappa dei Paesi in cui tutti sapevano leggere era quella del protestantesimo. Negli Stati Uniti, inoltre, l’istruzione secondaria decollò tra le due guerre, cosa che non avvenne nei Paesi protestanti d’Europa.

Il crollo educativo degli Stati Uniti è ovviamente legato al suo crollo religioso. Sono consapevole che oggi si parla molto di questi evangelisti eccitati che circondano Trump. Ma tutto questo, per me, non è vera religione. In ogni caso, non è vero protestantesimo. Il Dio degli evangelisti americani è un tipo simpatico che distribuisce doni finanziari, non il rigido Dio calvinista che esige un alto livello di moralità, incoraggia una forte etica del lavoro e promuove la disciplina sociale.

La disciplina sociale negli Stati Uniti deve molto alla disciplina morale protestante. Questo era vero anche nel XX secolo, quando gli Stati Uniti non erano più un Paese protestante omogeneo, con immigrati cattolici ed ebrei, e poi immigrati dall’Asia. Almeno fino agli anni Settanta, il nucleo della cultura americana è rimasto protestante. I WASP, o White Anglo-Saxon Protestants, erano derisi, anche se avevano i loro difetti, ma rappresentavano una cultura centrale e controllavano il sistema americano.

Stati attivi, zombie e l’azzeramento della religione

Ho utilizzato una particolare concettualizzazione per analizzare il declino religioso, non solo in questo libro, ma in tutti i miei libri recenti. Si tratta di un’analisi in tre fasi della scomparsa della religione.

*In primo luogo, distinguo una fase attiva della religione, in cui le persone sono credenti e praticanti.

*Poi c’è quello che chiamo lo stadio zombie della religione, in cui le persone non sono più credenti e praticanti ma conservano nelle loro abitudini sociali valori e comportamenti ereditati dalla precedente religione attiva. Mi riferisco, ad esempio, al repubblicanesimo francese, che è succeduto alla Chiesa cattolica in Francia nel bacino di Parigi, come religione civile zombie.

*Poi arriva un terzo stadio, che stiamo vivendo attualmente in Occidente, che chiamo lo stadio zero della religione, in cui le abitudini sociali ereditate dalla religione sono a loro volta scomparse. Io do un indicatore temporale per il raggiungimento di questo stadio zero, ma non bisogna prenderlo in modo moralistico. È uno strumento tecnico che mi permette di datare il fenomeno al 2013, 2014 o 2015.

Utilizzo qualsiasi legge che istituisca il matrimonio per tutti, cioè il matrimonio tra individui dello stesso sesso, per datare l’inizio della fase zero. Questo è un indicatore del fatto che non rimane nulla delle abitudini religiose del passato. Il matrimonio civile ha replicato il matrimonio religioso. Il matrimonio per tutti è post-religioso. Ripeto, non ho detto che è sbagliato. Non sto facendo del moralismo. Sto dicendo che questo è ciò che ci permette di considerare che abbiamo raggiunto uno stato di religione zero.

Passare dal declino industriale al declino educativo, al declino religioso e infine diagnosticare uno stato di religione zero ci permette di affermare che la caduta degli Stati Uniti non è un fenomeno a breve termine, reversibile. In ogni caso, non sarà reversibile durante i pochi anni di questa guerra in Ucraina.

Una sconfitta americana

Questa guerra, che è ancora in corso, anche se l’esercito che rappresenta l’Occidente è ucraino, è un confronto tra Russia e Stati Uniti. Non avrebbe potuto avere luogo senza le attrezzature americane. Non avrebbe potuto svolgersi senza i servizi di osservazione e di intelligence americani. Per questo è perfettamente normale che i negoziati finali si svolgano tra russi e americani.

Trovo strano che gli europei siano sorpresi di vedersi esclusi dai negoziati. La loro sorpresa è una sorpresa anche per me. Fin dall’inizio del conflitto, gli europei si sono comportati come sudditi degli Stati Uniti. Hanno partecipato alle sanzioni, hanno fornito armi ed equipaggiamenti, ma non hanno condotto la guerra. Per questo gli europei non hanno un quadro corretto e realistico della guerra.

Ecco dove siamo. L’Occidente è stato sconfitto industrialmente. Economicamente. Per me, prevedere questa sconfitta non è stato un grosso problema intellettuale.

Questo mi porta a ciò che mi interessa di più e che è più difficile per un futurista: analizzare e comprendere gli eventi attuali. Tengo conferenze abbastanza regolarmente. Ne ho tenute alcune a Parigi. Li ho fatti in Germania. Li ho fatti in Italia. Recentemente ne ho tenuta una a Budapest. Ciò che mi colpisce è che a ogni nuova conferenza, mentre c’è sempre una base stabile, comune a tutti, ci sono anche nuovi eventi da integrare. Non sappiamo mai quale sia il vero atteggiamento di Trump. Non sappiamo se il suo desiderio di uscire dalla guerra sia sincero. Ci sono alcune sorprese straordinarie, come il suo improvviso risentimento nei confronti dei suoi stessi alleati, o meglio dei suoi sudditi. Ad esempio, è stato sorprendente vedere il Presidente degli Stati Uniti puntare il dito per la guerra e la sconfitta contro gli europei e gli ucraini. Oggi devo confessare la mia ammirazione per il controllo e la calma del governo russo, che (all’apparenza) deve prendere sul serio Trump, che deve accettare la sua rappresentazione della guerra perché i negoziati devono avere luogo.

Tuttavia, ho notato un elemento positivo in Trump che è rimasto stabile fin dall’inizio: sta parlando con il governo russo, si sta allontanando dall’atteggiamento occidentale di demonizzazione della Russia. È un ritorno alla realtà e, di per sé, un fatto positivo, anche se questi negoziati non porteranno a nulla di concreto.

La rivoluzione di Trump

Vorrei cercare di capire la causa immediata della rivoluzione di Trump.

Ogni rivoluzione ha principalmente cause endogene; è innanzitutto il risultato di una dinamica e di contraddizioni interne alla società interessata. Tuttavia, una caratteristica sorprendente della storia è la frequenza con cui le rivoluzioni sono innescate da sconfitte militari.

La rivoluzione russa del 1905 fu preceduta da una sconfitta militare da parte del Giappone. La rivoluzione russa del 1917 fu preceduta da una sconfitta da parte della Germania. Anche la rivoluzione tedesca del 1918 fu preceduta da una sconfitta.

Anche la Rivoluzione francese, che sembra più endogena, è stata preceduta nel 1763 dalla sconfitta della Francia nella Guerra dei Sette Anni, una sconfitta importante poiché l’Ancien Régime ha perso tutte le sue colonie. Anche il crollo del sistema sovietico è stato innescato da una doppia sconfitta: nella corsa agli armamenti con gli Stati Uniti e con il ritiro dall’Afghanistan.

Credo che per capire la rivoluzione di Trump si debba partire da questa nozione di sconfitta che porta a una rivoluzione. L’esperimento in corso negli Stati Uniti, anche se non sappiamo esattamente cosa sarà, è una rivoluzione. È una rivoluzione in senso stretto? È una controrivoluzione? In ogni caso, è un fenomeno di straordinaria violenza, una violenza che si rivolge, da un lato, contro i soggetti-alleati, gli europei, gli ucraini, ma che si esprime anche all’interno, nella società americana, con una lotta contro le università, contro la teoria del gender, contro la cultura scientifica, contro la politica di inclusione dei neri nella classe media americana, contro il libero commercio e contro l’immigrazione.

A mio avviso, questa violenza rivoluzionaria è legata alla sconfitta. Diverse persone mi hanno raccontato di conversazioni tra membri della squadra di Trump e ciò che colpisce è la loro consapevolezza della sconfitta. Persone come J. D. Vance, il vicepresidente, e molti altri, sono persone che hanno capito che l’America ha perso questa guerra.

Per gli Stati Uniti è stata una sconfitta fondamentalmente economica. La politica delle sanzioni ha dimostrato che il potere finanziario dell’Occidente non era onnipotente. Gli americani hanno avuto la rivelazione della fragilità della loro industria militare. I dirigenti del Pentagono sanno bene che uno dei limiti della loro azione è la capacità limitata del complesso militare-industriale americano.

Questa consapevolezza americana della sconfitta contrasta con la mancanza di consapevolezza degli europei.

Gli europei non hanno organizzato la guerra. Non avendo organizzato la guerra, non possono essere pienamente consapevoli della sconfitta. Per essere pienamente consapevoli della loro sconfitta, dovrebbero avere accesso al pensiero del Pentagono. Ma gli europei non lo sanno. Gli europei sono quindi mentalmente situati prima della sconfitta, mentre l’attuale amministrazione americana è mentalmente situata dopo la sconfitta.

Sconfitta e crisi culturale

Come ho detto, l’esperienza della caduta del comunismo mi ha insegnato una cosa importante: il crollo di un sistema è tanto mentale quanto economico. Ciò che sta crollando oggi in Occidente, e in primo luogo negli Stati Uniti, non è solo il dominio economico, ma anche il sistema di credenze che lo guidava o vi si sovrapponeva. Le credenze che hanno accompagnato il trionfalismo occidentale stanno per crollare. Ma come in ogni processo rivoluzionario, non è ancora chiaro quale nuova convinzione sia la più importante, quale convinzione emergerà vittoriosa dal processo di decomposizione.

La ragionevolezza nell’amministrazione Trump

Voglio chiarire che all’inizio non avevo alcuna ostilità di principio nei confronti di Trump. Quando Trump è stato eletto per la prima volta nel 2016, ero una di quelle persone che accettavano che l’America fosse malata, che il suo cuore industriale e operaio fosse distrutto, che gli americani comuni soffrissero sotto le politiche generali dell’Impero, e che ci fossero ottime ragioni per cui molti elettori avrebbero votato Trump. Ci sono cose molto ragionevoli nelle intuizioni di Trump. Il protezionismo di Trump, l’idea che dobbiamo proteggere l’America per ricostruire la sua industria, è il risultato di un’intuizione molto ragionevole. Io stesso sono un protezionista. Ho scritto dei libri al riguardo molto tempo fa. Penso anche che l’idea del controllo dell’immigrazione sia ragionevole, anche se lo stile adottato dall’amministrazione Trump nella gestione dell’immigrazione è insopportabilmente violento.

Un altro elemento ragionevole, che sorprende molti occidentali, è l’insistenza dell’amministrazione Trump sul fatto che ci sono solo due sessi nell’umanità, uomini e donne. Non lo vedo come un avvicinamento alla Russia di Vladimir Putin, ma come un ritorno alla concezione ordinaria dell’umanità che esiste fin dalla comparsa dell’Homo sapiens, un’evidenza biologica su cui, peraltro, scienza e Chiesa concordano.

C’è la ragione nella rivoluzione di Trump.

Il nichilismo nella rivoluzione di Trump

Ora devo dire perché, nonostante la presenza di questi elementi ragionevoli, sono pessimista e perché penso che l’esperimento Trump fallirà. Ribadirò perché ero ottimista sulla Russia nel 2002 e perché sono pessimista sugli Stati Uniti nel 2025.

C’è nel comportamento dell’amministrazione Trump un deficit di pensiero, un’impreparazione, una brutalità, un comportamento impulsivo e non riflessivo, che evoca il concetto centrale de La Sconfitta dell’Occidente, quello di nichilismo.

Spiego in La sconfitta dell’Occidente, che il vuoto religioso, lo stato zero della religione, porta all’angoscia piuttosto che a uno stato di libertà e benessere. Lo stato zero ci riporta al problema fondamentale. Che cosa significa essere un uomo? Qual è il senso delle cose? Una risposta classica a queste domande, in una fase di collasso religioso, è il nichilismo. Si passa dall’angoscia del vuoto alla deificazione del vuoto, una deificazione del vuoto che può portare al desiderio di distruggere le cose, le persone e, in ultima analisi, la realtà. L’ideologia transgender non è di per sé moralmente grave, ma è intellettualmente fondamentale perché dire che un uomo può diventare una donna o una donna un uomo rivela un desiderio di distruzione della realtà. È stata, in associazione con la cultura culturale, con la preferenza per la guerra, un elemento del nichilismo che ha predominato sotto l’amministrazione Biden. Trump rifiuta tutto questo. Tuttavia, ciò che mi colpisce in questo momento è l’emergere di un nichilismo che assume altre forme: il desiderio di distruggere la scienza e l’università, le classi medie nere, o una violenza disordinata nell’applicazione della strategia protezionistica americana. Quando, senza pensare, Trump vuole stabilire tariffe tra Canada e Stati Uniti, quando la regione dei Grandi Laghi costituisce un unico sistema industriale, vedo in questo un impulso a distruggere quanto a proteggere. Quando vedo Trump che all’improvviso istituisce tariffe protezionistiche contro la Cina, dimenticando che la maggior parte degli smartphone americani sono prodotti in Cina, mi dico che non possiamo liquidare tutto questo come stupidità. È stupidità, certo, ma potrebbe anche essere nichilismo. Passiamo a un livello morale più alto: la fantasia trumpiana di trasformare Gaza, svuotata della sua popolazione, in una località turistica è tipicamente un progetto nichilista di grande intensità.

La contraddizione fondamentale della politica statunitense, tuttavia, la cercherei sul versante del protezionismo.

La teoria del protezionismo ci dice che la protezione può funzionare solo se un Paese ha la popolazione qualificata per trarre vantaggio dalla protezione tariffaria. Una politica protezionistica sarà efficace solo se si dispone di ingegneri, scienziati e tecnici qualificati. Che gli americani non hanno in numero sufficiente. Eppure vedo che gli Stati Uniti iniziano a dare la caccia agli studenti cinesi, e a tanti altri, proprio quelli che permettono loro di compensare la mancanza di ingegneri e scienziati. È assurdo. La teoria del protezionismo ci dice anche che la protezione può lanciare o rilanciare l’industria solo se lo Stato interviene per aiutare a costruire nuove industrie. Eppure vediamo l’amministrazione Trump attaccare lo Stato, proprio quello che dovrebbe alimentare la ricerca scientifica e il progresso tecnologico. Peggio ancora, se si cerca la motivazione alla base della lotta contro lo Stato federale condotta da Elon Musk e altri, si scopre che non è nemmeno economica.

Chi ha familiarità con la storia americana conosce il ruolo cruciale svolto dallo Stato federale nell’emancipazione dei neri. Negli Stati Uniti, l’odio per lo Stato federale deriva il più delle volte dal risentimento anti-nero. Quando si combatte contro lo Stato federale americano, si combatte contro le amministrazioni centrali che hanno emancipato e protetto i neri. Un’alta percentuale della classe media nera ha trovato lavoro nell’amministrazione federale. La lotta contro lo Stato federale non rientra quindi in una concezione generale di ricostruzione economica e nazionale.

Se penso alle molteplici e contraddittorie azioni dell’amministrazione Trump, la parola che mi viene in mente è dislocazione. Una dislocazione la cui direzione non è chiara.

Famiglia nucleare assoluta + religione zero = atomizzazione

Sono molto pessimista sugli Stati Uniti. Per concludere questa conferenza esplorativa, tornerò ai miei concetti fondamentali di storico e antropologo. All’inizio di questa conferenza ho detto che il motivo fondamentale per cui ho creduto, molto presto, già nel 2002, nel ritorno della Russia alla stabilità, è stato perché ero consapevole dell’esistenza di un background antropologico comunitario in Russia. A differenza di molti, non ho bisogno di speculare sullo stato della religione in Russia per capire il ritorno della Russia alla stabilità. Vedo una cultura familiare, una cultura comunitaria, con i suoi valori di autorità e uguaglianza, che ci aiuta a capire cosa sia la nazione nella mente dei russi. Esiste infatti una relazione tra la forma della famiglia e l’idea di nazione. La famiglia comunitaria corrisponde a un’idea forte e compatta di nazione o di popolo. Questo è il caso della Russia.

Nel caso degli Stati Uniti, come in quello dell’Inghilterra, abbiamo una situazione opposta. Il modello familiare inglese e americano è nucleare, individualista e non prevede nemmeno una regola precisa di eredità. Regna la libertà di volontà. La famiglia nucleare assoluta anglo-americana fa ben poco per strutturare la nazione. La famiglia nucleare assoluta ha certamente il vantaggio della flessibilità. Le generazioni si succedono separandosi. La velocità di adattamento negli Stati Uniti e in Inghilterra e la plasticità delle loro strutture sociali (che hanno permesso la rivoluzione industriale inglese e il decollo americano) sono in gran parte il risultato di questa struttura familiare nucleare assoluta.

Ma accanto o al di sopra di questa struttura familiare individualistica, in Inghilterra come negli Stati Uniti, c’era la disciplina della religione protestante, con il suo potenziale di coesione sociale. La religione, come fattore strutturante, era fondamentale per il mondo angloamericano. È scomparsa. Lo stato zero della religione, unito a valori familiari poco strutturati, non mi sembra una combinazione antropologica e storica che possa portare alla stabilità. Il mondo angloamericano sta andando verso una sempre maggiore atomizzazione. Questa atomizzazione non può che portare a un’accentuazione, senza limiti visibili, della decadenza americana. Spero di sbagliarmi, spero di aver trascurato un importante fattore positivo.

Purtroppo, ora riesco a trovare solo un altro fattore negativo, che mi è venuto in mente leggendo un libro di Amy Chua, un’accademica di Yale che è stata mentore di J.D. Vance. Tribù politiche. Group instinct and the Fate of Nations (2018) sottolinea, dopo molti altri testi, il carattere unico della nazione americana: una nazione civica, fondata dall’adesione di tutti gli immigrati successivi a valori politici che trascendono l’etnia. È vero. Questa era la teoria ufficiale molto presto. Ma negli Stati Uniti c’era anche un gruppo protestante bianco dominante, anch’esso frutto di una storia piuttosto lunga e di natura piuttosto etnica .

Dopo la scomparsa del gruppo protestante, la nazione americana è diventata veramente post-etnica, una nazione puramente “civica”, in teoria unita dall’attaccamento alla sua costituzione e ai suoi valori. Il timore di Amy Chua è che l’America stia tornando a quello che lei chiama tribalismo. Un’atomizzazione regressiva.

Ciascuna delle nazioni europee, qualunque sia la sua struttura familiare, la sua tradizione religiosa, la sua visione di sé, è fondamentalmente una nazione etnica, nel senso di un popolo legato a una terra, con la sua lingua, la sua cultura, un popolo radicato nella storia. Ognuno ha una base stabile. Ce l’hanno i russi, ce l’hanno i tedeschi, ce l’hanno i francesi, anche se al momento sono un po’ strani su questi concetti. L’America non ce l’ha più. Una nazione civica? Al di là dell’idea, la realtà di una nazione americana civile ma privata della moralità dallo stato zero della religione lascia sognare. È addirittura agghiacciante.

Il mio timore personale è che non siamo affatto alla fine, ma solo all’inizio di una caduta degli Stati Uniti che rivelerà cose che non possiamo nemmeno immaginare. La minaccia c’è: ancor più che con un impero americano, sia esso trionfante, indebolito o distrutto, ci stiamo dirigendo verso cose che non possiamo nemmeno immaginare.

Oggi mi trovo a Mosca, quindi concludo parlando della situazione futura della Russia. Dirò due cose, una piacevole e l’altra preoccupante per la Russia. La Russia vincerà senza dubbio questa guerra. Ma nel contesto della disintegrazione dell’America, avrà responsabilità molto pesanti in un mondo che dovrà ritrovare il suo equilibrio.

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Apro questa rivista con la trascrizione di una conferenza tenuta a Budapest, in Ungheria, all’inizio di aprile, a Várkert Bazár, nell’ambito della Conferenza Eötvös organizzata dall’Institut du XXIe Siècle. Poiché questo viaggio non è passato inosservato, ho voluto renderlo pubblico il più possibile, in modo che tutti potessero farsi una propria opinione. In un’epoca in cui è facile trovarsi di fronte a calunnie e fantasie, ritengo sia importante garantire che le informazioni possano circolare liberamente e in modo trasparente in Europa.

Emmanuel Todd, 29 aprile 2025.

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La versione audio della conferenza:

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La trascrizione integrale (la versione inglese seguirà in un prossimo post):

Il mio debito con l’Ungheria

Grazie per questa introduzione molto gentile e lusinghiera. Devo confessare subito che sono piuttosto emozionato di essere a Budapest per parlare della sconfitta, della dislocazione del mondo occidentale, perché la mia carriera di autore è iniziata dopo un viaggio in Ungheria. Avevo 25 anni, ci andai nel 1975, entrai in contatto con studenti ungheresi, parlammo e mi resi conto che il comunismo era morto nella mente della gente. Ho avuto una visione intuitiva della fine del comunismo a Budapest nel 1975. Poi sono tornato a Parigi e, un po’ per caso, nelle statistiche dell’Istituto nazionale di studi demografici ho trovato i dati sull’aumento del tasso di mortalità infantile in Russia e Ucraina, nella parte centrale dell’URSS, e ho avuto l’intuizione dell’imminente crollo del sistema sovietico. Avete appena visto la copertina del mio primo libro (La chute finale: Essai sur la décomposition de la sphère soviétique). Tutto è iniziato a Budapest e sento di avere un debito di gratitudine nei confronti dell’Ungheria. È commovente e impressionante trovarsi in questa bella sala, dopo aver incontrato ieri il vostro Primo Ministro, e tenere una conferenza quando, mezzo secolo fa, sono arrivato qui in treno, all’ostello della gioventù, come un misero studente che non sapeva cosa avrebbe trovato a Budapest.

L’umiltà necessaria

L’esperienza di questo primo libro e il crollo del comunismo mi hanno reso cauto. Naturalmente la mia previsione era corretta, ero molto sicuro di me: l’aumento della mortalità infantile è un indicatore molto, molto sicuro. Ma poi, circa 15 anni dopo, quando il sistema sovietico è crollato, devo umilmente ammettere che non avevo compreso appieno ciò che stava accadendo. Non avrei mai potuto immaginare gli effetti di questa disgregazione sulla sfera sovietica nel suo complesso. Il facile adattamento delle ex democrazie popolari non mi ha sorpreso più di tanto. Nel mio libro, La caduta finale, ho notato le enormi differenze di dinamismo che esistevano tra Ungheria, Polonia e Cecoslovacchia, ad esempio, e la stessa Unione Sovietica.

Ma il crollo della Russia negli anni ’90 è stato qualcosa che non avrei mai potuto prevedere. La ragione fondamentale della mia incapacità di comprendere o anticipare il crollo della Russia stessa è che non avevo capito che il comunismo non era solo un’organizzazione economica per la Russia, ma anche una sorta di religione. Era il credo che permetteva al sistema di esistere e naturalmente la sua dissoluzione rappresentava qualcosa di almeno altrettanto grave della rottura del sistema economico.

Tutto questo ha a che fare con il presente. Nel mio intervento parlerò di due cose. Parlerò della sconfitta dell’Occidente, che è una questione abbastanza tecnica, non molto difficile e che non mi ha sorpreso, che avevo previsto e che sta già accadendo in una certa misura in Ucraina. Ma ora siamo nella fase successiva, che è la dislocazione dell’Occidente, e devo dire che, come per la dislocazione del comunismo, del sistema sovietico, non riesco assolutamente a capire cosa stia succedendo.

L’atteggiamento fondamentale che dobbiamo avere ora è quello, direi, dell’umiltà. Tutto ciò che sta accadendo, in particolare dopo l’elezione di Donald Trump, mi sorprende.

La violenza con cui Donald Trump si è scagliato contro i suoi alleati e sudditi ucraini ed europei mi sorprende. Anche la determinazione degli europei a continuare o riprendere la guerra (quando l’Europa è certamente la regione del mondo che più beneficerebbe della pace) è per me un’enorme sorpresa. Dobbiamo partire da queste sorprese per riflettere su quanto sta accadendo.

Inizierò spiegando fino a che punto la sconfitta dell’Occidente non è mai stata un problema per me, e poi cercherò di esprimere i miei dubbi e di avanzare qualche ipotesi. Ma vi prego di scusare la mia mancanza di certezza in questa fase. Presentarsi come certi di ciò che accadrà sarebbe, semplicemente, un segno di follia megalomane.

Sono stato definito ricercatore (nella presentazione), e vorrei dire che tipo di persona sono intellettualmente: non sono un ideologo. Ho idee politiche, sono un liberale di sinistra, non importa, non è questo il punto. Sono qui come storico, come futurista, come qualcuno che sta cercando di capire cosa sta succedendo. Penso di essere capace, o cercare di esserlo, di individuare le tendenze storiche anche se non mi piaccionoCerco di essere “fuori” dalla storia, non è mai completamente possibile, ma è quello che cerco di fare.

Prima di tutto, passerò brevemente in rassegna le tesi del mio libro che, devo confessare, mi ha dato il piacere di fare una previsione a rotta di collo. Ho dovuto aspettare ancora 15 anni perché la mia previsione sul crollo del sistema sovietico si avverasse. Nel caso della sconfitta militare ed economica degli Stati Uniti, dell’Europa e dell’Ucraina da parte della Russia, ho dovuto aspettare solo un anno.

Ricordo molto bene che scrissi il mio libro nell’estate del 2023, in un momento in cui, su tutti i canali televisivi francesi e senza dubbio occidentali, i giornalisti si scervellavano sull’intelligenza della controffensiva ucraina organizzata dal Pentagono americano. All’epoca non mi preoccupava affatto scrivere, con assoluta tranquillità, che la sconfitta dell’Occidente era certa. Perché ero così sicuro? Perché lavoravo con un modello storico completo della situazione.

La stabilità russa

Sapevo che la Russia era una potenza stabilizzata. Ero consapevole delle enormi difficoltà e sofferenze del popolo russo negli anni Novanta, ma nel periodo 2000-2020, mentre tutti dicevano che Vladimir Putin era un mostro, mentre si diceva che i russi erano sottomessi o stupidi, ho visto svilupparsi o apparire dati che dimostravano che la Russia si stava stabilizzando. In Francia è stato pubblicato un eccellente libro di David Teurtrie, Russie : le retour de la puissance, in cui Teurtrie (che è apparso brevemente sullo schermo poco fa, in una discussione che ho avuto con lui) ha mostrato la stabilizzazione dell’economia russa, l’autonomizzazione del sistema bancario russo, il modo in cui i russi sono riusciti a proteggersi dalle misure di ritorsione nel campo dell’elettronica e dell’informatica, da tutte le sanzioni che gli europei potevano imporre. Il suo libro descriveva il ritorno dell’efficienza russa nella produzione agricola, così come nella produzione e nell’esportazione di centrali nucleari.

Avevo una visione ragionevole della Russia. Avevo i miei indicatori. Continuo a monitorare la mortalità infantile, l’indicatore che mi ha permesso di prevedere il crollo del sistema sovietico. Ma la mortalità infantile sta diminuendo rapidamente in Russia. Nel 2022, e questo è ancora vero, la mortalità infantile russa era scesa al di sotto di quella americana. Mi dispiace un po’ dirlo, ma credo che quest’anno (devo controllare) la mortalità infantile russa sia scesa sotto il livello di quella francese. Si è registrato anche un calo del tasso di suicidi in Russia e un calo del tasso di omicidi. Avevo quindi tutti gli indicatori necessari per vedere la Russia stabilizzarsi. E poi avevo anche il mio lavoro di antropologo. La mia vera specialità è l’analisi dei sistemi familiari, che erano molto diversi nel passato contadino, e la relazione di questi sistemi familiari con le strutture sociali e la forma delle nazioni. Il sistema familiare russo era un sistema comunitario. Nella famiglia contadina russa c’erano il padre, i suoi figli, i valori dell’autorità e dell’uguaglianza, qualcosa che alimentava un sentimento collettivo e un sentimento nazionale molto forte. E se non sono stato in grado di anticipare la sofferenza russa degli anni ’90, grazie a questa analisi di uno specifico sistema familiare russo, sono stato in grado di anticipare il riemergere di una Russia stabile e solida che non sarebbe stata una democrazia occidentale. Il suo sistema avrebbe accettato le regole del mercato, ma lo Stato sarebbe rimasto forte, così come il desiderio di sovranità nazionale. Non avevo dubbi sulla solidità della Russia.

L’Occidente: un crollo a lungo termine

Vedevo anche l’Occidente in modo insolito. Avevo lavorato a lungo sugli Stati Uniti e sapevo in anticipo che l’espansione americana verso l’Europa dell’Est, l’espansione della NATO verso l’Europa dell’Est, era stata prodotta dal crollo del comunismo e dalla caduta temporanea della Russia, ma che non corrispondeva a una reale dinamica americana.

Dal 1965 i livelli di istruzione sono diminuiti negli Stati Uniti, e naturalmente dagli anni ’70, ’80 in poi. A partire dai primi anni 2000, il libero scambio scelto dagli Stati Uniti e dall’Occidente ha portato alla distruzione di gran parte dell’apparato industriale americano. Sono quindi partito con la visione di un sistema occidentale in espansione, ma che stava implodendo al suo centro. Avrei potuto prevedere che l’industria americana non sarebbe stata sufficiente a produrre abbastanza armi per gli ucraini, per alimentare la loro guerra contro i russi.

Ma oltre a questo, mi ero imbattuto in un indicatore molto importante che descriveva le rispettive capacità della Russia e degli Stati Uniti di produrre e formare ingegneri. Mi resi conto che la Russia, pur avendo una popolazione due volte e mezzo inferiore a quella degli Stati Uniti, era in grado di produrre più ingegneri e senza dubbio più tecnici e operai specializzati degli Stati Uniti. Semplicemente perché negli Stati Uniti il 7% degli studenti studia ingegneria, mentre in Russia la percentuale deve essere di circa il 25%. Anche al di là di questo, ero arrivato a capire la profondità della crisi americana: dietro l’incapacità di formare ingegneri, o prima di questa incapacità, dietro la caduta degli standard educativi, c’era il crollo di ciò che aveva reso forti gli Stati Uniti, la tradizione educativa protestante. Max Weber vide nell’ascesa dell’Occidente (e non solo Max Weber) l’ascesa del mondo protestante. Il mondo protestante era molto forte in termini di istruzione. Il protestantesimo esigeva che i fedeli avessero accesso alle Sacre Scritture. Il successo dei Paesi protestanti nella rivoluzione industriale, il successo dell’Inghilterra, il successo della Germania, che era per due terzi protestante, e naturalmente il successo degli Stati Uniti, è stato l’ascesa dei Paesi protestanti.

In questo e altri libri ho analizzato l’evoluzione della religione, dallo stadio di una religione attiva,con popolazioni credenti che praticano i valori sociali della loro religione, a uno stadio che chiamo religione zombie, in cui il credo è scomparso ma i valori sociali – e morali – rimangono, fino a uno stadio zero della religione, in cui non è scomparso solo il credo, ma anche i valori sociali e morali, il potenziale di guida, l’educazione..

Nel caso degli Stati Uniti, per accettare l’ipotesi di una religione zero, bisogna capire che le nuove religioni americane, l’evangelicalismo in particolare, non sono più la religione di una volta, non sono più costrittive e sono diventate un’altra cosa.

Ho avuto questa visione dell’Occidente. Non mi piace parlare di decadenza, ma gli scrittori americani hanno parlato di decadenza. Avevo tutta questa sequenza, quindi ero molto sicuro di me.

Ne La sconfitta dell’Occidente ho parlato anche della violenza americana, della preferenza americana per la guerra e delle guerre americane senza fine. Ho spiegato questa preferenza con un vuoto religioso che alimenta l’angoscia e porta a una divinizzazione del vuoto. Nel mio libro uso più volte la parola nichilismo. Che cos’è il nichilismo?

Nasce da un vuoto morale, dall’aspirazione a distruggere le cose, a distruggere gli individui e a distruggere la realtà. Dietro le ideologie un po’ folli che sono apparse negli Stati Uniti e in parte del resto dell’Occidente – penso in particolare alle ideologie transgender, al cambiamento di sesso come possibile – ho visto un’espressione (non necessariamente la più grave) ma comunque un’espressione di nichilismo, un impulso a distruggere la realtà.

Non ho avuto problemi a prevedere la sconfitta americana. È arrivata un po’ più velocemente di quanto mi aspettassi. E la guerra non è finita. Io solleverei la possibilità di un rilancio della guerra, ma è chiaro che nell’amministrazione Trump questa consapevolezza della sconfitta è piuttosto acuta.

Sconfitta militare e rivoluzione

E qui vi invito a provare a vedere le cose un po’ al contrario. Non posso provarlo, ma questo è ciò che credo profondamente: la vittoria elettorale di Donald Trump deve essere intesa come una conseguenza della sconfitta militare.

Siamo in quella che presto verrà chiamata, o che viene già chiamata, una rivoluzione di Trump, una rivoluzione del trumpismo. Ma una rivoluzione che segue una sconfitta militare è un fenomeno storico classico. Ciò non significa che la rivoluzione non abbia avuto cause interne alla società. Ma la sconfitta militare ha prodotto una delegittimazione delle classi superiori che ha spianato la strada a sconvolgimenti politici.

Gli esempi storici sono numerosissimi. Il più semplice e ovvio è quello delle rivoluzioni russe. La rivoluzione russa del 1905 seguì la sconfitta del Giappone. La rivoluzione russa del 1917 seguì la sconfitta della Germania. La rivoluzione tedesca del 1918 seguì la sconfitta della Germania nella guerra 1914-1918. Anche una rivoluzione come quella francese, che sembra avere cause più endogene, seguì di pochi anni la sconfitta molto significativa dell’Ancien Régime francese nella Guerra dei Sette Anni, al termine della quale la Francia perse gran parte del suo impero coloniale.

E non vale nemmeno la pena di andare così lontano. La caduta del comunismo è stata certamente il prodotto di sviluppi interni e dello stallo dell’economia sovietica, ma è arrivata al termine di una sconfitta nella corsa agli armamenti e di una sconfitta militare in Afghanistan.

Ci troviamo in una situazione di questo tipo. È un’ipotesi che sto facendo, ma se si vuole capire la violenza, il rovesciamento, la molteplicità di azioni più o meno contraddittorie del governo Trump, bisogna vedere la vittoria di Trump come il risultato di una sconfitta. Sono convinto che se la guerra fosse stata vinta dagli Stati Uniti e dal loro esercito ucraino, i democratici avrebbero vinto le elezioni e saremmo in un periodo storico diverso.

Possiamo divertirci a fare altri parallelismi. La guerra non è finita. Il dilemma di Trump assomiglia a quello del governo rivoluzionario russo nel 1917. Si potrebbe dire che Trump ha un’opzione menscevica e un’opzione bolscevica. L’opzione menscevica: cercare di continuare comunque la guerra con gli alleati dell’Europa occidentale. L’opzione bolscevica: dedicarsi alla rivoluzione interna e abbandonare la guerra internazionale il più rapidamente possibile. Se volessi essere ironico, direi che la scelta fondamentale per l’amministrazione Trump è: preferiamo la guerra internazionale o la guerra civile? L’idea che una sconfitta militare apra la strada alla rivoluzione ci permette già di capire il divario che esiste tra americani ed europei.

Gli americani hanno capito la loro sconfitta. I rapporti del Pentagono hanno compreso questa sconfitta. Il vicepresidente americano, J.D. Vance, nei suoi colloqui con i leader politici, occidentali e non, ammette questa sconfitta. È normale, l’America è al centro della guerra. Sono stati il sistema di intelligence e gli armamenti americani ad alimentare la guerra in Ucraina. Gli europei non sono a questo livello di consapevolezza perché, pur avendo partecipato alla guerra attraverso le sanzioni economiche, non erano agenti autonomi. Non sono stati loro a prendere le decisioni e, poiché non hanno preso le decisioni e non hanno compreso appieno ciò che stava accadendo da un capo all’altro, non sono in grado di capire la portata della sconfitta. Ecco perché ci troviamo nell’assurda situazione in cui i governi europei – penso agli inglesi e ai francesi – che non sono riusciti a vincere la guerra con gli americani, immaginano di poterla vincere senza gli americani.

C’è un elemento di assurdità. Ma credo che nelle loro menti i governi europei siano ancora in attesa della sconfitta.Penso anche che sentano che ammettere la sconfitta produrrà in Europa, come negli Stati Uniti, una delegittimazione delle classi superiori, una delegittimazione di quelle che io stesso chiamo le oligarchie occidentali, e che la sconfitta potrebbe, in Europa, come negli Stati Uniti, aprire la strada a un certo tipo di processo rivoluzionario. Il tipo di crisi rivoluzionaria di cui parlo sarà il risultato di una contraddizione che esiste ovunque.

Crisi della democrazia: elitismo e populismo

In tutto il mondo occidentale stiamo assistendo (centinaia di autori hanno scritto sull’argomento) all’indebolimento della democrazia, alla sua scomparsa, a un’opposizione strutturale tra le élite e il popolo.

Ho una spiegazione semplice per questo fenomeno. L’età della democrazia era un’epoca in cui l’intera popolazione sapeva leggere e scrivere, aveva raggiunto lo stadio dell’alfabetizzazione di massa, ma pochissime persone avevano un’istruzione superiore. Le élite, che erano molto poche, dovevano rivolgersi all’intera popolazione per poter esistere socialmente e politicamente in un sistema di suffragio universale. Quello che è emerso in tutto il mondo sviluppato dopo la Seconda guerra mondiale è stato uno sviluppo dell’istruzione superiore che ha portato a una restratificazione delle società avanzate. Abbiamo visto apparire ovunque masse di persone con un’istruzione superiore; nelle giovani generazioni, nei Paesi avanzati, ci sarà il 30%, il 40%, a volte il 50% di persone con un’istruzione superiore.

Il problema non è solo che questa massa di persone altamente istruite è arrivata a credersi davvero superiore (anche se il livello di istruzione superiore tende a diminuire quasi ovunque). Il vero problema è che le persone che hanno ricevuto un’istruzione superiore, ormai molto numerose, sono in grado di vivere tra di loro e pensano di potersi separare dal resto della popolazione. Con l’idea aggiuntiva che, in tutto il mondo sviluppato, le persone delle classi superiori – negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Francia, in Germania, in Ungheria, senza dubbio – si sentono più vicine tra loro che alla propria gente.

Quello che cerco di evocare è la globalizzazione, non in termini economici, ma come sogno culturale. Personalmente, ho sempre trovato questo sogno assurdo. Come sapete, ho fatto parte della mia formazione universitaria a Cambridge. Ho sempre pensato che le élite dei diversi Paesi non si assomiglino in alcun modo. È una farsa, questa idea che le persone altamente istruite di tutti i Paesi si assomiglino. Ma è un mito collettivo. È vero che quando analizziamo il processo di frammentazione delle società avanzate e le minacce alla democrazia, i sondaggisti trovano sempre la stessa cosa. Misurano una separazione tra le categorie più istruite e le persone che hanno avuto solo un’istruzione primaria o secondaria. Quindi, nell’elettorato di Donald Trump, vedremo i meno istruiti. Se si guarda all’elettorato del Rassemblement National in Francia, il modo migliore per definirlo è la scarsa istruzione. La stessa cosa vale per i britannici, o meglio gli inglesi, che hanno votato per la Brexit. Vedremo lo stesso tipo di strutturazione per l’AfD in Germania. Vedremo la stessa cosa per la base elettorale dei Democratici di Svezia (mi spiace, sto dando il nome in inglese, non ce l’ho in francese o in svedese), C’è qualcosa di universale in questa tensione interna alle democrazie.

Shock da realtà

Questo è un momento molto particolare. La sconfitta per mano della Russia è uno shock per la realtà. Nell’onnipotenza dell’ideologia globalizzata c’era un’enorme dimensione di fantasia: le cifre del prodotto interno lordo erano finzioni che non rivelavano le reali capacità produttive dei vari Paesi. Ecco perché siamo finiti nell’incredibile situazione in cui la Russia, il cui prodotto interno lordo era pari al 3% di quello dell’intero mondo occidentale, si è trovata a produrre più equipaggiamenti militari dell’intero mondo occidentale.

La sconfitta è uno shock di realtà che produce un crollo, non solo economico, ma un crollo generale della convinzione di superiorità dell’Occidente. Ecco perché le ideologie sessuali più avanzate, la fede nel libero scambio e ogni sorta di altre credenze stanno crollando allo stesso tempo. Il concetto giusto per capire cosa sta succedendo è quello di dislocazione.

La divergenza dei populismi

Quando c’è una rivoluzione, quando un sistema unificato si rompe, emerge ogni genere di cosa, ed è molto difficile dire quale sarà la più importante. Una cosa di cui sono sicuro, però, è che l’attuale apparente solidarietà dei populisti che sfidano l’ordine globalizzato è un fenomeno transitorio.

Naturalmente, le persone che sfidano le élite in Francia, che sfidano le élite in Germania, che sfidano le élite in Svezia saranno solidali con l’esperimento di Trump. Ma questo è un fenomeno temporaneo, legato alla dislocazione del sistema globalizzato. L’ideologia globalizzata nella sua versione americana, come in quella dell’Unione Europea, ci diceva che i popoli non esistono più, che le nazioni non esistono più. Quello che sta per riapparire sono le nazioni e i popoli, ma tutti questi popoli sono diversi, tutti questi popoli hanno interessi nazionali diversi. Quello che sta emergendo è un mondo che non è solo il mondo multipolare di Vladimir Putin, che comprende solo alcuni grandi poli strategici, ma un mondo multiplo di nazioni, ognuna con la propria storia, le proprie tradizioni familiari, le proprie tradizioni religiose, o ciò che ne rimane, e tutte diverse tra loro. Siamo quindi solo all’inizio della dislocazione.

La prima dislocazione, che si potrebbe definire transatlantica, è quella tra Stati Uniti ed Europa. Ma davanti a noi abbiamo la disgregazione dell’Unione Europea e il riemergere in tutti i Paesi europei di tradizioni nazionali molto diverse, un riemergere di nazioni.

Sarebbe assurdo prendere tutte le nazioni europee, una dopo l’altra, e cominciare a dire: “Bene, in tale e tale paese, sento che apparirà tale e tale cosa”. A un certo punto, sono stato tentato di opporre una nuova polarità. In geopolitica, si percepisce una sensibilità condivisa tra i Paesi cattolici dell’Europa meridionale. Si può dire che gli italiani, gli spagnoli e i portoghesi non sono interessati alla guerra in Ucraina. Avevo intuito ne La sconfitta dell’Occidente l’emergere di un asse protestante o post-protestante che si estende dall’America all’Estonia e alla Lettonia, i due Paesi baltici protestanti, attraversando la Gran Bretagna e la Scandinavia, a cui però andrebbero aggiunte, per ragioni specifiche, la Polonia e la Lituania cattoliche.

Ma il mio tempo è limitato. Siamo in una situazione di costante cambiamento. La preparazione di questa conferenza, lo ammetto, è stata un incubo per me. Rilascio interviste alla stampa giapponese con grande regolarità. Tengo conferenze in Francia. Ogni conferenza è diversa dalla precedente perché ogni giorno porta nuovi elementi. Trump, il cuore della rivoluzione, è una sorpresa costante. Temo che sia una sorpresa permanente anche per se stesso. Quello che dico oggi è qualcosa di, diciamo, minimo. Per cercare di farmi un’idea del futuro, mi concentrerò sui tre Paesi, le tre nazioni che mi sembrano più importanti per il futuro.

Parlerò della Russia, della Germania e degli Stati Uniti e cercherò di capire dove si stanno dirigendo questi Paesi.

La Russia come punto fermo

Per quanto riguarda la Russia, è tutto come al solito. Certo, sono francese, non parlo russo e ho visitato la Russia appena due volte negli anni ’90, ma è l’unico Paese che mi sembra completamente prevedibile. Ci sono momenti in cui, in un impeto di megalomania geopolitica, mi sembra di poter leggere nella mente di Putin o Lavrov, perché la politica russa mi sembra fondamentalmente razionale, coerente e limitata.

In Russia, la sovranità nazionale è un imperativo. La Russia si è sentita minacciata dall’avanzata della NATO. Il problema della Russia è che non può più negoziare con l’Occidente – né con gli europei né con gli americani – perché li considera completamente inaffidabili quando si tratta di negoziare accordi o trattati.

Trump è più favorevole alla Russia. È motivato da così tante fobie e risentimenti, contro gli europei, contro i neri, ecc… che è chiaro che la russofobia non è la sua motivazione fondamentale. Ma i suoi incessanti cambiamenti di atteggiamento significano che egli è di per sé una caricatura inaffidabile dell’America per i russi.

Quindi l’unica opzione pratica per i russi è quella di raggiungere i loro obiettivi militari sul terreno, prendere il territorio di cui hanno bisogno in Ucraina per essere al sicuro e poi fermarsi. Non è vero che vogliono o possono spingersi oltre in Europa. Allora lasceranno che le cose si sistemino e tornino alla pace senza tanti negoziati.

Naturalmente, la politica di Vladimir Putin nei confronti di Trump è estremamente elegante. Non cerca di provocare. È coinvolto nei negoziati. Ma questo è ciò che penso siano gli obiettivi russi. È la mia opinione personale, non è nei testi, ma comincia a comparire nelle discussioni. Penso che i russi non possano fermarsi agli oblast che attualmente controllano in Ucraina. Gli attacchi dei droni navali da Odessa hanno dimostrato che la flotta russa non è al sicuro a Sebastopoli. Credo che tra gli obiettivi russi ci sia anche Odessa. Non ho informazioni personali – si tratta di un’ipotesi puramente logica e speculativa, ma per me i russi fermeranno la guerra quando avranno preso l’oblast’ di Odessa. Questa è la mia previsione, forse mi sbaglierò, forse no. Vedremo. Vedremo.

La cosa che mi terrorizza nella vita non è avere opinioni ideologiche sbagliate. La cosa che mi terrorizza è sbagliare come futurista. Perciò ecco che corro un rischio. Ma un piccolo rischio. È ovvio che tutti i discorsi sulla Russia che attacca l’Europa sono ridicoli. La Russia, con 145 milioni di abitanti e 17 milioni di chilometri quadrati, non è espansionista. È felice di non dover più avere a che fare con i polacchi.

Personalmente (e questa è una preferenza), spero che Vladimir Putin abbia la sottigliezza di non toccare nemmeno i Paesi baltici per dimostrare agli europei quanto sia assurda la loro idea che la Russia sia una potenza minacciosa.

Scelta buona o cattiva per la Germania?

Passiamo ora alla Germania, che per me è la più grande incognita nel sistema internazionale, nel sistema geopolitico e per quanto riguarda l’esito della guerra.

Parlando della Germania, esco dalla mitologia europea, perché quando parliamo di neobellicismo europeo, parliamo di un’intera Europa che vuole riunirsi e organizzarsi per continuare la guerra contro i russi. Ma gli inglesi non hanno più un esercito, i francesi hanno un esercito molto piccolo e né i francesi né gli inglesi hanno un’industria potente. Le capacità belliche francesi o britanniche sono quantitativamente ridicole.

Solo una nazione, solo un paese può fare qualcosa, la cui mobilitazione industriale potrebbe introdurre un nuovo elemento nella guerra. E questa, ovviamente, è la Germania con la sua industria. E l’industria tedesca non è solo la Germania, è la Germania più l’industria integrata dell’Austria e della Svizzera tedesca. È anche la riorganizzazione dell’industria tedesca in tutte le ex democrazie popolari.

Credo che ci sia qualcosa di molto minaccioso. Non credo affatto che la Germania sia un guerrafondaio. I tedeschi si sono liberati del loro esercito. Certo, in Germania c’è ancora un desiderio di potenza economica, che viene alimentato con un’immigrazione estremamente elevata, a volte oltre il ragionevole. Ma direi che la Germania ha trovato la sua nuova identità postbellica nell’efficienza economica, come una sorta di società-macchina il cui unico obiettivo sarebbe l’efficienza economica.

Fare quadrare i conti, essere economicamente efficiente, fornire un buon tenore di vita alla popolazione, esportare, funzionare bene. Questi sono stati i principi guida della storia tedesca a partire dalla Seconda Guerra Mondiale. L’Europa e l’economia tedesca stanno ora soffrendo molto per queste sanzioni, che avrebbero dovuto distruggere la Russia. Ora vedo emergere in Germania l’idea che il riarmo, un’economia di guerra, sarebbe una soluzione tecnica per l’industria tedesca. Questa è la minaccia.

Sono perfettamente in grado di immaginare il riarmo della Germania per risolvere un problema economico, non per una reale aggressione. Ma il problema è che, se l’industria militare americana non è più una minaccia per i russi, una mobilitazione dell’industria tedesca per gli armamenti sarebbe un problema serio per i russi. Questa minaccia all’industria militare tedesca, se emergesse, potrebbe portare i russi ad applicare la loro nuova dottrina militare.

La Russia è sempre stata molto chiara, e spero che i nostri leader ne siano consapevoli: i russi sanno di essere meno potenti dell’Occidente, della NATO, a causa della loro piccola popolazione. Per questo hanno avvertito che se lo Stato russo fosse stato minacciato, si sarebbero riservati il diritto di usare attacchi nucleari tattici per eliminare la minaccia. Lo ripeto ancora una volta, perché l’irrealismo europeo su questo tema è un rischio.

In Francia, i giornalisti amano parlare di queste parole russe come di vanterie, di minacce vuote. Ma una delle caratteristiche dei russi è che fanno quello che dicono di fare. Lo ripeto: se la Germania dovesse emergere come attore principale nella sfera industriale-militare, l’Europa rischierebbe di uscire dai binari in modo drammatico e completo.

Questo è il maggiore elemento di incertezza della situazione attuale. Aggiungerei una preoccupazione personale. La Germania può scegliere tra la pace e la guerra, tra una scelta buona e una cattiva. Da storico, non ricordo che la Germania abbia mai fatto la scelta giusta.

Ma questo è un commento personale. Passo ora a quello che per me rimane l’argomento più importante, l’esperienza. Trump.

Stati Uniti: il pozzo senza fondo?

L’esperienza di Trump è affascinante, e vorrei chiarire che non sono una di quelle élite occidentali che disprezzano Trump, che nel 2016 pensavano che Trump non potesse essere eletto. All’epoca tenevo una conferenza e dicevo che Trump aveva una visione corretta della sofferenza nel cuore dell’America, nelle regioni industriali devastate, con un aumento dei tassi di suicidio e del consumo di oppioidi, in questa America distrutta dal sogno imperiale. (Alla fine del sistema sovietico, anche la Russia era più in difficoltà al centro che alla periferia). Ho sempre trovato che nel trumpismo ci fossero una diagnosi ragionevole ed elementi ragionevoli.

Vi ricordo i principali. Il protezionismo, l’idea di proteggere l’industria americana o di ricostruirla, è una buona idea. Ho avuto l’opportunità, 4 anni fa, di scrivere una recensione molto favorevole del libro di un intellettuale americano chiamato Oren Cass, The Once and Future Worker, che ho descritto come la versione civile ed elegante del Trumpismo e del protezionismo. È un uomo il cui nome si vede sempre più spesso in questi giorni. È una persona molto stimabile e interessante, molto più stimabile e interessante di molti intellettuali o politici francesi.

Penso anche che il controllo dell’immigrazione che Trump vuole, anche se lo esprime in modo troppo violento, sia legittimo.

E per concludere con un’allegra nota positiva (non è un gioco di parole), direi che l’idea di Trump che ci siano solo due sessi nella razza umana, uomini e donne, mi sembra perfettamente ragionevole, e di fatto condivisa dall’intera umanità fin dalle sue origini, con la recente eccezione di alcuni segmenti culturali nel mondo occidentale.

Questo per quanto riguarda la parte positiva, ma ora cercherò di dire rapidamente perché non credo che l’esperimento Trump possa avere successo. L’esperimento di Trump combina dimensioni ragionevoli con elementi di nichilismo che avevo già percepito nell’amministrazione Biden. Non saranno gli stessi elementi di nichilismo, ma saranno altre tendenze, impulsi di autodistruzione, senza scopo, che trovano la loro fonte in un disordine molto profondo nella società americana.

Non credo che la politica protezionistica di Trump sia ponderata. Non sono scioccato dall’idea di aumentare bruscamente le tariffe del 25%. (Siamo saliti molto di più dall’inizio di questa conferenza) Si potrebbe chiamare terapia d’urto. Se vogliamo uscire dal mondo globalizzato, dobbiamo farlo in modo violento. Ma non si è riflettuto, non si è riflettuto sui settori interessati, e a volte mi chiedo se questo aumento delle tariffe, sia un progetto positivo o un desiderio di distruggere tutto che sarebbe nichilista.

Ho lavorato sul protezionismo. Ho fatto ripubblicare in Francia l’opera classica sul protezionismo, Il sistema nazionale di economia politica di Friedrich List, il grande autore tedesco della prima metà del XIX secolo. Una politica protezionistica deve dare allo Stato un ruolo nel contribuire allo sviluppo delle industrie che vogliamo lanciare o rilanciare. Ma nella politica di Trump c’è un attacco allo Stato federale, un attacco agli investimenti federali. Tutto questo va contro l’idea di un protezionismo efficace o intelligente.

Inoltre, quando i repubblicani parlano di lotta contro lo Stato federale, quando vedo Elon Musk che vuole epurare lo Stato federale, non vedo cose fondamentalmente economiche.

Quando si pensa agli Stati Uniti, alle passioni americane, quando non si capisce cosa sta succedendo negli Stati Uniti, bisogna sempre pensare alla questione razziale, all’ossessione per i neri. La lotta contro lo Stato federale negli Stati Uniti non è una politica economica, è una lotta contro le cosiddette politiche DIE, “diversità, inclusione, uguaglianza”. È una lotta contro i neri: licenziare gli agenti federali significa licenziare un numero proporzionalmente maggiore di neri. Lo Stato federale proteggeva i neri e garantiva loro un lavoro. Il trumpismo di Musk è anche un tentativo di distruggere la classe media nera.

Al di là di questo, uno dei problemi del protezionismo di Trump e del suo tentativo di rifocalizzarsi sulla nazione è l’assenza negli Stati Uniti di una nazione in senso europeo.

È un argomento di cui è molto facile parlare a Budapest. Se c’è qualcuno che sa cos’è una nazione, sono gli ungheresi. Il sentimento nazionale ungherese è il più chiaro e inequivocabile che abbia mai visto in Europa, e lo si può percepire oggi nella politica molto indipendente del governo ungherese nei confronti dell’Unione Europea.

Ma anche i francesi, con le loro élite che si considerano globali e disincarnate, sono fondamentalmente una nazione etnica. C’è un modo di essere francesi che risale a centinaia o migliaia di anni fa.

È lo stesso per i tedeschi, è lo stesso per ciascuno dei popoli scandinavi. Le nazioni europee hanno una profondità storica e morale che le rende nazioni in grado di riemergere.

L’America è diversa. L’America era una nazione civica. C’era un nucleo centrale dirigente che le dava coerenza, che era il nucleo dei WASP, cioè dei protestanti bianchi anglosassoni, che, anche quando non erano più in maggioranza, gestivano il Paese. Ma una delle caratteristiche degli ultimi 30 o 40 anni è stata la scomparsa di questo nucleo centrale e la trasformazione dell’America in una società altamente frammentata.

Mi descrivo come un patriota pacifico, per nulla aggressivo. Un patriottismo radicato nella storia è una risorsa economica per una società in difficoltà. È qualcosa che è ovviamente accessibile agli ungheresi, ai tedeschi, ai francesi, ma non sono sicuro che gli Stati Uniti abbiano questa risorsa.

Concludo questo esame pessimistico delle possibilità di Trump con qualcosa di meno metafisico, meno antropologico: la capacità produttiva. Se si vuole ricostruire un’industria dietro le barriere tariffarie, bisogna essere in grado di costruire macchine utensili. Le macchine utensili sono l’industria dell’industria. Oggi parleremmo meno di macchine utensili e più di robot industriali. Ma per l’America è già troppo tardi. Nel 2018, il 25% delle macchine utensili è stato prodotto dalla Cina, il 21% dal mondo germanofono in senso lato, ovvero Germania, Svizzera tedesca e Austria, e il 26% dal blocco dell’Asia orientale, ovvero Giappone, Corea e Taiwan. Gli Stati Uniti, con il 7% della produzione di macchine utensili, erano alla pari con l’Italia. Non voglio essere antiamericano, ma la Francia è ancora più in basso. Non posso dire quale sarà il destino della Francia in questo senso.

Penso che sia un po’ tardi e se dovessi scommettere sull’esperimento di Trump, direi che fallirà.

Possiamo quindi immaginare un’America smarrita che torna in guerra perché la Germania sembra pronta a fare la sua parte nella produzione di beni militari e perché i russi sembrano troppo intrattabili. Penso che il desiderio di Trump di uscire dalla guerra sia sincero. Penso che Trump preferirebbe la guerra civile alla guerra internazionale, se fosse una sua scelta. Ma l’America non ha le risorse per tornare a essere una normale potenza industriale. L’America era un impero e tutta la produzione industriale più importante si trova alla periferia dell’impero, in Asia orientale, in Germania e nell’Europa orientale. Il cuore industriale dell’America è vuoto e non credo che con i pochi ingegneri che produce, con le poche macchine utensili che produce, l’America possa riprendersi.

Vedo che ho superato i miei 25 secondi, ma vorrei dire un’ultima parola che per me è molto importante e che esprime un’angoscia personale. Qualcosa che non posso giustificare, ma che mi preoccupa, che mi perseguita.

L’America era la parte più avanzata del mondo. Ne sono molto consapevole. La famiglia di mia madre era rifugiata negli Stati Uniti durante la guerra. L’America è stata un rifugio sicuro per la mia famiglia, poiché una parte della mia famiglia era di origine ebraica. Il padre di mio padre divenne cittadino americano: era un ebreo viennese, il cui padre era un ebreo di Budapest.

L’America era l’apice della civiltà e io vedo questo apice della civiltà crollare. Vedo che produce fenomeni di una brutalità e di una volgarità che io stesso, figlio della borghesia parigina, faccio fatica ad accettare. Penso all’abominevole spettacolo di Trump davanti a Zelinski… vedo una caduta morale.

Ma questa è la seconda volta nella storia che il mondo occidentale vede la caduta morale del paese che ne è la componente più avanzata.

All’inizio del XX secolo la Germania era il Paese più avanzato del mondo occidentale. Le università tedesche erano all’avanguardia nella ricerca. E abbiamo visto la Germania crollare nel nazismo. E uno dei motivi per cui non siamo riusciti a impedire il nazismo è che era inimmaginabile che il Paese più avanzato dell’Occidente producesse un tale abominio.

Il mio vero timore in questo momento, al di là di tutti gli elementi razionali (e ammetto di non avere prove, ho detto che oggi dobbiamo essere umili di fronte alla storia, che tutto quello che sto dicendo potrebbe essere sbagliato tra due mesi, tra una settimana), il mio vero timore in questo momento è che gli Stati Uniti siano sul punto di produrre cose per noi inimmaginabili, minacce terribili, che saranno abominevoli perché non riusciamo nemmeno a immaginarle.

Grazie mille.

“Siamo sull’orlo di un ribaltamento del mondo”. Con Emmanuel Todd, su “Le Point”

“Siamo sull’orlo di un ribaltamento del mondo”.

Sconvolgente. Lo storico che aveva previsto la caduta dell’URSS molto prima del tempo prevede ora “la sconfitta dell’Occidente”, titolo del suo nuovo libro.

INTERVISTA DI SAÏD MAHRANE
Un libro che scuote le certezze, irrita per i suoi eccessi e sfida per il suo lavoro antropologico è sempre un libro che può interessare Le Point. Soprattutto quando l’autore è Emmanuel Todd, demografo, storico e sociologo. Una delle sue imprese editoriali è stata l’annuncio, nel 1976, in La Chute finale (La caduta finale), della disgregazione dell’URSS vista nell’indice di mortalità infantile. Quarantasette anni dopo In quello che dice essere il suo ultimo libro (“laboucle est bouclée”), prevede La Défaite de l’Occident (La sconfitta dell’Occidente) (Gallimard) nel contesto del conflitto in Ucraina. L’autore non dichiara la vittoria della Russia di Putin, ma alcuni leggendo il suo libro non riusciranno a liberarsi da questa idea. A suo avviso, le ragioni di questo declino sono molteplici: la fine dello Stato-nazione; il declino dell’industria, quel tipo di industria che permette di produrre le armi fornite all’Ucraina; lo “stato zero” della matrice religiosa, in primo luogo il protestantesimo; l’aumento della mortalità infantile negli Stati Uniti, ecc. (più alto che in Russia), così come i suicidi e gli omicidi. La consapevolezza di questo declino porterebbe a un “nichilismo” che troverebbe la sua espressione in guerre e violenze. D’altra parte, nonostante le sanzioni occidentali, la Russia ha “un’economia e una società stabilizzate”, afferma Todd. Il principale handicap della Russia sarebbe il suo tasso di fertilità, da cui l’urgenza per Putin di vincere la guerra entro cinque anni. Su questo sfondo contrastante, l’autore mira a convincerci che l’aggressore russo è in realtà l’aggredito, e che l’imperialismo di Putin è solo un sovranismo difensivo di fronte a una NATO offensiva. Da buon sportivo, ha accettato di concedere a Le Point – un giornale europeo e liberale – la sua prima intervista, che è stata a volte tesa, ma sempre istruttiva.


Le Point: In “La Chute finale” (1976), lei ha previsto il declino dell’URSS, basandosi in particolare sul tasso di mortalità infantile. Su quali prove si basa questa affermazione?
Emmanuel Todd: Le cose vanno considerate su due livelli. C’è il livello economico che stiamo osservando attualmente. In altre parole, la globalizzazione ha reso l’Occidente in generale e gli Stati Uniti in particolare incapaci di produrre le armi necessarie all’Ucraina. Dedico un intero capitolo al crollo dell’economia americana, in cui dimostro la natura ampiamente fittizia del suo prodotto interno lordo con l’aggravarsi della crisi economica.
Dimostro anche che gli Stati Uniti hanno un enorme deficit commerciale. Dimostro anche che gli Stati Uniti producono meno ingegneri della Russia. Credo che sia la capacità di produrre dollari a costo zero a impedire la ripresa dell’industria americana.
Qual è il secondo livello?
È molto più profondo, ed è ciò che è completamente nuovo nella mia analisi. È il crollo di ciò che ha fatto crescere l’Occidente, e in particolare il mondo angloamericano, cioè il protestantesimo con i suoi valori di lavoro e disciplina sociale. Noto che l’evaporazione del protestantesimo negli Stati Uniti, in Inghilterra e nel mondo protestante nel suo complesso ha cancellato ciò che costituiva la forza e la specificità dell’Occidente. La variabile centrale è la dinamica religiosa. Dopo lo stato attivo e poi “zombie”, si può parlare di uno stato zero della religione dell’Occidente. Uso la data del matrimonio omosessuale come indicatore finale del passaggio dallo stadio “zombie” della religione allo stadio zero.
Putin è consapevole dello stato zero della religione in Occidente?
Ho cercato di analizzare il suo discorso. E ho cercato di capire l’atteggiamento del resto del mondo nei confronti dell’Occidente. Se si guarda all’entourage di Joe Biden, si vede un gruppo di leader che non sono più associati da alcun sistema collettivo di credenze protestanti.
A questo proposito, si nota una sovrarappresentazione di neri ed ebrei nel gabinetto di Biden, che è un cattolico di origine irlandese.

Perché partire dall’etnia per spiegare un orientamento geopolitico?
La mia analisi è più dettagliata. Vedo che la matrice protestante è scomparsa ai vertici del potere americano. Quello che penso di poter apportare come storico è una vera e propria accettazione delle dinamiche del protestantesimo in Occidente. Il protestantesimo “zombie” degli Stati Uniti è stato la Grande America, da Roosevelt a Eisenhower, un’America che ha conservato tutti i valori positivi del protestantesimo, la sua efficacia educativa, il suo rapporto con il lavoro, la sua capacità di integrare l’individuo nella comunità.
Già nel 2002, in “Aprèsl’empire” (Gallimard), lei constatava il declino dell’America…
L’ho scritto in un momento in cui tutti si entusiasmavano per l’iperpotenza americana. Da allora c’è stato un riflusso. In Dopo l’impero, come in La caduta finale, seguo un modello razionalista di geopolitica. Personalmente, non credo che nessun obiettivo di potere sia completamente ragionevole. Non mi piace la guerra, ma la logica statale, il potere, il denaro e le risorse naturali possono essere considerati obiettivi razionali. Ne “La sconfitta dell’Occidente” integro anche le profondità irrazionali e religiose dell’esistenza umana. Il libro si interroga sulla natura di una dinamica geopolitica all’interno della prima potenza mondiale, che sta perdendo il senso dell’orientamento religioso e sta sperimentando un aumento della mortalità, in particolare negli Stati dell’interno repubblicano o troumpista. La novità è che il Paese sta virando verso il nichilismo e la divinizzazione del nulla. Parlo di nichilismo nel senso di desiderio di distruzione, ma anche di negazione della realtà. Non ci sono più tracce di religione, ma l’essere umano è ancora lì. Si confronta ancora con la domanda sul significato dell’esistenza umana.
Il numero di omicidi e di assassini è in aumento (più alto che in Russia). La presa di coscienza di questo riflusso porterebbe a un “nichilismo” che troverebbe espressione nella guerra e nella violenza. D’altra parte, nonostante le sanzioni occidentali, la Russia ha “un’economia e una società stabilizzate”, afferma Todd. Il principale handicap della Russia sarebbe il suo tasso di fertilità, da cui l’urgenza per Putin di vincere la guerra entro cinque anni.

Tuttavia, è chiaro che la distruzione del febbraio 2022 è avvenuta da parte russa. Non ci verrebbe mai in mente di mettere sotto processo gli americani in prima istanza…
Sono molto consapevole del fatto che c’è lo shock della guerra. La Russia è entrata in guerra. Capisco che la gente veda solo questo, perché c’è una violenza nella guerra che rende impossibile porsi domande sulla dinamica generale dei sistemi. E la realtà di questa dinamica è che la mortalità infantile russa è ora molto più bassa di quella americana! È la società russa che sta progredendo, anche se l’aspettativa di vita – retaggio del regime sovietico – rimane bassa per gli uomini russi. Ho guardato l’intero campo e mi sono detto:
“No, l’instabilità del sistema non è dove si trova la guerra, ma nel cuore del sistema occidentale. Attenzione: la sconfitta dell’Occidente non è la vittoria della Russia. L’Occidente sta sconfiggendo se stesso.
Tuttavia, è difficile vedere un legame diretto tra questa crisi americana e il conflitto in Ucraina. È come se lei cercasse di mettere in relazione due argomenti nel suo libro…
Credo che la gente abbia una visione molto esagerata di ciò che sono gli Stati Uniti e di ciò che possono fare.
Penso che la gente abbia una visione molto esagerata di ciò che sono gli Stati Uniti e di ciò che è il pensiero geopolitico americano da un punto di vista intellettuale. Mi imbarazza dirlo, ma gli ideologi neoconservatori che circondano Biden e Trump sono mediocri. Nel mio libro, inizio la storia con il crollo dell’Unione Sovietica, che è stato male interpretato. Si è trattato di un processo endogeno legato allo sviluppo della Russia, che ho compreso dall’aumento della mortalità infantile e dal calo della fertilità. Il crollo dell’Unione Sovietica ha mascherato il fatto che nel 1965 gli Stati Uniti avevano intrapreso un declino industriale e intellettuale. È questo paradosso dell’espansione occidentale innescata dal crollo del pilastro sovietico che ha cercato di isolare la Russia, in un momento in cui il cuore del sistema sta crollando. Lo scopriamo oggi con gli americani intrappolati in Ucraina. La loro industria non riesce più a tenere il passo e li vediamo costretti ad andare alla ricerca di proiettili calibro 155.
Il divario fondamentale tra noi non è forse che lei vede Putin come un sovranista quando invece è un imperialista?
Ho letto i testi di Putin. So cosa interessa ai russi. Sono un demografo. È una materia che mi impedisce di dire sciocchezze. Quando vediamo che la popolazione della Russia è solo leggermente superiore a quella del Giappone, non possiamo cadere nel delirio generale. Questo Paese ha 17 milioni di chilometri quadrati! Come potrebbero i russi voler espandere il loro territorio?
La dinamica espansionistica vale anche per Xi ed Erdogan, in nome della nostalgia o della legittimità storica…
Bene, se questa paura fosse stata logica e sincera, avremmo dovuto cercare un accordo con la Russia. Il Paese che avrebbe potuto permettere all’Occidente di mantenere la sua preminenza è la Russia, se fosse stata integrata.
Schröder e Chirac hanno cercato di “ancorare” la Russia all’Europa negli anni 2000…
Sì, ma questo è stato spezzato dagli americani. Evitare il riavvicinamento tra Germania e Russia era uno degli obiettivi americani. Questo riavvicinamento avrebbe significato l’espulsione degli Stati Uniti dal sistema di potere europeo. Gli americani hanno preferito distruggere l’Europa piuttosto che salvare l’Occidente. La NATO sta già perdendo questa guerra. Credo che il gioco della Germania sia molto più sottile di quanto si pensi, perché le masse industriali, demografiche e sociologiche in Europa sono stabili. Alla fine, Russia e Germania troveranno un’intesa.
La pace sarà ristabilita. La storia dirà se sono l’erede di Marx e Webercombined o di Woody Allen – che già non è male.
Per Putin, essere russofoni significa essere russi. In base a questo principio, l’Ungheria potrebbe invadere parte della Serbia o della Romania con la motivazione di voler proteggere le minoranze di lingua magiara…
Questo è un dibattito morale. Non mi interessa. Quando leggo La Guerre des Gaules, non mi chiedo se Giulio Cesare sia un uomo buono o cattivo.
I russi stessi agiscono secondo un loro codice morale. Putin ha spiegato che la popolazione russofona del Donbass, che vive sotto il giogo dei “nazisti” di Kiev, deve essere riportata nell’ovile russo… È razionale?
Sto facendo un’analisi dettagliata della concezione russa della sovranità delle nazioni. I leader russi non avrebbero mai pensato che questa dottrina della sovranità si applicasse all’Ucraina. C’è un articolo di Putin, del luglio 2021, sui legami storici con l’Ucraina, la differenza tra la nuova Russia e la piccola Russia. Ma ciò che mi interessa, e che mi permette di spiegare la facile avanzata delle forze russe nel sud dell’Ucraina e quella più difficile nel nord del Paese, è il dualismo ucraino-russo. Quello che nessuno avrebbe potuto prevedere è la fuga della classe media russofona verso la Russia. L’Ucraina russofona ha perso la sua classe media, la sua spina dorsale organizzativa e strutturante. Queste persone hanno potuto scegliere tra i nazionalisti ucraini che volevano sradicare la loro lingua e una Russia in ripresa economica.
Riesce a sentire le argomentazioni giuridiche, cioè il diritto internazionale, a cui la Russia da tempo sostiene di essere legata?
La Russia e Putin sono considerati responsabili di questa guerra dal 99,99% dei commenti ufficiali in Occidente. Il lavoro è fatto. Non c’è bisogno che lo dica io.
Riconoscete che il diritto internazionale è stato violato.
Non sono tenuto a riconoscerlo o a non riconoscerlo. Ho la mia competenza, che è quella di uno storico. I giornali mi hanno accusato di essere un agente del Cremlino – che ne dite di un complimento? Mi batto per mantenere l’Occidente pluralista. Se si guarda ai miei valori, sono i valori della verità e del pluralismo. Siamo in un mondo completamente putinofobico e russofobico, dove si è capito fin dall’inizio che tutta la colpa è della Russia. Sto presentando una visione storica. Riconosco che essa è, senza essere morale, radicalmente diversa.
Leggendo le sue parole viene quasi voglia di andare a vivere in Russia… Lei descrive il Paese come una “democrazia autoritaria”, un’affermazione audace se si pensa alla sorte delle minoranze, in particolare delle persone LGBT, e a quella dell’oppositore Navalny, che langue in prigione…
Accetto di andare dove volete portarmi e dove non volevo andare. Cosa hanno guadagnato gli ucraini denunciando sconsideratamente i russi e rifiutandosi di considerare le loro motivazioni? La distruzione della loro nazione, che l’Occidente sta per abbandonare. Il mio approccio spassionato avrebbe permesso di negoziare soluzioni intermedie. I discorsi unanimi e le ingiunzioni ideologiche e morali portano al disastro. Attribuisco al concetto di “autoritario” lo stesso peso di quello di “democrazia”. Tutti i politologi in Russia concordano sul fatto che i russi sostengono Putin.

Barometri della popolarità– diamo loro il merito dell’onestà… –non fanno una democrazia…
È una democrazia autoritaria. La democrazia liberale aggiunge il rispetto per le minoranze. Il mondo è sull’orlo di un punto di svolta e ciò che sta accadendo in Ucraina è abominevole. Che senso ha quindi litigare sulle parole? Avevo bisogno di concetti. “Oligarchia liberale nichilista” per l’Occidente e “democrazia autoritaria” per la Russia. Non sto nascondendo nulla sulle elezioni ragionevolmente truccate in Russia. Mi riferisco all’antropologia del Paese e a un persistente temperamento comunitario.
Allo stesso modo, lei sottolinea giustamente l’esistenza dell’antisemitismo in Ucraina, ma aggiunge che in Russia è praticamente inesistente…
Cito Vladimir Shlapentokh, un ebreo nato a Kiev. È stato uno dei fondatori della sociologia empirica in lingua russa in epoca brezneviana.
Di fronte all’antisemitismo del regime sovietico, è emigrato negli Stati Uniti e spiega che una delle particolarità del regime di Putin consiste nell’essere il primo regime russo della storia a non usare l’antisemitismo per governare. Tuttavia, non sono in grado di dire come siano i russi nel dettaglio. In Israele c’era quasi un milione di persone di origine russa, 100.000 delle quali sono tornate in Russia.
L’avete visto, come l’abbiamo visto noi, Putin ricevere Hamas dopo il 7 ottobre e Lavrov, il suo ministro degli Esteri, dire di Zelensky: “Anche Hitler aveva sangue ebraico”.
Io sono di origine ebraica. Sto solo cercando di capire perché i russi stanno vincendo questa guerra. I fatti mi danno ragione, anche se lei sta cercando di farmi passare per un mostro.
Niente affatto, sembra solo che tu stia applicando alla Russia quello che attribuisci agli altri per aver analizzato il caso dell’Ucraina…
Per quanto riguarda Gaza, ho scritto un post scriptum nel mio libro per mostrare come gli americani stiano esprimendo il loro nichilismo anche lì, inasprendo i conflitti. Non parlo molto di Israele. I russi hanno un problema di sopravvivenza nazionale a causa della loro bassa demografia; in questi casi, non scelgono i loro alleati. Churchill disse dopo l’invasione dell’Unione Sovietica: “Se Hitler invadesse l’inferno, farei almeno un riferimento favorevole al diavolo nella Camera dei Comuni”. Gli Stati Uniti stanno regalando alla Russia il loro atteggiamento del tutto irresponsabile nei confronti di Gaza. Ma i russi sono in imbarazzo, perché ora ci sono un importante elemento umano tra la popolazione israeliana e la Russia.
Gli ucraini dovrebbero temere il ritorno di Trump anche se, non dimentichiamolo, è stato lui ad iniziare ad armare l’Ucraina nel 2017?
Se gli occidentali si prendessero la briga di leggere il sito web della Tass, vedrebbero che per i russi non fa alcuna differenza. Perché la Russia è in guerra con l’America e non tiene conto dei cambi di governo.
Lei spiega che i Paesi dell’ex blocco sovietico hanno un debito con la Russia. Secondo lei, ci sono benefici positivi per una classe media che è cresciuta grazie alla “meritocrazia comunista”. Si può davvero parlare di “meritocrazia” in URSS?
Ciò che il protestantesimo e il comunismo hanno in comune è l’ossessione per l’istruzione. Il comunismo in Europa orientale ha sviluppato nuove classi medie. E sono state queste classi medie a dichiarare di essere la democrazia liberale in azione e che i russi erano dei mostri. Mi permetto, con ironia, di diagnosticare una certa inautenticità nell’atteggiamento delle classi medie dell’Europa dell’Est, perché sono le meritocrazie fabbricate dal comunismo che hanno portato i loro paesi nella NATO e hanno messo il loro proletariato nelle mani del capitalismo occidentale, trasformando i loro paesi in una periferia dominata, come avvenne tra il XVI e il XIX secolo.
Infine, nel tuo libro si parla poco della Francia: esistiamo ancora?
Faccio geopolitica, quindi non vedo la Francia. Se voglio dimostrare che la mia anima è pura, ho riportato l’Inghilterra al livello della Francia! Ma direi che per l’Inghilterra la cosa è più grave. La polverizzazione delle élite inglesi è terribile. L’Inghilterra è ancora meno potente della Francia. Gli inglesi non hanno realmente armi nucleari. Non sono nemmeno capaci di farsi odiare in Africa, come noi. Le classi dirigenti inglesi furono un modello per le classi dirigenti americane. L’attuale follia guerrafondaia degli inglesi ha sicuramente avuto una pessima influenza sugli americani§

ESTRATTI
LA SORPRESA UCRAINA
I russi stessi sono stati i più sorpresi dalla resistenza militare ucraina.
Nella loro mente, come in quella della maggior parte degli occidentali informati, e in realtà nella realtà, l’Ucraina era quello che tecnicamente si chiama uno Stato fallito,
in realtà, l’Ucraina era quello che tecnicamente viene definito uno Stato fallito,
Nel 1991, l’Ucraina aveva perso circa 11 milioni di abitanti a causa dell’emigrazione e del calo del tasso di fertilità.
tasso di fertilità. […] Era stata certamente equipaggiata con missili anticarro Javelin dalla NATO, e aveva
Quello che nessuno poteva prevedere è che l’Ucraina avrebbe trovato nella guerra una ragione di vita, una giustificazione per la propria esistenza.
IL NUOVO ASSE EUROPEO
All’inizio, l’Europa era la coppia franco-tedesca che, dalla crisi di 20072008, aveva certamente assunto l’aspetto di un matrimonio patriarcale, con la Germania come marito dominante che non ascoltava più ciò che la moglie aveva da dire. [Si è tagliata fuori dal suo partner energetico e (più in generale) commerciale russo, punendosi sempre più severamente. […] Abbiamo anche visto la Francia di Emmanuel Macron evaporare sulla scena internazionale, mentre la Polonia è diventata il principale agente di Washington nell’Unione europea, subentrando al Regno Unito, ora fuori dall’Unione grazie alla Brexit. Nel continente nel suo complesso, l’asse Parigi-Berlino è stato sostituito da un asse Londra-Varsavia-Kiev guidato da Washington. Questa evanescenza dell’Europa come attore geopolitico autonomo lascia perplessi, visto che Appena vent’anni fa, l’opposizione congiunta di Germania e Francia alla guerra in Iraq portò a conferenze stampa congiunte del Cancelliere Schröder, del Presidente Chirac e del Presidente Putin.

IL DECLINO DELL’INDUSTRIA AMERICANA
L’industria militare americana è carente; la superpotenza mondiale non è in grado di assicurare la fornitura di granate al suo protetto ucraino.
– per il suo protetto ucraino. Si tratta di un fenomeno straordinario se si considera che alla vigilia della guerra, il prodotto interno lordo (PIL) combinato di Russia e Bielorussia rappresentava il 3,3% del PIL occidentale (Stati Uniti, Canada, Europa, Giappone, Corea). Questo 3,3%, capace di produrre più armi del mondo occidentale, poneva un duplice problema: in primo luogo, per l’esercito ucraino, che stava perdendo la guerra per mancanza di risorse materiali; in secondo luogo, per la scienza occidentale dell’economia politica, la cui natura – oseremmo dire – fasulla veniva così rivelata al mondo.

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AL CUORE DEL NARCISISMO OCCIDENTALE: IL PROTESTANTISMO ZOMBIE, di Emmanuel Todd

AL CUORE DEL NARCISISMO OCCIDENTALE: IL PROTESTANTISMO ZOMBIE

rifiutare di vedere il mondo esterno permette di conciliare sentimento interiore di superiorità (l’elezione divina) e discorso universalista ufficiale

Gli storici della guerra in Ucraina si sorprenderanno un giorno dell’incapacità dell’Occidente di percepire il proprio isolamento. La Cina, l’India, l’Iran, la Turchia, il Sud Africa, l’Arabia Saudita e tanti altri (il 75% del pianeta) rifiutano di seguirci senza che noi smettiamo per altro di autodesignarci come “comunità internazionale”. Noi siamo il mondo nel momento in cui il mondo è esasperato per quello che percepisce come un conflitto tra Europei Occidentali (noi) e Orientali (i Russi). Peggio, nella pratica, questo “noi” si restringe. Il suo cuore storico, la sfera protestante, riappare sconvolto. Per Max Weber l’ascesa dell’Occidente si identificava con quella del protestantesimo e dei suoi valori economici impliciti (l’etica protestante e lo spirito del capitalismo). Certo, la credenza calvinista o luterana ha finito per scomparire per raggiungere intorno al 2020, anche negli Stati Uniti, una sorta di punto zero. Sussistono tuttavia delle tracce mentali, essenziali per comprendere gli attuali rapporti internazionali. Il narcisismo culturale è uno degli elementi di questo protestantesimo zombie.

Osserviamo per cominciare il ribaltamento protestante dell’Europa. Il progetto europeo è stato ispirato per lungo tempo dalla democrazia cristiana, quindi cattolica, centrata sull’Italia, sulla Francia e su una Germania allora priva del suo Est luterano. La riunificazione ha restituito alla Repubblica Federale il proprio statuto di paese a maggioranza protestante. Chi sono, per tanto, oggi i fautori  più dinamici della “comunità internazionale” (accantonando la Polonia e la Lituania la cui rossofobia è ontologica)? L’Inghilterra, fornitrice di carri armati Challenger e di nissili Storm Shadow è stata calvinista. I Paesi Bassi, fornitori di F16, sono stati calvinisti. La Norvegia, che ha dato alla NATO il suo Segretario, Jens Stoltenberg e ha partecipato, secondo il giornalista investigativo Seymour Hersh, al sabotaggio del North Stream, è stata luterana. La Svedia, che ferve d’impazienza alle porte della NATO, altrettanto luterana, come d’altronde la Finlandia, già accolta. Estoni e Lettoni sono luterani.

Vediamo ora come questo protestantesimo zombi dominante consente alla “comunità internazionale, di ignorare il proprio isolamento.

Il protestantesimo era costituito da due componenti fondamentali.  La prima, terrestre, egalitaria, rivendicava l’accesso diretto di ciascuno a Dio e l’accesso di tutti alle Sacre Scritture per l’apprendimento della lettura. Una precoce alfabetizzazione di massa spiega (molto meglio che la tesi di Weber) il decollo dell’Europa del Nord e dell’anglosfera. La seconda componente, metafisica, era non egualitaria: la predestinazione, per quanto attenuata dai calvinisti olandesi, poi inglesi, stabiliva gli eletti e i dannati. Questo dogma dell’elezione divina ha nutrito un ideale nazionale precoce e feroce. L’adesione al protestantesimo fu d’altronde separazione dall’universale romano. I primi narcisismi nazionali furono protestanti nei Paesi Bassi sollevatisi contro la Spagna, nell’Inghilterra rivoluzionaria di Cromwell. L’eccezionalismo americano seguirà. L’inegualitarismo protestante è stato soprattutto il sostrato di due razzismi spettacolari. L’antisemitismo tedesco deve molto al luteranesimo correlazione geografica molto forte con il voto neonazista  nel 1932). La negrofobia americana è ancorata nell’inegualitarismo calvinista (che per altro immunizza contro l’antiseminitismo violento perché un lettore della Bibbia s’identifica con Israele). Cosa resta di queste componenti terrestri e metafisici con le chiese ormai vuote?

Il dinamismo educativo protestante sembra estinto (salvo forse in Finlandia). Si misura infatti in tante nazioni protestanti cadute di quoziente intellettuale medio (questo dubbio indicatore riflette la familiarità con lo scritto). Ma l’ideale di ineguaglianza degli uomini e dei popoli resta in vita. È stato preservato, ampliato senza dubbio, dall’educazione superiore che ha prodotto personale di basso livello ma dalla grande autostima. Nel dominio internazionale, Stati Uniti a parte, una nazione non ha più diritto di riconoscersi superiore. Ma rifiutare di vedere il mondo esterno permette di conciliare sentimento interiore di superiorità (l’elezione divina) e discorso universalista ufficiale. Questa non è che una ipotesi. Quale che sia il dettaglio della spiegazione, sono sicuro che l’etnocentrismo protestante zombie è al cuore del narcisismo occidentale.

https://www.marianne.net/agora/humeurs/emmanuel-todd-le-protestantisme-zombie-est-au-cour-du-narcissisme-occidental

Emmanuel Todd: ‘La Terza Guerra Mondiale è iniziata’

Se guardiamo i voti dall’ONU, vediamo che il 75% del mondo non segue l’Occidente, che così appare piccolissimo. Vediamo che questo conflitto, descritto dai media come conflitto di valori politici, è un più profondo conflitto di valori antropologici.

Intervista a cura di Alexandre Devecchio a Emmanuel Todd su “Le Figaro”.

Grande intervista – Emmanuel Todd è antropologo, storico, saggista, prospettivista, autore di numerose opere. Molte di esse, come “La caduta finale”, “Illusione economica” o “Dopo l’impero”, sono diventati classici delle scienze sociali. Il suo ultimo lavoro, “La terza guerra mondiale”, è apparso nel 2022 in Giappone e ha venduto 100.000 copie.

Pensatore scandaloso per alcuni, intellettuale visionario per altri, “Rebelle Destroy” con le sue stesse parole, Emmanuel Todd non lascia indifferente. L’autore de “La caduta finale”, che ha previsto nel 1976 il crollo dell’Unione Sovietica, era rimasto discreto in Francia sulla questione della guerra in Ucraina. L’antropologo ha finora riservato la maggior parte dei suoi interventi al pubblico giapponese, perfino pubblicando nell’arcipelago un titolo provocatorio: “La terza guerra mondiale è già iniziata”. Per “Le Figaro”, descrive in dettaglio la sua tesi iconoclasta. […]

Oltre allo scontro militare tra Russia e Ucraina, l’antropologo insiste sulla dimensione ideologica e culturale di questa guerra e sull’opposizione tra l’Occidente liberale e il resto del mondo che ha acquisito una visione conservatrice e autoritaria. I più isolati non sono, secondo lui, quelli che sono ritenuti tali.

Le Figaro. – Perché pubblicare un libro sulla guerra in Ucraina in Giappone e non in Francia?

Emmanuel Todd. – I giapponesi sono altrettanto anti-russi quanto gli europei. Ma sono geograficamente lontani dal conflitto, quindi non c’è un vero senso di urgenza, non hanno la nostra relazione emotiva con l’Ucraina. E lì, non ho affatto lo stesso status. Qui, ho l’assurda reputazione di essere un ribelle iconoclasta, mentre in Giappone sono un antropologo, uno storico e geopolitico rispettato, che si esprime in tutti i grandi giornali e riviste e di cui tutti i libri sono pubblicati. Laggiù posso esprimermi in un’atmosfera serena, cosa che ho fatto dapprima su delle riviste, e poi pubblicando questo libro, che è una raccolta di interviste. Quest’opera si chiama “La terza guerra mondiale è già iniziata, con 100.000 copie vendute ad oggi.

È ovvio che il conflitto, nel passare da una limitata guerra territoriale a uno scontro economico globale, tra tutto l’Occidente da una parte e la Russia sostenuta dalla Cina dall’altra parte, è divenuto una guerra mondiale.

Perché questo titolo?

Perché è la realtà, la Terza Guerra mondiale è iniziata. È vero che ha iniziato “in piccolo” e con due sorprese. Si è partiti in questa guerra con l’idea che l’esercito della Russia fosse molto potente e che la sua economia fosse molto debole. Si credeva che l’Ucraina sarebbe stata schiacciata militarmente e che la Russia sarebbe stata schiacciata economicamente dall’Occidente. Tuttavia, è accaduto il contrario. L’Ucraina non è stata schiacciata militarmente anche se ha perso il 16% del suo territorio ad oggi; La Russia non è stata schiacciata economicamente. Mentre le parlo, il rublo ha preso l’8% rispetto al dollaro e il 18% rispetto all’euro dalla vigilia dell’ingresso in guerra.

Quindi c’è stata una sorta di malinteso. Ma è ovvio che il conflitto, nel passare da una guerra territoriale limitata a uno scontro economico globale, tra l’intero Occidente da un lato e la Russia sostenuta dalla Cina dall’altro, è diventato una guerra globale. Anche se le violenze militari sono più deboli rispetto a quelle delle precedenti guerre mondiali.

Non starà mica esagerando? L’Occidente non è direttamente impegnato militarmente …

Forniamo comunque armi. Uccidiamo i russi, anche se non ci esponiamo in prima persona. Ma resta il fatto che noi, europei, siamo principalmente impegnati economicamente. Sentiamo d’altronde sopraggiungere il nostro vero ingresso in guerra attraverso l’inflazione e le penurie.

Putin ha commesso un grosso errore all’inizio, che presenta un immenso interesse socio-storico. Coloro che lavoravano sull’Ucraina alla vigilia della guerra consideravano questo paese non tanto come una democrazia emergente, quanto come una società in decomposizione e uno “stato fallito” in divenire. Ci si chiedeva se l’Ucraina avesse perso 10 o 15 milioni di abitanti dalla sua indipendenza. Non possiamo decidere in proposito perché l’Ucraina non fa più censimenti dal 2001, classico segno di una società che ha paura della realtà. Penso che il calcolo del Cremlino fosse che questa società in decomposizione sarebbe crollata nel primo shock, o avrebbe addirittura detto “Benvenuta mamma” alla Santa Russia. Ma ciò che è stato scoperto, al contrario, è che una società in decomposizione, se è alimentata da risorse finanziarie e militari esterne, può trovare in guerra un nuovo tipo di equilibrio e persino un orizzonte, una speranza. I russi non potevano prevederlo. Nessuno poteva.

Ma non è che i russi hanno sottovalutato, nonostante lo stato di autentica decomposizione della società, la forza del sentimento nazionale ucraino, e persino la forza del sentimento europeo di sostegno verso l’Ucraina? E lei stesso non la sottovaluta?

Non lo so. Ci lavoro, ma lo faccio in veste di ricercatore, vale a dire ammettendo che ci sono cose che non si sanno. E per me, stranamente, uno dei campi su cui ho troppo poche informazioni per esprimermi è l’Ucraina. Potrei dirle, sulla fede degli antichi dati, che il sistema familiare della piccola Russia era nucleare, più individualistico del sistema Grande Russo, che era più comunitario, collettivista. Questo, posso dirglielo, ma che cosa sia diventata l’Ucraina, con enormi movimenti della popolazione, un’auto-selezione di alcuni tipi sociali attraverso il rimanere in loco o l’emigrare prima e durante la guerra, non posso dirglielo, non lo sappiamo per il momento.

Uno dei paradossi che devo affrontare è che la Russia non mi pone problemi di comprensione. È qui che sono più fuori passo rispetto al mio ambiente occidentale. Capisco l’emozione di tutti, è mi risulta doloroso parlare come uno storico freddo. Ma quando pensiamo a Giulio Cesare che cattura Vercingetorige ad Alesia, portandolo poi a Roma per celebrare il suo trionfo, non ci si chiede se i romani fossero cattivi o carenti di valori. Oggi, in emozione, in sintonia con il mio paese, posso vedere l’ingresso dell’esercito russo nel territorio ucraino, bombardamenti e morti, distruzione di infrastrutture energetiche, ucraini che crepano di freddo per tutto l’inverno. Ma per me, il comportamento di Putin e dei russi è leggibile altrimenti e vi dirò in che modo.

Tanto per cominciare, ammetto di essere stato preso alla sprovvista all’inizio della guerra, non ci credevo. Oggi condivido l’analisi del geopolitico “realista” americano John Mearsheimer. Quest’ultimo ha fatto la seguente osservazione: ci dicevano che l’Ucraina, il cui esercito era stato preso in mano dai soldati della NATO (americani, britannici e polacchi) almeno dal 2014, era quindi membro di fatto della NATO e che i russi avevano annunciato che non avrebbero mai tollerato un’Ucraina membro della NATO. Questi russi fanno quindi, (come Putin ci ha spiegato il giorno prima dell’attacco) una guerra che dal loro punto di vista è difensiva e preventiva. Mearsheimer ha aggiunto che non avremmo motivo di rallegrarci di qualsiasi difficoltà dei russi perché, poiché per loro si tratta una questione esistenziale, quanto più questa dovesse risultare dura, tanto più loro colpirebbero con forza. L’analisi sembra essersi verificata. Aggiungerei un complemento e una critica all’analisi di Mearsheimer.

Questa guerra è quindi diventata esistenziale per gli Stati Uniti. Non più della Russia, non possono ritirarsi dal conflitto, non possono mollare. Questo è il motivo per cui stiamo ormai dentro una guerra infinita, dentro uno scontro il cui risultato deve essere il crollo dell’uno o dell’altro.

I quali?

Per il complemento: quando si dice che l’Ucraina era di fatto membro della NATO, non si va abbastanza lontano. La Germania e la Francia erano diventate da parte loro partner minori della NATO e non erano a conoscenza di ciò che si tramava in Ucraina a livello militare. Abbiamo criticato l’ingenuità francese e tedesca perché i nostri governi non credevano nella possibilità di un’invasione russa. Certo, ma perché non sapevano che americani, britannici e polacchi potevano consentire all’Ucraina di poter condurre una guerra allargata. L’asse fondamentale della NATO ora è Washington-Londra-Varsavia-Kiev.

Ora la critica: Mearsheimer, da buon americano, sopravvaluta il suo paese. Ritiene che, se per i russi la guerra ucraina è esistenziale, per gli americani è fondamentalmente solo un “gioco” di potere tra gli altri. Dopo il Vietnam, l’Iraq e l’Afghanistan, una disfatta in più o in meno…. Cosa importa? L’assioma di base della geopolitica americana è: “Possiamo fare quello che vogliamo perché siamo al sicuro, lontani, tra due oceani, non ci succederà mai nulla”. Niente sarebbe esistenziale per l’America. Analisi insufficiente che ora porta Biden a una fuga in avanti. L’America è fragile. La resistenza dell’economia russa spinge il sistema imperiale americano verso il precipizio. Nessuno aveva previsto che l’economia russa avrebbe tenuto testa al “potere economico” della NATO. Credo che i russi stessi non lo avessero anticipato.

Se l’economia russa resistesse alle sanzioni indefinitamente e riuscisse a esaurire l’economia europea, laddove essa rimanesse in campo, sostenuta dalla Cina, il controllo monetario e finanziario americano del mondo crollerebbe e con esso la possibilità per gli Stati Uniti di finanziare il proprio enorme deficit commerciale dal nulla. Questa guerra è quindi diventata esistenziale per gli Stati Uniti. Così come la Russia, non possono ritirarsi dal conflitto, non possono mollare. Questo è il motivo per cui ora siamo in una guerra infinita, in uno scontro il cui risultato deve essere il crollo dell’uno o dell’altro. Cinesi, indiani e sauditi, tra gli altri, esultano.

Ma l’esercito russo sembra ancora in una brutta posizione. Alcuni arrivano perfino a prevedere il crollo del regime, lei non ci crede?

No, all’inizio sembra esserci stata, in Russia, un’esitazione, ovvero la sensazione di essere stati abusati, di non essere stati avvertiti. Ma lì, i russi sono installati nella guerra e Putin beneficia di qualcosa di cui non abbiamo idea, ossia che gli anni 2000, gli Anni Putin, sono stati per i russi gli anni del ritorno all’equilibrio, del ritorno a una vita normale. Penso che Macron rappresenterà per contro agli occhi dei francesi la scoperta di un mondo imprevedibile e pericoloso, il ricongiungimento con la paura. Gli anni ’90 furono un periodo incredibile di sofferenza per la Russia. Gli anni 2000 sono stati un ritorno alla normalità, e non solo in termini di livelli di vita: abbiamo visto crollare i tassi di suicidio e di omicidio e, soprattutto, aqbbiamo visto il mio indicatore preferito, il tasso di mortalità infantile, che precipitava e persino andava al di sotto del tasso americano.

Nello spirito dei russi, Putin incarna (nel senso forte, cristico), questa stabilità. E, fondamentalmente, i russi ordinari ritengono, come il loro presidente, di fare una guerra difensiva. Sono consapevoli di aver commesso errori all’inizio, ma la loro buona preparazione economica ha aumentato la loro fiducia, non in confronto all’Ucraina (la resistenza degli ucraini è per loro interpretabile, sono coraggiosi come dei russi, mai degli occidentali combatterebbero così bene!), bensì di fronte a quel che chiamano “L’Occidente Collettivo”, oppure “gli Stati Uniti e i loro vassalli”. La vera priorità del regime russo non è tanto la vittoria militare sul terreno, quanto non perdere la stabilità sociale acquisita negli ultimi 20 anni.

Pertanto, fanno questa guerra “in economia”, in particolare un’economia d’uomini. Perché la Russia mantiene il suo problema demografico, con una fertilità di 1,5 bambini per donna. Tra cinque anni avranno classi di età vuote. Secondo me, devono vincere la guerra in 5 anni o perderla. Una durata normale per una guerra mondiale. Pertanto fanno questa guerra in economia, ricostruendo un’economia di guerra parziale, ma volendo preservare gli uomini. Questo è il significato del ritiro di Kherson, dopo quelli nelle regioni di Kharkiv e Kiev. Noi contiamo i chilometri quadrati ripresi dagli ucraini, ma i russi da parte loro attendono la caduta delle economie europee. Noi siamo il loro fronte principale. Posso ovviamente sbagliarmi, ma vivo con l’idea che il comportamento dei russi sia leggibile, perché razionale e duro. Le incognite sono altrove.

Lei spiega che i russi percepiscono questo conflitto come “una guerra difensiva”, ma nessuno ha cercato di invadere la Russia e oggi, a causa della guerra, la NATO non ha mai avuto così tanta influenza ad Est con i paesi baltici che vi si vogliono integrare.

Per risponderle, le propongo un esercizio psico-geografico, che può essere fatto zoomando all’indietro. Se guardiamo la mappa dell’Ucraina, vediamo l’ingresso alle truppe russe da nord, est, sud … e lì, in effetti, abbiamo la visione di un’invasione russa, non c’è altra parola. Ma se facciamo un enorme zoom all’indietro, verso una percezione del mondo, poniamo fino Washington, vediamo che i cannoni e i missili della NATO convergono lontano verso il campo di battaglia, movimenti di armi che erano iniziati prima della guerra. Bakhmout si trova a 8.400 chilometri da Washington ma a 130 chilometri dal confine russo. Una semplice lettura della mappa del mondo consente di pensare, di considerare l’ipotesi che “sì, dal punto di vista russo, quella deve essere una guerra difensiva”.

Quando guardiamo i voti delle Nazioni Unite, vediamo che il 75% del mondo non segue l’Occidente, che a quel punto appare piccolissimo. Vediamo quindi che questo conflitto, descritto dai nostri media come un conflitto di valori politici, è a un livello più profondo un conflitto di valori antropologici.

Secondo lei, l’ingresso nella guerra dei russi è anche spiegato dal relativo declino degli Stati Uniti …

In ‘Dopo l’Impero’, pubblicato nel 2002, ho evocato il declino a lungo termine negli Stati Uniti e il ritorno del potere russo. Dal 2002, l’America ha una catena di sconfitte e ripiegamenti. Gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq, ma hanno lasciato l’Iran quale massimo attore del Medio Oriente. Sono fuggiti dall’Afghanistan. La satellizzazione dell’Ucraina da parte dell’Europa e degli Stati Uniti non ha rappresentato un ulteriore dinamismo occidentale, bensì l’esaurimento di un’onda lanciata intorno al 1990, rilanciata dal risentimento anti-russo dei polacchi e dei baltici. Tuttavia, è stato in questo contesto di riflusso americano che i russi hanno preso la decisione di mettere al passo l’Ucraina, perché avevano la sensazione di avere finalmente i mezzi tecnici per farlo.

Esco dalla lettura di un’opera di S. Jaishankar, ministro degli Affari Esteri dell’India (The India Way), pubblicata poco prima della guerra, che vede la debolezza americana, che sa che lo scontro tra Cina e Stati Uniti non avrà un vincitore ma darà spazio a un paese come l’India e molti altri. Aggiungo: ma non agli europei. Ovunque vediamo l’indebolimento degli Stati Uniti, ma non in Europa e in Giappone perché uno degli effetti del ritrarsi del sistema imperiale è che gli Stati Uniti rafforzano la loro presa sui suoi protettorati iniziali.

Se leggiamo Brzeziński (La grande scacchiera), vediamo che l’Impero americano è stato formato alla fine della seconda guerra mondiale dalla conquista della Germania e del Giappone, che sono ancora oggi protettorati. Mentre il sistema americano si ritrae, pesa sempre più pesantemente sulle élite locali dei protettorati (e includo qui tutta l’Europa). I primi a perdere tutta l’autonomia nazionale, saranno (o sono già) gli inglesi e gli australiani. Internet ha prodotto nell’Anglosfera un’interazione umana con gli Stati Uniti di tale intensità che le loro università, media e élite artistiche sono, per così dire, annesse. Sul continente europeo siamo un po’ protetti dalle nostre lingue nazionali, ma la caduta nella nostra autonomia è considerevole e rapida. Ricordiamoci della guerra in Iraq, quando Chirac, Schröder e Putin hanno fatto conferenze stampa comuni contro la guerra.

Molti osservatori sottolineano che la Russia ha il PIL della Spagna; non è che sopravvaluta la sua potenza economica e la sua capacità di resistenza?

La guerra diventa un test dell’economia politica, è il grande rivelatore. Il PIL della Russia e della Bielorussia rappresenta il 3,3% del PIL occidentale (Stati Uniti, Anglosfera, Europa, Giappone, Corea del Sud), praticamente nulla. Ci si chiede come questo PIL insignificante possa affrontare e continuare a produrre missili. Il motivo è che il PIL è una misura fittizia della produzione. Se ti ritiriamo dal PIL americano metà delle sue spese sanitarie sovrafatturate, poi la “ricchezza prodotta” dall’attività dei suoi avvocati, dalle carceri più affollate del mondo, poi da un’intera economia di servizi scarsamente definiti tra cui la “produzione” dei suoi 15-20.000 economisti con uno stipendio medio annuo di 120 mila dollari, ci rendiamo conto che una parte importante di questo PIL è solo vapore acqueo. La guerra ci riporta all’economia reale, rende possibile capire quale sia la vera ricchezza delle nazioni, la capacità produttiva e quindi la capacità di guerra. Se torniamo alle variabili materiali, vediamo l’economia russa. Nel 2014, abbiamo messo in atto le prime importanti sanzioni contro la Russia, ma essa ha da allora aumentato la sua produzione di grano, che va da 40 a 90 milioni di tonnellate nel 2020. Mentre, grazie al neoliberismo, la produzione americana di grano, tra il 1980 e 2020, è passata da 80 a 40 milioni di tonnellate. La Russia è anche diventata il primo esportatore di centrali nucleari. Nel 2007, gli americani hanno spiegato che il loro avversario strategico era in un tale stato di decadimento nucleare che presto gli Stati Uniti avrebbero avuto una capacità di primo colpo atomico su una Russia che non avrebbe potuto rispondere. Oggi i russi sono in superiorità nucleare con i loro missili ipersonici.

La Russia ha quindi un’autentica capacità di adattamento. Quando vuoi prendere in giro le economie centralizzate, sottolinei la loro rigidità, mentre quando fai l’apologia del capitalismo, ne vanti la flessibilità. Giusto. Affinché un’economia sia flessibile, prendi ovviamente il mercato dei meccanismi finanziari e monetari. Ma prima di tutto, hai bisogno di una popolazione attiva che sappia fare delle cose. Gli Stati Uniti hanno ora più del doppio della popolazione della Russia (2,2 volte nelle fasce di età degli studenti). Resta il fatto che con proporzioni da parte di coorti comparabili di giovani che fanno istruzione superiore, negli Stati Uniti, il 7% sta studiando ingegneria, mentre in Russia è il 25%. Ciò significa che con 2,2 volte meno persone che studiano, i russi formano il 30% di più ingegneri. Gli Stati Uniti colmano il buco con studenti stranieri, ma che sono principalmente indiani e ancora più cinesi. Questa risorsa di sostituzione non è sicura e già diminuisce. È il dilemma fondamentale dell’economia americana: può affrontare la concorrenza cinese solo importando forza lavoro qualificata cinese. Propongo qui il concetto di bilanciamento economico. L’economia russa, da parte sua, ha accettato le regole operative del mercato (è persino un’ossessione per Putin quella di preservarle), ma con un ruolo grandissimo dello stato. E si tiene anche la sua flessibilità della formazione di ingegneri che consentono gli adattamenti, sia industriali che militari.

Molti osservatori credono, al contrario, che Vladimir Putin abbia sfruttato la rendita delle materie prime senza aver saputo sviluppare la sua economia …

Se fosse così, questa guerra non avrebbe avuto luogo. Una delle cose sorprendenti in questo conflitto, e questo lo rende così incerto, è che pone (come qualsiasi guerra moderna) la questione dell’equilibrio tra tecnologie avanzate e produzione di massa. Non vi è dubbio che gli Stati Uniti abbiano alcune delle tecnologie militari più avanzate, che a volte sono state decisive per i successi militari ucraini. Ma quando si entra nella durata, in una guerra di logoramento, non solo dalla parte delle risorse umane, ma anche di quelle materiali, la capacità di continuare dipende dal settore della produzione di armi più basso. E troviamo, vedendolo ritornare dalla finestra, la questione della globalizzazione e il problema fondamentale degli occidentali: abbiamo trasferito una proporzione tale delle nostre attività industriali che non sappiamo se la nostra produzione di guerra può proseguire. Il problema viene ammesso. La CNN, il New York Times e il Pentagono si chiedono se l’America riuscirà a rilanciare le catene di produzione di questo o quel tipo di missile. Ma non sappiamo se i russi sono in grado di seguire il ritmo di un tale conflitto. Il risultato e la soluzione della guerra dipenderanno dalla capacità dei due sistemi di produrre armamenti.

Secondo lei questa guerra non è solo militare ed economica, ma anche ideologica e culturale …

Mi esprimo qui soprattutto come antropologo. In Russia, ci sono state strutture familiari più dense, comunitarie, di alcune delle quali certi valori sono sopravvissuti. C’è un sentimento patriottico russo che è qualcosa di cui qui da noi non abbiamo idea, nutrito dal subconscio di una nazione famiglia. La Russia aveva un’organizzazione familiare patrilineare, vale a dire in cui gli uomini sono centrali e non può aderire a tutte le innovazioni occidentali neo-femministe, LGBT, transgender … Quando vediamo la duma russa vota una legislazione ancora più repressiva sulla “propaganda LGBT”, noi ci sentiamo superiori. Posso sentirlo come un occidentale normale. Ma da un punto di vista geopolitico, se pensiamo in termini di soft power, questo è un errore. Presso il 75% del pianeta, l’organizzazione della parentela era patrilineare e si può sentire una forte comprensione degli atteggiamenti russi. Per il non-Occidente collettivo, la Russia afferma un rassicurante conservatorismo morale. L’America Latina, tuttavia, qui sta sul lato occidentale.

Quando si fa geopolitica, ci si interessa a più dominii: i rapporti di forza energetici, militari, produzione di armi (che rinvia ai rapporti di forza industriali). Ma c’è anche l’equilibrio ideologico e culturale del potere, che gli americani chiamano il “soft power”. L’URSS aveva una certa forma di soft power, il comunismo, che influenzava parte dell’Italia, dei cinesi, dei vietnamiti, dei serbi, dei lavoratori francesi … ma il comunismo faceva in fondo orrore al mondo musulmano per via del suo ateismo e non fu particolarmente di ispirazione in India, tranne che nel Bengala Occidentale e nel Kerala. Ora, attualmente, poiché la Russia si è riposizionata come archetipo di grande potenza, non solo anti -coloniale, ma anche patrilineare e conservatrice dei costumi tradizionali, può andare molto più in là con la seduzione. Gli americani si sentono traditi oggi dall’Arabia Saudita che rifiuta di aumentare la sua produzione di petrolio, nonostante la crisi energetica dovuta alla guerra, e che di fatto si schiera dalla parte dei russi: in parte, ovviamente, per interesse petrolifero. Ma è evidente che la Russia di Putin, che è diventata moralmente conservatrice, è diventata solidale con i sauditi, i quali sono sicuro che abbiano qualche problemino con i dibattiti americani sull’accesso delle donne transgender (definite come maschi al concepimento) ai servizi igienici delle donne.

I giornali occidentali sono tragicamente divertenti, mentre continuano a dire: “La Russia è isolata, la Russia è isolata”. Ma quando guardiamo i voti delle Nazioni Unite, vediamo che il 75% del mondo non segue l’Occidente, che a quel punto sembra molto piccolo. Se siamo antropologi, possiamo spiegare la mappa, da un lato i paesi catalogati come aventi un buon livello di democrazia nelle classifiche di The Economist (vale a dire l’anglosfera, l’Europa …), dall’altra parte i paesi autoritari, che si diffondono dall’Africa fino alla Cina attraverso il mondo arabo e la Russia. Per un antropologo, questa è una carta banale. Alla periferia “occidentale” troviamo paesi dalla struttura della famiglia nucleare con sistemi di parentela bilaterale, vale a dire dove parenti maschi e femmine sono equivalenti nella definizione dello stato sociale del bambino. E al centro, con la maggior parte della massa afro-europea-asiatica, troviamo le organizzazioni familiari comunitarie e patrilineari. Vediamo quindi che questo conflitto, descritto dai nostri media come un conflitto di valori politici, è a un livello più profondo un conflitto di valori antropologici. È questa incoscienza e questa profondità che rendono pericoloso lo scontro.

Fonte originale: https://www.lefigaro.fr/vox/monde/emmanuel-todd-la-troisieme-guerre-mondiale-a-commence-20230112.

Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras.

https://megachip.globalist.it/cronache-internazionali/2023/01/15/emmanuel-todd-la-terza-guerra-mondiale-e-iniziata/

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