La nostra democrazia è in crisi: come possiamo reinventarla? Cosa possiamo imparare da coloro che, nel corso dei secoli, ne sono stati i creatori? La terza puntata della nostra serie sui filosofi e la democrazia è dedicata a Nicolas Machiavelli (1469-1527). Per il fiorentino il conflitto è un orizzonte politico ineludibile: il “popolo” deve essere armato per non subire la tirannia del “Grande” e le repubbliche devono essere potenti per non subire l’imperialismo degli Stati vicini.
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Machiavelli fu un pensatore che fece della sopravvivenza e della fondazione degli Stati una questione fondamentale. Per Machiavelli, che fu un alto funzionario della Repubblica fiorentina, la questione del regime politico era subordinata a quella della sopravvivenza in un contesto sempre segnato dalla prospettiva della guerra.
Il regime migliore è necessariamente quello che assicura sia la libertà che il potere e che permette di fondare lo Stato nel tempo. La scienza politica che egli inaugura non è più una riflessione teorica, ma un programma politico che articola l’ideale con il pragmatismo.
Per i repubblicani, fino alla metà del XIX secolo, l’estensione e persino l’universalizzazione della cittadinanza era una questione essenziale. Dato che la classe media è cresciuta gradualmente nel tempo fino a raggiungere una quota molto ampia, addirittura maggioritaria, della popolazione europea, il repubblicanesimo, in queste condizioni, era legato a una cittadinanza universalmente attribuita ai membri della società e poteva quindi essere proposto come fondamento teorico delle democrazie moderne e poi contemporanee.
L’orizzonte del potere
Da un punto di vista interno, Machiavelli ritiene che la divisione sociale sia inevitabile e che il ruolo di un sistema giuridico sia quello di permetterle di esprimersi, fermandola nelle sue manifestazioni più estreme. Come ha sottolineato, i grandi vogliono naturalmente dominare, quindi bisogna impedire loro di tiranneggiare. Il “popolo ” (per intenderci, le “classi medie “) vuole solo non essere dominato, quindi bisogna dargli le armi che gli consentano di costituire un contropotere alla potenziale tirannia dei Grandi.
Il mondo di Machiavelli è guerrafondaio; il potere è al tempo stesso garanzia di sopravvivenza e strumento di conquista. Se il popolo può accontentarsi di non essere schiavo, una società, in un mondo instabile, deve essere potente. La politica si costituisce nell’articolazione ben ponderata sia di ciò che è in sostanza, la ricerca di una convivenza sostenibile, sia della sua situazione nel mondo, composta dalle sue inevitabili interazioni con altre entità politiche.
Per Machiavelli, il mondo della politica non è cristiano: il suo fondamento, il fondamento di ogni società, rimane l’appetito dell’individuo. Se fossimo tutti santi cristiani, la politica semplicemente non esisterebbe. Il desiderio di dominio, perfettamente naturale e quindi inevitabile, struttura ogni comunità e la divide in tre gruppi: coloro che vogliono dominare (i Grandi), coloro che accetterebbero questo dominio per necessità di sopravvivenza (la plebe, la plebe) e coloro che non vogliono né l’uno né l’altro (la gente comune, il “ceto medio”). Il sistema politico repubblicano accetta questo come punto di partenza. Accetta la fondamentale disuguaglianza di condizioni e desideri nella sua stessa tripartizione.
Da quel momento in poi, Machiavelli pone al centro del sistema sia la legge, che tutti devono rispettare sopra ogni cosa, sia le armi. Il fiorentino non immagina nemmeno per un secondo che i Grandi smettano di loro iniziativa di avere sete di dominio e di riconoscimento. Anticipa così i liberali, in particolare Montesquieu su questo punto, ritenendo che solo il potere fermi il potere. Nella visione machiavellica e pragmatica delle cose, fermare un dominio che potrebbe essere tirannico non può essere fatto solo dalla legge. Il popolo deve essere armato per imporre ai Grandi il rispetto della Legge.
Per il fiorentino, questa dinamica iniziale non portò alla guerra civile, ma piuttosto all’evoluzione della sete di dominio dei Grandi, che li portò a rivolgere i loro desideri verso l’esterno. Più che tiranni, avevano il duplice interesse di diventare generali e statisti. Questo punto è ben visibile attraverso lo schema dei Discorsi sulla prima decade di Tito Livio, un libro poco noto al grande pubblico ma molto letto dai repubblicani successivi. Per Machiavelli, il sistema politico repubblicano, nella sua turbolenza e instabilità di fondo, offriva la possibilità di un potere esterno e di una certa forma di imperialismo.
” Si vis pacem… “
Per Machiavelli, ogni situazione di pace corrisponde a quel momento che precede una nuova guerra. Di conseguenza, la guerra deve essere preparata al meglio per non doverla combattere. La vita del Segretario si svolge durante le guerre d’Italia, quando la guerra era onnipresente e inevitabile. Dal suo punto di vista, un pacifismo che potesse presiedere a una gara di armi per difendere le democrazie assumendo il rischio di una guerra era sempre preferibile a un disarmo che poteva solo far presagire una futura invasione.
La questione della pace, per Machiavelli, ci viene così restituita come quella di una tensione molto difficile da raggiungere e non come un progetto ideale razionale. Così, lo sforzo kantiano di promuovere la pace perpetuaattraverso un’estensione dello Stato di diritto a tutte le entità politiche è l’opposto del pensiero machiavelliano. Secondo il fiorentino, per raggiungere la pace, un potere imperiale repubblicano dovrebbe essere limitato da un altro potere imperiale equivalente. Potremmo dire che, nel nostro mondo contemporaneo, questo è stato il caso dell’Europa dal 1945, sotto il dominio della potenza imperiale americana sull’URSS. Una volta che la prima potenza non c’è più, deve essere sostituita da una potenza sufficiente a scoraggiare qualsiasi aggressione esterna.
Morire per la libertà?
Machiavelli avrebbe indubbiamente collegato questa domanda a un’altra, per lui più essenziale e che, ai suoi occhi, sarebbe stata indubbiamente alla base di tutto il problema democratico: siamo disposti a morire per la libertà, cioè per ciò che la rende possibile, cioè la patria e il suo sistema politico?
Per Machiavelli, questa semplice e cruciale domanda non dovrebbe mai uscire dall’orizzonte di una società che voglia durare. Per Machiavelli, la libertà è potere: solo un popolo in armi è libero e capace di mantenere la propria libertà dai Grandi e dalle ambizioni dei vicini, imponendo la paura.
Oggi si sentono molte voci sulla sacralità della vita. In una prospettiva machiavellica, che si rifà all’antico pensiero filosofico precristiano, in particolare a quello degli stoici, la vita non può essere sacra. Non è un dono ineffabile del Creatore, ma un fatto che ci proietta in un universo collettivo all’interno del quale dobbiamo fare delle scelte e contribuire a un significato che non è dato in anticipo e non è esterno a questo mondo. C’è tutta un’area di interrogazione da esplorare qui, un significato da dare alla politica nelle nostre società, che sono allo stesso tempo cristianizzate e disincantate, per usare il termine di Max Weber.
Machiavelli fornisce una risposta repubblicana inequivocabile, che implica una risposta radicale alla domanda se vogliamo vivere a tutti i costi, anche sotto una tirannia. Questo primo pensatore della modernità rifiuta chiaramente qualsiasi prospettiva cristiana a favore, in modo molto singolare per il suo tempo, di una “religione civica” sul modello romano precristiano. La riflessione che la lettura di Machiavelli suscita per le nostre democrazie liberali si riferisce al posto della politica nella nostra vita. Per il fiorentino, la vita vale la pena di essere vissuta solo se è politicamente libera.
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Un approccio comparativo ed espressionista
Emil Nolde, Maschere Natura morta, 1911
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I riferimenti agli anni ’30 si moltiplicano. Il declino della democrazia americana sembra riportarci a quello della Repubblica di Weimar. Trump, con il suo godimento della violenza e della menzogna, con l’esercizio del male, ci riporta irresistibilmente a Hitler. In Europa, l’ascesa di movimenti classificati come di estrema destra ci costringe a questo ritorno alla nostra storia.
Le società occidentali, tuttavia, non assomigliano più a quelle degli anni ’30. Sono invecchiate, consumistiche, terziarie, le donne sono emancipate, lo sviluppo personale ha sostituito l’adesione partitica. Che rapporto c’è con le società degli anni ’30: giovani, frugali, industriali, operaie, maschili, tesserate? È proprio questa distanza socio-storica che mi ha portato a considerare fino ad oggi come a priori invalido il parallelo tra le “estrema destra” del presente e quelle del passato. Ma le dottrine politiche esistono, oggi come ieri, e non ci si può accontentare di postulare l’impossibilità, ad esempio, di un nazismo degli anziani, di un franchismo dei consumatori, di un fascismo delle donne emancipate o di un LGBTismo Croix-de-Feu.
È giunto il momento di confrontare le dottrine del nostro presente con quelle degli anni Trenta. Ecco una bozza di quello che potrebbe essere lo studio comparativo di cinque fenomeni storici: l’hitlerismo, il trumpismo, il netanyahismo, il lepenismo. Aggiungerò brevemente, alla fine, il macronismo. L’estremismo centrista ed europeista che sta portando la Francia al caos ci obbliga a questa analisi. Ma questo estremismo è davvero così centrista?
Si tratterà di un approccio impressionistico, senza pretese di completezza o addirittura di coerenza, il cui scopo è quello di aprire nuove strade, non di trarre conclusioni. Esagero i tratti e i colori per mettere i concetti in relazione tra loro. Esagero di proposito, per recuperare o addirittura anticipare una storia che accelera. Approccio espressionista sarebbe forse una metafora più appropriata.
Cominciamo dalla dimensione generale del razzismo o della xenofobia.
Il rifiuto di un «altro» definito come estraneo alla comunità nazionale, con livelli di intensità molto variabili, è comune all’hitlerismo, al trumpismo e al lepenismo. Nel caso dell’hitlerismo e del trumpismo, è il concetto di razzismo, esplicito o implicito, ad essere comune. Gli ebrei erano considerati dal nazismo come una razza, in senso biologico. Anche i neri, bersagli appena velati del partito repubblicano trumpizzato, sono definiti biologicamente. Al lepenismo, invece, possiamo associare solo il concetto di xenofobia. Gli arabi o i musulmani sono definiti dalla loro cultura. Una delle caratteristiche dell’ossessione francese per l’immigrazione rimane la sua fissazione per l’Islam e la sua incapacità di prendere di mira i neri, il cui arrivo massiccio è tuttavia l’elemento nuovo del processo migratorio. Il tasso di matrimoni misti delle donne nere è molto alto in Francia, mentre rimane insignificante negli Stati Uniti.
Una caratteristica comune ai “populismi” occidentali è ovviamente il loro rifiuto dell’immigrazione: Reform UK, Sverigedemokraterna (Democratici di Svezia), AfD, Viktor Orban in Ungheria, Diritto e Giustizia in Polonia, Giorgia Meloni in Italia, come Trump o Le Pen, superano il test di questo denominatore comune. È sufficiente definirli di estrema destra, nel senso in cui il nazismo e il fascismo erano di estrema destra? Non credo. Una differenza fondamentale distingue il populismo odierno dall’estrema destra di tipo hitleriano o mussoliniano: il nazismo e il fascismo erano espansionistici, con l’obiettivo di proiettare all’esterno la potenza del popolo tedesco (ariano) o italiano (romano). Erano aggressivi, nazionalisti, conquistatori. Si appoggiavano a partiti di massa. È difficile immaginare i populisti di oggi organizzare parate in stile Norimberga. Gli aperitivi a base di salame e vino rosso del RN sono certamente anti-musulmani, ma comunque meno impressionanti delle cerimonie belliche hitleriane. Da Norimberga a Hénin-Beaumont? Davvero?
L’unico populismo occidentale che oggi supererebbe al 100% il test dell’espansionismo sarebbe quello di Netanyahu. Colonie in Cisgiordania, genocidio di Gaza: è inevitabile stabilire un collegamento tra hitlerismo e netanyah(u)ismo.
La xenofobia francese, britannica, svedese, finlandese, polacca, ungherese e italiana è, al contrario del nazismo e del fascismo, difensiva. Non abbiamo a che fare con popoli che vogliono conquistare, ma con popoli che vogliono rimanere padroni in casa propria. Ecco perché oggi in Europa la dimensione culturale prevale su quella razziale e perché qui si può parlare solo di xenofobia. Questa xenofobia è conservatrice, mentre il razzismo hitleriano era rivoluzionario perché sconvolgeva l’organizzazione sociale. Il concetto di nazionalismo non si applica quindi agli attuali populismi europei, né quello di estrema destra, altrimenti dovremmo introdurre ossimori come «nazionalismo moderato» ed «estrema destra moderata». Preferisco parlare di conservatorismo popolare.
Personalmente favorevole a un’immigrazione controllata, devo ammettere la legittimità di questa xenofobia perché accetto l’assioma secondo cui un gruppo umano portatore di una cultura, consapevole di esistere come collettività, insomma un popolo, ha il diritto di voler continuare a esistere. In concreto: un popolo può controllare i propri confini. Il nazismo, con i suoi soldati dispiegati dall’Atlantico al Volga per asservire o sterminare altri popoli, era tutta un’altra cosa.
Il trumpismo rappresenta una forma mista perché combina un elemento centrale difensivo, anti-immigrazione, con un forte potenziale di aggressività verso il mondo esterno. Non si tratta propriamente di espansionismo. Sono stati la precedente espansione dell’apparato militare americano e il ruolo del dollaro nella predazione imperiale a rendere possibili le violente azioni trumpiane contro altri popoli e nazioni: il Venezuela, l’Iran, noi, i popoli soggetti europei occidentali, e naturalmente gli arabi, con i palestinesi come obiettivo principale. La progressiva integrazione di Israele nell’Impero, a partire dal 1967, fa sì che nel 2025 non si possa più distinguere il trumpismo dal netanyahismo. Ma Trump, al di là delle sue buffonate da premio Nobel, è il principale responsabile del genocidio di Gaza per il suo incoraggiamento di lunga data alla violenza di Israele: questo fatto così semplice fa cadere il trumpismo dalla parte dell’hitlerismo. Trump è ancora al volante: l’acceleratore e il freno americani regolano l’aggressività genocida di Netanyahu. Sono fortunato: mentre scrivo, Trump, spaventato dalla reazione dei paesi arabi al raid israeliano sul Qatar, e in particolare dall’alleanza strategica tra Arabia Saudita e Pakistan, fa marcia indietro. Ordina a Netanyahu di scusarsi per il bombardamento del Qatar e questi obbedisce. Trump impone a Israele un accordo con Hamas e Netanyahu firma. E poi? Trump è un perverso, impossibile dirlo.
Il concetto di trumpo-netanyahismo, piuttosto brutto lo ammetto, permette di inquadrare la questione ebraica come punto comune alla crisi americana degli anni 2000-2035 e alla crisi tedesca degli anni 1920-1945.
A mio avviso, la posizione radicalmente filoisraeliana del trumpismo nasconde un antisemitismo viscerale e vizioso: l’identificazione di tutti gli ebrei con il netanyahismo, fenomeno storico effettivamente mostruoso, cancro nella storia ebraica, non farà altro che rinnovare la concezione nazista di un popolo ebraico mostruoso. Sto parlando di antisemitismo 2.0.
Sono consapevole che pochi lettori mi seguiranno su questo punto. Ma qui mi limito a parlare come un banale profeta dell’Antico Testamento. «Non siamo stati scelti per stare dalla parte dei potenti. La storia continua a tenderci questa trappola». Quante volte gli ebrei hanno creduto di essere stati salvati dai forti, dai potenti, dal potere, da un impero, designati persino da un privilegio – il successo finanziario, intellettuale, l’importanza nel partito bolscevico – per essere poi gettati in pasto a popoli furiosi… Il mio cuore sanguina quando vedo tanti ebrei francesi, che oggi credono di essere dalla parte dei potenti, giustificare la politica di Netanyahu. Ma sono proprio le fauci di una trappola che si stanno aprendo. Per grazia di Trump, l’intero pianeta sta diventando antisemita. Gli ebrei americani, la maggioranza dei quali rifiuta la linea di Netanyahu, sono più saggi e più giusti. Ma già gli ebrei ostili a Netanyahu, accademici e non, sono sospettati dal potere di essere antisemiti. Regna la perversità. Regna il trumpismo.
Quando si chiuderà la trappola? Un giorno, inevitabilmente, le nazioni cristiane faranno pace con 1,6 miliardi di musulmani. Gli ebrei saranno allora abbandonati dai loro sostenitori e, ormai soli, gettati in pasto ad altri popoli furiosi.
Le terre promesse si susseguono, seguite da disastri. Nightfall, racconto precoce di Isaac Asimov, grande autore americano di fantascienza, mi sembra una metafora della lunga serie di drammi che costituiscono la storia ebraica: all’interno di una civiltà potente, un residuo di profezia annuncia una misteriosa catastrofe… essa arriva, sorprendente… la civiltà crolla… poi, lentamente, rinasce, fiorisce… un residuo di profezia annuncia una misteriosa catastrofe… essa arriva, sorprendente…
In verità, il solo ritorno dell’ossessione ebraica nel cuore dell’Occidente conferma l’ipotesi di una minacciosa continuità tra passato e presente.
Protestantesimo zombie e nazismo, protestantesimo zero e trumpismo.
La crisi economica del 1929 fu un fattore determinante, ben noto, dell’hitlerizzazione della Germania. Sei milioni di disoccupati fecero sfuggire alla società tedesca ogni forza di richiamo ideologico. L’eliminazione della disoccupazione da parte di Hitler in pochi mesi segnò il destino del liberalismo.
Il contesto religioso dell’ascesa del nazismo, altrettanto importante, è meno noto: tra il 1870 e il 1930, la fede protestante svanì in Germania, prima nel mondo operaio, poi nelle classi medie e alte. Le regioni cattoliche resistettero. Nel 1932 e nel 1933, la mappa dei voti nazisti riproduceva quindi, con affascinante precisione, quella del luteranesimo. Il protestantesimo non credeva nell’uguaglianza degli uomini. C’erano gli eletti, designati come tali dall’Eterno prima ancora della loro nascita, e i dannati. Una volta scomparsa la credenza metafisica protestante, ciò che rimase fu l’isterizzazione causata dalla paura del vuoto del suo contenuto inegualitario, con gli ebrei, gli slavi e tanti altri come dannati. Negli Stati Uniti, il protestantesimo di origine calvinista prese di mira i neri. Il popolo calvinista, fissato sulla Bibbia, si identificava con gli ebrei, il che limitò l’antisemitismo americano degli anni Trenta e mise al riparo gli ebrei. Beh… al riparo fino alla recente comparsa della fissazione evangelista sullo Stato di Israele.
Nella Francia cattolica (in particolare nel bacino parigino e sulla costa mediterranea), il crollo della fede e della pratica religiosa a partire dal 1730 trasformò la parità di accesso al paradiso (ottenuta tramite il battesimo, che lava il peccato originale) in parità dei cittadini ed emancipazione degli ebrei. L’idea repubblicana di uomo universale sostituì quella di cristiano universale cattolico (katholikos significa universale in greco). Un programma completamente diverso dal nazismo, ma che aveva rappresentato, ben prima di esso, la prima sostituzione massiccia di una religione con un’ideologia. Nella Francia rivoluzionaria come nella Germania nazista, tuttavia, il potenziale di inquadramento sociale e morale della religione era sopravvissuto alla fede: l’individuo rimaneva membro della sua nazione, della sua classe, portatore di un’etica del lavoro e del senso del dovere nei confronti dei membri del gruppo. La capacità di azione collettiva era forte, forse decuplicata. È quello che io chiamo lo stadio zombie della religione. Il nazismo corrispondeva a questo stadio zombie, da cui, purtroppo, derivava la sua efficacia economica e militare.
Potrei completare questa spiegazione religiosa dell’ideologia con una spiegazione della religione stessa, influenzata dalle strutture familiari sottostanti, inegualitarie in Germania e egualitarie nel bacino parigino. Ma qui ci si può accontentare di una continuità dal protestantesimo al nazismo e dal cattolicesimo alla Rivoluzione francese.
Nel trumpismo ritroviamo il protestantesimo. Troviamo quindi la disuguaglianza associata alla negrofobia. Tuttavia, non siamo più nella fase zombie della religione, ma nella sua fase zero. La moralità comune è scomparsa. L’efficacia sociale è scomparsa. L’individuo galleggia, in particolare in questa America dalla struttura familiare nucleare assoluta, individualista e senza regole di eredità ben definite. Ci si deve quindi aspettare qualcos’altro come ideologia trumpista: sempre disuguaglianza, ma meno stabilità nella follia, oscillazioni brutali che non provengono, fondamentalmente, dal cervello di un presidente volgare e vizioso, ma dalla società stessa. La capacità di azione collettiva, economica e militare è, fortunatamente per noi, molto ridotta.
Nel caso del trumpismo, si nota l’emergere di forme pseudo-religiose nichiliste che includono una reinterpretazione oscena della Bibbia, come una glorificazione dei ricchi. Decisamente più debole del nazismo nella dimensione del razzismo, il trumpismo va oltre nell’immoralità economica.
Il nazismo era semplicemente ed esplicitamente anticristiano. Il trumpismo si presenta come religioso, ma alla maniera di un culto satanico, attraverso l’inversione dei valori. Il male è bene, l’ingiustizia è giustizia. Hitler era solo il Führer, guida del popolo tedesco verso il martirio; Trump non è Satana, ma sospetto che per i suoi fan satanisti il suo cappellino rosso sia quello dell’Anticristo.
Nel caso del lepenismo, non c’è alcuna eredità protestante inegualitaria. È questo il vero mistero del Rassemblement National: xenofobo, è nato in terra cattolica. Peggio ancora, le sue prime zone di forza, sulla costa mediterranea e nel bacino parigino, furono quelle della Rivoluzione: egualitarie sul piano familiare e scristianizzate fin dal XVIII secolo. Allora? Il Rassemblement National è inegualitario? Egalitario? Mistero per noi, probabilmente lo è anche per se stesso. Il suo rifiuto dell’altro deriva da un egalitarismo perverso che esige una rapida assimilazione degli immigrati piuttosto che percepirli come essenzialmente diversi. Soprattutto, il RN, fortemente determinato dal rifiuto degli immigrati, e persino dei loro figli, non è meno costantemente richiamato alla tradizione egualitaria francese perché i suoi elettori detestano i super ricchi, i potenti, insomma le nostre élite imbecilli, e non solo gli immigrati. Ecco perché l’unione delle destre fatica a realizzarsi in Francia. In una forma o nell’altra, l’unione degli oligarchi e del popolo (bianco) contro gli stranieri non pone problemi né negli Stati Uniti, né nel Regno Unito, né in Scandinavia, dove le forze popolari conservatrici e le forze della destra classica vanno facilmente d’accordo. In Francia, la coalizione dei ricchi e dei poveri contro gli stranieri sfugge.
Non sottovalutiamo tuttavia la violenza potenziale di una xenofobia di natura universalista. Essa può facilmente trasformarsi in razzismo. Se un uomo pensa a priori che gli uomini siano tutti uguali e si trova di fronte a persone con costumi diversi, può benissimo concludere che non sono esseri umani.
Il RN è il prodotto di un cattolicesimo zero, così come la Rivoluzione fu il prodotto di un cattolicesimo zombie. Ecco perché non darà vita ad alcun progetto collettivo. Rimando l’esame dettagliato del RN e del suo rapporto con il futuro a un prossimo testo, né impressionista né espressionista, che dedicherò interamente alla logica interna e alle dinamiche del caos francese.
Psichiatria delle classi medio-alte.
Passo ora a una differenza fondamentale, che dovrebbe essere evidente a tutti e ricordata dai commentatori politici che con il loro vocabolario ci rimandano continuamente al 1930. Comprendere la dimensione religiosa, o post-religiosa, dell’hitlerismo, del trumpismo o del lepenismo presupponeva conoscenze storiche che non si possono esigere dai politologi dei talk show televisivi. D’altra parte, possiamo esigere da loro che sappiano collocare socialmente le ideologie del passato e del presente, che avvicinano incessantemente con il termine di estrema destra. La differenza tra passato e presente è qui molto chiara.
Il nazismo e i movimenti di estrema destra del periodo prebellico trovavano il loro epicentro sociale nelle classi medie e in particolare in quelle medio-alte, minacciate dal movimento operaio, socialdemocratico o comunista. Queste classi medie erano febbrili, molto impegnate a rinchiudere le loro donne e a perseguitare gli omosessuali. Oggi, al contrario, i movimenti cosiddetti di estrema destra trovano il loro epicentro negli ambienti popolari, in particolare in un mondo operaio impoverito, scosso o distrutto dalla globalizzazione economica, minacciato dall’immigrazione. Le classi medie di oggi, ampiamente definite dall’istruzione superiore, sono meno o addirittura poco influenzate dall'”estrema destra”. Le classi medie superiori, che combinano istruzione superiore e redditi elevati, sono particolarmente immuni.
È per questo motivo che preferisco parlare di conservatorismo popolare piuttosto che di estrema destra. Il suo radicamento nel gruppo dei dominati spiega il carattere difensivo del conservatorismo popolare. Il suo elettore non immagina di conquistare l’Europa o il mondo se considera la propria vita come una sopravvivenza.
Il vero errore intellettuale sarebbe fermarsi qui. Continuiamo ad andare avanti, ribaltiamo addirittura la questione dell’associazione tra ideologia e classe. Abbiamo confrontato le ideologie del presente con quelle del passato, confrontiamo ora le classi del presente con quelle del passato.
Alcune classi medie europee dell’epoca tra le due guerre impazzirono. Il mondo operaio fu più ragionevole. Ma le classi medie di oggi, in particolare quelle medio-alte, sono ragionevoli? Sono pacifiche? Quali sono i loro sogni?
Sono pazzi. La costruzione di un’Europa post-nazionale è un progetto delirante, se si considera la diversità del continente. Ha portato all’espansione dell’Unione Europea, improvvisata e instabile, nell’ex spazio sovietico. L’UE è ora russofoba, bellicista, con un’aggressività rinnovata dalla sua sconfitta economica nei confronti della Russia. L’UE sta cercando di trascinare i popoli britannico, francese, tedesco e tanti altri in una vera e propria guerra. Ma che strana guerra sarebbe, in cui le élite occidentali avrebbero adottato il sogno hitleriano di distruggere la Russia!
Il confronto tra le classi sociali ci permette quindi di compiere un importante passo avanti intellettuale. L’europeismo, e quindi il macronismo, con la loro aggressività verso l’esterno, si schierano dalla parte del nazionalismo, dalla parte dell’estrema destra prebellica. Se aggiungiamo le violazioni della libertà di informazione e dell’espressione del suffragio popolare, violazioni sempre più massicce e sistematiche nello spazio dell’UE, ci avviciniamo ancora di più al concetto di estrema destra. Fondata come associazione di democrazie liberali, l’Europa si sta trasformando in uno spazio di estrema destra. Sì, il paragone con gli anni Trenta è utile, anzi indispensabile.
Nel grandioso progetto europeista ritroviamo una dimensione psicopatologica già osservabile nell’hitlerismo: la paranoia. La paranoia europeista si concentra sulla Russia. Quella dei nazisti faceva della minaccia ebraica una priorità, senza tuttavia trascurare il bolscevismo russo (detto giudeo-bolscevismo).
Oggi come ieri possiamo quindi analizzare una psicopatologia delle classi dirigenti europee. La bizzarra sequenza iniziata con l’elezione di Trump, con la volontà dell’instabile presidente di discutere con Putin, ci ha permesso di seguire in diretta l’uscita dalla realtà dei nostri leader. Riassumiamo il nostro delirante processo. È iniziato intorno al 2014, prima, durante e dopo Maidan, il colpo di Stato che ha disintegrato l’Ucraina, guidato a distanza da strateghi americani e tedeschi. Il seguito ora:
– 2014-2022: Provocare la Russia, che aveva avvertito che non avrebbe tollerato l’annessione dell’Ucraina da parte dell’Unione Europea e della NATO.
È fatta. Putin ha invaso l’Ucraina.
– 2022-2025: Perdiamo la guerra economica che ne è derivata per noi.
È fatta.Le nostre società stanno implodendo.
– 2022-2025: Perdiamo la guerra in senso stretto condotta per nostro conto dal regime di Kiev.
È in corso.
Il passaggio dei governi europei a una realtà parallela inizia nel 2025.
– Traiamo dalla nostra sconfitta l’idea che possiamo finalmente imporre la nostra volontà e schierare le nostre truppe in Ucraina, per annettere all’UE ciò che ne rimarrà. Ma come non pensare a Hitler rinchiuso nel suo bunker nel 1945, a dare ordini ad eserciti che non esistono più?
Oggi in Europa abbiamo a che fare con dei pazzi, o meglio con una follia collettiva che ha contagiato in massa gli individui appartenenti ai ceti sociali dominanti. Solo in Francia, migliaia di giornalisti, politici, accademici, imprenditori, alti funzionari partecipano all’allucinazione collettiva di una Russia che vorrebbe conquistare l’Europa (paranoia). Questo o quell’individuo non può essere ritenuto personalmente responsabile. Abbiamo a che fare con una dinamica psichica collettiva.
Sono convinto che l’indebolimento dell’individuo nato dallo stato zero della religione spieghi la nascita di questi banchi di pesci russofobi.
Come ho spiegato in Les Luttes de classes en France au XXIème siècle, la scomparsa delle credenze collettive – credenze religiose e poi credenze ideologiche dello Stato religioso zombie – ha portato a un cedimento del super-io umano. Contrariamente ai militanti della liberazione dell’io, non definisco il super-io come solo o principalmente repressivo. Il super-io, in quanto ideale dell’io, radica nella persona valori morali e sociali positivi. I concetti di onore, coraggio, giustizia, onestà trovano la loro origine e la loro forza nel super-io. Se esso si indebolisce, anche loro si indeboliscono. Se scompare, anche loro scompaiono. L’uomo non è stato quindi liberato dalla fine della religione e delle ideologie, ma al contrario è stato sminuito. Sono uomini e donne altamente istruiti, ma moralmente e intellettualmente ristretti dallo stato zero della religione, che sono, in massa, portatori della patologia russofoba.
Gli antisemiti nazisti avevano una costituzione psichica completamente diversa. La morte di Dio, per dirla con Nietzsche, li aveva certamente spinti alla ricerca di un Führer, ma non erano affatto privi di super-io e rimanevano capaci di azione collettiva. Ne sono testimonianza le tragiche prestazioni dell’esercito tedesco durante la seconda guerra mondiale. Chi oserebbe immaginare oggi la nostra classe media superiore correre incontro alla morte, alla testa dei propri popoli, verso Kiev e Kharkov? La nostra guerra in Ucraina è una barzelletta, prodotto dell’emancipazione dell’io, figlia dello sviluppo personale. Moriranno solo ucraini e russi.
A meno che…
Gli scambi termonucleari possono fare a meno degli eroi.
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I leader europei sono un gruppo mal guidato, impegnato in follie pericolose, persino suicide. Pur immaginandosi difensori di un grande progetto europeo, l’UE, con pretese globali, sono poco più di un gruppo di ideologi e narcisisti autoillusi, che difendono un’impresa burocratica e statalista che propagandano come una repubblica democratica. Affascinati da deliri di grandezza, si impantanano nel preservare il loro potere e in meschine lotte di potere all’interno e all’esterno dell’UE. In economia, avendo rinunciato alla produzione industriale per l’economia virtuale, ampiamente promessa, per la quale non sono attrezzati per competere, applicano sanzioni, tagliano fonti di energia di cui hanno un disperato bisogno e spendono eccessivamente in costosi programmi di assistenza sociale e culturali, il tutto gravando sui loro bilanci e sulle loro società con immigrati provenienti da culture estranee e fortemente dipendenti dallo Stato. In politica estera, non hanno un proprio esercito, sono subordinati e dipendenti da una superpotenza lontana per la loro sicurezza e hanno fatto di una delle grandi potenze mondiali – una situata accanto – il loro nemico autodichiarato, provocando e poi facendo di tutto per prolungare e intensificare la già catastrofica guerra tra NATO e Russia in Ucraina.
Infine, l’UE, essendo un scomodo conglomerato di pezzi distinti e separati, è solitamente molto divisa. La scorsa settimana l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel ha rivelato come la Polonia e gli Stati baltici abbiano cospirato per bloccare i suoi e altri sforzi per risolvere la disputa del Donbass tra Kiev e Mosca. Così, la divisione ha portato l’Europa alla guerra ucraina tra NATO e Russia. Ora, la divisione impedisce gli sforzi per promuovere la pace, con alcuni leader europei che sostengono gli sforzi di pace in stallo del presidente degli Stati Uniti Donald Trump e altri che li sostengono, in particolare Ungheria e Slovacchia, due paesi confinanti con l’Ucraina. Avventurieri come il premier francese Emmanuel Macron hanno spinto per lo stazionamento di truppe europee in Ucraina a sostegno di un cessate il fuoco che sia la Russia che gli Stati Uniti hanno respinto. I funzionari dell’UE spingono per la creazione di un esercito europeo o di una NATO europea. La Polonia e gli Stati baltici continuano a cercare un’escalation. Gli Stati baltici, più recentemente l’Estonia, hanno cercato di sfruttare quella che era al massimo una violazione insignificante del loro spazio aereo e come minimo una favola, per stabilire regole più liberali per l’abbattimento di aerei russi che potrebbero deviare o ripetere intenzionalmente questo presunto atto. L’incursione dei droni in Polonia resta poco chiara e sospetta.
Nel frattempo, la Germania chiede l’estradizione di un ucraino dalla Polonia, che secondo le sue forze dell’ordine avrebbe fatto saltare in aria il gasdotto russo Nord Stream diretto in Germania, ma la Polonia si rifiuta di consegnare il sospettato, probabilmente perché le rivelazioni che ne conseguiranno distruggeranno completamente il meme europeo “La Russia ha fatto saltare in aria il proprio gasdotto”. Allo stesso tempo, il ministro degli Esteri polacco, Radek Sikorski, sovraeccitato e russofobo, continua a propagandare l’assurdità secondo cui Putin vorrebbe ricostruire l’impero russo e richiederebbe una “dimostrazione di forza” per essere portato al tavolo delle trattative. “Per fare questo”, scrive, “per fare questo, è essenziale continuare a sostenere finanziariamente e militarmente l’Ucraina e minare le fondamenta dell’economia di guerra russa. Un buon inizio sarebbe che i sedicenti accoliti del MAGA in Ungheria e Slovacchia ascoltassero Trump e smettessero di acquistare petrolio russo” ( Italiano: https://lnkxtcdab.cc.rs6.net/tn.jsp?f=001iI3J8zGMQC7BRyupox8m70-KaB8DojSbajk4uTHDQ9Fl8bpBAZehqWj4Oa3l_FycMA6pcWM-m57Ajk5vJcwPw5ZvoNy7CMqwNLC73oXLF7Pvs7tCuNxiHMwC29EZjQVdpAFF_RBXVqw6Kn4WRfFTOT6uwBnG6 reCRpwebCRZ5LPdfUcjI7oePCv5CudKyyVjdJDCwTI6l1oVPvoESLz8ktFQjy3PZJ9itvSGPvUBFd8=&c=YUaSEmEEpKjDeEVb5RE5W3v24aM2XDpkv8fXHKhFKBBeUyBqjmm4rg==&ch=Y0Br3wL4hHoywVTVH_nEQhm-3be2qy5hgA46LEQrP4-gOw0noa1Asg== ). Non fa menzione di chi altro in Europa sta acquistando petrolio russo, facendolo introducendo di nascosto il petrolio acquistato e rivenduto dall’India minacciata dalle sanzioni tramite una flotta ombra nelle rispettive patrie.
Ciò suggerisce la portata delle contraddizioni in questo quadro, che diventano ancora più evidenti se viste attraverso il prisma degli “alberi”, piuttosto che attraverso la foresta molto oscura del coinvolgimento dell’UE nella guerra in questione.
Come ha recentemente osservato Edward Luttwak, l’UE “si è data la zappa sui piedi due volte: una volta sostituendo il gas russo a basso costo con il più costoso GNL americano (e russo), e un’altra volta sostituendo le importazioni dirette di petrolio russo con acquisti indiretti e più costosi da India e Turchia” ( https://unherd.com/2025/09/will-putin-call-natos-bluff/ ). L’aumento degli acquisti di GNL russo, significativamente più economico, da parte dell’UE è dovuto principalmente a Francia, Spagna, Paesi Bassi, Belgio e Italia. Per quanto riguarda il petrolio, invece di acquistare direttamente dalla Russia scorte più economiche, i paesi dell’UE hanno iniziato ad acquistare prodotti raffinati da importatori di petrolio russo come India e Turchia, che lo raffinano e poi lo rivendono in Europa con un significativo aumento dei prezzi. Nei primi sei mesi del 2025, l’UE e la Turchia hanno importato 2,4 milioni di tonnellate di prodotti petroliferi dall’India, di cui due terzi si stima provenissero da greggio russo. L’UE e la Turchia hanno effettivamente pagato all’India circa 1,5 miliardi di euro per petrolio essenzialmente russo; Ciò, mentre gli Stati Uniti, alleati NATO dell’UE, cercavano di sanzionare i paesi che importavano greggio russo. Pertanto, l’UE sta spendendo di più per le risorse energetiche russe, in modo efficace, al fine di contribuire a finanziare il bilancio della Russia e quindi le sue forze armate. Più recentemente, Reuters ha riferito che sette paesi dell’UE hanno aumentato le importazioni di energia russa nel 2025. Tra questi, Francia, Paesi Bassi, Romania e Portogallo, con la Francia che ha aumentato i suoi acquisti del 40% e i Paesi Bassi del 72%! Come ammette Reuters: “A un anno dalla fine della guerra della Russia contro l’Ucraina, l’Unione Europea rimane nella precaria posizione di dover finanziare entrambe le parti in conflitto” ( www.reuters.com/business/energy/how-ukraines-european-allies-fuel-russias-war-economy-2025-10-10/ ). Il blocco ha importato oltre 11 miliardi di euro di energia russa tra gennaio e agosto 2025, nonostante abbia ridotto la sua dipendenza dal fornitore un tempo dominante, la Russia, in termini ufficiali, di circa il 90% dal 2022, escludendo l’acquisto di petrolio rivenduto e trasportato clandestinamente. Togliere solo questo contributo europeo dal bilancio russo aumenterebbe il suo deficit di 3,2 trilioni di rubli di circa il 33%, portandolo a ben oltre 4 miliardi di rubli ( www.reuters.com/business/energy/how-ukraines-european-allies-fuel-russias-war-economy-2025-10-10/ e https://tradingeconomics.com/russia/government-budget ).
Pertanto, in questo anno cruciale della guerra NATO-Russia in Ucraina, gli stati dell’UE stanno sostenendo il bilancio russo con sempre maggiore vigore. La Francia, guidando questa linea ipocratica, ha recentemente fermato quella che ha ritenuto essere una nave della flotta ombra che trasportava petrolio e/o gas russo in Europa e ha accarezzato l’idea di schierare truppe francesi in Ucraina sotto la copertura delle tanto discusse “garanzie di sicurezza”. L’individuazione e l’ispezione della nave della flotta ombra sono state forse solo una bella messinscena per nascondere le importazioni francesi dal nemico? Un gioco rischioso per ingannare semplicemente i leader stranieri e la propria opinione pubblica.
Ciò avviene mentre i leader europei continuano ad intensificare la guerra ucraina contro la Russia, distruggendo l’Ucraina e rischiando la propria decimazione, mentre intensificano le accuse di aggressione russa contro l’Europa sotto forma di presunte incursioni di droni e attacchi di sabotaggio. Inoltre, l’UE considera il presidente russo Vladimir Putin e altri leader russi criminali di guerra; eppure continuano a finanziare le loro attività, persino, di fatto, i loro stipendi.
L’ipocrisia può essere pericolosa. Il 9 ottobre, il Parlamento europeo ha invitato la leadership dell’UE a revocare le restrizioni all’uso da parte dell’Ucraina di missili occidentali forniti all’Ucraina per attaccare il territorio russo ( www.pravda.com.ua/rus/news/2025/10/09/8002016/ ). L’uso di tali missili da parte dell’Ucraina si baserebbe anche sui dati di intelligence, di puntamento e di guida occidentali, rendendo qualsiasi paese o paesi dell’UE, le cui armi fornite dall’UE potrebbero essere sparate contro la Russia da Kiev, legittimi combattenti nemici e obiettivi legittimi per la rappresaglia russa. Pertanto, non solo i leader dell’UE stanno giocando con l’innesco della Terza Guerra Mondiale e la sua quasi certa escalation in guerra nucleare, ma pagherebbero per la rappresaglia russa contro se stessi. Questo raddoppia la follia e finirà male per l’Europa e l’intero Occidente, se non per tutti.
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Nelle ultime settimane c’è stato un altro gratificante aumento degli abbonamenti e vorrei ringraziare e dare il benvenuto a tutti i nuovi lettori, in particolare a coloro che sono stati così gentili da gettare qualche moneta nella ciotola. Secondo le analisi, ora ho abbonati in 155 paesi e mi è appena stata comunicata la prima traduzione di uno dei miei saggi in turco.
Questi saggi saranno sempre gratuiti, ma potete continuare a sostenere il mio lavoro mettendo “Mi piace” e commentando, e soprattutto condividendo i saggi con altri e condividendo i link ad altri siti che frequentate. Se desiderate sottoscrivere un abbonamento a pagamento, non vi ostacolerò (ne sarei molto onorato, in effetti), ma non posso promettervi nulla in cambio, se non una calda sensazione di virtù.
Ho anche creato una pagina “Comprami un caffè”, che puoi trovare qui .Grazie a tutti coloro che hanno contribuito di recente.
E come sempre, grazie a tutti coloro che forniscono instancabilmente traduzioni nelle loro lingue. Maria José Tormo pubblica traduzioni in spagnolo sul suo sito qui , e Marco Zeloni pubblica traduzioni in italiano su un sito qui , e Italia e il Mondo: le pubblica qui . Sono sempre grata a coloro che pubblicano occasionalmente traduzioni e riassunti in altre lingue, a patto che citino la fonte originale e me lo facciano sapere. E ora:
Prima dell’inizio della guerra, la maggior parte delle persone ne aveva una vaga conoscenza: forse indicavano il cielo con entusiasmo. Quando iniziarono i combattimenti, erano macchine semplici e delicate, con un raggio d’azione ridotto e capaci di svolgere solo ruoli di ricognizione, ma molto rapidamente si evolvettero per supportare le truppe di terra e persino per effettuare bombardamenti, con carichi sempre più pesanti e gittata sempre maggiore.
Sto ovviamente parlando di aerei della Prima Guerra Mondiale: di cosa pensavi che stessi parlando? Di droni? C’è un punto importante, perché mentre la tecnologia dei droni è in continuo miglioramento e richiede investimenti incrementali relativamente piccoli, la tecnologia degli aerei da combattimento è ormai estremamente matura, progressi importanti costano una fortuna e potrebbero anche non funzionare allora.
La mia ipotesi in questo saggio è che le tecnologie su cui l’Occidente, in particolare, ha storicamente fatto affidamento per il combattimento, stiano diventando sempre più costose e complesse, e che potrebbero effettivamente avvicinarsi al punto in cui un ulteriore sviluppo non sia economicamente conveniente. D’altra parte, tecnologie molto più recenti (in particolare, ma non solo, i droni) potrebbero rivelarsi meno rivoluzionarie di quanto alcuni dei loro sostenitori credano. Non sostengo questo dal punto di vista di un appassionato di tecnologia bellica (o di un feticista, se è per questo), ma da qualcuno che di tanto in tanto si è occupato del lato pratico e politico delle strutture di forza e dei progetti di equipaggiamento militare. Esaminerò la situazione a mio avviso, per poi esaminare le conseguenze politiche e strategiche che ne deriveranno dopo quella che sembra un’inevitabile sconfitta occidentale in Ucraina. In un certo senso, questo è il seguito, con un livello di dettaglio inferiore, del mio saggio di un paio di settimane fa, ma qui mi occuperò principalmente di dottrina ed equipaggiamento.
Lo sviluppo della tecnologia aeronautica militare tra il 1914 e il 1945 non ebbe eguali al mondo, né prima né dopo. Blériot riuscì ad attraversare la Manica nel 1909: dieci anni dopo, Alcock e Brown attraversarono l’Atlantico a bordo di un bombardiere Vickers convertito. La potenza aerea aveva già lasciato il segno nella guerra stessa, con i primi esempi di ricognizione fotografica, supporto aereo ravvicinato e bombardamento strategico, e quasi subito dopo la fine della guerra, i teorici iniziarono a parlare con entusiasmo di vincere la guerra successiva con pochi giorni di bombardamenti aerei, che avrebbero portato alla resa a un costo irrisorio in vite umane e denaro.
Ciò non accadde, ma la realtà fu abbastanza sconvolgente. La tecnologia si evolve sempre rapidamente in guerra, ma in questo caso si evolse a un ritmo vertiginoso anche in tempo di pace, e il corollario era che un aereo poteva rimanere in servizio solo per una manciata di anni prima di essere sostituito da qualcosa di sostanzialmente migliore. Ad esempio, l’Hawker Hart, l’ultimo bombardiere leggero biplano utilizzato dalla RAF, con prestazioni eccezionali per l’epoca, fu introdotto nel 1930. Ne furono costruiti quasi mille esemplari, ma nel giro di pochi anni fu reso obsoleto dai nuovi monoplani. Già all’inizio della produzione, erano stati elaborati progetti per aerei a reazione, e il primo aereo a turbogetto, l’Heinkel He 178, effettuò il suo primo volo nel 1939, sebbene non entrò mai in servizio.
Il cambiamento tecnologico è stato così rapido perché i costi irrecuperabili erano limitati, molti produttori in tutto il mondo avevano la capacità tecnica di produrre aerei, e quindi la produzione poteva passare liberamente a nuove varianti, o persino a nuovi modelli. Se il nuovo aereo o la nuova versione diventava obsoleto o non soddisfaceva le aspettative, non c’erano problemi a ritirarlo o a relegarlo a ruoli secondari (come accadde all’Hart). Al contrario, il programma europeo di caccia Typhoon, che coinvolgeva quattro nazioni, fu concepito per la prima volta nel 1983 e ci vollero vent’anni per iniziare a entrare in servizio presso quattro forze aeree europee. Non è chiaro quando verrà effettivamente sostituito, o da cosa. Parte dell’esitazione nel programma Typhoon era, ovviamente, l’incertezza derivante dalla fine della Guerra Fredda. Eppure, in pratica, l’investimento in tecnologia è ora così ingente, il numero di fornitori così limitato, gli aerei stessi così complessi e il supporto dedicato così enorme, che i paesi saranno sempre bloccati, nel bene o nel male, con ciò che hanno deciso di acquistare per molto tempo. È vero che la consegna di una flotta di aerei moderni richiede ormai così tanto tempo che è possibile produrne versioni migliori durante la fase di produzione, ed è normale che venga effettuato almeno un importante aggiornamento, in modo che gli aerei possano diventare, e lo diventano, più capaci nel corso del loro ciclo di vita. Tuttavia, come ha dimostrato di recente la storia dell’F-35, ci sono ancora dei limiti.
Proprio all’inizio delle discussioni sull’Eurofighter, Mary Kaldor pubblicò un autorevole studio che introdusse il concetto di tecnologia militare “barocca”. Sosteneva che questa tecnologia stesse rapidamente sfuggendo al controllo e che i sistemi d’arma stessero diventando sempre più costosi e complessi, pur non riuscendo spesso a raggiungere gli obiettivi prefissati. Questa argomentazione è stata sempre più accettata negli ultimi decenni, poiché i programmi di approvvigionamento in molti paesi si trovano in gravi difficoltà, e sono propenso a pensare che si tratti di un problema inevitabile. Cercherò di spiegare perché.
Esistono armi (aerei nel 1914, droni nel 2022) per le quali sviluppare una capacità migliorata è facile, rapido e relativamente economico: esiste molta di quella che viene definita capacità “estensiva”. In tali situazioni, i miglioramenti possono essere introdotti rapidamente e fornire una capacità che giustifica ampiamente l’investimento aggiuntivo. Il costo di sviluppo dei caccia monoplani Spitfire e Hurricane negli anni ’30, per sostituire i biplani Bulldog, Fury e Gladiator, fu irrisorio, rispetto all’enorme aumento di capacità che ne derivò. Lo sviluppo di aerei da parte di tutte le nazioni durante la Seconda Guerra Mondiale fu molto rapido, ma i progressivi guadagni di capacità iniziarono a rallentare piuttosto rapidamente. Pertanto, lo Spitfire era già un progetto relativamente complesso quando entrò in servizio per la prima volta nel 1938, e durante la sua vita operativa ne furono prodotti non meno di 24. Ma alla fine di quel periodo, era chiaro che il potenziale di estensione rimaneva ben poco, non solo nello Spitfire, ma nei caccia monoplani a elica più in generale. Fortunatamente, in quel periodo entravano in servizio gli aerei a reazione ed era chiaro che rappresentavano il futuro.
Anche nelle prime generazioni di aerei a reazione, le capacità migliorarono molto rapidamente e gli investimenti necessari per passare da una generazione all’altra furono almeno proporzionali all’aumento delle capacità. Le nazioni più grandi potevano produrre autonomamente aerei a reazione e, negli stati più grandi, spesso c’erano diversi potenziali fornitori. (Laddove si verificò una collaborazione, come nel caso dell’AlphaJet franco-tedesco, ciò avvenne solitamente per ragioni politiche: in tal caso, l’AlphaJet era di fatto costituito da due aerei diversi). Il risultato fu che gli aerei ebbero una vita operativa relativamente breve: il famoso F-86 Sabre, prodotto in grandi quantità a partire dal 1949, fu tuttavia sostituito negli Stati Uniti dall’F-100 a partire dal 1954. Con l’ulteriore maturazione della tecnologia aeronautica, i tempi e i costi di sviluppo sono aumentati esponenzialmente, tanto che probabilmente abbiamo raggiunto il punto in cui l’aumento marginale della capacità di combattimento non giustifica più l’aumento marginale dei costi. Ad esempio, la velocità pura e semplice è stata importante fino a un certo punto, ma, a parte nicchie specializzate, raramente viene più perseguita fine a se stessa, mentre l’efficienza nei consumi (e quindi l’autonomia) è ancora importante.
Questa argomentazione forse richiede qualche giustificazione. Ma partiamo da una semplice affermazione: in astratto, le prestazioni tecniche dei sistemi d’arma sono in gran parte irrilevanti. Le armi esistono per svolgere un ruolo tattico, che è parte di uno scopo operativo, che contribuisce al raggiungimento di un obiettivo strategico. È abbastanza comune che i sistemi d’arma vengano abbandonati semplicemente perché non hanno più alcun compito – le corazzate ne sono l’esempio più ovvio – o che tornino di moda inaspettatamente. Il caso classico di quest’ultimo è il cavallo Mk 1, dichiarato obsoleto più volte, ma utilizzato in massicce battaglie di cavalleria durante e dopo la guerra civile russa, dai tedeschi dal 1941 al 1945, dai francesi in Algeria e persino dagli Stati Uniti in Afghanistan.
Ecco perché è meglio non soffermarsi sulle specifiche tecniche dei nuovi sistemi d’arma senza chiedersi come verranno probabilmente utilizzati e quale sarà l’avversario. Per restare per un momento agli aerei, la maggior parte dei moderni aerei occidentali è il prodotto della dottrina della “superiorità aerea”, che significa dominare lo spazio aereo sul campo di battaglia in modo tale che le proprie forze possano operare liberamente e utilizzare la propria potenza aerea per attaccare il nemico. Con l’aumento dell’autonomia e della resistenza degli aerei da caccia, questo concetto si è evoluto in “difesa aerea”, il cui scopo era impedire all’aviazione nemica di bombardare e danneggiare i propri mezzi, solitamente sconfiggendo prima i caccia inviati a proteggerli. Questo è lo scopo della Battaglia d’Inghilterra: l’obiettivo della RAF erano i bombardieri nemici: i caccia erano un ostacolo da superare per primi. Ma già da quell’episodio, divenne chiaro che le caratteristiche tecniche dell’aereo erano solo una parte dell’intera capacità. Senza radar, strutture di controllo dei caccia e radio, la RAF avrebbe avuto vita molto più dura, indipendentemente da quanto fossero meravigliosi i singoli aerei.
Ma lo sviluppo di aerei per questi ruoli implica una serie di presupposti sussidiari su come verrà combattuta una guerra. Implica che il nemico giocherà la stessa partita e cercherà di dominare lo spazio aereo sopra il campo di battaglia con gli aerei, usandoli per attaccare obiettivi sul campo di battaglia e anche obiettivi nel proprio Paese. Per molto tempo, questa è stata un’ipotesi ragionevole, e persino verso la fine della Guerra Fredda, si pensava che l’Unione Sovietica avrebbe inviato bombardieri con equipaggio ad attaccare obiettivi nell’Europa occidentale, scortati da caccia ad alte prestazioni. Sebbene, anche allora, gli scontri si sarebbero svolti a distanze considerevoli (il missile “a corto raggio” AIM 9-L degli anni ’80 aveva una gittata massima di ingaggio di 15-20 km), il concetto era essenzialmente lo stesso del 1940. Quindi aerei come il Typhoon e il Rafale francese furono originariamente progettati per combattimenti a lungo raggio (“combattimenti aerei, se si accetta che i cani non possano effettivamente vedersi) in una presunta guerra con il Patto di Varsavia intorno al 2010.
L’intrinseco conservatorismo del pensiero militare, così come l’assoluta incertezza del futuro, fanno sì che la scelta predefinita per un nuovo sistema d’arma tenda a essere una versione migliorata di quello precedente. Leggiamo quindi della “minaccia” rappresentata dai nuovi caccia cinesi di sesta generazione con avanzate capacità stealth, e questa “minaccia” si basa sul presupposto che versioni migliorate di aerei statunitensi e cinesi si ingaggino in duelli su vasta scala per la superiorità aerea sullo Stretto di Taiwan. Inoltre, naturalmente, una volta che si dispone di un aereo migliorato, anche se originariamente concepito come caccia, è possibile adattarlo ad altri impieghi. Quindi, il Rafale è stato impiegato fin dalla sua introduzione quasi esclusivamente in ruoli di supporto a terra, nel Sahel, in Afghanistan e in Siria. E infine, anche la politica gioca un ruolo. La capacità di schierare anche un numero limitato di aerei da combattimento avanzati è sia una dichiarazione politica a un potenziale nemico, sia un segno dell’affermazione di un certo status militare nel mondo, proprio come il possesso di carri armati da combattimento significa essere un esercito serio. Tutto ciò tende, come ho appena suggerito, a favorire la produzione di una versione più avanzata di ciò che già si possiede.
Un modo per cercare di far fronte alle incertezze future è progettare un aereo in grado di svolgere diverse funzioni. Storicamente, non è stato così, e le forze aeree anche solo una generazione fa disponevano di una varietà di velivoli molto più ampia di quella odierna. (Alla fine della Guerra Fredda, la RAF impiegava una trentina di tipi principali di aerei.) Persino i cosiddetti aerei “multiruolo” – il Tornado trinazionale era originariamente chiamato Multi-role Combat Aircraft, o MRCA – tendevano in pratica a essere costruiti come varianti diverse di un unico progetto originale. In teoria, gli aerei multiruolo, come le navi multiruolo, sono un’ottima idea: in pratica spesso lo sono meno, perché ruoli diversi richiedono caratteristiche diverse e impongono limitazioni diverse. Per quanto ne sappiamo, molti dei problemi del progetto F-35 hanno origine nei compromessi progettuali che ne sono derivati. Se ci pensate bene, chiedere a diverse varianti dello stesso aereo di atterrare verticalmente sui ponti delle portaerei e di svolgere missioni di superiorità aerea contro avversari avanzati non può che essere definito ambizioso.
È quantomeno discutibile, quindi, che lo sviluppo utile di aerei da combattimento con equipaggio si stia effettivamente arrestando. Ovviamente, nuove varianti e persino nuovi tipi continueranno a essere sviluppati e introdotti, ma saranno acquistati in numeri sempre più ridotti per motivi finanziari, richiederanno un’eternità per la progettazione e la messa in servizio, saranno sovraccaricati di dispositivi elettronici sempre più sofisticati e saranno sempre più difficili e costosi da mantenere. E saranno di fatto insostituibili durante una campagna: se ne perdono due o tre contro difese aeree rudimentali in un’operazione da qualche parte, si potrebbero dover aspettare anni per i rimpiazzi. Molto più di quanto spesso si pensi, le forze aeree odierne sono imprese monotematiche.
Eppure, l’inerzia schiacciante derivante da generazioni di teoria e pratica strategica perpetua ancora l’idea dell’aereo con equipaggio come arma d’elezione. Fino a circa un decennio fa, questa sarebbe stata un’opzione difendibile. Ma, come gli aerei nel 1914, la tecnologia dei droni, combinata con i sistemi in rete, si sta sviluppando a ritmi estremamente rapidi ed è probabile che mandi a monte almeno una parte della potenza aerea con equipaggio umano. Perché? Beh, prima di tutto, i droni, come gli aerei, sono un dispositivo abilitante: una piattaforma. Senza telecamere, sincronizzazione del fuoco con le eliche, aiuti alla navigazione e soprattutto armi, gli aerei sarebbero rimasti una curiosità. Quindi, mentre le caratteristiche tecniche dei droni stanno migliorando rapidamente, ciò che conta davvero sono gli usi a cui possono essere destinati e le armi e i sensori che possono trasportare. Anche questi si stanno espandendo e migliorando rapidamente. Stiamo già vedendo i cinesi utilizzare piccole flotte di droni comandate da aerei con equipaggio umano, e questo potrebbe essere il modello per il futuro.
Il punto non è che “Questo Cambia Tutto”, che tende a essere la reazione sconsiderata dei tecno-feticisti, ma piuttosto che i paesi che non sono ostacolati dal peso morto degli sforzi di generazioni di entusiasti del potere aereo probabilmente reagiranno più rapidamente e creativamente alle nuove tecnologie. Certamente, è sorprendente che l’Occidente nel suo complesso, sebbene abbia utilizzato i droni in vari conflitti passati per attaccare singoli obiettivi, non abbia, e non sembri in grado di sviluppare, una strategia per usarli correttamente su larga scala. E naturalmente le buffonate della lobby del “Questo Cambia Tutto”, con un sacco di soldi in gioco, non aiutano.
Al contrario, né la Russia né la Cina hanno la stessa storia di predominio degli aerei con equipaggio. I russi, è vero, fecero ampio uso di aerei da supporto a terra durante la Seconda Guerra Mondiale, ma questo fu molto direttamente a supporto delle operazioni dell’Esercito, e subordinato a esse. Allo stesso modo, l’Unione Sovietica sviluppò un Comando di Difesa Aerea nazionale come branca separata delle sue forze armate (non fu assorbito nell’Aeronautica Militare fino al 1998). Ma era dotato di un numero molto elevato di sistemi missilistici, così come di radar e sistemi di comando e controllo, e sembra che gli aerei stessi, pur essendo numerosi, fossero essenzialmente piattaforme missilistiche volanti, direzionate sui loro obiettivi da controllori di terra.
Non sorprende, quindi, che i missili – menzionati per la prima volta nel paragrafo precedente, come avrete notato – siano stati una preoccupazione russa per molto tempo, anche se è sorprendente quanta poca attenzione l’Occidente, sicuro della superiorità dei propri concetti, vi abbia effettivamente prestato. Dai primi esperimenti con i V2 catturati e gli scienziati tedeschi fino all’attuale vasto e sofisticato arsenale, i russi hanno considerato i missili come un sistema d’arma primario, mentre l’Occidente, semplicemente, non lo ha fatto. Inoltre, i sistemi missilistici di ogni tipo hanno ancora un grande potenziale di sviluppo, grazie ai possibili miglioramenti in termini di gittata, precisione, velocità, manovrabilità e carico utile. E in effetti, sotto lo stimolo della guerra, i russi hanno sviluppato tattiche sofisticate che combinano attacchi missilistici con attacchi con droni, incluso l’uso diffuso di esche. Al momento, nessuna potenza occidentale ha un equivalente o una risposta a queste tecnologie e tattiche e, in effetti, nonostante tutto l’entusiasmo e l’annuncio di ambiziosi programmi di ricerca e sviluppo, è improbabile che ce ne saranno.
Uno dei motivi per cui le contromisure potrebbero non essere mai sviluppate è che potrebbe rivelarsi impossibile difendersi da attacchi massicci con missili estremamente veloci e precisi, capaci di manovrare violentemente, combinati con vari tipi di droni; alcuni sono esche, altri sono progettati per la soppressione della difesa, altri ancora per l’attacco diretto a singoli obiettivi, inclusi alcuni selezionati dal drone stesso. L’altro motivo è che l’attuale investimento finanziario e concettuale dell’Occidente in sistemi aerei con pilota a bordo è cumulativamente enormemente maggiore del suo investimento in missili, sia per l’attacco diretto che per ottenere la supremazia aerea, e quindi sarebbe necessario un corrispondente massiccio cambiamento di dottrina. Non è nemmeno ovvio che l’Occidente possa avviare programmi paragonabili a quelli della Russia, poiché ci vorrebbero probabilmente decenni per sviluppare le tecnologie e iniziare a produrre i sistemi, e anche allora, le singole nazioni, e contando quel poco che resta della presenza statunitense in Europa, non potrebbero schierare sistemi sufficienti o elaborare alcun tipo di dottrina collettiva per il loro utilizzo. In effetti, l’Occidente continua a investire principalmente in tecnologie già prossime al limite della loro praticabilità, mentre i russi hanno investito molto in tecnologie che presentano ancora notevoli margini di sviluppo. Nonostante tutto il parlare di aerei da combattimento per gli anni 2040 (è troppo tardi per gli anni 2030), c’è una forte argomentazione secondo cui, alla fine, non ne varrà la pena.
Tuttavia, a questo punto vale la pena fare qualche passo indietro e ricordarci qual è in realtà lo scopo ultimo dell’uso di queste tecnologie . E questo non equivale a “distruggere il nemico”, al di fuori dei videogiochi, comunque. Ricordiamo, ancora una volta, che Clausewitz affermava che lo scopo dell’azione militare è quello di dare allo Stato ulteriori opzioni per attuare le proprie politiche. Per definizione, gli obiettivi di uno Stato saranno politici e, semplificando un po’, possiamo dire che queste opzioni consistono in gran parte nell’ottenere il predominio a diversi livelli. Clausewitz affermava anche che lo scopo del conflitto militare è “obbligare il nostro nemico a fare la nostra volontà”, il che significa che l’obiettivo ultimo del predominio è il processo decisionale del nemico. Esistono diversi modi per raggiungere tale obiettivo, che possono spaziare dall’occupazione fisica del paese, alla distruzione della capacità di resistenza del nemico, alla semplice intimidazione. Clausewitz avrebbe ben compreso, ad esempio, il potenziale uso intimidatorio della forza missilistica russa come mezzo per ottenere concessioni politiche dall’Occidente, dato che l’Occidente non avrebbe avuto un modo di replica paragonabile, né una difesa praticabile. Più in generale, è inutile per l’Occidente minacciare, o anche solo pianificare, uno scontro militare con la Russia, perché le sue forze, costruite attorno a un concetto di guerra obsoleto, verrebbero semplicemente smantellate.
La novità di questa situazione potrebbe non essere evidente a prima vista. Ovviamente ci sono state guerre tra avversari con livelli tecnologici molto diversi, anche se la parte con la tecnologia migliore non ha sempre vinto le battaglie (si pensi ad esempio a Isandlwana ). Ci sono stati anche molti casi, come la prima Guerra del Golfo, in cui le due parti hanno schierato tecnologie molto simili, ma una delle due ha ottenuto una vittoria decisiva. L’unico esempio moderno rilevante che mi viene in mente è la sconfitta della Francia nel 1940, dove il nuovo concetto tedesco di guerra – popolarmente, seppur erroneamente, noto come Blitzkrieg – sconfisse un nemico altrettanto ben equipaggiato e altamente motivato in poche settimane. La novità non erano i singoli componenti di carri armati e aerei, ma il concetto di punte di lancia corazzate veloci, che evitavano il combattimento e seminavano confusione, e l’uso di aerei come artiglieria volante controllata via radio da terra. Questo, unito al dispiegamento avanzato di cannoni antiaerei, costituiva un concetto a cui, a quel punto, non esisteva alcuna contromossa, e non ci sarebbe stata per diversi anni. È vero che se i tedeschi avessero continuato con il loro piano iniziale di un’avanzata principale attraverso il Belgio e un’avanzata diversiva attraverso le Ardenne, la battaglia sarebbe stata più difficile, ma probabilmente avrebbero comunque vinto.
In quel caso, come indicato, il vantaggio era solo temporaneo. Nel caso in discussione oggi, potrebbe essere addirittura permanente. In Ucraina si stanno ancora imparando le lezioni della guerra network-centrica basata sull’uso intensivo di droni, e la situazione – e, a dire il vero, il concetto stesso – non ha ancora completato il suo sviluppo. I russi non avevano pianificato una guerra del genere e sono stati colti di sorpresa. Hanno reagito frettolosamente, con l’improvvisazione per cui sono sempre stati famosi, ma hanno il vantaggio di essere un’unica, grande nazione, con un’enorme base tecnologica militare e un concetto di guerra che, pur essendo ancora obsoleto, era molto più vicino al tipo di conflitto attualmente in corso di qualsiasi altro occidentale. Solo concordare su quale tipo di “concetto operativo” la NATO avrebbe bisogno per contrastare la Russia richiederebbe anni, e la sua attuazione richiederebbe una riconsiderazione completa delle strutture delle forze, dei piani di approvvigionamento e dell’addestramento militare. Nel frattempo, naturalmente, i russi non rimarrebbero con le mani in mano.
Vale la pena sottolineare che il problema va ben oltre il caso limitato della guerra terra-aria in Europa e si applica a potenziali operazioni occidentali più ampiamente. In mare, ad esempio, l’Occidente schiera le sue marine per ottenere il controllo del mare, ovvero per controllare il movimento non solo delle navi commerciali, ma anche delle navi militari in una determinata area. Ci sono stati momenti in cui il combattimento diretto tra flotte ha risolto efficacemente la questione del controllo. In entrambe le guerre mondiali, gli inglesi, con l’aiuto degli Stati Uniti, controllarono essenzialmente la navigazione di superficie nell’Atlantico. Nella prima guerra mondiale, la battaglia dello Jutland, sebbene vinta ai punti dai tedeschi, portò comunque al predominio navale britannico nel Mare del Nord. Nella seconda guerra mondiale, i tedeschi non avevano una flotta sufficiente nel 1939 per lanciare una sfida, ma cambiarono la natura del gioco producendo un gran numero di sottomarini, in particolare per colpire le navi mercantili.
Anche durante la Guerra Fredda, le azioni tra flotte non erano più realmente previste, e ora, dietro le biovatazioni e i rapporti allarmistici sulla Cina, sembra esserci, prevedibilmente, poco accordo reale su cosa servano effettivamente le marine occidentali in termini pratici . Ebbene, un uso abituale della potenza marittima è la proiezione di potenza generale. A seconda del contesto, è possibile far sbarcare unità militari, evacuare cittadini, controllare le rotte marittime (almeno in teoria), alleviare calamità, dissuadere i pirati e supportare le invasioni. Ma l’installazione di missili antinave a lunghissimo raggio su navi da guerra come il nuovo cacciatorpediniere cinese Tipo 55, significa che le forze navali occidentali sono vulnerabili a missili lanciati a mille chilometri di distanza. È difficile, quindi, immaginare che un ipotetico scontro navale tra Stati Uniti e Cina con Taiwan come obiettivo possa assomigliare a qualsiasi azione navale storica del passato. E sebbene missili di questa gittata e complessità non saranno ampiamente disponibili in tutto il mondo in tempi brevi, l’esperienza recente ha dimostrato che sistemi relativamente economici e a corto raggio possono avere un potente effetto deterrente sugli schieramenti occidentali. Ancora una volta, sono la complessità e il costo delle navi stesse, e il tempo necessario per sostituirle, a rappresentare le vere debolezze occidentali. La maggior parte delle nazioni occidentali potrebbe perdere le proprie marine in un pomeriggio: con gli Stati Uniti ci vorrebbe un po’ più di tempo. Ma l’enorme inerzia del passato e la mancanza di chiarezza sulle possibili missioni fanno sì che le soluzioni a questi problemi, se esistono, non siano ovvie.
Infine, la guerra terrestre ha mostrato essenzialmente la stessa progressione. Se si esamina una storia illustrata del carro armato da combattimento principale, si scoprirà che tra la sua introduzione verso la fine della Prima Guerra Mondiale e le versioni schierate dai tedeschi nel 1944-45, ci sono stati enormi progressi in ogni ambito. All’epoca del carro armato Tiger II, l’ultimo modello pesante schierato dalla Wehrmacht, vediamo qualcosa di riconoscibilmente contemporaneo: non ultimo un peso di circa 70 tonnellate, con i relativi problemi logistici. Persino il carro armato “medio” Panther aveva un peso di 45 tonnellate e un aspetto riconoscibilmente moderno.
Ciò non sorprende. I progettisti di carri armati vi diranno che è possibile ottimizzare qualsiasi fattore tra velocità, armamento o protezione, e che le regole dell’ingegneria e i problemi di supporto logistico non cambiano sostanzialmente. I progetti di carri armati occidentali durante la Guerra Fredda, qualunque cosa si dica, seguivano una certa logica. La NATO pianificava di combattere una guerra difensiva sul proprio territorio, quindi la velocità era una priorità inferiore rispetto alla protezione e alla potenza di fuoco, e il supporto logistico sarebbe stato facilitato ripiegando sulle proprie linee di rifornimento. Pertanto, i colossi inviati in Ucraina si sono trovati in un ambiente tattico per il quale erano completamente inadatti e mai concepiti. Non è chiaro se saranno più adatti a qualsiasi guerra futura. I russi, che storicamente utilizzavano carri armati più leggeri e mobili, hanno sofferto a loro volta di attacchi con droni, ma ci sono indicazioni che abbiano ricominciato a utilizzare i carri armati, in modo piuttosto efficace, non da ultimo in combinazione con nuovi tipi di droni terrestri per fornire protezione.
Ma c’è una valida argomentazione che, in termini generali, la progettazione dei carri armati sia giunta a un punto morto già da tempo. I carri armati M1, Challenger 2 e Leopard 2 inviati in Ucraina sono sviluppi (o in alcuni casi no) di progetti degli anni ’70. Da allora molto è stato fatto marginalmente per migliorare la protezione, ma le speculazioni degli anni ’80 sulla prossima generazione di carri armati (armamento principale da 140 mm, peso di 70-80 tonnellate) sono rimaste sostanzialmente speculazioni. E c’è qualche dubbio che il “rivoluzionario” T-14 Armata russo sia stato schierato in Ucraina in numeri più che simbolici. Il problema è che al momento nessuno sa davvero come usare i carri armati in modo efficace, in un ambiente in cui gli attacchi precisi e letali dei droni sono una minaccia. In ogni caso, mentre la Russia attualmente produce circa 300 carri armati all’anno, con l’obiettivo di arrivare a 1000 entro il 2028, da quarant’anni non vengono prodotti nuovi carri armati per l’esercito americano, e non è chiaro come saranno i nuovi carri armati occidentali, o se valga la pena provare a produrne uno. (Il proposto Challenger 3 britannico, se mai verrà acquisito, anche nelle piccole quantità previste, sarà semplicemente un Challenger 2 più grande.)
Quindi si potrebbe dire (e l’ho sentito dire) che è tutto finito, e che il predominio militare occidentale è ormai cosa del passato. Ma come sempre la questione è molto più complessa, e la ragione per cui è più complessa ha a che fare con il nostro amico Clausewitz e la sua insistenza sul più alto scopo politico delle operazioni militari. Finché l’esercito sarà tenuto a produrre risultati a sostegno di obiettivi politici, bisognerà trovare un modo per renderlo possibile. Cominciamo, quindi, a considerare alcune delle cose che i droni e le tecnologie associate non possono fare. Perché, ancora una volta, al di fuori delle pagine delle riviste feticiste delle armi, la capacità astratta di far saltare in aria le cose non è poi così importante.
Abbiamo ricordato all’inizio che lo scopo dell’azione militare è quello di indurre il nemico a fare ciò che si vuole. Tuttavia, fare ciò che si vuole richiede una decisione politica da parte del governo nemico, ed è qui che storicamente sorgono i problemi, come nel caso attuale dell’Ucraina. A parte l’annientamento e lo sterminio totali, ci sarà sempre un limite pratico al grado di pressione che i militari possono effettivamente esercitare. Se, come in questo caso, un governo che ha di fatto perso la battaglia si rifiuta comunque di arrendersi o negoziare, c’è solo un’opzione certa: l’occupazione fisica di una parte o dell’intero Paese, magari per un certo periodo. Ma per dire l’ovvio, i droni non possono farlo, nemmeno i nuovi droni terrestri che i russi stanno schierando in Ucraina. I droni e le relative tecnologie di rete possono negare l’accesso e le comunicazioni, distruggere attrezzature e infrastrutture e creare aree in cui non è possibile alcuna azione militare, ma non possono conquistare e mantenere permanentemente un territorio. Nemmeno, ovviamente, razzi e missili, per quanto potenti, possono farlo. Solo le forze di terra, e in numero piuttosto elevato, possono farlo. Nel caso dell’Ucraina, le forze russe che cercassero di conquistare e mantenere un territorio sarebbero comunque soggette a ogni tipo di attacco improvvisato da parte di droni, mine e altri sistemi. I droni potrebbero contribuire a difendere le forze una volta in possesso del territorio, ma questo è tutto.
Allo stesso modo, missili ragionevolmente precisi e a lungo raggio possono tenere a distanza forze occidentali piuttosto sofisticate e, in alcuni casi, reagire contro obiettivi nemici, ma questo è tutto. Così, Ansar’Allah nello Yemen è stato in grado di tenere a distanza le navi da guerra occidentali e di impedire gli attacchi lanciati da queste navi contro di loro. Ma nulla impedisce all’Occidente di tornare con altri mezzi di attacco. Ansar’Allah, come Hezbollah in Libano, non dispone di mezzi efficaci di difesa aerea. Sebbene Hezbollah possa indurre gli israeliani a ritirarsi e poi occupare il territorio lasciato libero, e sebbene possa anche bombardare le città in Israele con un certo grado di precisione, il suo orientamento è necessariamente difensivo contro una potenza militare di prim’ordine. Ha vinto battaglie in Siria sostenendo il regime di Assad, perché i suoi avversari erano essenzialmente milizie armate alla leggera. Quindi Hezbollah può obbligare Israele a ritirarsi dal Libano, ma non potrebbe, ad esempio, occupare e mantenere un territorio conteso nonostante una seria resistenza.
Sebbene nel breve termine le tecnologie di cui abbiamo discusso siano le più utili in situazioni di difesa tattica , non offrono alcun vantaggio intrinseco semplicemente perché si è un paese che si difende da un aggressore. Le forze russe hanno già dimostrato come i droni possano essere usati come armi offensive, e qualsiasi attacco a un paese occidentale si risolverebbe piuttosto rapidamente con l’uso massiccio di droni e missili che, come ho detto, l’Occidente non ha idea di come contrastare. Allo stesso modo, in Libano, gli israeliani hanno dimostrato come usare l’alta tecnologia per smantellare un movimento di resistenza. Non hanno cercato di conquistare un territorio su larga scala (cosa che hanno riconosciuto essere al di là delle loro possibilità), ma piuttosto di costringere Hezbollah a cessare i suoi attacchi contro Israele, cosa che hanno fatto. Tutto dipende dal vostro obiettivo.
Il che ci riporta al punto di partenza, in realtà. Le nuove tecnologie tendono ad avanzare rapidamente e spesso in direzioni inaspettate. Le tecnologie mature avanzano molto più lentamente, molto più costose e con molte più difficoltà. Il problema dell’Occidente è che ha un enorme investimento finanziario e dottrinale in sistemi di tecnologie mature, a cui è sempre più improbabile che venga mai chiesto di svolgere le missioni per cui sono state progettate. E non si tratta, ancora una volta, solo di un problema hardware: anzi, gran parte della confusione in Occidente al momento deriva dal fatto che nessuno sa ancora veramente come utilizzare le nuove tecnologie dei droni e le loro diverse capacità, in una guerra in rete. Come possiamo vedere in Ucraina, i russi stanno ancora cercando di capire come farlo da soli, e comunque non è chiaro se le lezioni apprese saranno applicabili ovunque: l’uso israeliano dei droni contro Hezbollah è stato ben diverso.
Ho già accennato alla Battaglia di Francia del 1940 e concluderò con un commento del famoso storico e martire della Resistenza Marc Bloch nella sua opera postuma L’Étrange défaite. “I nostri leader”, scrisse, “in mezzo a molte contraddizioni, si sforzarono soprattutto di ricreare, nel 1940, la guerra del 1915-1918. I tedeschi combatterono la guerra del 1940”. I nostri leader oggi stanno cercando di ricreare una guerra che non fu mai combattuta, ma che era ampiamente prevista e che fino a poco tempo fa era il modello per la pianificazione militare. I russi hanno imparato a proprie spese che la natura della guerra è cambiata e sta ancora cambiando. Ma per le ragioni che ho esposto, non sono affatto sicuro che l’Occidente possa adattarsi nel modo in cui i russi stanno cercando di fare. Tornare all’inizio e riprovare non è mai facile.
Chi ha visto il film “wag the dog” capisce subito di quale relazione geopolitica parlerò qui
Ora questo intervento di Morigi è stimolante per parlarne , anzi meriterebbe pure una critica articolata anche su altri spunti qui contenuti.
Innanzitutto però mi si perdoni una critica formale, perché questo pur eccellente contributo è poco leggibile sia per la sua grafia ( il neretto) che per la sua stesura senza stacchi e per l’ affastellamento di tanti interessanti spunti i quali tutti meriterebbero una trattazione più estesa.
Ragion per cui, premettendo che forse potrei aver frainteso quanto in esso volesse essere scritto dall’autore, di questi spunti ne commento brevemente solo quello che mi pare dovrebbe rappresentare l’essenza di questo articolo, laddove cioè solleva la relazione U$A -Israele con una similitudine “tripla”:
Biden: netanyau= Alessadro V : Cesare Borgia= Trump: Giulio II
La trovo molto stimolante ma errata .
Innanzitutto perché la vera similitudine dovrebbe essere semplicemente
In quanto sia i Democratici e Repubblicani che le due branche del Sionismo sono rispettiva espressione di due ” partiti unici” : l “americanismo” e il “sionismo” appunto.
E poi perché nemmeno i termini mi sembrano esatti.
Infatti se Biden e Trump possono essere considerati due papi della ” chiesa americana”, almeno i loro frontmen, Netaniahu è solo un “braccio” del Sionismo , paragonabile ad un Cesare Borgia, ma solo in quanto anch’esso un “avventurista” , in questo caso mosso però anche dalla visione “messianica” che pervade da sempre “la destra” del Sionismo.
E qui posso garantire che, al contrario del Borgia, non ci sarà nessuna “rovina personale” per Bibi; semplicemente “ a tempo debito” sarà “posato” ( per usare, non a caso ,un termine mafioso) cosa che era già calcolata fin da l’ inizio della “operazione Gaza” .
C’ è appunto nel sionismo una “cupola” più efficiente che in quella “americana” e che evita che la “dialettica interna” sfoci mai in qualcosa di realmente e platealmente “punitivo” per i membri perdenti della tribù; pure per quelli dannosi.
La “ carità” interna alla “ nota etnia” è non solo molto forte ma anche profondamente astuta nell’ assunto che per consolidare la propria tenuta ed estendere il proprio potere non devono essere né abbandonati, né esemplarmente puniti non solo gli “incapaci” ma pure i “transfughi” e perfino anche i “rinnegati”.
Ad esempio dopo il 1945 nessuno dei nazisti di “sangue ebreo” fu realmente punito, nemmeno chi fu sempre leale ad “ Herr H “ e il “nazismo” non lo abiurò mai.
Poi perdipiù le due entità : U$A e Israele sono ormai così tanto simbiotiche da mostrarsi sempre di più come una sola entità : U$rael.
Di questa si può certamente definire chi per stazza sia “il cane ” e chi ” la coda”, ma mi sembra incontestabile che sia quest’ultima a far ” scodinzolare il cane “.
Trump non è un Giulio II che è andato a “punire” un borgia- netaniahu . Trump è stato solo chiamato a tirare fuori Netaniahu dai pasticci in cui si era cacciato.
E qui si può discutere solo se “l’ ordine ” sia stato impartito direttamente dalla ” destra sionista” americana che sostiene sia Netaniahu che Trump o dalla cupola sionista tramite la cupola americana in cui essa è comunque pesantemente presente, e dalla quale comunque Trump è dipendente.
La ” pace di trump” serviva solo a questo, pur condito con un teatrino in cui si è cercato di narrare che U$rael ha vinto.
Ma non è una “pace “, è solo una pausa tra un “round” e il successivo ed è pure discutibile che U$real questo round lo abbia realmente vinto.
Certo parecchi “punti” U$rael li ha segnati, ma al prezzo di aver smascherato al mondo la complicità che esso riceve da lunga data da pressoché tutti gli stati arabi e sunniti .
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Il suo comportamento arrogante e aggressivo nei confronti di Russia, India e Cina è responsabile di ciò.
La transizione sistemica globale verso la multipolarità sta oggi procedendo lungo una traiettoria diversa rispetto al passato, a causa dei recenti cambiamenti nel sistema internazionale. Finora, Trump 2.0 ha cercato partnership militari e di risorse rispettivamente con Russia e India, che avrebbero potuto rallentare l’ascesa della Cina come superpotenza, rendendola poi il partner minore in qualsiasi accordo “G2″/”Chimerica”. Il suo tentativo di equilibrismo eurasiatico è tuttavia fallito a causa del suo approccio arrogante e aggressivo nei confronti di tutti e tre i paesi.
I legami con la Russia hanno subito un duro colpo dopo il vertice di Anchorage, in seguito a un crescenteriguardantenotizie sui piani degli Stati Uniti di supportare le truppe NATO in Ucraina, spingendo Putin ad abbandonare il suo gioco di equilibrismo eurasiatico per rivolgersi alla Cina. Ciò ha preso la forma dell’accordo giuridicamente vincolante appena concluso per la costruzione del gasdotto Power of Siberia 2. La prevista partnership con la Russia incentrata sulle risorse, che mirava ad attirareconcessioni all’Ucraina, è ora molto meno probabile.
Con la Russia che si è rivolta alla Cina tramite l’operazione “Power of Siberia 2” nel contesto del riavvicinamento sino-indo-indiano, le risorse e i mezzi militari per rallentare l’ascesa della Cina come superpotenza attraverso partnership con essa sono stati neutralizzati, portando così qualsiasi accordo “G2″/”Chimerica” a favorire la Cina. Di conseguenza, il presidente Xi Jinping ha adottato una retorica più decisa sulla riorganizzazione dell’ordine mondiale durante i suoi discorsi al vertice della SCO e al VJ Day , spingendo Trump ad accusarlo di ” cospirazione ” contro gli Stati Uniti.
L’accordo commerciale provvisorio sino-americano è ora a rischio dopo che Xi ha appena minacciato l’imposizione di dazi del 100% sulla Cina entro il 1° novembre o prima, a seconda di quando la Cina imporrà i suoi controlli sulle esportazioni di minerali di terre rare. Insieme alla sua drammatica accusa secondo cui Xi starebbe “cospirando” contro gli Stati Uniti in collusione con Putin e Kim Jong Un, questo potrebbe presagire future tensioni strategico-militari, anche se solo indirettamente per procura. Ciò destabilizzerebbe ulteriormente l’Eurasia, secondo il tradizionale stratagemma del “divide et impera” degli Stati Uniti.
In senso orario, queste potrebbero assumere la forma di: fomentare disordini per la Rivoluzione Colorata in Mongolia al fine di indebolire il Potere della Siberia 2; provocare un incidente con la Cina in mare in acque contese da parte di Giappone, Taiwan e/o Filippine; ostacolare l’accesso della Cina ai minerali di terre rare nel Kachin del Myanmar. Stato ; e/o seminare instabilità in Asia centrale attraverso la Turchia, membro della NATO, attraverso il nuovo corridoio TRIPP . La risposta della Cina a questi scenari potrebbe essere quella di armare la Russia e persino inviare truppe per aiutarla in Ucraina.
Xi ha visto come Trump ha maltrattato il suo amico Modi, nonostante guidasse uno Stato che avrebbe potuto unirsi all’asse anti-cinese degli Stati Uniti, e ha anche visto come sta tradendo Putin in Ucraina dopo Anchorage, quindi si aspetta un trattamento simile se accetterà un accordo “G2″/”Chimerica”. Sa anche che la Cina ora ha un bersaglio sulla schiena dopo gli ultimi dazi e le accuse di “cospirazione” mosse da Trump. Non c’è quindi da stupirsi che il tentativo di equilibrismo eurasiatico di Trump 2.0, caratterizzato da arroganza e aggressività, sia fallito.
La Russia ha utilizzato in modo creativo il “controllo riflessivo” per prendere in giro l’Estonia, mettendo i suoi funzionari in un dilemma a somma zero, in cui qualsiasi risposta avessero adottato avrebbe favorito gli interessi di soft power della Russia.
La chiusura temporanea da parte dell’Estonia di una strada attraverso lo “Stivale di Saatse” controllato dalla Russia, dopo che circa 10 soldati russi erano stati avvistati al centro, ha scatenato un’altra ondata di isteria. Alcuni l’hanno collegata alla presunta violazione dello spazio aereo marittimo del mese scorso, ipotizzandoche ” la Russia sia entrata nella ‘Fase Zero’ – la fase di definizione delle condizioni informative e psicologiche – della sua campagna di preparazione a una possibile guerra NATO-Russia in futuro”. Probabilmente non è così, come verrà ora spiegato.
Lo “Stivale di Saatse” è un’eredità dell’era sovietica, quando Russia ed Estonia facevano parte dell’URSS. Mosca non aveva mai previsto che questo lembo di territorio avrebbe un giorno collegato due zone rurali di un blocco militare ostile, la NATO, quando delimitò il confine tra queste allora repubbliche sovietiche. La strada che lo attraversa, lungo la quale i non russi ( inclusi i turisti ) possono transitare ma non sostare, non è mai stata significativa, e lo è ancora di meno negli ultimi anni, dopo la costruzione di un’alternativa.
Questa stranezza geopolitica-logistica è quindi in grado di attirare facilmente un’attenzione smisurata, ergo il probabile motivo per cui la Russia avrebbe deciso di ordinare ad alcune truppe di schierarsi al centro della situazione di recente, non per fare a pugni con la NATO ma per prendere in giro l’Estonia. Quel paese è una delle voci anti-russe più forti all’interno della NATO e dell’UE, che sono ormai organizzazioni complementari controllate dagli Stati Uniti, e le sue regolari arringhe contro la Russia hanno alimentato le azioni sempre più aggressive di entrambi i blocchi negli ultimi tempi.
Considerando che nessuna delle due tendenze sopra menzionate è destinata a placarsi, il che porta a prevedere che le tensioni NATO-Russia persisteranno con diversi gradi di gravità (sia in generale, per quanto riguarda la regione baltica, sia specificamente incentrate sull’Estonia), la Russia potrebbe aver pensato di trarre il massimo vantaggio dalla situazione. Riaffermare simbolicamente la propria sovranità sullo “Stivale di Saatse” con “omini verdi” avrebbe potuto essere un modo per turbare gli estoni, poiché avrebbe ricordato loro l’Operazione Crimea con tutto ciò che ne conseguì.
Perché ciò accada, i media locali e internazionali dovrebbero inavvertitamente contribuire a seminare il panico tra la popolazione, il che contestualizza il tweet del Ministro degli Esteri estone Margus Tsahkna che minimizza la situazione. La sua risposta, tuttavia, rappresenta comunque una sorta di vittoria del soft power per la Russia, poiché rappresenta un esempio riuscito del cosiddetto ” controllo riflessivo “, grazie al quale Mosca è riuscita a manipolarlo per indurlo a fare qualcosa che favorisse i propri interessi senza che lui se ne rendesse nemmeno conto.
Per essere più precisi, avrebbe potuto assecondare il previsto clamore mediatico, a costo di seminare il panico, oppure minimizzare l’incidente, a costo di mettere in discussione il suo recente allarmismo sulla presunta violazione dello spazio aereo marittimo da parte della Russia, mettendolo così di fronte a un dilemma. Alla fine ha calcolato che quest’ultima fosse l’opzione meno peggiore, forse convinto che la potenziale confusione e la demoralizzazione associata sarebbero state relativamente più gestibili del panico diffuso, il che ha senso.
In ogni caso, non esiste oggettivamente alcun “allarme confine”, visto che l’ultimo incidente si è verificato interamente in territorio russo e ha coinvolto solo una manciata di truppe, il che non suggerisce in alcun modo “preparativi per una possibile guerra NATO-Russia in futuro”, come alcuni hanno ipotizzato. Tutto ciò che è probabilmente accaduto è che la Russia ha utilizzato in modo creativo il “controllo riflessivo” per prendere in giro l’Estonia, mettendo i suoi funzionari in un dilemma a somma zero, in cui qualsiasi risposta a cui avessero fatto ricorso avrebbe favorito gli interessi di soft power della Russia.
Il precedente creato dalla risposta moderata della Russia all’ottenimento da parte dell’Ucraina degli F-16, che potrebbero anche essere dotati di armi nucleari, suggerisce che le tensioni con gli Stati Uniti rimarranno gestibili se l’Ucraina otterrà anche i Tomahawk, grazie al modus vivendi che presumibilmente è stato messo in atto per la loro gestione.
Le ultime indiscrezioni sul trasferimento da parte degli Stati Uniti di missili da crociera Tomahawk a lungo raggio all’Ucraina, che Putin ha affermato all’inizio di questo mese potrebbero essere utilizzati solo con il coinvolgimento diretto del personale militare statunitense, hanno suscitato preoccupazioni circa una spirale di escalation potenzialmente incontrollabile. Il viceministro degli Esteri russo Sergey Ryabkov ha valutato che un tale sviluppo porterebbe a “un cambiamento significativo della situazione”, ma ha comunque ribadito che non impedirebbe alla Russia di raggiungere i suoi obiettivi nello specialeoperazione .
L’obiettivo esplicitamente dichiarato dall’Ucraina nell’ottenere queste armi è quello di “fare pressione” sulla Russia affinché congeli la Linea di Contatto senza alcuna concessione da parte di Kiev, il che equivarrebbe essenzialmente a una concessione da parte di Mosca sui suoi obiettivi suddetti, poiché nessuno di essi verrebbe pienamente raggiunto se ciò accadesse, da qui il motivo per cui non ha accettato. Per raggiungere tale obiettivo, l’Ucraina ha minacciato di provocare un blackout nella capitale russa, che sarebbe probabilmente accompagnato da ulteriori attacchi contro obiettivi logistici civili e militari molto dietro le linee del fronte.
Alcuni temono quindi che le tensioni tra Russia e Stati Uniti possano degenerare, soprattutto dopo che il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha osservato che i Tomahawk possono essere equipaggiati con testate nucleari, ma il precedente creato dagli F-16 suggerisce che rimarranno gestibili. Lo stesso Putin aveva avvertito all’inizio del 2024 che anche loro potevano essere equipaggiati con testate nucleari, eppure la Russia alla fine non ha considerato il loro utilizzo come un potenziale primo attacco nucleare. Ciò è probabilmente dovuto al modus vivendi descritto qui alla fine del 2024:
“[Le figure relativamente pragmatiche dello ‘stato profondo’ statunitense] che ancora prendono le decisioni, segnalano sempre le loro intenzioni di escalation con largo anticipo, in modo che la Russia possa prepararsi e quindi essere meno incline a ‘reagire in modo eccessivo’ in un modo che rischi la Terza Guerra Mondiale. Allo stesso modo, la Russia continua a trattenersi dal replicare la campagna ‘shock-and-awe’ degli Stati Uniti, al fine di ridurre la probabilità che l’Occidente ‘reagisca in modo eccessivo’ intervenendo direttamente nel conflitto per salvare il proprio progetto geopolitico e rischiando così la Terza Guerra Mondiale.
Si può solo ipotizzare se questa interazione sia dovuta al comportamento responsabile delle rispettive burocrazie militari, di intelligence e diplomatiche permanenti (“stato profondo”), considerata l’enormità della posta in gioco, o se sia il risultato di un “accordo tra gentiluomini”. Qualunque sia la verità, il modello sopra menzionato spiega le mosse inaspettate, o la loro mancanza, di entrambe, che sono gli Stati Uniti che telegrafano di conseguenza le loro intenzioni di escalation e la Russia che non si è mai seriamente impegnata in una simile escalation.
Le ultime indiscrezioni sul trasferimento da parte degli Stati Uniti di missili da crociera Tomahawk a lungo raggio all’Ucraina rientrano nel modello di fughe di notizie che servono a mettere in guardia la Russia su questa escalation pianificata in anticipo, in modo che possa preparare le sue risposte in anticipo. Più volte, Putin ha esercitato un grado quasi di santità di autocontrollo nel rifiutarsi di intensificare l’escalation, sia in modo simmetrico che asimmetrico. I lettori possono approfondire questi precedenti consultando le otto analisi elencate in quella di fine 2024, a cui si rimanda.
L’unica eccezione è stata l’autorizzazione all’uso degli Oreshnik a novembre, dopo che Stati Uniti e Regno Unito avevano permesso all’Ucraina di usare i loro missili a lungo raggio all’interno della Russia, ovviamente attraverso il coinvolgimento diretto del loro personale militare, cosa che potrebbe ripetere se l’Ucraina ottenesse i Tomahawk. Non li ha autorizzati dopo gli attacchi strategici con droni dell’Ucraina contro componenti della triade nucleare russa a giugno, attacchi molto più provocatori, forse dovuti ai suoi calcoli diplomatici nei confronti di Trump.
Che si sia d’accordo o meno con questa politica, è presumibilmente vero che Putin vuole evitare di fare qualsiasi cosa che possa riaffermare la percezione di Trump (accuratamente elaborata dai guerrafondai che lo circondano come Zelensky e Lindsey Graham ) che la Russia stia intensificando la sua azione, giustificando così falsamente le ” reciproche escalation degli Stati Uniti “. Finché continuerà a formulare una politica basata su questo calcolo, e non ci sono finora indicazioni credibili che sia cambiata, allora qualsiasi escalation sui Tomahawk rimarrà probabilmente gestibile.
Lavrov ha suggerito che potrebbero facilitare l’invio di aiuti all’Africa, ma è anche possibile che ospitino complessi colloqui militari-diplomatici tra tutte le parti interessate in Siria, aiutando al contempo le sue forze armate a mantenere l’unità nazionale attraverso il riattrezzamento, l’addestramento e la consulenza.
Le relazioni tra Russia e Siria sono interessanti per molti osservatori a causa della realpolitik che le caratterizza dallo scorso dicembre, quando Assad è caduto. Hayat Tahrir al-Sham, il gruppo di Ahmed “Jolani” Sharaa discendente da Al Qaeda, è stato designato come terrorista dalla Russia prima della sua presa di potere sostenuta dalla Turchia, e di conseguenza odiava la Russia per averlo bombardato, ma entrambi hanno rapidamente messo da parte la questione. Il fatto è che i rispettivi interessi statali richiedono una cooperazione continua, indipendentemente da chi sia al potere in Siria.
Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha accennato al futuro delle basi del suo Paese in un’intervista trasmessa la scorsa settimana, prima del viaggio di Sharaa a Mosca mercoledì per incontrare Putin. Sebbene il vertice fosse certamente importante, le osservazioni di Lavrov hanno fatto maggiore chiarezza su questo argomento rispetto alle dichiarazioni iniziali dei colloqui (non c’è stata alcuna conferenza stampa dopo l’incontro), motivo per cui le sue parole costituiscono la base di questa analisi. Ecco esattamente ciò che ha detto, che verrà poi analizzato:
«La funzione deve essere riconfigurata. Un compito chiaro che potrebbe andare a vantaggio dei siriani, dei loro vicini e di molti altri paesi è la creazione di un hub umanitario, utilizzando il porto e l’aeroporto per consegnare aiuti umanitari dalla Russia e dagli Stati del Golfo Persico all’Africa. C’è una comprensione condivisa sul fatto che ciò sarà richiesto e siamo pronti a coordinare i dettagli. La questione è stata discussa in linea di principio e c’è un interesse reciproco».
Si tratta di una proposta unica che consentirebbe a queste strutture di diventare centri logistici per fornire aiuti russi, arabi e possibilmente anche di altri paesi all’Africa. Il continuo invio da parte della Russia di generi alimentari donati, principalmente grano, nonché di energia e fertilizzanti a prezzi scontati, ha contribuito a scongiurare una reazione a catena di tragedie negli ultimi tre anni e mezzo che avrebbe potuto esplodere a causa delle sanzioni unilaterali imposte dall’Occidente. Tuttavia, a giudicare da quanto affermato da Lavrov, il futuro delle basi russe in Siria potrebbe riservare molto di più.
“Comprendiamo le legittime preoccupazioni di Israele in materia di sicurezza (in Siria)… Tuttavia, anche gli interessi degli altri attori devono essere salvaguardati. Nel nord-est ci sono i curdi, che l’amministrazione Biden ha iniziato a corteggiare, incoraggiando attivamente i sentimenti separatisti. I nostri omologhi turchi mantengono una presenza nel nord, lungo il confine con la Siria. Nel frattempo, gli alawiti e i cristiani continuano a subire persecuzioni, come dimostra il recente barbaro attacco a una chiesa.”
Ha poi aggiunto che tutti coloro che hanno influenza in Siria devono dare priorità alla sua unità e ha dichiarato: “Siamo pronti a collaborare su questi temi con altre nazioni che perseguono i propri interessi nella Repubblica araba siriana”. Di conseguenza, si può intuire che le strutture militari russe potrebbero ipoteticamente ospitare colloqui sulla sicurezza tra le parti in conflitto, mentre le sue forze armate e i suoi diplomatici potrebbero anche fornire servizi di consulenza alle controparti siriane per promuovere il loro obiettivo comune di mantenere l’unità nazionale.
Pertanto, mentre la ragione ufficiale per mantenere le basi russe in Siria potrebbe essere quella di facilitare gli aiuti all’Africa e possibilmente ospitare complessi colloqui militari-diplomatici, il vero scopo potrebbe essere quello di riattrezzare, addestrare e consigliare il proprio esercito, sebbene entro i limiti non ufficiali imposti da Israele e concordati dalla Siria in tale eventualità. Questa visione è stata condivisa per la prima volta all’inizio di febbraio qui e ha quindi previsto con lungimiranza ciò che finora si è verificato. Questi piani potrebbero ancora essere modificati, ma per il momento sembrano essere sulla buona strada.
La recente retorica del Ministero degli Affari Esteri, ispirata dagli Stati Uniti, sulla “costruzione della democrazia” in Afghanistan suggerisce in modo inquietante che il Pakistan potrebbe preparare un’operazione di cambio di regime sostenuta dagli Stati Uniti.
Il Ministero degli Affari Esteri del Pakistan ha concluso un recente comunicato stampa sugli scontri tra il suo Paese e l’Afghanistan, i più intensi degli ultimi anni, scrivendo: “Speriamo anche che un giorno il popolo afghano possa essere emancipato e governato da un vero governo rappresentativo”. Ciò ricorda la retorica statunitense sulla “costruzione della democrazia” e non dovrebbe sorprendere, considerando il riavvicinamento tra i due avvenuto lo scorso anno, che ha ripristinato il tradizionale status del Pakistan come principale partner regionale degli Stati Uniti.
Trump ha anche condiviso i piani per il rientro delle truppe statunitensi nella base aerea di Bagram in Afghanistan , cosa che può realisticamente avvenire solo con la facilitazione del Pakistan, nonostante l’ opposizione ufficiale di Islamabad , mentre recentemente sono circolate voci sui piani, presumibilmente complementari, del Pakistan di dotare gli Stati Uniti di un porto sul Mar Arabico . La retorica della “costruzione della democrazia” sostenuta dal Ministero degli Affari Esteri pakistano dovrebbe quindi essere presa sul serio, poiché potrebbe servire da pretesto per un’altra operazione di cambio di regime in Afghanistan.
I talebani non cederanno alle richieste di Trump su Bagram, mentre il Pakistan considera sempre più il gruppo una minaccia per la sicurezza a causa del presunto patrocinio dei terroristi del “Tehreek-i-Taliban Pakistan” e del “Balochistan Liberation Army”. Già nel gennaio 2023, si stimava che ” il Pakistan potrebbe essere sul punto di lanciare un’operazione militare speciale in Afghanistan ” per queste ragioni, che prevedibilmente riceverebbe un certo grado di supporto da parte degli Stati Uniti (molto probabilmente armi, intelligence e logistica) se mai dovesse accadere.
La dimensione tagika è significativa poiché l’NRF, a guida etnica tagika, è un influente movimento ibrido di milizia, ma la Russia ha ancora una base lì, le cui truppe hanno il compito di proteggere il confine afghano, quindi Mosca probabilmente non permetterebbe a Dushanbe di rovesciare i suoi nuovi alleati talebani . Ciononostante, l’accoglienza senza precedenti da parte del Pakistan di membri dell’opposizione afghana non fondamentalisti e la sua ultima retorica sulla “costruzione della democrazia” influenzata dagli Stati Uniti suggeriscono un coordinamento con il Tagikistan, anche se il suo ruolo rimane solo politico.
I tagiki costituiscono il secondo gruppo etnico più numeroso dell’Afghanistan, sono concentrati nel nord e sono più numerosi in Afghanistan che nel Tagikistan stesso. La maggior parte è fermamente laica, molto più favorevole alla democrazia rappresentativa rispetto ad altri nel paese e storicamente si è opposta ai nazionalisti pashtun fondamentalisti come i talebani. Questo renderebbe loro, la NRF e il Tagikistan strani alleati con il Pakistan, ex protettore dei talebani, ma questa è la natura della realpolitik in evoluzione nella regione .
Qualsiasi “operazione speciale” pakistana in Afghanistan sostenuta dagli Stati Uniti godrebbe quindi di un sostegno variabile da parte loro, ma il fallimento dell’occupazione dell’Afghanistan da parte dell’Occidente ha dimostrato che i talebani hanno i mezzi per reagire, punire i propri nemici e vincere. In questo scenario, le truppe pakistane in Afghanistan si troverebbero ad affrontare innumerevoli imboscate, mentre i civili in patria potrebbero essere presi di mira da un’ondata di attacchi terroristici, quindi il Pakistan dovrebbe bocciare qualsiasi piano del genere, a meno che non sia pronto ad accettare costi crescenti che rischiano di destabilizzarlo.
La campagna di allarmismo, probabilmente coordinata dagli Stati Uniti e dall’Ucraina, sulle conseguenze per la sicurezza regionale derivanti dal presunto coinvolgimento dei cubani nella guerra a fianco della Russia, fa pensare che l’isola sarà presto sottoposta a maggiori pressioni.
Reuters ha riportato in esclusiva all’inizio di ottobre che il Dipartimento di Stato ha inviato un telegramma non classificato a decine di missioni diplomatiche statunitensi ordinando ai diplomatici di comunicare ai vari paesi che Cuba aveva inviato fino a 5.000 combattenti a sostegno della Russia contro l’Ucraina. I servizi segreti ucraini hanno poi diffuso queste affermazioni sul New York Post, probabilmente in coordinamento con il Dipartimento di Stato, in coincidenza con la ratifica da parte della Camera alta russa di un nuovo patto di cooperazione militare con Cuba, anch’esso oggetto di speculazioni.
Alcuni sospettano che ciò abbia lo scopo di formalizzare il presunto reclutamento militare russo a Cuba che due anni fa ha fatto infuriare alcuni funzionari dell’Avana, come analizzato qui all’epoca, e che ora potrebbe includere truppe ufficiali in linea con un precedente patto con la Corea del Nord, mentre altri vedono piani più ambiziosi. Alexander Stepanov, esperto militare dell’Accademia presidenziale russa di economia nazionale e pubblica amministrazione, ha dichiarato a TASS che la Russia potrebbe inviare Iskander e persino Oreshnik a Cuba in base a questo patto.
Secondo lui, ciò “creerebbe un deterrente efficace in grado di raggiungere obiettivi strategicamente importanti sul territorio statunitense, mantenendo così l’equilibrio di potere e la parità nelle capacità offensive”, in particolare nel contesto dei possibili piani statunitensi di inviare missili da crociera Tomahawk a lungo raggio in Ucraina. Questa linea di speculazione non è nuova, poiché il vicepresidente della commissione difesa della Duma Alexei Zhuravlev ha proposto nel gennaio 2024 che la Russia collochi armi nucleari in quella regione e in altre zone dell’area.
Ciò sarebbe sensato in linea di principio, ma improbabile nella pratica, poiché Cuba probabilmente non vuole rischiare di provocare Trump e indurlo a considerare una campagna di massima pressione contro di essa simile a quella iraniana, soprattutto dopo che egli ha appena ordinato un rafforzamento militare regionale con il pretesto di fermare il traffico di droga. Le continue speculazioni di alto profilo sullo scenario di missili russi inviati ancora una volta segretamente a Cuba, sia da parte dell’agenzia di stampa pubblica TASS che di un funzionario della Duma, potrebbero comunque essere sfruttate a questo scopo.
È molto più probabile, tuttavia, che il telegramma del Dipartimento di Stato sui combattenti cubani che sostengono la Russia contro l’Ucraina venga sfruttato per giustificare gradualmente una maggiore pressione sull’isola. A tal proposito, questa affermazione potrebbe essere vera (indipendentemente dal fatto che riguardi volontari e/o truppe effettive) proprio come quelle precedenti sul sostegno della Corea del Nord sono state successivamente confermate dalla Russia, ma sarebbe un diritto legale di Cuba consentire ai propri cittadini di cooperare con la Russia in questo modo e/o inviare sostegno diretto.
Anche se questo è tutto ciò che c’è nel loro patto appena ratificato, l’allarmismo dell’Ucraina al riguardo sul New York Post – che Trump una volta ha definito il suo “giornale preferito” – potrebbe essere sufficiente per riportare Cuba nel mirino degli Stati Uniti. Secondo loro, “L’esperienza di combattimento acquisita dai cittadini cubani in Ucraina è una merce pericolosa e trasferibile. Questa esperienza potrebbe essere utilizzata per addestrare proxy e destabilizzare altre regioni, in particolare in America Latina, minacciando la sicurezza degli alleati e dei partner degli Stati Uniti”.
Non importa che quanto sopra sia una speculazione, poiché ciò che conta è che Trump, in un modo o nell’altro, arrivi a credere (da solo o su sollecitazione dei suoi stretti collaboratori) che questo sia uno scenario credibile e autorizzi di conseguenza una politica più muscolare nei confronti di Cuba. Ciò potrebbe anche essere motivato da cinici interessi elettorali in vista delle elezioni di medio termine del prossimo autunno, ma mascherato come interesse per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Gli osservatori dovrebbero quindi tenere d’occhio i rapporti tra Stati Uniti e Cuba in futuro.
Se i servizi segreti russi stabilissero che ciò è innegabile o quantomeno plausibile, allora i legami con il Pakistan prevedibilmente peggiorerebbero, mentre la fiducia della Russia nei talebani verrebbe gravemente danneggiata se si scoprisse che il gruppo ha mentito.
Il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, ha ribadito le accuse secondo cui il Pakistan sostiene l’ISIS-K, uno dei motivi per cui i talebani hanno attaccato lungo la linea Durand nel fine settimana, ma ha aggiunto che anche gli attacchi contro Iran e Russia sono stati orchestrati da lì: “Centri di addestramento per l’ISIS-K sono stati istituiti a Khyber Pakhtunkhwa e gli allievi vengono trasportati lì attraverso gli aeroporti di Karachi e Islamabad. Le nostre scoperte mostrano che gli attacchi in Iran e Mosca sono stati orchestrati da questi centri”.
I media indiani hanno riferito a fine aprile che un importante ideatore dell’attacco terroristico di Crocus della primavera scorsa avrebbe potuto essere arrestato in Pakistan, ma la notizia non è mai stata confermata, quindi alcuni scettici l’hanno liquidata come una trovata propagandistica dopo l’ attacco terroristico di Pahalgam e prima degli scontri indo-pakistani che ne sono derivati. Questa analisi ha valutato che “la maggiore rilevanza [del rapporto] risiede nel fatto che ricorda ai lettori, dopo Pahalgam, che alcuni terroristi cercano rifugio in Pakistan, il che ha spinto la presente analisi a spiegarne il motivo”.
Da allora, l’ex Ministro della Difesa russo, ora Segretario del Consiglio di Sicurezza, Sergey Shoigu, ha pubblicato un interessante articolo sull’Afghanistan sul quotidiano ufficiale del suo governo a fine agosto, condannando il trasferimento di terroristi stranieri da parte delle agenzie di spionaggio occidentali alle cellule dell’ISIS-K in Afghanistan. Non ha tuttavia menzionato come siano entrati nel Paese, sebbene questa analisi del suo articolo sostenga che la via più semplice sia attraverso il Pakistan. Shoigu e altri funzionari russi lo sanno certamente.
Ciononostante, la Russia ha comunque svolto le sue esercitazioni antiterrorismo annuali con il Pakistan all’inizio dell’autunno e di recente sono circolate anche voci di una più stretta cooperazione sui motori dei caccia, a dimostrazione del fatto che Mosca non crede che Islamabad “ufficiale” sia in combutta con i terroristi. Detto questo, la sua leadership politica “ufficiale” è ampiamente considerata subordinata alla sua leadership militare e di intelligence, che è stata accusata di tale collusione in passato. La leadership politica persinoha ammesso che ciò è vero.
L’India, in precedenza gli Stati Uniti (ma forse non più a causa del loro rapido riavvicinamento ), occasionalmente l’Iran e ora i Talebani hanno tutti avanzato queste rivendicazioni, così come fece l’URSS durante la guerra in Afghanistan degli anni ’80, a causa del sostegno del Pakistan ai mujaheddin sostenuti dalla CIA. Considerati i decenni di vicinanza tra Russia e India e la ritrovata vicinanza tra Russia e Talebani, è possibile che la Russia prenda presto più seriamente le costanti rivendicazioni della prima e forse indaghi persino sulle ultime affermazioni dei secondi.
Dopotutto, non è una questione di poco conto che i talebani abbiano affermato che l’attacco terroristico al Crocus è stato orchestrato dal Pakistan, sebbene da persone che i loro servizi militari e di intelligence probabilmente hanno portato nel Paese all’insaputa della loro controparte politica, se fosse vero. Inoltre, sebbene il Pakistan non voti contro la Russia alle Nazioni Unite e abbia cercato di espandere i propri legami economici durante la …L’operazione , il suo orientamento filo-occidentale e la preferenza di Trump per il Pakistan sollevano sospetti sul suo nuovo ruolo regionale.
Per queste ragioni, la Russia potrebbe presto chiedere all’India, ai Talebani e forse persino all’Iran di condividere qualsiasi informazione di intelligence in loro possesso sui legami del Pakistan con i terroristi, in particolare con l’ISIS-K. È imperativo che la Russia determini la veridicità di quest’ultima accusa il prima possibile. Se i suoi servizi segreti concludessero che è innegabile o almeno plausibile, allora i legami con il Pakistan prevedibilmente peggiorerebbero, mentre la fiducia della Russia nei Talebani verrebbe gravemente danneggiata se si scoprisse che il gruppo ha mentito.
Questo è il risultato del ripristino della loro vecchia partnership strategica risalente all’epoca della Guerra Fredda.
Il Ministro degli Esteri indiano, Dr. Subrahmanyam Jaishankar, ha annunciato che il suo Paese trasformerà la sua missione tecnica in Afghanistan in un’ambasciata a tutti gli effetti durante la visita di sei giorni del suo omologo afghano, Amir Khan Muttaqi. Questo è avvenuto il giorno dopo che il Pakistan ha bombardato diversi presunti obiettivi del “Tehreek-i-Taliban Pakistan” (TTP, ovvero “Talebani pakistani”) in Afghanistan la notte precedente. Il TTP è un gruppo designato come terrorista, la cui ondata di attacchi negli ultimi tre anni è la più feroce dell’ultimo decennio .
Alcuni sono rimasti sorpresi dal viaggio di Muttaqi a Delhi e dalla ripresa formale dei rapporti bilaterali, poiché rappresenta una dittatura islamista fondamentalista che in passato è stata accusata di aver avuto un ruolo nell’insurrezione del Kashmir sostenuta dal Pakistan, mentre l’India è uno stato laico e la più grande democrazia del mondo. Comunque sia, Muttaqi ha affermato che “non abbiamo mai rilasciato dichiarazioni contro l’India. Piuttosto, abbiamo sempre cercato di mantenere buoni rapporti con l’India” durante l’occupazione americana, suggerendo così reciproche motivazioni di realpolitik.
Si può sostenere che sia così, e ciò è dovuto al fatto che il Pakistan ha avvicinato i Talebani e l’India, come verrà ora spiegato. La rivalità indo-pakistana è ben nota e non richiede ulteriori spiegazioni, mentre il peggioramento dei rapporti tra Talebani e Pakistan è attribuibile al pericoloso dilemma di sicurezza emerso un anno dopo la fine dell’occupazione statunitense. In breve, i Talebani temono la collusione tra Stati Uniti e Pakistan contro di loro dopo la fine dell’occupazione postmoderna.colpo di stato contro Imran Khan, mentre il Pakistan teme le implicazioni del rifiuto dei talebani di riconoscere la linea Durand.
Di conseguenza, le controversie territoriali tra India e Afghanistan con il Pakistan hanno avuto un ruolo importante nel loro riavvicinamento dell’era dei talebani 2.0, che è stato accelerato da Trump 2.0 che ha chiesto il ritorno delle truppe statunitensi alla base aerea di Bagram (che poteva avvenire solo con la facilitazione del Pakistan) e dalla sua nuova pressionecampagna contro l’India. Questi processi si sono verificati parallelamente al riavvicinamento tra Stati Uniti e Pakistan , che sta rapidamente rilanciando la loro vecchia partnership strategica risalente all’epoca della Guerra Fredda, che India (e Russia) ritenevano destabilizzasse la regione all’epoca.
Le recenti notizie secondo cui il Pakistan vorrebbe cedere un porto agli Stati Uniti , cosa che alcuni ritengono potrebbe portare al ritorno delle forze statunitensi, coincidono con le accuse indiane secondo cui il Pakistan sostiene il terrorismo in Kashmir e con quelle dei talebani di sostenere l’ISIS-K (a cui la Russia ha fatto un occhiolino ), peggiorando la percezione della minaccia da parte di questi due gruppi. Allo stesso modo, il Pakistan accusa l’India di sostenere l'” Esercito di liberazione del Belucistan ” e i talebani di sostenere il TTP, che sono gruppi terroristici alleati degli Stati Uniti e potrebbero quindi servire da pretesto per una pressione congiunta contro di loro.
A proposito di pressione, la Cina potrebbe presto risentire maggiormente della sua dimensione militare da parte degli Stati Uniti, a causa delle ultime mosse filoamericane del suo “fratello di ferro” Pakistan. Trump vuole esplicitamente riportare le truppe statunitensi alla base aerea di Bagram per minacciare i vicini siti nucleari cinesi, e questo potrebbe avvenire solo con la facilitazione del Pakistan. Anche il possibile ritorno delle truppe statunitensi in Pakistan potrebbe raggiungere questo obiettivo. I dazi del 100% sulla Cina recentemente annunciati da Trump, proprio mentre i rapporti tra Stati Uniti e Pakistan entrano in una fase di rinascita, alimentano ulteriormente i sospetti.
Sebbene la Cina probabilmente non abbandonerà mai il Pakistan, avendo investito miliardi nella sua economia attraverso il Corridoio Economico Cina-Pakistan, fiore all’occhiello della BRI, e vendendo più armi al Pakistan che a chiunque altro, gli Stati Uniti potrebbero presto chiedere al Pakistan di prendere le distanze dalla Cina. Se il Pakistan acconsentirà come previsto, Cina e India potrebbero coordinare il sostegno all’Afghanistan come manifestazione del loro nascente riavvicinamento per bilanciare il rinato duopolio regionale USA-Pakistan, rimodellando così la geopolitica regionale.
Mentre la Nuova Guerra Fredda si sposta dalla priorità data dagli Stati Uniti al contenimento della Russia in Europa al contenimento della Cina in Asia, allo stesso modo la tendenza degli Stati Uniti a rivedere gradualmente i risultati della Seconda Guerra Mondiale per ottenere un vantaggio anche su quel fronte.
L’ambasciata de facto degli Stati Uniti a Taiwan ha inviato a Reuters una dichiarazione via email a metà settembre, criticando il ricorso della Cina agli accordi della Seconda Guerra Mondiale a sostegno della sua rivendicazione sull’isola. L’ambasciata ha dichiarato che “la Cina travisa intenzionalmente i documenti della Seconda Guerra Mondiale, tra cui la Dichiarazione del Cairo, la Proclamazione di Potsdam e il Trattato di San Francisco, per cercare di sostenere la sua campagna coercitiva per sottomettere Taiwan”. L’ultima svolta in questa disputa coincide con l’80 ° anniversario della sconfitta del Giappone.
Per contestualizzare, la Dichiarazione del Cairo del 1943 stabilisce che Formosa (nome di Taiwan in epoca coloniale) sarà restituita alla Repubblica di Cina (ROC); la Dichiarazione di Potsdam del 1945 fa riferimento al Cairo e limita l’ambito geografico della sovranità giapponese senza menzionare Formosa; e il Trattato di San Francisco del 1951 ha comportato la rinuncia ufficiale del Giappone alle sue pretese su Formosa, lasciandone però irrisolto lo status. Le interpretazioni della ROC e della Repubblica Popolare Cinese (RPC) saranno ora brevemente riassunte.
La Repubblica di Cina, con sede a Taiwan, si considera l’unico governo legittimo della Cina in quanto rappresenta la Repubblica di Cina, riconosciuta dalla Società delle Nazioni, nonostante il successore di quest’ultima all’ONU l’abbia espulsa nel 1971 e abbia sostituito il suo seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza con la Repubblica Popolare Cinese. Interpreta quindi le Dichiarazioni del Cairo e di Potsdam come una conferma del suo controllo su Taiwan, mentre la Repubblica Popolare Cinese si basa sulla suddetta decisione, che la riconosce come unico rappresentante legittimo della Cina, per rivendicare legalmente Taiwan.
Il significato delle critiche dell’ambasciata de facto degli Stati Uniti a Taiwan alla fiducia della Cina (formalmente della Repubblica Popolare Cinese) in questi accordi risalenti alla Seconda Guerra Mondiale (Reuters ha ricordato ai lettori di considerare il Trattato di San Francisco “illegale e invalido” poiché non ne era parte) è che si tratta di un segno dei tempi. Mentre la Nuova Guerra Fredda si sposta dalla priorità degli Stati Uniti al contenimento della Russia in Europa al contenimento della Cina in Asia , allo stesso modo si sta verificando la tendenza degli Stati Uniti a rivedere gradualmente i risultati della Seconda Guerra Mondiale per ottenere un vantaggio anche su quel fronte.
La Russia ritiene che la rimilitarizzazione della Germania , l’adesione della Finlandia alla NATO e la spinta verso la neutralità dell’Austria , tutte azioni sostenute dagli Stati Uniti, dimostrino che gli USA stanno gradualmente rivedendo gli esiti della Seconda Guerra Mondiale. Allo stesso modo, ritiene che la rimilitarizzazione del Giappone , sostenuta dagli Stati Uniti, ne sia la prova, opinione condivisa anche dalla Cina. Era quindi prevedibile che un giorno gli Stati Uniti avrebbero iniziato a contestare con maggiore fermezza la dipendenza della Cina dagli accordi della Seconda Guerra Mondiale a sostegno delle sue rivendicazioni su Taiwan.
L’ordine mondiale cambia sempre, come dimostra la storia, ma in questi casi, i processi associati vengono sfruttati dagli Stati Uniti a fini di contenimento nei confronti di quella che oggi può essere descritta come l’Intesa sino-russa, al fine di giustificare politiche più aggressive contro di essa su false basi giuridiche. Russia e Cina, membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ovviamente non accetterebbero le suddette revisioni, motivo per cui gli Stati Uniti le sostengono unilateralmente, il che accelera ulteriormente il crollo dell’ordine post-seconda guerra mondiale .
Lo scenario ideale, come previsto dalla Carta delle Nazioni Unite, è che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite svolga congiuntamente il ruolo di pioniere di una transizione controllata verso un nuovo ordine che preservi l’equilibrio di potere tra i due Paesi, riducendo così il rischio di conflitti durante questo periodo. Ciò è diventato impossibile dopo che il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dagli accordi di controllo degli armamenti con la Russia ha smantellato l’architettura di sicurezza globale, portando inevitabilmente a una graduale revisione degli esiti della Seconda Guerra Mondiale e a un pericoloso aumento delle tensioni con l’Intesa sino-russa.
Se ciò accadesse, i processi multipolari regionali sostenuti da Russia, India, Iran e Cina verrebbero messi a dura prova come mai prima, ma ciò potrebbe anche indurli a cooperare come mai prima, con il Pakistan che sopporterebbe il peso della loro pressione collettiva in questo scenario.
A tal fine, il Pakistan è sospettato di facilitare l’afflusso di terroristi stranieri in Afghanistan come agenti anti-talebani, come intuito dal Segretario del Consiglio di Sicurezza russo Sergey Shoigu nel suo articolo di fine agosto, analizzato qui il mese scorso. Parallelamente, l’obiettivo recentemente ribadito da Trump di riportare le truppe statunitensi alla base aerea di Bagram in Afghanistan può avere successo solo con il sostegno del Pakistan. Per concludere, il Financial Times (FT) ha riferito che il Pakistan sta ora offrendo agli Stati Uniti anche un porto commerciale.
Hanno citato consiglieri anonimi del capo dell’esercito pakistano Asim Munir, il governatore de facto del Paese che ha visitato gli Stati Uniti tre volte solo nell’ultimo anno e ha incontrato Trump due volte finora, per informare il pubblico che prevede che la sede venga istituita a Pasni. La città si trova nelle immediate vicinanze di Gwadar, al confine con l’Iran, punto terminale del Corridoio Economico Cina-Pakistan (CPEC), fiore all’occhiello della Belt & Road Initiative, che gli Stati Uniti hanno a lungo temuto potesse un giorno ospitare la Marina cinese.
Il Financial Times ha riportato che il progetto fa leva su questi timori, così come su quelli degli Stati Uniti riguardo all’Iran e persino alla Russia, per rendere la proposta di Pasni più allettante per Trump 2.0. Il documento afferma che “la vicinanza di Pasni all’Iran e all’Asia centrale migliora le opzioni statunitensi per il commercio e la sicurezza… L’impegno a Pasni controbilancerebbe Gwadar… ed espanderebbe l’influenza statunitense nel Mar Arabico e in Asia centrale… Gli investimenti cinesi a Gwadar nell’ambito della Belt and Road Initiative sollevano preoccupazioni sul duplice uso”.
La presenza statunitense a Pasni favorirebbe l’esportazione di minerali che le aziende statunitensi sono state invitate dal Pakistan a estrarre nella provincia del Belucistan, ma potrebbe rapidamente assumere dimensioni militari. Gli Stati Uniti hanno naturalmente interesse ad aiutare il Pakistan a sconfiggere il terrorista ” Esercito di Liberazione del Belucistan ” che minaccia questa regione ricca di risorse. Ciò potrebbe tuttavia portare a un’espansione delle missioni in Afghanistan, date le affermazioni del Pakistan secondo cui i talebani sostengono quel gruppo, e a ulteriori sanzioni contro l’India per lo stesso motivo.
Il pretesto di assistere il Pakistan, ” principale alleato non-NATO “, nella sua “guerra al terrorismo”, soprattutto se degli americani (anche se solo appaltatori della sicurezza) venissero uccisi dopo gli attacchi ai progetti minerari statunitensi in Belucistan, potrebbe servire a giustificare lo stanziamento di forze navali, truppe di terra e/o risorse aeree statunitensi a Pasni o nelle sue vicinanze. Ne potrebbe conseguire un patto simile a quello del Qatar per garantire la sicurezza del Pakistan nei confronti di Afghanistan, India e persino Iran, anch’esso accusato dal Pakistan di sostenere gruppi beluci identificati come terroristi.
Attraverso questi mezzi, che dipendono da una qualche forma di presenza statunitense a Pasni, il Pakistan completerebbe la sua svolta filo-occidentale ripristinando pienamente la sua vecchia partnership con l’America risalente all’epoca della Guerra Fredda, a cui Imran Khan si oppose (e che è il motivo per cui fu deposto). I processi multipolari regionali promossi da Russia, India, Iran e Cina verrebbero quindi messi a dura prova come mai prima, ma ciò potrebbe anche indurli a cooperare come mai prima, con il Pakistan che sopporterebbe il peso della loro pressione collettiva.
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L’autunno è arrivato e ha segnato la fine della mia terza stagione di coltivazione nell’orto. Ho ancora alcune brassicacee più resistenti, come cavoli, germogli e broccoli, nell’orto. Tuttavia, i bei tempi sono effettivamente finiti e le mie colture invernali decisamente poco entusiasmanti, come porri, cipolle e aglio, sono quasi pronte per essere trapiantate. Ripensando alla stagione di coltivazione, posso raccontare i miei successi e i miei fallimenti.
Ho piantato pomodori per la prima volta e ho scoperto che erano piante incredibilmente deboli e bisognose. Prima, da giovani piantine, non c’era abbastanza luce solare; poi, da piante, faceva troppo freddo; poi ricevevano troppa acqua; infine richiedevano fertilizzanti costosi. Durante l’ondata di caldo estivo, faceva troppo caldo.
Al contrario, un grande successo quest’anno è stato quello dei fagiolini scarlatti. Mentre i pomodori reclamavano attenzione nella serra, i fagiolini scarlatti si sono arrampicati allegramente su un traliccio improvvisato e hanno prodotto un gran numero di baccelli lunghi trenta centimetri (!).
Ho avuto un raccolto di patate enorme, mentre i piselli si sono rivelati un completo disastro perché, ancora una volta, non avevo calcolato quanto sarebbero cresciuti in altezza.
Accanto alle mie piantine di cipolla e porro ci sono alcune piante più rare e insolite con cui sto sperimentando.
E c’è una storia dietro a tutto questo…
Non sorprende che l’algoritmo di YouTube promuova in modo piuttosto aggressivo i “contenuti” di giardinaggio nel mio feed video. All’inizio di quest’anno, mi è stato consigliato un video intitolato ” 15 verdure dimenticate coltivate dai contadini medievali che DEVONO tornare ” . Il video, che sospetto fosse principalmente generato dall’intelligenza artificiale, elencava numerose erbe e verdure del Medioevo che da allora sono scomparse dalla nostra dieta quotidiana. Nonostante la natura “scarsa” del contenuto, sono rimasto incuriosito dalla premessa e ho approfondito ulteriormente.
Devo ammettere che non avevo riflettuto molto su come il nostro cibo sia cambiato nel corso dei secoli. Se William Shakespeare avesse visto una patata, l’avrebbe considerata una stranezza, forse un afrodisiaco. I Romani non sapevano cosa fosse un pomodoro. E nemmeno Leonardo da Vinci.
Mentre gli uomini europei navigavano verso le terre selvagge e inesplorate del mondo, tornavano con nuove colture che si insinuarono nella nostra dieta quotidiana fino a quando non le riconoscemmo più come estranee. Le colture tradizionali che sarebbero state familiari a un monaco o a un contadino medievale furono, per così dire, relegate ai margini del piatto, per poi essere completamente dimenticate.
Chi ha mai sentito parlare oggi del Buon Re Enrico? Era anche chiamato “Spinaci del Povero” o “Piede d’oca perenne”. Un’altra è il levistico, un parente del prezzemolo e del sedano. Il tanaceto è una pianta piuttosto aromatica con fiori a bottone giallo brillante e una vasta gamma di usi, alcuni dei quali sembrano decisamente dubbi, se non addirittura pericolosi. Poi c’è lo skirret, un parente della carota e della pastinaca che forma una spessa massa di bulbi nutrienti. Un’altra radice di cui non si sente molto parlare oggigiorno è la scorzonera, che si dice abbia un sapore di mare.
Il buon re Enrico
L’elenco degli alimenti che non mangiamo più, non coltiviamo più e non ricordiamo più è lungo. L’amministrazione dell’imperatore Carlo Magno produsse un documento intitolato “Capitulare de villis” che, tra molti altri editti amministrativi, prescriveva quali piante dovessero essere considerate benefiche per il popolo e per l’Impero in generale.
Più leggevo sui gusti e le abitudini culinarie degli europei in continua evoluzione, più mi sentivo come se fossi in un giallo. Perché, ad esempio, non avevo mai sentito parlare del levistico, figuriamoci di averlo visto al supermercato? Lo skirret era davvero una patata o una carota di qualità inferiore, da gettare nella zona fantasma storica e culturale? Era una cospirazione? Se il buon Re Enrico è un asparago o uno spinacio da poveri, perché non era facilmente reperibile?
Il primo indizio mi è venuto in mente quando ho capito perché all’improvviso avevo voluto ordinare dei semi e provare a coltivare alcune di queste piante dimenticate: erano piante perenni.
(Una pianta che viene seminata e completa il suo intero ciclo vitale nell’arco di un anno è detta annuale. Un pomodoro o un fagiolo sono annuali. Una pianta che rimane nel terreno per anni e anni, producendo raccolti stagionalmente, è detta perenne. Il rabarbaro o un melo sono perenni.)
Addentrandoci nel mistero, scopriamo che non è tanto il fatto che le colture straniere più saporite abbiano soppiantato e sostituito quelle autoctone più antiche, quanto piuttosto che erbe e verdure abbiano iniziato a essere scelte in base ai loro cicli di crescita. Per un monaco o un contadino medievale, l’incentivo era quello di coltivare colture affidabili che richiedessero il minimo sforzo e fossero il più possibile vicine alla cucina. Pertanto, una coltura resistente e resistente come il levistico o il levistico era l’ideale poiché, una volta piantata, produceva frutti anno dopo anno.
È, letteralmente, una questione di radicamento.
L’umile, dimenticato da tempo skirret
Certo, il giardiniere del Medioevo non coltivava solo piante perenni, ma anche annuali, che si adattavano a un’esistenza più ritmica, in cui le colture principali erano già sistemate e l’appezzamento aveva solo bisogno di essere curato.
Il problema è che un sistema del genere non si replica né sopravvive bene in una civiltà di massa basata su scala industriale. Infatti, durante la Rivoluzione Industriale, la classe contadina fu principalmente espulsa dalla terra e trasferita nei mulini, nelle miniere e nei cortili. I prodotti alimentari di base furono razionalizzati; l’incentivo era la scalabilità e l’efficienza.
Un proprietario terriero o un azionista di mercato dovevano essere in grado di valutare costi e benefici durante l’intero anno. Il mercato doveva adattarsi rapidamente alle condizioni meteorologiche, ai semi marci o alle catene di approvvigionamento problematiche. I lavoratori dovevano essere riforniti di cibo nutriente in quantità sempre maggiori. In questo caso, una coltura come la patata ha superato la coltivazione di patate in quasi tutti i parametri, tranne che in termini di durata e resistenza.
Le radici profonde furono recise e sostituite da un modello più transitorio e favorevole al mercato. Gli europei cessarono di essere parte dell’ordine naturale, non più generandolo ma dominandolo attraverso la tecnica. La natura divenne una riserva permanente uniforme, i cui ritmi subordinati ai programmi di produzione e ai margini di profitto. Quella trasformazione plasmò più che le colture: plasmò i nostri sensi.
Levistico
Non abbiamo mai veramente deciso che il sedano fosse più saporito del levistico: non lo è, semplicemente le nostre scelte sono state fatte per noi da un sistema meccanizzato che richiedeva delicatezza, uniformità e velocità.
È la storia del trionfo del “Regno della Quantità”, a prescindere dai gusti culinari e dall’estetica. La tecnica privilegia il generico, il disneyano e l’insipido, ed è per questo che così tante persone considererebbero orribile la massa grumosa di radici nodose della pianta di styrret, e confortante e familiare l’aspetto arancione e infantile della carota.
Eppure, mentre questa società di massa e scala scivola sempre più nella follia e nel nichilismo, aneliamo a una via d’uscita, a un rifugio che ci riporti alle radici e all’appartenenza. Quante volte ci è capitato di passare inconsapevolmente accanto a un gruppo di piante di Re Enrico il Buono, accanto a un vecchio muro diroccato? O a un groviglio di levistico incastonato in una siepe?
Il mio interesse per queste verdure è nato perché erano piante perenni, perché sarebbero rimaste lì indipendentemente dalle altre condizioni. La definizione di perenne è:
duraturo o esistente per un tempo lungo o apparentemente infinito; duraturo o che si ripete continuamente.
È uno sguardo verso un altro mondo, più antico, in cui il tempo funziona in modo diverso e indipendente dalle esigenze dei processi digitalizzati; appartiene al passato e molto probabilmente anche al futuro.
In un mondo che ha superato l’uniformità, lo standardizzato, il generico, forse avranno la loro rivincita.
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Taylor Swift ha appena pubblicato il suo dodicesimo album in studio, “The Life of a Show Girl”. Le recensioni della critica sono state per lo più negative, mentre le reazioni dei fan più accaniti di Swift sono state straordinariamente entusiastiche.
Ma c’è un colpo di scena.
FOTO: Taylor Swift
Cominciamo con il singolo principale dell’album, “The Fate Of Ophelia”, che descrive una damigella in pericolo, sola nella sua torre, che viene salvata da un uomo.
Negli ultimi dieci anni, a donne e ragazze è stato ripetuto senza sosta attraverso la musica, la TV e la politica di essere delle “girl boss”, che devono “rovesciare il patriarcato” e che “il futuro è donna”. Ma ora, la principessa più potente del pop dichiara che idee della vecchia scuola come la cavalleria e il piacere per gli uomini “virili” che praticano sport da gladiatore come il calcio non sono solo accettabili, ma meritano di essere cantate!
“E se non fossi mai venuto a prendermi
Potrei essere annegato nella malinconia
Ho giurato la mia fedeltà a me stesso, a me stesso e a me stesso
Proprio prima che illuminassi il mio cielo”
FOTO: ‘Cavalleria’ e TAYLOR SWIFT
Taylor non solo accoglie con favore l’essere “salvata da un uomo” nella traccia di apertura, ma in “Wi$h Li$t” fantastica su argomenti “tabù” come la cura della casa e le comodità suburbane, cantando: ” mi ha fatto sognare un vialetto con un canestro da basket ” e ” ho un paio di bambini, ho tutto l’isolato che ti assomiglia”.
L’intero album ha un’atmosfera vintage, traendo ispirazione dal passato: il glamour della vecchia Hollywood con canzoni su Elizabeth Taylor, diamanti e tragiche eroine shakespeariane. Un’epoca prima degli eccessi scottanti di “Me Too”, quando uomini e donne non erano diametralmente opposti per valori e idee politiche, ma si univano e mettevano su famiglia.
Le canzoni di “Showgirl” sono le sue più mature, con testi che si discostano dai soliti temi di giovanili delusioni e celebrità. Mentre Katy Perry ha fiaccato il suo ritorno alla musica all’inizio di quest’anno, raddoppiando i stanchi temi da “girl boss” nell’imbarazzante brano ” Woman’s World “, Swift si è eleva a una nuova era, attingendo all’antitesi di ciò che la modernità ha ritenuto degno del successo femminile, assaporando fantasie di matrimonio, figli e stabilità rispetto all’indipendenza e al materialismo.
Non mi sorprende che molti dei critici musicali tradizionali, come Pitchfork e X, abbiano dato all’album recensioni tiepide. L’affascinante uscita di scena di Taylor è passata loro sopra la testa oppure, in fondo, nutrono una profonda animosità nei confronti della sua metamorfosi.
Forse i critici avrebbero preferito un album intitolato “Childless Cat Lady” – o almeno una canzone che riconoscesse l’era Trump 2.0 e il disprezzo di Taylor per essa. Invece, hanno ottenuto ninne nanne casalinghe e inni anti-cancel culture.
Un critico feroce ha scritto: “La donna che un tempo cantava del trasferimento a New York come se fosse l’atto più radicale e creativamente trasformativo che una persona avesse mai compiuto ha ufficialmente optato per la periferia. È deludente, intempestivo e, cosa più imperdonabile, noioso da morire”.
Naturalmente, anche una certa parte della sua fanbase ha notato il cambiamento e non ne è felice. Scorrete i commenti su TikTok e X e troverete subito ragazze che la accusano di averle abbandonate, arrabbiate per i suoi legami con giocatori dei Chiefs e mogli di giocatori di football che hanno opinioni conservatrici.
FOTO: Taylor Swift e la moglie di Patrick Mahomes, Brittany Mahomes
Nella canzone gotica e soft-rock “CANCELED!”, Swift racconta la storia di un’amica (potrebbe essere Brittany Mahomes?) che ha detto qualcosa di ” stonato ” pur essendo ” hot “, descrivendo scene di ” crociati mascherati ” che scelgono una “tomba e un carro funebre ” per la loro prossima vittima della cancel culture. Ma Taylor la rassicura subito: ” Meno male che mi piacciono i miei amici cancellati. Mi piacciono avvolti in Gucci e nello scandalo “.
Nell’uscita cinematografica di “The Life Of A Show Girl”, uscita nei cinema lo scorso fine settimana e arrivata al primo posto al botteghino, Swift fornisce un commento dietro le quinte della canzone, dicendo ai fan: “Giudico le persone in base a chi le conosco e alle loro azioni, non in base a un consenso generale in cui la gente dice: allontanati, sono radioattivi!” – una risposta non proprio sottile a tutte le critiche che ha ricevuto per non aver sempre avuto le relazioni “giuste”. Prima di Travis Kelce, Swift ha frequentato il cattivo ragazzo indie rock Matty Healy, amico delle opposte Anna Kchachiyan e Dasha Nekrasova del podcast Red Scare, con grande costernazione dei suoi fan.
“The Life Of A Show Girl” è il segnale più chiaro che il cambiamento di atmosfera post-2024 è destinato a durare. Persino Taylor Swift è stufa della cancel culture, quindi forse le girl boss progressiste e costiere non hanno più il controllo. Perché questo significa che non è più solo per loro, ma anche per tutti noi, stronzi.
La mia canzone preferita è “Eldest Daughter”. La prima volta che l’ho ascoltata, ho pianto. Il pianoforte inquietante e le dolci confessioni rivelano una vulnerabilità universale che nasce dall’ammettere di aver detto una sola volta di non volere qualcosa, perché non avresti mai pensato di ottenerla.
Certo, Taylor Swift non è MAGA ora. Tuttavia, sta andando verso ciò che è naturale: matrimonio, figli e tradizionalismo. La dichiarazione che il vero amore e la prospettiva di costruire una famiglia sono più appaganti di qualsiasi altra cosa. Chi odia continuerà a ODIARE, ODIARE, ODIARE, ODIARE, ma sono felice per lei.
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Di tanto in tanto capita di assistere a dimostrazioni di arroganza così sbalorditive che bisogna vederle per crederci. Durante il vertice dei ministri della Difesa della NATO tenutosi questa settimana a Bruxelles, il goffo segretario generale Mark Rutte ha battuto il record delle dichiarazioni più imbarazzanti in due minuti; è stata una delle incarnazioni più evidenti dell’arroganza imperiale alla base del disastroso deterioramento della NATO e dell’UE:
Non solo finge di credere che la NATO sia economicamente decine di volte più potente della Russia, ma anche che il suo esercito sia “infinitamente” superiore, usando il linguaggio dei bambini.
Fingendo di essere una specie di duro, arriva persino a fingere di non sapere cosa siano i MiG-31; perché, ovviamente, sottovalutare il proprio avversario fino al punto di ignorarne completamente le risorse è un segno inequivocabile della “forza” militare che Rutte cerca così disperatamente di incarnare.
La parte più tragicomica della retorica umiliante del “papà” Don è che, se si ascolta attentamente, il suo scopo sembra essere semplicemente quello di placare i suoi compagni apparatchik, che probabilmente stanno avendo dei ripensamenti dopo aver sfiorato la morte antagonizzando la Russia.
Con tono supplichevole —con toni di estrema umiliazione—Rutte li supplica di «tenerne conto, per favore» e di «trovare conforto» nella finta esaltazione dell’alleanza che sta disperatamente cercando di costruire per coprire la sua effettiva debolezza storica. Lo scopo diventa chiaro: si tratta di una sessione di persuasione volta ad alleviare le preoccupazioni dei suoi compatrioti; e non sarebbe stata necessaria se non fosse stato per il fatto che tutti loro credono esattamente il contrario della retorica entusiasta e spavalda che Rutte sta sputando fuori dalla sua bocca. Tali eccessi di spavalderia sono necessari proprio quando si manca di fiducia in ciò che si dice.
Purtroppo, quella non era nemmeno la parte peggiore della sua sfacciataggine. Nel video successivo, Rutte supera radicalmente se stesso invocando il Red October di Tom Clancey per dipingere la marina russa come ridotta a un sottomarino rotto e “zoppicante”. La sua diarrea verbale è così grossolanamente esagerata che è difficile credere che provenga da un cosiddetto “Vertice dei ministri della Difesa della NATO”, piuttosto che da qualche battuta dietro le quinte nella sauna preferita di Rutte a Bruxelles:
Il “uomo forte” Cancelliere della NATO continua dichiarando debolmente che l’alleanza scorterà “delicatamente” gli aerei russi che non rappresentano una minaccia perché la NATO è “così forte” e solo se la NATO fosse “debole” l’alleanza dovrebbe abbattere gli aerei russi. Sembra che la programmazione orwelliana sia riuscita a creare un altro schiavo mentale.
Ma quello che noterete è che l’intero ordine occidentale è degenerato in un teatro dell’assurdo. Praticamente tutto è stato ridotto a espedienti e artifici, uno più imbarazzante dell’altro.
Si prenda ad esempio la visita odierna del ministro degli Esteri polacco Sikorski a Londra, dove ha messo in scena un drone russo Geran catturato nella sanguinosa Camera dei Comuni del Parlamento britannico per ottenere il massimo effetto teatrale:
Quanto può diventare ancora più assurdo e caricaturale questo freakshow?
A peggiorare le cose, in una nuova intervista il disonorato “generale” Ben Hodges ha affermato che se la Russia osasse attaccare la “potente” NATO, sia Kaliningrad che Sebastopoli sarebbero “annientate” nella prima ora:
Con ironia, il suo insipido discorso ha offerto agli ucraini uno spaccato della psicopatia e dell’indifferenza dell’Occidente nei confronti dell’Ucraina stessa, considerata nient’altro che una pedina sacrificabile nella guerra per distruggere la Russia:
Come se questo tripudio di vuoto narcisismo non bastasse, il re dell’ego in persona ha coronato la giornata di pomposa esultanza con un’ultima serie di chiacchiere che fanno venire voglia di prendersi a schiaffi. Dopo aver blaterato senza senso di circa 1,5 milioni di vittime russe, ha citato le “lunghe code per il gas russo” prima di affermare ridicolmente che l’economia russa presto “crollerà”:
Per non parlare del fatto che continua a ripetere senza ironia l’affermazione secondo cui avrebbe distrutto il BRICS. Al contrario, il BRICS è diventato sempre più forte, con la de-dollarizzazione in forte espansione tra gli ultimi annunci secondo cui le compagnie petrolifere indiane sono tornate a pagare il petrolio russo in yuan; per non parlare di altre notizie:
Trump ha poi continuato con minacce allusive riguardo ai missili Tomahawk in vista della visita di Zelensky di venerdì, durante la quale il pifferaio magico ucraino dovrebbe mettersi a cantare e ballare in una stravagante esibizione per ottenere le risorse a lungo raggio.
Trump ha continuato a sfruttare in modo superficiale il cosiddetto “Tomahoax”, ignorando completamente che gli Stati Uniti non hanno praticamente nulla da offrire. Un nuovo articolo del Financial Times cita Stacie Pettyjohn, “direttrice del programma di difesa presso il think tank Center for a New American Security”, che riconosce che gli Stati Uniti sarebbero in grado di fornire all’Ucraina solo 20-50 dei missili da 1,3 milioni di dollari. Leggi attentamente il testo in grassetto qui sotto:
Tuttavia, gli Stati Uniti sarebbero probabilmente in grado di fornirne solo pochi all’Ucraina. Ciò alla luce del fatto che, secondo gli esperti della difesa, dei 200 missili acquistati dal Pentagono dal 2022, ne sono già stati lanciati più di 120. Il Dipartimento della Difesa ha richiesto finanziamenti per soli 57 Tomahawk in più nel suo bilancio 2026.
Washington avrebbe probabilmente bisogno anche dei missili Tomahawk per qualsiasi attacco sul suolo venezuelano.
Stacie Pettyjohn, direttrice del programma di difesa presso il think tank Center for a New American Security, ha affermato che Washington potrebbe mettere a disposizione dell’Ucraina dai 20 ai 50 missili Tomahawk, «il che non modificherà in modo decisivo le dinamiche della guerra».
L’articolo proseguiva osservando:
Sebbene i missili a lungo raggio potrebbero integrare i droni d’attacco a lungo raggio e i missili da crociera dell’Ucraina “in grandi salve complesse per ottenere un effetto maggiore”, essi “avrebbero comunque una capacità molto limitata… certamente non sufficiente per consentire attacchi prolungati e profondi contro la Russia”, hanno aggiunto.
Che fine hanno fatto quei missili Storm Shadow, comunque? Dopo che hanno iniziato a essere regolarmente recuperati dal fondo del Mar Nero, sembra che questi missili, molto più avanzati dei Tomahawk, siano semplicemente passati di moda.
Ad ogni modo, l’ultimo kabuki atlantista serve solo a ricordarci quanto l’Occidente abbia perso credibilità e ragionevolezza. Tra minacce vuote, vanterie ancora più vuote, finto complesso di superiorità e altre stravaganze, l’Occidente appare ogni giorno più debole e stupido, mettendo a nudo le proprie contraddizioni sul fatto che la Russia sia allo stesso tempo abbastanza debole da poter essere derisa e abbastanza forte da mantenere Rutte e la sua banda di smidollati in uno stato di frenesia bellica.
Sul fronte bellico, gli ucraini hanno notato un enorme aumento degli attacchi con mezzi corazzati russi su tutti i fronti principali, in netto contrasto con la tattica del “gocciolamento” a cui erano abituati da tempo. Sembra che la stagione della “grande offensiva” sia ricominciata.
Ci sono molte ragioni per questo. Una è il fatto che sta iniziando l’autunno rasputitsa , con strade che diventano fangose e impraticabili per carri, Lada, biciclette, scooter, asini e i consueti mezzi di trasporto del XXI secolo.
Il secondo motivo è che la defogliazione delle siepi espone i soldati di fanteria isolati, limitando la loro capacità di nascondersi con il consueto trucco dei due uomini.
Terzo, e forse più importante, anche se più soggettivo, credo che il comando russo percepisca che la maggior parte degli attuali punti caldi stiano raggiungendo la massa critica per il crollo della resistenza ucraina. Il metodo “a goccia” è una tattica di infiltrazione a lungo termine che minimizza le perdite ed è utile per modellare il campo di battaglia lungo un determinato punto di convergenza o obiettivo, ma a un certo punto, quando il terreno è stato “modellato” al massimo effetto e si sono accumulati i vantaggi della propria parte il più possibile, può essere decisivo sferrare finalmente i colpi finali in massa. Questo è particolarmente vero quando, come parte di quella fase di “modellamento”, si sono ridotte le difese locali del nemico sotto forma di ISR, squadre di droni, EW, ecc.
Solo nell’ultimo giorno ci sono state almeno tre o quattro grandi offensive corazzate in aree come Dobropillya dell’asse Pokrovsk, Mirnograd e Shakhove. In ciascun caso, le AFU hanno naturalmente affermato di aver distrutto tutto e respinto gli attacchi, anche se stranamente i cartografi hanno notato dei progressi in alcune delle aree oggetto di questi assalti.
Ad esempio, negli attacchi a Shakhove, i russi sembravano aver conquistato alcuni campi e spinto il fronte quasi direttamente contro il confine di Shakhove:
Ecco un video ucraino che sembra mostrare l’assalto a Shakhove:
Si possono vedere molti colpi di droni sulle armature, ma poche perdite definitive. Le riprese dei colpi dei droni sui veicoli blindati nel 2025 sono estremamente fuorvianti, poiché la tecnologia delle protezioni secondarie ha fatto passi da gigante e la maggior parte dei colpi finisce per avere un effetto minimo. Oggigiorno occorrono molti, molti colpi per distruggere un veicolo blindato medio sia sul fronte russo che su quello ucraino. Tra la dozzina o più di veicoli che si vedono nel video, forse solo uno appare decisamente distrutto e in fiamme.
Mentre l’assalto era in corso, la 132ª brigata russa colpì Rodynske dall’altra parte delle “orecchie di coniglio” e riuscì a consolidare alcuni dei primi distretti:
Un altro assalto lungo lo stesso asse, ma più a sud, è riuscito a penetrare nella periferia di Mirnograd:
Questo ha portato i principali produttori di mappe ad annunciare che la battaglia per Mirnograd era finalmente iniziata ufficialmente:
Come promemoria, tutti i punti sopra citati sono sullo stesso asse, il che significa, come afferma Serge sopra, che la Russia ha probabilmente deciso di chiudere l’intero teatro:
AMK_Mapping ci ricorda giustamente l’ovvio paragone con Avdeevka, proprio alla vigilia della sua conquista nel febbraio 2024:
È piuttosto evidente che Pokrovsk sia in una situazione molto più precaria in questo momento, anche se manca, per la parte russa, l’enorme quantità di battaglioni penali Storm-Z “sacrificabili” che avevano coraggiosamente guidato l’ultima offensiva su Avdeevka.
A Kupyansk non ci sono cambiamenti significativi, se non il riconoscimento da parte dei cartografi che la “sacca” centrale è stata effettivamente abbandonata dalle forze armate ucraine. Tuttavia, nei prossimi giorni i russi condurranno “operazioni di rastrellamento” per ripulire le case di questo vasto distretto, che per ora rimane colorato in modo “leggero” per indicare che non è stato ancora conquistato “completamente”.
Il governo ucraino ha colto il suggerimento quando le notizie dell’evacuazione di 40 insediamenti vicini hanno fatto il giro delle onde radio:
Il mese scorso il capo dell’amministrazione militare regionale ucraina Andriy Kanashevich aveva osservato che poche persone stavano evacuando dalla stessa Kupyansk, suggerendo che stavano aspettando che i russi venissero a “liberarle”.
Dovremo attendere chiarimenti nei prossimi giorni, ma il fatto che persino Deep State abbia classificato la città come zona grigia è significativo:
—
Un ultimo elemento di interesse:
Un nuovo servizio di Rossiya-1 sui recenti progressi e le esercitazioni russe nel campo dei droni, con particolare attenzione al Courier UGV che ha recentemente presentato una funzione di sminamento laser, anch’essa mostrata qui:
Come previsto, i sistemi robotici terrestri Courier (“Курьер”) continuano ad essere sottoposti a nuove modifiche, come dimostrato durante un raduno di unità delle truppe del genio delle forze terrestri russe in un poligono di addestramento nella regione di Volgograd.
Oltre alla versione standard dell’UGV per il supporto antincendio/ingegneria, dotata di una mitragliatrice PKT da 7,62 mm con televisione bispettrale e mirino termico (MWIR/LWIR) e una gittata effettiva di 1. 100-1.300 m, e che trasporta 10 mine anticarro TM-62M, nonché una variante con un lanciagranate automatico AGS-17/30 con una gittata di 1.900-2.100 m (utilizzato anche nella zona delle operazioni militari speciali), è stata presentata anche una versione esclusivamente ingegneristica.
Questa variante è dotata di un modulo di sminamento laser “Ignis” (“Игнис”) con una portata effettiva di oltre 150 m, in grado di bruciare gli involucri di proiettili ad alto potenziale esplosivo, termobarici e di altro tipo.
Alcune specifiche del sistema robotico terrestre Courier:
— Dimensioni: lunghezza della piattaforma — 1,4 m; larghezza — 1,2 m; altezza (senza armamento) — 58 cm. — Peso: 250 kg. — Velocità: fino a 35 km/h. — Autonomia: da 12 a 72 ore. — Propulsione: cingolata. — Motori elettrici: 6 kW. — Raggio di controllo: da 3 a 10 km. — Sistema di controllo: remoto, tramite un canale radio sicuro.
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CONFRONTANDO AGATOCLE CON NETANYAHU COMMENTANDO ISRAELE-ITALIA DI CESARE SEMOVIGO: IL RAPPORTO FRA VIRTÙ, FORTUNA E MORALE NEL REALISMO POLITICO DEL PRINCIPE DI MACHIAVELLI E NEL PENSIERO E NELL’AZIONE DI GIUSEPPE MAZZINI A PROPOSITO DELL’ACCORDO FRA ISRAELE ED HAMAS E DEL ‘COMPIUTO PECCATO’ DELL’OCCIDENTE E DELL’ITALIA
di Massimo Morigi
Cesare Semovigo ha appena pubblicato in data 10 ottobre 2025 per “L’Italia e il Mondo” Israele-Italia un’alleanza bipartisan. Italia e Israele: alleati privilegiati, un binomio strategico tra storia, tecnologia e politica (http://web.archive.org/web/20251010104842/https://italiaeilmondo.com/2025/10/10/israele-italia-un-alleanza-bipartisan-di-cesare-semovigo/) prima parte di suoi ulteriori interventi sull’argomento degli (ahimè) inscindibili legami fra Italia e Israele – stante l’attuale stato delle cose degli strettissimi rapporti indusrial-militari-finanziari fra i due paesi – , legami di una tale intensità e pervasività che rendono l’Italia forse la nazione del c.d. occidente con forma di stato democratico-rappresentativa più succube all’imperialista politica di potenza di Israele e prona alla sua ideologia sionista, la quale a livello mainsteam, in Italia come nel resto del già menzionato c.d. occidente, non ci si permette nemmeno di nominare dando la colpa di quanto è successo negli ultimi due anni (dimenticando che è una vicenda che si trascina dalla costituzione stessa dello stato d’Israele) al “terrorismo” di Hamas (‘terrorismo’, parola del lessico politico mainstream che svolge la funzione di una sorta di ‘orizzonte degli eventi’ del concetto per designare senza ulteriore ragionamento ed analisi il nemico) che avrebbe agito contro un paese retto da una matura e completa democrazia (medesima funzione di “orizzonte degli eventi” di quest’ultima parola, solo che in questo caso denotante un giudizio positivo su un sistema politico, non considerando menomamente la realtà effettuale cui il lemma ‘democrazia’ fa da velo a livello interno ed internazionale e che, nel caso di Israele, è connotata dal più feroce e razzista imperialismo di stampo sionista), una democrazia israeliana che – sempre secondo il mainstream – se proprio le si vuole fare un appunto, avrebbe la sventura di essere oggi governata dal malvagio primo ministro Benjamin Netanyahu, trascurando però il “piccolo” dettaglio che questo personaggio, al netto di tutto il male che se ne possa dire, non è arrivato al potere tramite la violenza ed in maniera illegale ma attraverso i ben oliati e “universalmente” venerati meccanismi della democrazia rappresentativa, la quale anche se tecnicamente in quanto democrazia rappresentativa sarebbe più corretto chiamarla ‘polioligarchia competitiva’ (e sul mito occidentale della democrazia rappresentativa in realtà ‘polioligarichia competitiva’ praticamente nulla è stato scritto, avendola definita i suoi critici apparentemente più feroci – ma in realtà anch’essi omologati – al più come poliarchia, vedi Robert Dahal che con il termine ‘poliarchia’ vorrebbe restituirci una visione più realista della democrazia ma mantenendone un giudizio sostanzialmente positivo perché col termine vorrebbe indicare la democrazia come una polifonia più o meno armoniosa di poteri e Colin Crouch che ha coniato a suo tempo il termine ‘postdemocrazia’, il quale col termine prospetta un destino gramo per la democrazia, un’analisi sulla quale si concorda tranne che sull’ “insignificate” dettaglio che in realtà la democrazia non s’è mai vista sulla faccia della Terra, secondo la vulgata appartenendo questo potere al popolo, in realtà un potere conteso fra varie oligarchie che lo se lo contendono, nel caso delle c.d. democrazie rappresentative occidentali attraverso il suffragio universale libero e segreto, questo sì, ma quasi del tutto eteroderodiretto in ragione dello squilibrio cognitivo e di potere politico-economico che le élite o le oligarchie che dir si voglia hanno da sempre sulla massa ma questo è un discorso sul quale torneremo), non si può nemmeno affermare che essa, almeno nello spirito, non rappresenti sempre – sia a livello di politiche pubbliche che a livello di selezione della classe dirigente – in qualche modo e secondo variabili gradi di intensità dipendenti dalle diverse realtà nazionali, il paese inserito nel suo sistema politico. E nel caso di Israele non è azzardato dire che la c.d. democrazia rappresentativa è il sistema di potere che più di ogni altro del mondo occidentale retto tramite questa forma politico-isituzionale riesce a rappresentalre e a dare seguito agli umori del paese, totalmente informati tutti, destra e sinistra indifferentemente, all’imperialismo sionista. Il lucido e spietato articolo di Cesare Semovigo, che guarda ai legami un tempo si direbbe strutturali che a livello internazionale orientano non solo la politica di Israele ma ancor per noi più importante, la nostra vergognosa dipendenza economica ed anche morale dal malvagio comportamento interno ed internazionale di questo paese, fa quindi totalmente giustizia di questa fanciullesca narrazione non tentando nemmeno di “smontarla” ma, giustamente, semplicemente ignorandola e, piuttosto, concentrandosi, molto opportunamente, sul perché, strutturalmente, l’Italia è così prona ad Israle, e che Benjamin Netanyahu sia o no un politico malvagio o, a suo modo, semplicemente realista non gliene potrebbe fregar de meno. Tuttavia, siccome il realismo politico quando nacque ad opera di Niccolò Machiavelli non si basava su un modello poggiato sull’analisi della commistione fra i decisori dei grandi gruppi economici e i decisori politici, si era agli albori della nostra modernità occidentale e la società industrial-capitalista doveva ancora un po’ attendere, ma era incentrato sull’analisi di come il decisore politico-militare potesse ottenere il successo (cioè la conquista e poi il mantenimento ed infine l’accrescimento del suo potere personale) riuscendo con la sua peculiare personalità a tenere testa e a vincere contro una casualità (la fortuna) a lui del tutto indifferente se non ostile e siccome pensiamo anche che una completa visione geopolitica non possa prescindere da considerazioni sul lato umano del decisore, ci si permette qui di inquadrare meglio alla luce del Principe e delle sue categorie machiavelliane che hanno presieduto alla nascita della Weltanschauung politica realista, la figura del primo ministro israeliano, fiduciosi che questa piccola incursione nell’archeologia della geopolitica ma, soprattutto, antropologica (nel senso dell’antropologia del decisore ma anche del popolo che esso guida e con ciò si confida quindi di essere pienamente conformi ad un discorso geopolitico, che mai deve tralasciare il loto umano-culturale dell’oggetto di studio della disciplina) possa essere d’aiuto per meglio inquadrare, anche dal punto di vista strutturale o per meglio dire dal punto di vista della dialettica del conflitto strategico fra i grandi decisori umani e/o associati in gruppi collettivi di potere che animano lo scenario geopolitico e che struttura il discorso di Semovigo, non solo la politica interna ed estera dello Stato di Israele ma anche il ‘compiuto peccato’ dell’occidente che nella vicenda del martirio del popolo palestinese ha distinte ma ugualmente gravissime responsabilità in concorso con lo Stato sionista.
Ecco allora come nel capitolo 7 del Principe, De principatibus novis qui alienis armis et fortuna acquiruntur, Niccolo Machiavelli inquadra la rovina del Valentino, il principe estremamente violento ma anche pieno di virtù, almeno nell’accezione machiavelliana del termine, dovuta alla morte del suo protettore e padre, il Papa Alessandro VI Borgia: « […] E l’animo suo era assicurarsi di loro; il che gli sarebbe presto riuscito, se Alessandro viveva. E questi furono e’ governi suoi quanto alle cose presenti. Ma quanto alle future, lui aveva a dubitare, in prima, che uno nuovo successore alla Chiesa non li fussi amico e cercassi tòrli quello che Alessandro gli aveva dato. Di che pensò assicurarsi in quattro modi: prima, di spegnere tutti e’ sangui di quelli signori che lui aveva spogliati, per torre al papa quella occasione: secondo, di guadagnarsi tutti e’ gentili uomini di Roma, come è detto, per potere con quelli tenere el papa in freno: terzo, ridurre el Collegio più suo che poteva: quarto, acquistare tanto imperio, avanti che il papa morissi, che potessi per se medesimo resistere a uno primo impeto. Di queste quattro cose, alla morte di Alessandro ne aveva condotte tre; la quarta aveva quasi per condotta; perché de’ signori spogliati ne ammazzò quanti ne possé aggiugnere, e pochissimi si salvorono; e’ gentili uomini romani si aveva guadagnati, e nel Collegio aveva grandissima parte: e, quanto al nuovo acquisto, aveva disegnato diventare signore di Toscana, e possedeva di già Perugia e Piombino, e di Pisa aveva presa la protezione. È come non avessi avuto ad avere respetto a Francia (ché non gliene aveva ad avere più, per essere di già e’ Franzesi spogliati del Regno dagli Spagnoli, di qualità che ciascuno di loro era necessitato comperare l’amicizia sua), e’ saltava in Pisa. Dopo questo, Lucca e Siena cedeva subito, parte per invidia de’ Fiorentini, parte per paura; e’ Fiorentini non avevano remedio. Il che se li fusse riuscito (che gli riusciva l’anno medesimo che Alessandro morì), si acquistava tante forze e tanta reputazione, che per se stesso si sarebbe retto, e non sarebbe più dependuto dalla fortuna e forze di altri, ma dalla potenzia e virtù sua. Ma Alessandro morì dopo cinque anni ch’egli aveva cominciato a trarre fuora la spada. Lasciollo con lo stato di Romagna solamente assolidato, con tutti gli altri in aria, intra dua potentissimi eserciti inimici, e malato a morte. Ed era nel duca tanta ferocia e tanta virtù, e sì bene conosceva come gli uomini si hanno a guadagnare o perdere, e tanto erano validi e’ fondamenti che in sì poco tempo si aveva fatti, che, se lui non avessi avuto quegli eserciti addosso, o lui fussi stato sano, arebbe retto a ogni difficultà. E ch’e’ fondamenti sua fussino buoni, si vidde: ché la Romagna lo aspettò più di uno mese; in Roma, ancora che mezzo vivo, stette sicuro; e benché Baglioni, Vitelli e Orsini venissino in Roma, non ebbono seguito contro di lui; possé fare, se non chi e’ volle, papa, almeno che non fussi chi non voleva. Ma se nella morte di Alessandro lui fussi stato sano, ogni cosa gli era facile. E lui mi disse, ne’ dì che fu creato Iulio II, che aveva pensato a ciò che potessi nascere, morendo el padre, e a tutto aveva trovato remedio, eccetto che non pensò mai, in su la sua morte, di stare ancora lui per morire, Raccolte io adunque tutte le azioni del duca, non saprei reprenderlo; anzi mi pare, come ho fatto, di preporlo imitabile a tutti coloro che per fortuna e con l’arme d’altri sono ascesi allo imperio. Perché lui avendo l’animo grande e la sua intenzione alta, non si poteva governare altrimenti; e solo si oppose alli sua disegni la brevità della vita di Alessandro e la malattia sua. Chi, adunque, iudica necessario nel suo principato nuovo assicurarsi de’ nimici, guadagnarsi degli amici, vincere o per forza o per fraude, farsi amare c temere da’ populi, seguire e reverire da’ soldati, spegnere quelli che ti possono o debbono offendere, innovare con nuovi modi gli ordini antiqui, essere severo c grato, magnanimo e liberale, spegnere la milizia infedele, creare della nuova, mantenere le amicizie de’ re e de’ principi in modo che ti abbino o a beneficare con grazia o offendere con respetto, non può trovare e’ più freschi esempli che le azioni di costui. Solamente si può accusarlo nella creazione di Iulio pontefice, nella quale lui ebbe mala elezione; perché, come è detto, non potendo fare uno papa a suo modo, e’ poteva tenere che uno non fussi papa; e non doveva mai consentire al papato di quelli cardinali che lui avessi offesi, o che, diventati papi, avessino ad avere paura di lui. Perché gli uomini offendono o per paura o per odio. Quelli che lui aveva offesi erano, infra gli altri, San Piero ad Vincula, Colonna, San Giorgio, Ascanio; tutti gli altri, divenuti papi, aveano a temerlo, eccetto Roano e li Spagnuoli: questi per coniunzione e obligo; quello per potenzia, avendo coniunto seco il regno di Francia. Pertanto el duca, innanzi a ogni cosa, doveva creare papa uno spagnolo, e, non potendo, doveva consentire che fussi Roano e non San Piero ad Vincula. E chi crede che ne’ personaggi grandi e’ benefizii nuovi faccino dimenticare le iniurie vecchie, s’inganna. Errò, adunque, el duca in questa elezione; e fu cagione dell’ultima ruina sua.»: Niccolò Machiavelli, De Principatibus (Il Principe), cap. VII De principatibus novis qui alienis armis et fortuna acquiruntur, in Id., Machiavelli. Tutte le opere, a cura di Mario Martelli, Firenze, Sansoni, 1971, pp.268-269.
La sventura irreparabile per il Valentino della morte di suo padre il papa Borgia paragonabile per il primo ministro Benjamin Netanyahu all’elezione come Presidente degli Stati uniti di Donald Trump, il quale a dispetto di tutto quello che si possa dire sul suo conto, col suo America first sta inaugurando la nuova fase nei rapporti internazionali da noi già definita ‘impérialisme en forme’, un ‘impérialisme en forme’ connotato sul piano ideologico nel far cadere tutti i precedenti velami della precedente narrazione liberaldemocratica al fine di ottenere una totale libertà di azione nello scenario internazionale sempre più configurato in forma policentrica e sempre più refrattario alla vecchia retorica liberaldemocratica e, sul piano operativo, oltre che dal diretto protagonismo di Trump, dalla necessità, proprio per ottenere una maggiore efficacia operativa e spendibile hic et nunc, di abbandonare lunghe e snervanti trattative con il fantomatico raggruppamento degli alleati che singolarmente hanno aderito alla NATO e che pretenderebbe di avere una personalità internazionale (nella trattativa sui dazi, per Trump l’Unione europea ha meritato solo disprezzo in quanto essa viene da lui giudicata una entità non geopolitica ma meramente burocratica, e non ha proprio tutti i torti, anzi!…), privilegiando il rapporto con ogni singolo alleato preso separatamente per imporgli, così, la legge del più forte, cioè quella degli Stati uniti. Nel caso dell’imposizione da parte di Trump della fine delle ostilità di Israele contro Hamas, sarebbe, però, certamente un eccesso di analogismo storico sovrappore integralmente la sventura del Valentino cui morì il padre papa protettore, con la sventura di Benjamin Netanyahu al quale è politicamente morto il già rimbambito padre protettore, e totalmente asservito al sionismo, Biden, che è stato sostituito dall’imperialista in forma Donald Trump, non certo avverso al sionismo per ragioni ideologiche ma fermamente contrario, per carattere e per la nuova impostazione della politica estera americana marcata ora da un drastico unilateralismo; e questo anche perché nel passo machiavelliano appena citato è assente una valutazione sistemica dei rapporti fra Stati nella penisola italica, riducendosi quindi le valutazioni di Machiavelli attorno a considerazioni sulla natura concretamente operativa della personalità del leader, il Valentino, e di come questo leader con la sua virtù avesse cercato di far pendere la fortuna a sua favore (cosa che nel Valentino ma non per sua colpa non si verificò) ma anche perché, e qui interviene una nostra idiosincrasia personale ma condivisa fortunamente da molti in Italia e nel c.d. occidente, se possiamo convenire con Machiavelli che il Valentino fu sì tanto virtuoso ma anche tanto sfortunato, non ci sentiamo proprio di condividere un analogo moto di empatica simpatia verso il primo ministro israeliano che se sfortunato è stato per la morte politica del suo asservito protettore Biden sostituito dall’esoso ed arrogante protettore Donald Trump, altrettanto irresponsabile si è dimostrato nel ficcarsi in una guerra contro Hamas che comportava, “piccolo” dettaglio, l’annientamento del popolo palestinese (volutamente non si impiega il termine ‘genocidio’ perché esso implica anche la volontà di mettere in atto pure lo sterminio biologico, fino all’ultima persona presente sulla faccia della Terra, di un gruppo etnico, i palestinesi nella fattispecie. Questo non è nei piani di Netanyahu e nemmeno delle frange più oltranziste del sionismo, attuale e delle origini. Sarebbe più corretto parlare, in questo caso, del tentativo di compiere una pulizia etnica condotta, come esige questa macabra tipologia di interventi, con metodi del tutto criminali – lo sterminio di gran parte della popolazione di Gaza per costrigere i rimanenti a lasciare il territorio per un’imprecisata destinazione che comporterebbe, fra l’altro, oltra alla perdità di identità del popolo palestenise, anche ulteriori morti – e animati da un proposito totalmente illegale e piratesco, la cacciata dei palestinesi dalle loro proprietà al fine di impossessarsene ma, come si dice, nulla di nuovo sotto il sole, essendo questo il modo col quale è sorto lo Stato di Israele compiendo una iniziale anche se non completa pulizia etnica ai danni dei palestenisi e che nelle intenzioni del primo ministro israliano ora in carica avrebbe dovuto essere portata al suo totale compimento: quindi, in conclusione di ragionamento, non ci si sente proprio di condannare l’uso improprio del termine ‘genocidio’ da parte dei giustamente simpatizzanti della causa palestinese, avendo l’azione politica delle ragioni che non sono proprio quelle dell’analisi scientifica ma che, in questo caso, sono convergenti nel condannare l’azione criminale del primo ministro israeliano, fondata su una purtroppo consolidata tradizione storica di dominio e furto coloniale dello Stato di Israele ed ancor oggi, come alla nascita di questo Stato, appoggiata da buona parte della popolazione di Israele, e con ciò non ci si accusi di antisemitismo perché di pulizie etniche è piena la storia dell’occidente cristiano, con una particolare intensificazione di queste pratiche tramite il colonialismo che, guarda caso, ebbe il suo acme mentre le sue forme istituzionali a livello interno assumevano via via forme sempre più simili alla c.d. nostra “democrazia rappresentativa”).
Ma se nel passo citato, assai sfuocata da parte di Machiavelli l’analisi della dinamica conflittuale degli Stati italiani del tempo (e incentrando quindi la sua analisi, pur sempre improntata al realismo politico di cui Machiavelli è l’indiscusso iniziatore, alla dimensione puramente antropologica della descrizione della volontà di potenza del Valentino rappresentandone l’impossibilità, nonostante il suo grande valore, di sormontare una avversa sorte), ed anche insoddisfacente o del tutto schematica un’analisi sul valore della morale (o della finzione della stessa) nella dinamica politica, ed anzi dal passo citato sembrando che tanto più il Principe è immorale questo è più virtuoso, è impossibile il suo impiego integrale come idealtipo in cui rientrerebbe l’attuale imposizione a Netanyahu da parte di Trump della fine delle ostilità contro Hamas, il capitolo 8 del Principe, De his qui per scelera ad principatum pervenere, è invece un’analisi veramente esemplare dell’importanza del buon nome di un regnante e di quanto quindi sia fondamentale evitare i danni reputazionali derivanti da una sconsiderata azione politica: « […] Agatocle Siciliano, non solo di privata ma di infima e abietta fortuna, divenne re di Siracusa. Costui, nato di uno figulo, tenne sempre, per li gradi della sua età, vita scellerata: nondimanco, accompagnò le sue scelleratezze con tanta virtù di animo e di corpo, che, voltosi alla milizia, per li gradi di quella pervenne ad essere pretore di Siracusa. Nel quale grado sendo costituito, e avendo deliberato diventare principe e tenere con violenzia e sanza obligo d’altri quello che d’accordo gli era suto concesso, e avuto di questo suo disegno intelligenzia con Amilcare cartaginese, il quale con gli eserciti militava in Sicilia, raunò una mattina il populo e il Senato di Siracusa, come se egli avessi avuto a deliberare cose pertinenti alla republica; e, ad uno cenno ordinato, fece da’ sua soldati uccidere tutti li senatori e li più ricchi del popolo; li quali morti, occupò e tenne il principato di quella città sanza alcuna controversia civile. […] Chi considerassi, adunque, le azioni e vita di costui, non vedrà cose, o poche, le quali possa attribuire alla fortuna; con ciò sia cosa, come di sopra è detto, che, non per favore d’alcuno, ma per li gradi della milizia, li quali modi possono fare acquistare aveva guadagnati, pervenissi al principato, e quello di poi con tanti partiti animosi e periculosi mantenessi. Non si può ancora chiamare virtù ammazzare e’ sua cittadini, tradire gli amici, essere sanza fede, sanza pietà, sanza religione; li quali modi possono fare acquistare imperio, ma non gloria. Perché, se si considerassi la virtù di Agatocle nello entrare e nello uscire de’ periculi, e la grandezza dello animo suo nel sopportare e superate le cose avverse, non si vede perché egli abbia ad essere iudicato inferiore a qualunque eccellentissimo capitano; nondimanco, la sua efferata crudeltà e inumanità, con infinite scelleratezze, non consentono che sia infra gli eccellentissimi uomini celebrato. Non si può, adunque, attribuire alla fortuna o alla virtù quello che sanza l’una e l’altra fu da lui conseguito. […] Potrebbe alcuno dubitare donde nascessi che Agatocle e alcuno simile, dopo infiniti tradimenti e crudeltà, possé vivere lungamente sicuro nella sua patria e defendersi dagli inimici esterni, e da’ suoi cittadini non gli fu mai cospirato contro; con ciò sia che molti altri, mediante la crudeltà, non abbino, etiam ne’ tempi pacifici, possuto mantenere lo stato, non che ne’ tempi dubbiosi di guerra. Credo che questo avvenga dalle crudeltà male usate o bene usate. Bene usate si possono chiamare quelle (se del male è licito dire bene) che si fanno a uno tratto, per la necessità dello assicurarsi, e di poi non vi si insiste drento, ma si convertiscono in più utilità de’ sudditi che si può. Male usate sono quelle le quali, ancora che nel principio sieno poche, più tosto col tempo crescono che le si spenghino. Coloro che osservano el primo modo, possono con Dio e con gli uomini avere allo stato loro qualche remedio, come ebbe Agatocle; quegli altri è impossibile si mantenghino. Onde è da notare che, nel pigliare uno stato, debbe l’occupatore di esso discorrere tutte quelle offese che gli è necessario fare; e tutte farle a un tratto, per non le avere a rinnovare ogni dì, e potere, non le innovando, assicurare gli uomini e guadagnarseli con beneficarli. Chi fa altrimenti, o per timidità o per mal consiglio, è sempre necessitato tenere il coltello in mano; né mai può fondarsi sopra li sua sudditi, non si potendo quelli, per le fresche e continue iniurie, assicurare di lui. Perché le iniurie si debbono fare tutte insieme, acciò che, assaporandosi meno, offendino meno: e’ benefizii si debbono fare a poco a poco, acciò si assaporino meglio. E debbe, sopra tutto, uno principe vivere con li suoi sudditi in modo che veruno accidente o di male o di bene lo abbi a far variare; perché, venendo, per li tempi avversi, le necessità, tu non se’ a tempo al male, e il bene che tu fai non ti giova, perché è iudicato forzato, e non te n’è saputo grado alcuno. »: Idem, ivi, cap. VIII De his qui per scelera ad principatum pervenere, in Idem, ivi, pp. 269-271.
Per quanto possa sembrare assurdo, al contrario di Agatocle, il primo ministro israeliano non è stato in grado di portare fino in fondo il suo piano malvagio di cancellare il popolo palestinese e quindi, dal punto di vista machiavelliano, non solo gli è mancata la fortuna, la salita al potere di Trump, ma gli è anche mancata la virtù perché come dice Machiavelli (e quanto stranamente suona alle orecchie di chi non è avvezzo a frequentare i luoghi del Segretario fiorentino, che nei loro momenti più fulgidi esprimono con quel loro sinuoso ed avvolgente modo di argomentare tutta la complessità dialettica dell’agire umano ma che tanto nel corso dei secoli hanno reso perplessi anche i suoi più ferventi estimatori e dato il destro ai suoi denigratori di ritenere il Principe di Machiavelli un’opera demoniaca): «Non si può ancora chiamare virtù ammazzare e’ sua cittadini, tradire gli amici, essere sanza fede, sanza pietà, sanza religione; li quali modi possono fare acquistare imperio, ma non gloria. Perché, se si considerassi la virtù di Agatocle nello entrare e nello uscire de’ periculi, e la grandezza dello animo suo nel sopportare e superate le cose avverse, non si vede perché egli abbia ad essere iudicato inferiore a qualunque eccellentissimo capitano; nondimanco, la sua efferata crudeltà e inumanità, con infinite scelleratezze, non consentono che sia infra gli eccellentissimi uomini celebrato. Non si può, adunque, attribuire alla fortuna o alla virtù quello che sanza l’una e l’altra fu da lui conseguito.». Contrariamente alla vulgata, il vero realismo politico è da sempre un’inestricabile e dialettico nodo fra potere, inteso come imposizione più o meno violenta della propria volontà, e moralità che per convinzione o per opportunismo valuta sempre le conseguenze pratiche ed etiche, dove un’opzione etica non ha valore se non ha una ricaduta concreta e una scelta pragmatica nega sé stessa se le manca un’orizzonte di senso morale delle proprie azioni (Max Weber: la dialettica fra l’etica della convinzione e quella della responsabilità ma, soprattutto, Giuseppe Mazzini: la politica senza morale è brigantaggio e Antonio Gramsci: non la conquista violenta del potere ma la creazione ed esercizio dell’egemonia all’interno della società etc.). E sempre contrariamente a quanto si pensa, Machiavelli era ben consapevole di questa dialettica. Ed è una vera sfortuna non solo per il primo ministro ed il popolo del paese che governa ma anche per le c.d. liberaldemocrazie che la scriteriata politica israeliana hanno sempre appoggiato, che questa dialettica sia costantemente ignorata, coperta dal chiasso della retorica della difesa di una inesistente democrazia (quella israeliana ma anche quella interna di questi paesi). In ultima analisi, un atteggiamento tanto più pericoloso ora che il principale sponsor di questa retorica, gli Stati uniti, si stanno dedicando all’edificazione del loro ‘impérialisme en forme’. E quanto è accaduto con la provvisoria fine delle ostilità fra Israele ed Hamas ma anche con le scriteriate posizioni dell’Europa nella vicenda Ucraina, che sono lì a dimostrare il definitivo declino strategico e morale del c.d. occidente c.d. liberaldemocratico. Machiavelli ne avrebbe abbondante materiale per scrivere un nuovo trattato non su un Principe virtuoso e di come esso possa sormontare le avversità della sorte ma su un Principe privo di ogni virtù e di come questo, nonostante le buone carte che gli vengono date dalla storia, sia diretto verso la sua dissoluzione. Insomma, qui non abbiamo ragionato solo intorno al peccato originale della nascita dello Stato d’Israele ma anche, se non soprattutto, intorno al ‘compiuto peccato’ della “democrazia” dell’occidente, nel quale una posizione di primato appartiene all’Italia, un compiuto peccato che già molto tempo prima, anche se non dandogli una specifica denominazione e solo impersonificandolo nel personaggio storico di Agatocle col suo modus operandi totalmente malvagio e perciò incurante dei danni arrecati allo Stato e alla popolazione sotto la sua sovrantà ma non configurandolo direttamente come un problema sistemico di una comunità politica, anche Niccolò Machiavelli nel suo Principe aveva avuto piena contezza. Una dialettica consapevolezza dei legami fra azione politicamente efficace ed orizzonte morale che è propria del vero realismo politico e che, se lo si studia più a fondo e non riducendolo ad un santino astrattamente moraleggiante e di stampo liberalmocratico, fu anche del primo uomo che concretamente si pose politicamente il problema di unificare l’Italia. Ma su Giuseppe Mazzini e di come la sua azione e il suo pensiero ci indichino la via per uscire dal ‘compiuto peccato’ italiano e del c.d. occidente liberaldemocratico, ancora torneremo nei prossimi discorsi…
Massimo Morigi, ottobre 2025
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