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Come le grandi potenze evitano la guerra: lezioni dal modello concertistico_di Horizon Geopolitics

Come le grandi potenze evitano la guerra: lezioni dal modello concertistico

Scoprite come un sistema informale di equilibrio delle potenze (adattato al mondo multipolare di oggi) può prevenire i conflitti, gestire le rivalità e ripristinare la stabilità.

12 luglio
 
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A majestic white dove with outstretched wings and an olive branch in its beak soars in front of a dramatic backdrop composed of the Russian, Chinese, and American flags. The flags billow with rich texture and deep color—Russia on the left, China at the center, and the United States on the right—symbolizing a powerful visual message of global peace and unity among the world’s leading superpowers.

BRICS vs. Trump: What the 2025 Summit RevealsBRICS contro Trump: Cosa rivela il vertice del 2025Paulo Aguiar9 luglioLeggi l’articolo completo
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L’equilibrio di potere come meccanismo di pace

Il Concerto d’Europa nacque all’indomani di un continente devastato da sconvolgimenti rivoluzionari e conquiste imperiali. Le guerre napoleoniche non avevano semplicemente sconvolto la politica europea; avevano cancellato il precedente quadro di legittimità dinastica e di equilibrio multipolare. In risposta, i vincitori del 1815 (Austria, Prussia, Russia, Gran Bretagna e, più tardi, una Francia reintegrata) intrapresero una ricalibrazione del sistema internazionale basata non su un’ideologia condivisa o sul diritto dei trattati, ma su un pragmatico equilibrio di potere volto a prevenire future guerre su scala continentale.

L’accordo di Vienna che seguì la sconfitta di Napoleone non codificò un regime giuridico universale né tentò di imporre un’autorità sovranazionale. Al contrario, riconobbe la natura anarchica della politica internazionale e rispose con un meccanismo informale, guidato dalle élite, per gestire l’instabilità. Le grandi potenze si impegnavano in consultazioni diplomatiche ricorrenti, a porte chiuse, per monitorare i cambiamenti nella distribuzione delle capacità e per intervenire, collettivamente o individualmente, nel caso in cui uno Stato cercasse di rivedere lo status quo con la forza.

The Congress of Vienna: How Europe Was Redrawn | TheCollector
Congresso di Vienna, di Jean-Baptiste Isabey, 1815; con L’Europa nel 1815, di Alexander Altenhof.

In modo critico, questo assetto era stato concepito come escludente. Erano ammessi solo gli Stati che avevano la forza militare e la portata geopolitica per influenzare i risultati. La legittimità all’interno del Concerto non si riferiva all’adesione alla legge o ai principi, ma significava la capacità materiale di influenzare l’equilibrio di potere. L’ordine veniva mantenuto non attraverso i trattati o l’applicazione istituzionale, ma attraverso un comportamento anticipatorio: gli Stati adeguavano le politiche per evitare di scatenare risposte coordinate da parte dei loro pari. La pace, in questa configurazione, non era mantenuta dalla buona volontà ma dal calcolo strategico.


Sottoscritto


Gli sconvolgimenti interni erodono il consenso internazionale

La lunga pace promossa dal Concerto mascherava una tensione accumulata all’interno del sistema. Pur essendo efficace nel gestire le relazioni tra gli Stati, il Concerto era sempre più vulnerabile alle sfide provenienti dall’interno degli Stati stessi. Le sue basi ideologiche, incentrate sulla legittimità dinastica e sulla continuità monarchica, divennero disallineate rispetto alle profonde trasformazioni sociali e politiche in atto nell’Europa del XIX secolo.

L’industrializzazione alterò la struttura materiale delle società, espandendo le popolazioni urbane e accelerando la diffusione dell’alfabetizzazione e della coscienza politica. Sono emersi movimenti nazionalisti e liberali che chiedevano regole costituzionali, istituzioni rappresentative e autodeterminazione nazionale. Questi movimenti erano l’espressione di forze strutturali che rimodellavano il rapporto tra governanti e governati.

Le rivoluzioni del 1848 rappresentarono un test critico. In tutto il continente, i regimi radicati furono messi in discussione da rivolte popolari. La risposta delle potenze concertatrici fu inizialmente uniforme: la repressione. Tuttavia, la portata e la persistenza dei disordini resero chiaro che l’intervento militare da solo non avrebbe potuto invertire le tendenze di fondo. Il rifiuto della Gran Bretagna di partecipare agli interventi, adducendo sia il distacco strategico che il sentimento liberale interno, segnò l’inizio della frammentazione del Concerto.

The World Revolution of 1848
Il Patto tra le nazioni, stampa preparata da Frédéric Sorrieu nel 1848. Raffigura la visione utopica di Sorrieu degli Stati nazionali democratici.

La contraddizione divenne ineludibile. Un sistema progettato per preservare la stabilità esterna non poteva sopprimere indefinitamente i cambiamenti interni. Mentre il nazionalismo rimodellava la legittimità politica e il liberalismo trasformava la governance, il consenso alla base del Concerto si sfilacciava. La sua coerenza, sempre dipendente dalla stabilità interna dei suoi membri, si è erosa di fronte a questa nuova geografia politica.


Sottoscritto


Le basi condivise hanno fatto funzionare l’ordine informale

Il successo operativo del Concerto d’Europa non può essere disgiunto dalle specifiche condizioni strutturali dell’Europa del XIX secolo. Esso funzionava all’interno di un’area geografica circoscritta, in cui le principali potenze condividevano una visione del mondo culturale, politica e strategica ampiamente simile. Queste potenze erano governate da monarchie, con personale aristocratico e con una tradizione diplomatica radicata nei legami personali e nelle norme condivise.

La vicinanza geografica consentiva una comunicazione rapida, negoziati faccia a faccia e una comprensione comune delle minacce regionali. L’assenza di paradigmi civili profondamente divergenti ha ridotto l’attrito interpretativo. Anche quando gli interessi divergevano, il linguaggio e la logica della diplomazia rimanevano reciprocamente intelligibili. Inoltre, l’impero, e non l’ideologia universale, era la modalità comune di proiezione del potere. Gli obiettivi strategici erano regionali e la competizione era feroce, ma delimitata.

Il sistema internazionale contemporaneo, invece, è vasto, eterogeneo e profondamente interconnesso. Le principali potenze di oggi operano in regioni diverse, con esperienze storiche, sistemi politici e culture strategiche contrastanti. Il nucleo concettuale di termini come “sovranità”, “intervento” o “ordine” varia significativamente tra le capitali, da Washington a Pechino, da Mosca a Nuova Delhi.

Questa diversità introduce profonde limitazioni alla riproduzione del modello del Concerto. Quello che un tempo era un club relativamente coerente di monarchie imperiali è oggi un insieme frammentario di Stati, ciascuno inserito in sistemi che si sovrappongono e che perseguono obiettivi divergenti. La lezione, quindi, non è quella di riprodurre la forma del Concerto, ma di adattarne la logica funzionale: un meccanismo limitato e flessibile per il coordinamento guidato dagli interessi tra le potenze che plasmano il sistema.


Sottoscritto


La diplomazia informale supera le istituzioni rigide

All’indomani della Seconda guerra mondiale, è stata costruita una nuova architettura di governance globale, incentrata su istituzioni legalistiche come le Nazioni Unite e il sistema di Bretton Woods. Questo ordine, pur essendosi stabilizzato per decenni, è stato messo sempre più a dura prova. La diffusione del potere, la paralisi degli organismi formali come il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, e il ritorno della rivalità strategica tra le grandi potenze hanno rivelato i limiti dell’istituzionalismo.

Un Concerto del XXI secolo non sostituirebbe queste istituzioni né tenterebbe di legiferare norme internazionali. Servirebbe invece come un

meccanismo consultivo di alto livello: una stanza di compensazione strategica in cui gli attori sistemicamente significativi si impegnano in un dialogo informale per prevenire il disordine. La sua logica operativa sarebbe molto diversa da quella del multilateralismo postbellico:

  • Non vincolante: Le decisioni si baserebbero sul consenso e sull’interesse strategico, non sugli obblighi del trattato.
  • Non universale: L’adesione sarebbe limitata a quelle potenze che hanno dimostrato di avere un’influenza globale o regionale.
  • Non normativo: rifuggirebbe da impegni ideologici a favore di un impegno procedurale e di un coordinamento pragmatico.

Dal punto di vista funzionale, il Concerto si riunirebbe per affrontare questioni discrete e ad alto rischio: prevenire guerre interstatali, gestire le corse agli armamenti, rispondere alle pandemie o stabilizzare gli Stati in crisi. Queste discussioni avverrebbero attraverso negoziati iterativi, supportati dalla condivisione di informazioni, dalla diplomazia di retrovia e dal coordinamento contingente, non attraverso votazioni formali o codificazioni legali.

Ciò che rende fattibile un forum di questo tipo non è la capacità di applicazione, ma la leva della reputazione. La partecipazione è un segnale di responsabilità. L’esclusione implicherebbe l’emarginazione. Il rischio di perdita di reputazione, unito al beneficio di influenzare i risultati, creerebbe potenti incentivi a rimanere impegnati.


Quota di partecipazione


Includere le potenze revisioniste previene il collasso del sistema

Il principale banco di prova di qualsiasi concerto contemporaneo è la sua capacità di gestire le relazioni con le potenze revisioniste: Stati che cercano di alterare la distribuzione dell’influenza senza necessariamente distruggere il sistema stesso. Russia, Cina e, in parte, altri rientrano in questa categoria. Essi non invocano il caos, ma la rinegoziazione di gerarchie che riflettano il loro crescente potere e le loro rimostranze storiche.

Il tentativo di escludere o isolare questi attori produce tipicamente due risultati: la deterrenza militarizzata, che fa aumentare le tensioni e le competizioni di armi, o la deriva strategica, in cui emergono istituzioni parallele che erodono la coesione sistemica. Un concerto funzionale deve integrare questi attori in un processo che dia loro voce, e non veto, sulle decisioni chiave.

L’inclusione non è un’acquiescenza. È una strategia di cooptazione. Coinvolgendo i poteri revisionisti nella definizione dell’agenda e delle norme, il Concerto riduce l’incentivo all’azione unilaterale e aumenta la legittimità dei risultati comuni. Quando la definizione delle regole è collettiva, la loro violazione diventa irrazionale.

L’empatia strategica, intesa come sforzo disciplinato di mappare le motivazioni, le insicurezze e le ambizioni degli avversari, è essenziale. Permette una deterrenza calibrata: segnalare che alcuni comportamenti scateneranno risposte sistemiche, mentre altri possono essere negoziati.

In questo modo, il Concerto diventa uno strumento di contenimento attraverso l’impegno. Incanala il revisionismo in un forum dove le rimostranze possono essere riconosciute, le posizioni chiarite e le mosse destabilizzanti disincentivate.


Azione


Una stabilità duratura richiede un vincolo strutturale

Affinché un concerto moderno possa durare nel tempo, deve poggiare su fondamenta strutturali che ne consentano la durata senza una rigida formalizzazione. Tre condizioni sono essenziali:

  1. Parità relativa tra gli attori dominanti: nessuna singola potenza può dominare unilateralmente. Se uno Stato detiene una superiorità militare, economica o tecnologica schiacciante, ha pochi incentivi a consultarsi. Una concertazione efficace dipende da un equilibrio approssimativo che renda il consenso più vantaggioso della coercizione.
  2. Riconoscimento reciproco dei limiti: gli Stati devono interiorizzare che l’espansione strategica oltre certe soglie provocherà contrappesi e instabilità. Questo riconoscimento non nasce da un’intuizione morale, ma dall’interazione ripetuta e dalle conseguenze osservate.
  3. Impegno alla regolarità procedurale: in assenza di trattati vincolanti, l’abitudine diventa la spina dorsale della stabilità. Riunioni regolari, formati condivisi e consultazioni prevedibili creano la memoria istituzionale e le aspettative comportamentali necessarie per la gestione delle crisi.

Un moderno Concerto non può eliminare i conflitti. Può però limitarne l’escalation, fornire una via d’uscita nei momenti di tensione e fungere da sede per ricalibrare le dinamiche di potere senza ricorrere alla guerra. Il suo scopo non è produrre armonia, ma prevenire la rottura del sistema.

In un’epoca definita dalla competizione multipolare, dalla volatilità tecnologica e dal pluralismo normativo, il Concerto offre un’architettura strutturalmente minimalista e strategicamente essenziale per l’ordine internazionale.

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Rassegna stampa tedesca 43a- a cura di Gianpaolo Rosani

Il dollaro ha perso ben l’11% rispetto alle altre principali valute, più di quanto non abbia fatto da
oltre cinquant’anni. È possibile un ulteriore crollo. Si tratta di uno sviluppo del tutto gradito a
Trump. Dopo tutto, il calo del tasso di cambio rende più conveniente esportare i prodotti americani
all’estero. Con queste pressioni e la fiducia in calo alla Casa Bianca, il dollaro può ancora essere
la valuta dominante? Kenneth Rogoff, professore di Harvard ed ex capo economista del Fondo
Monetario Internazionale, non vede ancora la fine del dominio del dollaro. Tuttavia, nel suo libro
recentemente pubblicato su sette decenni di finanza globale, sostiene che il dollaro sta perdendo
importanza da tempo e che i tassi di interesse e l’inflazione sono in aumento. Questo declino sta
accelerando e Trump è una sorta di catalizzatore, aggiunge in recenti interviste. Alcune parti del
mondo si stanno allontanando dal dollaro. Se il dollaro dovesse perdere la sua posizione al vertice
del sistema monetario internazionale, ciò avrebbe conseguenze imprevedibili sul ruolo
dell’America come superpotenza.

10 luglio 2025
Attacco al dollaro
Il “Big Beautiful Bill” di Donald Trump, ora approvato, aumenta ulteriormente la pressione sul dollaro. Il
Presidente degli Stati Uniti pensa che sia una buona cosa. Vuole rendere le esportazioni più economiche.
Tuttavia, la sua politica finanziaria sta indebolendo il dollaro come valuta di riserva mondiale – la vera
superpotenza degli americani – con conseguenze geopolitiche potenzialmente epocali.
L’anno prossimo gli USA dovranno vendere 12.000 miliardi di dollari di debito. Ma c’è una domanda per
questo?

Di Julian Heissler, Washington
Abbiamo un problema di valuta”, ha dichiarato Donald Trump un anno fa in un’intervista alla rivista
Bloomberg Businessweek. Secondo l’allora candidato alla presidenza, il dollaro era troppo forte e le altre
valute troppo deboli. Per proseguire clicca su:

Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), attualmente in Libia si trovano circa
850.000 migranti e rifugiati, un numero superiore a quello registrato dal 2017. Secondo il rapporto,
circa 90.000 persone sono arrivate dal giugno 2024. Gli agenti della guardia costiera greca
ipotizzano che migliaia di persone stiano aspettando nella zona di Tobruk – una città portuale
vicino al confine con l’Egitto – l’opportunità di attraversare l’Europa. La costa nordafricana è difficile
da controllare, ma gli osservatori greci vedono altre ragioni dietro i numeri. Konstantinos Filis,
direttore dell’Istituto di Affari Internazionali e professore presso l’American College of Greece,
sospetta una tattica deliberata da parte delle parti libiche – in altre parole, una strumentalizzazione
dei flussi migratori. Una cosa è comunque chiara: ogni sviluppo in Libia ha conseguenze
geopolitiche per l’UE. La pressione migratoria cresce e l’Europa ha poco tempo per trovare una
nuova linea.


10.07.2025
Un punto caldo per l’immigrazione clandestina
Il 93% di tutti gli attraversamenti irregolari di frontiera verso l’Unione Europea inizia in Libia

Di CAROLINA DRÜTEN, ALFRED HACKENSBERGER E CHRISTOPH B. SCHILTZ
A luglio a Creta è alta stagione. L’isola greca è una destinazione turistica molto popolare, soprattutto per i
tedeschi. Per proseguire clicca su:

Il dibattito generale al Bundestag è tradizionalmente il grande palcoscenico dell’opposizione.
Pongono domande, approfondiscono, criticano. I rappresentanti del governo sono in difesa. In
questa giornata, non c’è traccia dell’annunciata moderazione che l’AfD ha detto di volersi imporre
in Parlamento. È il più grande partito di opposizione ed è autorizzato ad aprire il dibattito. Mentre il
Partito della Sinistra rimane inoffensivo e i Verdi si dedicano alle prevedibili critiche alla politica di
protezione del clima del governo Merz e agli acquisti di maschere di Jens Spahn (CDU), l’AfD alza
il tiro. Weidel usa il grande palcoscenico per attacchi particolarmente duri.


10.07.2025
Feroce scambio di colpi tra Merz e l’AfD
Dibattito generale: per la prima volta un cancelliere risponde in modo specifico agli attacchi del partito di
estrema destra

DI NIKOLAUS DOLL
Friedrich Merz (CDU) è un “cancelliere di carta”. Qualcuno che “fa bella mostra di sé all’estero e si lascia
mettere in mostra dalla SPD in patria”. Un capo di governo da cui i cittadini “non hanno nulla da aspettarsi,
la cui parola non vale nulla”. La leader dell’AfD Alice Weidel pronuncia ognuna di queste frasi nel Bundestag
questo mercoledì mattina con un rigore tagliente. Per proseguire clicca su:

I controlli fissi al confine con la Polonia sono stati introdotti nell’ottobre 2023 dall’allora ministro
federale dell’Interno Nancy Faeser (SPD) e successivamente estesi a tutti i confini terrestri
tedeschi. Subito dopo il suo insediamento, all’inizio di maggio, Dobrindt ha ordinato un ulteriore
inasprimento e ha anche incaricato la polizia federale di respingere di norma i richiedenti asilo
direttamente al confine. Anche la Polonia si sta opponendo: da oggi, lunedì, ci saranno controlli di
frontiera fissi anche sul lato polacco del confine tra Germania e Polonia.

07.07.2025
Prima la Germania, ora la Polonia Controlli più
severi su entrambi i lati del confine
Da oggi, lunedì, ci saranno controlli di frontiera fissi anche sul lato polacco del confine tra Germania e
Polonia. Per proseguire clicca su:

L’istituto di ricerca sulla pace Sipri, con sede a Stoccolma, raccoglie informazioni sui trasferimenti
globali di armi in un ampio database. Questo include le consegne di armi dal 1950, in parte basate
su stime. Oltre ai sistemi d’arma completi, sono inclusi anche i motori per carri armati, navi da
guerra e aerei da combattimento. Questo database può essere utilizzato per analizzare le
esportazioni di armi tedesche negli ultimi dieci anni, ovvero dal 2014 al 2024, durante i quali si
sono succeduti due governi federali: la coalizione nero-rossa di Angela Merkel (2013-2021) e
quella di Olaf Scholz (2021-2025).

08.07.2025
CHI COMPRA LE ARMI TEDESCHE?
Con un valore totale di 13,3 miliardi di euro, nel 2024 le licenze di esportazione di armi da guerra e altre
attrezzature militari hanno raggiunto il massimo storico in Germania. Più della metà è stata destinata
all’Ucraina. Ma le armi vengono esportate anche in Paesi che violano i diritti umani. Chi sta acquistando
cosa?

ARMI TEDESCHE PER IL MONDO
Le esportazioni di armi tedesche hanno raggiunto un livello record. Una buona parte è destinata
all’Ucraina. Ma le consegne vengono effettuate anche ad autocrazie o a Paesi sottoposti a embargo. Chi
compra cosa? Un’analisi dei dati.
Di Christoph Kühne
ll governo Ampel (Semaforo) voleva in realtà ridurre le esportazioni di armi tedesche.

I rappresentanti delle associazioni imprenditoriali tedesche dell’area vicina al confine hanno
sottolineato le conseguenze negative dei controlli per la circolazione delle merci e dei pendolari.
“L’introduzione dei controlli alla frontiera polacca è il risultato di uno sforzo nazionale in solitaria a
tutti i confini tedeschi”, ha scritto Britta Haßelmann, presidente del gruppo parlamentare dei Verdi
al Bundestag, su X. Le vittime di questa politica sbagliata sono gli abitanti della regione di confine.

08.07.2025
Sotto controllo
La Polonia ora controlla anche i viaggiatori ai 52 valichi di frontiera. In alcuni casi, anche i ciclisti devono
mostrare i loro documenti. Non tutti sono contenti. Ma all’inizio la situazione rimane calma.

Un poliziotto militare polacco (a sinistra) e una guardia di frontiera

controllano il traffico al valico di Stadtbrücke tra Francoforte (Oder) nel Brandeburgo e Slubice in Polonia.
Di Verena Schmitt-Roschmann, Doris Heimann, Anne-Beatrice Clasmann
Le guardie di frontiera polacche hanno iniziato gli annunciati controlli al confine con la Germania con un
gran numero di personale. Proseguire cliccando su:

Domenica il Ministero degli Interni polacco ha annunciato l’introduzione di controlli temporanei alle
frontiere con Germania e Lituania. Il Ministro degli Interni Tomasz Siemoniak ha parlato di 52
valichi di frontiera con la Germania che sarebbero stati interessati. A questo scopo ha inviato 800
guardie di frontiera, 300 agenti di polizia, 200 poliziotti militari e 500 membri delle organizzazioni
volontarie di sicurezza interna. “Lo stiamo facendo perché dobbiamo garantire l’assoluta rigidità del
nostro confine”, ha detto Siemoniak. Solo un anno fa, Francoforte (Oder) e Słubice celebravano
l’espansione verso est dell’Unione Europea come città gemelle. Era ormai impensabile che le due
città potessero tornare a essere separate. Sono cresciuti i rapporti commerciali, gli agenti di polizia
lavorano insieme e sono di pattuglia insieme, e sono nate relazioni amorose tra le persone. Ora ci
sono agenti della polizia federale da una parte e guardie di frontiera dall’altra.

08.07.2025
I controlli sono in corso dalle 0.07.
Il nostro inviato si trovava a Francoforte (Oder) quando la Polonia ha sigillato il confine con la Germania
lunedì notte. Per attraversare il confine è necessario mostrare un documento d’identità valido.

Di Julian Würzer
Francoforte (Oder)/Słubice.
La resa dei conti al confine tedesco-polacco inizia alle 23.34. Sul ponte cittadino che collega la città tedesca
di Francoforte (Oder) con Słubice, due uomini scendono da un’auto di pattuglia e attraversano la strada fino
a un container verde militare. Su di esso è scritto a lettere bianche “Polish Border Guard”. Proseguire cliccando su:

La presidente del Bundestag Julia Klöckner aveva vietato di issare la bandiera arcobaleno,
simbolo della comunita queer, sul Reichstag in occasione del Christopher Street Day (CSD) il 26
luglio, suscitando molte critiche. Merz concorda con la sua collega di partito: “Il Bundestag non è
mica un tendone da circo”. Il presidente dell’Unione delle lesbiche e dei gay (LSU), Sönke
Siegmann, ha dichiarato al quotidiano taz: “La bandiera arcobaleno rappresenta ciò che il nostro
Stato democratico difende”. Non è una bandiera qualsiasi, ma un simbolo di dignità umana,
diversità, uguaglianza e coesione sociale. La scelta delle parole di Merz è stata “infelice”.

03.07.2025
Indignazione per la dichiarazione di Merz sul
“circo”
Il cancelliere è oggetto di critiche anche all’interno del proprio partito. Due vicepresidenti del Bundestag
hanno annunciato che apriranno il CSD di Berlino

Di Patricia Hecht
“Potete semplicemente issare la bandiera!”, ha esortato Sandra Maischberger martedì sera al cancelliere
Friedrich Merz (CDU) durante la sua trasmissione. Proseguire cliccando su:

Von der Leyen ha dovuto affrontare le accuse mosse dall’eurodeputato Piperea nella sua mozione
al Parlamento europeo. Tre le accuse al centro della mozione: il programma di prestiti
multimiliardari per promuovere gli investimenti nella difesa, la presunta influenza della
Commissione Ue sulle controverse elezioni in Romania e la mancanza di trasparenza nei contratti
per i vaccini contro il coronavirus. Sebbene il 55enne rumeno non creda che riuscirà nel suo
intento, il suo obiettivo è un altro: dare l’esempio e incoraggiare altri eurodeputati a usare più
spesso l’arma più affilata del Parlamento in futuro.

08.07.2025
Cresce la critica alla von der Leyen
Nonostante il risentimento del campo pro-europeo, la mozione di censura contro di lei non ha alcuna
chance

Di Sven Christian Schulz
Bruxelles. Se si crede a Gheorghe Piperea, la sua mozione di censura contro Ursula von der Leyen segna
l’inizio della fine del suo mandato di Presidente della Commissione europea. Proseguire cliccando su:

Il voto di sfiducia è stato avviato da un eurodeputato di destra della Romania, che ha raccolto le 72
firme necessarie. Ma la destra non ha la maggioranza in Parlamento, né tanto meno la
maggioranza necessaria dei due terzi. Ciononostante, a Bruxelles e a Strasburgo c’è grande
agitazione. I dibattiti dimostrano che Ursula von der Leyen è stata colta da una grave tempesta.

08.07.2025
Ursula von der Leyen nei guai
Giovedì la Presidente della Commissione europea dovrà affrontare un voto di sfiducia in Parlamento. La
questione riguarda il suo operato in carica, ma anche il capogruppo conservatore Manfred Weber.
Di Josef Kelnberger

Strasburgo – È uno scenario straordinario che potrebbe minacciare l’Unione europea: Proseguire cliccando su:

Multipolarismo a due velocità ?_di Cesare Semovigo

Multipolarismo a due velocità ?

A Rio de Janeiro il vertice BRICS ha messo in scena una cena di famiglia dove i principali invitati latitano, segnando il primo vero interrogativo geopolitico di un alleanza delle grandi ambizioni identitarie .
Si dovrebbe prendere atto, passando per disfattisti , che la battuta di arresto dell’alternativa Multipolare antagonista dello strapotere del petrodollaro sta affrontando la sua prima vera crisi politica .

Mandare la palla in tribuna arrampicandoci sull’Esquilino dei Brics , non smuove nemmeno le statistiche degli Stream pompati . Continuiamo così, facciamoci del male.
Come se ammetterlo non sia già abbastanza difficile .

Il vecchio catenaccio della Perfida

Lo sfacciato incontro Cipriota di Modi con i CEO Cap. Venturedi vecchio catenaccio della Perfida Albione, ha rappresentano la prima vera prova strutturale del sistema BRICS .

Per non infierire troverete qui sotto il rito dove , il presidente Indiano riceve (esattamente come il dono di Re Charles a Mattarella -Cipro era il centro congressi)

Condividere una sogno non sottintende l’istinto autoconservativo a confonderlo con il desiderio.

L’imminente tracollo del dollaro sembra sempre più lontano .

La notizia ufficiale: il “club degli emergenti” si allarga e apre le porte a Iran, Egitto e Indonesia, quasi a voler compensare la mancanza dei veri protagonisti. Perché diciamolo: senza Putin e Xi Jinping ,la foto di famiglia somiglia più al bilaterale con invitati tra il Dragone e il Brasile .

Eppure, tra brindisi e dichiarazioni per la stampa, la realtà si impone: l’accordo vero, quello che conta, resta l’asse tra Pechino e Brasilia. Una coppia male assortita che si studia da anni, ballando tra opportunismo e diffidenza.

Lula si muove con la leggiadria di chi sa di non poter troppo irritare né la Cina, né l’India (prossima alla presidenza BRICS) e neppure l’Occidente che guarda con sospetto ma non disdegna. Così, evita la Belt and Road Initiative ma giura fedeltà ai forum con Pechino, la cui “assenza strategica” viene liquidata con un’elegante scusa di diplomazia informale: meglio non dare nell’occhio .

Il Brasile ostenta identità globale, ma poi si risveglia ogni mattina con la realtà di essere il primo partner commerciale della Cina sull’intero continente latinoamericano: il 45% delle esportazioni brasiliane si ferma comodamente a Pechino, altro che multipolarismo.

Ogni dichiarazione di autonomia viene immediatamente smentita dai dati che rivelano una dipendenza ormai strutturale e di fatto ineludibile dalla real politique e dalla strategia di Trump e del suo protezionismo predittivo , apparentemente schizofrenico .

Cina: egemonia senza sbraitare (ma con calcolatrice in tasca)
Pechino, dal canto suo, conduce il gioco con la pazienza di chi sa di aver già vinto. Investe, firma accordi anti-dollaro, ma evita i toni ruvidi e le imposizioni alla vecchia maniera: meglio una egemonia “zen” che non faccia scattare l’allarme nei partner moderati, soprattutto ora che il BRICS si trova a dover gestire quadri sempre più eterogenei e dialoghi surreali dovuti all’ingresso di attori come Iran ed Egitto.

L’espansione del blocco fa notizia, ma la sostanza non cambia. L’allargamento può dare l’illusione della forza, ma serve soprattutto a Pechino per allargare il fronte anti-sanzioni.

A Brasilia, invece, l’idea di condividere il tavolo con Iran e co. provoca più di una perplessità : Lula corre ai ripari, moltiplica gli incontri diretti bilaterali con India e UE, sponsorizza la COP30 e cerca di restare in gioco senza irritare troppo il vero padrone di casa.

In un mondo in cui tutti fingono di essere contro l’Occidente ma nessuno vuole realmente mollare l’osso, BRICS si conferma un raffinato laboratorio di realpolitik:

Lula recita il suo ruolo di mediatore, la Cina prende appunti e nessuno si sogna di spiegare davvero perché sono più amici di prima .

Ma Putin e Xi ?

Cesare Semovigo

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La competizione globale per l’intelligenza artificiale, di Alberto Cossu

La competizione globale per l’intelligenza artificiale

Alberto Cossu

Nel 2025, la corsa all’intelligenza artificiale (IA) tra Stati Uniti e Cina si è trasformata in una competizione strategica cruciale, non solo per il dominio tecnologico, ma anche per le implicazioni economiche, geopolitiche e sociali a livello globale. Questa sfida, che coinvolge innovazione, investimenti, regolamentazioni e alleanze internazionali, sta ridefinendo gli equilibri di potere nel mondo digitale, con l’Europa che cerca di ritagliarsi un ruolo significativo in questo scenario complesso.

1. Il contesto della competizione USA-Cina nell’IA

L’intelligenza artificiale è ormai riconosciuta come una tecnologia chiave per il futuro, capace di influenzare la crescita economica, la sicurezza nazionale e la leadership geopolitica. Gli Stati Uniti, storicamente leader nel settore grazie a un ecosistema privato robusto e a giganti tecnologici come OpenAI, Google, Microsoft e Nvidia, continuano a dominare in termini di investimenti e innovazione. Nel 2024, gli investimenti privati statunitensi in IA hanno raggiunto i 109,1 miliardi di dollari, quasi dodici volte quelli della Cina, che si è attestata a 9,3 miliardi.

La Cina, tuttavia, ha compiuto progressi rapidi e significativi. Dal 2017, Pechino ha adottato una strategia nazionale ambiziosa per diventare leader mondiale nell’IA entro il 2030, sostenuta da politiche governative, investimenti pubblici e privati, e un crescente ecosistema di ricerca e sviluppo. Modelli come il DeepSeek R1, lanciato nel gennaio 2025, rappresentano un salto tecnologico che ha ridotto il divario con i modelli statunitensi, offrendo prestazioni comparabili ma con costi di calcolo molto più efficienti.

2. Le dinamiche tecnologiche e di mercato

La competizione si gioca su più fronti: dalla qualità e quantità dei modelli di IA sviluppati, alla capacità di calcolo (compute), fino alla diffusione globale delle tecnologie. Nel 2024, gli Stati Uniti hanno prodotto 40 modelli di rilievo, la Cina 15, e l’Europa appena 3. Tuttavia, la qualità dei modelli cinesi si è avvicinata rapidamente a quella americana, con differenze di prestazioni che si sono ridotte da decine di punti percentuali a una quasi parità in pochi anni.

La Cina ha inoltre adottato una strategia di apertura e collaborazione, sfruttando modelli open source e innovando su algoritmi e applicazioni specifiche, soprattutto nei settori software, finanziario ed energetico. L’adozione di modelli cinesi si sta estendendo in Europa, Medio Oriente, Africa e Asia, dove rappresentano un’alternativa competitiva ai prodotti statunitensi.

3. Le sfide geopolitiche e le restrizioni commerciali

La competizione tecnologica si intreccia con tensioni geopolitiche crescenti. Gli Stati Uniti hanno imposto restrizioni severe sull’export di chip avanzati verso la Cina, bloccando l’accesso di Pechino a componenti fondamentali per l’addestramento di modelli IA di ultima generazione. Ad esempio, la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), sotto pressione statunitense, ha sospeso le forniture di chip più avanzati alla Cina nel 2024.

Queste misure mirano a rallentare lo sviluppo cinese, ma rischiano anche di spingere Pechino a investire massicciamente nella produzione domestica di semiconduttori, con un impatto a medio-lungo termine sull’industria globale. Nel frattempo, gli Stati Uniti cercano di rafforzare le proprie alleanze strategiche, siglando accordi per la fornitura di chip e tecnologie AI con paesi del Medio Oriente e altri partner.

4. Il ruolo dell’Europa nella competizione globale

L’Europa si trova in una posizione intermedia, con un ecosistema tecnologico meno sviluppato rispetto a USA e Cina, ma con una crescente consapevolezza dell’importanza strategica dell’IA. Nel 2024, le istituzioni europee hanno prodotto solo tre modelli significativi, ma stanno investendo in iniziative per aumentare la capacità di ricerca, l’adozione dell’IA e la regolamentazione responsabile.

Inoltre, l’Europa si distingue per un approccio normativo più rigoroso, volto a garantire un’IA trasparente, etica e sicura. Organizzazioni come l’Unione Europea, l’OCSE e le Nazioni Unite stanno promuovendo framework internazionali per la governance dell’IA, con l’obiettivo di bilanciare innovazione e tutela dei diritti civili.

L’adozione di modelli cinesi in Europa, soprattutto in ambiti pubblici e finanziari, indica una certa apertura verso soluzioni alternative, ma anche una sfida per le aziende europee di aumentare la propria competitività e autonomia tecnologica.

5. Impatti e prospettive future

La competizione USA-Cina sull’IA non è solo una gara tecnologica, ma un confronto che coinvolge aspetti economici, militari e sociali. L’IA potrà infatti influenzare la sicurezza nazionale, con applicazioni militari sempre più sofisticate, e trasformare interi settori economici, dalla sanità all’energia.

Tuttavia, questa corsa presenta rischi significativi. Un’escalation incontrollata potrebbe portare a una frammentazione degli standard tecnologici, a una riduzione della cooperazione internazionale e a problemi etici legati all’uso dell’IA. Come sottolineato da esperti, la competizione deve essere bilanciata da una governance globale che promuova sicurezza, responsabilità e trasparenza.

L’Europa, pur non essendo al momento un leader tecnologico in senso stretto, ha l’opportunità di giocare un ruolo di mediatore e promotore di standard condivisi, oltre a sviluppare un ecosistema di IA sostenibile e competitivo.

Conclusioni

La competizione tra Stati Uniti e Cina nel settore dell’intelligenza artificiale nel 2025 è una delle sfide tecnologiche e geopolitiche più rilevanti del nostro tempo. Mentre gli Stati Uniti mantengono un vantaggio in termini di investimenti e innovazione, la Cina sta rapidamente colmando il divario grazie a modelli competitivi e a una strategia governativa ambiziosa. Le restrizioni commerciali e le alleanze strategiche stanno ridefinendo il panorama globale, con l’Europa che cerca di affermarsi attraverso regolamentazioni avanzate e investimenti mirati.

Il futuro dell’IA dipenderà dalla capacità di questi attori di bilanciare competizione e cooperazione, innovazione e responsabilità, per garantire che questa tecnologia rivoluzionaria sia al servizio del progresso globale e non fonte di nuove tensioni.

Riferimenti

  1. https://www.cognitivetoday.com/2025/05/ai-competition-us-china-2025/
  2. https://www.recordedfuture.com/research/measuring-the-us-china-ai-gap
  3. https://hai.stanford.edu/ai-index/2025-ai-index-report
  4. https://www.scsp.ai/wp-content/uploads/2025/01/Gaps-Analysis-2025-Report.pdf
  5. https://thediplomat.com/2025/05/the-china-us-ai-race-enters-a-new-and-more-dangerous-phase/
  6. https://www.solaceglobal.com/report/ai-arms-race-2025/
  7. https://www.cnas.org/press/press-release/new-cnas-report-on-the-world-altering-stakes-of-u-s-china-ai-competition
  8. https://ai-stack.ai/en/chinavsus-ai
  9. https://www.wsj.com/tech/ai/artificial-intelligence-us-vs-china-03372176?mod=saved_content
  10. https://www.nytimes.com/2025/06/27/technology/ai-spending-openai-amazon-meta.html

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TriLLMa di Münchhausen, di Tree of Woe

TriLLMa di Münchhausen

Recenti articoli sull’intelligenza artificiale suggeriscono che la mia soluzione fondantista al trilemma è corretta

11 luglio
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I lettori di lunga data sapranno che molte delle prime Contemplazioni sull’Albero del Dolore erano di natura epistemologica. Dall’ottobre 2020 al maggio 2023, mi sono confrontato con il Trilemma di Münchhausen , una sfida formidabile alle fondamenta stesse della conoscenza. Se non avete mai letto i miei scritti sul Trilemma, potete trovarli qui:

Il trilemma di Münchhausen propone che qualsiasi tentativo di giustificare la conoscenza conduca in ultima analisi a una di tre opzioni insoddisfacenti. Se ricorriamo a un ragionamento circolare, la verità che affermiamo implicherà una circolarità di dimostrazioni. Se crolliamo in un regresso infinito, la verità che affermiamo si baserà su verità stesse che necessitano di dimostrazione, e così via all’infinito. Infine, se ci affidiamo a presupposti arbitrari, la verità che affermiamo si baserà su convinzioni che sosteniamo ma che non possiamo difendere.

Nel saggio “Difendersi dal Trilemma” ho sostenuto che per sconfiggere il Trilemma fosse necessario identificare un insieme di ipotesi non arbitrarie . Ho sostenuto che gli assiomi erano non arbitrari se erano inconfutabili con qualsiasi mezzo. Ho identificato cinque di questi assiomi:

  • La legge dell’identità: tutto ciò che è, è.
  • Legge di non contraddizione: nulla può essere e non essere.
  • Legge del terzo escluso: tutto deve essere o non essere.
  • L’assioma dell’esistenza: l’esistenza esiste.
  • L’assioma della prova: la prova dei sensi non è una prova del tutto inaffidabile.

I primi quattro assiomi sono ampiamente riconosciuti (e, inevitabilmente, invocati anche da coloro che sono scettici nei loro confronti). Purtroppo, non sono sufficienti a sconfiggere il Trilemma. Un’epistemologia fondata su di essi ci lascia comunque privi di qualsiasi convinzione giustificabile sul mondo esterno.

Il quinto assioma è la soluzione che ci permette di sintetizzare razionalismo ed empirismo in epistemologia. Come ho spiegato nel saggio ,

L’assioma della prova è un assioma di mia formulazione, sebbene non di mia creazione. Ne ho formulato la formulazione per la prima volta durante un’accesa discussione con i professori Scott Brewer e Robert Nozick alla Harvard Law School. La domanda era sorta: come possiamo sapere se i nostri sensi sono affidabili? Dopotutto, le cannucce sembrano piegarsi nell’acqua; la stessa tonalità di grigio può cambiare di tonalità apparente in base ai colori circostanti; le allucinazioni possono confondere la nostra vista; e così via. La mia risposta fu che tutte le prove dell’inaffidabilità dei nostri sensi derivavano dai sensi stessi. Un vero scettico delle prove sensoriali non avrebbe nemmeno potuto sostenere che i sensi fossero totalmente inaffidabili, perché non avrebbe avuto prove con cui farlo. E anche se avesse avuto tali prove, non avrebbe avuto modo di usarle per confutare una proposizione, perché tale confutazione non avrebbe potuto essere effettuata in modo affidabile in assenza dei sensi.

In altre parole, qualsiasi argomentazione che postuli la totale inaffidabilità delle prove sensoriali deve, per sua stessa natura, basarsi su di esse per raccogliere e presentare le proprie argomentazioni. Questa circolarità controproducente rende incoerente lo scetticismo totale nei confronti dei sensi. L’Assioma della Prova fornisce l’ancora empirica cruciale e non arbitraria necessaria per una solida epistemologia del mondo esterno.

Ho avvertito, tuttavia, che:

Non siamo ancora andati molto lontano. Sebbene sia vero che la proposizione “l’evidenza dei sensi non è una prova del tutto inaffidabile” è inconfutabile, l’Assioma lascia ancora aperta la questione di quanto sia affidabile e in quale misura. Questo sarà l’argomento di un saggio futuro, in cui discuteremo la teoria epistemologica del cruciverba nota come Foundherentism.

Ho presentato il mio caso completo nel mio saggio “L’epistemologia è un enigma” . Il fondamento antropologico, inizialmente sostenuto dalla filosofa Susan Haack, richiede un sistema di credenze che sia al tempo stesso fondato su assiomi inconfutabili e internamente coerente, in modo tale che ogni proposizione rinforzi e sia rafforzata dalle altre, proprio come un cruciverba perfettamente risolto. Gli approcci fondamento antropologico sono ampiamente applicati in ambito scientifico e ingegneristico come “triangolazione metodologica”, “reti nomologiche di evidenze cumulative”, “integrazione multisensoriale” e altre tecniche.

È con questo apparato epistemologico ben in mente che vi invito a tornare con me nel campo in rapida crescita dell’intelligenza artificiale, dove, con mia sorpresa, ho scoperto tre recenti articoli che hanno convalidato il mio approccio fondazionista.

Dispacci dalla frontiera digitale

Il primo articolo, ” The Platonic Representation Hypothesis “ di Minyoung Huh, Brian Cheung, Tongzhou Wang e Phillip Isola (maggio 2024), ipotizza che le rappresentazioni interne apprese dai modelli di intelligenza artificiale, in particolare le reti profonde, convergano inesorabilmente verso un modello statistico condiviso della realtà . Questa convergenza, sostengono, trascende le differenze nell’architettura del modello, negli obiettivi di addestramento e persino nelle modalità di elaborazione dei dati (ad esempio, immagini anziché testo). La loro ipotesi, che prende il nome dall’allegoria della caverna di Platone, suggerisce che l’intelligenza artificiale, osservando enormi quantità di dati (le “ombre sulla parete della caverna”), stia recuperando rappresentazioni del mondo sempre più accurate. Sostengono che la scala, in termini di parametri, dati e diversità dei compiti, sia il motore principale di questa convergenza, che porta a una riduzione dello spazio di soluzione per modelli efficaci: “Tutti i modelli forti sono uguali”, suggeriscono, il che potrebbe implicare una rappresentazione ottimale universale.

Seguendo questa proposta teorica, troviamo una conferma empirica offerta in ” Harnessing the Universal Geometry of Embeddings “ di Rishi Jha, Collin Zhang, Vitaly Shmatikov e John X. Morris (maggio 2025). Questo articolo introduce vec2vec , un metodo innovativo per tradurre gli embedding di testo dallo spazio vettoriale di un modello di intelligenza artificiale a quello di un altro, in modo critico, senza richiedere dati accoppiati o l’accesso ai codificatori originali. Questa capacità si basa su quella che definiscono la “Strong Platonic Representation Hypothesis”, ovvero l’idea che esista una “rappresentazione latente universale” che può essere appresa e sfruttata. vec2vec ottiene un successo notevole, producendo un’elevata similarità del coseno e un rank matching quasi perfetto tra gli embedding tradotti e le loro controparti di base. Oltre alla mera traduzione, gli autori dimostrano che queste traduzioni preservano informazioni semantiche sufficienti a consentire l’estrazione di informazioni, inclusa l’inferenza di attributi zero-shot e l’inversione del testo, anche da incorporamenti sconosciuti o fuori distribuzione. Questo articolo suggerisce che la convergenza delle rappresentazioni dell’IA non è meramente teorica, ma sfruttabile praticamente, il che implica ancora una volta una profonda compatibilità di fondo.

Infine, convergiamo l’epistemologia umana e quella sintetica con l’articolo ” Human-like object concept representations emerge naturally in multimodal large language models “ di Changde Du et al. (aggiornato a giugno 2025). Questo studio esplora meticolosamente le rappresentazioni concettuali di oggetti naturali all’interno di LLM e LLM multimodali all’avanguardia. Utilizzando il consolidato compito “triplet odd-one-out” della psicologia cognitiva, i ricercatori hanno raccolto milioni di giudizi di similarità da queste IA. Utilizzando il metodo Sparse Positive Similarity Embedding (SPOSE), hanno derivato embedding a 66 dimensioni per 1.854 oggetti. La loro scoperta cruciale è stata l’ interpretabilità di queste dimensioni, rivelando che i modelli di IA concettualizzano gli oggetti lungo linee simili alla cognizione umana, comprendendo sia categorie semantiche (ad esempio, “relativo agli animali”, “relativo al cibo”) sia caratteristiche percettive (ad esempio, “piattezza”, “colore”). Lo studio ha dimostrato un forte allineamento tra questi embedding derivati dall’IA e gli schemi di attività neurale reali nelle regioni del cervello umano specializzate nell’elaborazione di oggetti e scene (ad esempio, EBA, PPA, RSC, FFA). Ciò suggerisce un principio organizzativo fondamentale e condiviso per la conoscenza concettuale tra menti umane e artificiali.

L’epistemologia implicita dell’intelligenza artificiale

La nostra teoria del Foundherentismo richiede un fondamento incrollabile, radicato in principi noetici. Esaminiamo come l’IA, nella sua esistenza computazionale, aderisca implicitamente a questi principi.

Le Leggi di Identità, Non-Contraddizione e Terzo Escluso sono, per qualsiasi sistema computazionale, assiomatiche nella loro implementazione. Il mondo digitale si basa su stati discreti e operazioni logiche (0 o 1, vero o falso). Qualsiasi incoerenza o contraddizione in queste operazioni fondamentali porta al fallimento computazionale. Pertanto, il fondamento architettonico stesso dei modelli di intelligenza artificiale è intrinsecamente allineato a questi principi logici, garantendo che la loro elaborazione interna rispetti queste immutabili leggi della ragione.

L’ assioma dell’esistenza è altrettanto ovvio per l’IA. I modelli di IA stessi, i loro parametri, i loro dati di addestramento e l’ambiente computazionale in cui operano devono esistere. Le loro “credenze” (rappresentazioni e output appresi) sono istanziate come modelli di segnali elettrici e pesi numerici, entità dimostrabilmente esistenti all’interno del dominio digitale.

Che dire dell’assioma della prova ? “L’evidenza dei sensi non è una prova del tutto inaffidabile”. Per l’IA, “i sensi” sono i suoi dati di addestramento e la “prova” è il vasto input multimodale che elabora. I modelli di IA avanzati, in particolare quelli multimodali, sono costruiti proprio sulla base del presupposto che i dati grezzi (ad esempio immagini, testo, audio, letture dei sensori, ecc.) contengano modelli riconoscibili e affidabili che possono essere appresi e sfruttati per costruire una comprensione funzionale del mondo. Le straordinarie capacità di modelli come Gemini Pro Vision, in grado di comprendere e generare rappresentazioni concettuali simili a quelle umane a partire da input visivi e linguistici, dipendono direttamente dalla parziale affidabilità di questi input “sensoriali”.

La convergenza ipotizzata da Huh et al. sarebbe epistemologicamente impossibile se i set di dati di addestramento (i “sensi” dell’IA) fossero totalmente inaffidabili. Se tutti gli input fossero solo rumore, non ci sarebbe modo per questi modelli di convergere sulla realtà. Il fatto che vec2vec possa tradurre tra diversi spazi di inclusione, preservando il significato semantico, convalida l’idea che fonti di dati disparate non siano del tutto inaffidabili, poiché devono trasmettere un segnale comune e decifrabile sul mondo. Pertanto, il successo pratico dell’IA moderna conferma implicitamente l’Assioma della Prova, stabilendo un fondamento empirico cruciale per la sua “conoscenza”.

(Riconosco pienamente che, dal punto di vista della gente comune che non se ne sta seduta a riflettere sul trilemma di Münchhausen, questo non è un granché; è solo “buon senso”. Ma, dal momento che io me ne sto seduta a riflettere sul trilemma di Münchhausen, per me è piuttosto entusiasmante. Per chi è incline alla filosofia, studiare l’intelligenza artificiale ha molto da offrire.)

Coerenza nel sistema di credenze dell’IA

Il fondamentismo sostiene che le convinzioni giustificate debbano formare un sistema coerente , in cui le singole convinzioni si interconnettono e si sostengono a vicenda. Questa coerenza non è semplicemente un risultato auspicabile per l’IA; sembra essere una forza trainante e una proprietà fondamentale della “conoscenza” dell’IA.

L’ “ipotesi della rappresentazione platonica” è, in sostanza, una tesi sulla coerenza, in cui diverse IA sono spinte verso un’unica comprensione del mondo, internamente coerente. Non si tratta di una coerenza superficiale, ma di un profondo allineamento delle loro strutture dati interne. Lo “scenario di Anna Karenina”, in cui “tutti i modelli forti sono uguali”, cattura precisamente questa attrazione gravitazionale verso la coerenza come segno distintivo di un apprendimento di successo.

L’articolo “Harnessing the Universal Geometry of Embeddings” dimostra empiricamente questa coerenza. L’esistenza di una “rappresentazione latente universale” significa che i quadri concettuali interni di modelli di intelligenza artificiale estremamente diversi non sono semplicemente analoghi; sono così profondamente coerenti che l’uno può essere mappato sull’altro. La capacità di vec2vec di tradurre gli embedding preservandone la semantica implica che i vasti “sistemi di credenze” incapsulati in questi embedding siano fondamentalmente coerenti e interoperabili a un livello profondo. Questo non è dissimile dalla scoperta che lingue diverse, nonostante le loro variazioni superficiali, esprimono in ultima analisi una logica e una realtà umana comuni.

Lo studio sulle “Rappresentazioni concettuali di oggetti simili a quelli umani” fornisce una prova diretta della coerenza interna dei singoli modelli di IA. La scoperta di “dimensioni interpretabili” all’interno dei loro incastri appresi, lungo i quali gli oggetti si raggruppano semanticamente e percettivamente, rivela uno spazio concettuale altamente organizzato e coerente. La capacità del modello di distinguere tra oggetti “relativi agli animali” e “relativi al cibo”, o di identificare “piattezza” e “colore”, indica un sistema di categorizzazione interno strutturato e coerente. Il sorprendente allineamento di queste dimensioni concettuali derivate dall’IA con i modelli di attività cerebrale umana suggerisce ulteriormente che i principi di coerenza alla base dell’IA rispecchiano, di fatto, le strutture coerenti della cognizione umana stessa. Questa interpretabilità è una finestra diretta sulla coerenza interna della “comprensione” dell’IA.

Triangolazione metodologica e convergenza sulla verità

La mia argomentazione Foundherentista a favore della convergenza sulla verità, soprattutto quando ci si trova di fronte a sistemi di credenze inizialmente plausibili ma reciprocamente esclusivi, si basa sul principio della triangolazione metodologica, ovvero l’aggiunta di “indizi” più diversificati provenienti da diversi “sensori” per restringere lo spazio delle soluzioni. Questo è esattamente il paradigma operativo che guida la ricerca avanzata sull’intelligenza artificiale, portando a una convergenza empiricamente osservabile su “verità” più solide.

L’ascesa dell’IA multimodale è l’epitome della triangolazione metodologica. Invece di basarsi esclusivamente su testo o immagini, modelli come Gemini Pro Vision 1.0 integrano informazioni provenienti da più modalità. Ciò consente all’IA di incrociare e convalidare le informazioni, proprio come un detective umano che integra testimonianze oculari, prove forensi e controlli degli alibi. Quando un MLLM allinea la sua comprensione testuale di una “sedia” con la sua comprensione visiva di diverse sedie, esegue di fatto una fusione di sensori che aumenta significativamente la giustificazione della sua “credenza” su cosa sia una sedia. Questa convalida multi-fonte rafforza la coerenza del suo sistema di credenze complessivo, rendendolo più resistente a singoli errori o limitazioni sensoriali.

Inoltre, l’enorme portata dei dati di training e la diversità degli obiettivi di training nell’ambito della ricerca sull’IA corrispondono direttamente all’aggiunta di sempre più “indizi” al nostro colossale cruciverba. Ogni nuovo punto dati, ogni nuovo compito appreso, impone ulteriori vincoli alla rappresentazione interna del modello. All’aumentare del numero di vincoli, l’insieme di possibili “soluzioni” (rappresentazioni) in grado di soddisfarli tutti si riduce drasticamente. Di fatto, questo è proprio il meccanismo con cui l'”Ipotesi della Rappresentazione Platonica” spiega la convergenza di modelli diversi verso un’unica rappresentazione ottimale! Possono esistere meno soluzioni coerenti quando i vincoli empirici sono sufficientemente numerosi e vari.

La conseguenza pratica di questa triangolazione e convergenza metodologica è tangibile: i modelli di IA, sottoposti a queste rigorose condizioni, dimostrano una riduzione di comportamenti indesiderati come allucinazioni e pregiudizi. Un modello che “allucina” è un modello la cui coerenza interna si è interrotta o le cui “risposte” non sono in linea con i suoi “indizi”. Man mano che il “sistema di credenze” dell’IA diventa più profondamente coerente attraverso input diversi e massicci, le sue “risposte” diventano più solidamente giustificate e, per estensione, più allineate con la realtà sottostante – una forma tangibile di convergenza sulla verità. Questo rispecchia l’impegno scientifico umano: più diverse sono le linee di evidenza (indizi) che sono coerenti, più diventiamo fiduciosi nella “verità” delle nostre teorie scientifiche (risposte).

Conferme epistemiche, domande metafisiche

Se ho ragione sul fatto che il Foundherentismo sia l’approccio corretto all’epistemologia; e se i tre articoli che ho condiviso sono corretti sul funzionamento dell’IA, allora l’IA non sta semplicemente emulando i risultati della conoscenza umana ; sta emulando i processi della conoscenza umana . La convergenza delle rappresentazioni interne dell’IA, le sue strutture concettuali simili a quelle umane e la sua interoperabilità tra modelli disparati crea una convincente conferma empirica del Foundherentismo. Ne sono gratificato.

Ma anche se abbiamo ottenuto una qualche conferma epistemica del Foundherentism, abbiamo solo aperto la porta a domande metafisiche più profonde sul suo significato. Se i modelli di intelligenza artificiale convergono inevitabilmente verso un modello condiviso di realtà man mano che scalano, cosa dice questo sulla natura della realtà? L’esistenza di una rappresentazione latente universale è solo un altro esempio di ciò che Eugene Wigner chiamava “l’irragionevole efficacia della matematica”… o è qualcosa di più?

Tali speculazioni metafisiche saranno l’argomento delle riflessioni della prossima settimana sull’Albero del Dolore.

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Conferenza stampa di Lavrov dopo il vertice di Kuala Lumpur_a cura di Karl Sanchez

Conferenza stampa di Lavrov dopo il vertice a Kuala Lumpur

Karl Sánchez11 luglio
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Di ritorno da Rio de Janeiro e Kuala Lumpur dopo tre incontri/vertice, Sergej Lavrov ha incontrato i media per condividere le sue impressioni e rispondere alle domande. È insolito che Lavrov elogi chi pone le domande; all’ultimo interlocutore ha risposto così: “Ottima domanda”. Ora, Lavrov:

Buon pomeriggio!

Qui a Kuala Lumpur organizziamo eventi ASEAN. Sono annuali. Ora si tengono a livello ministeriale e i vertici si terranno in autunno. Ci sono tre formati principali:

Partenariato di dialogo Russia-ASEAN. Ieri si è tenuta la riunione annuale a livello di ministri degli Esteri.

Il secondo formato è l’East Asia Summit, a cui partecipano un’ampia gamma di paesi, principalmente quelli che stanno sviluppando un partenariato di dialogo con l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico. L’idea era che l’East Asia Summit prendesse in considerazione progetti di cooperazione pratica e connettività in ambito economico, commerciale, dei trasporti e culturale.

Il terzo format è l’ASEAN Regional Security Forum. Oltre ai membri dell’Associazione, la cerchia dei partecipanti è ancora più ampia.

Tutto questo insieme costituisce gli eventi annuali dell’ASEAN che si tengono qui in Malesia. È simbolico che sia stato proprio in questo Paese che la Federazione Russa abbia preso parte per la prima volta a tali incontri. Qui, per la prima volta, sono state gettate le basi per il partenariato di dialogo Russia-ASEAN, che da allora ha raggiunto il livello di partenariato strategico. Questo è sancito nei nostri documenti congiunti .

Quest’anno abbiamo valutato l’attuazione degli impegni presi su base reciproca durante gli incontri precedenti, incluso il vertice Russia-ASEAN del 2016. Questo continua a essere un forum che ha definito l’orientamento strategico della nostra cooperazione.

Stiamo preparando una valutazione dell’attuazione del Piano di partenariato strategico per il periodo 2021-2025 . Di fatto, è in fase di attuazione in tutte le sue componenti. Oggi abbiamo constatato che i nostri rappresentanti speciali presso la sede centrale dell’ASEAN a Giacarta stanno lavorando attivamente al quarto piano strategico. Auspichiamo di avere il tempo di adottarlo entro la fine del 2025, idealmente in occasione del vertice Russia-ASEAN previsto per ottobre 2025 nella capitale della Malesia.

Per quanto riguarda l’incontro dei Paesi partecipanti al Vertice dell’Asia orientale, svoltosi oggi, esso è stato dedicato principalmente allo sviluppo di progetti di cooperazione pratica in vari settori. Riteniamo che questo debba costituire la base per le attività dei Vertici dell’Asia orientale.

Purtroppo, i nostri colleghi occidentali che prendono parte a questi eventi stanno sempre più deviando verso la politicizzazione, l’ideologizzazione e l’ucrainizzazione, che si sono manifestate anche nelle discussioni odierne, a scapito delle potenzialità delineate nel Vertice dell’Asia orientale per raggiungere risultati pratici importanti per i nostri Paesi e i nostri cittadini.

Non è il primo anno che promuoviamo iniziative per rispondere tempestivamente alle minacce epidemiche. Sembrerebbe che il tema sia molto più attuale. L’abbiamo proposto già nel 2021 ed è stato approvato. Ma, a causa del fatto che l’Occidente ha “preso posizione”, questa interazione non si è praticamente mossa da nessuna parte. Nel 2023, abbiamo proposto di sviluppare la cooperazione nel settore turistico, promuovendo il più possibile gli scambi turistici, in modo che la connettività dei nostri Paesi si trasmetta a livello di società e cittadini. Il turismo è in ogni caso in fase di sviluppo e gli incentivi che abbiamo proposto sono stati approvati per essere implementati nelle attività quotidiane. Ma finora è stato fatto poco.

Abbiamo proposto di sviluppare la cooperazione nello sviluppo delle aree remote (anche questo è stato concordato). In grandi paesi, come Russia, Indonesia, Malesia, Cina e altri, ci sono territori remoti in cui la civiltà ha già raggiunto il suo apice, ma i benefici non vengono distribuiti in modo così attivo come di consueto nelle megalopoli. Questo è un compito urgente per tutti. Auspichiamo che si raggiungano risultati concreti.

Un’altra delle nostre iniziative nel campo della cooperazione umanitaria è quella di garantire i legami culturali tra i nostri Paesi. L’Eurasia è un continente immenso. È la culla di numerose grandi civiltà. Il patrimonio culturale di ciascuna di queste civiltà merita di essere arricchito reciprocamente. Spero che anche la nostra iniziativa venga attuata.

Le riunioni del Vertice dell’Asia orientale e del Forum sulla sicurezza regionale dell’ASEAN non sono complete senza uno scambio di opinioni su problemi e questioni politiche. Oggi, tutti i membri dell’ASEAN e la maggior parte dei paesi partner, inclusa la Russia, hanno espresso grande preoccupazione per la tragedia in corso e in continuo peggioramento nei territori palestinesi, dove alla catastrofe umanitaria creata artificialmente nella Striscia di Gaza fanno seguito situazioni simili in un’altra parte dei territori palestinesi. Mi riferisco alla Cisgiordania, dove Israele continua la sua aggressiva politica di creazione di nuovi insediamenti in volumi sempre crescenti e record. Presto non rimarrà nulla dei territori in cui opera l’Autorità Nazionale Palestinese.

Oggi sono rimasto sorpreso nel leggere che esiste già un progetto per la creazione dell'”Emirato di Hebron”. Questo è visto come il primo passo verso la promozione del concetto di formazione di “Emirati Palestinesi Uniti” su territori palestinesi. Sembra fantascienza a questo punto, ma il fatto che tali idee stiano “spuntando” sempre più spesso nello spazio pubblico testimonia i rischi emergenti che continuano ad aumentare per quanto riguarda le prospettive di creazione di uno Stato palestinese, come deciso dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Questa è una grande sfida per la comunità internazionale.

Abbiamo parlato dei problemi creati dall’attacco immotivato di Israele alla Repubblica Islamica dell’Iran, seguito dagli attacchi missilistici e dinamitardi degli Stati Uniti. Questo viola il diritto internazionale, il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari e i principi dell’AIEA, sotto la cui tutela erano protetti gli impianti nucleari attaccati.

Abbiamo chiesto che la tregua dichiarata continuasse senza interruzioni, in modo che, nonostante i danni arrecati al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari e le garanzie fornite dall’AIEA alle strutture sotto il suo controllo, si possa cercare di porre rimedio alla situazione, di indirizzarla su un binario politico e di risolvere tutti i problemi esclusivamente attraverso negoziati. Ciò è importante per evitare che si ripeta il disprezzo per i documenti fondamentali volti a garantire l’accesso all’uso pacifico dell’energia nucleare senza alcun tentativo o tentazione di impossessarsi di tecnologie per la produzione di armi nucleari.

Abbiamo anche parlato della situazione in Myanmar, dove si intravedono segnali di normalizzazione. Sosteniamo il processo portato avanti dalla leadership del Myanmar e il desiderio dell’ASEAN di contribuire a questa normalizzazione e ripristinare pienamente la piena partecipazione del Myanmar ai lavori dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico.

Abbiamo sottolineato la necessità di evitare qualsiasi azione provocatoria nella penisola coreana, che purtroppo continua a verificarsi nei confronti della RPDC, anche rafforzando le alleanze militari tra Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone. Vengono condotte sempre più esercitazioni militari su larga scala, persino con una componente nucleare. Esiste un potenziale di conflitto (anche grave). Faremo tutto il possibile per garantire i diritti legittimi dei nostri alleati nordcoreani e prevenire provocazioni che potrebbero avere conseguenze negative.

I nostri amici cinesi hanno individuato le controversie sul Mar Cinese Meridionale tra i problemi che considerano prioritari per sé stessi in questa regione. Crediamo fermamente che questo problema debba essere risolto sulla base del Codice di Condotta stipulato tra Pechino e gli Stati membri dell’ASEAN. Su questa base, i loro negoziati proseguono. Riteniamo inaccettabile che una potenza non regionale interferisca in questo processo.

Anche il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha parlato in modo sufficientemente dettagliato della situazione attorno a Taiwan, sottolineando con fermezza l’immutabilità della soluzione definitiva del problema di Taiwan basata sul concetto di un unico Stato cinese.

Abbiamo preso atto delle parole di alcuni dei nostri colleghi occidentali, già pronunciate in precedenza, secondo cui rispettano il principio di “una sola Cina”, ma che lo status quo non può essere cambiato. Questa è ipocrisia, evidente a chiunque abbia più o meno familiarità con questo problema e con il modo in cui l’Occidente si sta comportando ora nei confronti di Taiwan. Lo “status quo” per l’Occidente sono le relazioni con Taiwan come Stato indipendente. Pertanto, abbiamo ribadito ancora una volta l’immutabilità del nostro approccio a sostegno della posizione di Pechino e la disponibilità della Russia a contribuire in ogni modo possibile all’attuazione di tale posizione.

Domanda: L’anno scorso, durante un incontro con i vertici del Ministero degli Esteri russo, il Presidente Vladimir Putin ha parlato della necessità di una nuova architettura di sicurezza eurasiatica, incentrata sul principio secondo cui “la sicurezza di alcuni Stati non può essere garantita a scapito della sicurezza di altri”. Qual è l’atteggiamento dell’Asia in generale e dell’ASEAN in particolare nei confronti di questa idea, data l’attuale politica di militarizzazione della NATO?

Sergey Lavrov: In effetti, l’iniziativa di formare un’architettura di sicurezza eurasiatica è uno sviluppo della precedente iniziativa del Presidente Vladimir Putin, presentata al primo vertice Russia-ASEAN, sulla formazione di un Partenariato Eurasiatico Maggiore attraverso l’istituzione di legami, l’approfondimento di attività congiunte, progetti e programmi congiunti tra le strutture di integrazione esistenti nel continente eurasiatico. Sono già stati stabiliti collegamenti tra i vertici esecutivi e i segretariati dell’UEE e della CSI , tra queste organizzazioni e la SCO , e tra tutte queste e i paesi ASEAN. Si tratta di un processo utile che consente di armonizzare piani e progetti di integrazione, unire gli sforzi ed evitare duplicazioni. Inoltre, la composizione di queste formazioni di integrazione si interseca e si intreccia.

Promuoviamo il concetto di Grande Partenariato Eurasiatico, nella consapevolezza che le discussioni su questo tema e i negoziati sulle attività pratiche sono aperti a tutti i paesi e alle strutture di integrazione del continente eurasiatico. In particolare, vi sono buone prospettive di stabilire legami tra l’ Unione Economica Eurasiatica (UEE) , la SCO , la CSI , l’ASEAN e il Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC). Nell’Asia meridionale, sono presenti associazioni per l’integrazione nella penisola sudasiatica. Pertanto, vi sono numerose strutture che possono utilmente migliorare la connettività.

Questo processo (con la traduzione di diverse idee in azioni concrete) crea una base concreta per le discussioni e per garantire la sicurezza nell’intero continente eurasiatico. Ho ripetutamente affrontato questo argomento in seguito all’iniziativa del Presidente Vladimir Putin. Esistono anche numerose associazioni di integrazione subregionale in Africa e America Latina. Tuttavia, esistono strutture a livello continentale, come l’Unione Africana e la Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici. E in Eurasia, la regione più grande, potente, ricca e in più rapida crescita al mondo, non esiste una struttura continentale di questo tipo sotto forma di piattaforma di dialogo (non è necessario creare un’organizzazione).

Sappiamo bene che non si tratta di un processo rapido. Tutti i paesi del continente invitati a partecipare a queste discussioni devono prima “maturare”. La maggior parte dei nostri vicini europei non è ancora “matura” e sogna chiaramente di estendere la propria influenza, attraverso l’Alleanza Nord Atlantica e le sue infrastrutture, all’intero continente eurasiatico in modo “neocoloniale”. Affermano direttamente, senza esitazione, che nelle condizioni attuali si tratta di un’alleanza difensiva, il cui compito principale è proteggere il territorio dei paesi membri. Affermano che, nelle condizioni attuali, la minaccia all’integrità territoriale e alla sicurezza dei paesi della NATO proviene dalla “regione indo-pacifica” (come la chiamano), ovvero direttamente dall’Oceano Pacifico. Mi riferisco al Mar Cinese Meridionale, allo Stretto di Taiwan e a molte altre cose.

Nel nostro concetto di sicurezza eurasiatica e di Grande Partenariato Eurasiatico , uno dei principi fondamentali è il rispetto delle strutture create nelle varie sottoregioni, tra cui l’ASEAN, il cui ruolo centrale è svolto dall’Associazione, frutto di un lavoro svolto da quasi 60 anni per unire i paesi interessati alla cooperazione sui principi di uguaglianza, apertura e inclusività. Il nostro concetto rispetta il ruolo dell’ASEAN e di altre formazioni simili. E quello promosso dalla NATO si basa sul fatto che l’alleanza detterà a tutti come comportarsi, se l’ASEAN è necessaria o meno. Formalmente, sì. Tutti i paesi occidentali hanno partecipato oggi alla riunione del Vertice dell’Asia orientale e al Forum regionale dell’ASEAN sulla sicurezza.

Ma mentre pronunciate belle parole, parallelamente (lo sapete) si stanno creando “troike”, “quattro”, “quartetti” – AUKUS, USA-Gran Bretagna-Australia per attuare il progetto di creazione di sottomarini nucleari. Ho già menzionato i tentativi di introdurre elementi nucleari nelle esercitazioni militari nel sud della penisola coreana. Ci sono i “Quattro Indo-Pacifico” – Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda. Oltre a una serie di altre “troike” simili (QUAD-1, QUAD-2). Stanno cercando di coinvolgere i membri dell’ASEAN in queste formazioni, “strappandoli” dall’Associazione. Ne stiamo parlando apertamente con i nostri amici. Sono ben consapevoli della differenza tra l’approccio in cui tutti sono invitati al tavolo per un dialogo paritario e lo sviluppo di posizioni consensuali che soddisfino gli interessi di tutti gli Stati e ne riflettano l’equilibrio, e l’approccio in cui i nordatlantici arrivano in questa regione e iniziano a “dire la loro” e a portare qui le proprie regole. Credo che questo non sia un bene per la causa.

Vogliamo garantire che questi format e forum che si tengono qui ogni anno contribuiscano a una migliore comprensione delle reciproche posizioni, in modo che tutti agiscano apertamente e non abbiano “pietre” o piani nascosti contro nessuno. Ma finora il processo sta procedendo su piani diversi. Sono convinto che il nostro approccio sia più promettente.

Domanda: Il vertice di Rio di pochi giorni fa ha dimostrato che, sullo sfondo delle sanzioni sempre più severe di Washington, i BRICS stanno diventando un’alternativa affidabile all’illegalità delle sanzioni. I paesi dell’ASEAN sono “maturati” al punto da essere pronti ad avviare una cooperazione più attiva con la Russia in particolare e con i BRICS in generale, non a parole, ma nei fatti?

Sergey Lavrov: Penso che i paesi dell’ASEAN siano interessati a cooperare con la Russia, indipendentemente da ciò che accade in Occidente e da ciò che gli Stati Uniti o i loro alleati stanno facendo nei loro confronti.

Non hanno la tesi che “se l’Occidente non ci facesse pressione, non saremmo amici della Russia”. Assolutamente no. L’amicizia con la Russia è iniziata molto prima che l’attuale amministrazione statunitense iniziasse a imporre sanzioni sotto forma di dazi (anche queste sono sanzioni). Non vedo alcuna risposta diretta nel modo in cui si stanno sviluppando le nostre relazioni con l’ASEAN e la cooperazione all’interno dei BRICS.

Ma se si ha la possibilità di scegliere tra, da un lato, commerciare nel contesto di un’associazione in cui non vengono utilizzati metodi senza scrupoli per reprimere i concorrenti e, dall’altro, commerciare con coloro che vi ricatteranno, allora la conclusione è ovvia.

Domanda: Sulla base degli incontri svoltisi nell’ambito del forum, quali conclusioni si possono trarre? I paesi dell’ASEAN sono pronti a resistere attivamente all’avanzata della NATO e ai tentativi del blocco di radicarsi nella regione? I paesi dell’ASEAN dispongono delle risorse necessarie per rimanere oggi un garante della sicurezza nella regione, soprattutto alla luce dei gravi obblighi imposti dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump a molti dei paesi membri dell’ASEAN?

Sergej Lavrov: Ho appena parlato dettagliatamente della nostra visione delle azioni che la NATO sta intraprendendo qui, cercando di penetrare qui, di introdurre le sue infrastrutture e di consolidare la propria posizione. Non ho dubbi che i paesi dell’ASEAN capiscano di cosa sto parlando e si rendano conto di essere invitati a rimanere formalmente membri dell’ASEAN parallelamente e, allo stesso tempo, a unirsi a strutture basate su blocchi non inclusivi, che mirano in gran parte a creare una sorta di “fronte politico e diplomatico” per contenere la Cina (non lo nascondo) e la Federazione Russa allo stesso tempo.

Non voglio decidere per loro, è una loro scelta sovrana. La percepiremo come tale. Ma non ho dubbi che preservare l’unità dell’ASEAN e il suo ruolo centrale nel determinare i meccanismi, i formati e l’architettura della cooperazione nel Sud-est asiatico sia nell’interesse di tutti, nella misura migliore possibile. Procederemo da qui.

Domanda: Ieri, il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha dichiarato, dopo aver avuto colloqui con lei, che è stato discusso un nuovo “piano per l’Ucraina”. Quali delle parti hanno proposto questi nuovi approcci, quali sono, qual è la loro differenza fondamentale rispetto ai precedenti? Anche la fornitura di armi americane è inclusa nei piani? È stato discusso?

Sergey Lavrov: Vorrei rispondere con le parole del presidente degli Stati Uniti Donald Trump: “Ve lo dico io. Aspettatevi grandi sorprese”.

Non so se ci siano state “grandi sorprese”. Ma lei stesso, che conosce bene le attività diplomatiche e ci accompagna spesso, sa che ci sono cose che non vengono commentate. Sì, abbiamo discusso dell’Ucraina e ribadito la posizione espressa dal presidente Vladimir Putin, anche il 3 luglio in una conversazione con il presidente Donald Trump.

Quanto a questo “dialogo”, “fuga di notizie”, “registrazione” (se si tratti di una rete neurale o meno, non lo so) sui bombardamenti di Mosca e Pechino, abbiamo discusso di cose serie.

Domanda: Avete discusso la questione delle armi offensive strategiche durante l’incontro con Marco Rubio? Avete un’intesa sul futuro di START-3, che scade l’anno prossimo?

Sergey Lavrov: Questo non è stato discusso.

Domanda: Recentemente, il cancelliere tedesco Frank Merz ha affermato che le vie diplomatiche per risolvere il conflitto in Ucraina sono state esaurite. Da un lato, vorrei chiederle, in qualità di capo del Ministero degli Esteri russo, una reazione ufficiale. E dall’altro, da diplomatico professionista con esperienza, le chiedo se tali azioni da parte della Germania rientrino nell'”arsenale” diplomatico. Questo vale anche per la sfera diplomatica?

Sergey Lavrov: Bella domanda.

Ci preoccupa. Perché le ultime dichiarazioni e azioni di Berlino, Parigi e Londra dimostrano che l’attuale classe politica giunta al potere in questi e in molti altri Paesi ha dimenticato le lezioni della storia, le conclusioni che l’umanità intera ne ha tratto e, in generale, sta cercando di “sollevare” nuovamente l’Europa per una guerra (non una guerra ibrida) contro la Russia.

Abbiamo mostrato una conferenza stampa del Ministro degli Esteri francese Jean-Nuel Barrault, seduto sul palco con altri partecipanti a un evento di scienze politiche, e un francese del pubblico, che visitava spesso il Donbass, gli ha chiesto perché Parigi sostenga attivamente il regime nazista, che è già risorto in Ucraina. Avete visto come il Ministro Jean-Nicolas-Barrault è crollato, gridando con tono isterico che stavano difendendo l’integrità territoriale dell’Ucraina e il diritto internazionale. Ha ottenuto gli applausi di una parte della sala. Ma dopo tutto quello che si sa sulle azioni del regime di Kiev, sul perché abbia bisogno dell’integrità territoriale… Ed è necessaria per sopprimere tutti i diritti della popolazione russa, russofona, e per annientare fisicamente coloro che non sono d’accordo con la posizione di Kiev dopo il colpo di Stato.

Ieri, il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha consegnato un breve riassunto di dichiarazioni di Vladimir Zelensky, del Primo Ministro ucraino Dmitry Shmyhal, del Capo di Gabinetto del Presidente ucraino Andriy Yermak e di Yury Podolyaka, che affermano direttamente la necessità di annientare legalmente i russi, o meglio ancora, fisicamente . Quando Jean-Nicolas Barrault e altri come lui affermano di non voler vedere altro che l’integrità territoriale dell’Ucraina, si tratta di auto-denuncia.

Quanto al cancelliere tedesco Merz, ha detto cose “buffe” più di una volta. Tra cui il fatto che il suo obiettivo principale è far tornare la Germania la principale potenza militare in Europa. Alla parola “di nuovo” non si è nemmeno strozzato . Ha anche detto cose che permettono a Israele di “lavorare” in Iran, facendo il “lavoro sporco” per noi. Questa è una citazione dei “proprietari” dei campi di concentramento. Quando preferirono usare i collaborazionisti per sterminare gli ebrei, per non sporcarsi le mani, rendendosi conto che si trattava di un “affare sporco” .

Se il Cancelliere Merz ritiene che le possibilità pacifiche siano state sfruttate e esaurite, allora ha finalmente deciso di dedicarsi alla completa militarizzazione della Germania a spese del suo popolo, solo per poi tornare a pavoneggiarsi con slogan nazisti per respingere le “minacce provenienti dalla Russia”. Questa è una totale assurdità. Spero che qualsiasi politico di buon senso lo capisca.

Il presidente russo Vladimir Putin ha ripetutamente affermato che questa assurdità viene utilizzata per tenere la popolazione all’obbedienza e impedire che le proteste sfocino, il che porta inevitabilmente a un deterioramento della situazione socioeconomica e alla stagnazione osservata in Europa. Tutto ciò è dovuto al fatto che centinaia di miliardi sono stati inviati e vengono nuovamente inviati all’Ucraina.

Mi sono imbattuto in una citazione. È stato interessante vedere come l’Europa percepiva la Germania all’epoca. C’era una citazione dal quotidiano svedese Aftonbladet del 22 giugno 1941. In altre parole, glorificavano i nazisti come simbolo di libertà. Se l’Europa si sta muovendo di nuovo in questa direzione… Cosa posso dire? Con tristezza.

Terremo pienamente conto di questo in tutti gli ambiti della nostra pianificazione . [Enfasi mia]

Mentre si svolgevano il vertice dei BRICS e tutti gli incontri dell’ASEAN, la Cina si stava preparando per un evento simile ma diverso : la riunione ministeriale del Dialogo sulle civiltà globali, che mira ad avviare l’attuazione dell’Iniziativa cinese per la civiltà globale. Come ha osservato Lavrov, l’Eurasia ospita molte grandi civiltà, ma ospita anche un gruppo di nazioni “immature” che chiaramente non sono pronte a diventare civili. Il commento conclusivo un po’ criptico di Lavrov, a mio parere, ci offre uno sguardo su ciò che gli sta frullando per la testa, dato che sono sicuro che sia a conoscenza dell’editoriale di Trenin e della sua tesi. E come ha anche detto Lavrov, “ci sono cose che non vengono commentate”. Per molti anni, Lavrov ha affermato direttamente che l’UE/NATO non vuole la pace, poiché il suo obiettivo dichiarato è sconfiggere la Russia. Vorrei ora ricordare ai lettori l’obiettivo politico principale dell’Impero fuorilegge statunitense, a cui non ha ancora rinunciato: il dominio a spettro completo. Ecco perché la NATO vuole espandersi nell’Oceano Pacifico occidentale. Ecco perché Taiwan è “ipocrita”. Ecco perché i sionisti sono stati insediati in Palestina. Sì, il progetto imperiale per stabilire un dominio totale ha poco più di 200 anni, ovvero quando il progetto sionista fu formulato in Europa. Il mio intento non è quello di raccontare di nuovo quegli oltre 200 anni di storia. Piuttosto, è quello di dichiarare la civiltà occidentale come incivile. Almeno l’87,5% della popolazione mondiale è pronta per le numerose iniziative globali della Cina, e fondamentalmente significano l’instaurazione della pace e dell’armonia affinché la civiltà globale possa continuare a svilupparsi. Solo le nazioni egemoni e parte della loro popolazione sono contrarie a tale aspirazione, e la domanda ovvia è: perché?

A mio parere, Lavrov e molti di noi sono stufi del SOSDD, la solita merda, un giorno diverso. Sappiamo abbastanza del passato per capire come siamo arrivati a questo punto, ma non abbiamo ancora trovato una via d’uscita dal caos che il passato ha causato. Beh, lasciatemelo riscrivere. Non abbiamo ancora trovato un modo per convincere quel 12,5% dell’umanità che deve cambiare i suoi comportamenti affinché l’umanità possa evolversi e progredire, che non sono eccezionali o prescelti, ma umani come tutti gli altri esseri umani. Sì, so che alcuni credono che sia un compito impossibile e che l’umanità sia destinata al fallimento e all’estinzione, tutto per qualche dollaro in più. Come conciliare chi vuole essere civilizzato con chi non lo vuole? Attualmente, la leadership dell’Impero Fuorilegge degli Stati Uniti è impegnata a isolarsi lentamente dalla Maggioranza Globale, pur cercando di raggiungere il suo obiettivo politico principale. Mi chiedo spesso come racconterebbe questa storia lo Zio Remus.

*
*IL TESTO INTEGRALE DELLA CONFERENZA STAMPA

11.07.2025. 14:55

Discorso e risposte alle domande del Ministro degli Affari Esteri della Federazione Russa Sergey Lavrov a seguito dell’incontro Russia-ASEAN e della riunione ministeriale del Vertice dell’Asia Orientale, Kuala Lumpur, 11 luglio 2025

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Buon pomeriggio!

Qui a Kuala Lumpur organizziamo eventi ASEAN. Sono annuali. Ora si tengono a livello ministeriale e in autunno ci saranno dei vertici. In totale esistono tre formati principali:

Partenariato di dialogo Russia-ASEAN. Ieri si è tenuta la riunione annuale dei ministri degli Esteri.

Il secondo formato è il Vertice dell’Asia orientale, che riunisce un’ampia gamma di Paesi, principalmente quelli che stanno sviluppando un partenariato di dialogo con l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico. Il vertice dell’Asia orientale è stato concepito per esaminare progetti di cooperazione pratica, connettività in campo economico, commerciale, dei trasporti e culturale.

Tutto questo si aggiunge agli eventi annuali dell’Asean che si tengono qui in Malesia. È simbolico che sia stato proprio in questo Paese che la Federazione Russa ha partecipato per la prima volta a tali incontri. Qui, per la prima volta, sono state gettate le basi del partenariato di dialogo Russia-ASEAN, che da allora ha raggiunto il livello di partenariato strategico. Ciò è sancito nei nostri documenti congiunti.

Quest’anno abbiamo valutato il rispetto degli impegni assunti su base reciproca durante le precedenti riunioni, compreso il vertice Russia-ASEAN nel 2016. Continua a essere il forum che stabilisce la direzione strategica della nostra cooperazione.

Stiamo preparando una valutazione dell’attuazione del Piano strategico di partenariato 2021-2025. In effetti, il piano è in fase di attuazione in tutte le sue componenti. Oggi abbiamo notato che i nostri rappresentanti speciali con sede presso il quartier generale dell’ASEAN a Giacarta stanno lavorando attivamente al quarto piano strategico. Speriamo che venga adottato entro la fine del 2025, idealmente al Vertice Russia-ASEAN previsto per ottobre 2025 nella capitale malese.

Per quanto riguarda la riunione dei Paesi partecipanti al Vertice dell’Asia orientale, che si è svolta oggi. È stata dedicata principalmente ai compiti di sviluppo di progetti pratici di cooperazione in vari settori. Siamo favorevoli a che questa sia la base per le attività dei Vertici dell’Asia orientale.

Purtroppo, i nostri colleghi occidentali che partecipano a questi eventi sono sempre più spesso sviati dalla politicizzazione, dall’ideologizzazione e dall’ucrainizzazione, che è evidente anche nelle discussioni di oggi, a scapito del potenziale che il Vertice dell’Asia orientale ha per raggiungere risultati pratici importanti per i nostri Paesi e cittadini.

Non è il primo anno che promuoviamo iniziative di risposta rapida alle minacce epidemiche. Sembra che il tema sia molto più urgente. L’abbiamo proposto già nel 2021 ed è stato approvato. Ma a causa della “postura” dell’Occidente, questa interazione non sta andando da nessuna parte. Nel 2023 abbiamo proposto di sviluppare l’interazione nel turismo, di promuovere il più possibile gli scambi turistici, in modo da trasmettere la connessione dei nostri Paesi a livello di società e cittadini. Il turismo si sta comunque sviluppando e gli incentivi che abbiamo proposto sono stati approvati per essere implementati nelle attività quotidiane. Ma finora è stato fatto poco.

Proposto di sviluppare la cooperazione per lo sviluppo dei territori remoti (anche questo è stato concordato). Nei grandi Paesi: in Russia, in Indonesia, in Malesia, in Cina e in altri Paesi, ci sono aree remote dove la civiltà è già arrivata, ma i benefici non si diffondono così attivamente come di solito avviene nelle megalopoli. Questo è un compito urgente per tutti. Confidiamo che in questo ambito si raggiungano risultati concreti.

Un’altra delle nostre iniziative nell’ambito della cooperazione umanitaria è quella di garantire la connettività culturale dei nostri Paesi. L’Eurasia è un continente enorme. È la culla di diverse grandi civiltà. Il patrimonio culturale di ciascuna di queste civiltà merita di essere arricchito reciprocamente. Spero che anche la nostra iniziativa si realizzi.

Negli incontri del Vertice dell’Asia orientale, il forum dell’ASEAN sulla sicurezza regionale, non mancano gli scambi di opinioni su problemi e questioni politiche. Oggi, tutti i membri dell’ASEAN e la maggior parte dei Paesi partner, compresa la Russia, hanno parlato con grande preoccupazione della tragedia in corso e che si sta addirittura aggravando nei territori palestinesi, dove, dopo la catastrofe umanitaria creata artificialmente nella Striscia di Gaza, stanno emergendo situazioni simili in un’altra parte dei territori palestinesi. Mi riferisco alla Cisgiordania, dove Israele continua la sua politica aggressiva di creazione di nuovi insediamenti in volumi crescenti e record. Presto non rimarrà più nulla dei territori in cui opera l’Autorità nazionale palestinese.

Oggi ho letto con sorpresa che esiste già un progetto per la creazione di un “Emirato di Hebron”. Questo è visto come il primo passo per far avanzare il concetto di formare un “Emirato Palestinese Unito” sulle terre palestinesi. Sembra una fantasia in questa fase, ma il fatto che tali idee stiano sempre più “affiorando” nello spazio pubblico indica i rischi emergenti che continuano ad aggravarsi sulle prospettive di creazione di uno Stato palestinese, come deciso dall’Assemblea generale e dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Si tratta di una grande sfida per la comunità internazionale.

Parlare dei problemi creati dall’attacco non provocato di Israele alla Repubblica Islamica dell’Iran, seguito dagli attacchi missilistici e dinamitardi degli Stati Uniti. Ciò viola il diritto internazionale, il Trattato di non proliferazione nucleare e i principi dell’AIEA, sotto la cui tutela si trovavano gli impianti nucleari attaccati.

Hanno chiesto che la tregua dichiarata continui senza interruzioni, che si cerchi di rettificare la situazione nonostante i danni e i pregiudizi al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari e alle salvaguardie dell’AIEA sulle strutture sotto il loro controllo, che si metta su un binario politico e che si risolvano tutti i problemi esclusivamente attraverso i negoziati. Questo è importante per garantire che non si ripeta il mancato rispetto degli strumenti fondamentali concepiti per garantire l’accesso all’uso pacifico dell’energia nucleare senza alcun tentativo o tentazione di possedere la tecnologia delle armi nucleari.

Abbiamo anche parlato della situazione in Myanmar, dove ci sono segnali di normalizzazione. Sosteniamo il processo intrapreso dalla leadership del Myanmar e il desiderio dell’ASEAN di contribuire a questa normalizzazione e di ripristinare pienamente la partecipazione del Myanmar all’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico.

Hanno sottolineato la necessità di evitare qualsiasi azione provocatoria nella penisola coreana, che purtroppo continua nei confronti della RPDC, anche attraverso il rafforzamento delle alleanze militari di Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone. Vengono condotte sempre più esercitazioni militari su larga scala, anche con una componente nucleare. Anche qui c’è un potenziale conflitto (serio). Faremo del nostro meglio per contribuire a garantire i diritti legittimi dei nostri alleati nordcoreani e per evitare provocazioni che potrebbero finire male.

I nostri amici cinesi hanno identificato le dispute sul Mar Cinese Meridionale come una delle questioni prioritarie nella regione. Sono fermamente convinti che questo problema debba essere risolto sulla base del Codice di condotta concluso tra Pechino e gli Stati membri dell’ASEAN. I negoziati proseguono su questa base. Riteniamo inaccettabile che una potenza extraregionale interferisca in questo processo”.

Anche il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha fatto ampio riferimento alla situazione intorno a Taiwan, sottolineando rigidamente l’inevitabilità di una soluzione definitiva del problema di Taiwan sulla base del concetto di uno Stato cinese unificato.

Abbiamo richiamato l’attenzione sulle parole di alcuni colleghi occidentali, già pronunciate in passato, secondo cui rispettano il principio di “una sola Cina”, ma che è impossibile cambiare lo “status quo”. Si tratta di ipocrisia, evidente a chiunque abbia un minimo di familiarità con la questione e con il modo in cui l’Occidente si sta comportando nei confronti di Taiwan. Lo “status quo” per l’Occidente è il rapporto con Taiwan come Stato indipendente. Pertanto, abbiamo ancora una volta confermato l’immutabilità del nostro approccio a sostegno della posizione di Pechino e la disponibilità della Russia ad assistere in ogni modo possibile la realizzazione di questa posizione.

Domanda: Lo scorso anno, il Presidente russo Vladimir Putin, in occasione di un incontro con i vertici del Ministero degli Esteri russo, ha parlato della necessità di una nuova architettura di sicurezza eurasiatica incentrata sul principio che “la sicurezza di alcuni Stati non può essere garantita a spese della sicurezza di altri”. Cosa pensano l’Asia in generale e l’ASEAN in particolare di questa idea, visto il continuo processo di militarizzazione della NATO?

S.V.Lavrov: In sostanza, l’iniziativa di formare un’architettura di sicurezza eurasiatica è uno sviluppo della precedente iniziativa del presidente russo Vladimir Putin, presentata al primo vertice Russia-ASEAN, di formare un Grande Partenariato Eurasiatico attraverso la creazione di legami, l’approfondimento di attività congiunte, progetti e programmi comuni tra le strutture di integrazione esistenti nel continente eurasiatico. Sono già stati stabiliti collegamenti tra i capi esecutivi e i segretariati dell’Unione Europea e della CIS, tra queste organizzazioni e la SCO, e tra tutte e i Paesi dell’ASEAN. Si tratta di un processo utile per armonizzare i piani e i progetti di integrazione, combinare gli sforzi ed evitare duplicazioni. Soprattutto perché i membri di queste formazioni di integrazione si sovrappongono e si intrecciano.

Promuoviamo il concetto di Grande Partenariato Eurasiatico con la consapevolezza che la discussione su questo tema e i negoziati sulle attività pratiche sono aperti a tutti i Paesi e alle strutture di integrazione situate nel continente eurasiatico. In particolare, vi sono buone prospettive di stabilire legami tra UESCOCIS, ASEAN e CCG. In Asia meridionale, ci sono gruppi di integrazione nella penisola dell’Asia meridionale. Esistono quindi molte strutture che possono utilmente occuparsi di migliorare l’interconnettività.

Questo processo (con la traduzione delle varie idee in azioni pratiche) crea una base materiale per le discussioni, per garantire la sicurezza in tutto il continente eurasiatico. Ho già toccato questo argomento molte volte nello sviluppo dell’iniziativa del Presidente Vladimir Putin. Anche in Africa e in America Latina esistono molte associazioni di integrazione subregionale. Ma anche lì esistono strutture continentali – l’Unione Africana, la Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi. Ma in Eurasia – la regione più grande, potente, ricca e in rapido sviluppo del mondo – non esiste una struttura continentale di questo tipo sotto forma di piattaforma di dialogo (senza necessariamente creare un’organizzazione).

Sappiamo bene che non si tratta di un processo rapido. Tutti i Paesi del continente invitati a partecipare a queste discussioni devono prima “maturare”. I nostri vicini europei, per la maggior parte, non sono ancora “maturi”, sognando chiaramente di diffondere la loro influenza attraverso l’Alleanza Nord Atlantica e le sue infrastrutture sull’intero continente eurasiatico in modo “neocoloniale”. Non esitano a dire che nelle condizioni attuali si tratta di un’alleanza difensiva e che il suo compito principale è quello di proteggere il territorio dei Paesi membri. Dicono che nelle condizioni attuali la minaccia all’integrità territoriale e alla sicurezza dei Paesi NATO proviene dalla “regione indo-pacifica” (come la chiamano loro), cioè direttamente dall’Oceano Pacifico. Vale a dire il Mar Cinese Meridionale, lo Stretto di Taiwan e altro ancora.

Nella nostra concezione della sicurezza eurasiatica e del Grande Partenariato Eurasiatico, uno dei principi fondamentali è il rispetto delle strutture istituite nelle varie sub-regioni, tra cui l’ASEAN, il cui ruolo centrale è svolto dall’Associazione come risultato del lavoro svolto da quasi 60 anni per riunire i Paesi interessati alla cooperazione sui principi di uguaglianza, apertura, inclusività. La nostra visione rispetta il ruolo dell’ASEAN e di altre formazioni simili. Ma quella promossa dalla NATO si basa sul presupposto che l’alleanza detterà a tutti come comportarsi, se l’ASEAN è necessaria. Tecnicamente, sì. Tutti i Paesi occidentali hanno partecipato oggi alla riunione del Vertice dell’Asia orientale, al Forum sulla sicurezza regionale dell’ASEAN.

Ma mentre si pronunciano belle parole, parallelamente (lo sapete) si creano “troike”, “quattro”, “quartetti” – AUKUS, USA-Bretagna-Australia – per realizzare il progetto di costruzione di sottomarini nucleari. Ho già menzionato i tentativi di inserire elementi nucleari nelle esercitazioni militari nel sud della penisola coreana. C’è l’Indo-Pacifico a quattro – Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda. Oltre a una serie di altre “troike” simili (QUAD-1, QUAD-2). Si sta cercando di coinvolgere i membri dell’ASEAN in queste formazioni, “staccandoli” dall’Associazione. Ne parliamo francamente con i nostri amici. Sono ben consapevoli della differenza tra un approccio in cui tutti sono invitati al tavolo per un dialogo paritario e lo sviluppo di posizioni di consenso che soddisfino gli interessi di tutti gli Stati e riflettano l’equilibrio di questi interessi, e un approccio in cui i nordatlantisti entrano nella regione e iniziano a “ordinare la musica” e a portare qui i loro ordini. Credo che questo non sia positivo per la causa.

Ci interessa che questi format, i forum che si svolgono qui ogni anno, contribuiscano a una migliore comprensione delle posizioni reciproche, in modo che tutti agiscano apertamente e non tengano “pietre” dietro la schiena o piani nascosti diretti contro qualcuno. Ma finora il processo si svolge su piani diversi. Sono convinto che il nostro approccio sia più promettente.

Domanda: Il vertice di Rio de Janeiro di pochi giorni fa ha dimostrato che, sullo sfondo delle sempre più dure azioni sanzionatorie di Washington, i BRICS stanno diventando un’alternativa credibile all’illegalità delle sanzioni. I Paesi dell’ASEAN sono “maturati” al punto da essere pronti, non a parole ma nei fatti, ad avviare una cooperazione più attiva con la Russia in particolare e con i BRICS in generale?

S.V.Lavrov: Penso che i Paesi dell’ASEAN siano interessati alla cooperazione con la Russia a prescindere da ciò che accade in Occidente e da ciò che gli Stati Uniti o i loro alleati fanno loro.

Non hanno questo atteggiamento del tipo “se l’Occidente non ci facesse pressione, non saremmo amici della Russia”. Non è affatto così. L’amicizia con la Russia è iniziata molto prima che l’attuale amministrazione statunitense iniziasse a imporre sanzioni sotto forma di dazi (che sono anche sanzioni). Non vedo alcuna ritorsione diretta nel modo in cui si stanno sviluppando le nostre relazioni con l’ASEAN e la cooperazione all’interno dei BRICS.

Ma se vi viene data la possibilità di scegliere se commerciare nel contesto di un’associazione in cui non vengono impiegati mezzi sleali per sopprimere i concorrenti, da un lato, e dall’altro commerciare con coloro che vi ricattano, allora la conclusione è evidente.

Domanda: Sulla base degli incontri tenuti al forum, quali conclusioni trarrebbe? I Paesi ASEAN sono pronti a resistere attivamente all’avanzata della NATO e ai suoi tentativi di prendere piede nella regione? I Paesi ASEAN hanno le risorse per rimanere garanti della sicurezza nella regione, soprattutto alla luce dei pesanti dazi imposti dal Presidente americano Trump a molti Paesi membri dell’ASEAN?

S.V. Lavrov: Ho appena parlato in dettaglio della nostra visione delle azioni che la NATO sta intraprendendo qui, cercando di infiltrarsi, di introdurre le sue infrastrutture, di prendere piede. Non ho dubbi che i Paesi dell’ASEAN capiscano di cosa stiamo parlando e si rendano conto che viene loro proposto di rimanere formalmente membri dell’ASEAN e allo stesso tempo di aderire a strutture non inclusive, simili a blocchi, che mirano fondamentalmente a creare una sorta di “fronte politico e diplomatico” per contenere innanzitutto la Cina (non è nascosto) e allo stesso tempo la Federazione Russa.

Non voglio decidere per loro, è una loro scelta sovrana. La prenderemo come tale. Ma non ho dubbi che preservare l’unità dell’ASEAN e il suo ruolo centrale nella definizione dei meccanismi, dei formati e dell’architettura della cooperazione nel Sud-Est asiatico sia nell’interesse di tutti. Procediamo da questo punto.

Domanda: Ieri il Segretario di Stato americano M. Rubio ha detto, dopo i colloqui con lei, che è stato discusso un certo nuovo “piano per l’Ucraina”. Quali parti hanno proposto questi nuovi approcci, quali sono, qual è la loro differenza fondamentale rispetto a quelli precedenti? Anche le forniture di armi americane fanno parte dei piani? Se ne è parlato?

S.V.Lavrov: Vorrei rispondere con le parole del Presidente degli Stati Uniti D.Trump: “Ve lo dico io. Aspettatevi grandi sorprese”.

Non so se ci siano “grandi sorprese”. Ma lei stesso si rende conto, conoscendo l’attività diplomatica, che spesso ci accompagna, che ci sono cose che non vengono commentate. Sì, abbiamo discusso dell’Ucraina e ribadito la posizione che il presidente russo Vladimir Putin ha espresso, anche il 3 luglio di quest’anno nel suo colloquio con il presidente Trump.

Che dire di questo “dialogo”, “fuga di notizie”, “registrazione” (rete neurale o no, non lo so) sul bombardamento di Mosca e Pechino, abbiamo discusso di cose serie.

Domanda: Nell’incontro con M. Rubio si è parlato di armi strategiche offensive? C’è un’intesa sul futuro dello START-3, che scade l’anno prossimo?

S.V.Lavrov: Non se ne è parlato.

Domanda: Recentemente, il Cancelliere tedesco Merz ha affermato che i mezzi diplomatici per risolvere il conflitto in Ucraina sono stati esauriti. Da un lato, vorrei chiederle, in qualità di capo del Ministero degli Esteri russo, una reazione ufficiale. Dall’altro, in qualità di diplomatico professionista esperto, vorrei chiederle se queste azioni della Germania rientrano nell'”armamentario” diplomatico. Appartengono alla sfera di lavoro diplomatica?

S.V. Lavrov: Buona domanda.

Ci preoccupa. Perché le recenti dichiarazioni e azioni di Berlino, Parigi e Londra dimostrano che l’attuale classe politica salita al potere in questi e in molti altri Paesi ha dimenticato le lezioni della storia, le conclusioni che tutta l’umanità ha imparato da esse, e, in linea di massima, sta cercando di “risollevare” nuovamente l’Europa per una guerra (non una guerra ibrida) contro la Russia.

In una conferenza stampa del ministro degli Esteri francese J.N.Barrot, che era seduto sul palco insieme ad altri partecipanti a un evento di scienze politiche, gli è stato chiesto dal pubblico da un francese che era stato spesso nel Donbas perché Parigi sostiene attivamente il regime nazista che è già stato riportato in vita in Ucraina. Si è visto come il ministro J.N.-Barraud è scattato, gridando in tono isterico che stavano difendendo l’integrità territoriale dell’Ucraina e il diritto internazionale. Ha spezzato l’applauso di una parte della sala. Ma dopo tutto quello che si sa sulle azioni del regime di Kiev, sul perché ha bisogno dell’integrità territoriale… E ne ha bisogno per sopprimere tutti i diritti della popolazione russa, russofona, e per distruggere fisicamente coloro che non sono d’accordo con la posizione di Kiev dopo il colpo di Stato.

Ieri il Segretario di Stato americano M. Rubio ha ricevuto una piccola “strizzata” di citazioni da parte di V.A. Zelensky, del Primo Ministro ucraino D.A. Shmygal, del capo dell’ufficio del Presidente ucraino A.B. Yermak e di Y.I. Podolyaka, che affermano direttamente la necessità di distruggere legalmente i “russi”, o meglio ancora fisicamente. Quando J.-N.Barro e quelli come lui dichiarano di non voler vedere altro che l’integrità territoriale dell’Ucraina, si tratta di un’autodenuncia.

Che dire del cancelliere della RFT F. Merz. Ha ripetutamente detto cose “divertenti”. Tra cui il fatto che il suo obiettivo principale era quello di far tornare la Germania la prima potenza militare in Europa. Non ha nemmeno soffocato la parola “di nuovo”. Ha anche detto che Israele “lavora” in Iran, che fa il “lavoro sporco” per noi. Questa è una citazione dei “maestri” dei campi di concentramento. Quando preferivano utilizzare i collaboratori per lo sterminio degli ebrei, per non sporcarsi le mani in prima persona, rendendosi conto che si trattava di un “lavoro sporco”.

Se il Cancelliere F. Merz pensa che le possibilità pacifiche siano state esaurite, esaurite, allora ha finalmente deciso di dedicarsi completamente alla militarizzazione della Germania a spese del suo popolo per poi “oziare” di nuovo con slogan nazisti per respingere le “minacce della Russia”. È un’assurdità assoluta. Spero che qualsiasi politico sano di mente se ne renda conto.

Il Presidente russo Vladimir Putin ha ripetuto più volte che questa assurdità viene utilizzata per tenere in riga la popolazione e impedire che scoppino proteste, che inevitabilmente causano il deterioramento della situazione socio-economica, la stagnazione vista in Europa. Tutto questo a spese delle centinaia di miliardi che sono stati convogliati e vengono nuovamente convogliati in Ucraina.

Mi sono imbattuto in questa citazione. Era interessante la percezione che l’Europa aveva della Germania di un tempo. Si trattava di una citazione del quotidiano svedese Aftonbladet del 22 giugno 1941. L’articolo di testa: “La Germania ha spezzato le sue catene e con rinnovato vigore si è avviata verso la libertà per adempiere alla sua missione europea e storicamente significativa: schiacciare il ‘regime rosso’ che minaccia l’essenza stessa della libertà”. Cioè, hanno cantato i nazisti come simbolo di libertà. Se l’Europa sta tornando a questo… Che dire? È triste.

Teniamone conto in tutte le aree della nostra pianificazione.


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Rubio afferma che la Russia ha subito 100.000 morti in sei mesi, il numero delle vittime ucraine rimane “vago”_di Simplicius

Rubio sostiene che la Russia ha subito 100.000 morti in sei mesi, mentre il numero delle vittime ucraine rimane “vago”.

Simplicius 12 luglio
 
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Il tema delle vittime è uno di quelli che periodicamente rivisitiamo quando è necessario. Ora è un momento del genere, poiché Marco Rubio ha fatto l’assurda affermazione – coordinata con gli organi di stampa – che l’esercito russo ha subito ben 100.000 morti solo da gennaio di quest’anno; solo morti, non anche perdite totali:

Questo è stato immediatamente supportato da nuovi articoli, come il seguente dell’Economist, che sostiene che la Russia sta vivendo il suo anno più letale sul fronte, con oltre 30.000 morti solo negli ultimi due mesi:

https://www.economist.com/interactive/graphic-detail/2025/07/09/russias-summer-ukraine-offensive-looks-like-its-deliest-so-far

L’articolo qui sopra è un esempio particolarmente eclatante. Basta dare un’occhiata alla loro metodologia, o alla sua mancanza. Questo piccolo estratto costituisce l’entità della loro premessa “scientifica” sulle perdite russe:

Non esiste un conteggio ufficiale delle perdite da entrambe le parti. Ma il nostro tracker di guerra quotidiano offre alcuni indizi. I nostri dati satellitari e gli spostamenti nelle aree di controllo suggeriscono quando i combattimenti si stanno intensificando. Ciò si allinea bene con più di 200 stime credibili di vittime da parte di governi occidentali e ricercatori indipendenti. Combinando questi dati possiamo, per la prima volta, fornire un tributo giornaliero credibile di vittime – o una stima delle stime.

In breve, sostengono che i dati satellitari li mettono in guardia sui luoghi in cui i combattimenti si “intensificano”, e da ciò deducono, con un incredibile salto di logica, che le forze russe stanno subendo perdite massicce. La cosa sconcertante è che questa facile metodologia dovrebbe applicarsi anche all’AFU in parallelo, ma quando si tratta delle perdite dell’Ucraina, lo staff dell’Economist non ha nemmeno un briciolo di curiosità:

Leggete di nuovo: i dati satellitari che mostrano “intensi combattimenti” indicano intrinsecamente le perdite russe semplicemente partendo dal presupposto che qualsiasi combattimento, come regola generale, comporta perdite russe ma non ucraine. Si tratta di un livello di analisi incredibilmente infantile, parziale e, a dirla tutta, fraudolento.

Ricordiamo questa precedente rivelazione, che è tutto ciò che dobbiamo sapere sull’igiene informativa dell’Occidente:

Queste pubblicazioni sostengono di avere una sintonia così “sensibile” con le fluttuazioni del campo di battaglia da fornire cifre esatte sulla Russia, ma quando si tratta dell’Ucraina, improvvisamente mancano di dati.

Il fatto è che c’è una ragione per cui MediaZona ha cambiato bruscamente la sua metodologia includendo i morti “previsti” piuttosto che quelli realmente contati, come fatto in precedenza: perché, contrariamente a questa campagna di propaganda coordinata, le perdite russe sono state in realtà le più basse da molto tempo a questa parte. È proprio questo il motivo per cui era necessaria una campagna così orchestrata: L’Ucraina sta perdendo malamente e l’unico aspetto della guerra che i propagandisti potrebbero utilizzare per cercare di far girare la narrazione sono i dati sulle vittime, perché sono tipicamente i più “soggettivi” e ambigui in natura, il che li rende perfetti per una manipolazione subdola.

Attualmente, MediaZona indica il numero totale di vittime russe a circa 117.000 all’inizio di luglio:

Se si evidenzia solo il periodo dal 1° gennaio a oggi, si ottengono 9.849 morti confermate:

https://en.zona.media/article/2025/07/04/casualties_eng-trl

Puoi farlo tu stesso al sito ufficiale per confermare.

Questo significa che nei primi sei mesi di quest’anno hanno registrato appena 9.849 morti russi, pari a 1.641 al mese. Le pubblicazioni occidentali e ucraine, invece, affermano che la Russia sta subendo un numero di morti pari a al giorno. La discrepanza dimostra un distacco dalla realtà senza precedenti.

Sappiamo che MediaZona ha un “ritardo” perché ci vuole tempo per confermare le morti più recenti, e quindi il numero probabilmente aumenterà, ma probabilmente non di una quantità smodata. Non c’è alcuna prova che la Russia stia subendo perdite simili a quelle dichiarate dall’Occidente. In effetti, qualcuno ha fatto una buona osservazione: dal momento che l’Ucraina sostiene che il 70-90% delle uccisioni di soldati russi avviene tramite droni, dovrebbe essere in grado di mostrare tutte queste vaste perdite tramite le registrazioni delle telecamere dei droni; eppure non c’è nulla – e sappiamo che l’AFU adora niente di più che mostrare i suoi “successi”.

In un articolo di due mesi fa, avevo evidenziato la cronologia della crescita dell’esercito russo da fonti ucraine. La cronologia era la seguente:

  • 2023: Bloomberg annuncia che le truppe russe sono 420.000.
  • 2024: il capo dell’intelligence militare ucraina dichiara all’Economist che il numero è salito a 514.000.
  • Inizio 2025: Erano 600.000.

E cosa abbiamo ora, a metà del 2025? Direttamente dalla bocca di Zelensky:

Quindi, per ribadire e semplificare:

400k truppe nel 2023, 500k nel 2024, 600k all’inizio del 2025 e già 700k a metà del 2025.

Tutto ciò proviene da fonti ucraine, i cui originali si trovano nel mio precedente articolo qui.

Come può la Russia soffrire di 100.000 morti in soli sei mesi – come dice Rubio – mentre ne sta letteralmente guadagnando oltre 100.000 all’anno?

Per far sì che la Russia subisca 100.000 morti in sei mesi – annualmente 200.000 all’anno – e guadagni comunque più di 100.000 uomini all’anno, il reclutamento russo dovrebbe essere sbalorditivo, dato il ricambio dei contratti che abbiamo descritto in precedenza. È difficile immaginare che le persone si arruolino volentieri sotto la nube oscura di tali perdite, mentre in Ucraina – che subisce “molte meno perdite” – le persone vengono rapite con la forza dalle strade e ammassate in furgoni come bestiame.

È strano che siano i cimiteri ucraini a continuare a riempirsi tristemente, piuttosto che quelli russi, e che l’anno scorso il rapporto tra scambi di cadaveri sia balzato a cifre talmente astronomiche da essere fuori scala:

Qualunque giornalista onesto si accapponerebbe la pelle di fronte a tali incongruenze nei dati, ma ahimè questa specie è comune quanto un emù a tre zampe.

Per dare uno sguardo recente alle perdite russe durante gli assalti attivi, ecco un post onesto di fonti militari russe su un insediamento che è stato catturato. Scrivono di aver subito quattro “200” durante l’operazione:

Ci sono molti assalti di questo tipo al giorno, quindi si possono moltiplicare i quattro per la quantità giornaliera per ottenere un conteggio ragionevole, ma certamente non sono centinaia, tanto meno migliaia.

La Neue Zürcher Zeitung ha un nuovo articolo in cui spiega che l’Ucraina ha solo due opzioni per evitare il collasso:

https://www.nzz.ch/pro/jetzt-geht-der-kreml-aufs-ganze-ld.1892551

Ora il Cremlino si sta dando da fare.

Il piano operativo russo mira a fare a pezzi le forze di terra ucraine. Lo stato maggiore di Kiev ha ancora due opzioni per evitare una svolta.

Si comincia con il notare che Putin stesso ha illustrato la strategia in un recente forum:

“Hanno già troppo pochi effettivi”, ha analizzato Putin, “e stanno ritirando le loro forze lì, che sono già carenti nei teatri decisivi di conflitto armato”. Putin fa pochi sforzi per nascondere le sue intenzioni operative: lo Stato Maggiore russo vuole fare a pezzi l’esercito ucraino – per poi tentare uno sfondamento in un punto opportuno.

Poi rivelano le due opzioni che l’Ucraina ha di fronte, che annoterò:

Sirski, d’altra parte, ha ancora due opzioni di base per salvare l’Ucraina da una sconfitta militare nell’attuale situazione:

1. Ritardo: L’obiettivo è quello di perdere meno terreno possibile durante l’offensiva estiva russa e di evitare l’accerchiamento delle unità di truppe più grandi. In autunno si potrebbe consolidare il fronte e creare un punto di partenza per i negoziati. Al momento, Kiev sembra perseguire questa strada, nella speranza che gli Stati Uniti riprendano gli aiuti militari.

In questo caso, ammettono che la migliore possibilità per l’Ucraina è semplicemente quella di temporeggiare fino a quando non sarà possibile “negoziare”; ma sappiamo che la Russia non ha alcun incentivo a fare una cosa del genere, a meno che non vi pieghiate alle false cifre delle perdite russe e crediate che la Russia sia “all’ultimo grido”, come dicono Strelkov e il resto del clan dei doomer.

La loro seconda opzione è quella di ritirarsi sulla nuova linea difensiva che, secondo quanto riferito, è in costruzione a poche decine di chilometri dietro l’attuale LOC:

2. ritiro operativo: Le forze di terra ucraine potrebbero ritirarsi gradualmente dal fronte e assumere nuove posizioni protette da ostacoli naturali e artificiali. L’obiettivo è quello di evitare una capitolazione e di mantenere l’esercito a protezione della sovranità anche in caso di esito sfavorevole dei negoziati. Un’indicazione del fatto che questa opzione viene esaminata è la costruzione di una linea di fortificazione ucraina 20 chilometri dietro il fronte dalla zona di Kharkiv a Zaporizhia, nel sud-ovest dell’Ucraina.

Non ci sono forze sufficienti per una sorpresa in qualsiasi punto del fronte, e le punture di spillo nelle profondità dell’area russa difficilmente avranno effetto se non nell’area di informazione. Agli ucraini mancano aerei da combattimento come l’F-35 per ottenere una superiorità aerea almeno parziale. Inoltre, le munizioni per l’artiglieria missilistica Himars, i missili guidati Taurus, i rifornimenti per la difesa aerea – la lista è ben nota nelle capitali occidentali.

L’Europa è partita per le vacanze estive e Trump sta almeno considerando di inviare nuovamente armi difensive all’Ucraina. Ma il rischio di uno sfondamento russo cresce. Se si apre un varco da qualche parte, le forze di occupazione possono improvvisamente manovrare e utilizzare le teste di ponte di Sumi e Charkiv per operazioni su larga scala. Sirski si trovò quindi gradualmente a corto di opzioni.

Tuttavia, la decisione di passare dal ritardo al ritiro operativo in tempo utile non spetta al capo dell’esercito, ma al presidente Volodimir Zelensky a Kiev e al suo dilemma: tra la necessità militare e il principio politico di sperare che gli alleati occidentali mantengano le loro grandi parole. Nel frattempo, il Cremlino si sta impegnando a fondo – politicamente e militarmente.

Ma a cosa servirebbe? Proprio come la natura intrinsecamente insensata della prima opzione, la seconda difficilmente farebbe riflettere la Russia. Sappiamo che l’Ucraina si affida alle pubbliche relazioni per mantenere la continuità e le cifre delle vittime sono un aspetto che può essere abilmente nascosto, mentre i cambiamenti territoriali non possono. Ciò significa che il capo degli organetti, Zelensky, preferirebbe continuare tranquillamente a far fuori migliaia di uomini, fingendo una “forte resistenza” e fingendo che la Russia “non stia facendo progressi”. Se un improvviso sfondamento su larga scala inghiottisse un pezzo di territorio ucraino, il sostegno dell’Occidente crollerebbe di notte, perché l’Ucraina sarebbe considerata un caso morto.

Infine, in previsione del presunto “grande annuncio” di Trump di lunedì, diverse testate giornalistiche riportano che Trump si sta preparando a lanciare un embargo petrolifero globale senza precedenti contro la Russia:

https://www.thetimes.com/world/russia-ukraine-war/article/trump-global-oil-embargo-russia-r2pg8kw6t

Descrive un piano fantasiosamente irrealistico per incatenare qualsiasi paese del mondo che acquisti petrolio o uranio dalla Russia con una massiccia tariffa del 500%. Le possibilità che passi sono risibili, perché distruggerebbe le economie degli Stati Uniti e dei suoi alleati, piuttosto che danneggiare la Russia.

I battibecchi sul “controllo” di cui si è parlato l’ultima volta tornano a galla:

I senatori si sono detti disposti a concedere a Trump il potere di rinunciare alle tariffe per un massimo di 180 giorni, a patto che ci sia una supervisione del Congresso. La Casa Bianca, tuttavia, insiste sul fatto che il Congresso non dovrebbe avere il potere di intervenire se il Presidente decidesse di porre fine alle sanzioni.

Maximilian Hess, ricercatore presso l’Istituto di ricerca sulla politica estera, ha previsto che Trump si opporrà alla tariffa del 500% prevista dal disegno di legge, che equivarrebbe a un embargo globale sul petrolio russo.

Hess spiega:

“Così com’è scritto, a mio avviso è troppo forte per essere usato, a meno che Trump non esca allo scoperto e dica: ‘Dobbiamo affrontare il rischio che la Russia rappresenta per l’Europa e per il mondo e dobbiamo accettare prezzi del petrolio più vicini ai 100 dollari o forse anche più alti'”, ha detto. “Cosa che non vedo fare a Trump”.

La ragione per cui Trump vuole un tale controllo è che sta semplicemente usando la minaccia di queste risibili ‘sanzioni’ per cercare di spaventare Putin e indurlo a fare concessioni, e vuole avere la possibilità di ritirarsi immediatamente, in stile TACO, non appena gli si ritorce contro. Il segmento neocon del Congresso – Graham, Blumenthal e altri – vuole subdolamente “infornare” le sanzioni avendo potere su di esse, in modo che Trump sia costretto a un grande confronto con la Russia; ovviamente, le talpe dello Stato profondo che si muovono a ruota libera nel Congresso non possono permettere un riavvicinamento USA-Russia e devono creare spaccature a tutti i costi.

È anche il motivo per cui di recente hanno fatto “trapelare” l’audio delle sue minacce di bombardare Mosca in un momento opportuno: stanno facendo tutto ciò che è in loro potere per agitare le acque e alimentare le fiamme della narrativa del confronto per spingere Trump a un’escalation contro Mosca.

La grande domanda è: Trump ha la spina dorsale per mantenere il corso?

Ultimamente:

L’Ucraina riferisce che la Russia ha accumulato un numero record di missili: 2000 in totale:

Proprio mentre parliamo, è in corso un altro grande attacco contro l’Ucraina, con centinaia di droni e alcune decine di missili, come al solito non contrastato:

Mi chiedo quando arriveranno i Patriot.


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Il diavolo veste Prada (Il viaggio della donna millenaria)_di Morgoth

Il diavolo veste Prada (Il viaggio della donna millenaria)

Scrive anche sceneggiature…

Morgoth

10 luglio 2025

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Avevo evitato di guardareIl diavolo veste Pradaper quasi vent’anni perché sapevo implicitamente che un “film per ragazze” ambientato a New York e che aveva a che fare con la moda non aveva me come target. Avevo debitamente ricambiato questo sentimento fino ad oggi, quando, per fattori al di fuori del mio controllo, sono stata costretta a vederlo.

Il diavolo veste Pradaè stato diretto da David Frankel, basato su un romanzo di Lauren Weisberger, prodotto da Wendy Finerman e sceneggiato da Aline Brosh McKenna. Dato che la protagonista si chiama Andrea Sachs (interpretata da Anne Hathaway), si potrebbe dedurre che stiamo assistendo a uno sguardo all’interno dell’industria della moda e del giornalismo di New York, o forse solo dell’alta società newyorkese in generale.

La storia inizia quando Sachs, aspirante giornalista, trova lavoro presso la lucrosa e altissima rivista di modaRunway.Forse l’elemento più iconico deIl diavolo veste Pradaè l’interpretazione di Meryl Streep nel ruolo della tirannica direttrice della rivista, Miranda Priestly. Il personaggio della regina del pugno di ferro della Streep è basato sulla vita reale della direttrice diVogueAnna Wintour. Il personaggio della Sachs di Hathaway, un po’ goffo, è cinico nei confronti della pretenziosità dell’industria della moda. Tuttavia, scopre rapidamente che per ottenere il posto di lavoro dovrà sottomettersi completamente alle richieste dittatoriali e spesso scostanti di Priestly.

In una scena che potrebbe essere usata come un perfetto esempio di teoria dell’élite nella pratica, Priestly dissipa il cinismo di Sachs che crede di essere al di sopra e al di là dei capricci e delle pretese dell’industria della moda, spiegandole che il maglione scadente che indossa ha il suo colore (ceruleo) perché è un’imitazione di un’imitazione di ciò che andava di moda a Milano qualche anno fa. Possiamo illuderci di avere il libero arbitrio, ma le scelte che ci vengono poste davanti sono dovute a persone come la stessa Priestly, non a nozioni idealistiche sull’individualità (su cui torneremo più avanti).

Nel film compare anche Emily Blunt nel ruolo di Emily, collega e rivale di Sachs. Infatti, il nome “Emily” viene dato a tutte le giovani donne che entrano a far parte dell’ufficio diRunwaycome un modo per sminuirle e far capire loro che sono tutte sostituibili. Il personaggio di Anne Hathaway è semplicemente la “nuova Emily”.

La trama diIl Il diavolo veste Pradaprevede che la Sachs debba superare le acerbità e le richieste della Priestly, perdendo così la sua individualità nella ricerca del successo. Sostituisce il suo abbigliamento cupo con scarpe Jimmy Choo e Chanel, si gode lo champagne e il prestigio della scena mondana di New York e vince contro Emily Blunt. Riesce persino ad assicurarsi unHarry Potterper i figli di Priestly prima che il libro venga pubblicato. Nonostante viva solo di un cubetto di formaggio al giorno per prepararsi al prestigioso viaggio annuale a Parigi, Emily viene messa da parte e Sachs viene scelto al posto suo.

Time Bandits,Technology and Evil

Banditi del tempo, tecnologia e male

Morgoth

11 feb

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Tuttavia, il successo ha un prezzo, e più la carriera di Sachs avanza, più lei brucia le sue relazioni, più la sua carriera è rosea. Pertanto, il titolo del film potrebbe essere interpretato come un messaggio che indica che per salire la scala aziendale è necessario vendere la propria anima. La Sachs si allontana dagli amici, rompe con il fidanzato, ferisce il padre e si cala nel ruolo di Emily nuova e migliorata, finché Priestly non la convalida degnandosi di usare il suo vero nome, Andrea.

Dopo essere stata a letto con un magnate dell’editoria in una Parigi assurdamente romantica, la Sachs ritrova il suo cammino verso il vero sé quando si rende conto della natura dell’industria spietata in cui è coinvolta.

Il viaggio della donna millennial

Dato che non sono né una donna né una millennial, non sono mai stata a New York e non ho alcuna conoscenza della moda, sapevo che sarei stata molto estranea al mondo presentato in questo libro.Il diavolo veste Prada. Ancora più confuso è il fatto che non ho idea di cosa voglia il filmvuoleche io pensi a questo mondo o alle donne che lo abitano. L’ambiente ad alta pressione diRunwaysta danneggiando tutte e tre le donne nelle loro vite e relazioni personali.

L’identità di Emily dipende interamente da Miranda, come se fosse un pesce ago che si aggira intorno alla bocca di uno squalo. Sembra che non abbia un uomo nella sua vita, non abbia amici e non abbia una famiglia.

Miranda ha affidato l’educazione delle sue due bambine gemelle alla nonna ed è sull’orlo di un altro divorzio. Si lamenta del fatto che le sue bambine hanno avuto una serie di figure paterne che si sono avvicendate, e l’ultima sta per andarsene perché il suo carico di lavoro rende impossibile l’esistenza di una famiglia normale.

L’intero arco narrativo di Andrea Sachs, protagonista del film, è quello di una costante alienazione del fidanzato, della famiglia e degli amici, mentre insegue opportunità di carriera e perde la sua identità, scambiandola con una superficiale radicata nello status.

Tutto questo per dire che,Il diavolo veste Pradaè un film che dice al suo pubblico di (allora) giovani donne millennial che fare carriera distruggerà le loro speranze di avere una vita familiare soddisfacente – un sentimento sorprendentemente reazionario, data l’ambientazione e il team di produzione del film.

Whatever Happened To The Midlife Crisis?

Che fine ha fatto la crisi di mezza età?

Morgoth

16 novembre 2023

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Mentre lo guardavo, ho iniziato a chiedermi come gli sceneggiatori si sarebbero tirati fuori da quella che poteva essere vista come una trappola creata da loro stessi, o forse il momento catartico alla fine avrebbe visto il personaggio della Sachs di Hathaway seduto su un portico a leggere al suo bambino, con un altro pancione visibile nella sua pancia ben tonica. Stavo forse assistendo a una cruda diatriba antifemminista? No. Gli sceneggiatori avevano previsto il rischio e si erano concessi l’equivalente di una polizza assicurativa per la trama.

Una regola comune nella narrazione e nella creazione di storie è nota come “pistola di Cechov” e segue il ragionamento di Cechov secondo cui:

Se nel primo atto avete appeso una pistola al muro, allora nel successivo dovrà sparare. Altrimenti, non mettetela lì.

Un esempio di Chekhov’s Gun è rappresentato dalle bombole pressurizzate per le immersioni subacquee inJaws. Gli sceneggiatori segnalano i contenitori all’inizio del film, assicurandosi che il pubblico li ricordi. Il problema che gli sceneggiatori si trovano ad affrontare è che sanno che più avanti nel film lo squalo divorerà la barca, e deve esserci qualcosa a bordo che permetta di sconfiggere lo squalo, incorporando al contempo un senso di catarsi.

InIl diavolo veste PradaLa pistola di Cechov non è un oggetto ma una mentalità. Fin dall’inizio era chiaro al pubblico che la vera ambizione della nostra protagonista era quella di lavorare come scrittrice o giornalista, non come corpo di cane nell’industria della moda. Quindi, la via d’uscita per il team di produzione, che ha permesso di allontanarsi dalle critiche al femminismo, è stata “inserita” fin dall’inizio.

Il film si conclude con Miranda che appoggia Andrea per un lavoro presso un importante giornale di New York. Tuttavia, dato tutto quello che abbiamo visto finora sulla pesantezza dell’anima di una carriera aziendale, non c’è motivo di supporre che la vita familiare di Andrea Sachs migliorerà in qualche modo. Inoltre, torna dal suo fidanzato dopo averlo cornificato a Parigi con un magnate, e lui la riprende volentieri perché lei non gliene parla.

Le narrazioni romanzesche incentrate sulle donne spesso diventano strane inversioni del Viaggio dell’Eroe. Il personaggio di Hathaway non ha accettato con riluttanza il richiamo all’avventura; ha insistito per entrare a far parte diRunwaycontro il parere della sua famiglia e dei suoi amici e, dopo aver varcato la soglia, si è alienata questi alleati. Tuttavia, il mondo della moda aziendale costituisce un discreto mondo alieno e lei deve affrontare delle prove. La sua versione del confronto finale consisteva nell’andare a letto con un multimilionario in un prestigioso hotel parigino o nel salvare il posto di lavoro di Miranda (l’antagonista), a seconda di come la si guardi. Il suo ritorno/resurrezione è stato quello di tornare esattamente com’era all’inizio del film, ma in un luogo di lavoro diverso. Tutte e tre le donne sono esattamente dov’erano all’inizio del film.

Il diavolo veste Pradaè un film che si rivolge alle donne millenarie che avevano vent’anni quando è uscito. Anne Hathaway aveva 24 anni, mentre Emily Blunt ne aveva 23. Il film finge di essere loro amico, riconoscendo che l’ufficio è una faticaccia umiliante, che la carriera può mettere a dura prova i rapporti personali e che, sì, può essere necessario adottare un personaggio falso per sopravvivere. Ma non ci sono vie di fuga: il meglio che le giovani donne possono fare è trovare una nicchia che non disprezzino.

Nella teoria generazionale di Strauss e Howe, ai millennial viene assegnato l’archetipo di “Eroe”, simile alla generazione della Seconda Guerra Mondiale. Sono gli strenui difensori di un sistema durante un grande disfacimento. Sono stoici e senza dubbi, affrontano una calamità dopo l’altra. Nonostante le mie riserve sulla teoria generazionale, ho una certa simpatia per questa prospettiva.

Tuttavia, non si può fare a meno di tornare al famoso monologo di Miranda sul maglione ceruleo.

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L’essenza del monologo di Miranda è che l’agenzia umana è essenzialmente una fantasia rassicurante; ciò che esiste realmente sono le persone che prendono decisioni e progettano una serie di scelte che si ripercuotono sul pubblico. Per la maggior parte delle persone, l’agenzia umana è una scelta tra opzioni preselezionate e organizzate da un’élite. Andrea crede di essere al di fuori, e al di sopra, delle finzioni superficiali e materialistiche su cui l’industria della moda è ossessionata, e Miranda spiega perché non lo sia.

Ma non si potrebbe fare lo stesso ragionamento anche per la stessa Hollywood?Il diavolo veste Pradaera un prodotto venduto a giovani donne e, pur simpatizzando con loro, alla fine insisteva perché indossassero tutte il maglione blu ceruleo. Le scelte che il film mette a disposizione sono o un tedio insensato e schiacciante, o la stessa cosa con meno intensità.

Eppure non si può fare a meno di chiedersi se gli sceneggiatori fossero consapevoli di questo meta-gioco, e che forse il diavolo non stava solo indossando Prada, ma stava plasmando le ambizioni di una generazione di donne.


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Riflessioni sullo stato delle cose

In breve. Oppure, in difesa della sfumatura. Di Aurelien

In breve.

Oppure, in difesa della sfumatura.

Aurélien9 luglio
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Come tutti coloro che scrivono online, lo faccio perché spero di essere letto. Più di questo, spero che chi legge ciò che scrivo ne tragga qualche beneficio, o anche solo un po’ di svago, o almeno ne sia coinvolto e stimolato a riflettere. Non scrivo per far arrabbiare la gente (ce n’è già abbastanza) e non scrivo per farmi amare o odiare (ce n’è anche una quantità sorprendente). Ma mi sono interessato quando ho iniziato a capire se fosse possibile scrivere saggi relativamente lunghi su argomenti difficili e far sì che le persone li leggano e si interessino. Con mia sorpresa e grande piacere, la risposta sembra essere sì, a giudicare dal numero di abbonati in costante aumento nei tre anni di attività di questa serie di saggi. Inizio il saggio di questa settimana in questo modo per sottolineare quanto sia gratificante vedere qui, come in molti altri luoghi, qualche traccia di volontà di investire un po’ di tempo e riflessione nella lettura di qualcosa di più lungo di un paragrafo.

Perché? Perché è ormai opinione diffusa che nessuno legga più libri, che la capacità di attenzione si stia riducendo sempre di più, che gli articoli online siano sempre più brevi e che presto tutto sarà ridotto a frammenti sonori. Ci sono parecchie prove aneddotiche a riguardo: non ricordo l’ultima volta che ho visto qualcuno leggere un libro su un treno o su un aereo, per esempio, anche se non è raro vedere intere famiglie che viaggiano insieme o al ristorante, ognuna intenta a scorrere il proprio smartphone senza scambiare una parola. Le affermazioni secondo cui i giovani sono ormai incapaci di prestare attenzione in modo costante ai testi sono in gran parte vere nella mia esperienza personale: persino gli studenti delle università d’élite raramente hanno effettivamente letto libri e la loro conoscenza si acquisisce in gran parte di seconda e terza mano, dai riassunti e, sempre più spesso, dai corsi di laurea magistrale. Tutto ciò è deprimente perché suggerisce che ci stiamo muovendo verso una cultura post-alfabetizzata e rafforza le preoccupazioni che ho espresso di recente circa la capacità in declino di vedere gli argomenti in tutta la loro complessità e la trasformazione delle posizioni politiche in cori da stadio.

Eppure, ci sono segnali che la situazione stia cambiando, o almeno che ci stia ripensando, e che coloro che prevedevano la fine di qualsiasi cosa richiedesse più di trenta secondi per essere letta si sbagliavano, come al solito, nel dare per scontato che le tendenze a breve termine sarebbero continuate per sempre. L’eccellente Ted Goia, il cui sito sulla cultura popolare dovrebbe essere una lettura obbligatoria, ha recentemente analizzato i dati e ha scoperto che il pubblico apprezza effettivamente i testi più lunghi, che i siti che pubblicano saggi lunghi stanno andando bene e che persino su YouTube le persone sono sempre più disposte a guardare video di 20 minuti o più. La breve scarica di dopamina di un video di due minuti svanisce all’istante, mentre un saggio che richiede venti minuti di lettura potrebbe offrire spunti di riflessione per un po’ e incoraggiare ad approfondire l’argomento nei commenti. La mia modesta esperienza mi dice che spesso è così: ho un tasso di abbandono degli iscritti sorprendentemente basso e la somma totale dei commenti su alcuni dei miei saggi supera la lunghezza del saggio stesso.

Ora, naturalmente, il tempo necessario per fruire di una produzione intellettuale non dice nulla sul suo valore. Un’esecuzione completa di Amleto dura circa il doppio di una di Macbeth , ma un’opera non è il doppio bella dell’altra. Una sinfonia di Mahler può durare un paio d’ore interminabili, ma non è quattro volte migliore di una sinfonia di Mozart. Guerra e pace può essere dieci volte più lunga dell’ultimo best-seller premiato, ma non è necessariamente dieci volte più bella (anche se a pensarci bene probabilmente lo è). Molte di queste differenze sono legate alla sopravvivenza di varianti testuali, alle circostanze della composizione e alle circostanze della diffusione (i romanzi del XIX secolo venivano spesso pubblicati a puntate, ad esempio, e gli autori venivano pagati a rate).

Ma ciò che la lunghezza fa, se si riesce a evitare inutili complessità, è permettere lo sviluppo delle sfumature: più lunga è una produzione, di qualsiasi tipo, più spazio c’è per lo sviluppo e la sottigliezza. Una sinfonia di Mozart può in definitiva basarsi su forme di danza, ma un movimento di quindici minuti offre uno spazio di sviluppo che una danza di tre minuti non offre. Tuttavia, le discussioni sulla scrittura non-fiction sono piuttosto diverse, quindi parliamone separatamente e lasciamo da parte l’aspetto culturale.

È utile innanzitutto distinguere tra la questione della complessità e quella dell’incertezza. Gran parte della complessità della scienza, ad esempio, risiede nell’aggiunta di nuovi livelli di dettaglio e sottigliezza, nelle nuove scoperte di casi ambigui e nelle controversie sui dettagli precisi di cause ed effetti. Ma queste tendono a essere sotto l’ombrello della conoscenza e del consenso che si applica almeno fino a un certo livello. Nella storia, nella politica e nell’attualità, al contrario, può esserci disaccordo anche sui fatti più elementari, e quasi nessun punto di consenso. Se prendiamo ad esempio il Patto Molotov-Ribbentrop del 1939, tutto ciò su cui gli storici concordano è che fu firmato e che affermava quanto segue. Ci sono furiose controversie su chi ne fu l’idea, sul coinvolgimento comparativo di Hitler e Stalin, sulle motivazioni di ciascun leader, su come speravano che funzionasse, e così via. Tutto ciò che un articolo enciclopedico può fare è indicare quali siano le controversie.

Un esempio concreto delle ultime settimane potrebbe chiarire questa distinzione. Gli Stati Uniti hanno affermato di aver attaccato i siti nucleari iraniani con bombe MOP e di averli distrutti. Entro certi limiti, le caratteristiche di queste bombe sono note e i loro effetti possono essere calcolati secondo regole consolidate. Ci sono specialisti che possono dire cosa succede quando una bomba del genere colpisce diversi tipi di superfici in diversi scenari, con le relative equazioni, e possono entrare nei dettagli a piacimento, divergendo forse solo marginalmente in alcuni casi. Al contrario, non c’è consenso nemmeno sul fatto che l’attacco sia effettivamente avvenuto, o se si sia trattato di un’invenzione orchestrata per scopi politici e che l’attacco sia stato effettivamente condotto con altre armi. I commentatori sono in disaccordo anche sui fatti più elementari, nonostante la sicurezza con cui ciascuno di loro afferma di conoscerli. Ci sono decine di fattori – politici, strategici, militari, tecnici – che devono essere soppesati tra loro, e non c’è modo, allo stato attuale, di giungere a una risposta unanime. I veri “fatti”, infatti, potrebbero non essere mai conosciuti, soprattutto la natura e l’entità di qualsiasi collusione tra i diversi stati. Da qui la differenza tra complessità e incertezza.

La maggior parte delle questioni politiche e strategiche comportano quindi incertezza, non solo complessità, e richiedono quindi una trattazione più sfumata, rendendo problematica qualsiasi semplificazione. La ricerca nel dettaglio di tali problemi rivela non solo una maggiore complessità (sebbene la faccia), ma spesso livelli di incertezza sempre maggiori. Ora, naturalmente, questi due concetti non sono del tutto distinti: a volte la sola comprensione del grado di complessità esistente può essere di per sé salutare e richiedere una comprensione più sfumata. Anni fa, avevo una mappa etnica dell’ex Jugoslavia appesa alla parete del mio ufficio. Se avete familiarità con queste cose ( ecco un esempio), sapete che assomigliano a un’esplosione in una fabbrica di vernici. I visitatori del mio ufficio si fermavano a guardare a bocca aperta per un po’ se ero al telefono. “Mio Dio”, chiedevano, “è così complicato?”. Al che qualcuno rispondeva inevitabilmente: “Oh, questa è la versione semplificata”. Una complessità di questo tipo può imporre la necessità di sfumature, ma ovviamente le sfumature non sono qualcosa che si ottiene automaticamente, come vedremo.

A volte mi imbatto in uno scenario parallelo sulla complessità. Mettiamo che tu sia un giornalista o un ricercatore in visita in un paese in un conflitto multiforme. Coscienziosamente, fai il giro di esperti prima di partire. Il Ministero degli Esteri lamenta quanto sia difficile spiegare alla leadership politica la complessità della situazione nel paese e quante sfumature inaspettate ci siano. Quando arrivi, ti rechi all’Ambasciata, e ti spiegano stancamente quanto sia difficile far capire alla capitale quanto siano complicate le cose. Parli con antropologi, giornalisti residenti ed esperti di conflitti, che ti dicono che le Ambasciate non escono mai sul campo e non sanno nulla di quanto siano complesse le cose lontano dalla capitale. L’ultimo giorno, incontri qualcuno dell’Ambasciata, forse il “Primo Segretario (Politico)”, che sospetti fortemente lavori per un’agenzia di intelligence. Durante il pranzo, protestando di non criticare i suoi colleghi, spiega come i veri problemi del paese abbiano a che fare con i rapporti d’affari all’interno e tra le fazioni d’élite, dentro e fuori dal governo. Sull’aereo di ritorno ti chiedi sconsolato come farai a dare un senso a tutto questo. Di certo non accumulando spiegazioni una sull’altra.

Questo genere di cose – e accade di continuo – illustra la differenza tra il riconoscimento della sfumatura come prerequisito per la comprensione e il semplice accumulo di fatti, o almeno di affermazioni, che spesso si contraddicono a vicenda, ma che si spera in qualche modo, collettivamente, di fornire la risposta. Ironicamente, mentre la sfumatura incoraggia un’analisi più sofisticata, la complessità non necessariamente lo fa, e può anzi provocare una risposta eccessivamente semplificata. In parte, ciò è dovuto alla naturale reazione umana all’eccessiva complessità, che è quella di rifiutarla e cercare invece schemi semplici o episodi emblematici, o persino fattori noti, che possano spiegare tutto. Lo sviluppo del conflitto in Siria dal 2011 ne è un buon esempio. Ufficiali sunniti e le loro unità, alcuni sostenuti in ultima analisi dalla Turchia e altri dall’Arabia Saudita, costituirono l’opposizione iniziale ad Assad, ma furono rapidamente infiltrati e superati da gruppi populisti radicali di combattenti internazionali con nomi e lealtà in continua evoluzione che combattevano il regime, i curdi (da dove venivano ?) e talvolta tra di loro. Il fatto che solo gli specialisti potessero sperare di tenere traccia di tutti questi cambiamenti, e che fossero in disaccordo persino tra loro, ha spinto giornalisti ed esperti, in cerca di spiegazioni semplici, a ricorrere a espedienti disperati come chiamare gli islamisti “Al Qaeda in Siria”, ignorando la profonda frattura avvenuta in Iraq dopo l’invasione statunitense tra i resti malconci del movimento d’avanguardia leninista di AQ e i gruppi islamisti populisti radicali federati da Abu Musab al-Zarqawi, fino alla sua uccisione da parte degli Stati Uniti nel 2006, ancora attivi sotto vari nomi, e che furono gli antenati dell’odierno Hayat Tahir Al-Sham. (Sì, lo so di aver tralasciato molte sfumature.)

C’è anche il problema che complessità e sfumature raramente sono semplicemente lineari e cumulative. Molta complessità può derivare da tipi paralleli di spiegazioni provenienti da fonti concorrenti, ciascuna delle quali si dichiara “vera”. Ci sono pochissime questioni importanti al mondo in cui i governi, o persino i movimenti non governativi, sono completamente uniti o interamente sotto il controllo di una singola persona. Più grande è l’organizzazione, più facile è perdersi. Pertanto, ho letto diversi resoconti di esperti su come le “loro fonti” a Washington abbiano detto loro questo o quello sul conflitto con l’Iran. E ciò che dicono è probabilmente sincero, e i loro contatti probabilmente hanno effettivamente detto loro queste cose. Ma se si ha familiarità con il funzionamento di Washington, ci si rende conto che ci sono tanti punti di vista a Washington quanti sono i personaggi influenti, e che ogni organizzazione governativa fa trapelare informazioni, sia ufficialmente che ufficiosamente, continuamente, per motivi diversi. Un altro gruppo di “fonti” in un’altra organizzazione potrebbe benissimo aver detto qualcosa di completamente diverso, ognuna credendo sinceramente a ciò che diceva. Spesso, ogni membro del gruppo di fonti ripete di fatto lo stesso messaggio ricevuto separatamente dalla stessa persona: il problema ben noto alle agenzie di intelligence come “false garanzie”. E questo senza considerare altri governi e altri attori esterni al governo: in effetti, uno dei motivi principali della mancanza di sfumature negli scritti di esperti e giornalisti americani è che a Washington ci sono così tante fonti concorrenti disponibili che il resto del mondo difficilmente riesce a prenderle in considerazione.

Allo stesso modo, una delle ragioni dell’ossessione sia per “far cadere Putin” in Ucraina, sia per un “cambio di regime” in Iran, è la convinzione semplicistica che il potere politico in entrambi i Paesi sia concentrato in pochissime mani, che la maggioranza del Paese non sostenga tale potere e che non sia necessario ricercare ulteriori dettagli o considerare le sfumature. In effetti, il desiderio di farlo è di per sé piuttosto sovversivo, e un “inventare scuse” per cose di quei Paesi che non piacciono ai propri interlocutori. Il fatto che l’Occidente si perda sempre nei dettagli e sia spesso fuori dalla sua portata nelle sfumature, e di conseguenza inciampi dal caos al disastro, non viene realmente recepito. In effetti, l’Occidente si rifugia abitualmente in spiegazioni semplicistiche e prive di sfumature della propria sconfitta.

Ed è questo il punto principale che voglio sottolineare. Non si tratta di immergerci sconsideratamente in qualsiasi livello di complessità, né di cercare di identificare e tenere conto di ogni minima sfumatura potenziale. Non si tratta di consultare ogni possibile fonte a ogni livello di dettaglio. Tutto ciò sarebbe impossibile, e sarebbe comunque controproducente, e porterebbe a un’indigestione intellettuale. Ciò che serve piuttosto è un tipo di umiltà che accetti che le cose siano spesso più complesse di quanto possano apparire e riconosca che le sfumature possono esistere anche nella situazione politica apparentemente più semplice. Il problema è che per alcuni accettare sfumature e complessità è una minaccia, poiché implica che ci siano cose che non sappiamo, e che forse dovremmo scoprire, prima di prendere decisioni.

Ma ovviamente il problema va ben oltre i governi: riguarda tutti noi. Preferiamo spiegazioni semplici ove possibile, ma soprattutto, ci piace che siano unitarie e senza sfumature. Ci piacciono i buoni e i cattivi, ci piace sapere chi rappresenta il futuro e chi il passato, vogliamo essere in grado di simpatizzare con alcuni e denigrare altri. A sua volta, questo perché la maggior parte dei nostri giudizi importanti sono emotivi. Sono ciò che Daniel Khaneman ha notoriamente definito il prodotto del pensiero del “Sistema 1”, che è rapido e istintivo, e adatto alla necessità di esprimere giudizi immediati, spesso salvavita. Al contrario, il pensiero del “Sistema 2” è razionale e coerente, e più adatto alle decisioni a lungo termine. Eppure, mentre quest’ultimo è ovviamente più adatto a questioni importanti e a lungo termine, comprese quelle politiche, il primo tende a predominare nella pratica. Di conseguenza, non solo le nostre opinioni astratte e teoriche sulla politica, ma anche le nostre lealtà e avversioni pratiche, tendono a essere istantanee ed emotive. Una volta che abbiamo scelto da che parte stare, questa diventa egoisticamente importante per noi, e ci investiamo emotivamente nei suoi successi e nei suoi fallimenti, e una critica a un paese, una fazione o una figura politica è quindi implicitamente una critica a noi stessi. Nella misura in cui siamo disposti ad accettare una discussione razionale, è per trovare un supporto apparentemente logico a giudizi che abbiamo già formulato emotivamente. (In effetti, alcuni psicologi hanno suggerito che la funzione principale della mente cosciente, e persino dell’emisfero sinistro del cervello, sia quella di razionalizzare a noi stessi decisioni già raggiunte inconsciamente.)

Pertanto, se suggerisco che ci sia una sfumatura o un livello di complessità in un argomento controverso in cui sei emotivamente coinvolto, considererai naturalmente tale suggerimento come un attacco a te. Da giovane non me ne rendevo conto, e non riuscivo a capire perché spiegare pazientemente alla gente che il Sole in realtà sorgeva a Est potesse portare a tali scoppi d’ira. Bisogna anche ammettere, però, che le persone che hanno prevalentemente l’emisfero sinistro del cervello, come tendo ad essere io, possono non solo far infuriare gli altri, ma anche sommergerli di complessità e sfumature al punto da dimenticare completamente l’obiettivo. Tale obiettivo, ovviamente, dovrebbe essere quello di far lavorare insieme creativamente ciò che Iain McGilchrist chiama “il Maestro e il suo Emissario”, accettando che sia molto più difficile in pratica che in teoria. Ma la chiave, credo, è addentrarsi il più possibile nelle sfumature e nella complessità, e non oltre, per formulare giudizi e decisioni il più solidi possibile, senza affogarli in dettagli ingestibili. Beh, vale comunque la pena provare.

Pertanto, la nostra metodologia, il nostro algoritmo, se vogliamo, per contemplare il mondo e decidere cosa pensare, è poco adatta alla natura del mondo stesso. Ci piacciono le categorie chiare e distinte, il giusto e lo sbagliato, il bene e il male, il bene e il male, il bene e il male. Ma il mondo è pieno di sfumature e complessità, e ci riluttanza a riconoscerlo, perché ci destabilizza. Ora, naturalmente, se questo fosse tutto ciò che questo saggio cercava di dire, non avrebbe avuto molto senso scriverlo, poiché la maggior parte dei lettori, dopo un po’ di riflessione, sarebbe d’accordo, e dopo un po’ di riflessione in più si chiederebbe “e allora?”. Quindi il resto di questo saggio è dedicato al “e allora?”.

La radicale riduzione del tempo dedicato a pensare e reagire, introdotta da Internet nell’ultimo decennio circa, ha aggravato notevolmente questi problemi. Forse cinquant’anni fa, un articolo poteva apparire su un quotidiano del mattino e richiedere una reazione. Quindi, durante il giorno, qualcosa veniva assemblato, approvato dai ministri se necessario, e trasmesso all’ufficio stampa o a un equivalente, per essere utilizzato nel telegiornale della sera o sui quotidiani del mattino successivo. Già negli anni Novanta stavamo sperimentando quello che allora veniva chiamato “effetto CNN”, in cui la copertura mediatica continua significava che le notizie (o “storie”) potevano emergere in qualsiasi momento, spesso direttamente dal basso, senza contesto o sfumature, e che opinionisti a caso venivano trascinati negli studi televisivi per riempire il tempo con commenti casuali e generalmente disinformati. Oggigiorno, naturalmente, interi cicli di notizie possono svolgersi nel corso di un’ora, senza alcun tentativo di contesto o sfumatura da parte di chi contribuisce. Un tweet corredato da un video di un’atrocità può fare il giro di Internet in pochi minuti, scatenando richieste immediate di incriminazione dei presunti responsabili da parte della Corte penale internazionale, per poi essere rapidamente superato da smentite e accuse di inganno dell’intelligenza artificiale. Potresti perderti tutto questo perché eri impegnato a fare la spesa e non hai guardato il telefono.

Politicamente, questo rafforza gli spregiudicati, coloro che hanno opinioni rigide e immutabili, che sanno sempre cosa pensare, e coloro che diffidano delle sfumature e non sono interessati alla complessità. Al contrario, indebolisce coloro che sanno davvero di cosa stanno parlando e coloro che capiscono che la maggior parte delle situazioni sono complesse e quindi richiedono sfumature. Significa che prendere decisioni sensate e persino la semplice comprensione sono più difficili che mai, e porta alla lamentela che ho sentito da molte persone intelligenti e istruite negli ultimi anni: “Non so proprio cosa pensare!”

Ora, ho già suggerito che né la sfumatura né la complessità sono automaticamente positive, e certamente non in quantità illimitata, e quindi, per correttezza, dovrei ammettere che ci sono circostanze in cui il loro effetto cumulativo è chiaramente negativo. Dopotutto, le decisioni devono essere prese e i giudizi devono essere espressi sia nella nostra vita privata che dalle istituzioni. Non possiamo procrastinare all’infinito basandoci sul fatto che “è complicato”. Il modo in cui lo facciamo pragmaticamente è basare le nostre decisioni sulle migliori informazioni disponibili alla fine di un periodo di tempo ragionevole, che è, in pratica, ciò che tutti facciamo spesso nella vita quotidiana. A volte spiego questo agli studenti con l’analogia della scelta di un hotel in cui soggiornare in una città che non si conosce. Si possono consultare guide e siti di recensioni di maggiore o minore autorevolezza, si può fare una ricerca semplice ma basilare sulla città e sulla zona, si può chiedere ad altri, si può approfondire i dettagli di recensioni e valutazioni fino a un certo punto, ma in realtà ci si avvicina rapidamente al punto di rendimenti decrescenti, dove ulteriori dettagli lasciano solo più confusi. A un certo punto bisogna dire “Basta” e prendere una decisione sulla base delle migliori informazioni disponibili. E se si scopre che il giorno prima l’autorità locale ha iniziato dei lavori stradali di disturbo di fronte all’hotel, beh, succede.

Questa è una metafora, se vogliamo, per ciò che fanno i governi, dove le decisioni devono essere prese continuamente su questioni complesse e sfumate, sulla base di informazioni molto incomplete. C’è una tensione intrinseca in tutti i sistemi di governo tra la leadership politica, che vuole conoscere solo i fatti, e la comunità degli esperti, la cui frase d’apertura preferita è “è complicato”, come di solito è. Lo possiamo vedere molto bene nell’attuale questione del programma nucleare iraniano, dove gli esperti si sono resi ridicoli negli ultimi mesi, perché in generale sono irrimediabilmente confusi dal punto di vista epistemologico. Queste domande sono interessanti e potrebbero facilmente essere sviluppate in un saggio completo (cosa che potrei fare se ci fosse abbastanza interesse), ma per il momento atteniamoci a due punti.

Il primo è che le agenzie di intelligence (e organizzazioni come l’AIEA e, per estensione, varie ONG specializzate) forniscono risposte molto precise a domande altrettanto precise, e queste risposte sono generalmente molto sfumate e condizionate. Le domande “L’Iran sta costruendo una bomba?”, “L’Iran ha la capacità tecnica di costruire una bomba?”, “L’Iran ha un programma di armi nucleari?”, “Il governo iraniano ha deciso di costruire una bomba nucleare?” e “L’Iran ha la capacità di colpire altri paesi con armi nucleari?” sono tutte molto diverse, implicano diverse serie di informazioni e valutazioni e porteranno a risposte sfumate e condizionate in modi diversi. Il risultato paradossale è che la maggior parte delle dichiarazioni di governi, esperti ed esperti indipendenti negli ultimi due mesi sono in realtà coerenti tra loro (o almeno non contraddittorie), perché in pratica si riferiscono a cose diverse.

Ciò vale soprattutto per i giudizi che incorporano informazioni di intelligence, che sono per loro natura frammentarie e inconcludenti, e non sorprende che tali giudizi siano sfumati e condizionati, e spesso espressi in termini cauti. Così, ad esempio, parole come “valutare”, “credere” e “stimare” vengono usate a scapito di qualsiasi altra cosa più precisa. Spesso, le informazioni semplicemente non sono disponibili per formulare giudizi definitivi, e non possono esserlo, per quanto le si esamini. Quindi le agenzie tendono a produrre giudizi che assomigliano a degli haiku , o al dialogo di un’opera teatrale di Samuel Beckett:

Non ci sono prove certe

Per indicare che l’Iran sta attualmente costruendo un’arma nucleare.

Ma sarebbe poco saggio

Per escludere del tutto questa possibilità.

Il che, in pratica, equivale a dire “non ne siamo sicuri”. Ma al sistema politico questo non interessa: vuole risposte e, se possibile, banalizzerà e persino traviserà le valutazioni.

La seconda è che non c’è nulla di speciale nelle informazioni di “intelligence”. Tutto ciò che le distingue dal gossip, o da ciò che si legge sui giornali, è che sono state ottenute con mezzi subdoli. Definire qualcosa “intelligence” non dice nulla sulla sua validità o utilità: sono questioni ben distinte. Indica solo che l’informazione è stata, sostanzialmente, rubata. Pertanto, le informazioni di intelligence, più di qualsiasi altro tipo, devono essere attentamente valutate e presentate in una forma opportunamente sfumata. Un esempio comparativo può chiarire questo punto. Il Ministero degli Esteri di Teheran potrebbe annunciare che una squadra incontrerà una squadra statunitense in Qatar. In alternativa, i giornali iraniani potrebbero pubblicare articoli ben documentati con le stesse informazioni. Oppure l’ambasciatore iraniano a Berlino potrebbe informare il vostro ambasciatore durante un cocktail party. Una fonte al Ministero degli Esteri potrebbe informare la vostra ambasciata in via confidenziale. Una fonte nell’ufficio del Presidente potrebbe informare un interlocutore di fiducia nella massima riservatezza. Un telegramma dal Qatar alla sua ambasciata a Washington che voi intercettate potrebbe fortemente suggerire che ciò accadrà. Il contenuto informativo di tutti questi, pur non essendo identico, è sostanzialmente coerente, ma i mezzi di acquisizione e la sensibilità di tali mezzi sono molto diversi.

L’impulso a trovare certezze è insito negli esseri umani e non è necessariamente negativo. Si può simpatizzare (in una certa misura) con i leader politici costretti a prendere decisioni senza informazioni sufficienti. Ci sono molti casi in cui la ricerca di eccessive sfumature può essere invalidante, e le istituzioni che iniziano a feticizzare tale ricerca possono risentirne. Un esempio insolito ma importante in questo senso è stata la Chiesa cristiana. Fino a tempi molto recenti, la dottrina e la sua corretta osservanza erano le preoccupazioni centrali della Chiesa, perché credere in qualcosa di sbagliato poteva portare alla dannazione, e proporre dottrine errate poteva dannare altri: da qui l’ossessione per l’eresia. La gente ha pensato in questo modo per un periodo di tempo molto lungo.

Gli anni Sessanta videro l’inizio di un cambiamento radicale, con le Chiese che abbandonarono progressivamente le dottrine fisse e molti leader ecclesiastici di diverse dominazioni che si spostarono progressivamente verso una sorta di tiepido umanesimo agnostico. Le Chiese iniziarono ad abbandonare il loro ruolo di dispensatrici della Verità e incoraggiarono i loro fedeli, in pieno stile egocentrico tipico degli anni Sessanta, a “pensare con la propria testa”. In effetti, se negli ultimi decenni avessi chiesto a un prete anglicano “Dio ha davvero creato i cieli e la terra?”, probabilmente avresti ottenuto una risposta evasiva del tipo “beh, è una domanda molto difficile e ognuno di noi deve decidere da solo. Certo, gli scienziati dicono…”. Naturalmente, le chiese di tutto il mondo si svuotarono. L’unica cosa che conta nella religione, dopotutto, è se sia vera. Se è vera, allora i suoi precetti devono essere accettati e messi in pratica, a prescindere dall’irritazione che ciò potrebbe causare al nostro ego. Se non è vero, allora la religione perde ogni legittimità specifica e diventa solo un altro insieme di idee etiche astratte, come è successo nella maggior parte del mondo. In effetti, i dialoghi interreligiosi sono per definizione un’accettazione del fatto che i leader in questione non credano che le loro dottrine siano effettivamente vere, altrimenti non ci sarebbe nulla di cui parlare.

Esistono ovviamente delle eccezioni, anche nel mondo occidentale. A volte (come in alcune zone rurali della Francia) la Chiesa non è realmente separabile dalla comunità locale, e frequentare la chiesa è piuttosto comune. Ma più in generale, il cattolicesimo tradizionalista, spesso di epoca pre-Concilio Vaticano II, ha mantenuto la sua forza, così come il cristianesimo evangelico. (Quest’ultimo ha effettivamente guadagnato terreno in tutto il mondo negli ultimi decenni, e in luoghi sorprendenti come la Corea). Sebbene parte del fascino di tali sistemi sia dovuto al fatto che hanno conservato gli aspetti magici e drammatici che la religione un tempo mostrava, la ragione principale è sicuramente che non hanno paura di dire ai fedeli la Verità e di chiedere loro di crederci. La riluttanza delle chiese cristiane tradizionali a farlo ulteriormente incoraggia semplicemente i delusi a cercare la Verità altrove, nel gergo New Age o nelle teorie del complotto. Come osservò G.K. Chesterton, chi smette di credere in Dio non crede in nulla, crede in qualsiasi cosa. Questo è abbastanza ragionevole, dato che pochi di noi amano vivere in un universo privo di significato.

George Orwell commentò come, negli anni ’30, gli intellettuali britannici si rifugiassero in massa nella Chiesa cattolica o nel Partito Comunista. Nonostante le loro aspre differenze, i due erano notevolmente simili, non da ultimo per l’esistenza di una dottrina rigida e priva di sfumature, e la conseguente persecuzione dell’eresia ovunque si trovasse. Tendiamo a dimenticare, in effetti, quanto rigido e intransigente fosse il movimento comunista internazionale fino agli anni ’70, soprattutto sotto Stalin, che aveva un potere e un’autorità personali che i Papi medievali avrebbero invidiato. Il giudizio di Stalin era inappellabile, aveva sempre ragione e, se necessario, la storia doveva essere riscritta per far apparire sotto una luce migliore episodi imbarazzanti come il patto Molotov-Ribbentrop. Eppure Stalin e i suoi successori sarebbero stati molto meno potenti senza l’esistenza di leader ultraortodossi dei partiti comunisti nazionali, come Maurice Thorez in Francia, e il sostegno incondizionato degli intellettuali di tutto il mondo.

Queste persone si sono naturalmente trovate in difficoltà dopo il 1990 e, comprensibilmente, si sono rifugiate in altri insiemi di certezze prive di sfumature. Notoriamente, i neoconservatori e i liberisti di mercato estremi in vari paesi erano spesso ex marxisti. In modo piuttosto simile, i marxisti apostati (e, per estensione, i cattolici apostati) hanno avuto un ruolo influente nella formulazione dell’ideologia della giustizia sociale, adottando il rifiuto delle sfumature e l’intolleranza al dissenso, e mescolandoli con le tradizionali e feroci lotte intestine ideologiche che caratterizzavano quei sistemi di credenze. Eppure, a differenza della rigidità del pensiero cristiano (basato sulla rivelazione) e del pensiero marxista (basato sull’interpretazione corretta della storia), queste nuove ideologie non si reggevano su nient’altro che su affermazioni a priori , e spesso lasciavano i loro seguaci vulnerabili e insoddisfatti.

Il che contribuisce a spiegare, ad esempio, la curiosa tolleranza di alcuni esponenti della sinistra per il fondamentalismo islamico, nonostante disprezzi ogni minimo valore storico della sinistra stessa. In Francia, un numero sorprendente di intellettuali francesi accolse la presa del potere da parte degli islamisti in Iran nel 1979 come una rivolta popolare. (A dire il vero, alcuni trovarono congeniali anche i Khmer Rossi). Più recentemente, quello che è diventato noto come “islamo-sinistra” ha visto la sinistra fare causa comune con i movimenti politici islamisti, sia pubblicamente (con il pretesto di combattere l'”islamofobia”) sia in accordi elettorali. Questa è diventata l’ideologia ufficiale della France Insoumise , con la quale spera di ottenere importanti successi elettorali nei prossimi anni. È chiaro che molti intellettuali francesi nutrono una curiosa fascinazione per la cruda, rigida e incrollabile purezza ideologica dell’Islam politico, e per la sua intolleranza per il dissenso e la sua tolleranza per la violenza estrema. (Il romanzo del 2015 di Michel Houllebecqu Soumssion , che racconta di un’alleanza elettorale tra la sinistra e i partiti musulmani per sconfiggere Le Pen e che porta a un presidente musulmano, sembra forse meno una satira stravagante oggi di quanto non lo fosse allora. Non a caso, il personaggio centrale del romanzo è un intellettuale di medio livello insoddisfatto, che finisce per convertirsi lui stesso all’Islam.)

Ma non si tratta solo di intellettuali. Un’intera generazione di persone cresciute negli anni ’70 e ’80, che avevano imparato slogan marxisti senza mai confrontarsi con la teoria vera e propria, vagava alla ricerca di sostituti, imbattendosi in tutto, dall’ecologia punitiva intransigente alle varie ideologie di giustizia sociale, tutte idee che fornivano loro slogan facilmente assimilabili piuttosto che idee concrete, e un sistema di credenze implacabilmente rigido e privo di sfumature che spiegava tutto e non tollerava alcun dissenso. Alcuni seguirono la progressione logica verso teorie del complotto, dove ogni sfumatura e riserva poteva essere liquidata con l’affermazione di complotti ancora più profondi e sinistri di quanto si fosse precedentemente compreso. I loro allievi e i loro figli, a due generazioni di distanza da una formazione intellettuale coerente, stanno ora raggiungendo posizioni di influenza e potere. Trovo questo preoccupante.

La combinazione di trattazioni sempre più concise di fatti e idee, la riluttanza a confrontarsi con qualcosa di sostanziale e difficile, sia scritto che parlato, il fatto che la maggior parte delle persone identifichi le proprie idee con il proprio ego e consideri il disaccordo una forma di aggressione, e la conseguente paura delle sfumature e persino del dibattito, sono collettivamente un cattivo presagio per il futuro del nostro sistema politico. Considero le recenti assurdità universitarie sui “pericoli” della libertà di parola essenzialmente come una sorta di meccanismo di difesa dell’ego, per evitare di dover affrontare idee, e persino fatti, che ci destabilizzano e ci fanno capire che le nostre idee, in fin dei conti, non si basano su nulla di sostanziale.

Ecco perché, forse, il dibattito pubblico sembra ora essere a un livello più basso che mai. Le barriere all’ingresso, dopotutto, non sono mai state così basse: bastano pochi secondi per intervenire in un dibattito, anche solo per cercare di dimostrare quanto si è intelligenti o quanto si odia una parte o l’altra. La tendenza, quindi, è verso interventi sempre più semplici, sempre più brevi, sempre più evanescenti, pensati per creare un’impressione immediata e raccogliere “mi piace”, dopodiché possono essere dimenticati. Persino i politici, i cui interventi pubblici un tempo erano preparati con cura, ora sembrano ben contenti di scaricare i contenuti transitori dei loro cervelli su Internet, senza pensare minimamente alle conseguenze a lungo termine.

Ciò implica, ovviamente, che non ci sia spazio per le sfumature, né per la discussione. In effetti, gran parte di ciò che oggi passa per “dibattito” non è altro che un crescente scambio di insulti. A nostra volta, poiché le nostre opinioni politiche si basano più che mai su reazioni istintive e istinto di gruppo, non siamo affatto interessati a qualificazioni, sottigliezze o qualsiasi livello di complessità, non più di quanto un tifoso del Manchester United sia disposto ad ammettere a un tifoso del Real Madrid che questo o quel giocatore abbia commesso errori o sia stato acquistato a un prezzo troppo alto. Il risultato è che su questioni controverse – l’Ucraina, ad esempio, o l’Iran o Gaza – esistono semplicemente insiemi contrapposti di ortodossie strutturate, che devono essere accettate e riproposte nella loro interezza, come slogan, e che non tollerano alcuna domanda. È tutto o niente, perché in realtà non si sa molto del “tutto” e si teme che se si concede qualcosa non si ottenga nulla. Pertanto, introdurre una qualificazione del tipo “beh, in realtà penso che i media abbiano esagerato notevolmente le vittime russe” oppure “in realtà mi sembra che almeno alcuni ucraini stiano combattendo per sincero patriottismo” significa provocare una risposta spaventata e offensiva da parte di persone che si sentono destabilizzate e quindi spaventate da commenti a cui non sono in grado di rispondere razionalmente.

In definitiva, come ho suggerito, la forma estesa, e la pazienza e l’applicazione che richiede, è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per recuperare un certo grado di calma e razionalità nel discorso politico. Questo non significa, ovviamente, che non ci sia spazio per altre forme: persino Twitter può essere utile in certi contesti. Ma forse la natura sempre più frenetica e rigida del “dibattito” politico è arrivata al limite senza implodere, e ci sono segnali che indicano che almeno alcuni capiscono che il mondo è complesso e ricco di sfumature, e che qualsiasi cosa valga la pena di dire al riguardo richiede spazio a sufficienza per essere espressa. Possiamo solo sperare. E con questo si conclude un altro saggio di lunga durata.

Commedia trasformata in farsa: Trump promette ben dieci missili all’Ucraina, di Simplicius

Commedia trasformata in farsa: Trump promette ben dieci missili all’Ucraina

Simplicius 11 luglio
 
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Dopo aver fallito nel tentativo di costringere la Russia a una sfavorevole cessazione delle ostilità (leggi: resa), gli Stati Uniti stanno ora giocando di nuovo alla roulette delle “sanzioni”, che il vampiro neocon dello Stato profondo Lindsey Graham ha incastrato a Trump.

Le sanzioni sulle esportazioni di energia e sui servizi bancari russi hanno lo scopo di “degradare” la capacità della Russia di condurre la guerra in perpetuo, dato che l’élite occidentale si sta finalmente rendendo conto che la Russia non si sottometterà e intende continuare all’infinito.

Il NYT scrive che i senatori Lindsey Graham e Richard Blumenthal stanno preparando un disegno di legge su nuove sanzioni contro il settore energetico russo, che potrebbero portare a un crollo globale dei mercati energetici e a una recessione mondiale. Allo stesso tempo, la pubblicazione indica che a Mosca non c’è panico. La Russia è abituata alle pressioni delle sanzioni e si sta rapidamente adattando.

Ma c’è ancora qualche equivoco che è chiaramente inteso a dare a Trump la possibilità di giocare da entrambe le parti, come al solito, cioè di simulare il “duro” attraverso una legge sulle sanzioni, ma di avere la capacità di sminuirle diplomaticamente e di ridurle secondo le necessità, come un contentino per entrambe le parti.

Rubio lo lascia intendere:

In modo analogo, la stampa riferisce ora che Trump potrebbe avviare il primo pacchetto di armi completamente nuovo all’Ucraina sotto la sua amministrazione, in contrasto con il PDA dell’era Biden che stava ancora spremendo le ultime gocce.

https://www.reuters.com/world/europa/trump-uso-presidenziale-autorità-invio-armi-fonti-ucraine-dicono-2025-07-10/

Ma, ancora una volta, c’è qualcosa di più di quello che si vede?

In primo luogo, si parla di un misero pacchetto PDA (Presidential Drawdown Authority) da 300 milioni di dollari, che di fatto equivale a una manciata di missili, a seconda del sistema d’arma. Anche il PDA di Biden aveva quasi 4 miliardi di dollari da erogare.

In secondo luogo, come parte del suo nuovo pacchetto, Trump si sarebbe impegnato a inviare “10 missili Patriot” all’Ucraina:

https://kyivindependent.com/guerra-ucraina-ultima-trump-sarebbe impegnato a inviare-10-missili Patriot all’Ucraina-chiede alla Germania di inviare una batteria-06-2025/

Probabilmente starete pensando che si tratta di 10 lanciamissili completi, un’offerta considerevole!

Ma per quanto possa sembrare sconvolgente, i 10 missili sembrano riferirsi proprio a questo: 10 intercettatori missilistici veri e propri, cioè le munizioni.

Nell’articolo, Trump chiede alla Germania di inviare una batteria completa mentre lui invia 10 missili. Si tratta di una richiesta strana, in quanto 10 missili lanciatori rappresenterebbero essi stessi una batteria, per cui non sarebbe necessario fare una distinzione. In realtà, si tratta di quasi due batterie, ognuna delle quali costa circa 2,5 miliardi di dollari in termini di esportazioni; 5 miliardi di dollari sono una cifra estremamente improbabile da parte di Trump, dato che il suo nuovo pacchetto mira a regalare appena 300 milioni di dollari, come già detto.

Inoltre, gli aiuti precedentemente “congelati” contenevano in modo verificabile “30 missili Patriot” – cioè le munizioni vere e proprie – come si può verificare attraverso varie fonti tradizionali. Qui, Reuters:

Quindi, se questa tanto decantata spedizione ha generato tanto sconcerto per soli 30 missili, è ipotizzabile che l’annuncio di Trump di altri 10 si riferisca alle munizioni. Si tenga presente che i missili Patriot PAC-3 MSE costano circa 10 milioni di dollari l’uno. Ciò significa che altri 10 missili costerebbero fino a 100 milioni di dollari, il che ha certamente senso in questo contesto.

https://www.theguardian.com/us-news/2025/jul/08/us-pentagon-military-plans-patriot-missile-interceptor

Se così fosse, allora dovremmo rimanere a bocca aperta di fronte a questo teatro dell’assurdo: tutto questo rumore per appena 10 missili che verranno sparati in tre o quattro secondi durante il prossimo attacco della Russia?

Proprio ieri sera, la Russia ha ancora una volta battuto il record, questa volta bombardando l’Ucraina con oltre 700 droni e missili in una sola notte.

Cosa dovrebbero fare i miseri 10 missili contro questo? È evidente la deliberata doppiezza e i giochi di ritardo di questo spettacolo farsesco.

L’ultima ragione per dubitare che i 10 si riferiscano ai lanciatori è la dichiarazione di Rubio riguardo al fatto che altre nazioni devono pagare il conto per inviare i loro lanciatori all’Ucraina, implicando che gli Stati Uniti non dovrebbero inviarne altri:

Naturalmente, sappiamo tutti che se si tratta di 10 miseri missili o di 10 batterie, alla fine non fa alcuna differenza. A 10 milioni di dollari per missile, si prevede un costo di 7 miliardi di dollari al giorno per intercettare gli oltre 700 attacchi di droni Geran della Russia. Diverse personalità ucraine hanno recentemente affermato che la Russia lancerà presto più di 1.000 Geran al giorno.

Ora Trump ha dichiarato alla NBC che lunedì farà una “grande dichiarazione” sulla Russia, presumibilmente qualcosa che avrà a che fare con le sanzioni.

Se una qualche forma di sanzioni più severe dovesse essere approvata, sarebbe solo parte del solito piano europeo di mettere in gabbia le flotte mercantili russe, piano che si sta sviluppando ogni giorno in direzioni pericolose.

Per esempio:

https://www.ft.com/content/0c42af06-2139-4848-a980-b90494794c98

Ricordiamo il doppio gioco: escludere le navi russe dai mercati assicurativi internazionali, quindi “richiedere l’assicurazione” in acque interamente controllate da ZEE arbitrarie per attuare la “pirateria legale”.

Da un’altra fonte:

La Svezia ha ora annunciato che a partire dal 1° luglio la sua marina militare fermerà, ispezionerà e potenzialmente sequestrerà tutte le imbarcazioni sospette che transitano nella sua zona economica esclusiva, e sta dispiegando le forze aeree svedesi per sostenere questa minaccia. Dal momento che le zone economiche marittime combinate della Svezia e dei tre Stati baltici coprono l’intero Mar Baltico centrale, ciò equivale a una minaccia virtuale di tagliare tutti i commerci russi che escono dalla Russia attraverso il Baltico – il che sarebbe davvero un duro colpo economico per Mosca.

Inoltre, minaccerebbe di tagliare l’accesso alla Russia via mare all’exclave russa di Kaliningrad, circondata dalla Polonia.

Nel frattempo, la Russia ha continuato a scortare le navi della cosiddetta “flotta ombra”:

Un analista della Starboard Maritime Intelligence Ltd riferisce che le petroliere SELVA e SIERRA hanno attraversato il Canale della Manica contemporaneamente alla corvetta BOIKOY del Progetto 20380 della Flotta del Baltico della Marina russa. Si tratta della prima scorta registrata di petroliere russe da parte di navi da guerra russe (attraverso il Canale della Manica).

Per sicurezza, la Russia ha anche incrementato alcune di quelle riserve fantasma di cui abbiamo tanto parlato.

La Russia espande la presenza militare vicino al confine finlandese

Nuove immagini satellitari pubblicate da fonti occidentali mostrano che la Russia sta costruendo un nuovo complesso militare vicino al confine finlandese, un chiaro segno di un rafforzamento a lungo termine delle truppe nella regione.

Importanti lavori di sbancamento e nuove strutture sono apparse presso il presidio di Lupche-Savino, parte della città di Kandalaksha nella regione di Murmansk, a circa 110 km dalla Finlandia. Secondo i rapporti, due brigate sono già state trasferite in quest’area.

Le foto satellitari rivelano anche l’espansione del presidio di Sapyornoye sull’istmo careliano, situato a circa 70 km dal confine finlandese.

Contemporaneamente la Russia sta proseguendo i preparativi a Petrozavodsk, la capitale della Carelia. La città ospita il comando di una divisione mista dell’aviazione, che supervisiona la vicina base aerea di Besovets.

In particolare, la Russia sta formando un 44° Corpo d’Armata completamente nuovo nella Repubblica di Carelia – una mossa che di fatto aggiunge circa 15.000 truppe alla frontiera orientale della NATO.

Non stupitevi di vedere lì molti T-90M appena prodotti.

Le sanzioni statunitensi, in ogni caso, si dà il caso che siano nate morte, come lo scettico WaPo ci ha già informato la volta scorsa:

Sulla carta, la proposta di legge del senatore Lindsey Graham (R-South Carolina), che tenta di imporre alla Russia le sanzioni commerciali più dure e di più ampia portata, dovrebbe piacere ai sostenitori dell’Ucraina. Ma c’è un problema: per quanto audace sia la legislazione, essa equivarrebbe a lanciare una guerra commerciale con quasi tutto il resto del mondo, tagliando il naso all’America per far dispetto al Presidente russo Vladimir Putin.

Nel frattempo, la stanchezza per l’Ucraina si fa sentire in Occidente. Il presidente polacco Duda ha fatto una dichiarazione piuttosto provocatoria, minacciando essenzialmente di chiudere il gasdotto dell’aeroporto di Rzeszow verso l’Ucraina, che è di gran lunga il nodo di armi più critico della NATO:

In chiusura, il venditore di olio di serpente “Hissing Hegseth” ha pubblicato questo nuovo spot pubblicitario che fa rabbrividire, per annunciare la prossima era del “dominio dei droni” americano:

Sembra che sotto Trump l’America continui il suo rituale dionisiaco di umiliazione. O questo o la sua trasformazione in una sorta di bazar-casinò kitsch, campeggiante, post-capitalista e distopico.

Insomma, il tipo di luogo che questa ristrutturazione della Casa Bianca è adatta a simboleggiare:


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