Russia Ucraina, il conflitto! 58a puntata Segni di sbandamento Con Max Bonelli

La pressione delle forze militari russe non è più occasionale e localizzata. Sono numerosi i punti del fronte sul quale l’esercito ucraino non solo arretra, ma si rivela incapace di ribattere o, quantomeno, di organizzare una difesa dinamica. Il regime ucraino è chiaramente la prima vittima della propria narrazione; le seconde sono i paesi europei che si sono accodati alle scelte statunitensi ciniche ed avventuriste. Due anni di conflitto mostrano i segni evidenti di logoramento ed esaurimento delle forze ucraine e i limiti della potenza statunitense, pur con tutta la consorteria al seguito. Nella foto di copertina Paul Massaro, appena nominato Direttore delle Risorse Umane della Commissione di Helsinki. La Commissione Helsinki degli Stati Uniti monitora i diritti umani e la cooperazione internazionale in 57 paesi. Il distintivo esibito sulla giacca vale più di tante parole.

Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Punti fondamentali del conflitto sionista israelo-arabo-palestinese, di Vladislav B. Sotirović

Punti fondamentali del conflitto sionista israelo-arabo-palestinese

Di che cosa si tratta?

Il conflitto sionista israelo-arabo-palestinese è oggi uno dei problemi di sicurezza globale più importanti da affrontare, se non il più importante. Tuttavia, questo conflitto non è storicamente molto antico: è una questione piuttosto moderna, che risale, infatti, al Primo Congresso Sionista del 1897. La domanda centrale è: che cos’è il conflitto? In altre parole: Per cosa combattono i due diversi gruppi?

A prima vista, si può capire che dietro le ragioni del conflitto c’è una confessione, poiché questi due popoli sono di confessioni diverse: gli ebrei sono prevalentemente giudaici, mentre la confessione palestinese predominante è l’Islam, ma comprende anche cristiani e drusi. Tuttavia, le ovvie differenze religiose non sono la causa fondamentale della lotta. In realtà, il conflitto è iniziato un secolo fa e continua ad essere una lotta per la terra.

La Palestina, la terra rivendicata da entrambe le parti, era conosciuta con questo termine nelle relazioni internazionali (IR) dal 1918 al 1948. Inoltre, lo stesso termine è stato applicato dall’Islam, dal Cristianesimo e dall’Ebraismo per designare la Terra Santa. Tuttavia, a seguito delle guerre dal 1948 al 1967 tra gli arabi e Israele, questa terra (circa 10.000 miglia quadrate) è diventata oggi divisa in tre parti: 1) Israele; 2) la Cisgiordania e la Striscia di Gaza.

Tuttavia, entrambi i gruppi hanno un background diverso nel rivendicare questa terra per sé:

1. Le rivendicazioni ebraiche sioniste sulla Palestina si fondano sulla promessa biblica ad Abramo e a tutti i suoi discendenti. Le basi storiche di tali rivendicazioni si fondano sul fatto che sul territorio della Palestina sono stati stabiliti gli antichi regni degli ebrei: Israele e Giudea. Dal punto di vista politico, questa rivendicazione storica è sostenuta dalla necessità degli ebrei di avere uno Stato-nazione per liberarsi dall’antisemitismo europeo, soprattutto dopo l’olocausto della Seconda guerra mondiale.

2. Gli arabi palestinesi rivendicano la stessa terra sulla base del fatto che vivono in Palestina da centinaia di anni e che erano la maggioranza demografica fino al 1948. Inoltre, essi rifiutano la nozione confessionale-ideologica degli ebrei sionisti, secondo cui i regni ebraici basati sull’Antico Testamento possono costituire un fondamento razionale e morale/scientifico da utilizzare per una rivendicazione moderna accettabile, soprattutto tenendo conto del fatto che gli ebrei lasciarono la Palestina dopo l’occupazione dell’Impero romano nel I secolo d.C. (per 2000 anni!). Tuttavia, gli arabi palestinesi utilizzano anche gli argomenti della Bibbia e, quindi, sostengono che il figlio di Abramo, Ismaele, è il capostipite degli arabi e che Dio ha promesso la Terra Santa a tutti i figli di Abramo, il che significa semplicemente anche agli arabi (gli arabi sono semiti come gli ebrei). Ma la questione cruciale dal punto di vista degli arabi palestinesi è che essi non possono dimenticare la Palestina come una questione di compensazione per l’olocausto contro gli ebrei commesso in Europa (al quale gli arabi palestinesi non hanno partecipato affatto).

I palestinesi e la diaspora

Il termine palestinese, dal punto di vista storico-politico, si riferisce oggi a quei popoli della Palestina le cui radici storiche sono riconducibili a questa terra, così come definita dai confini del Mandato britannico, e cioè agli arabi di confessione cristiana, musulmana o drusa. Si stima che oggi circa 5,6 milioni di palestinesi vivano all’interno dei confini della Palestina del Mandato Britannico, oggi divisa in tre parti: 1) lo Stato di Israele sionista; 2) il territorio della Cisgiordania; 3) la Striscia di Gaza. Gli ultimi due sono stati occupati da Israele durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967. Si afferma inoltre che oggi circa 1,5 milioni di palestinesi vivono come cittadini di Israele. Pertanto, i palestinesi costituiscono circa il 20% della popolazione israeliana. Inoltre, circa 2,6 milioni di palestinesi vivono in Cisgiordania, di cui 200.000 a Gerusalemme Est, e circa 1,6 milioni nella Striscia di Gaza (almeno prima dell’attuale genocidio israeliano sui gazani, iniziato nell’ottobre 2023). Tuttavia, sono circa 5,6 milioni i palestinesi che vivono nella diaspora, al di fuori della Palestina, principalmente in Libano, Siria e Giordania.

Tra tutti i gruppi della diaspora palestinese, il più numeroso (circa 2,7 milioni) vive in Giordania (senza considerare il territorio della Cisgiordania che legalmente apparteneva al Regno di Giordania). Molti di loro vivono ancora nei campi profughi istituiti nel 1949, mentre altri sono diventati abitanti delle città. Alcuni rifugiati palestinesi si sono rifugiati in Arabia Saudita o in altri Stati arabi del Golfo, mentre altri si sono trasferiti in altri Paesi del Medio Oriente o nel resto del mondo. Tra tutti gli Stati arabi, solo la Giordania concesse la cittadinanza ai palestinesi che vivevano lì. Questo è diventato, tuttavia, il motivo formale per alcuni ebrei sionisti di sostenere che la Giordania è, di fatto, già uno Stato nazionale dei palestinesi e, quindi, non c’è alcun bisogno di creare uno Stato indipendente di Palestina. D’altra parte, però, molti palestinesi sostengono che gli Stati Uniti sono, fondamentalmente, lo Stato nazionale degli ebrei e, di conseguenza, Israele in Medio Oriente non ha bisogno di esistere (come secondo Stato nazionale degli ebrei).

Tuttavia, la situazione dei rifugiati palestinesi nel Sud del Libano è particolarmente disastrosa, poiché molti libanesi li incolpano della guerra civile che ha rovinato il Paese nel 1975-1991 e, pertanto, chiedono che tutti i palestinesi libanesi siano reinsediati altrove come condizione preliminare per ristabilire la pace nel Paese. Soprattutto i cristiani libanesi sono molto ansiosi di liberare il Paese dai palestinesi musulmani, poiché temono che i palestinesi stiano minando l’equilibrio religioso del Libano.

Palestinesi israeliani

Quando Israele fu proclamato Stato indipendente nel maggio del 1948, all’interno dei suoi confini c’erano solo 150.000 arabi palestinesi. Da un lato, a tutti loro fu concessa la cittadinanza israeliana, cioè automaticamente e con diritto di voto. Tuttavia, dall’altro lato, essi sono stati de facto cittadini di seconda classe (cioè la minoranza etnica e confessionale) proprio per il motivo che Israele è stato ufficialmente definito come Stato ebraico e Stato del popolo ebraico. Gli arabi palestinesi non sono gli ebrei (anche se entrambi sono semiti). La maggior parte dei palestinesi israeliani è stata sottoposta, prima della guerra arabo-israeliana del 1967, all’autorità militare che ha limitato la loro libertà di movimento e altri diritti civili come il lavoro, la libertà di parola, l’associazione, ecc. I palestinesi non potevano essere membri a pieno titolo della federazione sindacale israeliana (l’Histadrut) fino al 1965. Tuttavia, il problema principale era che lo Stato di Israele confiscò circa il 40% della terra palestinese per utilizzarla in progetti di sviluppo. Tuttavia, dalla maggior parte dei progetti di sviluppo dello Stato hanno tratto vantaggio soprattutto gli ebrei israeliani, ma non i palestinesi arabi israeliani.

Una delle rivendicazioni fondamentali degli arabi palestinesi in Israele è che tutte le autorità israeliane li discriminano sistematicamente, assegnando pochissime risorse per l’assistenza sanitaria, l’istruzione, i lavori pubblici, lo sviluppo economico o le risorse per le autorità governative municipali alle terre popolate da arabi. Un’altra affermazione generale è che i palestinesi israeliani sono sistematicamente discriminati anche per il diritto di preservare e sviluppare la loro identità culturale, nazionale e politica. Di fatto, fino al 1967 i palestinesi israeliani sono stati totalmente isolati dal mondo arabo, ma anche molto considerati dagli altri arabi come traditori che hanno lasciato per vivere nell’oppressivo Stato sionista anti-arabo di Israele. Tuttavia, dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, la maggioranza dei palestinesi israeliani è diventata più sicura di sé nella propria identità nazionale arabo-palestinese, soprattutto negli ultimi 20 anni, quando le autorità israeliane sioniste hanno proibito di commemorare la Nakba, ovvero l’espulsione o la fuga di almeno 500.000 arabi palestinesi nel 1948-1949 durante la prima guerra arabo-israeliana.

Dr. Vladislav B. Sotirović
Ex professore universitario
Vilnius, Lituania
Ricercatore presso il Centro di Studi Geostrategici
Belgrado, Serbia
www.geostrategy.rs
sotirovic1967@gmail.com
© Vladislav B. Sotirović 2024
Disclaimer personale: l’autore scrive per questa pubblicazione a titolo privato e non rappresenta nessuno o nessuna organizzazione, se non le sue opinioni personali. Nulla di quanto scritto dall’autore deve essere confuso con le opinioni editoriali o le posizioni ufficiali di altri media o istituzioni.

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25 APRILE: OGGI MENO CHE MAI, di Daniele Lanza

[parte prima: il buco nero*]
“ C’era una volta il Regno d’Italia. Sotto direzione di sua eccellenza il duce (che praticamente gioca a poker col destino di tutta la nazione) si imbarca in una guerra mondiale, conducendola assai modestamente per 3 anni. A metà del conflitto in corso, quando si presagisce la catastrofe imminente, la monarchia tenta furbamente di negoziare un’uscita onorevole dal conflitto – idealmente passando tra le schiere alleate ora vincenti (come cambiare squadra a metà della partita quando capisci chi vincerà): purtroppo però, gli angloamericani non sono integralmente rincretiniti e rigettano compromessi picareschi suggeriti (sorvoliamo ogni dettaglio) e impongono ciò che è naturale nella prospettiva di un vincitore: una RESA INCONDIZIONATA (con libertà da parte italiana di denominarla “armistizio” per motivi di immagine…). Nemmeno l’alto comando germanico è rincretinito purtroppo: ci si accorge molto per tempo delle manovre machiavelliche italiane, al punto che nel giro di 72 ore (tre giorni) dopo l’annuncio radio dell’armistizio hanno occupato metà della penisola e raccolto 1 milione di prigionieri, in blocco, quasi senza combattere. Come a dire, gli italiani cercano di raggirare sia nemici che alleati, ma non gli riesce per nulla nè con uno nè con l’altro.
STOP.
Come vedete ce l’abbiamo fatta: in 1 minuto di lettura siamo arrivati all’ 8 SETTEMBRE
Si parte da qui e non dal 25 aprile: l’armistizio è la matrice di tutto ciò che sarà e di tutto ciò che è stato (perchè la storia verrà riletta retroattivamente sulla base dei valori di cosa viene dopo tale data). Il prologo, il “MATRIX” della società italiana contemporanea.
Da quella sera in cui le trasmissioni radio dell’EIAR riportano a tutta la penisola il comunicato di Badoglio siamo di fronte a un BUCO NERO, un corridoio buio pervaso da una cacofonia assordante, un labirinto ingannevole per ogni singola anima coinvolta.
La società italiana, tutta assieme, transita in questo buco nero per circa 20 mesi, riemergendone soltanto alla conclusione formale del conflitto.
Un risveglio amaro, indescrivibile, colmo di macerie materiali e morali che impone una ridefinizione dell’identità collettiva, ovvero qualcosa di meno eroico e più umile rispetto all’immagine conquistatrice del regno d’Italia a direzione fascista (e abbiamo la repubblica democratica che ben conosciamo). Il problema è che anche in questa forma più “sobria” lo stato ha BISOGNO di eroi, di ricorrenze di patriottismo: qualsiasi stato ne ha bisogno, per darsi un fondamento dignitoso, fiero.
Certo che il caso nostrano nel 1945 è qualcosa di complicato assai come si può intuire: cosa ci sarebbe esattamente da celebrare ?! Una guerra mondiale condotta in modo imbarazzante e perduta in modo eclatante ? Il biennio di zona grigia che ne segue, degenerato in guerra civile ?
Un bel rebus. Altro non si può fare che risolverlo radicalmente e trasformare una sconfitta in una vittoria agli occhi della società che si andrà a governare.
Il triennio di imbarazzante guerra mussoliniana chiaramente non è celebrabile, e men che meno l’8 settembre (che è la fine del fascismo sì, ma è anche una sconfitta nazionale), quindi per forza di cose occorre concentrarsi sul biennio successivo e trovarvi qualcosa di “luminoso” che unisca in qualche modo gli animi, in un’istante – anche fugace – di memoria condivisa che sorvoli le centinaia fi migliaia di repubblichini e lo spartiacque all’interno della resistenza (bianchi, rossi, azzurri, verdi, gialli ed altro).
Beh, un solo momento può aver generato un respiro di sollievo in quasi tutti: quando si annuncia che la guerra sul suolo italiana è finita. Abbiamo il 25 APRILE pertanto. Questa data segna il termine del buco nero di cui parliamo: l’8 settembre e il 25 aprile sarebbero l’Alfa e l’Omega di un determinato percorso a rigore di logica.
Ecco, giusto il “rigore della logica” impone di fare alcune precisazioni al riguardo.
Nota preliminare: la ricorrenza in questione ad analizzarla con maggiore scrupolo, mostra una caratteristica singolare, nel senso che indica la FINE di qualcosa anzichè l’affermarsi di qualcosa (…).
Indica la fine delle zona grigia in cui si transitava da 20 mesi, la consolatoria sensazione che si prova alla fine di un incubo, sì: un “successo” dal carattere passivo – per così esprimersi – che non ha esattamente a vedere con un’oggettiva vittoria sul campo da parte degli italiani medesimi (il cui territorio è liberato dalle forze angloamericane che lo percorrono), anche se la retorica patriottica da allora in avanti imporrà una narrativa che sostiene l’esatto opposto.
L’elemento italiano, nel dato frangente storico – considerato nella sua totalità – sembra più una comparsa sul palcoscenico, una figura di contorno nel contesto di quel confronto finale feroce tra I due veri protagonisti del dramma (l’occidente anglosferico da un lato e l’Imperium continentale germanico dall’altro) cui capita di collidere l’uno contro l’altro proprio sul territorio della penisola, coinvolgendone indirettamente suoi abitanti che si trovano così coinvolti in un gioco più grande di loro e si agitano come tragici figuranti sullo sfondo: l’elemento italiano – per secolare esperienza – fa quello che può, si industria per sopravvivere, si batte, si dispera, ama e odia tutto ciò che si vuole, ma sul piano reale (scevro di retorica) non determina che poco del proprio destino futuro, che è in mano di forze superiori ad esso.
Nessuno può umanamente negare gli atti di valore, di generosità, di dignità che costellano la zona grigia dell’Italia nel 43-45, ma (mi rammarica molto ribadirlo) la realtà materiale fu tutta un’altra.
Una realtà dura questa, molto problematica, in quanto in esatta antitesi con quanto invece si pretende di affermare istituzionalmente con il 25 aprile: “Un popolo – gli italiani – che determina il proprio destino”. Il fulcro necessario, la condicio sine qua non di una qualsiasi narrazione patriottica in qualsiasi paese del mondo ha a che fare con l’autodeterminazione……….quella scintilla di volontarietà che distingue il servo dall’uomo libero.
Eppure – tragicamente – il nodo insolubile si colloca proprio qui: il popolo italiano non si è “liberato”. Non da solo almeno. Non si è liberato nel ventennio 1922-1943, non ha protestato negli anni della guerra, non si è liberato nemmeno nel tragico biennio 43-45, ma piuttosto è stato liberato (c’è una bella differenza) dalle forze alleate che strapparono la penisola al padrone precedente, armato di svastica.
Il popolo italiano “partecipa” attivamente sì, ma ad un processo di liberazione condotto da terzi, cioè da una potenza che ne sta INVADENDO il territorio, collocandolo nella propria sfera di influenza evitando che nazisti prima (o sovietici dopo) lo facciano. Un’influenza che difenderà a conserverà sino ai nostri giorni come si può osservare.
“Partecipazione” quella italiana, la cui natura si presterebbe a tante osservazioni: partecipazione….a favore di chi ? Tanti stavano coi repubblichini. E tra gli stessi resistenti la metà militava sotto la falce e il martello (che negli anni 40 non era quella di Berlinguer, ma quella di Stalin). Quale tipo di democrazia la società italiana ha realmente sostenuto ? Quale memoria condivisa ?
La memoria condivisa non è mai esistita: quanto si è ragginuto alla fine delle ostilità è stata una “tregua democratica” per evitare il collasso totale. Senza intervento esterno non ci sarebbe stato alcun vincitore (e l’intervento esterno non è certo stato effettuato con il beneficio degli italiani come obiettivo). Questo fa del biennio 43-45 più un ENIGMA identitario che non una pagina di storia celebrativa.
25 APRILE: OGGI MENO CHE MAI.
[parte seconda: la facciata*]
Secondo punto.
Nel capitolo precedente si è rievocato mestamente l’8 settembre, ma la retorica recita:” Se la patria muore l’8 settembre, rinasce poi il 25 aprile”.
Nella logica dell’ALFA ed OMEGA, si vorrebbe il 25 aprile come un nuovo inizio, come la conclusione di un tormentato processo di palingenesi di una società differente da quella precedente:
Sarebbe bello credervi, sarebbe consolatorio.
La realtà invece è che la data in questione, malgrado la carica consolatoria che porta in sè, non cessa comunque di essere figlia di una antecedente, ossia di quella catastrofe che fu l’8 settembre. Il 25 aprile può rivestire un valore simbolico per l’opinione pubblica interna (sorvoliamo pure le critiche di principio sollevate nel capitolo avanti), ma NON cambia assolutamente gli equilibri geopolitici che si sono affermati l’8 settembre: in parole altre la società italiana è libera di celebrare la propria libertà sul piano interno, la caduta del fascismo la ritrovata democrazia dei partiti e tutto il resto……….fermo restando che sul piano INTERNAZIONALE della politica estera, lo stato italiano è azzerato. Ha perduto (ceduto) quella parte della propria sovranità permanentemente, come usualmente accade dopo le sconfitte totali.
Morale: le istituzioni del dopoguerra, non potendo dotare il nuovo stato italiano di una sovrastruttura identitaria eroica, fatta di imperi e condottieri, non potendo sugellare tutto questo in una memorabile vittoria storica sul campo…..scelsero tutto quello che gli rimaneva sul momento, ovvero la data di fine dell ostilità sul territorio italiano, momento consolatorio per l’intera società o quasi.
Per riformulare con altre parole: nel voler dare agli italiani una data di riferimento per l’orgoglio nazionale, ma non potendo rifarsi ad un successo geopolitico materiale (che ovviamente non esisteva al termine di una guerra mondiale perduta), si fornì al posto di quest’ultimo l’euforia consolatoria affermatasi nella memoria collettiva verso la FINE del conflitto, negli ultimi giorni dello stesso. Come dire che giocoforza si è passati dalla celebrazione di un’oggettiva vittoria sul campo, alla celebrazione di uno stato d’animo (?!) diffuso nella società (il 25 aprile è questo), adeguatamente arricchito di una sovrastruttura atta ad enfatizzare il ruolo attivo dell’elemento italiano in modo che non passi da spettatore passivo degli eventi che si fa “liberare” da altri o nemmeno che sia “eroe per caso” coinvolto – sempre suo malgrado in cose più grandi di lui (…).
Questa mitologia patriottica nazionale post-fascismo volontariamente o meno traghetta l’intera Italia e la sua società in un equivoco semantico di grandi e gravi proporzioni…..
Il 25 APRILE si celebra una “vittoria” (se vogliamo considerarla tale), che però non fuoriesce dai margini della precedente sconfitta (8 settembre) che si colloca su un ordine di grandezza maggiore (leggere bene, questa è la chiave di tutto): gli equilibri geopolitici affermati dall’armistizio rimangono INALTERATI, a prescindere da cosa le istituzioni italiane democratiche decidono di celebrare. Il 25 aprile è quindi un evento che necessariamente si colloca entro I margini dello schema geopolitico angloamericano (successivamente “Atlantico”) senza alcun margine di autonomia: una data celebrativa ad uso e consumo esclusivamente INTERNO, una soddisfazione esclusivamente morale che nessun peso riveste nei reali rapporti di forza geopolitici che costituiscono la realtà internazionale.
Come dire “Lo stato italiano può comportarsi come vuole in politica interna e fare la celebrazioni che vuole: in materia estera tuttavia è e resta un satellite”.
Questa è la libertà “atlantica” che il biennio 43-45 ha portato alla penisola.
Da qui in avanti, tutto alla coscienza di chi legge (di seguito le varianti):
1 – coloro che criticheranno radicalmente ogni affermazione di questi interventi, scegliendo di continuare ad identificarsi nella retorica convenzionale con cui sono cresciuti.
2 – coloro che in fondo comprendono la realtà delle cose (senza dirlo ad alta voce) ma ai quali in fondo va bene così poiché si identificano con l’occidente atlantico e non auspicano ad altri sistemi, accettando anche l’assenza di sovranità italiana.
3 – coloro che ammettono la perdita di sovranità geopolitica, ma che in fondo non gli importa, che lo considerano un male necessario o in fondo un bene per punire l’Italia del passato imperialista.
4 – coloro che si identificheranno in quanto scrivo, ma con fondato timore di essere poi considerati fascisti ed altro a causa del non ossequio alla religione civile.
Si potrebbe continuare a lungo ma scelgo invece di fermarmi qui (…).
Da molti anni mi esprimo in merito al 25 aprile – da 100 angolature differenti – alle volte con più energia, altre con noia ed altre ancora non lo faccio proprio. Chi mi segue da sempre sa come la penso, pertanto se scrivo ancora qualcosa è per gli tutti gli altri, ma a anche così a questo punto non serve proseguire: chi voleva davvero comprendere l’ha fatto……..altrimenti non ha senso continuare.
Io NON celebro il 25 aprile.
Non nel senso di esserne CONTRO, collocandomi quindi con quelle che lo avversano da sempre (neofascisti), ma in un senso assai più radicale: io ne sono ontologicamente FUORI. Il 25 aprile non è una vittoria, ma una conseguenza di un danno di magnitudo maggiore avvenuto anteriormente (8 settembre). Chiunque fosse uscito “vincitore” da quel 25 aprile non lo sarebbe stato che di facciata: se avessero prevalso I repubblichini l’Italia sarebbe stata un satellite nazista di Berlino. Se avessero vinto gli angloamericani, sarebbe diventata una base atlantica nel Mediterraneo (è andata in porto questa variante). Non esiste una variante alternativa dove l’interesse italiano (indipendente) si afferma…….ma questo forse – se si vuole scavare ancora più in profondità – è una problematica le cui radici risalgono a molto prima e che vedono al centro una profondissima debolezza della politogenesi e dell’identità collettiva italiana di fondo: quella debolezza che nasce da un’imperfetta unità raggiunta nel secolo ancora precedente, che da vita ad un’identità ricca di ambizioni, ma fragile nel suo insieme, una grande FACCIATA incorniciata dell’azzurro dei Savoia (per I quali era la maggiore creazione) che permise ad un dittatore carnevalesco dalla mascella squadrata di inquadrarla per 20 anni (costruendo sulla superficie di tale facciata – insufficiente a gestire l’era dei movimenti di massa – un’ulteriore facciata sovrapposta ad essa, in camicia nera). Discorsi lunghi e già fatti da gente infinitamente più importante di me.
CONCLUSIONE: la matrice ATLANTICA di cui è intrisa l’identità italiana post-bellica, la simbiosi che si attua dal dopoguerra ad oggi percorrendo tre generazioni ormai, non è in grado di rappresentare la visione del mondo di cui sono portatore. D’altro canto ho un’altra cittadinanza adesso, che mi permette, moralmente, di vedere I fatti da una distanza che rende il tutto più nitido.
I gravi eventi geopolitici che stanno ridefinendo gli equilibri del mondo in questi anni, ne sono il banco di prova: lo stato italiano di fronte all’eventualità di un confronto NUCLEARE non ha nemmeno la possibilità di tirarsene fuori (non dico andare contro Washington, no, ma nemmeno di essere neutrale, come qualsiasi stato libero potrebbe fare. Il diritto di BASE di una sovranità geopolitica: la libertà di non essere trascinati a combattere in conflitti altrui).
Tutti I nodi vengono al pettine e quelli di 80 anni fa ce li troviamo davanti adesso: I nostri “liberatori” dell’era nazifascista, esigono ancora adesso, a molti decenni di distanza una fedeltà che contrappone lo stato italiano a “nemici” che non sarebbero tali in altre circostanze: I nemici geopolitici dell’anglosfera (USA/UK) sono diventati per meccanismo obbligato anche nemici dell’Italia. E pazienza finchè erano stati del terzo mondo, pazienza (ma già un po meno) sinchè erano gruppi terroristici……….ma ora si è passati anche alle maggiori potenze nucleari e convenzionali sul pianeta (Mosca e Pechino).
Sì, il 25 APRILE è attuale, attualissimo, nel senso che il passato – la sua eredità – ce la ritroviamo davanti agli occhi oggi, in tutta la sua pericolosità.
Come ogni anno auguro ad ognuno che mi segue dalla penisola, un buon 25 aprile: vi posso comprendere pur rimanendo delle mie opinioni. Mi auguro soltanto che ci si renda conto di cosa realmente significa e dove ci porta.
Andiamo oltre le facciate, ma proprio TUTTE: superata quella azzimata della monarchia, quella in camicia nera di Mussolini…..anche quella dell’indipendenza della repubblica democratica (incorniciata del blu atlantico) lo è, purtroppo.
Che coloro che vi liberarono dal nazifascismo facendo finire la seconda guerra mondiale…..non vi trascinino – 80 anni dopo – nella terza.
Il migliore augurio, di più non posso fare.
G. Meloni : “LA FINE DEL FASCISMO POSE LE BASI DELLA DEMOCRAZIA”.
Certamente.
Vi erano milioni di iscritti al partito nazionale fascista e poi -a guerra finita – vi furono milioni di tranquilli democratici (in molti casi i dati anagrafici coincidevano).
La democrazia a sua volta ha posto le basi per la fine del pianeta complice confronto nucleare globale.
Giorgia, mi domando quanti “ferventi democratici” come te vi siano in parlamento.
Della costituzione più bella del mondo non parlo perchè non sono ancora pronto per una denuncia per vilipendio (tuttavia sarebbe un’idea).
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Stati Uniti! La coperta troppo corta di un impero Con Gianfranco Campa

La leadership statunitense dominante inizia a presagire che la coperta di cui dispone non è sufficiente a coprire l’attuale impero. Una crisi, quindi, da sovraestensione cui porre in qualche maniera rimedio. I dilemmi da risolvere sono drammatici. Si tratta di consolidare con polso ferreo il controllo sull’area accessibile del proprio impero sul quale esercitare egemonia diretta ed estrazione spietata di risorse; il capro espiatorio designato è, a questo punto, l’Europa con la piena accondiscendenza delle sue élites. Si tratta di ridurre e concordare con i nuovi contendenti nell’agone internazionale, in primo luogo la Cina, le dinamiche di una globalizzazione dalla quale la formazione sociale degli Stati Uniti non può prescindere in tempi storicamente ragionevoli, pena il collasso interno, ma dalla quale anche la Cina potrebbe subire sconquassi traumatici in caso di collasso della intera rete costruita in questi ultimi decenni. La recente intervista alla Segretaria all’economia Raimondo, recentemente pubblicata, dietro la maschera dell’oltranzismo parossistico, cerca di delimitare, appunto, i confini di questo scontro http://italiaeilmondo.com/2024/04/23/cina-stati-uniti-capire-la-dottrina-raimondo-di-alessandro-aresu/ , in verità troppo ristretti per l’attuale leadership cinese. Un nodo gordiano quasi impossibile da sciogliere e del quale sembra approfittare sul piano dei consensi popolari Donald Trump parallelamente però al crescere della stretta soffocante della piovra tentacolare dei centri di potere che cercherà di soffocarlo presto o tardi. Nel frattempo sia in Europa, il polacco Duda oltre allo scontato Orban, che il leader liberale in Giappone, figure politiche inaspettate sembrano cogliere il vento che spira oltreatlantico. Opportunismo e trasformismo di chi? Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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SITREP 27/04/24: Gli Stati Uniti ammettono i principali fallimenti legati alle armi della superiore guerra elettronica russa, di SIMPLICIUS

Un aggiornamento relativamente sparso oggi più come un pezzo di riempimento e un’aggiunta all’ultimo SitRep per il quale ci sono stati alcuni interessanti aggiornamenti di attualità.

In primo luogo, l’ultima volta ho postato il capo del supporto di ricognizione aerea dell’Ucraina, Maria Berlinskaya, affermando come i sistemi occidentali in Ucraina si siano rivelati inutili a causa del potere dell’EW russo. In effetti, lo pubblicherò di nuovo solo per averlo tutto sotto lo stesso tetto per coloro che non hanno letto il precedente SitRep, e perché penso che questo particolare thread sia così importante:

Bene, ora abbiamo la conferma di altissimo livello di quanto sopra da parte di un vero funzionario statunitense. Il sottosegretario alla Difesa per l’acquisizione e il sostegno, William Laplante, ha appena lanciato un’importante notizia bomba che dovrebbe offuscare ogni speranza di grandi trionfi dell’ATACMS, come tanti attendono con vano vuoto:

Esatto: in un panel per il Centro per gli studi strategici e internazionali , Laplante ha ammesso apertamente che i tanto pubblicizzati GLSDB si sono rivelati un miserabile fallimento a causa degli ambienti di disturbo russi. Alcuni hanno giustamente proposto che ciò sia dovuto al fatto che una bomba planante SDB è piuttosto lenta una volta staccata dal razzo booster HIMARS. E quindi, mentre rallenta mentre plana verso il bersaglio, deve sorvolare molto spazio aereo conteso EW che gradualmente degrada la sua correzione di rotta GPS sempre di più finché il suo targeting non è lontano nel momento in cui raggiunge il bersaglio reale.

Una spiegazione tecnica dettagliata è stata fornita dal canale Telegram di The Right People Z:

È stato confermato che le antenne dei moduli di correzione GPS integrati nei sistemi di guida e controllo dei missili guidati GLSDB ibridi GBU-39/B da 227 mm hanno una bassa immunità alle interferenze. Lo ha ricordato ancora una volta il sottosegretario americano alla Difesa per gli Acquisizioni e le Forniture Bill LaPlante durante la conferenza del Centro statunitense per gli studi strategici e internazionali (CSIS).

È ovvio che il ricevitore GPS presentato dalla Boeing Corporation come GPS anti-jam ha perso completamente la sua efficacia nella difficile situazione di jam nello spazio aereo sopra il Donbass.

Nonostante la posizione orientata verso l’alto di questi moduli antenna, i complessi EW “Zhitel” (“Житель”), “Field-21” (“Поле-21”) e “Serp-VS5” (“Серп-ВС5”) sopprimono facilmente il loro canale di ricezione, il che porta ad un aumento della probabile deviazione circolare delle bombe GBU-39/B da 1,5 – 3 a diverse decine di metri, riducendo la loro efficacia a livelli inaccettabili.

Al contrario, le antenne GLONASS/GPS domestiche “Kometa-A/M/R8” (“Комета-А/М/Р8”) sono in grado di resistere alle interferenze della maggior parte dei mezzi EW nemici che operano nella banda L.

Ciò ha una serie di implicazioni molto importanti, poiché si tratta di una delle principali armi d’attacco aria-terra della NATO e, a causa del suo utilizzo in Ucraina, è diventata inefficace, il che farà il suo uso futuro contro rivali come Cina o Iran e ancora più attori locali inefficaci.

Altri sistemi d’arma non solo volano più velocemente e trascorrono meno tempo sotto l’influenza dell’EW, ma hanno anche altre ridondanze di mira che mancano ai sistemi semplificati come GLSDB e JDAM-ER. Ad esempio, sistemi più sofisticati come i missili da crociera (Storm Shadow, Kh-101, ecc.) o anche alcuni missili balistici come i ROCKS (Sparrow) recentemente utilizzati da Israele o gli Iskander russi hanno una guida terminale optoelettrica sotto forma di DSMAC (Digital Scene -matching Area Correlator) che consentono loro di visualizzare il bersaglio con una telecamera e abbinarlo a un’immagine pre-programmata per correggere la rotta. Ciò significa che anche se il GPS è bloccato, potrebbero comunque colpire con precisione il bersaglio grazie a quella che è effettivamente una modalità di guida visiva dell’IA. Ma questi sistemi sono estremamente sofisticati e costosi, e il punto centrale del GLSDB era che veniva pubblicizzato come un’alternativa economica, utilizzando vecchie scorte di bombe SDB super economiche montate sui booster HIMARS.

Questo è probabilmente lo stesso motivo per cui i JDAM-ER si sono rivelati un triste fallimento, poiché funzionano in modo quasi identico agli SDB plananti e sono già noti da tempo per essere altamente suscettibili all’EW da parte del Pentagono americano, anche molto prima della guerra in Ucraina.

Ma è qui che l’industria della difesa russa ha dimostrato al tempo stesso la sua ingegnosità e resiliente adattabilità: mentre le bombe plananti russe dell’UMPK in teoria soffrirebbero dello stesso identico problema, e probabilmente lo hanno fatto , il che spiegherebbe alcuni dei primi rapporti sulla loro “inesattezza” da parte di Dal lato ucraino, gli ingegneri russi si sono adattati rapidamente. Ricordiamo i miei precedenti rapporti sui nuovi moduli ricetrasmettitori satellitari Kometa-M installati non solo sugli Iskander ma anche sugli UMPK.

Allo stesso modo gli UMPK russi iniziarono con solo 4 o meno ricevitori Kometa, e dopo qualche tempo furono aggiornati a 8, che ora li rendono molto più impermeabili ai segnali EW e quindi molto più accurati, poiché la correzione Glonass/GPS non è così degradata quando si sorvola un Ambiente EMI.

E su questo argomento, abbiamo le ultime novità:

Esatto, l’Ucraina ora ha ufficialmente ritirato dalla linea i suoi Abrams perché si sono rivelati inefficaci. Dall’articolo : 

Il funzionario ha parlato in condizione di anonimato per fornire un aggiornamento sul sostegno americano alle armi all’Ucraina prima della riunione del Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina di venerdì.

Per ora, i carri armati sono stati spostati dalla prima linea e gli Stati Uniti lavoreranno con gli ucraini per reimpostare le tattiche , hanno detto il vicepresidente dei capi di stato maggiore congiunti, ammiraglio Christopher Grady e un terzo funzionario della difesa che hanno confermato lo spostamento a condizione di anonimato. .

“Quando si pensa al modo in cui si è evoluto il combattimento, i mezzi corazzati ammassati in un ambiente in cui i sistemi aerei senza pilota sono onnipresenti possono essere a rischio”, ha detto Grady all’AP in un’intervista questa settimana, aggiungendo che i carri armati sono ancora importanti.

“Ora c’è un modo per farlo”, ha detto. “Lavoreremo con i nostri partner ucraini e altri partner sul campo, per aiutarli a pensare a come potrebbero usarlo, in quel tipo di ambiente cambiato ora. , dove tutto si vede immediatamente.”

Tutto questo arriva sulla scia di un altro interessante articolo del NYTimes:

Alcuni potrebbero ricordare che in precedenza ho trattato iniziative come il Project Maven del DOD, in articoli come questo .

Ma nel nuovo articolo, David E. Sanger scrive che i risultati di questo sforzo combinato di Google e DARPA per istituire un “back-end” basato sull’intelligenza artificiale per elaborare vaste quantità di dati di sorveglianza del campo di battaglia sono stati in realtà “misti”.

Che ne dici delle ammissioni?

I primi due anni di conflitto hanno anche dimostrato che la Russia si sta adattando, molto più rapidamente del previsto, alla tecnologia che ha dato all’Ucraina un vantaggio iniziale.

E un altro che conferma il precedente snafu di GLSDB:

Nel primo anno di guerra, la Russia utilizzò a malapena le sue capacità di guerra elettronica. Oggi ne ha fatto pieno uso, confondendo le ondate di droni che gli Stati Uniti hanno contribuito a fornire. Persino i temibili missili HIMARS che il presidente Biden si è tormentato per aver donato a Kiev, che avrebbero dovuto fare un’enorme differenza sul campo di battaglia, a volte sono stati mal indirizzati mentre i russi imparavano a interferire con i sistemi di guida.

L’articolo prosegue nominando e descrivendo il cuore fisico di questo “backend” della NATO che descrivo ormai da più di un anno:

Cita l’ex CEO di Google Schmidt come il principale impulso dietro la nuova spinta dell’Ucraina verso i droni IA autonomi che possono cacciare obiettivi umani da soli dopo che il loro segnale è stato interrotto da EW.

Alla fine, però, l’articolo confessa che questi progressi tecnologici non saranno sufficienti per sconfiggere la Russia, che si sta adattando altrettanto rapidamente agli sviluppi del campo di battaglia, ma in realtà ha la produzione manifatturiera in aggiunta a quella che manca all’Ucraina. In breve: entrambe le parti detengono vantaggi chiave asimmetrici rispetto all’altra, ma la Russia si sta avvicinando al vantaggio occidentale del satellite ISR – in particolare della costellazione di satelliti Starlink – mentre l’Ucraina non sta facendo alcun progresso verso la massiccia produzione di munizioni e armature della Russia.

Successivamente, menzioniamo brevemente alcuni degli sviluppi in corso sul campo di battaglia. La situazione nel settore nord-occidentale di Avdeevka continua a peggiorare per le AFU, con un flusso costante di denunce rivelatrici e talvolta urgenti provenienti dai loro canali che ci forniscono informazioni.

Ecco un soldato della 115a Brigata dell’AFU che fornisce un aggiornamento:

Leggi cosa dice: “La mia azienda è stata letteralmente distrutta”.

Si lamenta del fatto che la leadership li butti via come carne, e prosegue:

A ciò sono seguite le dichiarazioni di alcuni dei più noti account OSINT pro-UA con il maggior numero di follower:

E MSM è intervenuto sulla situazione attuale:

Quanto sopra è culminato in una situazione in cui tutto tra Ocheretyne e Novokalinov è ora in una caldaia, con Keramik che si dice sia stato completamente abbandonato oggi dalle AFU in ritirata:

I rapporti di ieri indicavano che le truppe russe stavano già entrando anche nella periferia di Arkhangelske.

Ciò ha portato anche i più ardenti “esperti” e sostenitori dell’Ucraina ad ammettere che le AFU potrebbero dover ripiegare drasticamente su una nuova linea difensiva dietro il fiume Vovcha, abbandonando almeno una dozzina o più di chilometri di terra:

Ricordo che nel mio ultimo rapporto ho riportato le parole di un ufficiale ucraino che temeva che la Russia si stesse lentamente posizionando per mettere Pokrovsk sotto la punta di una lancia. Allora sembrava improbabile perché Pokrovsk sembrava ancora lontana. Ma se le AFU dovessero ripiegare sul Vovcha, le forze russe si troverebbero a circa 20 km di distanza attraverso un territorio scarsamente difeso e non fortificato come l’area ora invasa:

In effetti, sotto si può vedere la linea blu che termina al suo bordo occidentale su quelle che, secondo quanto riferito, sono le più recenti fortificazioni difensive dell’Ucraina, costruite tra gennaio e febbraio di quest’anno. Ciò significa che le forze russe sono già a circa 1,5 km da esso:

Molto più a ovest nella mappa sopra, tra Prohres e Vesele, si può vedere un gigantesco fossato cisterna costruito dall’Ucraina e che doveva essere la sua principale linea di difesa prima del fronte di Pokrovsk.

A proposito, parlando di fossati per carri armati, ricordate tutte le voci sull’appropriazione indebita di fondi quando si trattava di costruire fortificazioni difensive? Un tempestivo lapsus freudiano trasmesso dalla TV ucraina ha praticamente confermato i nostri sospetti:

Appena a sud di lì, le forze russe continuano ad arrampicarsi attraverso Krasnogorovka, dirigendosi verso il centro della città più grande:

Un eminente soldato ucraino fornisce un aggiornamento triste e amaro dal fronte di Ocheretyne:

L’avanzata russa nel settore di Avdeevka risale all’ottobre dello scorso anno, quando iniziò l’assalto:

Passando ad altre notizie, la notte scorsa la Russia ha nuovamente colpito 4 centrali termoelettriche ucraine con una serie di armi, dai Kinzhal, ai missili da crociera Kalibr lanciati dal mare, ai Kh-101 dei Tu-95, come al solito.

Il nemico conferma la sconfitta delle centrali termoelettriche nelle regioni di Ivano-Frankivsk, Dnepropetrovsk e Lvov. In totale sono stati segnalati arrivi in ​​4 centrali elettriche.

Anche l’Ucraina ha colpito una raffineria di petrolio russa a Krasnodar:

Ma puoi vedere chiaramente la differenza nel danno. Pochi serbatoi di carburante che possono essere sostituiti in ore o giorni rispetto a un intero gruppo di centrali elettriche con sala turbine, che è praticamente insostituibile.

Inoltre, la Russia avrebbe iniziato a mettere “gabbie di copertura” o sistemi di reti sui serbatoi della raffineria:

In un altro bizzarro sviluppo, l’Ucraina ha apparentemente utilizzato un aereo a elica Yak-52 per abbattere un drone russo Orlan nell’ovest del paese:

Immagino che quegli F-16 non si trovassero da nessuna parte.

Ieri Blinken è stato umiliato nella sua visita in Cina. Non solo non è stato accolto come di consueto sull’asfalto, senza tappeto rosso o entourage ufficiale, ma mentre si attendeva l’arrivo di Blinken, il Presidente Xi è stato addirittura sentito chiedere con impazienza quando il piagnucoloso apparatchik con la faccia da topo avrebbe lasciato il Paese:

Xi e la Cina non hanno più pazienza per le lezioni irrispettose degli Stati Uniti.

L’inutile visita è stata coronata dal fatto che la Cina, secondo quanto riferito, non ha inviato alcun funzionario per fare gli auguri a Blinken, che è stato invece accompagnato dall’ambasciatore degli Stati Uniti di stanza in Cina:

In un altro sviluppo scoraggiante per l’Ucraina, è stato ora rivelato che la maggior parte degli armamenti sponsorizzati dai nuovi aiuti statunitensi non arriveranno in realtà al Paese in rovina per anni:

Leggere la parte centrale:

“L’equipaggiamento – che comprende anche munizioni per i sistemi missilistici di artiglieria ad alta mobilità e per i sistemi missilistici di superficie avanzati nazionali – probabilmentenon arriverà in Ucraina prima di diversi anni, poiché i fondi sono stati stanziati nell’ambito dell’Iniziativa di assistenza alla sicurezza dell’Ucraina. Nell’ambito dell’USAI, il Pentagono stipula contratti con aziende americane del settore della difesa per la costruzione di nuovi equipaggiamenti per l’Ucraina, invece di attingere dalle scorte statunitensi”.

Ops.

Anche i sostenitori dell’UA sono stati costretti a cedere amaramente:

Guai all’Ucraina.

Questo fa seguito a diversi altri articoli che affermano i problemi che l’Europa sta incontrando nel reperire munizioni vere e proprie per l’Ucraina:

A conferma di una delle nostre ultime linee guida sul tentativo degli Stati Uniti di scaricare l’Ucraina sull’Europa, vediamo anche titoli come il seguente:

Nel frattempo, la Germania ammette che la Russia sta producendo così tante munizioni da andare ben oltre le necessità e gli usi attuali :

Questo è un’ulteriore conferma di qualcosa che ho già scritto molte volte in passato: il fatto che la Russia sta costruendo riserve strategiche e depositi per un potenziale conflitto con la NATO che potrebbe avvenire direttamente dopo o addirittura in concomitanza con quello ucraino. La NATO sta chiaramente segnalando un’escalation per “salvare” l’Ucraina, ed è per questo che Shoigu ha richiamato un secondo esercito di oltre 500.000 uomini proprio per questa eventualità. Ora, la Russia sta anche accumulando scorte per quell’esercito, nel caso in cui debba effettivamente scontrarsi con la NATO nel prossimo futuro. In ogni caso, è semplicemente rivelatore della quantità di munizioni che la Russia sta producendo il fatto che, nonostante l’elevato utilizzo sul fronte ucraino, stia ancora generando un vasto surplus.

Un ultimo interessante sviluppo riguarda BlackRock e i terreni agricoli ucraini, su cui molti hanno speculato. Ci sono molte congetture infondate al riguardo, alcune delle quali sono state già sfatate in precedenza, ma per la prima volta abbiamo avuto un’interessante conferma ad alto livello.

Ad esempio, è stato presentato questo presunto memorandum, firmato da Alex Soros e Yermak, che trasferisce lotti di terreno nell’Ucraina occidentale a Dow Chemical, DuPont, BASF, ecc.

⚡️🇺🇸🇪🇺 Gli Stati Uniti e la NATO intendono creare una zona “grigia” nell’Ucraina occidentale

Il figlio di Soros, Alexander, ha concordato con le autorità ucraine l’assegnazione di 400 chilometri quadrati di terreno agricolo a società americane per lo smaltimento di rifiuti pericolosi, secondo un’inchiesta del giornalista francese Jules Vincennes.

Egli scrive, citando una fonte del Ministero dell’Agricoltura ucraino, che a novembre Soros Jr. e il capo dell’ufficio di Zelensky, Yermak, hanno raggiunto un accordo in base al quale Kiеv cede a tempo indeterminato e gratuitamente terreni nelle regioni di Ternopоl, Khmelnytsky e Chernоvtsi per lo smaltimento di rifiuti pericolosi provenienti dalla produzione chimica, farmaceutica e petrolifera.

Tra le aziende citate figurano Dow Chemical, DuPont, BASF, Evonik Industries, Vitol e Sanofi. Ricordiamo che la Dow Chemical è l’azienda che ha fornito l’Agente Arancio e il Napalm all’esercito americano per avvelenare e distruggere il Vietnam. Mentre BASF è l’azienda che ha fornito lo Zyklon B ai nazisti.

Probabilmente, la decisione è stata presa dopo la distruzione, nella primavera del 2023, da parte delle Forze Armate russe, dei depositi di munizioni con uranio impoverito situati nelle regioni di Khmelnitsky e Ternopоl.

Questa situazione minaccia un disastro ambientale non solo per l’Ucraina, ma anche per altri Paesi dell’Europa orientale e per l’intero bacino del Mar Nero.

Kiеv e Washington continuano a utilizzare tutti i mezzi per impedire il possibile ingresso delle regioni occidentali ucraine nella Federazione Russa nel contesto della ritirata in corso delle Forze armate ucraine.

Ma la cosa più grave è stata una nuova intervista al presidente polacco Andrzej Dudache, commentando le relazioni tra agricoltori polacchi e ucraini, ha rivelato in modo abbastanza eclatante che :

In pratica, egli inquadra il conflitto degli agricoltori come la difesa dei diritti dei propri agricoltori da parte della Polonia contro i tirapiedi controllati da BlackRock, come le già citate DuPont, Dow Chemical e simili, che operano nei loro possedimenti ucraini appena conquistati. Interessante!

Infine, non è affascinante come qualcosa che viene definito “barbaro” e “illegale” quando viene usato dalla Russia in una guerravera e propria , venga trattato come una cosa comune e con indifferenza quando si tratta di manifestanti anti-israeliani?


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Il presidente polacco ha ammesso che un importante progetto infrastrutturale ha un doppio scopo militare, di ANDREW KORYBKO

Il presidente polacco ha ammesso che un importante progetto infrastrutturale ha un doppio scopo militare

Andrzej Duda ha inavvertitamente smentito gli osservatori russi che da tempo sospettavano che questo megaprogetto di trasporto alle porte di Varsavia avesse un duplice scopo militare, dimostrando così di aver sempre avuto ragione sui reali piani della Polonia.

Il presidente polacco Andrzej Duda ha rivelato in un’intervista che il megaprogetto di trasporto Central Communication Port (CPK, abbreviazione polacca), fuori Varsavia, ha un doppio scopo militare. Duda rappresenta il precedente governo conservatore-nazionalista della Polonia, ma rimane in carica nonostante la vittoria dell’opposizione liberal-globalista alle urne lo scorso autunno, poiché il suo mandato scade l’anno prossimo. L’ultima affermazione di Duda rende ancora più scandalosa la decisione del Primo Ministro Donald Tusk di sospendere e revisionare il CPK.

All’epoca si analizzò il fatto che stesse subordinando economicamente la Polonia alla Germania dopo averlo già fatto sul fronte politico e militare, il che ha dato credito all’avvertimento del leader conservatore-nazionalista Jaroslaw Kaczynski, alla fine dello scorso anno, secondo cui Tusk è in realtà un “agente tedesco“. Tusk ha poi subordinato il suo Paese al vicino sul fronte educativo, giudiziario e diplomatico, il tutto con il pretesto di attuare varie “riforme”.

Il risultato finale è che la Polonia svolge ora un ruolo indispensabile nella “Fortezza Europa” della Germania, di cui si è parlato qui, ma l’inattesa rivelazione di Duda sul duplice scopo militare del CPK potrebbe invertire un po’ il ritmo, esercitando una pressione popolare ed esterna su Tusk affinché approvi il CPK. Secondo gli ultimi sondaggi citati dall’interlocutore di Duda, la maggior parte dei polacchi è favorevole a questo megaprogetto di trasporto, mentre gli Stati Uniti hanno interesse a usare la Polonia come trampolino di lancio militare anti-russo.

Ecco cosa ha detto Duda secondo Google Translate: “Non è un segreto per nessuno, e lo sottolineo: Se si verificasse una situazione di potenziale pericolo per la Polonia e fosse necessario il trasferimento di ulteriori forze alleate in Polonia per difendere il nostro territorio, attualmente non abbiamo un aeroporto in grado di fornire tale supporto all’Occidente per venire rapidamente in Polonia”. Questo richiamo vuole sottintendere che Tusk stia danneggiando i piani di emergenza della NATO per motivi di parte.

Si tratta anche di un fischietto che riporta a ciò che il ministro della Difesa del precedente governo conservatore-nazionalista ha affermato sui suoi predecessori liberal-globalisti riguardo ai piani difensivi di Tusk durante i due precedenti mandati. Mariusz Blaszczak sosteneva che il governo di Tusk aveva pianificato di ritirarsi a ovest della Vistola, nella fantasia politica che la Russia avesse invaso la Polonia, fino all’arrivo dei rinforzi della NATO e sosteneva di avere anche i documenti riservati che lo dimostravano.

Il precedente periodo di potere di Tusk è stato segnato dal riavvicinamento russo-polacco, probabilmente consigliato dalla Germania, che avrebbe dovuto creare un'”Europa da Lisbona a Vladivostok” durante l’epoca felice delle relazioni tra Russia e UE. Queste speranze sono state ovviamente deluse, come tutti sanno, e i successori conservatori-nazionalisti di Tusk non hanno mai perso l’occasione di ipotizzare che la sua politica pragmatica dell’epoca fosse dovuta a una segreta influenza russa sul suo governo.

L’accusa di Blaszczak dovrebbe essere vista sotto questa luce, così come il richiamo di Duda. Il loro movimento conservatore-nazionalista ha cercato di sfruttare la russofobia politica della società polacca prima delle elezioni per rimanere al potere, ma anche se non ha funzionato, non ha imparato la lezione e ora sta cercando di usarla di nuovo nel tentativo di tornare al potere un giorno. Detto questo, è importante che i polacchi siano consapevoli di entrambi i fatti, dopodiché potranno decidere da soli.

Rivelare dettagli presumibilmente riservati sulla politica di difesa nazionale polacca, ormai obsoleta, è una cosa, mentre sensibilizzare l’opinione pubblica su come l’eventuale cancellazione del più grande megaprogetto del Paese a memoria d’uomo potrebbe avere un impatto sulla sicurezza nazionale in situazioni teoriche (per non parlare della perdita di molti posti di lavoro) è un’altra. La prima divulgazione non è riuscita a rimodellare la percezione popolare dei liberali-globalisti, mentre la seconda ha maggiori possibilità di successo, anche se è troppo presto per concludere che lo farà.

Un altro punto a cui prestare attenzione è che non è la prima volta che Duda sgancia una notizia bomba su una questione importante. All’inizio di aprile, ha dichiarato ai media lituani che le aziende straniere possiedono la maggior parte dell’agricoltura industriale dell’Ucraina, confermando così ciò che era stato precedentemente riportato ma negato dall’Occidente. Ha quindi l’abitudine di essere molto schietto su questioni che ritiene sinceramente di immensa importanza per gli interessi nazionali oggettivi della Polonia.

A prescindere dall’opinione del lettore sulla probabilità che si realizzi lo scenario di Duda, che prevede che la Polonia si affidi al CPK come porto d’ingresso per un intervento NATO su larga scala in caso di invasione russa, il suo punto di vista su questo megaprogetto è militarmente e strategicamente valido. Sarà molto difficile per Tusk opporsi, dopo che lui stesso, da quando è tornato al potere, è salito sul carrozzone della Russia e continua a temere le sue intenzioni.

Il mese scorso ha addirittura fatto il passo più lungo della gamba affermando clamorosamente che “siamo in un’epoca di preguerra“, paragonata al periodo precedente la Seconda Guerra Mondiale, suggerendo così, con sincerità o meno, che presumibilmente crede che sia possibile che la Russia invada la Polonia nel prossimo futuro. Se alla fine decidesse di cancellare il CPK nonostante Duda gli ricordi il suo duplice scopo militare, allora screditerebbe le sue precedenti paure sulla Russia, che sono il pretesto per giustificare la subordinazione della Polonia alla Germania.

Tuttavia, Tusk potrebbe avere le mani legate, poiché la combinazione di pressioni popolari ed esterne (USA/NATO) potrebbe essere sufficiente a fargli riconsiderare l’armamento del CPK come parte della sua guerra partigiana contro i suoi avversari conservatori-nazionalisti, sotto i quali questo megaprogetto è stato avviato. In ogni caso, Duda ha inavvertitamente rivendicato gli osservatori russi che da tempo sospettavano che il CPK avesse un duplice scopo militare, dimostrando così di aver sempre avuto ragione sui reali piani della Polonia.

L’Asse anglo-americano dispiegherà armi nucleari in Polonia?

Qualsiasi decisione positiva sarebbe dettata da motivazioni puramente politiche, poiché non c’è alcuna necessità militare di aggiungere la Polonia al programma di condivisione nucleare.

Il presidente polacco Andrzej Duda haconfermato in un’intervista durante il suo ultimo viaggio negli Stati Uniti che “se i nostri alleati decidono di schierare armi nucleari come parte della condivisione nucleare anche sul nostro territorio per rafforzare la sicurezza del fianco orientale della NATO, siamo pronti. Siamo un alleato dell’Alleanza Nord Atlantica, e abbiamo anche degli obblighi in questo senso, cioè semplicemente attuare una politica comune”. All’ inizio del mese, l’ambasciatore russo in Polonia ha dichiarato a RT che gli Stati Uniti non hanno ancora accettato l’offerta della Polonia.

Non ha spiegato il motivo, ma non è una novità che la Polonia voglia ospitare le atomiche americane. L’unica ragione per cui fa notizia è che la sua conferma di questo intento arriva dopo il suo ultimo viaggio negli Stati Uniti e prima del prossimo vertice annuale della NATO che si terrà all’inizio di luglio. Inoltre, se si legge tra le righe, il suo riferimento ai “nostri alleati” in contrapposizione agli Stati Uniti (il Paese specifico di cui il suo interlocutore gli hachiesto di ospitare leatomiche ) suggerisce che la Polonia potrebbe eventualmente ospitare le atomiche britanniche.

L’asse anglo-americano lavora in tandem per condurre la guerraper procura della NATO contro la Russia attraverso l’Ucraina, e ciascuno di essi ha eccellenti legami bilaterali con la Polonia. Il Regno Unito ha anche dimostrato di essere più “audace” nel provocare apertamente la Russia rispetto agli Stati Uniti, come dimostrato dai suoi missili da crociera Storm Shadow e dall’assistenza all’Ucraina nel colpire obiettivi civili come il ponte di Crimea e le città della regione di Kherson. Non sarebbe quindi inverosimile se un giorno schierassero le loro bombe atomiche in Polonia prima degli Stati Uniti o al loro posto.

Estrapolando le motivazioni in gioco, il primo scenario potrebbe essere finalizzato a spostare l’ago della bilancia all’interno degli Stati Uniti, in modo che seguano l’esempio, proprio come era previsto per le precedenti consegne di armi. Per quanto riguarda il secondo, potrebbe essere dovuto al desiderio del Regno Unito di mantenere la sua “sfera d’influenza” nella regione attraverso laPolonia, leader dell Iniziativa dei Tre Mari, nonostante gli immensi guadagni ottenuti dalla Germania dopo il cambio di governo. In questo caso, gli Stati Uniti potrebbero approvarla per tenere sotto controllo l’influenza continentale della Germania attraverso il Regno Unito.

Per essere chiari, non c’è alcuna indicazione credibile che uno dei due membri dell’Asse anglo-americano sia interessato a dispiegare armi nucleari alla Polonia, che ha chiesto agli Stati Uniti di farlo, ma senza successo. Qualsiasi decisione positiva sarebbe dettata da motivazioni puramente politiche, poiché non vi è alcuna necessità militare di aggiungere la Polonia al programma di condivisione nucleare. Verrebbe presentata come una rappresaglia dopo che la Russia ha dispiegato delle testate nucleari tattiche in Bielorussia in seguito a un’azione di sabotaggio della NATO, mentre la Russia non ha fatto alcuna azione di sabotaggio contro il blocco.

Il contraccolpo, tuttavia, potrebbe essere che la Germania diventi gelosa e cominci a temere che la sua influenza continentale venga in parte sostituita dalla Polonia a causa del favoritismo dell’Asse anglo-americano nei suoi confronti. Il leader de facto dell’UE ospita già le testate nucleari statunitensi e un numero maggiore di forze militari dei suoi partner rispetto a qualsiasi altro Paese europeo, per cui l’espansione del suddetto programma alla Polonia potrebbe indurla a interrogarsi sui loro piani. In tal caso, potrebbe non essere così disposta a obbedire alle loro richieste nei confronti della Russia e, presto, della Cina.

Per non essere fraintesi, la Germania non “diserterebbe” in alcun modo dalla NATO all’Intesasino-russa , ma potrebbe solo essere più riluttante a sacrificare i propri interessi nazionali oggettivi (soprattutto economici in questo contesto) rispetto al prestigio percepito nei confronti della Polonia. In fin dei conti, la Germania probabilmente farebbe comunque i loro interessi, ma sarebbe più facile per loro se non si sentissero offesi dal fatto che la Polonia condivida una parte del prestigio percepito di ospitare armi nucleari.

Considerando gli interessi in gioco, anche se non si può escludere che l’Asse anglo-americano possa accettare di dispiegare armi nucleari in Polonia – sia in occasione del prossimo vertice della NATO all’inizio di luglio, sia in seguito – non c’è motivo di aspettarsi che ciò avvenga presto, a meno che non cambi qualcosa. Se la Russia riuscisse a fare un passo avanti sul fronte, a prescindere dal fatto che questo provochi un intervento convenzionale della NATO, allora potrebbe potenzialmente fungere da filo conduttore per questo scenario.

Il canale costruito dalla Cina in Cambogia è un audace progetto geoeconomico

Questo megaprogetto potrebbe rivoluzionare la società cambogiana nel giro di una generazione, se il Paese gioca bene le sue carte, ma rischia anche di fare il paio con la narrazione di paura anticinese degli Stati Uniti, se viene utilizzato per manipolare il Vietnam e indurlo a contenere più muscolarmente la Cina in mare.

Questo mese si è parlato molto del progetto della Cambogia di costruire il canale Funan Techo, che collegherà la capitale Phnom Penh al Mar Cinese Meridionale, invece di dipendere dai porti vietnamiti nel Delta del Mekong. La Cina finanzierà interamente questo progetto da 1,7 miliardi di dollari attraverso un accordo di Build-Operate-Transfer per i prossimi 40-50 anni, con la costruzione che dovrebbe iniziare quest’anno e concludersi nel 2028. Ecco cinque articoli recenti su questo progetto per l’interesse del lettore:

* Vietnam Briefing: “Perché il progetto del canale Funan Techo della Cambogia preoccupa il Vietnam“.

* The Diplomat: “Ilprogetto del canale cambogiano da 1,7 miliardi di dollari è oggetto di un crescente scrutinio“.

RT: “LaCina vuole letteralmente aggirare le sfide geopolitiche“.

* Fulcrum: “L’ansia geopolitica del Vietnam per il canale Funan Techo della Cambogia“.

* Diplomazia moderna: “Navigare nell’interesse nazionale: Ilprogetto del canale Funan Techo in Cambogia.

In sintesi, la Cambogia considera il più grande megaprogetto della regione nella storia recente come un mezzo per diventare un leader tessile globale riducendo i costi e la dipendenza strategica dal rivale storico Vietnam, mentre quest’ultimo è preoccupato da un nuovo rivale di mercato e dagli interessi cinesi. La Cina e la Cambogia hanno sempre negato che la prima abbia intenzione di basare forze militari nella seconda, ma i think tank statunitensi sostengono continuamente che stiano preparando qualcosa dietro le quinte, anche lasettimana scorsa.

In linea di principio, la Cambogia è uno Stato sovrano con il diritto di scegliere i propri partner, e l’offerta della Cina è molto allettante perché non costerà alla Cambogia un centesimo e potrebbe migliorare drasticamente il suo sviluppo socio-economico nel giro di una sola generazione, se il Paese gioca bene le sue carte. Il tasso di crescita del PIL sta per tornare alla media del 7% che caratterizzava l’era pre-pandemia e la manodopera a basso costo della Cambogia potrebbe combinarsi con gli investimenti cinesi all’estero per creare una formidabile forza di mercato in futuro.

Ridurre i costi di esportazione attraverso il canale Funan Techo e scongiurare preventivamente lo scenario di un Vietnam che armi la sua leva strategica sulla Cambogia, come Fulcrum ha ricordato ai lettori che l’ultima volta lo fece durante una faida nel 1994, è fondamentale per la sua programmata ascesa come leader tessile globale. In pratica, però, la crescente vicinanza della Cambogia alla Cina può servire da pretesto per ulteriori campagne di paura americane volte a creare problemi a Pechino nel Mar Cinese Meridionale e soprattutto ad Hanoi.

Come ha osservato Timur Fomenko di RT, “la competizione tra Pechino e Hanoi è complessa e intrecciata, ma tutt’altro che ostile. Le due nazioni hanno obiettivi diversi e contrastanti, ma anche molti obiettivi complementari, per i quali è vantaggioso per entrambe mantenere uno status quo cordiale”. Questo spiega perché il Vietnam sta avviando i lavori per due linee ferroviarie ad alta velocità verso la Cina, nonostante il dilemma della sicurezza sul territorio marittimo conteso e i sospetti del Vietnam sulle intenzioni cinesi in Cambogia.

La storia, però, getta un’ombra lunga su tutto. Fulcrum ha anche ricordato ai lettori che la dinastia Nguyen del Vietnam ha assorbito il territorio del Delta del Mekong della Cambogia nelXVIII secolo, il che ha poi posto le basi per la disputa territoriale che è servita da pretesto per l’intervento del Vietnam in Cambogia nel 1979-1989. Fu questo conflitto a trasformare l’ostilità sino-vietnamita in una guerra convenzionale durata un mese, dal febbraio al marzo 1979, che fu l’ultimo conflitto militare formale di Pechino.

Molte cose sono cambiate negli ultimi 40 anni, ma i fantasmi del passato influenzano ancora le percezioni attuali di queste tre parti, con gli Stati Uniti che hanno interesse a far arrabbiare tutti. Il Vietnam ha fatto un ottimo lavoro di multiallineamento tra le Grandi Potenze, come il modello indiano, bilanciandosi tra Russia e Stati Uniti e traendo profitto dalla Cina nonostante le tensioni. Allo stesso tempo, però, gli Stati Uniti hanno interesse a peggiorare il dilemma della sicurezza sino-vietnamita, facendo leva sulla paura della Cambogia.

A tal fine, la circolazione di voci su presunti piani militari segreti cino-cambogiani ha lo scopo di convincere il Vietnam a svolgere un ruolo più attivo nel contenimento della Cina nell’omonimo Mare del Sud. Gli Stati Uniti vogliono che il Vietnam svolga un ruolo complementare a quello delle Filippine in questo senso, anche se l’ospitalità di forze americane è esclusa per ragioni storiche e di diritto interno. Il gioco finale previsto è che queste due nazioni dell’ASEAN schiaccino la Cina in quello specchio d’acqua dai vettori occidentale e orientale.

La spiegazione di questi piani non deve essere interpretata come un’approvazione, né deve implicare che avranno successo. L’unico intento è quello di informare i lettori su quali sono gli interessi degli Stati Uniti e su come ci si aspetta che li portino avanti. Il Funan Techo Canal è un progetto geoeconomico audace che potrebbe rivoluzionare la società cambogiana nel giro di una generazione, se il Paese gioca bene le sue carte, ma rischia anche di fare il paio con la narrazione di paura anticinese degli Stati Uniti, se viene utilizzato per manipolare il Vietnam e indurlo a contenere più muscolarmente la Cina in mare.

I legami azero-americani non sarebbero più gli stessi se gli Stati Uniti sanzionassero i funzionari del paese

Sono già stati messi alla prova come mai prima d’ora, dopo che alcuni rappresentanti del Congresso hanno dato falso credito alle menzogne della lobby ultra-nazionalista armena, secondo cui l’Azerbaigian avrebbe fatto “pulizia etnica” dei loro co-etnici dal Karabakh.

Una bozza trapelata del cosiddetto “Azerbaijan Sanctions Review Act of 2024” è circolata lunedì in vista della sua presentazione, secondo quanto riferito, nel corso della settimana da parte della deputata Dina Titus, democratica del Nevada, il cui partito è notoriamente sotto l’influenza della lobby ultranazionalista armena. Se approvato, il documento obbligherebbe legalmente l’Amministrazione Biden a determinare se i 41 funzionari azeri finora elencati si siano impegnati a minare lo stato di diritto e i diritti umani nel Paese.

I legami azero-americani non saranno più gli stessi se gli Stati Uniti sanzioneranno i funzionari del Paese. Sono già stati messi alla prova come mai prima d’ora, dopo che alcuni rappresentanti del Congresso hanno dato falso credito alle menzogne della lobby armena ultranazionalista, secondo cui l’Azerbaigian avrebbe fatto “pulizia etnica” dei loro co-etnici dal Karabakh. Ciò è servito a sua volta come pretesto pubblico per gli Stati Uniti per orientarsi verso l’Armenia a spese dell’Azerbaigian, esplorando una partnershippolitica e militarecompleta con Erevan a partire da settembre.

Il logico culmine di questa tendenza in atto è che gli Stati Uniti sanzionino i funzionari azeri con il pretesto dello Stato di diritto e dei diritti umani, il che potrebbe godere di un sostegno bipartisan, visto che molti repubblicani evangelici sono caduti nella falsa notizia secondo cui “i musulmani hanno genocidiato i cristiani in Karabakh”. Il vero scopo di tali sanzioni sarebbe quello di spingere l’Azerbaigian a subordinarsi come “junior partner” degli Stati Uniti nella regione, al di sotto dell’Armenia, nella prevista gerarchia americana del Caucaso meridionale.

Gli Stati Uniti sono molto contrariati dal fatto che le loro agenzie di intelligence e i loro “agenti di influenza” in Armenia, tra la diaspora ultranazionalista e le “ONG” (organizzate dal governo), non siano riusciti a scatenare un conflitto che avrebbe dovuto dividere e governare la regione provocando una guerra russo-azera-turca. Hanno fallito così tanto che le relazioni russo-azere sono ora migliori che in qualsiasi altro momento della storia, con il Presidente Ilhan Aliyev che si èrecato a Mosca per incontrare la sua controparte lo stesso giorno in cui è trapelata la bozza di legge.

L’ultima politica che gli Stati Uniti si apprestano a promulgare, il cui passaggio non può essere dato per scontato anche se c’è sicuramente la possibilità che vada avanti, si basa su convinzioni completamente false. Si tratta del presupposto che l’America sia l’attore più potente della regione, dell’idea che l’Azerbaigian non abbia il rispetto di sé per difendere con sicurezza i propri interessi nazionali oggettivi (compresa la propria reputazione internazionale) e del fatto che gli Stati Uniti ignorano il fatto che le sanzioni non hanno mai cambiato le politiche dei loro obiettivi.

Alla luce di quanto detto, portare al suo logico culmine l’attuale tendenza della politica estera degli Stati Uniti non permetterà di raggiungere gli obiettivi desiderati. È controproducente dal punto di vista degli interessi nazionali oggettivi dell’America, poiché equivale a rovinare le relazioni con l’Azerbaigian, che in precedenza erano eccellenti. In questo modo non si ottiene nulla di tangibile e l’unico risultato è che l’influenza della diaspora armena ultranazionalista nelle aule del Congresso continuerà a crescere a scapito degli interessi statunitensi.

Un sondaggio condotto da un think tank ucraino ha dimostrato che le opinioni della popolazione nei confronti della Polonia stanno cambiando

Se la disputa sul grano tra Polonia e Ucraina, causata dalla proprietà a maggioranza straniera dell’agricoltura industriale della prima, non sarà risolta in tempi brevi, le percezioni reciproche potrebbero peggiorare in modo senza precedenti.

Il think tank ucraino Razumkov Center ha pubblicato i risultati dettagliati della sua ultima indagine sull’impatto dei fattori di politica estera sulla percezione dei cittadini di vari Paesi, oltre alla Russia. Il rapporto completo può essere letto qui, ma il presente articolo si concentrerà solo su ciò che ha rivelato sugli atteggiamenti degli ucraini nei confronti della PoloniaPrima di continuare, i lettori potrebbero essere interessati a rivedere i risultati di questi sondaggi di gennaio e marzo sulle opinioni polacche nei confronti dell’Ucraina.

Tornando al sondaggio del Centro Razumkov, gli ucraini sono più preoccupati deiblocchi intermittenti del confine da parte degli agricoltori polacchi che di qualsiasi altra cosa, comprese le dispute di parte negli Stati Uniti che continuano a bloccare gli aiuti. Alla fine del mese scorso, quando è stato condotto il sondaggio, il 58,4% degli ucraini aveva un atteggiamento abbastanza (18,2%) o per lo più (40,2%) positivo nei confronti della Polonia, contro il 32,1% che aveva un atteggiamento per lo più (24,5%) o per lo più (7,6%) negativo. La differenza tra le due categorie era del 26,3%, mentre il 9,5% non ha saputo rispondere.

Per mettere le cose in prospettiva, il 93,2% degli ucraini ha un atteggiamento abbastanza (57,3%) e per lo più (35,9%) positivo nei confronti del Canada, rispetto al 2,8% che ha un atteggiamento per lo più (2,7%) e per lo più (0,1%) negativo, che lo colloca in cima alla lista. Gli Stati Uniti si collocano leggermente al di sotto della metà inferiore dei 16 Paesi intervistati, con l’80% degli ucraini che ha un atteggiamento abbastanza (43,6%) o prevalentemente (36,6%) positivo, rispetto al 12,9% che ha un atteggiamento prevalentemente (10%) o abbastanza (2,9%) negativo.

La Polonia, invece, si colloca al secondo posto tra Turchia e Ungheria. Per quanto riguarda il primo, il 68,3% degli ucraini ha un atteggiamento abbastanza (20,2%) o per lo più (48,1%) positivo nei suoi confronti rispetto al 18,4% che ha un atteggiamento per lo più (16,3%) o abbastanza (2,1%) negativo. Per quanto riguarda il secondo, solo il 29% degli ucraini ha un atteggiamento abbastanza (8,1%) o prevalentemente (20,9%) positivo rispetto al 62,8% che ne ha uno prevalentemente (35,7%) o abbastanza (27,1%) negativo.

La differenza tra le categorie canadese, americana, turca, ungherese e polacca è del 90,4%, 67,1%, 49,9%, 33,8% e 26,3%, e tutte, tranne quella ungherese, hanno opinioni più positive che negative. Un altro aspetto interessante è che il divario tra queste due categorie si è ridotto significativamente rispetto alla Polonia tra i periodi di maggio-giugno 20223 , agosto 2023, gennaio 2024 e marzo 2024, quando il Centro Razumkov ha condotto le quattro indagini finora svolte.

Nell’ordine in cui sono state menzionate, le differenze sono state del 91,8%, 89,7%, 75% e infine 26,3%. Il periodo maggio-giugno 2023 ha preceduto la disputa polacco-ucraina sul grano, l’agosto 2023 è stato un mese prima del culmine di settembre , il gennaio 2024 è stato il primo mese del governo di coalizione liberal-globalista del primo ministro Donald Tusk, mentre il marzo 2024 è stato un quarto di anno dopo. Ciò suggerisce che i primi blocchi degli agricoltori hanno avuto solo un effetto minimo sulla percezione degli ucraini all’inizio.

Solo dopo l’ultima tornata di blocchi, che ha incluso filmati drammatici di agricoltori che scaricano il grano ucraino, l’opinione pubblica ha iniziato a cambiare in modo decisivo, al punto che la differenza tra opinioni positive e negative si è ridotta di quasi due terzi in soli due mesi. Questo rappresenta il più grande cambiamento di gran lunga registrato tra i 16 Paesi su cui gli ucraini sono stati chiamati a condividere le loro opinioni agli intervalli precedentemente menzionati.

È importante che i lettori ricordino che la causa principale della controversia polacco-ucraina, che sta avvelenando le percezioni reciproche, è la proprietà a maggioranza straniera dell’agricoltura industriale ucraina, su cui il presidente polacco Andrzej Duda ha richiamato l’attenzione in una recente intervista analizzata quiInoltre, a molti potrebbe essere sfuggita la campagna d’informazione dell’Ucraina contro la Polonia, an alizzataqui, che ha tentato di diffamarla come una società infiltrata dalla Russia il cui governo è corrotto dal Cremlino.

Dal punto di vista degli ucraini, la riluttanza di Tusk a usare la forza contro i contadini per riaprire il confine e il sostegno del suo governo alla riduzione delle importazioni agricole ucraine (entrambi guidati da considerazioni di politica interna) hanno dato (falso) credito alla percezione di cui sopra. Questi sviluppi, insieme ai drammatici filmati dei contadini che scaricano il grano ucraino, hanno contribuito più di ogni altra cosa al notevole cambiamento di atteggiamento degli ucraini nei confronti della Polonia negli ultimi mesi.

Avevano grandi speranze che la flessione dei legami bilaterali registrata l’anno scorso sotto il precedente governo conservatore-nazionalista sarebbe stata invertita da quello liberale-globalista di Tusk, solo per finire profondamente delusi dopo che quest’ultimo ha ceduto alle pressioni politiche interne. È improbabile che Tusk cambi presto posizione dopo che i conservatori-nazionalisti hanno ottenuto la maggioranza alle elezioni locali di questo mese, a meno che le pressioni straniere per la riapertura forzata del confine non diventino insopportabili.

Anche se ciò dovesse accadere, non è chiaro se ciò modificherebbe positivamente l’atteggiamento ucraino nei confronti della Polonia. Negli ultimi mesi tra le società dei due Paesi è già corso molto sangue cattivo, che non sarà facilmente dimenticato. In effetti, ciò potrebbe persino indurre i polacchi conservatori-nazionalisti a mettere in atto manifestazioni pubbliche anti-ucraine che vadano oltre lo scarico del grano del Paese, tra cui l’organizzazione di marce nazionali contro Tusk con il pretesto che è il burattino di Zelensky.

Dopo tutto, la fatidica decisione di usare la forza per disperdere i contadini che stanno bloccando il confine sarebbe stata presa allo scopo di facilitare gli aiuti militari all’Ucraina, dimostrando così che preferirebbe ordinare allo Stato di danneggiare i suoi connazionali piuttosto che rischiare che l’Ucraina sia costretta a scendere a compromessi con la Russia. Tuttavia, se la disputa polacco-ucraina sul grano, causata dalla proprietà a maggioranza straniera dell’agricoltura industriale della prima, non verrà presto risolta, la percezione reciproca potrebbe peggiorare senza precedenti.

La restituzione da parte dell’Armenia di quattro villaggi occupati dagli azeri è stata una piacevole sorpresa

Fino a questo sviluppo impressionantemente pragmatico, sembrava che l’Armenia fosse disposta a entrare in guerra per questi villaggi occupati illegalmente, dopo essere stata incoraggiata dalle promesse di sostegno dell’Occidente, ma ora sembra che stia iniziando a essere un po’ più saggia.

Durante l’ottavo round di colloqui con l’Azerbaigian, l’Armenia ha accettato di restituire al suo vicino quattro villaggi occupati. Questa è stata una piacevole sorpresa, poiché suggerisce che l’Armenia sta finalmente iniziando a rendersi conto che non vale la pena di perpetuare il suo controllo illegale sulle terre azere. Fino a questo sviluppo, straordinariamente pragmatico, sembrava che l’Armenia fosse disposta a entrare in guerra per questi villaggi occupati illegalmente, dopo essere stata incoraggiata dalle promesse di sostegno dell ‘Occidente , ma ora sembra che stia iniziando a ragionare un po’.

L’Occidente vuole trasformare l’Armenia nel suo bastione d’influenza per dividere e governare la regione, cosa che il Primo Ministro Pashinyan aveva finora volontariamente accettato di fare per fare contemporaneamente un dispetto all’Azerbaigian e alla Russia, quest’ultima incolpata della sconfittadel suo Paese nel conflitto del Karabakh. Questa politica miope rischiava di portare l’Armenia più in rovina di quanto già non fosse, inoltre le catene di approvvigionamento militare occidentali da cui dipenderebbe in caso di un’altra guerra sono molto inaffidabili.

È stato probabilmente a causa di una sobria valutazione di questi rischi strategici di alto livello, da tempo attesi, che Pashinyan ha infine ceduto e ha deciso di restituire i quattro villaggi occupati all’Azerbaigian, dopo aver capito che non valeva la pena di provocare un altro conflitto su di essi con conseguenze prevedibilmente disastrose. Questo non significa che non voglia più che l’Armenia diventi il bastione d’influenza dell’Occidente nella regione, ma solo che, a quanto pare, dopo essersi mosso con tanta rapidità a partire dallo scorso settembre, sta avendo paura.

Se i colloqui bilaterali proseguono e il confine viene delimitato completamente, non esisterebbe alcun pretesto plausibile che l’Occidente possa sfruttare per dividere e governare la regione attraverso l’Armenia. Il Paese senza sbocco sul mare potrebbe ancora ostacolare i progetti di integrazione regionale a scapito della propria economia solo per compiacere i suoi padroni stranieri, ma probabilmente si potrebbe escludere un’altra guerra per rivendicazioni territoriali. Tuttavia, le infrastrutture militari e le truppe occidentali potrebbero ancora spiare la regione, come la Russia ha avvertito il mese scorso.

Nel caso in cui le tensioni tra Armenia e Azerbaigian diminuissero grazie al completamento del processo di delimitazione dei confini, ma l’Occidente continuasse a fare dell’Armenia il suo bastione regionale, ilfuturodel Paese nella CSTO rimarrebbe incerto . Il Ministro degli Esteri russo Lavrov ha dichiarato venerdì che la Russia considera ancora l’Armenia un alleato e che la CSTO potrebbe proteggere i suoi confini una volta definiti ufficialmente, ma le ONG occidentali e la diaspora armena iper-nazionalista hanno già intaccato i legami sociali.

Hanno fatto il lavaggio del cervello a molte persone, spingendole a incolpare la Russia per la sconfitta dell’Armenia nel conflitto del Karabakh, anche se Mosca non aveva alcun obbligo di difendere militarmente l’occupazione, durata tre decenni, da parte del loro Paese di un territorio azero universalmente riconosciuto, che persino Erevan stessa ha riconosciuto essere di Baku. Inoltre, li hanno ingannati facendogli credere che la loro economia potrebbe sopravvivere senza l’accesso alla Russia, il che non è vero. Un’altra fake news è che la Russia ha permesso all’Azerbaigian di “ripulire etnicamente” il Karabakh.

Queste percezioni, unite a quella generale che sostiene che l’Armenia sia stata in precedenza costretta a diventare vassalla della Russia, hanno fatto sì che molti si schierassero contro il partner tradizionale del Paese, spiegando così perché non ci sono state molte spinte contro i piani di Pashinyan di orientarsi verso l’Occidente. Allo stesso tempo, però, quest’ultimo sviluppo impressionantemente pragmatico, con cui l’Armenia ha restituito all’Azerbaigian quattro villaggi occupati, lascia intendere che alla fine potrebbe cercare di riparare i legami anche con la Russia.

Per essere chiari, ha già danneggiato le relazioni bilaterali con le sue mosse unilaterali e le dichiarazioni provocatorie dei funzionari al potere, tanto da creare inavvertitamente il pretesto per le ONG occidentali e la diaspora iper-nazionalista di orchestrare una Rivoluzione Colorata se dovesse invertire la rotta. Questi due soggetti, che lavorano fianco a fianco sotto la guida dei servizi segreti americani e francesi, potrebbero affermare che egli si sta “trasformando in una marionetta russa” per far arrabbiare la popolazione.

Proprio come l’Occidente ha cercato di destabilizzare la Georgia con questo falso pretesto, riprendendo di recente iltentativofallito della scorsa primavera solo pochi giorni fa, anche in Armenia potrebbe accadere qualcosa di simile se Pashinyan tentasse di riequilibrare le relazioni con la Russia e l’Occidente invece di fare perno su quest’ultimo. È troppo presto per prevedere con un alto grado di sicurezza se ciò avrà successo, ma non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che gli Stati Uniti cercheranno di preservare la loro ritrovata influenza nel Paese con le buone o con le cattive.

Allo stato attuale, gli Stati Uniti non sono troppo interessati a intensificare la guerra per procura NATO-Russia in Ucraina per ragioni elettorali interne, ma alcuni attori la pensano diversamente. Si tratta di falchi politici anti-russi, di paesi regionali come Lituania e Polonia, e dei loro partner non statali, come gli estremisti bielorussi antigovernativi con sede all’estero.

Il capo del KGB bielorusso, Ivan Tertel, ha rivelato giovedì durante un discorso all’Assemblea popolare bielorussa che il suo servizio e “colleghi di altre strutture di sicurezza” hanno recentemente contrastato un piano degli estremisti antigovernativi con sede in Lituania per lanciare attacchi con droni contro la capitale Minsk. e altri siti critici. Non ha condiviso altri dettagli, ma la sua affermazione è in linea con lo spirito di ciò da cui la Bielorussia aveva precedentemente messo in guardia. Ecco alcuni briefing di base a riguardo dell’anno scorso:

* 25 maggio 2023: “ La NATO potrebbe considerare la Bielorussia un ‘frutto a portata di mano’ durante l’imminente controffensiva di Kiev ”

* 1 giugno 2023: “ Lo Stato dell’Unione si aspetta che la guerra per procura NATO-Russia si espanda ”

* 14 giugno 2023: “ Lukashenko ha lasciato intendere con forza che si aspetta incursioni per procura simili a quelle di Belgorod contro la Bielorussia ”

* 14 dicembre 2023: ” La Bielorussia si sta preparando alle incursioni terroristiche simili a Belgorod dalla Polonia ”

* 19 febbraio 2024: “ L’opposizione bielorussa con sede all’estero, sostenuta dall’Occidente, sta progettando revisioni territoriali ”

* 21 febbraio 2024: “ L’Occidente sta complottando una provocazione sotto falsa bandiera in Polonia per incolpare Russia e Bielorussia? ”

Questi timori circolano fin dall’inizio della fallita controffensiva ucraina la scorsa estate, ma probabilmente non si sono ancora concretizzati a causa delle azioni preventive dei servizi di sicurezza. Allo stato attuale, gli Stati Uniti non sono troppo interessati ad intensificare il conflitto NATO-Russia guerra per procura in Ucraina per ragioni elettorali interne, ma alcuni attori la pensano diversamente. Si tratta di falchi politici anti-russi, di paesi regionali come Lituania e Polonia , e dei loro partner non statali, come gli estremisti bielorussi antigovernativi con sede all’estero.

I primi due hanno interessi ideologici in questo scenario, i secondi vogliono anche aumentare il loro prestigio nella NATO attraverso il loro ruolo di “Stati in prima linea”, mentre i secondi hanno ragioni ideologiche ma anche personali per voler rovesciare il loro governo. Questi interessi convergono nel mantenere vivo il rischio che quest’ultimo effettui attacchi con droni contro la Bielorussia, alleata della Russia nella CSTO, dal territorio della NATO con l’approvazione dei suoi vicini a fini di escalation e con un occhiolino da parte dei falchi anti-russi degli Stati Uniti.

La scala dell’escalation può sempre essere difficile da controllare, motivo per cui è meglio non iniziare a scalarla, soprattutto se sono gli attori non statali a iniziare a farlo. Ciò che essenzialmente accade è che questi tre attori sopra menzionati, che possono essere collettivamente descritti come gruppi di interesse in mancanza di un termine migliore, stanno tentando di sovvertire la politica relativamente più cauta degli Stati Uniti provocando una situazione di stallo con la Russia tramite attacchi di droni contro la Bielorussia. Una grave escalation potrebbe quindi verificarsi a causa di un errore di calcolo.

Il punto è quello di innescare una reazione cinetica che potrebbe poi essere interpretata come “un attacco immotivato contro la NATO” per spingere gli Stati Uniti ad intensificare la propria azione sulla base dell’Articolo 5. Naturalmente, c’è anche la possibilità che una “ bellissima produzione teatrale ” potrebbe avvenire sulla falsariga di ciò che un membro della Duma ritiene sia accaduto con la ritorsione dell’Iran contro Israele, ma ciò non può essere dato per scontato. Dopotutto, gli Stati Uniti sarebbero costretti a rispondere se la Russia o la Bielorussia reagissero in qualsiasi modo contro la NATO.

Allo stesso tempo, la Russia potrebbe consigliare alla Bielorussia di non reagire se gli attacchi dei droni dalla Lituania non causassero molti danni, simile nello spirito a come l’Iran ha scelto di non reagire dopo la debole risposta di Israele al suo attacco. La Bielorussia, tuttavia, potrebbe non ascoltare, poiché è ancora un paese sovrano con controllo indipendente delle proprie forze armate. Il presidente Alexander Lukashenko potrebbe pensare che gli estremisti antigovernativi residenti all’estero abbiano screditato la sua autorità e che lui possa “salvare la faccia” solo rispondendo in qualche modo.

Lo scenario migliore è che gli Stati Uniti tengano a freno le sue fazioni aggressive, gli alleati regionali e i loro partner non statali, ma i precedenti suggeriscono che non sarà così. Per questo motivo, il rischio reale di un grave conflitto dovuto ad errori di calcolo persisterà finché i partner non statali continueranno a mantenere il possesso di munizioni a lungo raggio come i droni con l’approvazione dei vicini della Bielorussia e l’occhiolino dei falchi degli Stati Uniti. . Stando così le cose, tutti dovrebbero prepararsi ad alcune spiacevoli sorprese nel prossimo futuro.

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I “quattordici punti” russi del 2009 per la sicurezza europea: Perché la proposta è stata respinta?_di Vladislav B. Sotirović

I “quattordici punti” russi del 2009 per la sicurezza europea:
Perché la proposta è stata respinta?

Nel 2009, il Presidente russo Medvedev (Presidente dal 7 maggio 2008 al 7 maggio 2012) ha chiesto una nuova politica di sicurezza europea, nota come “Quattordici punti”, come un nuovo trattato di sicurezza da accettare per mantenere la sicurezza europea come la capacità degli Stati e delle società di mantenere la loro identità indipendente e la loro integrità funzionale (questa bozza russa di trattato di sicurezza europea è stata originariamente pubblicata sul sito web del Presidente il 29 novembre 2009). La proposta di trattato è stata trasmessa ai leader degli Stati euro-atlantici e ai capi esecutivi delle organizzazioni internazionali competenti come la NATO, l’UE, l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) e l’Organizzazione per la Cooperazione alla Sicurezza in Europa (OSCE). In questa proposta, la Russia ha sottolineato di essere aperta a qualsiasi proposta democratica riguardante la sicurezza continentale e di contare su una risposta positiva da parte dei partner russi (occidentali).

Tuttavia, non sorprende che l’appello di D. Medvedev per un nuovo quadro di sicurezza europeo (basato sul rispetto reciproco e sulla parità di diritti) sia stato interpretato, soprattutto negli Stati Uniti, alla maniera della Guerra Fredda 1.0, ovvero come un complotto per allontanare l’Europa dal suo partner strategico (gli Stati Uniti). Tuttavia, questo programma, sotto forma di proposta, è stata l’iniziativa più significativa in materia di IR da parte della Russia dopo la destituzione dell’URSS nel 1991. Dal punto di vista attuale, questa proposta avrebbe potuto salvare l’integrità territoriale ucraina, ma è stata respinta principalmente a causa dell’atteggiamento russofobico di Washington.

In effetti, Mosca dal 1991, e in particolare dal 2000, considera la NATO come un residuo della Guerra Fredda 1.0 e l’UE non più come un mercato economico-finanziario comune con molte pratiche di gestione delle crisi. Tuttavia, i “Quattordici punti” di Medvedev del 2009 sono stati annunciati il 29 novembre 2009, quando la Russia ha pubblicato una bozza di Trattato di sicurezza europea. Il programma di Medvedev assomiglia a quello redatto dal presidente statunitense Woodrow Wilson (pubblicato l’8 gennaio 1918), che aveva emancipato gli obiettivi di pace nei suoi ben noti “Quattordici punti”. Questi due programmi hanno due cose in comune: 1) entrambi i documenti sostengono il multilateralismo nell’area della sicurezza e la devozione al diritto internazionale; 2) sono molto idealistici in termini di strumenti necessari per la loro attuazione.

La proposta russa del 2009 si basa sulle norme esistenti del diritto internazionale della sicurezza secondo la Carta delle Nazioni Unite, la Dichiarazione sui principi del diritto internazionale (1970) e l’Atto finale di Helsinki della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (1975), seguito dalla Dichiarazione di Manila sulla risoluzione pacifica delle controversie internazionali (1982) e dalla Carta per la sicurezza europea (1999).

La proposta russa del 2009 sulla sicurezza europea (dieci anni dopo il bombardamento della Jugoslavia da parte della NATO) può essere riassunta nei seguenti sei punti:

1) Le Parti devono cooperare sulla base dei principi di sicurezza indivisibile, equa e senza attenuanti;
2) Una Parte del Trattato non deve intraprendere, partecipare o sostenere azioni o attività significativamente dannose per la sicurezza di qualsiasi altra Parte o Parti del Trattato;
3) Una Parte del Trattato che sia membro di alleanze, coalizioni o organizzazioni militari si adopererà per garantire che tali alleanze, coalizioni o organizzazioni osservino i principi della Carta delle Nazioni Unite, della Dichiarazione dei principi del diritto internazionale, dell’Atto finale di Helsinki, della Carta per la sicurezza europea e di alcuni documenti adottati dall’OSCE;
4) Una Parte del Trattato non consentirà l’uso del proprio territorio e non utilizzerà il territorio di un’altra Parte per preparare o eseguire un attacco armato contro un’altra o più Parti del Trattato o qualsiasi altra azione che influisca significativamente sulla sicurezza di un’altra o più Parti del Trattato;
5) Viene stabilito un chiaro meccanismo per affrontare le questioni relative alla sostanza del presente trattato e per risolvere le differenze o le controversie che potrebbero sorgere tra le parti in relazione alla sua interpretazione o applicazione;
6) il trattato sarà aperto alla firma di tutti gli Stati dello spazio euro-atlantico ed euroasiatico, seguiti da diverse organizzazioni internazionali: l’UE, l’OSCE, la CSTO, la NATO e la CSI.
La Russia, infatti, ha inteso il trattato come una riaffermazione dei principi che guidano le relazioni di sicurezza tra gli Stati, ma soprattutto il rispetto dell’indipendenza, dell’integrità territoriale, della sovranità all’interno dei confini degli Stati nazionali e la politica di non usare la forza o la minaccia di usarla in IR. In realtà, la questione della sicurezza in Europa è diventata un’agenda strategica per la Russia a partire dal 2000. Durante tutta la sua storia post-sovietica, la Russia si è sentita molto a disagio perché messa ai margini del processo di creazione di un nuovo ordine di sicurezza in Europa (gestito dagli Stati Uniti e dalla NATO) basato sull’allargamento della NATO verso i confini della Russia.

Va ricordato che all’epoca Mosca propose a Washington e Bruxelles tre condizioni che, se accettate dalla NATO, avrebbero potuto rendere l’allargamento accettabile per la Russia:

1) Il divieto di stazionare armi nucleari sul territorio dei nuovi membri della NATO;
2) 2) L’obbligo di un processo decisionale congiunto tra la NATO e la Russia su qualsiasi questione di sicurezza europea, in particolare quando è coinvolto l’uso della forza militare.
3) la codifica di queste e altre restrizioni alla NATO e ai diritti della Russia in un trattato giuridicamente vincolante.
Tuttavia, nessuna di queste condizioni proposte per la cooperazione tra NATO e Russia in materia di sicurezza in Europa è stata accettata.

Dopo questo fallimento, una nuova dottrina militare della Federazione Russa del 2010 ha accettato la realtà che l’architettura di sicurezza internazionale esistente, compreso il suo meccanismo legale, non fornisce una sicurezza uguale per tutti gli Stati (un fenomeno della cosiddetta “sicurezza asimmetrica”). La stessa dottrina ha sottolineato chiaramente che le ambizioni della NATO di diventare un attore globale supremo e di espandere la sua presenza militare verso i confini della Russia sono diventate una minaccia militare esterna focale per la Russia. Sicuramente, a partire dal 2010, è apparso chiaro a Mosca che la NATO non ha accettato la proposta russa di creare un quadro di sicurezza comune europeo funzionante in base al principio di relazioni “simmetriche” che includano alcuni doveri e diritti uguali per entrambe le parti.

Tuttavia, il momento in cui Mosca ha proposto una nuova iniziativa di sicurezza era molto appropriato per la questione del declino del potere sia soft che hard del Collettivo Occidentale (USA/UE/NATO) a seguito della seconda guerra contro l’Iraq e del crollo economico globale. Dopo i disastri dell’Iraq, di Guantanamo e di Abu Ghraib, Washington e i suoi alleati occidentali hanno perso ogni credibilità morale e l’autorità per rivendicare una leadership globale. Inoltre, il sostegno occidentale all’aggressione georgiana e al regime corrotto di Mikheil Saakashvili ha rivelato ancora una volta il disprezzo atlantista per la democrazia e la giustizia reali. Contemporaneamente, la crisi economica e finanziaria globale ha sancito la fine della finzione neoliberista della globalizzazione, confermando allo stesso tempo l’incapacità occidentale di regolare la finanza globale. Di conseguenza, la IR unipolare attorno all’Occidente collettivo ha cessato di plasmare e dirigere sia la geopolitica che la geoeconomia globali.

La proposta russa (in realtà del Presidente Dmitry Medvedev) di un nuovo accordo di sicurezza con la NATO ha rappresentato un serio banco di prova dell’onestà dell’Occidente collettivo nei confronti della Russia. Semplicemente, la proposta chiedeva un nuovo trattato che implementasse le dichiarazioni già accettate dalla fine della Guerra Fredda 1.0, secondo cui l’Occidente e la Russia sono amici, la sicurezza è indivisibile e la sicurezza di nessuno può essere rafforzata a spese di altri. In sostanza, il nuovo trattato di sicurezza dovrebbe essere fondato su un sistema multilaterale, piuttosto che su un sistema basato sull’egemonia o sul bipolarismo. Alla base della proposta c’era il rifiuto di un ruolo egemonico per gli Stati Uniti. Tuttavia, la domanda cruciale era: Gli Stati Uniti vogliono partecipare agli sforzi multilaterali per affrontare le sfide della sicurezza europea e globale? Tuttavia, ben presto è diventato chiaro che l’agenda russa per un nuovo concetto di sicurezza europea è stata vista dai politici occidentali come un tentativo di minare la NATO e la sua politica espansionistica verso est. In altre parole, la proposta del Presidente D. Medvedev per il nuovo disegno di sicurezza in Europa è stata intesa dagli occidentali come una perfida intenzione di cambiare i termini del dibattito sul futuro del sistema di sicurezza europeo senza la partecipazione della NATO alla direzione del nuovo organismo che include la Russia come membro fondatore e, quindi, come pilastro di un nuovo quadro di sicurezza del Vecchio Continente. Pertanto, la sua proposta, in quanto tale, era inaccettabile per il Collettivo Occidentale.

Va sottolineato che il passo più difficile nel riavvicinamento tra le agende di sicurezza russe e quelle europee occidentali, in competizione tra loro, dopo la Guerra Fredda 1.0, è stato ed è tuttora l’atteggiamento politicizzato della parte filo-occidentale dell’Europa (UE/NATO) secondo cui la Russia rappresenta un pericolo per la sicurezza del continente. Tuttavia, sul versante opposto, i timori della Russia per la sicurezza derivano principalmente almeno dalla politica di allargamento della NATO verso est, se non dalla questione dell’esistenza della NATO dopo il 1991 in generale.

In fondo, sembra che il problema centrale non fosse il mantenimento dello status quo in termini di quadro di sicurezza europeo, ma il nuovo sistema di sicurezza. In altre parole:

1) Dovrebbe essere una struttura centrata sulla NATO (come lo è stata dal 1991)? In questo caso, la NATO sarà trasformata in un forum di consultazione su questioni di sicurezza sia europee che globali; oppure
2) Dovrebbe essere un nuovo quadro istituzionale fondato su un trattato giuridicamente inquadrato che garantisca l’uguaglianza e l’indivisibilità della sicurezza di tutti i soggetti politici (Stati)?
Il programma di sicurezza russo “in quattordici punti” del 2009 rappresentava all’epoca la prima iniziativa positiva di politica estera da parte di Mosca dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. L’iniziativa di D. Medvedev aveva sia un reale significato geopolitico sia molte caratteristiche diplomatiche simboliche. Il valore cruciale dell’iniziativa era che:

1) ha sostenuto la formazione di un nuovo quadro di sicurezza europeo fondato sui principi nuovi e democratici dell’indivisibilità della sicurezza internazionale e dell’inclusione di tutti gli attori interessati e rilevanti; e
2) gli obiettivi principali dell’iniziativa erano il potenziamento del sistema di sicurezza europeo già esistente (ma inefficace) e la sua espansione nella regione dell’Asia-Pacifico al fine di creare un’area di sicurezza comune dall’Alaska alla Siberia.
Era tuttavia ovvio che la creazione di un tale sistema di sicurezza avrebbe preservato principalmente gli interessi nazionali russi in entrambe le regioni, in primo luogo in Europa ma anche in Asia-Pacifico. Inoltre, la proposta aprirà la strada all’integrazione di una Cina in ascesa e di altri Paesi asiatici in una complessa rete del quadro di sicurezza europeo. Tuttavia, la proposta è stata respinta in nome di un’ulteriore espansione della NATO verso est che, agli occhi di molti occidentali, è stato l’errore più fatale della politica statunitense durante l’intero periodo dell’era post-Guerra Fredda 1.0. Tale politica della NATO, infatti, è stata in grado di creare un’ulteriore rete di sicurezza per l’Europa, ma anche per l’Asia-Pacifico.

Tale politica della NATO, infatti, ha infiammato i sentimenti nazionalistici, anti-occidentali e militaristici in Russia, e ha infine ripristinato la politica della Guerra Fredda 1.0 nella Guerra Fredda 2.0 (una rinnovata competizione per la sicurezza tra Est e Ovest in Europa), tenendo conto del fatto che in Russia esiste la forte convinzione, basata sulle testimonianze di Mikhail Gorbaciov, Evgenii Primakov e altri politici russi più influenti, che Washington abbia violato l’impegno di non espandere la NATO come precondizione per la riunificazione tedesca nel 1989-1990.

Dr. Vladislav B. Sotirović
Ex professore universitario
Vilnius, Lituania
Ricercatore presso il Centro di Studi Geostrategici
Belgrado, Serbia
www.geostrategy.rs
sotirovic1967@gmail.com
© Vladislav B. Sotirović 2024
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Ucraina: Una guida per i più curiosi, di AURELIEN

Ucraina: Una guida per i più curiosi

La prima parte, intanto. La prossima settimana la seconda.

Questo sito ha ufficialmente superato i 6000 “follower”, che comprendono sia gli abbonati sia coloro che mi “seguono” sull’applicazione Substack. È un risultato molto gratificante e vorrei ringraziare in particolare tutti coloro che hanno riproposto o condiviso i miei post. Per questo vi ricordo che, anche se questi saggi saranno sempre gratuiti, potete continuare a sostenere il mio lavoro mettendo like, commentando e, soprattutto, trasmettendo i saggi ad altri e inviando i link ad altri siti che frequentate. Ho anche creato una pagina Buy Me A Coffee, che potete trovare qui.☕️

E grazie ancora a coloro che continuano a fornire traduzioni. Leversioni in spagnolo sono disponibili qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Marco Zeloni sta pubblicando anche alcune traduzioni in italiano e ha creato un sito web dedicato a queste traduzioniGrazie infine a chi pubblica occasionalmente traduzioni in altre lingue. Sono sempre felice che ciò avvenga: vi chiedo solo di comunicarmelo in anticipo e di fornire un riconoscimento.

Se siete stati osservatori ragionevolmente coscienziosi della crisi in Ucraina dal 2021, negli ultimi tempi avrete trovato sempre più difficile dare un senso a ciò che sta accadendo, o che si suppone stia accadendo, nel Paese e nelle sue vicinanze. Anche quando sembra che le dichiarazioni del governo e i pronunciamenti autorevoli degli opinionisti siano effettivamente accurati, non sembrano necessariamente avere molto senso. Date le affermazioni spesso contrastanti dei diversi governi, le dichiarazioni speciali dei diversi opinionisti e la totale incapacità dei presunti “esperti” di vario tipo di comprendere ciò che stanno vedendo, a volte sembra impossibile farsi un’idea di ciò che sta realmente accadendo e di ciò che potrebbe accadere in seguito.

Questo saggio è un modesto tentativo di dissipare un po’ di questa confusione: non entrando in discussioni su particolari eventi passati o possibilità future, e ancor meno polemizzando sulle origini e sull’andamento della guerra, ma applicando alcune semplici analisi di buon senso basate sulla logica di come le crisi politiche e militari si sono storicamente svolte e alla fine risolte. Parte di ciò che segue è già stato trattato in saggi precedenti, ma ho ritenuto comunque utile cercare di riunire tutto ora. Data la complessità della situazione, tuttavia, ho diviso questo resoconto in due parti. Questa settimana mi occuperò solo delle questioni a breve termine relative alla cessazione dei combattimenti, che sono di per sé un po’ più complesse di quanto si possa pensare a prima vista.

Credo che sia particolarmente importante scriverlo ora, perché probabilmente non c’è mai stato un momento della crisi in cui si è registrata una differenza così sostanziale tra il modo in cui le cose vengono presentate dai media e dalla leadership politica occidentale e quello in cui le cose sono note sul campo. Questo è almeno tanto il risultato dell’ignoranza e della pura incapacità intellettuale quanto della deliberata mendacità, ma il risultato è una sorta di groupthink in cui solo gli opinionisti o i politici più coraggiosi sono pronti a dire a denti stretti che “l’Ucraina non sarà in grado di recuperare tutto il territorio che ha perso”. È quindi particolarmente importante ora concentrarsi su come stanno le cose e su come è probabile che si sviluppino.

Quindi, qui non troverete né storie di soldati russi in preda al panico che gettano via i loro badili e disertano in massa, né resoconti di stabilimenti di ricerca sulla guerra biologica top-secret comandati da generali canadesi sotto Mariupol. La Russia non sta per crollare, né sta per scoppiare la Terza Guerra Mondiale. Facciamo un respiro profondo e ripercorriamo logicamente le possibili sequenze di eventi, partendo da dove siamo, basandoci su cose che potrebbero realmente accadere e ispirandoci a ciò che è accaduto in passato e a ciò che è politicamente e militarmente possibile oggi. A rigor di logica, quindi, iniziamo da dove siamo ora – e dove, esattamente? Come spesso accade, è utile scomporre queste domande in parti più piccole.

Qual è la situazione sul campo? Le Forze Armate Ucraine (UAF) sono state completamente sconfitte, e con questo non intendo semplicemente dire che ora non possono “vincere” (come alcuni dei commentatori occidentali più coraggiosi hanno iniziato ad ammettere), ma che presto cesseranno di esistere come forza combattente coerente. Vediamo di capire meglio. “Vincere” può significare molte cose. Poiché i russi stanno combattendo una guerra di logoramento e poiché i loro obiettivi territoriali sono modesti, è altamente improbabile che le truppe russe vogliano penetrare in tutta l’Ucraina, se non in numero simbolico. Così, fingendo che la guerra sia stataeffettivamente una guerra di conquista territoriale, l’Ucraina e i suoi sostenitori occidentali potranno affermare che i russi hanno “perso” e, per (dubbia) estensione, che hanno “vinto”. È probabile che questa sia la risposta politica occidentale alla sconfitta, come ho sostenuto di recente.

Ma in questo caso, “vincere” per i russi significa raggiungere i criteri di vittoria annunciati, che includono la distruzione dell’UAF come forza combattente. Ora, è importante capire che stiamo parlando della distruzione di una capacità: Kiev non avrà più a disposizione forze organizzate in grado di svolgere compiti che potrebbero influenzare il corso della guerra. Questo non significa l’uccisione di ogni soldato dell’UAF o la distruzione di ogni singolo pezzo di equipaggiamento (e nella storia questo accade raramente, se non mai), ma significa che i russi distruggeranno l’UAF come istituzione militare funzionante e diretta a livello centrale. Rimarranno distaccamenti di truppe ed equipaggiamenti, e alcuni potranno anche essere descritti come “Brigate”, ma non saranno più in grado di agire come un insieme coerente. Finora sembra che l’UAF abbia conservato la capacità di condurre operazioni che coinvolgono un certo numero di Brigate e di mantenere una forma di comando centrale. Molto presto perderanno questa capacità e possiamo aspettarci che accadano due cose. Una è che le forze rimaste (e per ragioni politiche anche le formazioni di poche centinaia di uomini saranno probabilmente ancora chiamate “Brigate”) saranno semplicemente troppo deboli e mal equipaggiate per impedire ai russi di fare ciò che vogliono. L’altra è che la struttura di comando dell’UAF comincerà a crollare, e che non sarà più possibile per le alte sfere coordinare le operazioni.

Ma si noti che questo non ha nulla a che fare con il controllo del territorio. Infatti, dal punto di vista russo, più unità UAF vengono inviate a sostegno della linea del fronte per difendere il territorio, più velocemente verranno distrutte e più velocemente i russi raggiungeranno i loro obiettivi. L’analogia più utile (e il modo migliore per rispondere alla persistente domanda “perché i russi non hanno ancora vinto, se sono così forti?”) è pensare alle ultime fasi di una partita a scacchi. Immaginate che al giocatore più debole siano rimasti forse il Re e due pedoni, mentre il giocatore più forte ha due o tre volte più pezzi, tra cui la Regina ed entrambi gli Alfieri. A quel punto, come per l’UAF, il giocatore più debole non può letteralmente vincere e probabilmente è arrivato il momento di arrendersi. Altrimenti, la partita andrà avanti per un tempo variabile, a seconda della strategia adottata e dell’abilità del giocatore più debole, ma il risultato non sarà in dubbio.

Gli ucraini possono quindi fare qualcosa per impedirlo? Non proprio. In teoria, l’UAF potrebbe organizzare una ritirata, abbandonando l’est del Paese e cercando almeno di formare uno schermo intorno alle principali città dell’ovest. Gli esperti militari dubitano che questo sia possibile, e naturalmente qualsiasi ritirata sarebbe perseguita senza pietà dalla potenza aerea russa. Che ne sarà allora delle centinaia di migliaia di nuovi coscritti? Ebbene, che ne sarà di loro? A meno che non possano essere integrati in unità funzionanti, sotto comandanti capaci, dotati di armi che facciano la differenza e che rispondano agli ordini delle alte sfere, sono soprattutto una seccatura. Questa non è una guerra di fanteria: è una guerra in cui la fanteria muore molto rapidamente. È già chiaro che i russi stanno manovrando molto più liberamente con i veicoli corazzati, perché sanno che l’UAF è praticamente priva di armi con cui attaccarli. E che dire dell’attacco ai ponti e dell’uso dei droni? Questo significa fraintendere il livello a cui si sta conducendo la guerra e le dimensioni e la potenza delle forze russe. Anche queste sono solo seccature, in termini relativi.

L’Occidente può quindi fare qualcosa per impedirlo? Non proprio. Ricordiamo che l’intera strategia dell’Occidente si è basata fin dall’inizio sull’idea che la Russia fosse debole, che la campagna militare sarebbe rapidamente crollata e che presto ci sarebbe stato un nuovo governo a Mosca. Una vittoria militare ucraina, anche se senza dubbio gradita a molti (e fantasticata da alcuni) non è mai stata il punto. Era solo necessario che l’Ucraina continuasse a combattere fino al crollo della Russia. Ma ciò significa che, fin dall’inizio, le forniture di armi e munizioni e l’addestramento dei soldati di leva avevano come unico scopo quello di prolungare la guerra, non di vincerla. Quindi, anche se l’Occidente trasferisse all’Ucraina ogni pezzo di equipaggiamento rimasto e tutte le munizioni, e addestrasse ogni soldato di leva, la potenza militare non sarebbe sufficiente per fare qualcosa di più che rallentare i russi. (Sto parlando, ovviamente, del prossimo anno, non di un ipotetico futuro in cui l’Europa ricostituisca una capacità di guerra corazzata e invii migliaia di carri armati in Ucraina). L’anno scorso c’è stato un breve periodo di illusione in cui si è ipotizzato che la sola comparsa di mezzi occidentali con equipaggi addestrati dall’Occidente sarebbe stata sufficiente a far scappare i russi. Ora nessuno ci crede più, ovviamente, e di fatto l’Occidente si è praticamente arreso. È quindi meglio interpretare le affermazioni e le controaffermazioni sul fatto che non sono stati inviati abbastanza equipaggiamenti come l’inizio del gioco delle colpe che sarà portato avanti con ferocia anche dopo la fine dei combattimenti, piuttosto che come commenti seri sulla situazione attuale. In ogni caso, qualche pezzo di artiglieria o qualche munizione in più in questa fase è essenzialmente simbolica. Per darvi un’idea del perché, questo articolo di Wikipedia descrive alcune delle diverse organizzazioni di una batteria di artiglieria (in genere 6-8 cannoni), il suo personale (100-200 persone, spesso altamente addestrate) e tutte le attrezzature tecniche accessorie, oltre, naturalmente, a una costante fornitura di munizioni. E se per miracolo si riuscisse a fornire tutto questo, si avrebbe, per ripetere, una sola batteria.

E il personale occidentale? È una domanda che si articola in più parti, ma riflette anche l’incapacità dell’Occidente di comprendere le dimensioni e la violenza del conflitto in corso. Nessun numero plausibile di forze che l’Occidente potrebbe inviare, in qualsiasi veste, farebbe la differenza, in una situazione in cui i russi hanno forse 600.000 truppe direttamente impegnate nell’operazione (alcune delle quali nella stessa Russia) e altre centinaia di migliaia in riserva. Inoltre, l’Occidente non ha più la capacità di condurre una seria guerra corazzata, quindi qualsiasi intervento occidentale assomiglierebbe alle Brigate meccanizzate leggere improvvisate e addestrate dall’Occidente che hanno fallito in modo così spettacolare l’anno scorso. Ora, quasi certamente ci sono forze occidentali in Ucraina al momento, anche se non ho visto alcuna prova che siano in unità formate. Ci saranno consiglieri, addestratori, pianificatori e ufficiali di stato maggiore presso i quartieri generali, e probabilmente ci sono già da tempo. Non c’è nulla di insolito nella storia: le squadre di addestramento e di collegamento sono ampiamente impiegate da molti Paesi anche in tempo di pace, e durante la Guerra Fredda i “consiglieri” sovietici venivano sistematicamente impiegati per sostenere la parte che i sovietici stavano appoggiando. Questo non rende nessuno degli Stati invianti co-belligerante e non equivale a una dichiarazione di guerra. D’altra parte, nemmeno le perdite di questo personale equivalgono a una dichiarazione di guerra da parte dei russi. Inoltre, non sarei sorpreso di trovare sia ufficiali di collegamento dispiegati in avanti con le Brigate, sia truppe di ricognizione o delle Forze Speciali che si muovono discretamente intorno al fronte, cercando di capire cosa sta realmente accadendo, poiché è improbabile che l’Occidente creda a tutto ciò che gli ucraini raccontano. Un’altra possibilità, non di più, è che vi siano unità occidentali specializzate nella raccolta di informazioni tecniche dispiegate nella stessa Ucraina. Ovviamente, nulla di tutto ciò è di grande aiuto. Quindi cos’altro si potrebbe fare?

La prima opzione sarebbe quella di aumentare il numero di “consiglieri”, magari includendo operatori e manutentori di attrezzature, per consentire all’UAF di fare un uso adeguato delle attrezzature che ancora possiede. Secondo alcune voci (ma non ci sono prove concrete) questo starebbe già avvenendo. Ma naturalmente il numero di equipaggiamenti è ridotto e in diminuzione, così come la quantità di munizioni, per cui anche se si ricorresse a questa opzione, l’effetto sui combattimenti sarebbe al massimo marginale.

La seconda opzione, ora meno discussa, è una sorta di forza “mercenaria” composta da ex soldati della NATO. Non c’è alcuna indicazione che questa opzione sia seriamente perseguita, perché avrebbe un effetto pratico minimo, se non nullo. I mercenari (“mercs” nel vocabolario di coloro che amano atteggiarsi a esperti militari) non sono comunque così numerosi, dato che gli eserciti occidentali si sono radicalmente ridotti, e sembra che molti siano già stati in Ucraina, anche se un po’ meno sono tornati interi. Ma al giorno d’oggi ci sono molti lavori più attraenti e meglio retribuiti per gli ex soldati esperti, che forniscono cose come la protezione e la scorta dei VIP per i governi e le organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite. Ma in ogni caso, non siamo nell’Africa degli anni ’70 e ’80, dove piccole forze di soldati ben addestrati potevano sconfiggere gruppi di miliziani in scontri di fanteria di basso livello. Guardate di nuovo l’articolo su una batteria di artiglieria. Dove troverete un centinaio o più di mercenari, dal soldato semplice al maggiore, con le giuste specializzazioni, che conoscono l’equipaggiamento e parlano tutti la stessa lingua? E poi, dove si possono trovare equipaggi di carri armati mercenari e specialisti della manutenzione? Ma anche se fosse possibile, i numeri potenziali sono un errore di arrotondamento in una guerra di queste dimensioni.

Infine, che dire del dispiegamento di vere e proprie unità di combattimento occidentali? In primo luogo, l’idea che possano essere schierate operativamente in prima linea e che possano fare la differenza per il risultato è una fantasia. Ho già sottolineato in precedenza i problemi pratici del dispiegamento di forze occidentali su distanze così enormi. Allo stesso modo, è ben noto che la maggior parte degli eserciti occidentali sono sotto-forti, hanno un supporto logistico molto limitato, munizioni limitate e gravi problemi di disponibilità di equipaggiamento. Ma per molti versi i problemi sono più profondi. Gli alti comandanti degli eserciti occidentali, a livello di brigata e di divisione, non hanno mai combattuto una guerra convenzionale e, al massimo, hanno studiato tali guerre allo Staff College. Le loro carriere sono state fatte in Afghanistan, in missioni ONU e in operazioni a bassa intensità. Gli eserciti occidentali nel loro complesso non hanno una tradizione di guerra corazzata di massa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, né una tradizione di studio e addestramento in tal senso negli ultimi trentacinque anni. Nella maggior parte degli eserciti occidentali, le “Brigate” e ancor più le “Divisioni” sono organizzazioni essenzialmente amministrative, che raramente, se non mai, si addestrano insieme e che necessitano di riservisti e forse di unità prese in prestito da altri paesi per poter operare come una formazione.

Non esiste quindi un’esperienza istituzionale di combattimenti ad alta intensità su larga scala, né una memoria popolare istituzionale in merito. Tendiamo anche a dimenticare quanto violenti e mortali siano questi combattimenti: tutti ricordano le orribili perdite della Prima Guerra Mondiale, ma in realtà il periodo 1939-45 fu altrettanto mortale, anche sul fronte occidentale. Molti anni fa, durante la Guerra Fredda, ricordo di aver parlato con un giovane Maggiore appena uscito dallo Staff College che aveva visitato i campi di battaglia della Normandia ed era stato guidato da un veterano. Questo individuo raccontò, tra l’incredulità dei giovani ufficiali, come il suo battaglione avesse perso venti ufficiali e duecento uomini in poche ore di combattimento una mattina. Un tale tasso di perdite è impensabile in tempi moderni e significa che l’unità è stata distrutta e dovrà essere ritirata dallo schieramento.

Ma la situazione peggiora. Certo che c’è di peggio, perché questa non è la Seconda Guerra Mondiale, e nemmeno una delle Guerre del Golfo. È la prima guerra combattuta con armi veramente moderne, con un potere distruttivo senza pari e con una visibilità in tempo reale dell’intero campo di battaglia. In una certa misura gli ucraini avevano iniziato a conoscere questo tipo di guerra dopo il 2014, e i russi hanno dovuto imparare molto rapidamente nel 2022. Ma non c’è alcuna indicazione che l’Occidente comprenda davvero le lezioni tattiche e operative dell’Ucraina – ad esempio, che il principio militare della concentrazione delle forze diventa rapidamente pericoloso – se non come vaghe idee teoriche. Non esiste una dottrina, né una pianificazione per questo tipo di guerra. I più esperti di me danno a una Brigata occidentale forse mezz’ora di combattimento con le forze russe prima di essere spazzata via, probabilmente da forze avversarie che non possono nemmeno individuare. Un attacco missilistico al quartier generale di una brigata sarebbe sufficiente da solo a fare buona parte del danno.

Perché si parla di “escalation”? In realtà non ne ho idea. Come ho detto più volte, serve qualcosa con cui fare un’escalation e un luogo in cui farla. L’Occidente non ha né l’uno né l’altro. Ora è chiaro, credo, perché l’idea di un “coinvolgimento diretto” della NATO è essenzialmente priva di significato, e di certo non serve a tenere sveglio di notte lo Stato Maggiore russo. Naturalmente, sarebbe possibile architettare un conflitto apparente. Come ho discusso di recente, sarebbe possibile inviare una sorta di forza di blocco politicamente dimostrativa, magari a Odessa, per formare una barriera umana all’occupazione russa. Ho il forte sospetto che questa non sia una proposta reale, quanto piuttosto una fantasia politica, ma per quel che vale possiamo vedere brevemente cosa potrebbe comportare. Per esempio, si è parlato di inviare un distaccamento della Legione straniera francese, forse di 1.500 uomini, da qualche parte in Ucraina. Tuttavia, la Legione è una forza prevalentemente di fanteria, con un solo reggimento dotato di veicoli leggeri da combattimento su ruote. In altre parole, è probabilmente la forza meno adatta al combattimento effettivo con i russi che si possa immaginare. Il presupposto, tuttavia, sembra essere che, di fronte a una tale forza, i russi esiterebbero, per paura di… beh, ci stanno ancora lavorando. In pratica, qualsiasi forza così dispiegata potrebbe essere semplicemente circondata e ignorata dai russi, fino a quando non esaurisce cibo e provviste.

Quindi non stiamo andando verso la terza guerra mondiale? Essendo la stupidità politica, è probabilmente saggio non escludere nulla in modo definitivo. Ma come ho sottolineato, l’Occidente non ha di fatto nulla concui combattere la Terza Guerra Mondiale . Da parte loro, i russi sono stati abbastanza attenti finora a evitare di colpire deliberatamente le forze della NATO, e finché queste ultime resteranno fuori dai combattimenti diretti, probabilmente questa sarà ancora la loro politica. Dopo tutto, man mano che l’UAF diventa sempre più debole, l’assistenza della NATO diventa di conseguenza meno efficace. E no, non siamo nemmeno diretti verso l’uso di armi nucleari, a meno di qualche follia assolutamente imprevedibile. Come ho sostenuto subito dopo l’inizio della crisi, è importante abbandonare gli stereotipi culturali di generali pazzi e di escalation automatica che risalgono agli anni Cinquanta e Sessanta e le storie trafelate della crisi dei missili di Cuba. Gli Stati non si minacciano a vicenda con armi nucleari al giorno d’oggi, o in realtà non lo hanno mai fatto dalla fine degli anni ’60, quando sono stati dispiegati i primi sottomarini con missili balistici. Né siamo impotenti in un processo di escalation meccanica in stile 1914. Anzi, la situazione non potrebbe essere più diversa: nel 1914 erano già stati elaborati piani complicati e dettagliati e gli Stati sapevano chi stavano combattendo e dove. La mobilitazione e il dispiegamento avvennero quindi più o meno come previsto.

Cosa succede alla fine del combattimento? È una bella domanda, che non è stata discussa se non a livello di propaganda agonistica. Molto dipende da cosa si intende per “fine” e “combattimento” in una guerra come questa. Possiamo elencare le possibilità come segue, in ordine crescente di complessità e importanza, tenendo presente il detto di Clausewitz secondo cui in guerra tutto è semplice, ma anche la cosa più semplice è difficile. Nell’ordine, quindi:

  • Cessate il fuoco organizzate a livello locale.

  • Cessate il fuoco lungo parti o tutto il fronte.

  • Arrendersi da parte di singoli e piccoli gruppi.

  • Arrendersi da parte di unità formate al completo.

  • Un armistizio generale.

  • Un trattato bilaterale con l’Ucraina.

  • Un trattato multilaterale con i Paesi della NATO.

Ora, non c’è alcuna prova che l’Occidente stia pensando a nessuno dei punti di questo elenco, a parte una versione quasi esilarante e fantastica dell’ultimo, che prevede concessioni da parte dei russi alla NATO. Esaminiamo i primi cinque in ordine sparso, ricordando che le differenze sono importanti e che è fondamentale tenerle a mente nei prossimi mesi, man mano che le opzioni, o le varianti e i fraintendimenti di esse, vengono sballottate dai media. Gli ultimi due li tratterò la prossima settimana.

cessate il fuoconon sono altro che ciò che il nome suggerisce: pause temporanee nei combattimenti, di solito per consentire l’evacuazione, la fornitura di aiuti umanitari o qualcosa di simile. Potremmo arrivare a un punto in cui l’Ucraina, sostenuta probabilmente dall’Occidente, chiederà dei cessate il fuoco come modo per evitare l’inevitabile fine, e nella speranza che qualcosa (un colpo di stato a Mosca, un meteorite, chi lo sa?) salti fuori. Ma i cessate il fuoco tendono ad avere una durata molto breve (giorni o settimane al massimo) e sono generalmente concordati per uno scopo specifico. Sebbene non sia impossibile che ci sia un caso specifico, come l’evacuazione di Odessa, in cui questo potrebbe funzionare, è difficile capire perché i russi dovrebbero essere entusiasti dell’idea, e bisogna essere in due a mettersi d’accordo.

Alcuni arresti da parte di singoli e piccoli gruppi hanno già avuto luogo. Con l’aumento delle perdite dell’UAF e con la crescente separazione delle unità sopravvissute, le opportunità di arrendersi diventeranno maggiori. Ma ci sono anche dei problemi. Gran parte dei combattimenti si svolgono tra piccoli gruppi di sezioni o plotoni con pochi veicoli, ed è possibile che la parte che accetta la resa possa temere un’imboscata, così come le truppe che si arrendono potrebbero temere di cadere in un’imboscata. Ci sono prove che i russi abbiano stabilito e diffuso procedure per la resa, ma non è chiaro se queste siano state ricevute e comprese dall’UAF. La psicologia di base ci dice che in condizioni di grande stress, quando la vita è in pericolo, le persone vedono cose che non ci sono, e la paura e il sospetto reciproco spesso fanno il resto. È praticamente certo che alcune unità dell’UAF, comprese quelle nazionaliste estreme, cercheranno di usare le finte rese come tattica, sia per fuggire che per attaccare. A sua volta, questo significa che le unità russe potrebbero avere il grilletto facile e aprire il fuoco su coloro che vogliono veramente arrendersi. Questo è probabilmente il motivo per cui le rese non sono state più frequenti finora.

Un’opzione più probabile è che i russi chiedano a coloro che sono interessati ad arrendersi di riunirsi in un determinato momento e luogo, senza armi personali, probabilmente in un villaggio o in una piccola città recentemente conquistati. Sebbene questo richieda un certo grado di fiducia da entrambe le parti, più alto è il numero dei partecipanti, più alti sono gli ufficiali presenti e più organizzato è l’intero processo, più è probabile che funzioni. Poiché tali preparativi non possono essere tenuti segreti, potrebbero esserci tentativi dell’UAF di impedire la resa, prendendo di mira le proprie truppe. Questo potrebbe funzionare per piccoli numeri, ma più il gruppo è numeroso e meno sarà facile far passare un attacco di artiglieria, ad esempio, come un incidente.

La resa di un’unità completa, ad esempio una brigata, è più semplice in linea di principio, perché verrebbe negoziata tra comandanti di alto livello. Tuttavia, né i negoziati né gli ordini alle unità subordinate che potrebbero essere necessari potrebbero essere tenuti segreti, quindi le alte sfere dell’UAF sarebbero a conoscenza del piano e potrebbero cercare di impedirlo. Tali arrese sarebbero più probabili, quindi, quando una brigata fosse relativamente concentrata (in una città, per esempio) e tagliata fuori e circondata. A causa della natura attorale della guerra, però, è improbabile che ci siano arrese di massa di truppe circondate, come ci si aspetterebbe in una guerra di movimento e di manovra, e in effetti non è nemmeno chiaro se i russi stiano cercando di raggiungere questo obiettivo. Mentre preferirebbero ovviamente che l’UAF si arrendesse, piuttosto che combattere con perdite da entrambe le parti, fare un gran numero di prigionieri non sembra essere parte del loro concetto al momento. Tuttavia, vale la pena sottolineare che, alla fine dei combattimenti, avere un numero significativo di prigionieri dell’UAF potrebbe essere una leva negoziale molto preziosa per Mosca, quindi è possibile che i russi pongano maggiore enfasi su questo aspetto con il passare del tempo.

Questo ci porta alla questione dell’armistizio. A differenza del cessate il fuoco, l’armistizio è un accordo formale che stabilisce le condizioni e le modalità per la fine del conflitto tra le parti. Si noti che, così come un armistizio non è un cessate il fuoco, non è nemmeno un trattato di pace, e il contenuto sarebbe in gran parte o addirittura esclusivamente militare. Un buon esempio è l’Accordo di armistizio del 1918 (potete vedere il testo che fu effettivamente imposto ai tedeschi qui). L’intenzione abituale è che un armistizio sia seguito da un trattato di pace, ma non è sempre così: l’esempio coreano è l’eccezione più nota, ma lo stesso vale per tutti i Paesi che i tedeschi hanno invaso nel 1939-41. Fino alla negoziazione di un trattato di pace è tecnicamente ancora in corso un conflitto armato, e il testo dell’armistizio può dare alle parti il diritto di sospendere l’accordo e tornare in guerra in determinate circostanze.

Come l’accordo del 1918, con le sue 34 clausole, l’accordo di armistizio dovrà coprire un ampio spettro. Ma prima di entrare nei dettagli, vale la pena di fare un paio di considerazioni generali. In primo luogo, sebbene un armistizio sia vincolante, non è un trattato. Per molti versi, è meglio inteso come una messa per iscritto dei rapporti di forza alla fine dei combattimenti. È un documento temporaneo, in gran parte di natura tecnica, progettato per strutturare la fine della guerra e le sue immediate conseguenze. Le sue disposizioni in Ucraina rifletteranno (come nel 1918) un equilibrio di potere molto diseguale. Inoltre, si tratta di un documento militare, che deve essere certamente approvato dalla leadership politica, ma che non prevede la ratifica da parte del Parlamento. L’Ucraina non può portare la Russia davanti alla Corte internazionale di giustizia, sostenendo che ha violato qualche disposizione o altro.

Tuttavia, e questo è un grosso “tuttavia”, la decisione di chiedere un armistizio in primo luogo è una decisione politica, e la guerra potrebbe, in teoria, continuare inutilmente per mesi, anche se l’UAF è ormai completamente esaurita. Gli armistizi non si fanno per caso e la vittoria, come ci ricorda Clausewitz, è il risultato di una decisione politica, in quanto costringiamo il nemico a “fare la nostra volontà”. Ma supponiamo che Kiev non possafare la volontà di Mosca perché il governo è troppo disorganizzato e diviso, perché diversi Paesi occidentali spingono in direzioni diverse e l’esercito (o parte di esso) non obbedisce agli ordini? Questo tipo di caos sarebbe il più grave sviluppo potenziale che mi viene in mente.

In ogni caso, si tratta di un documento negoziato solo tra belligeranti. Questo potrebbe essere una spiacevole sorpresa per la NATO, che senza dubbio si immagina di ospitare i negoziati e di dettare in larga misura il risultato. A meno che una nazione della NATO non sia disposta a dichiararsi co-belligerante (e nessuna lo ha fatto, o sembra probabile che lo faccia), il massimo che può sperare è di influenzare il risultato attraverso la pressione sull’Ucraina, per quanto possa essere utile. Poiché si tratta solo di un accordo tra i combattenti per porre fine ai combattimenti, non ci sarebbe spazio, ad esempio, per garanzie internazionali. Detto questo, dato che nel Donbas c’erano già osservatori dell’OSCE da anni prima dell’intervento russo, non è improbabile che ci sia un accordo separato in base al quale l’OSCE o qualche organismo simile osservi il processo di attuazione dell’armistizio. Ma se i russi si oppongono o propongono invece un team cinese, gli ucraini non possono fare molto.

La combinazione di questi due fattori fa sì che i russi cercheranno probabilmente di usare i negoziati per l’armistizio per strappare agli ucraini ogni possibile concessione, comprese alcune cose che dovrebbero davvero far parte di un trattato di pace, o che avranno l’effetto di pre-giudicare i negoziati di pace: non saranno mai più così forti e l’Occidente non avrà mai meno influenza. Inoltre, le forze russe saranno potenti come sempre e quelle ucraine non saranno mai state così deboli, per cui i russi si troveranno in una posizione privilegiata per far rispettare la loro interpretazione dell’accordo, con la minaccia della forza a sostegno delle loro richieste.

Quindi, cosa potrebbe esserci nell’accordo di armistizio? È difficile dirlo, ma una disposizione necessaria sarebbe la separazione delle forze. Da un lato, tutte le unità ucraine sulla linea di contatto con le unità russe potrebbero essere obbligate ad arrendersi entro, diciamo, 48 ore. Dall’altro, le unità rimanenti dovrebbero ritirarsi a ovest e a nord di una linea che immagino i russi siano impegnati a tracciare ora e che, tra le altre cose, darebbe loro il controllo di Odessa. Alle forze ucraine sarebbe poi vietato spostarsi a est o a sud della linea di demarcazione, anche se è dubbio se le unità russe sarebbero soggette a limiti reciproci. Come minimo, i russi insisterebbero sul diritto di sorvolo con aerei e droni per verificare la conformità ucraina.

Le forze che si arrendono dovrebbero ovviamente consegnare le armi, ma le forze che si ritirano a ovest dell’attuale linea di contatto potrebbero anche dover lasciare sul posto le armi pesanti, così come le scorte di munizioni e missili, e qualsiasi aereo ed elicottero rimasto. Gli ucraini sarebbero probabilmente obbligati a consegnare immediatamente i prigionieri russi, anche se la possibilità che i russi facciano lo stesso dipende da molti fattori politici e pratici. Tutto il personale militare straniero dovrebbe essere espulso immediatamente. È molto probabile che i russi chiedano che gli aerei non danneggiati nella parte occidentale del Paese vengano consegnati o distrutti. Probabilmente ci sarebbe una commissione congiunta per supervisionare i dettagli e per gestire i reclami che dovessero emergere. E no, gli Stati Uniti non ne farebbero parte.

Questo può sembrare duro e persino irragionevole (anche se inevitabilmente i dettagli di un tale regime sono molto poco chiari in questa fase), ma la realtà è che, a meno che l’Ucraina non accetti questi termini, o qualcosa di simile, la guerra continuerà finché non lo farà.

Questo non vuol dire che non ci saranno problemi pratici. Abbiamo pochissima idea di dove si trovi attualmente il potere reale a Kiev e ancor meno di come cambierebbe la distribuzione del potere se fosse necessario concordare un armistizio che fosse essenzialmente una resa. In una situazione del genere, non possiamo essere certi che le unità a est del Paese (ammesso che fossero ancora in contatto con Kiev) riceverebbero l’ordine di arrendersi o di spostarsi a ovest, per non parlare di obbedire. Possiamo aspettarci ammutinamenti, contro-mutinamenti e completa disorganizzazione a molti livelli. In effetti, non è chiaro se a Kiev ci sarà un governo in grado di esercitare un controllo sufficiente sui militari per indurli ad applicare i termini dell’armistizio. (Questa è una questione ben diversa dall’esistenza di un governo in grado di negoziare un trattato di pace).

Il rischio è che si crei una situazione caotica, magari con catene di comando diverse e contrastanti, con ordini diversi che vanno a unità diverse. Ci saranno sicuramente dei rancorosi che rifiuteranno di arrendersi o di smobilitare, perché ce ne sono sempre. Se si tratta semplicemente di forze dell’UAF che cercano di rompere il contatto e di fuggire per evitare di essere fatte prigioniere, la cosa è contenibile: alcune ci riusciranno, altre saranno ricatturate o uccise, e dubito che i russi si preoccupino troppo. Ma la disorganizzazione diffusa nell’Est, forse con movimenti nazionalisti in fermento, il terrorismo e gli omicidi tra gruppi e fazioni diverse, potrebbe di fatto rendere impossibile qualsiasi conclusione organizzata dei combattimenti.

In tali circostanze, i russi sarebbero molto riluttanti a coinvolgersi in un simile caos: d’altra parte, hanno bisogno almeno di un regime ucraino ragionevolmente coerente per concordare l’armistizio e, naturalmente, ciò che ne consegue. Questo potrebbe essere il motivo per cui hanno lasciato in piedi almeno alcune parti del sistema di comando dell’UAF. Il problema sarà probabilmente più acuto per l’Occidente, e soprattutto per gli europei, che subiranno le conseguenze pratiche della disgregazione dello Stato ucraino, in particolare sotto forma di rifugiati e migrazioni. Per la prima volta, l’Occidente potrebbe trovarsi a dover scegliere tra fazioni, e per questo sarà necessario un accordo tra diversi Stati con interessi molto diversi. Non è da escludere che, in uno dei colpi di scena finali di questa storia surreale, le forze militari occidentali rimaste possano essere impegnate in Ucraina, non contro i russi, ma per conto di una fazione di Kiev contro un’altra.

Ma se può essere di consolazione, quello che ho descritto finora è la parte più facile. Tornate la prossima settimana e parleremo delle questioni molto più difficili che seguirebbero un eventuale armistizio.

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SITREP 24/04/24: La caduta dopo lo “sballo” post-aiuto riporta l’Occidente alla realtà, di SIMPLICIUS

L’inchiostro deve ancora asciugarsi sugli aiuti ucraini firmati, ma alla fine sono stati approvati sia dalla Camera, sia dal Senato, e dall’ultimo timbro di Biden. Come previsto qui, l’elenco dei nuovi articoli è “lungo”, ma costituisce principalmente i tipi di munizioni secondarie che non sono così facilmente sacrificabili e quindi esistono ancora in una certa quantità. Quelli primari, cioè i proiettili di artiglieria e simili, sono ancora pesantemente arretrati.

Come puoi vedere, gran parte delle munizioni di cui sopra rappresentano quelle che hanno perso da tempo la loro efficacia e non hanno fatto nulla per intaccare davvero alcun tipo sul campo di battaglia.

Infatti, pochi giorni fa il capo del centro di supporto alla ricognizione aerea dell’Ucraina, Maria Berlinskaya, ha dichiarato che “la maggior parte dei sistemi occidentali si sono rivelati [inutili]” perché l’EW russo li neutralizza tutti. Ascolta tu stesso:

È stato anche rivelato che gran parte dell’attrezzatura era già posizionata in avanti e attendeva semplicemente l’approvazione finale, e ha iniziato ad affluire dalla Polonia. In realtà, alcuni di essi erano già stati forniti segretamente una o due settimane fa, come nel caso dei missili ATACMS, che erano già stati utilizzati, come molti avevano intuito dopo l’attacco alla base aerea di Dzhankoi una settimana fa.

C’erano filmati che mostravano lo scarico di circa una dozzina di M2 Bradley dalla Polonia, pronti per essere inviati in Ucraina.

Che differenza farà? C’è poco più di quello da inviare, e la maggior parte di loro sembrava logora e probabilmente i cancellati non funzionanti come abbiamo già scoperto dagli stessi militari dell’AFU, che hanno ammesso molti dei Bradley/Abrams precedentemente inviati erano in condizioni non funzionanti.

Il problema è che, in mezzo all’ondata di eccitazione per i nuovi aiuti, ci sono state molte voci sobrie che si sono sforzate di mitigare i voli selvaggi di ottimismo esagerato.

Ciò ha stimolato la richiesta alla NATO di riconfigurarsi totalmente sul piede di guerra, perché le teste più fredde hanno riconosciuto che questo aiuto non sarà altro che una breve tregua per l’Ucraina, ma non farà nulla per pareggiare le forze, tanto meno sopraffare la Russia con una sorta di superiorità o di superamento materiale.

Anche Dmitry Kuleba ha fatto eco a questo sentimento:

“Nessun pacchetto di aiuti può fermare i russi”, ha detto in un’intervista alla pubblicazione britannica The Guardian, commentando il pacchetto di aiuti statunitense.

Kuleba ha aggiunto che l’Occidente ha bisogno di aumentare la produzione di armi, poiché la Russia è in vantaggio. “Quando vedo ciò che la Russia ha ottenuto costruendo la sua base industriale di difesa in due anni di guerra e ciò che ha ottenuto l’Occidente, penso che qualcosa non va da parte dell’Occidente”, ha osservato il ministro.

E il problema principale ora sta emergendo più che mai: tra i numerosi problemi disastrosi che affliggono l’AFU, il problema dell’offerta non è nemmeno il più grande; quella distinzione disonorevole va alla mancanza di manodopera utilizzabile.

Il generale polacco ha indicato il problema principale dell’Ucraina in prima linea

L’Ucraina deve affrontare una grande sfida, prima di tutto avere qualcuno con cui combattere… Ci sono 150-200mila soldati dispersi al fronte. Questa è una grande sfida per il governo di Kiev”, ha detto in onda l’ex comandante polacco, generale Waldemar Skrzypczak. sulla stazione radio FM RMF.

Ciò ha riportato le conversazioni sul tema della mobilitazione. Anche se Zelenskyj ha firmato il disegno di legge, sembra che ci sia un rallentamento dei piedi poiché non è stato ancora fatto nulla di drastico, solo un lento ribollire di bande di repressione di strada sempre più draconiane, come al solito. Ma i comandanti e altri autorevoli osservatori sul fronte continuano a gridare con voce tesa che la situazione è cupa e che l’Ucraina ha bisogno soprattutto di più manodopera.

Senza essere al corrente delle discussioni del gruppo di Zelenskyj, possiamo solo supporre che ritengano la situazione civile così pessimistica da essere terrorizzati all’idea di annunciare qualcosa di troppo apertamente energico, soprattutto considerando che il legittimo controllo di Zelenskyj al potere è destinato a scadere presto. più di un mese da oggi. In realtà, tecnicamente è già scaduto, dato che ormai le elezioni avrebbero dovuto svolgersi, ma il 21 maggio è ufficialmente la data in cui il nuovo presidente avrebbe prestato giuramento.

Per quanto riguarda la mobilitazione, ecco l’avvocato ucraino Rostislav Kravets e Arestovich che rivelano entrambi separatamente che secondo quanto riferito ci sono oltre 100.000 disertori nelle AFU:

Ciò è assolutamente scioccante perché si parla di disertori reali che stavano già combattendo al fronte o in unità militari, non di uomini fuggiti dal paese per evitare il servizio; questi, come tutti sappiamo, sono già potenzialmente milioni. Ad esempio, questo titolo dall’inizio dell’OMU nel 2022 afferma che 500.000 persone erano già fuggite:

No, questo è molto peggio. Questi sono veri e propri disertori provenienti dalla linea del fronte, già sempre più assottigliata, che si dice abbia un misero ~250-300.000 uomini o meno. In quanto tale rappresenta un morale catastrofico. È un altro campanello d’allarme per coloro che credono davvero al numero delle vittime di Kiev. Decine di migliaia di prigionieri di guerra confermati, 100.000 disertori, ma solo 30.000 uccisi?

Ascolta Zelenskyj mentire da ogni orifizio sottostante. Non solo mente sul fatto che la mobilitazione serva a sostituire le brigate, ma anche che si tratta semplicemente di convincere i soldati più giovani a utilizzare i droni, dal momento che sono “migliori con la tecnologia”. Ora sappiamo che il disegno di legge sulla mobilitazione in realtà evita la clausola di ‘smobilitazione’, quindi sì, i nuovi uomini devono sostituire le brigate ma non nel modo in cui lui suggerisce, cioè non ruotarle, ma sostituire le brigate distrutte/decedute.

Naturalmente la bugia più disgustosa è l’idea che i giovani verranno utilizzati solo per azionare droni e oggetti tecnologici, il che implica che saranno al sicuro nelle “retrovie”, come lo è la maggior parte degli operatori di droni. In realtà, verranno inviati come foraggio alla linea zero. Gli operatori di droni subiscono meno perdite e quindi richiedono il minor numero di “sostituzioni”: sono le truppe d’assalto e i difensori della linea di contatto con scudi di carne che necessitano di rifornimento costante.

Speculativo, ma Rezident UA riporta:

#Dentro
La nostra fonte all’OP ha detto che Syrsky chiede all’Ufficio del Presidente di preparare per l’autunno un disegno di legge sulla mobilitazione degli ucraini dai 20 anni in su. Lo Stato Maggiore ritiene che la riduzione dell’età a 25 anni non consentirà al TCK di reclutare il numero necessario di uomini per ricostituire le riserve, e ora sono necessari giovani per le squadre d’assalto in grado di svolgere operazioni offensive senza equipaggiamento.

Altre voci continuano ad affliggere il progetto ucraino in difficoltà:

Arriviamo quindi alla naturale estensione di tutto quanto sopra. Considerati questi problemi, e la lenta consapevolezza che anche gli attuali “aiuti” statunitensi non ammonterà a molto, cosa devono fare i “partner” della NATO? Continuano i colloqui sullo schieramento di truppe per salvare l’Ucraina:

Ecco come inizia l’articolo sopra:

È il 2026 e, in un discorso pessimistico al Cremlino, Vladimir Putin annuncia finalmente il ritiro dall’Ucraina. Le truppe russe hanno fatto del loro meglio – o del peggio – ma alla fine ha prevalso un nuovo afflusso di ucraini ben addestrati. Il Donbass è ora nella morsa di Kiev, e la caduta della Crimea è a pochi giorni di distanza.

Ciò che ha cambiato la situazione, però, non sono solo i tanto attesi F16, o la riattivazione dei finanziamenti da parte di Washington. Invece, è la presenza di migliaia di truppe europee nella metà occidentale dell’Ucraina, a proteggere città, porti e confini, a far sentire l’Ucraina rassicurata e la Russia innervosita. Mentre Kiev festeggia, anche l’Europa si dà una pacca sulle spalle: dopo 80 anni trascorsi a tenere le redini dell’America, finalmente si è fatta avanti per vincere una guerra nel suo stesso cortile.

Vedi qual è il metodo subdolo dietro la follia di questo tratto selvaggiamente delirante? Stanno lentamente condizionando non solo l’opinione pubblica ma anche la loro stessa leadership ad accettare lo stratagemma già proposto di inserire lentamente le truppe di terra nell’equazione, usandole prima apparentemente per “liberare” le tanto necessarie truppe “di retroguardia” ucraine. Naturalmente, quando anche quelle truppe lasciano il regno temporale o il “deserto”, come hanno fatto 100.000 loro compatrioti, rimane la questione di quale disastroso passo successivo farebbero le truppe della NATO. Molti hanno giustamente ricordato che è proprio così che è iniziato l’intervento del Vietnam, con i “consiglieri” statunitensi che hanno gradualmente intensificato la loro presenza nel paese.

Ma proprio come avevo scritto qualche tempo fa, tali truppe non godrebbero dei benefici dell’Articolo 5, che funziona solo sul territorio nazionale della NATO, e gli autori qui ammettono amaramente questo fatto:

La grande domanda è questa: cosa accadrebbe se i bodybag iniziassero a tornare a casa? Le truppe stazionate in numero significativo sarebbero un obiettivo ovvio per i missili russi, e senza l’Articolo 5 a proteggerle, il Cremlino sarebbe sicuramente tentato di attaccare. Grant afferma che qualsiasi governo europeo contribuente dovrebbe accettare la possibile perdita di vite umane.

L’articolo è principalmente un cenno al pezzo più importante di Foreign Affairs del CFR, scritto in parte da Phillip P. O’Brien di Substack, che molti di voi probabilmente conoscono:

Questo articolo fa un ulteriore passo avanti, delineando i “benefici” delle forze europee non solo nel fornire supporto logistico nelle retrovie per liberare le AFU, ma anche nel lavoro di “combattimento difensivo”, come l’utilizzo di sistemi AD per abbattere gli attacchi aerei russi.

Un aspetto interessante presentato qui è la conferma delle mie parole profetiche tratte da alcuni dei miei primissimi articoli. Alcuni potrebbero ricordare che una volta ho scritto che, quando sarà il momento, la NATO potrebbe facilmente spacciare il conflitto come un conflitto non previsto dall’Articolo 5 per aiutare l’Ucraina senza il timore di uno scambio nucleare. Ho detto che ci sono molti meccanismi e tecnicismi attraverso i quali ciò potrebbe essere fatto. Ed ecco, proprio questo articolo presenta la stessa idea: che la NATO potrebbe entrare in Ucraina non sotto l’ombrello legale della “NATO” ma semplicemente dell’”Europa” – una distinzione importante per il bene di non invocare deliberatamente la dicotomia Russia/NATO e le relative leggi legali. responsabilità di cui all’articolo 5.

Come terza misura finale di escalation, l’articolo propone questo “esercito europeo” per difendere Odessa e persino attaccare le truppe russe in avvicinamento:

Un potenziale obiettivo russo è Odessa, il principale porto dell’Ucraina dove viene spedita la maggior parte delle esportazioni del paese. Se le truppe russe si avvicinassero alla città, le forze europee nelle vicinanze avrebbero il diritto di difendersi sparando sui soldati che avanzano.

La loro scusa per la palese indifferenza all’escalation delle minacce è la fandonia che la Russia è debole, non userebbe mai le armi nucleari e che il 90% dell’esercito russo è già stato distrutto. In realtà, ora sappiamo che è il contrario:

Nel frattempo:

Quindi, di fatto, è l’Ucraina che ha perso il 90% del suo esercito nei primi giorni di guerra, e lo ha ricostituito più volte, mentre l’esercito russo è ora più grande e più forte di prima.

Ma gli appelli si fanno sempre più forti:

L’ex viceministro della Difesa britannico James Hippy raccomanda alla leadership del paese di prendere in considerazione l’invio di un contingente dell’esercito britannico in Ucraina da schierare nelle retrovie, lontano dalla zona di guerra. Dicono che se trovassero soldati britannici vicino ad Avdiivka, ciò potrebbe provocare un conflitto NATO-Russia.

Così come le provocazioni della NATO e dei suoi cagnolini:

Conferenza stampa con il generale Carsten Breuer:

Il comandante delle forze di difesa estoni, il generale Martin Herem, ha parlato in un’intervista della sua disponibilità a “ridurre in mille pezzi” la Russia.

“Estonia, Finlandia e Svezia prenderanno immediatamente il controllo della situazione nel Mar Baltico fin dai primi minuti dell’aggressione. Se chiudiamo il Mar Baltico, come consegnerai le patate da San Pietroburgo a Kaliningrad? E annienteremo tutti coloro che cercano di influenzarci da una distanza di 50 o 100 chilometri, come sta accadendo oggi in Ucraina! Li distruggeremo non a Rakvere o Narva, ma a Ivangorod, Pechory o da qualche parte lì”.

Il che ovviamente viene distorto dai neoconservatori come se la Russia fosse l’agitatore e il provocatore, quando in realtà sono loro che cercano di adescare la Russia ad attaccare gli anelli più deboli per continuare la guerra eterna per distruggere l’Europa:

E anche se molto probabilmente sono false, continuano a circolare diverse voci secondo cui le truppe francesi sarebbero già arrivate a Odessa:

‼️BREAKING

‼️🇫🇷🏴‍☠️🇩🇪🇺🇦 Soldati francesi sarebbero arrivati ​​a Odessa

La Resistenza di Kherson, citando proprie fonti cittadine, riferisce che intorno al 10 aprile (giorno in cui Odessa fu liberata dai fascisti) almeno 1.000 militari francesi arrivarono nel porto di Odessa su una nave civile.

Secondo i partigiani filo-russi, questi francesi sarebbero stati accolti e scortati da 🏁 ufficiali della NATO. È stato inoltre riferito che nel prossimo futuro è previsto un altro trasferimento di personale militare francese in Ucraina.

Uno dei motivi per cui c’è tale urgenza è perché l’Europa sa che mancano solo pochi mesi prima che Donald Trump possa vincere le elezioni, e che tutti gli aiuti all’Ucraina potrebbero potenzialmente essere tagliati. Pertanto, l’Europa sta cercando di sfruttare questo tempo per costruire una coalizione di forza per sostenere l’Ucraina. Gli Stati Uniti, d’altro canto, potrebbero scaricare la patata bollente sull’Europa, con il pacchetto di aiuti che rappresenta un ultimo, gonfio regalo di consolazione.

Gli Stati Uniti, come alcuni credono, stanno cercando disperatamente di scaricare il dollaro ucraino sull’Europa, in modo che possano concentrarsi sul problema più urgente della Cina. Inoltre, è un modo per gettare l’Europa sotto l’autobus, poiché un fallimento in Ucraina potrebbe in seguito essere attribuito al fallimento europeo piuttosto che a quello dell’amministrazione Biden. In effetti, proprio questo è stato proposto nientemeno che dallo stesso Lukashenko:

Ma l’Europa non è in grado di reggersi sulle proprie gambe senza gli Stati Uniti, dato che la “solidarietà” europea è in realtà un’illusione ben organizzata e gestita. Anche il suddetto pezzo degli Affari Esteri attestava il pericolo, ma ammettendo che se un singolo membro della “coalizione” intervenuta si piegasse di fronte alla sofferenza delle truppe uccise, l’intera coalizione potrebbe crollare immediatamente. In sostanza, l’Europa è come una banda di scimmie spaventate che si nascondono una dietro l’altra, cercando di tirare la coda all’orso, traendone il “coraggio” l’una dall’altra, ma correndo freneticamente alla vista del panico di un singolo membro.

Gli Stati Uniti hanno cercato di fare tutto il possibile per nascondere il conflitto sotto il tappeto. Hanno cercato di appoggiarsi a Zelenskyj per negoziare, hanno licenziato Vicky Nuland e hanno anche cercato disperatamente di impedire a Zelenskyj di sostituire Zaluzhny. Uno dei motivi è che probabilmente speravano di sfruttare la tensione tra Zelenskyj e il suo generale ribelle per costringere Zelenskyj a fare concessioni o addirittura rovesciarlo sostenendo Zaluzhny in un momento chiave, nel caso Zelenskyj non avesse seguito il diktat di Washington.

Ma nulla ha funzionato e Yermak è riuscito a consolidare di nascosto il potere attorno a Zelenskyj. Una possibilità è che, avendo fallito gli sforzi di cui sopra, Washington abbia ora dato all’Ucraina 60 miliardi di dollari semplicemente per ritardare il collasso di qualche mese in modo che non avvenga durante la campagna di rielezione di Biden e rovini le sue possibilità.

Naturalmente uno degli altri motivi dell’urgenza sono le continue voci di una nuova grande offensiva o incursione russa dal nord. Lo stesso Budanov lo ha riconosciuto di recente:

Ma ora si sono ripetute voci dalle profondità di Telegram russo e altrove secondo cui sarebbe stato svelato anche un nuovo simbolo tattico del “gruppo settentrionale”: oltre alle famose Z, O e V, sostengono che la “N” sia ora entrata mischia.

Come riportato, le Forze Armate dell’Ucraina nella zona di confine delle regioni di Sumy e Kharkov sono in massima allerta in relazione alla ricezione di informazioni sull’inizio della nostra offensiva nel prossimo futuro.

Questa non è la prima notizia di preparativi per un’azione militare in quest’area.

In precedenza, c’erano state segnalazioni secondo cui i genieri russi stavano rimuovendo i campi minati protettivi in ​​questa direzione.

La lunghezza del confine è davvero impressionante: più di 1 mila km, il che dà alle truppe russe la possibilità di scegliere l’attacco e anche il momento dell’attacco.

Quali sono le ipotesi relative allo sciopero diversivo e principale, nonché alla tempistica?

#opinione

🇷🇺 Divano Generale Staff

Ciò è stato seguito da diversi messaggi misteriosi da parte di importanti account russi che invitavano i civili ucraini a evacuare da Sumy e Kharkov. Tieni presente che ci sono ancora buone probabilità che si tratti di una leggera gag psyop, poiché non ho visto alcuna conferma ufficiale di un nuovo “gruppo del Nord”, ma vale la pena tenerne traccia.

Questo si aggiunge al fatto che la Russia ha iniziato a concentrarsi più pesantemente su Kharkov, colpendo più volte le apparecchiature di comunicazione, con il ben pubblicizzato attacco alla principale torre televisiva di Kharkov, che avrebbe disconnesso l’intera città dall’alimentazione televisiva, il che è ovviamente un segnale inquietante che spesso prefigura un assalto su larga scala:

Sulla torre distrutta a Kharkiv. Era dotata di vari tipi di antenne e apparecchiature di sorveglianza. Sul territorio della regione di Belgorod venivano effettuate trasmissioni radiotelevisive. C’erano anche ripetitori cellulari (Kyivstar, Vodafone), Internet. È stato possibile installare anche il sistema Sova, un complesso di ricognizione ottica a grande profondità, che aiuta le Forze Armate dell’Ucraina a calcolare la posizione della nostra artiglieria. Così come i ripetitori UAV, i sistemi di rilevamento di missili balistici e da crociera.

Tenete presente che per ora non ci sono ancora indicatori credibili o convincenti di un’imminente incursione russa da nord, ma tutti gli sviluppi che si sono sovrapposti forniscono certamente un interessante spunto per le speculazioni. Come sapete, al giorno d’oggi è impossibile ammassare grandi quantità di veicoli blindati senza essere individuati dalla sorveglianza satellitare, quindi, a meno che la Russia non abbia sviluppato qualche nuova tecnica di mascheramento inedita, è probabile che sapremmo in anticipo se si stessero effettivamente preparando all’incursione, come è successo nei giorni precedenti il 24 febbraio 2022.

L’altro sviluppo interessante è l’arresto del viceministro della Difesa Timur Ivanov e di una schiera di suoi sottoposti, che comincia sempre più a sembrare una grande epurazione di un’ala corrotta del Ministero della Difesa russo:

Il fatto che lo abbiano sottoposto a questo rituale di umiliazione in un’aula di tribunale letteralmente nello stesso giorno in cui si è seduto accanto a Shoigu durante un discorso plenario è molto eloquente. Anzi, è assolutamente scioccante. Lo si vede qui sotto nei primi secondi del discorso di ieri:

He went straight from sitting next to Shoigu to a prison cell. There are loads of speculative flights that can be made on behalf of this. What I’ll say for now is there are two competing theories. One—which comes from a slightly more 5th/6th column-leaning element—states that a Shoigu-allied faction is being purged, given that Ivanov was allegedly appointed by Shoigu, with the implication being that this is some kind of major coup against Shoigu, which could lead to his own career’s demise.

The other more likely explanation goes as follows:

The beginning of neat purges before the counter-offensive of the Russian army…

Apparently, the Kremlin will trample all-in, which is why it is giving a clear signal to the entire power vertical (including Shoigu’s group) to mobilize.

Mobilize – take care of your direct obligations, and also clearly understand the fact that for every failure you will have to pay not with the careers of middle echelon representatives – subordinates, but with your own head.

Some believe that Putin had planned to do a mass purge of all the corrupt after his inauguration on May 7th, when his hands are more freed politically. This could be a final purge of any remaining corrupt, 6th columnist, and liberal factions before plunging the SMO into a new phase of the expected large-scale offensives to come.

Furthermore, as the above hints, it could be a final message-sending attempt to everyone involved on the eve of these coming military escalations. While on the surface it may seem like an embarrassing or damaging mark on Russia’s or the MOD’s reputation, in fact the news thus far has been taken with great excitement among the Russian forces, elevating morale. It sends a message that Russia is cleaning up all corruption, and that even the highest levels of the military echelons, to the “fat cat suits” of the defense ministry, are not immune to consequences and accountability for fraud, deception, betrayal, and treason.

This is why I believe the optics of carting off Ivanov to the court room glass cage in full military general regalia were very deliberate. It was a message sent to the public that the time has come to tighten the belt and allow no more leeway for corruption and betrayal, no matter who you are.

This powerful image will resonate very well with the armed forces:

Interestingly, there was a ‘rumor’ that Ivanov was at the center of the MOD’s calamitous friction with the Wagner group, though I haven’t been able to corroborate that just yet. Of course, it wouldn’t be surprising if two corrupt mafia bosses squared off over the leavings on the table. Anticipating the next logical challenge, I can already say that concern trolls will use this instance to declare that “Prigozhin (and Strelkov) was right all along, the MOD is a corrupt gang”, etc., etc. But any corruption within the MOD does not absolve Prigozhin’s own proven corruption. It just so happens that Prigozhin was a much more charismatic actor and salesman of his deeds, and thus comes across as the quintessential ‘folk hero’ of the saga, when the truth is far more granular than that.

Either way, this stir has the potential to shake things up in even bigger ways than we realize, and could be the start of something much bigger, good or bad, though in my estimations it’s extremely good and feels like it marks a new change in ethos of the entire country.

This was something recently enumerated, like in this article:

It is important to note that the Russian elites, which since the 1990s have been closely tied to the West, have had to make a hard choice recently between their country and their assets. Those who decided to stay have had to become more “national” in their outlook and action. Meanwhile, Putin has launched a campaign to form a new elite around the Ukraine war veterans. The expected turnover of Russian elites, and the transformation from a cosmopolitan group of self-serving individuals into a more traditional coterie of privileged servants of the state and its leader would make sure that the foreign policy revolution is complete.

Corroborated by this:

È passato direttamente dal sedersi accanto a Shoigu alla cella di una prigione. Ci sono un sacco di voli speculativi che possono essere fatti a favore di questo. Quello che dirò per ora è che ci sono due teorie in competizione. Una – che proviene da un elemento leggermente più orientato verso la quinta/sesta colonna – afferma che una fazione alleata di Shoigu viene epurata, dato che Ivanov sarebbe stato nominato da Shoigu, con l’implicazione che si tratta di una sorta di grande colpo di stato contro Shoigu, che potrebbe portare alla fine della sua carriera.

L’altra spiegazione più probabile è la seguente:

L’inizio delle epurazioni ordinate prima della controffensiva dell’esercito russo…

A quanto pare, il Cremlino calpesterà l’all-in, ed è per questo che sta dando un chiaro segnale di mobilitazione a tutto il potere verticale (compreso il gruppo di Shoigu).

Mobilitarsi – occuparsi dei propri obblighi diretti e comprendere chiaramente che per ogni fallimento si dovrà pagare non con le carriere dei rappresentanti di medio livello – i subordinati, ma con la propria testa.

Alcuni ritengono che Putin abbia pianificato un’epurazione di massa di tutti i corrotti dopo il suo insediamento il 7 maggio, quando le sue mani saranno più libere politicamente. Potrebbe trattarsi di un’epurazione finale di tutti i corrotti, della sesta colonna e delle fazioni liberali rimaste, prima di far precipitare l’OMU in una nuova fase delle previste offensive su larga scala.

Inoltre, come suggerito da quanto sopra, potrebbe essere un ultimo tentativo di inviare un messaggio a tutte le parti coinvolte alla vigilia di queste prossime escalation militari. Sebbene in superficie possa sembrare un segno imbarazzante o dannoso per la reputazione della Russia o del Ministero della Difesa, in realtà la notizia è stata finora accolta con grande entusiasmo dalle forze russe, sollevando il morale. Il messaggio è che la Russia sta facendo piazza pulita di tutta la corruzione e che anche i livelli più alti delle gerarchie militari, fino agli “abiti da gatto grasso” del ministero della Difesa, non sono immuni da conseguenze e responsabilità per frode, inganno, tradimento e tradimento.

Ecco perché credo che l’ottica di portare Ivanov nella gabbia di vetro del tribunale in piena regalia generale militare sia stata molto deliberata. È stato un messaggio inviato all’opinione pubblica: è arrivato il momento di stringere la cinghia e di non lasciare più spazio alla corruzione e al tradimento, indipendentemente da chi si è.

Questa immagine potente avrà un’ottima risonanza presso le forze armate:

È interessante notare che si diceva che Ivanov fosse al centro del disastroso attrito tra il MOD e il gruppo Wagner, anche se non sono ancora riuscito a confermarlo. Naturalmente, non sarebbe sorprendente se due boss mafiosi corrotti si affrontassero per gli avanzi sul tavolo. Anticipando la prossima sfida logica, posso già dire che i troll preoccupati useranno questo caso per dichiarare che “Prigozhin (e Strelkov) ha sempre avuto ragione, il MOD è una banda corrotta”, ecc. Ma qualsiasi corruzione all’interno del MOD non assolve la comprovata corruzione di Prigozhin. Si dà il caso che Prigozhin sia stato un attore e un venditore molto più carismatico delle sue azioni, e quindi si presenta come la quintessenza dell'”eroe popolare” della saga, quando la verità è molto più granulare di così.

In ogni caso, questa agitazione ha il potenziale per scuotere le cose in modi ancora più grandi di quanto ci rendiamo conto, e potrebbe essere l’inizio di qualcosa di molto più grande, buono o cattivo, anche se secondo me è estremamente buono e sembra che segni un nuovo cambiamento nell’etica dell’intero Paese.

Questo è stato espresso recentemente da altri, come nel seguente articolo:

È importante notare che le élite russe, che dagli anni Novanta sono state strettamente legate all’Occidente, negli ultimi tempi hanno dovuto fare una scelta difficile tra il loro Paese e i loro beni. Coloro che hanno deciso di rimanere hanno dovuto diventare più “nazionali” nella loro visione e azione. Nel frattempo, Putin ha lanciato una campagna per formare una nuova élite attorno ai veterani della guerra in Ucraina. Il previsto ricambio delle élite russe e la trasformazione da un gruppo cosmopolita di individui che si servono di se stessi in una coterie più tradizionale di servitori privilegiati dello Stato e del suo leader assicurerà che la rivoluzione della politica estera sia completa.

Supportato da questo:

È certamente in atto una lenta trasformazione sotto la superficie della società russa, anche a livello di élite. Le élite vengono piegate alla volontà dello Stato, proprio come nella Cina di Xi. Questa epurazione russa, sospetto, è parte integrante del processo in corso.

L’aspetto più importante è che questo arresto sarebbe potuto avvenire in qualsiasi momento – le autorità hanno dichiarato che il caso è stato segretamente in corso per oltre 5 anni; qualche settimana/mese/anno in più non avrebbe cambiato molto. Il fatto che sia stato arrestato solo ora significa che la tempistica è importante per gli eventi attuali, tra cui l’imminente escalation militare russa.

La madre di Ivanov, tra l’altro, è lezgiana, originaria del Daghestan, e la moglie e i figli sarebbero titolari di doppio passaporto israeliano, il che naturalmente aggiunge un po’ di pepe alla storia.

Ora l’Ucraina si trova di fronte a importanti conquiste sul campo di battaglia, poiché le forze russe hanno schiacciato l’AFU in una serie di importanti posizioni e fronti, catturando in precedenza Ocheretyne e Novobakhmutovka:

Così come porzioni importanti di Krasnogorovka:

Le stesse fonti dell’AFU scrivono che il crollo è stato quasi catastrofico:

Ora temono che la Russia possa spingere l’AFU a tornare sulla linea del fiume con ogni futura spinta su larga scala, in particolare se nuove brigate verranno iniettate con le prossime offensive di maggio/giugno che tutti si aspettano:

Uno dei maggiori pericoli dei nuovi progressi è che potrebbero lentamente avvolgere l’intera regione di Konstantinovka in una gigantesca caldaia, o almeno tagliare le principali vie di approvvigionamento di Konstantinovka:

La freccia rossa più in alto è ovviamente la recente avanzata russa nel Chasov Yar, che minaccia di tagliare Konstantinovka in quell’asse.

La prospettiva per il prossimo futuro è che l’Ucraina compia una serie di grandi attacchi dimostrativi e appariscenti con i suoi nuovi armamenti, cioè gli HIMAR e le munizioni ATACMS, per dare l’impressione di una sorta di iniziativa sul campo di battaglia. Probabilmente effettueranno qualche altro attacco drone su larga scala contro la Russia, la Crimea e così via, di concerto con l’ATACMS, sperando di fare un’esibizione che risollevi il morale, ma sul campo di battaglia reale continueranno a essere spazzati via dai progressi della Russia.

Cercheranno di attaccare presto il ponte di Kerch? No, credo che lo terranno come ultima carta vincente per limitare i danni, quando l’assalto russo raggiungerà la massima intensità. Se la Russia lancerà le offensive su larga scala verso giugno, e se ci sarà un grande crollo dell’AFU, conserveranno il loro ultimo espediente proprio per quel momento, per cercare di ribaltare le percezioni e far credere di aver inferto una sorta di colpo paralizzante alle forze armate russe colpendo il ponte. Per questo motivo hanno già comunicato il calendario letterale dell’attacco a Kerch, che sarà precisamente “prima dell’estate”, quando si aspettano che venga lanciata l’offensiva russa. Quindi aspettatevi un attacco senza precedenti a Kerch verso giugno, mese più mese meno.

A proposito di questo argomento, Martyanov ha scritto recentemente un buon articolo che condivido in gran parte. L’ATACMS non sarà in grado di “distruggere” il ponte, poiché il massimo che potrebbe fare è abbattere un’altra campata/ponte, che richiede circa due mesi per essere sostituita. L’unico modo per metterlo fuori uso in modo più permanente è colpire i sostegni, e probabilmente con proiettili multipli, il che è improbabile che accada. I tedeschi, che sono bravi in questo genere di cose, hanno calcolato che ci vorrebbero 20-40 missili Taurus, come ricorderete.

La mia previsione è che l’Ucraina lo sappia e forse cercherà di colpire più campate, abbattendo il ponte su un’area più ampia, ma questo potrebbe anche non influire sul tempo di sostituzione, poiché diverse squadre adiacenti che lavorano contemporaneamente potrebbero sostituire più campate nello stesso tempo necessario per sostituirne una. In breve, non si otterrà nulla, e sono scettico che siano riusciti a colpirlo, dato che l’Ucraina ha raramente penetrato aree importanti con i suoi attacchi missilistici, e continua a colpire abilmente aree meno difese, come le navi già in disarmo o quelle in riparazione in aree dismesse della Crimea come il porto di Zaliv. Senza contare che ciò è avvenuto solo perché gli Storm Shadows utilizzati erano in grado di avvicinarsi al di sotto delle reti radar, mentre gli ATACM non hanno questa capacità e devono arrivare direttamente sopra la testa, in piena vista dei radar (anche se, naturalmente, un attacco a saturazione è possibile).

Come nota finale, la Russia ha catturato la sua prima iterazione dell’Abrams, il breacher corazzato M1150 basato sull’Abrams:

Allo stesso tempo, a Mosca è arrivato un carico di materiale occidentale, tra cui i Bradley, i Marder 1A3 tedeschi, gli MRAP e gli M113, da esporre nel Patriot Park:

E un Leopard 2A5 catturato è in fase di lavorazione, con gli equipaggi russi che – scherzosamente o meno – dicono che lo aggiusteranno e lo useranno in battaglia. Secondo quanto riferito, è stato rifornito di tutte le munizioni non utilizzate, quindi è possibile:


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Niger: dopo i francesi, agli americani chiesto di lasciare il paese, di L’Afrique Réelle

Niger: dopo i francesi, agli americani chiesto di lasciare il paese

Venerdì 19 aprile, dopo diversi mesi di negoziati accompagnati da promesse e minacce, gli Stati Uniti sono stati finalmente costretti ad accettare di ritirare le proprie truppe dal Niger. Seguendo le orme dei francesi, anche loro sono stati cacciati da un Paese che finora non aveva nulla da rifiutare.

Con questa partenza, richiesta dalle autorità di Niamey che sono al potere dal colpo di Stato del 26 luglio 2023, gli Stati Uniti perderanno la loro importante base di Agadez, specializzata in intercettazioni e guerra elettronica. Questa base permetteva di sorvegliare l’intera fascia saheliana, i fondali sahariani libici e l’intera regione peri-chad. Questa base, costata oltre 100 milioni di dollari, ospitava anche i droni utilizzati nella lotta contro i gruppi jihadisti.

Gli Stati Uniti avevano pensato che, a differenza della Francia, non essendo l’ex potenza coloniale, avrebbero potuto rimanere in Niger, tanto più che, fino ad allora, questo Paese, tra i più poveri del mondo, non aveva mai resistito agli “argomenti” del dollaro…
Ma i tempi sono cambiati. Con l’emergere di nuove potenze – Russia, Cina e India – i Paesi africani non possono più permettersi di essere semplici corrispondenti che si adeguano docilmente ai diktat, soprattutto democratici, dell'”Occidente”. O di apparire come vassalli obbedienti obbligati a riconoscere i nuovi standard morali occidentali – la “teoria del gender” o le “singolarità” LGBT – del tutto incomprensibili in Africa, dove un uomo è un uomo… una donna… una donna…

Il 16 marzo, il Niger aveva già annunciato la cessazione “con effetto immediato” dell’accordo militare che lo legava agli Stati Uniti, visto come un “accordo imposto”. Tra le ragioni di questo divorzio, il colonnello Amadou Abdramane ha citato alla televisione nazionale la “condiscendenza” della signora Molly Phee, assistente del Segretario di Stato per gli Affari africani. La signora aveva dichiarato con arroganza e compiacimento che gli Stati Uniti erano pronti a riprendere la loro cooperazione a condizione che il Niger ristabilisse la democrazia e smettesse di intrattenere relazioni con la Russia.

Tali richieste sono state naturalmente ritenute inaccettabili dai militari al potere a Niamey, che hanno quindi rifiutato questa comunicazione formale che negava “al popolo sovrano del Niger il diritto di scegliere i propri partner”.
Le centinaia di milioni di dollari investiti dagli Stati Uniti in tanti inutili programmi di aiuto allo sviluppo non erano sufficienti, perché Washington non aveva capito che il tempo delle interferenze e degli allineamenti era finito. Allo stesso tempo, il Niger si è aperto con entusiasmo alla Russia. Cosa ne sarà? Solo il tempo potrà dirlo.

Comunque sia, il 10 aprile sono sbarcati a Niamey i primi consiglieri militari russi con una grande quantità di equipaggiamento. Questa nuova cooperazione tra Niger e Russia è stata illustrata a fine marzo da una lunga e calorosa conversazione telefonica tra il Presidente Putin e il generale Abdourahamane Tiani, capo della giunta. L’uomo a cui, con grande senso della realtà supportato da un’ottima conoscenza della mentalità africana, il presidente Macron aveva, come un padrone al suo valletto, ordinato, sotto minaccia di intervento (!!!), di consegnare immediatamente il potere al suo protetto, il presidente Bazoum, il cui peso etnico, e quindi politico, è inferiore allo 0,5% della popolazione…

La cosa peggiore è che, invece di trarre insegnamento da questi fallimenti, coloro che sostengono di essere responsabili della politica africana della Francia cercano ora di sottrarsi alle loro responsabilità gridando al complotto russo e cinese. Sono la loro incompetenza, la loro cecità e il loro arrogante desiderio di imporre le loro “sfumature” sociali agli africani che hanno aperto le porte del continente a questi nuovi attori. E se questi ultimi sono ben accolti, è perché non sono venuti a dare lezioni di “buon governo”, a chiedere alla popolazione di credere che un uomo possa partorire o che la democrazia individualista sia la soluzione per i Paesi con strutture comunitarie…

In Africa, la ridistribuzione geostrategica si sta quindi completando. Nel Sahel, dopo essere stati cacciati dal Mali, dal Niger e dal Burkina Faso per aver ostinatamente deciso di ignorare i consigli di chi conosce meglio la regione, i “decisori” francesi assistono impotenti allo sviluppo di un movimento che si sta diffondendo in Ciad e in Senegal. Una parentesi africana francese aperta alla fine del XIX secolo in queste “terre del sole e del sonno” tanto care a Ernest Psichari sarà presto chiusa una volta per tutte.

Di fronte a una simile catastrofe, non deve sorprendere che alcuni, sulle orme del grande storico René Grousset (1885-1952), siano arrivati ad affermare che: “Quando il destino ha inutilmente profuso tutti gli avvertimenti su una società (…) ed essa persiste nel suicidarsi, la sua distruzione non è forse fonte di soddisfazione per lo spirito?”.

Il Dipartimento di Stato ritarda il ritiro delle truppe americane dal Niger di Moon of Alabama

Il titolo del Washington Post e i primi paragrafi della storia non sono realmente supportati da fatti.

Gli Stati Uniti accettano di ritirare le truppe americane dal Niger

NAPOLI, Italia – Venerdì gli Stati Uniti hanno informato il governo del Niger di aver accettato la richiesta di ritirare le truppe statunitensi dal Paese dell’Africa occidentale, come hanno dichiarato tre funzionari statunitensi, una mossa a cui l’amministrazione Biden aveva opposto resistenza e che trasformerà la posizione antiterrorismo di Washington nella regione.

L’accordo segnerà la fine di una presenza di truppe statunitensi che ammontava a più di 1.000 unità e metterà in discussione lo status di una base aerea statunitense da 110 milioni di dollari che ha solo sei anni. È il culmine di un colpo di Stato militare che l’anno scorso ha estromesso il governo democraticamente eletto del Paese e insediato una giunta che ha dichiarato “illegale” la presenza militare americana.

“Il primo ministro ci ha chiesto di ritirare le truppe statunitensi e noi abbiamo accettato di farlo”, ha dichiarato in un’intervista al Washington Post un alto funzionario del Dipartimento di Stato. Questo funzionario, come altri, ha parlato a condizione di anonimato per discutere della delicata situazione.

La decisione è stata siglata in un incontro avvenuto venerdì scorso tra il vice segretario di Stato Kurt Campbell e il primo ministro del Niger, Ali Lamine Zeine.

La base americana di droni in Niger è utilizzata dal Pentagono e dalla CIA per tenere sotto controllo l’ISIS nella regione.

Le truppe statunitensi stanno davvero lasciando il Niger?

Certo che no, almeno non ancora.

Il paragrafo successivo rivela ciò che è stato realmente concordato. Rende evidente che gli Stati Uniti vogliono rimandare la questione il più a lungo possibile:

“Abbiamo concordato di iniziare le conversazioni entro pochi giorni su come sviluppare un piano” per il ritiro delle truppe, ha detto l’alto funzionario del Dipartimento di Stato. “Hanno concordato di farlo in modo ordinato e responsabile. E probabilmente dovremo inviare delle persone a Niamey per sederci e discutere. E questo, ovviamente, sarà un progetto del Dipartimento della Difesa”.

– “Abbiamo concordato di iniziare le consultazioni” – (non abbiamo davvero concordato di ritirare le truppe, ma solo di parlare)
– “su come sviluppare un piano” – (dovremmo scrivere un piano per qualcosa in Excel o Word?)
– “in modo ordinato e responsabile” – (non vediamo assolutamente alcuna pressione temporale o scadenza)
– “probabilmente dovremo inviare gente a Niamey” – (ci saranno molti ritardi e la squadra cambierà spesso)
– “questo naturalmente sarà un progetto del Dipartimento della Difesa” – (noi, il Dipartimento di Stato, difficilmente saremo coinvolti. Quando la merda si spaccherà, la colpa sarà del Pentagono).

Un portavoce del Pentagono non ha rilasciato immediatamente alcun commento.

Gli Stati Uniti hanno messo in pausa la cooperazione con il Niger in materia di sicurezza, limitando le attività americane, compresi i voli di droni non armati. Ma i membri dei servizi statunitensi sono rimasti nel Paese, incapaci di adempiere alle loro responsabilità e sentendosi lasciati all’oscuro dai vertici dell’ambasciata americana mentre i negoziati proseguivano, secondo una recente denuncia di un informatore.

Da allora ci sono state altre proteste in Niger per chiedere l’uscita delle truppe statunitensi:

Nella città di Agadez, sede di una base aerea statunitense, centinaia di manifestanti si sono riuniti per chiedere la partenza delle forze americane.

Le proteste sono state organizzate da una coalizione di gruppi della società civile che hanno sostenuto l’attuale regime militare da quando è salito al potere lo scorso anno.

Mi sembra che il nuovo regime in Niger possa e debba inasprire la situazione.

Postato da b il 22 aprile 2024 alle 16:57 UTC | Permalink

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