I recenti avvenimenti e soprattutto, ora, il proditorio insabbiamento del “ caso Epstein” ,hanno certamente prodotto in ogni persona minimamente intelligente ed intellettualmente onesta un forte ripensamento su “cosa “ e chi sia veramente Trump perché ormai non si può non derivarne la stessa constatazione fattuale di Simplicius nel suo ultimo saggio; considerazione per altro valida non solo per Trump ma direi per ogni figura politica del mondo “occidentale”. Le figure che il popolo elegge e dalle quali sono governate non sembrano affatto essere effettivamente al comando. Questo vale non solo per il presidente, ma anche per i vari vertici delle istituzioni più importanti. Ora , aldilà del chiedersi che cosa e chi sia realmente Trump, il particolare DATO di FATTO che le nostre “democrazie” siano solo il paravento di persone che comandano senza apparire mentre quelli da noi “eletti” appaiono senza comandare, meriterebbe di essere ulteriormente esplicitato con le classiche domande del giornalismo “ di prima”: (CHI, COME , QUANDO, PERCHE’ ). D’accordo o no!? Ora io potrei anche tentare di rispondere a queste domande grazie al fatto che sono una nullità pubblica e sono anche sicuro che esistono individui di rilevanza pubblica che potrebbero farlo parlando con amici dopo una buona cena e qualche bicchiere di vino; non lo farebbero mai “pubblicamente”.
Parlare di CHI effettivamente detiene il potere “nuoce gravemente agli affari” ( e alla “salute”). E così tutte le figure “pubbliche ” in pratica aderiscono a questo “ teatro ” o per convenienza o per opportunità; nessuno “ attore” ci spiegherà mai davvero il “dietro le quinte” perché non ne avrebbe alcun vantaggio. Il che in soldoni significa che ognuno ci deve arrivare da sé e certe COSE diventeranno “conoscenza comune” solo quando queste COSE saranno state cambiate dai FATTI. Io ad esempio ci sono arrivato da me nel 1999 quando le bombe “umanitarie” piovevano su Belgrado “ ammazzando gli American boys a Mosca” come appunto scrissi allora su it.politica-internazionale di Usenet. Mi feci le “domande” e trovai le “risposte”; questo è il bello di internet rispetto al tempo in cui invece occorrevano migliaia di libri “di carta” alla portata di pochissimi. Però io non sono nessuno. Poniamo invece il caso “ teorico(*)” di un “risvegliato” dalle stesse bombe ma “potente”.
Cosa avrebbe dovuto fare secondo voi costui : mettersi a proclamare la verità denunciando CHI e i suoi intenti maligni, operando però da rapporti di forza “svantaggiati” , o cominciare a modificare a proprio vantaggio questi “ rapporti” evitando di entrare nel mirino di CHI…. magari ostentando addirittura amicizia e collaborazione con i “cari partners” ? Questa premessa da me fatta qui sopra serve per inquadrare il “caso Trump” da un angolo più complesso. Io non sono mai stato un fan di Trump perché, qualunque siano le sue reali convinzioni, i suoi margini politici di agibilità sono da sempre evidenti: Trump è venuto a salvare il capitalismo americano da se stesso esattamente come Roosevelt , e alla fine non potrà non cercare di farlo nello stesso modo: una bella WW che logori tutti gli avversari geopolitici mentre l’America ci fa “affari” sopra in attesa di entrare nella partita per prendersi tutto il piatto. Tanto più che tutto in America è “ sceneggiato” e al di là di questo “recinto politico” Trump potrebbe ancora essere comunque ogni cosa, da un burattino di CHI , a un “risvegliato” che invece sa bene con CHI ha a che fare. E qui torniamo al “caso Epstein” perché, in entrambi i casi limite, a cosa servirebbe adesso a Trump la “lista dei clienti” di Epstein? Anche se Trump fosse quello che i suoi sostenitori pensa(va) no, nella fattispecie non gli gioverebbe perché le elezioni le ha già vinte e Trump adesso ha già , almeno nominalmente, il potere per modificare i rapporti di forza con CHI.
Addirittura ORA la “lista dei clienti” potrebbe servire proprio a CHI onde mettere in difficoltà un Trump “disobbediente “ agli ordini impartiti da CHI , perché anche Trump è da sempre un membro di un “club” in cui tutti sono ricattabili datosi che nessuno può entrare “nel club” se non fa tutte le cose che lo introducono nel “club”. Perché nessuno è “pulito” e non c’è nessun “fair play” nella lotta per il potere; gli “attori” vanno giudicati solo dai fini perché alla fine saranno “i fini” ( se conseguiti) a giustificare “i mezzi”. E in questa lotta “la morale” è solo uno strumento da usare contro il nemico. A tale proposito ricordo che anche un Putin arrivato a Mosca con la “banda Sobciak “ per “privatizzare” ciò che restava del patrimonio ex-sovietico subì un pesante attacco della (solita) magistratura perché nei FATTI non stava “privatizzando” nulla; ne uscì però benissimo perché aveva l’ appoggio degli “amici” giusti dell’ex KGB con cui incastrare gli stessi magistrati. Mentre Trump invece non ha (ancora) “ amici suoi ” nei “servizi” americani. La conclusione quindi è che “le convinzioni ” possono anche essere dichiarate subito (a proprio rischio e pericolo) ma per “i fatti” occorre PRIMA recuperare il potere con cui determinarle e attuarle. Questo è valso per Putin e potrebbe ancora valere per Trump ( .. se fosse vero )
(*) Non è forse questo il cammino politico di Putin , un membro della “banda Sobciak” che aveva “ idee proprie”? Chi sia veramente Putin ora noi lo possiamo intravedere dai suoi “fatti”; ma chi nel 1999 lo poteva distinguere dalla massa degli “american boys” saccheggiatori della Russia ?
Il sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:
– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;
La preparazione del Kosovo alla secessione utilizzando la Jugoslavia di Tito come copertura
Legami con la Serbia centrale
Dal 1968 (durante le prime manifestazioni di massa anti-jugoslavi in Kosovo da parte degli albanesi locali) è stato il mantra politico-propagandistico standard delle figure di spicco kosovare albanesi (o Shqiptar in lingua albanese), sia politiche che culturali, che le autorità politiche centrali della Serbia mostrassero scarso interesse per il Kosovo (in serbo, Kosovo e Metochia – KosMet), nonostante le loro dichiarate preoccupazioni per la popolazione serba e montenegrina locale in questa provincia autonoma della Repubblica di Serbia all’interno della Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia. In un certo senso hanno ragione, ma queste affermazioni rivelano più l’atmosfera generale che regnava nel KosMet che la reale mancanza di interesse da parte serba. In realtà, i funzionari e i politici albanesi del KosMet (che detenevano il potere politico-amministrativo nella provincia) non incoraggiavano alcuna forma di legame con la Serbia centrale proprio per il motivo, emerso nel periodo 1998-2008, del secessionismo territoriale e dell’indipendenza politica. I legami educativi, culturali, economici e di altro tipo sono stati gradualmente ridotti, mentre quelli con la vicina Albania (da cui gli albanesi del KosMet sono emigrati in questa provincia meridionale della Serbia) sono stati sistematicamente rafforzati. Ci sono state, naturalmente, delle eccezioni, poiché alcuni intellettuali albanesi del KosMet incoraggiavano i legami culturali con la Serbia centrale, in particolare quelli che avevano studiato a Belgrado nei settori del teatro, dei gruppi folcloristici, del cinema, ecc.
La situazione era tuttavia sfavorevole sotto molti aspetti anche per i serbi etnici e la Serbia centrale. Le relazioni tra il KosMet e la Serbia centrale potevano essere promosse e mantenute attraverso due canali principali. In primo luogo, attraverso la popolazione autoctona non albanese e, in secondo luogo, attraverso il contatto diretto con gli albanesi locali. Nel primo caso la situazione era molto sfavorevole, a causa del basso tenore di vita degli abitanti locali. La maggior parte dei non albanesi aveva lasciato il KosMet alla ricerca di condizioni di vita politiche e sociali più favorevoli. Sono rimasti gli anziani, in particolare nelle zone rurali, che hanno preferito rimanere e morire nelle loro case natali. Si tratta, di norma, delle persone meno istruite e disinteressate alle “attività di livello superiore”, come quelle culturali o politiche. L’unica eccezione è stata il folklore, che appare come un vero tesoro della cultura tradizionale. Purtroppo, i funzionari politico-amministrativi di Belgrado e di altri centri culturali della Serbia centrale non hanno sfruttato questa possibilità, o meglio questa necessità. Va notato che in quel luogo il sentimento antinazionalista, promosso dal regime comunista di J. B. Tito, era sufficientemente miope, per non dire primitivo, per apprezzare la questione.
La popolazione non albanese del KosMet, in particolare i serbi, ha vissuto per secoli in isolamento a causa dell’ambiente albanese. I giovani, più vitali, emigravano dalla regione, mentre gli anziani, per lo più contadini, erano poco mobili e rimanevano a casa, senza uscire dalla provincia. D’altra parte, i serbi della Serbia centrale erano riluttanti a far loro visita, temendo l’ambiente etnico albanese dominante e ostile. A titolo di confronto, la situazione appare simile a quella della regione dinarica (la catena montuosa dinarica che si estende dal litorale adriatico della Croazia settentrionale all’Albania), ma per ragioni diverse. Mentre i dinarici stanno lasciando le loro terre natali e migrando verso le pianure, non si registra alcun movimento in senso inverso, poiché la regione è povera e inospitale. Al contrario, KosMet è fertile e piacevole da vivere, ma in passato attirava solo gli albanesi dell’Albania, in particolare quando la popolazione albanese interna è diventata dominante dopo il 1945 (a causa del genocidio perpetrato contro i serbi e i montenegrini). Con il meccanismo di feedback, questo afflusso e deflusso asimmetrico è aumentato in modo esponenziale. Ma il sottoprodotto di cui stiamo parlando è l’isolamento della popolazione non albanese rimasta, che ha portato alla conservazione e persino al degrado delle caratteristiche antropologiche della popolazione di KosMet in generale, in particolare delle minoranze non albanesi.
Il folklore nazionale e le connessioni interculturali
Il folklore dei serbi del KosMet, in particolare la musica, appare piuttosto strano agli occhi e alle orecchie dei cittadini di Belgrado, persino alla popolazione serba rurale, ma è proprio questo il valore del tesoro nazionale conservato. La tradizione del KosMet è stata qualcosa di simile alla tradizione ellenica per i greci moderni o alla tradizione dei trovatori per gli europei occidentali. Con il progressivo spegnersi della candela della vita del KosMet, questa tradizione rischia molto probabilmente di andare perduta per sempre.
Per quanto riguarda il canale di comunicazione diretto tra serbi e albanesi, la situazione è decisamente peggiorata fino al punto di estinguersi. Le visite di gruppi culturali nei luoghi KosMet sono diventate molto spiacevoli e persino rischiose, dato il perdurare dello status (reale) di indipendenza della provincia rispetto alle autorità centrali di Belgrado. A causa del persistente indottrinamento dei giovani albanesi, principalmente attraverso l’istruzione, ma anche attraverso i mass media, l’atteggiamento dei giovani albanesi di KosMet verso tutto ciò che non è albanese è passato dal boicottaggio all’odio aperto. Quest’ultimo è cresciuto sul terreno dell’istruzione insufficiente di una popolazione in rapida crescita, che non ha avuto il tempo (e i mezzi) per formare la personalità dei bambini e degli adolescenti in modo socialmente accettabile. I bambini albanesi erano soliti lanciare pietre contro gli autobus e i treni che attraversavano la provincia, anche quelli che trasportavano persone di etnia albanese. Questi bambini, dopo il giugno 1999, una volta diventati adulti, hanno fatto saltare in aria autobus che trasportavano serbi, montenegrini e altri non albanesi che visitavano i campi profughi, i loro villaggi natali e i cimiteri.
Per la maggior parte dei cittadini serbi al di fuori di KosMet (di fatto, i serbi etnici), la provincia è sempre stata un luogo di pellegrinaggio, in particolare per le persone religiose e istruite. I monasteri cristiani ortodossi serbi più antichi e preziosi (medievali) si trovano nel KosMet, per ovvie ragioni, poiché l’attuale provincia è stata per secoli il cuore dello Stato e della cultura serba, prima che i turchi ottomani arrivassero nei Balcani a metà del XIV secolo. Tuttavia, questo pellegrinaggio religioso-patriottico è stato praticamente interrotto quando la politica secessionista degli albanesi del Kosovo ha assunto forme evidenti. Proprio per questo motivo, gli oggetti sacri, come i monasteri e le chiese, sono stati scelti come obiettivi dai secessionisti, come prova della presenza storica dei serbi nella provincia.
Tuttavia, prima che il movimento secessionista albanese del Kosovo si manifestasse apertamente, i leader politici non albanesi locali del KosMet venivano utilizzati come comodi collegamenti con il resto della Serbia. Erano loro che chiedevano un aumento degli aiuti economici e finanziari per la provincia. Dal punto di vista attuale, erano in realtà utilizzati come ostaggi, con la loro carriera politica e i loro incarichi che dipendevano dal successo nell’estorcere benefici allo Stato serbo. Una volta che il “vaso si è rotto”, come dice un vecchio proverbio serbo, questi “rispettabili rappresentanti della popolazione non albanese” hanno lasciato la provincia. Ci sono stati anche casi paralleli. Alcuni leader albanesi del Kosovo, come Mahmut Bakali (1936-2006), promuovevano con entusiasmo la “politica di Belgrado”, ovvero la linea del partito al potere, incolpando il nazionalismo albanese locale, ecc. Tuttavia, quando nel 1987 il partito ha compiuto una svolta a 180 gradi (a favore della difesa dei diritti umani e nazionali serbi in Kosovo e Metochia), hanno cambiato completamente tono politico.i
Gli albanesi del Kosovo e la Croazia
È necessario approfondire qui le relazioni del KosMet con le altre regioni dell’ex Jugoslavia. Con il passare del tempo dalla seconda guerra mondiale, il numero di studenti albanesi del Kosovo che studiavano a Belgrado (e in altri centri di istruzione serbi) diminuì, mentre aumentava il numero di quelli che andavano a Zagabria (capitale della Croazia) e infine a Lubiana (capitale della Slovenia). Zagabria era una destinazione particolarmente conveniente per almeno due motivi. In primo luogo, i croati parlano la stessa lingua dei serbi serbi, che era la lingua parlata dalla popolazione del Kosovo e della Metochia, quindi non c’era barriera linguistica. In secondo luogo, il sentimento anti-serbo (e anti-serbo) tra i croati era un ottimo trampolino di lancio per gli obiettivi tribali e politici degli albanesi. Quando nel 1990 iniziarono i veri problemi in Jugoslavia, molti albanesi del Kosovo trovarono posto nell’esercito croato, partecipando alla pulizia etnica dei serbi dalla Croazia nei quattro anni successivi. Sebbene le statistiche di questo tipo non siano mai state rese note, si presume che un gran numero di giovani albanesi del Kosovo abbia preso parte alla cosiddetta “Domovinski rat” (“guerra patriottica”) durante il periodo 1991-1995. Presumibilmente, i casi in cui questi impegni non poterono essere nascosti, come dimostra il cosiddetto Medački Džep (9-14 settembre 1993) a Lika, vicino a Gospić (Croazia), erano solo la punta dell’iceberg. Un altro effetto di questi legami con Zagabria si manifestò sotto forma di sostegno politico croato agli albanesi del Kosovo per la “giusta causa degli albanesi sotto la crudele oppressione dei serbi”. Per i nazionalisti croati e i serbofobi, fu una grande opportunità per dimostrare la tesi che i serbi sono oppressori “per natura” e che “le sofferenze dei croati in Jugoslavia” non erano frutto della fantasia croata. A Zagabria fu pubblicato un libro sulla questione KosMet che mostrava simpatia per i “poveri albanesi”. Il caso in questione era il libro dell’economista zagabrese Dr. Branko Horvat (1928-2003), che era anche consigliere politico di un importante leader croato non comunista dell’epoca. Sebbene non fosse uno storico né un analista politico, trovò vantaggioso presentare la sua visione di una provincia che non conosceva affatto.
Gli albanesi del Kosovo nella struttura di governo della Serbia
Un legame particolare con lo Stato serbo nel suo complesso era rappresentato dai politici albanesi impegnati nella struttura di governo a Belgrado. Alcuni di loro occupavano posizioni molto elevate nella gerarchia del partito (e quindi dello Stato). L’esempio migliore, anche se un po’ assurdo, era quello dell’albanese del Kosovo Sinan Hasani (1922-2010, morto a Belgrado), all’epoca capo dello Stato jugoslavo, eletto con il metodo della “chiave” (dal 15 maggio 1986 al 15 maggio 1987). Quest’ultimo metodo fu utilizzato, dopo la morte di J. B. Tito nel 1980, per garantire la “equidistribuzione” nelle istituzioni di governo a livello federale o repubblicano. Tuttavia, va sottolineato che la politica di equidistribuzione era rivolta ai rappresentanti regionali, non a quelli etnici. Molto tempo dopo aver lasciato la carica di presidente temporaneo della Presidenza (mandato di un anno), si scoprì che non era affatto cittadino jugoslavo! Questo episodio illustra bene il problema delle prove, anche quando sono in gioco le cariche più importanti, sia all’interno della federazione che della repubblica. A titolo di confronto, come è noto, una persona non nata negli Stati Uniti (anche se in possesso della cittadinanza statunitense) non può nemmeno candidarsi alla presidenza, figuriamoci un cittadino straniero. Sorge spontanea la domanda: se è successo alla presidenza della Jugoslavia, quanto ci si può aspettare di controllare l’origine e la cittadinanza di (decine di?) migliaia di immigrati provenienti dall’Albania, che hanno attraversato i confini (inesistenti) tra la Serbia (Kosovo) e l’Albania durante e dopo la guerra del Kosovo del 1998-1999? Questa sembra essere una questione generale che riguarda l’interpretazione della situazione kosovara, che è sempre stata affidata alle istituzioni locali albanesi del Kosovo, mai in modo indipendente.
Un altro caso importante riguardante l’atteggiamento degli albanesi del Kosovo nei confronti dello Stato comune (jugoslavo) è quello di Azem Vlasi (nato nel 1948). Quando era adolescente, fu scelto per consegnare il testimone (staffetta) al maresciallo Tito, in occasione del suo presunto compleanno, 25 maggio, celebrato a Belgrado allo stadio di calcio (del FC Partizan).ii Quando il “testimone della gioventù” fu consegnato a Josip Broz Tito allo stadio del Partizan a Belgrado il 25 maggio1979, fu lui a stare accanto a Tito, mentre il testimone veniva consegnato da una giovane donna albanese del Kosovo, Sanija Hiseni. Questa cerimonia politico-ideologica era stata in realtà ripresa (“presa in prestito”) dal Regno di Jugoslavia (tra le due guerre mondiali), quando era stata praticata per il re Alessandro Karađorđević (assassinato a Marsiglia il 9 ottobre 1934).iii Successivamente, l’albanese del Kosovo Azem Vlasi divenne il massimo leader giovanile della Jugoslavia socialista, presidente dell’organizzazione giovanile jugoslava dal 1974 al 1978, una sorta di Tito-Jugend. Era il più vicino possibile a J. B. Tito, sia simbolicamente che letteralmente, adulandolo e assicurandosi la posizione di massimo rango prevista per il futuro.iv Ad esempio, nel 1978, Azem Vlasi si trovava a Brioni (l’isola preferita di Tito vicino alla penisola istriana, al confine con l’Italia), quando il testimone fu passato al presidente a vita della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia per la prima e unica volta fuori Belgrado. Ciononostante, Azem Vlasi avrebbe svolto un ruolo di primo piano nel movimento secessionista albanese del Kosovo dalla Serbia negli anni ’90.
Dr. Vladislav B. Sotirovic
Ex professore universitario
Ricercatore presso il Centro di studi geostrategici
Un esempio particolarmente grave è stato fornito da M. Bakali al Tribunale dell’Aia.
ii Il vero compleanno di Tito, infatti, era il 7 maggio (1892). Ufficialmente, il 25 maggio non era celebrato in Jugoslavia come il (falso) compleanno di Tito, ma piuttosto come la “Giornata della Gioventù”.
iii Un rituale simile era praticato nella Germania nazista per Adolf Hitler.
iv Questo tipo di comportamento, che entra sotto la pelle, si manifesterà in seguito nel Kosovo albanese per assicurarsi il sostegno americano, atteggiamenti che, nel caso del presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, assumeranno dimensioni grottesche.
Il sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:
– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;
Kosovo’s Preparation for the Secession Using Tito’s Yugoslavia as a Blanket
Links with Central Serbia
It has been the standard political-propaganda mantra since 1968 (during the first anti-Yugoslav mass demonstrations in Kosovo by local Albanians) of Kosovo Albanian (or Shqiptar in the Albanian language) leading figures, political and cultural alike, that the central political authorities of Serbia showed little interest in the Kosovo (in Serbian, Kosovo and Metochia – KosMet) affairs, despite their proclaimed worries for the local Serbian and Montenegrin population in this autonomous province of the Republic of Serbia within the Socialist Federal Republic of Yugoslavia. In a sense, they are right, but these claims reveal more about the overall atmosphere on KosMet than the real lack of interest from the Serbian side. As a matter of fact, Albanian KosMet officials and politicians (being in political-administrative power in the province) did not encourage any forms of links with Central Serbia for the very reason, as it appeared in 1998‒2008, of the territorial secessionism and political independence. Educational, cultural, economic, and other links were gradually diminished, while the same were systematically strengthened with neighboring Albania (wherefrom the KosMet Albanians emigrated to this southern province of Serbia). There were, of course, exceptions, as some KosMet Albanian intellectuals used to encourage cultural links with Central Serbia, especially those who were educated in Belgrade within the areas of theater performances, folklore groups, film, etc.
The situation was, however, unfavourable in many respects for the ethnic Serbs and Central Serbia too. The KosMet – Central Serbia relationship could be promoted and maintained via two principal channels. First, via the indigenous non-Albanian population, and second, by direct contact with local Albanians. In the first case situation was very unfavourable, due to the low human standards of the local inhabitants. The most vital part of non-Albanians had left KosMet, looking for more favourable both political and social living conditions. What has remained are elderly people, in particular in the rural areas, who preferred to remain and die in their birth homes. They are, as a rule, the least educated people and uninterested in the “higher level activities”, like cultural or/political ones. The only exception has been folklore, which appears as a real treasure of the traditional culture. Unfortunately, the political-administrative officials in Belgrade and other cultural centers in Central Serbia did not exploit this possibility, better to say necessity. It has to be noticed on that place that the anti-nationalistic mood, promoted by the communist J. B. Tito’s regime, was sufficiently short-sighted, not to say primitive, to appreciate the issue.
The KosMet non-Albanian population, in particular the Serbs, have lived in isolation for centuries, due to the Albanian environment. The younger, more vital people used to emigrate from the region, the elderly people, mostly peasants, were not much mobile and stayed at home, without going out of the province. On the other hand, Serbs from Central Serbia were reluctant to pay a visit to them, being afraid of the dominant, unfriendly ethnic Albanian surroundings. As a matter of comparison, the situation appears similar to the Dinaric region (the mountainous Dinaric range from the North Croatian Adriatic littoral to Albania), but for different reasons. While Dinaroids are leaving their homelands and migrating to the lowlands, there is no move the other way round, since the region is poor and inhospitable. On the contrary, KosMet is fertile and pleasant for living, but it used to attract Albania’s Albanians only, in particular when the domestic Albanian population became dominant after 1945 (due to the genocide done over the Serbs and Montenegrins). With the feedback mechanism, this asymmetric influx and outflow rose to an exponential rate. But the byproduct we are talking about here is the isolation of the remaining non-Albanian population, which has resulted in the preservation and even degradation of the anthropological features of the KosMet population in general, particularly the non-Albanian minorities.
The national folklore and intercultural connections
The folklore of KosMet Serbs, the music in particular, appears somewhat strange to Belgrade citizens’ eyes and ears, even to the rural Serbian people, but it is exactly the value of the preserved national treasure. KosMet tradition has been something like the Hellenic tradition for modern Greeks, or the troubadour tradition to Western Europeans. As the candle of KosMet life is fading away, this tradition is most probably going to be lost forever.
As for the direct Serbian-Albanian channel of communications, the situation has definitely worsened to the point of extinction. Visits by cultural ensembles to KosMet places became very unpleasant and even risky, as the (real) independent status of the province against the central authorities in Belgrade continued. Due to persistent indoctrination of the Albanian youth, principally by educational means, but mass media means as well, the attitude of young KosMet Albanians towards anything non-Albanian has grown from boycott to outright hatred. The latter has grown on the trunk of under-education of the fast-breeding population, who had no time (and means) to shape the personalities of kids and adolescents in a socially acceptable manner. The Albanian kids used to stone buses and trains passing through the province, even those who were carrying ethnic Albanians themselves. Those kids will later, after June 1999, as adults, blast into air buses carrying Serbs, Montenegrins, and other non-Albanians visiting from the refugee camps their home villages and graveyards.
For the majority of the citizens of Serbia outside KosMet (in fact, ethnic Serbs), the province has always been a place for pilgrimage, in particular for the religious and educated people. The oldest and most valuable (medieval) Serbian Christian Orthodox monasteries are in KosMet, for very good reasons, for the present-day province used to be the core of the Serbian state and culture for centuries, before Ottoman Turks arrived in the Balkans in the mid-14th century. Nevertheless, this religious-patriotic pilgrimage was practically stopped when the Kosovo Albanian politics for secession took conspicuous form. It was exactly for this reason that sacral objects, like monasteries and churches, have been especially chosen as targets of the secessionists, as proof of the historical presence of the Serbs in the province.
However, before the open Kosovo Albanian secessionist movement took place, the local KosMet political non-Albanian leaders used to be used as convenient links with the rest of Serbia. It was they who used to plead for increasing economic and financial help for the province. From the present-day perspective, they were, in fact, used as hostages, with their political careers and posts depending on success in extorting benefits from the Serbian state. Once the “jar has broken”, as an old Serbian saying put it, these “respectable representatives of the non-Albanian population” left the province. There were parallel cases, too. Some Kosovo Albanian leaders, like Mahmut Bakali (1936‒2006), were eagerly promoting “Belgrade policy”, in fact, the line of the ruling party, blaming local Albanian nationalism, etc. However, when the party U-turn in 1987 occurred (in favor of defending Serbian human and national rights in Kosovo and Metochia), they completely changed the political tune.i
Kosovo Albanians and Croatia
It has to be elaborated here on the relations of KosMet with other regions of ex-Yugoslavia. As the time from WWII was elapsing, the number of Kosovo Albanian students studying in Belgrade (and other Serbian educational centers) diminished, with the rise of the number of those going to Zagreb (capital of Croatia) and eventually Ljubljana (capital of Slovenia). Zagreb was a particularly convenient destination for at least two reasons. First, Croats speak the same language as Serbian Serbs, which KosMet population spoke, so there is no language barrier. Second, the anti-Serb(ian) feeling among Croats was a very good springboard for Albanian own tribal and political aims. When the real troubles in Yugoslavia began in 1990, many Kosovo Albanians found a place in the Croatian military sector, participating in the ethnic cleansing of the Serbs from Croatia for the next four years. Though the statistics of this kind have never been disclosed, presumably a great number of young Kosovo Albanians took part in the so-called by Croats “Domovinski rat” (“Patriotic War”) during the 1991−1995 period. Presumably, those instances when these engagements could not be concealed, as the case of the so-called Medački Džep (September 9‒14th, 1993) in Lika near Gospić (Croatia) will show, were just top of the iceberg. Another effect of these links with Zagreb will show up in the form of Croat political support for Kosovo Albanians for the “just case of Albanians under the cruel oppression by Serbs”. To Croat nationalists and Serbophobes, it was a great opportunity to prove the thesis that Serbs are oppressors “by nature” and that “Croat sufferings in Yugoslavia” were not the product of a Croat fantasy. A book on KosMet issue was published in Zagreb, showing sympathy with ”poor Albanians”. The case in point was the book by Zagreb economist, Dr. Branko Horvat (1928‒2003) (otherwise a political adviser of a leading Croat non-communist leader at the time). Though he was not a historian or a political analyst, he found it profitable to present his picture of the province he was not familiar with at all.
Kosovo Albanians in the ruling structure of Serbia
One particular link with the state of Serbia as a whole was through the Albanian politicians engaged in the ruling structure in Belgrade. Some of them occupied very high positions in the Party (and thus in the state) hierarchy. The best, though somewhat absurd, example was that of Kosovo Albanian Sinan Hasani (1922‒2010, died in Belgrade), at the time the head of the Yugoslav state, elected after “the key” method (from May 15th, 1986 to May 15th, 1987). The latter was used, after J. B. Tito died in 1980, to ensure “equipartition” in the ruling institutions at the federal or republic level. Nevertheless, it has to be stressed that the policy of equipartition aimed at the regional representatives, not ethnic ones. Long after he left the temporary President of the Presidency position (one-year term), it was found that he was not a citizen of Yugoslavia at all! This affair illustrates well the problem of evidence, even when the most important positions, either within the federation or the republic, were concerned. For the matter of comparison, as is well known, a person not born in the USA (even having US citizenship) cannot even be a candidate for the President, not to mention a non-citizen one. The question arises: if it happened to the Presidency in Yugoslavia, how much may one expect to control the origin and citizenship of (tens of?) thousands of immigrants from Albania, crossing the (nonexistent) borders between Serbia (Kosovo) and Albania during and after the 1998‒1999 Kosovo War? This appears to be a general question of the inference into the KosMet situation, which has always been through the local Kosovo Albanian institutions, never independently.
Another prominent case concerning Kosovo Albanian attitude towards the common (Yugoslav) state has been Azem Vlasi (born in 1948). When he was a teenager, he was chosen to deliver the baton (relay) to Marshal Tito, on the occasion of his alleged birthday, May 25th, celebrated in Belgrade at the football stadium (of FC Partizan).ii When the “Baton of Youth” was handed over to Josip Broz Tito at the Partizan’s stadium in Belgrade on May 25th, 1979, it was he who stood next to Tito, while the baton was handed over by a young Albanian woman from Kosovo, Sanija Hiseni. This political-ideological ceremony was, actually, taken over (“borrowed”) from the Kingdom of Yugoslavia (between the two world wars), when practiced for King Alexander Karađorđević (murdered in Marseille on October 9th, 1934).iii Subsequently, Kosovo Albanian Azem Vlasi became the top youth leader in Socialist Yugoslavia, the President of the Yugoslav Youth organization from 1974 to 1978, a sort of Tito-Jugend. He used to be as close to J. B. Tito as possible, both symbolically and literally, buttering him up and securing his projected highest rank position for the future.iv For instance, in 1978, Azem Vlasi was staying in Brioni (Tito’s favorite island resort near the peninsula of Istria close to Italy), when the baton was handed over to the lifelong president of the Socialist Federal Republic of Yugoslavia for the first and only time outside of Belgrade. Nevertheless, Azem Vlasi will play a prominent role in the Kosovo Albanian secessionist movement from Serbia in the 1990s.
Dr. Vladislav B. Sotirovic
Ex-University Professor
Research Fellow at Centre for Geostrategic Studies
Particularly nasty example was demonstrated by M. Bakali at the Hague Tribunal.
ii The real Tito’ birthday, in fact, was May 7th (1892). Officially, May 25th was not celebrated in Yugoslavia as Tito’s (false) birthday but rather as the “Youth Day”.
iii A similar sort of ritual was practiced in Nazi Germany for Adolf Hitler.
iv This kind of entering under the skin behaviour will show up later in Kosovo Albanian securing American support, manners which will, in the case of the U.S. President Bill Clinton, take grotesque dimensions.
Il sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire: – Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704; – IBAN: IT30D3608105138261529861559 PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione). Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373
Sta succedendo qualcosa di molto strano con Trump e il caso Epstein.
È un argomento che gli esperti hanno trasformato in fango e in cui non ero molto propenso ad addentrarmi, data la sua generale banalità. Ma a questo punto, con la retorica sempre più cauta di Trump, non posso fare a meno di reagire all’odore inquietante delle sue azioni.
Eviteremo di raccontare l’intera cronaca dell’ex interesse di Trump per Epstein, contrapposto al suo improvviso dietrofront, che alcuni hanno notato subito dopo la visita di Stato di Netanyahu.
E quando prima ho definito banale l’argomento, intendevo solo quanto fossero diventate noiose le discussioni e quanto fosse diventato prevedibile per la maggior parte dei commentatori sentire il bisogno di mettere qualcosa nella mischia.
Ho cercato di resistere all’impulso il più a lungo possibile, ma la situazione è precipitata. Contrariamente alla sua banalità superficiale, l’argomento è in realtà di rilevanza esistenziale. Perché si collega a questioni che colpiscono al cuore stesso del marciume che divora l’America.
L’apparente insabbiamento del caso Epstein da parte di Trump simboleggia diversi aspetti importanti, tutti cruciali per la Repubblica.
La prima è che il Paese sembra essere governato da una rete di ricatti pedofili. Ma questa è in realtà la cosa meno importante, pur essendo la più carica di emozioni e la più provocatoria. Il motivo per cui non è così importante è perché questo fatto è il sintomo di una malattia, non la malattia stessa; è il mezzo , non il fine .
La fine è sempre quella che conta.
Persone come Epstein sono “utili idioti” che giocano a intrappolare per fini geopolitici di ordine superiore. Ed è per questo che la seconda rivelazione è più significativa: gli Stati Uniti sono totalmente subordinati ai mandati geopolitici di una nazione ostile. Questi progetti, o obiettivi, hanno una priorità maggiore per gli organi governativi statunitensi rispetto alle preoccupazioni dei cittadini del Paese.
Ma c’è un’altra implicazione, forse ancora più oscura, delle recenti rivelazioni: le figure che il popolo elegge e che lo governano non sembrano affatto essere effettivamente al comando. Questo vale non solo per il presidente, ma anche per i vari vertici delle istituzioni più importanti.
Prendiamo, ad esempio, il Procuratore Generale Pam Bondi, o l’attuale Direttore dell’FBI Kash Patel e il suo Vice Direttore Dan Bongino. Ci avevano promesso la massima trasparenza.
Poi accadde qualcosa di misterioso.
Di conseguenza, cambiarono idea, uscendo dal personaggio e pubblicando filmati ritoccati. Bret Weinstein accenna a questo fatto:
Ciò che gli eventi hanno rivelato è che c’è qualcuno dietro le quinte che tira i fili, che ha il potere di mettere a tacere non solo i vertici dell’FBI e di altre agenzie di intelligence, ma anche lo stesso Presidente degli Stati Uniti. Questo stravolge completamente il patto sociale americano tra funzionari eletti e cittadini. Raramente la mano pesante della cabala oscura è stata così chiaramente visibile; ma solo la mano.
La grande domanda ora è se sia vero il sentimento prevalente secondo cui Trump potrebbe aver appena acceso la miccia contro la Casa del MAGA, imbevuta di cherosene. Questo commentatore ha riassunto al meglio l’attuale impulso della rivoltante base online del MAGA:
È difficile distinguere tra i seguaci online piuttosto loquaci , che possono essere suscettibili a distorsioni da camera di risonanza, e la vera base MAGA, quella viva e reale – quei tumbleweed là fuori nelle praterie, quelli che riempiono sedi e stadi del circo MAGA itinerante di Trump durante la campagna elettorale. Molti di questi tipi umili non prendono parte alle speculazioni online e potrebbero persino non interessarsi molto alla saga di Epstein, purché i migranti vengano cacciati dall’ICE e i “Liberal vengano presi in giro”.
Pertanto, è difficile prevedere se il tradimento di Epstein avrà davvero ripercussioni sulla base reale – non sugli aspiranti online che presumono di essere una sorta di oracoli delfici che sublimano i sentimenti psichici della base più ampia. Detto questo, è innegabile che questi “sacerdoti del tempio” abbiano un’influenza sul discorso più ampio – ritengo semplicemente che il dono più puro di Trump sia sempre stato nella magia di livello inferiore del dirottamento limbico, nelle spinte carismatiche e nelle battute argute che si rivolgono direttamente al pubblico comune, non necessariamente nella sua capacità di comandare un clero di celibi di parole dai discorsi raffinati su Twitter come Charlie Kirk. (Beh, quello e il libretto degli assegni degli Adelson.)
Ma perché, esattamente, Trump e il suo team hanno improvvisamente fatto marcia indietro sul caso Epstein?
Trump è per molti versi un pragmatico e un pensatore di ampio respiro, disposto a rompere le uova o a fare marcia indietro per quello che percepisce come il bene comune. La vera ragione è probabilmente meno direttamente salace di quanto si pensi; ovvero non è Trump stesso compromesso dal kompromat, ma piuttosto è probabile che ritenga che le rivelazioni, in generale, distoglieranno l’attenzione dalla missione, rovinando le sue “grandi vittorie”.
Ci sono altri esempi simili: ad esempio, Trump si è già “ammorbidito” su diverse importanti iniziative politiche come l’espulsione dei migranti, annunciando di recente di essere aperto a lasciare che gli agricoltori scelgano di trattenere i loro lavoratori migranti di lunga data. Anche i repubblicani stanno seguendo l’esempio :
AGGIORNAMENTO:
È stata presentata una proposta di legge di AMNISTIA MORBIDA che ha il sostegno di diversi membri repubblicani della Camera.
Permetterebbe agli immigrati clandestini che hanno attraversato il confine prima del 2021 di soggiornare e lavorare qui legalmente.
Possono ottenere fino a 7 anni di status legale con autorizzazione al lavoro.
Dovrebbero pagare un risarcimento e registrarsi regolarmente presso il DHS, e lo status legale potrebbe essere RINNOVATO in caso di buona condotta.
I REPUBBLICANI che hanno firmato:
Rappresentante Don Bacon (R-NE) Rappresentante Mario Diaz-Balart (R-FL) Rappresentante Gabe Evans (R-CO) Rappresentante Brian K. Fitzpatrick (R-PA) Rappresentante Mike Kelly (R-PA) Rappresentante Young Kim (R-CA) Rappresentante Michael Lawler (R-NY) Rappresentante Dan Newhouse (R-WA) Rappresentante Marlin A. Stutzman (R-IN) Rappresentante David G. Valadao (R-CA) HR 4393
Nel peggiore dei casi, Trump potrebbe temere per la stabilità dell’intera nazione, a seconda di quanto gravi possano rivelarsi le rivelazioni su Epstein.
E in un caso ancora peggiore, Trump potrebbe agire per proteggere direttamente Israele e il suo coinvolgimento nello spionaggio degli Stati Uniti, dato ciò che ora sappiamo del coinvolgimento di Epstein in operazioni di intelligence. A titolo di esempio, per chi non fosse aggiornato, ecco una recente intervista al produttore israeliano Zev Shalev, il quale ha rivelato di essere stato informato direttamente dal referente di Robert Maxwell, la spia israeliana Ari Ben-Menashe , che Epstein era un agente dell’intelligence israeliana il cui compito era impedire a Clinton di diventare un altro Carter:
L’ex produttore esecutivo della CBS, Zev Shalev: ” Jeffrey Epstein era un agente dell’intelligence militare israeliana. Lo ha dichiarato direttamente Ari Ben-Menashe, ex referente di Robert Maxwell, in una dichiarazione ufficiale. La missione era semplice: impedire a Bill Clinton di diventare “un altro Carter”, un presidente che avrebbe potuto costringere Israele a negoziati di pace globali con i palestinesi. Epstein e Ghislaine Maxwell furono inviati a compromettere i politici democratici, creando file di ricatto per neutralizzare qualsiasi futura iniziativa di pace”.
Potete ascoltarlo al minuto 15:00 dell’intervista qui sotto:
Il che ovviamente è in linea con le vanterie dello stesso Epstein:
Quindi, Trump vede nei documenti qualcosa di così sinistramente incriminante per vari funzionari pubblici, passati o presenti, da ritenere che il rischio sistemico per il Paese nel suo complesso sia troppo grande? Oppure il rischio non riguarda singoli funzionari americani, ma piuttosto la sacralità dell’Unico Grande Segreto della storia americana: che Israele controlla il governo degli Stati Uniti?
Colonnello Lawrence Wilkerson:
C’è ancora tempo per cambiare le cose, poiché continuano a circolare notizie secondo cui Dan Bongino starebbe presumibilmente “lavorando a qualcosa” nel contesto del caso Epstein e che lo stesso Trump ora propende per l’assegnazione di un nuovo procuratore speciale per mettere a tacere la “bufala di Epstein”.
Ma si può facilmente sostenere che il danno è già stato fatto, che la fiducia è stata profondamente erosa. E questo avviene proprio nel momento in cui le azioni manifeste di Israele sulla scena mondiale dimostrano ancora una volta quanto sia canaglia e illegale lo stato coloniale illegale, sotto l’egida di un governo statunitense compromesso. L’odierno bombardamento della Siria ha coinciso nuovamente con la sospensione del procedimento penale contro Netanyahu; questi fatti servono a mettere in luce la pervasività e le implicazioni di vasta portata della cronaca di Epstein.
Questa cronaca è una prova morale per la nazione, che giunge proprio nel momento in cui sembra che la situazione sia giunta a un bivio cruciale.
Di recente Musk ha aperto gli occhi della gente sulla piaga dell’Uniparty e ultimamente sembra sempre più che il velo venga tirato via e che stiamo assistendo al vero macchinare di cose che si muovono sotto la tenda.
Questo post portentoso dello scorso novembre suona inquietantemente programmatico al momento:
Per vostra informazione, Trump uscirà da questo periodo della storia americana odiato e vilipeso da tutti, ma in particolare dalla sua stessa fazione. Questo è il suo ruolo storico in questo crollo politico. Per vostra fortuna, il compito di Trump non è salvare la repubblica nominando Matt Gaetz.
Chi sosteneva che queste elezioni fossero una sorta di inizio della Rivoluzione Riformatrice, o qualcosa del genere, si è ritrovato con l’intera cronologia della rivoluzione distorta. Trump non è capace di riformare; è l’uomo che FINALMENTE dimostra alla gente che l’America non può essere riformata senza sangue.
No, amico, DOGE non salverà l’America dalla bancarotta. Matt Gaetz non purgherà il Dipartimento di Giustizia. Trump non vincerà contro la classe politica radicata al Senato. Trump è colui che *ti consegnerà* bancarotta e iperinflazione. Questa è la sua missione storica.
Non si può negare che gran parte del cambiamento “rivoluzionario” di Trump appaia troppo poco e troppo tardivo, o del tutto artificioso. Ad esempio, è stato osannato che i dazi di Trump abbiano già fruttato circa 200 miliardi di dollari di profitti. Il problema è che il popolo americano e le aziende hanno per lo più versato quei “profitti” al governo sottomesso, che poi li usa per intrighi geopolitici all’estero che non portano alcun beneficio in patria.
In altre parole: i dazi hanno fruttato 200 miliardi di dollari, eppure il bilancio fiscale di Trump ha aumentato il debito nazionale di diverse volte di più:
Che differenza fanno allora questi profitti tariffari? Vengono investiti nelle infrastrutture americane? No.
In breve, l’avvertimento del post precedente sa di verità: l’amministrazione Trump potrebbe benissimo rappresentare un grande risveglio tanto necessario, ma non nel modo in cui era stata concepita. Potrebbe invece aprire gli occhi dell’America sul fatto che ciò che la gente pensava fosse “radicale”, in realtà non lo è affatto. E questo potrebbe aprire la strada a un vero cambiamento futuro, quello che effettivamente penetra i pali e le finestre di Overton dello status quo del sistema in modi che nemmeno Trump è riuscito a fare:
Il barattolo delle mance resta un anacronismo, un esempio arcaico e spudorato di doppio guadagno, per coloro che non riescono proprio a trattenersi dal prodigare ai loro umili autori preferiti una seconda, avida e generosa dose di generosità.
Il sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire: – Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704; – IBAN: IT30D3608105138261529861559 PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione). Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373
All’inizio di questa settimana sono stato molto contento di scoprire dal Substackometer che ora ho un totale di oltre 10.000 iscritti e “follower”. C’è una differenza tra loro nota a Substack, ma in sostanza si tratta della stessa cosa. Sembra che i miei saggi abbiano una media di circa 12.000 lettori, sommando quelli che li leggono in traduzione e quelli che li leggono via email, ignorati da altri. Questo è molto più di quanto mi aspettassi o sperassi che è davvero difficile spiegare quanto sia effettivamente di più. Grazie a tutti coloro che si iscrivono e “seguono”, soprattutto a coloro che comprano un caffè e ogni tanto buttano monetine nella ciotola.
Nel frattempo, questi saggi saranno sempre gratuiti, ma potete continuare a sostenere il mio lavoro mettendo “Mi piace” e commentando, e soprattutto condividendo i saggi con altri e condividendo i link ad altri siti che frequentate. Se desiderate sottoscrivere un abbonamento a pagamento, non vi ostacolerò (ne sarei molto onorato, in effetti), ma non posso promettervi nulla in cambio se non una calda sensazione di virtù.
Ho anche creato una pagina “Comprami un caffè”, che puoi trovare qui .Grazie a tutti coloro che hanno contribuito di recente.
E come sempre, grazie a tutti coloro che forniscono instancabilmente traduzioni nelle loro lingue. Maria José Tormo pubblica traduzioni in spagnolo sul suo sito qui , e anche Marco Zeloni pubblica traduzioni in italiano su un sito qui. Molti dei miei articoli sono ora online sul sito Italia e il Mondo: li potete trovare qui . Sono sempre grato a coloro che pubblicano occasionalmente traduzioni e riassunti in altre lingue, a patto che citino la fonte originale e me lo facciano sapere. E ora, avanti e (speriamo) verso l’alto;
*****************************************
Nel mio ultimo saggio ho toccato l’attualità dell’esistenza o meno di un “programma nucleare iraniano” e di ciò che le fonti di intelligence avrebbero dovuto dire o tacere al riguardo. L’ho usato come esempio di un caso intrinsecamente complesso, in cui qualsiasi giudizio deve essere avvolto da sfumature, e in cui la leadership politica e i media, raramente si preoccupano di comprendere tali complessità, vogliono risposte semplici che spesso non sono disponibili.
Anche questa settimana l’intelligence è stata al centro dell’attenzione, dopo l’interessante e piuttosto schiacciante “nostra culpa” della CIA sul suo coinvolgimento nella bufala del “Russiagate” e sui numerosi errori professionali commessi. In effetti, l’intelligence, come argomento, è raramente esclusa dalle notizie di questi tempi, e ancor meno dalle dichiarazioni affannose degli esperti che scrivono di conflitti e crisi attuali.
Eppure la qualità delle informazioni che si trovano nei media popolari è in generale estremamente bassa. Non mi riferisco solo agli errori di fatto, che sono numerosi, ma anche alla mancanza di una conoscenza di base di cosa sia l’intelligence e di come abbia funzionato storicamente: informazioni che non sono difficili da trovare se si ha voglia di cercarle. Ma probabilmente non esiste un argomento di tale importanza in una democrazia che sia così poco compreso, eppure così frequentemente pontificato, attingendo in modo preponderante agli stereotipi della cultura popolare che presentano i servizi segreti come eroi o cattivi di Hollywood, a seconda dei gusti, e in entrambi i casi attribuendo loro poteri sovrannaturali di onniscienza e onnipotenza che in realtà non possiedono.
Ciò è curioso a prima vista, poiché tra la fine della Guerra Fredda e la diffusione di Internet, le informazioni sull’intelligence non sono mai state così disponibili come oggi. La maggior parte delle agenzie, almeno in Occidente, ha un proprio sito web e recluta personale apertamente, così come fa l’ SVR russo . Figure di spicco di queste agenzie parlano apertamente, alcune scrivono libri e persino romanzi dopo la pensione. Gli studi sull’intelligence sono una disciplina accademica modesta ma vivace, con riviste e convegni propri, e la materia viene insegnata a vari livelli in numerose università occidentali. La CIA ha un enorme Centro online per lo Studio dell’Intelligence, un enorme archivio di documenti e studi storici, con una rivista online. Molti paesi, come il Canada , hanno associazioni accademiche nazionali per gli studi sull’intelligence. Sono state pubblicate molte storie ufficiali o semi-ufficiali delle agenzie di intelligence, così come inchieste ufficiali su scandali di intelligence, come il Rapporto Butler sulle carenze dell’intelligence in Gran Bretagna prima della seconda guerra in Iraq, e persino le risposte governative a tali scandali. Quindi chiunque voglia scoprire fatti basilari (come ad esempio i veri nomi di “MI5” e “MI6”) può farlo rapidamente, e chiunque voglia sapere come sono strutturate le agenzie di intelligence, cosa fanno e i problemi che la gestione dell’intelligence pone in una società democratica ha una grande quantità di materiale su cui lavorare.
Ma in generale, non ne vogliono sapere. Ci sono diverse ragioni per questo, e alcune sono semplici: la quantità di lavoro necessaria per acquisire una comprensione accettabile dell’argomento è notevole e scoraggiante, per esempio. Ma una ragione più importante ci riporta all’affermazione attribuita a John Le Carré secondo cui i servizi segreti sono una sorta di radiografia dell’anima della nazione. Le Carré stava pensando, certo, a come le culture nazionali plasmano il funzionamento dei servizi segreti, un punto su cui tornerò, ma c’è anche una questione più ampia, nel modo in cui l’intelligence viene concepita nelle diverse culture. L’intelligence sembra funzionare come uno schermo bianco su cui vengono proiettate fantasie e paure diverse, spesso avendo solo un rapporto passeggero con la realtà: pochi esempi molto diversi devono bastare.
Nel mondo arabo, i servizi segreti sono temuti, persino più del più ampio settore della sicurezza, e l’interesse per i Mukharabat è fortemente scoraggiato: bisogna tenersi alla larga. In Francia, i servizi hanno un’immagine piuttosto romantica e audace, a sua volta legata all’orgoglio che i francesi hanno storicamente nutrito per le loro forze armate, e che è ampiamente condivisa in tutto lo spettro politico. In molti altri paesi (ad esempio gli stati post-comunisti) i servizi segreti sono visti come corrotti e politicizzati, mentre in altri ancora l’argomento non viene menzionato nelle conversazioni educate. (“Nel nostro paese di queste cose non si parla proprio”, come mi disse un funzionario svedese qualche anno fa). Nei paesi anglosassoni, tuttavia, e soprattutto sotto l’influenza della cultura popolare statunitense, esiste un intero costrutto virtuale, in gran parte slegato dalla realtà, derivato dalla narrativa popolare dai tempi di John Buchan, dai thriller hollywoodiani e dalle rielaborazioni di eventi storici reali come il Watergate, dai reportage sensazionalistici e dall’interazione reciproca di tutti questi elementi. Pertanto, il valore di qualsiasi scritto sull’intelligence in Occidente oggi è giudicato principalmente non dalla sua autorevolezza e persuasività, ma da quanto aderisce strettamente agli stereotipi culturali popolari. Come gli psicologi sanno da secoli, l’infinita ripetizione di idee e meme, accurati o meno, alla fine convince le persone che sono veri. In ogni caso, è tutto molto più facile e divertente che fare una vera ricerca.
Così, in linea con il principio secondo cui questi saggi dovrebbero essere utili, mi è venuto in mente che potrebbe essere utile ricordare i principi fondamentali dell’intelligence e riassumerli qui. Il mio obiettivo, molto modesto, è quello di aiutare le persone a comprendere meglio e dare un senso a ciò che appare nei media e nelle dichiarazioni governative, tenendo presente che tra ignoranza, pregiudizi, fantasia e la deliberata intenzione di fuorviare, è facile perdersi completamente. Non è un argomento di cui mi considero un esperto, anche se, come chiunque si trovi a frequentare un governo da abbastanza tempo occupandosi di affari internazionali e sicurezza, ho avuto una certa esperienza in materia. In ogni caso, mi preoccupo qui di una visione a 10.000 metri dell’argomento, che chiunque abbia lavorato al governo conoscerà bene. Non ci sono segreti svelati qui: non credo di conoscerne, in realtà.
Innanzitutto, però, è giusto ammettere che le fonti più responsabili e oggettive che ho menzionato sopra hanno i loro limiti. Non solo tendono a essere poco interessanti e accademiche, ma, per definizione, omettono anche molto. Dopotutto, l’essenza dell’intelligence è la segretezza, e questa ha poco valore se il bersaglio sa cosa hai raccolto e come lo hai raccolto. Quindi la CIA non tiene una conferenza stampa per spiegare di aver reclutato una nuova fonte al Cremlino, così come il Ministero della Sicurezza cinese non annuncia pubblicamente di essere riuscito a inserire una backdoor in un nuovo chip. Persino le informazioni storiche su quelle che vengono descritte come “fonti e metodi” potrebbero essere troppo delicate per essere pubblicate.
Forse ancora più importante, la considerevole quantità di materiale affidabile ora disponibile è generalmente scritta da una prospettiva strettamente occidentale-liberale, e spesso da una ancora più ristretta anglosassone. Negli studi sull’etica dell’intelligence, ad esempio, un campo che ha avuto un notevole sviluppo negli ultimi anni, i professionisti provengono quasi tutti da nazioni anglosassoni, e gli studi, per quanto interessanti possano essere alcuni di essi, tendono a concentrarsi esplicitamente su come dovrebbero comportarsi le agenzie di intelligence delle potenze occidentali. (Ad esempio, l’idea di ” Just Intelligence” , molto discussa qualche anno fa, era essenzialmente una derivazione della teoria della Guerra Giusta e, come quest’ultima, sostanzialmente incomprensibile al di fuori di un quadro etico e politico molto ristretto). Allo stesso modo, molti libri e articoli sull’intelligence sono scritti da giuristi e politologi occidentali, preoccupati – persino ossessionati – dai problemi che vedono nell’adattare la rozza bestia dell’intelligence ai vincoli di una moderna società liberaldemocratica, e di conseguenza fissati sui “controlli” legali e politici. Allo stesso modo, gli studi sui servizi di intelligence nelle transizioni politiche, ormai numerosi, tendono a limitarsi ad assegnare un punteggio su dieci in base a quanto imitano la forma ideale dei sistemi di intelligence occidentali, piuttosto che alla loro efficacia nel loro lavoro. È difficile immaginare che un funzionario dell’intelligence iraniano o cinese possa trarre qualcosa di utile da questo materiale, ed è un peccato che ci siano pochissimi lavori teorici o descrittivi sull’intelligence provenienti da fuori l’Occidente.
L’ultima avvertenza è di natura epistemologica. È opinione diffusa che il “valore di verità” di un’informazione, per usare un concetto matematico, debba essere necessariamente elevato. Questa impressione è rafforzata dalla necessaria segretezza della sua acquisizione e del suo trattamento e dal numero limitato di persone autorizzate a prenderne visione. Eppure, il “valore di verità” di un’informazione non è necessariamente maggiore di quello di un’informazione proveniente da altre fonti: dipende fortemente dall’argomento, dalla delicatezza della questione, dal modo in cui l’informazione viene raccolta, dall’affidabilità della fonte, dal grado in cui l’informazione conferma (o meno) altre informazioni disponibili, e da molti altri fattori. Un rapporto tecnico di un ufficiale dell’IRGC ai suoi superiori su un test missilistico in Iran può avere un elevato valore di verità, seppur in un contesto limitato, mentre i presunti commenti del Ministro degli Esteri sui prossimi negoziati commerciali, riferiti di terza mano da una fonte in un’ambasciata, possono avere un valore di verità molto inferiore. E poi la storia dimostra, sorprendentemente, che le fonti umane possono sbagliarsi, confondersi o persino inventare informazioni nella speranza di guadagnare denaro.
Pertanto, l’idea di “prova” nelle questioni di Intelligence, salvo in contesti molto particolari, è un errore di categoria epistemologica. La “prova” è qualcosa che esiste nei dibattiti scientifici o giuridici, dove esistono insiemi di regole distinti e accettati per determinare la “verità” e un mezzo per giudicare chi è stato in grado di dimostrarla. Con l’Intelligence, il meglio che si possa sperare nella maggior parte dei casi è una presunzione sufficientemente forte da poter agire in base ad essa. Inutile dire che, proprio come un gruppo vi accuserà di agire o parlare “senza prove” se prendete una decisione, così altri gruppi vi accuseranno di “ignorare le prove” se in seguito emergerà che avreste dovuto prenderne un’altra. Ma tutto questo fa parte del più ampio gioco politico che circonda l’Intelligence.
Le informazioni vengono generalmente raccolte per una ragione, e le ragioni generalmente implicano decisioni prese a un certo punto. Prendiamo un caso semplice e tipico. Il tuo Paese ha un rapporto difficile con il suo vicino, e sui media circolano persistenti accuse secondo cui starebbe finanziando e addestrando militanti separatisti nella regione di confine. Il tuo vicino nega fermamente. Un’altra potenza regionale è riuscita a convincere i due Presidenti a incontrarsi per un colloquio al fine di calmare la situazione. In quel momento, circolano fotografie di cadaveri in uniforme dell’esercito del tuo vicino, presumibilmente uccisi in operazioni anti-guerriglia, e ci sono diversi account anonimi sui social media che, presumibilmente, sono di militanti che registrano l’addestramento nel Paese del tuo vicino. L’opposizione chiede l’annullamento dei colloqui: il governo del tuo vicino accusa un’operazione “false flag” progettata per sabotare i colloqui. Il Presidente vuole sapere cosa fare.
Supponendo che il vostro governo disponga di una sorta di staff analitico centrale, commissionerà una valutazione. Ciò che dice è che ci sono alcune prove, ma non molte, del coinvolgimento del vostro vicino. Alcuni militanti catturati affermano di essere stati addestrati da stranieri, e alcune armi utilizzate dai militari del vostro vicino sono state recuperate, ma queste armi sono disponibili anche da altre fonti. Una fonte umana nell’esercito del vostro vicino afferma di aver sentito dire che alti funzionari del gruppo militante sono stati ricevuti ad alto livello nel quartier generale dell’esercito. Il vostro ambasciatore interviene osservando che, secondo uno dei contatti più fidati dell’ambasciata, in questo caso le fazioni dell’esercito potrebbero operare indipendentemente dal controllo politico. Solo un altro giorno nel confuso mondo delle valutazioni di intelligence.
Finora ho utilizzato esempi che potreste considerare “classici”, tratti dall’ambito della sicurezza. Ma la logica della raccolta e della valutazione dell’intelligence non è limitata a un ambito specifico. Possiamo pensare all’intelligence come a un tipo particolare di informazione: per definizione, tutta l’intelligence è informazione, ma non tutte le informazioni sono intelligence. Questa qualificazione è riservata alle informazioni raccolte clandestinamente, quindi il primo requisito è definire le circostanze in cui il costo, il tempo e il potenziale rischio di raccoglierle e analizzarle sono giustificati. Chiaramente, ci sarà una soglia al di sotto della quale le informazioni aggiuntive che potrebbero essere acquisite non valgono lo sforzo necessario. Esiste un’ampia gamma di argomenti in cui le informazioni sono apertamente disponibili e non controverse, in cui i governi si scambiano informazioni liberamente o in cui il governo ha già accesso a tutte le informazioni di cui potrebbe aver bisogno per qualche iniziativa nazionale. Se, ad esempio, si sta pianificando un programma di scambio formativo con un altro Paese, poche o nessuna informazione verrà nascosta da entrambe le parti. (Naturalmente, se si pensa che l’altro Paese possa usare questo come un’opportunità di raccolta di informazioni, allora si applicano regole diverse, come vedremo.)
L’uso di risorse di intelligence è quindi un’eccezione, e non è sempre detto che i temi più ovvi (difesa, sicurezza, affari esteri) siano quelli di cui i vostri servizi segreti dovrebbero interessarsi: dipende dalle priorità generali del vostro governo. Potreste vivere in una regione sostanzialmente tranquilla e stabile, ma dove la criminalità organizzata transnazionale (COT) è un problema. In tal caso, non solo gran parte delle vostre attività di intelligence saranno mirate contro la COT, ma la struttura stessa della vostra comunità di intelligence rifletterà questa priorità, e poiché la COT è per definizione internazionale, è probabile che i vostri servizi segreti abbiano contatti sostanziali con altri paesi della regione e altrove, e con organizzazioni come l’UNODC. D’altra parte, potreste essere un piccolo paese in un’area ricca di risorse e essere principalmente interessati a questioni economiche, come i piani di investimento che i principali stati e le industrie transnazionali potrebbero avere nella vostra regione. Tutto dipende.
Farò un esempio immaginario ma realistico, e come tutti questi esempi sarà esterno alla bolla anglosassone. Supponiamo che la Russia ospiti un vertice BRICS alla fine di quest’anno. Ora, uno Stato ospitante ha generalmente due priorità in tali circostanze. La prima è che il vertice sia considerato un successo, e quindi dia un buon riconoscimento agli organizzatori. La seconda è che le iniziative dello Stato ospitante (dato che generalmente ce ne sarà almeno una) debbano progredire durante il vertice. I preparativi per il vertice saranno già iniziati e molti di essi riguardano la definizione della linea di base: cosa vogliamo? Cosa possiamo accettare? Chi assumerà quale posizione? Chi sarà a favore/contro le nostre iniziative? Cosa è ragionevole aspettarsi? Per fare questo, ovviamente bisogna sapere qualcosa su ciò che i propri ospiti desiderano, sperano e accetteranno. Alcune di queste attività (ad esempio, la stesura di comunicati o dichiarazioni, che inizia qualche tempo prima dell’incontro vero e proprio) saranno palesi e condotte dalle ambasciate e da riunioni ad hoc. Le ambasciate russe nei vari paesi contatteranno poi i governi ospitanti, confronteranno le idee, faranno pressioni e riceveranno pressioni, come parte del processo di elaborazione di un programma per un incontro di successo.
Ma ci saranno questioni chiave su cui persisterà l’incertezza. Il sistema cinese non è facile da gestire, ed è notoriamente complesso e opaco. Quindi i russi punteranno le loro risorse di intelligence contro i cinesi per scoprire dove siano i loro limiti, dove sperano di fare progressi, quali siano le loro ipotesi sugli obiettivi della Russia e così via. Non ho idea di quale capacità tecnica abbiano i russi contro i cinesi, ma la regola generale è quella di scegliere la via più semplice, quindi potrebbero attaccare l’ambasciata cinese a Pretoria, per esempio. Attaccheranno anche gli indiani. A loro volta, i cinesi faranno lo stesso con i russi e con gli indiani. Quindi, dal punto di vista russo, quando Putin arriverà a presiedere effettivamente la riunione, potrebbe sapere, ad esempio, che una presunta linea rossa cinese è in realtà solo una questione di negoziazione, e che se insisterà con forza cederanno. Potrebbe anche sapere che un’iniziativa indiana da presentare al Summit è controversa tra le principali figure governative, e che una piccola resistenza sarà sufficiente a convincerle a ritirarla.
Ma aspetta, ti sento dire. Cina e Russia sono alleate, no? Di sicuro non si spierebbero a vicenda? Sarebbe scortese. Beh, la verità è che lo fanno, anche se lo fosse. In effetti, in generale, tutti spiano tutti, e in generale questo è accettato come parte delle regole del gioco, con le dovute precisazioni che spiegherò più avanti. Di tutte le caratteristiche del mondo dell’intelligence, questa è probabilmente la più difficile da comprendere, ma è fondamentale per capire come funzionano realmente le cose.
A sua volta, ciò deriva dal modo in cui funziona il sistema internazionale. La maggior parte delle persone ha in testa una di queste due vaghe idee al riguardo. Una è il paradigma ampiamente realista degli stati in eterno conflitto per potere e influenza; l’altra è quella degli stati con “amici” e “nemici” di lunga data, se non eterni. In pratica, la maggior parte delle persone crede a entrambe queste cose, a volte a giorni alterni, a volte contemporaneamente. La realtà è semplice da spiegare, sebbene la sua applicazione possa essere confusa. Considerate il mondo, come ho già detto, come una gigantesca serie di diagrammi di Venn. Ogni cerchio rappresenta gli interessi di un paese in un particolare argomento e, in certi casi, si sovrapporrà agli interessi di altri paesi. In generale, non c’è nulla di così semplice come “l'” interesse nazionale, e con alcuni paesi si può avere un interesse comune in un’area ed essere completamente opposti in un’altra. Laddove gli interessi si sovrappongono, si può cooperare o semplicemente decidere di non ostacolarsi a vicenda. In alcuni casi, ciò potrebbe significare condividere informazioni di intelligence con altre nazioni su un determinato argomento, anche se in altri ambiti rappresentano un obiettivo importante per l’intelligence.
Nel caso di cui sopra, Cina e Russia intrattengono relazioni di ogni tipo, alcune positive, altre neutrali, altre ancora conflittuali. Collaborano su alcune questioni tecnologiche e sono in disaccordo su altre. Ma anche quando cooperano, usano le loro capacità di intelligence per scoprire cosa sta facendo l’altra parte e cosa vuole. Entrambe le parti capiscono che è così che si gioca la partita. Ora, naturalmente, ogni attività di intelligence comporta rischi di un tipo o dell’altro. L’ipocrisia organizzata che circonda l’argomento fa sì che per la maggior parte del tempo ciò non abbia importanza; ma, se ad esempio si diffonde la notizia che una delle due ha effettuato un attacco tecnico con successo, allora, sebbene la potenza attaccante negherà sempre tali scandalose calunnie, di solito ci saranno conseguenze reali di un tipo o dell’altro, anche se non vengono rese pubbliche.
A volte, la sovrapposizione di interessi rende possibili anche forme di cooperazione piuttosto sorprendenti. Ad esempio, in Siria, gli Stati Uniti e altre potenze occidentali erano politicamente impegnati a sbarazzarsi di Assad, mentre i russi ritenevano che fosse nel loro interesse che sopravvivesse. Eppure, non era nell’interesse di nessuno dei due che le loro forze entrassero in conflitto, quindi furono introdotti accordi di de-conflittualità. Né era nell’interesse di nessuno dei due che lo Stato Islamico prosperasse, quindi sono stati segnalati accordi di condivisione di intelligence tra i due paesi, e probabilmente anche tra britannici e francesi.
A sua volta, ciò riflette il modo molto pragmatico, spesso brutale, in cui l’intelligence e, più in generale, l’influenza vengono scambiate tra gli stati. Le relazioni internazionali nel loro complesso sono molto darwiniane, ma non nel senso immaginato dai realisti. Piuttosto, la tua influenza dipende da ciò che hai da offrire agli altri di cui hanno bisogno. A nessuno interessa la tua posizione morale o la tua gloriosa storia, ma piuttosto ciò che puoi mettere sul tavolo. Puoi anche avere un potere di disturbo che obbliga gli altri paesi a tener conto di te: l’Algeria e il Sahel ne sono un buon esempio.
Questo spesso pone le piccole nazioni in una posizione di potere. Durante la Guerra Fredda, ad esempio, l’attenzione svedese era quasi esclusivamente concentrata sull’Unione Sovietica, e in particolare sull’organizzazione e il dispiegamento delle forze sovietiche nella loro regione. In base ad accordi segreti con la NATO, che li resero di fatto membri, l’intelligence fu certamente passata ad altri, compresi gli Stati Uniti: cosa fu acquistato con precisione non si saprà mai, ma probabilmente fu sostanziale. È probabile che la stessa cosa stia accadendo oggi con la Russia. Analogamente, una delle principali priorità dell’intelligence austriaca nello stesso periodo era la stabilità dell’ex Jugoslavia, e nel 1991 rappresentavano un’importante fonte di informazioni per altri stati occidentali. Infine, gli australiani hanno nutrito per molti anni un interesse particolare per la loro regione, in particolare l’Indonesia, e dispongono di una capacità radar Over-the-Horizon (il sistema Jindalee) che monitora i movimenti degli aerei a migliaia di chilometri di distanza.
Questo tipo di cose è importante perché, in realtà, anche gli stati più grandi non hanno la capacità di fare tutto. La lingua è spesso un fattore limitante importante e, se avete dovuto imparare una lingua da adulti, non vi sorprenderà. Lingue come il giapponese, il cinese, l’arabo e il russo richiedono anni di studio a tempo pieno per essere padroneggiate, e ci saranno ancora ampie aree di vocabolario tecnico da aggiungere prima di poter lavorare come analisti. E anche in quel caso, è improbabile che si riesca a fare di più che sopravvivere in tali società: trovare e sviluppare fonti umane è un problema completamente diverso. E naturalmente le agenzie non sanno mai cosa succederà. Alla fine della Guerra Fredda, la maggior parte dei paesi aveva molti linguisti russi. Iniziarono rapidamente a reclutare e addestrare arabisti, solo per vedere scoppiare la guerra in Jugoslavia. A quel punto gli inglesi avevano, se non ricordo male, meno di una mezza dozzina di parlanti serbo-croati abbastanza fluenti in tutto il governo. Diversi paesi non ne avevano affatto, quindi tutte quelle potenziali informazioni sulle intenzioni delle fazioni semplicemente non potevano essere utilizzate, anche se fossero state raccolte. Ma a sua volta, questa richiesta ha lasciato il posto alla necessità di parlanti albanesi (shiq) durante la crisi del Kosovo, seguita da parlanti pashtun e dari in seguito all’avventura in Afghanistan. Poi Siria e Libia hanno riportato la necessità dell’arabo, proprio mentre l’Ucraina si stava riscaldando. E non entriamo nemmeno nel merito della questione dei dialetti: quello che è noto come arabo moderno standard viene insegnato nelle università occidentali, e la maggior parte degli arabofoni dovrebbe essere in grado di leggerlo, ma è molto diverso dall’arabo comunemente parlato, che è spesso disseminato di prestiti linguistici dal passato (turco, francese, italiano) e oggi anche dall’inglese.
La tecnologia non ci salverà? Beh, fino a un certo punto. La traduzione automatica può essere estremamente utile per i documenti, fornendo almeno il novanta per cento del senso, ma è improbabile che da sola produca risultati utilizzabili per prendere decisioni. E per quanto riguarda la voce, la maggior parte delle persone che comunicano informazioni sensibili sa usare codici vocali e slang. Pochi traduttori automatici potrebbero gestire ” Rispetto, reuf! la gonzesse a le kertru du toubib, gare aux keufs” ( Più o meno, “Ciao fratello mio, la signora sta portando la merce dalla struttura medica. Ma attenzione alla polizia!” ), soprattutto con un forte accento maghrebino o dell’Africa occidentale. E pochi sistemi di trascrizione automatica riescono comunque a gestire gli accenti, come dimostra ogni giorno in modo esilarante YouTube. È sempre più possibile utilizzare software per filtrare le telefonate intercettate e identificare le parole chiave, ma in un certo senso, questa è la parte facile, perché quasi per definizione, si otterrà un numero enorme di falsi positivi. E anche in quel caso, “incontrami al primo appuntamento di riserva mezz’ora dopo il solito giorno” non significa molto in nessuna lingua. L’analisi di intelligence è un’attività dal contesto estremamente complesso, in cui, a meno che non si conosca il contesto, una singola intercettazione o un singolo rapporto di intelligence umano possono essere sostanzialmente privi di significato.
Tuttavia, il punto più importante qui è politico, nel grado di controllo e influenza che alcuni stati possono acquisire attraverso l’intelligence. Ad esempio, il coreano (Hangul) è una lingua difficile da imparare e sostanzialmente inutilizzabile al di fuori della Corea. Quindi, sebbene esistano vari mezzi tecnici per raccogliere informazioni sui programmi militari nordcoreani, per informazioni più dettagliate, e in generale sulla situazione politica e militare a Pyongyang, gli Stati Uniti, e peraltro altri paesi occidentali, dipendono interamente dal Servizio di Intelligence Nazionale della Corea del Sud, che ha una propria agenda e ovviamente riflette quella del suo governo. È molto riluttante, ad esempio, a concedere ad altre nazioni l’accesso ai disertori nordcoreani. Allo stesso modo, il grado di dipendenza del sistema statunitense da Israele per le sue attività di intelligence sugli stati arabi e sull’Iran è proverbiale, ed è diventato chiaro dal 2021 che la CIA è stata irrimediabilmente manipolata dall’Inter-Services Intelligence pakistana durante la crisi afghana. Detto questo, è vero anche il contrario: l’intelligence può essere scambiata per altri favori politici o economici, o semplicemente utilizzata per influenzare il pensiero di altri governi.
L’intelligence è quindi uno strumento pervasivo della politica in tutti i settori. Questo non significa che il suo utilizzo sia automatico: come ho accennato, si tratta in parte di un’analisi costi-benefici, e dipende anche dalle conseguenze di un eventuale fallimento. Ma la regola empirica più semplice è che se qualcosa è sia conveniente che potenzialmente utile, allora molto probabilmente un’agenzia di intelligence la sta facendo. Perché non dovrebbe? Se fossi il Presidente della Cina e scoprissi che il Ministero della Sicurezza dello Stato (MOSS) non è impegnato a installare backdoor nei prodotti informatici, non si avvale di studenti e lavoratori stranieri per rubare segreti e non spia la diaspora cinese, allora vorrei sapere cosa diavolo stanno facendo per guadagnarsi lo stipendio: giocano ai videogiochi? Il che significa che laddove esistono tecniche note e collaudate per raccogliere informazioni e manipolare le persone, è saggio presumere che ogni agenzia nazionale che abbia l’opportunità di usarle lo stia facendo.
Non si tratta solo di cose di alto profilo e a breve termine. Alcuni paesi adottano una prospettiva a lunghissimo termine e incoraggiano i propri agenti a identificare persone che, un giorno, potrebbero essere utili in determinate circostanze. Il vecchio NKVD, ad esempio, negli anni ’30 reclutava studenti universitari provenienti dall’establishment britannico nella speranza che, anni dopo, sarebbero diventati influenti e utili. Non sarebbe sorprendente se i cinesi, il cui approccio è altrettanto a lungo termine, facessero qualcosa di simile: anzi, sarei sorpreso se non lo facessero. Ma è così che funziona il gioco.
Infine, le organizzazioni internazionali e multinazionali sono anche una calamita per gli agenti dei servizi segreti di tutto il mondo: solo il cielo sa quanti di loro lavorano sotto copertura all’ONU, ad esempio. Un motivo di questo interesse è ovviamente scoprire cosa stiano facendo i settori sensibili di tali organizzazioni (l’AIEA è un esempio di attualità), ma più in generale, tali organizzazioni sono ambienti ricchi di bersagli per l’identificazione di future fonti. Sono piene di persone che vivono una vita da espatriati, che potrebbero essere sole, ma che si stanno anche abituando a uno standard di vita di cui non potranno godere una volta tornate a casa. Un “diplomatico” comprensivo e amichevole potrebbe essere in grado di aiutarli con entrambi i problemi, in cambio di “piccoli favori”. Altri bersagli affidabili sono interpreti e traduttori con famiglia in patria. Non c’è nemmeno bisogno di una pressione esplicita: facci qualche favore e troveremo a tuo fratello quel lavoro all’università che desidera tanto.
Finora ho delineato, in modo molto semplice, a cosa le agenzie di intelligence dedicano la maggior parte del loro tempo: la raccolta e l’analisi occulta di informazioni ritenute importanti. Ho ampiamente parlato di intelligence estera, perché anche quella interna presenta altre problematiche e non c’è spazio per affrontarle qui. Ma non ho detto nulla sull’immagine delle agenzie di intelligence che si ritrova nei media popolari: omicidi, “false flag”, rovesciamento di governi, manipolazione di giornalisti, manipolazione di elezioni, addestramento di gruppi terroristici e così via. Che dire di questo?
Ebbene, la prima cosa da dire è che la generalizzazione è pericolosa. Sebbene le organizzazioni di intelligence condividano caratteristiche comuni, l’ambiente in cui operano, e quindi i compiti che svolgono, sono molto vari: possiamo esaminare rapidamente alcune tipologie generali. Una è un servizio destinato a mantenere un regime al potere. Qui c’è generalmente una componente ideologica. Il vecchio KGB era teoricamente un dipartimento del Partito Comunista, non del governo, sebbene in pratica fosse trattato come un ministero. Il MOSS cinese ha avuto inizio allo stesso modo, sebbene tecnicamente risponda al Consiglio di Stato. E in Iran, il Ministero dell’Intelligence (e quasi certamente parti del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie) sono chiaramente al servizio della Repubblica Islamica, non del paese. Qui, il primo bersaglio è la popolazione del paese, o almeno coloro che potrebbero desiderare di vivere sotto un sistema diverso. Ci sono anche nemici espatriati da contrastare. Tali agenzie, naturalmente, pongono molta enfasi su ciò che altrove sarebbe un lavoro di polizia (il personale del MOSS ha poteri di arresto e l’organizzazione ha le sue prigioni). Sono anche la prima scelta per perseguitare e, se necessario, assassinare i dissidenti all’estero.
Simili ma non identici sono i servizi segreti che mantengono al potere i regimi (spesso basati sulla personalità). Questo è stato il caso dell’Iraq sotto Saddam Hussein, della Siria sotto Assad e della Libia sotto Gheddafi. Probabilmente è il caso dell’Algeria, dove il regime ha perso qualsiasi convinzione ideologica di un tempo, e del Ruanda, dove i servizi segreti mantengono essenzialmente Kagame al potere assassinando chiunque si metta sulla sua strada. Una caratteristica sia del regime iracheno che di quello siriano era la molteplicità di agenzie (sette ne sono state contate in Iraq) a cui venivano assegnati mandati deliberatamente sovrapposti e incoraggiate a spiarsi a vicenda per mantenere il regime al potere. Tali organizzazioni possono essere estremamente potenti. Tra il 1990 e il 2005, ad esempio, il Libano era essenzialmente gestito dai servizi segreti militari siriani: il Direttore aveva un ingresso speciale nel Serraglio, l’ufficio del Primo Ministro, che usava ogni sera per recarsi al Primo Ministro e impartire le sue istruzioni. E la temuta Direction du Renseignement et de la Sécurité in Algeria è stata spesso considerata il governo effettivo del paese, fino al suo scioglimento avvenuto un decennio fa.
Tutte le agenzie menzionate nell’ultimo paragrafo sono o erano sotto il controllo dell’esercito, e in effetti, è così che sono nate le agenzie di intelligence, e così la maggior parte delle persone le considera ancora. Nel diciannovesimo secolo, i segreti di Stato erano essenzialmente militari, legati alla mobilitazione e alla produzione bellica. Quando i francesi organizzarono il loro Stato Maggiore dopo la sconfitta contro i prussiani nel 1871, crearono il Deuxième Bureau, che si occupava di questioni di intelligence militare. Altri paesi seguirono l’esempio, e oggi i quartier generali organizzati secondo gli standard occidentali hanno tutti quella che è nota come funzione “J2”. (J1 sta per organizzazione, J3 per operazioni, J4 per logistica e così via).
Nel caso francese, l’organizzazione di intelligence all’estero è rimasta a lungo fortemente militarizzata e la DGSE è ancora sotto il controllo del Ministro della Difesa (ma non fa parte del Ministero). Sebbene la DGSE si sia rapidamente civilizzando (la maggior parte dei suoi analisti, a quanto pare, ora sono civili), la sua etica è ancora fortemente influenzata da una storia di operazioni militari clandestine, una tradizione che risale almeno all’epoca della Francia Libera a Londra. L’ azione del suo Servizio è solo vagamente legata all’intelligence: i suoi compiti principali sono operativi, inclusi rapimenti e omicidi. (Le SA furono responsabili del fiasco della Rainbow Warrior nel 1985.) Al contrario, gli inglesi decisero già negli anni ’20 che l’intelligence era troppo importante per essere lasciata all’esercito. La Direzione dell’Intelligence Militare del Ministero della Guerra perse tutte le sue funzioni non militari, che furono trasferite ad agenzie civili di nuova creazione. Essenzialmente lo stesso modello è stato seguito da altri paesi del Commonwealth.
Questo potrebbe continuare per pagine e pagine, e la sociologia delle organizzazioni di intelligence è un argomento affascinante, almeno per me. Ma voglio solo sottolineare ancora una volta che l’organizzazione e i compiti delle agenzie di intelligence riflettono la storia e la cultura del loro Paese, e probabilmente non ce ne sono due con la stessa identica struttura o elenco di funzioni. Detto questo, possiedono competenze operative generiche che i governi spesso trovano utili. Stabilire contatti non ufficiali con gruppi ribelli o criminali organizzati o condurre trattative per la liberazione di ostaggi, ad esempio, non è qualcosa che si può o si vorrebbe chiedere a diplomatici accreditati. Quindi, a quanto pare, quando il governo britannico iniziò ad aprire contatti con l’African National Congress negli anni ’80, si rivolse innanzitutto ai servizi segreti. Questo è tipico.
A seconda del contesto, quindi, le “agenzie di intelligence” possono essere qualsiasi cosa, dal braccio segreto dello Stato, da un lato, a piccole organizzazioni di analisi collegate ai Ministeri degli Esteri o della Difesa, dall’altro. È importante comprendere questo aspetto quando si leggono resoconti sfarzosi delle presunte attività di tali agenzie sui media. L’unica regola generale, a mio avviso, è che più un’agenzia di intelligence è grande e potente, e maggiore è la sua indipendenza, più rischia di allontanarsi dai suoi compiti principali: raccogliere e analizzare informazioni.
Il che, suppongo, ci riporta alla CIA, da dove siamo partiti. È ironico che un’agenzia che pubblica una quantità enorme di materiale, e su cui si è scritto con così tanta ampiezza, rimanga così misteriosa: o meglio, sia trattata come tale da persone che trovano la vita reale troppo noiosa. Tutto ciò che si può dire, credo, è che fa parte del sistema statunitense, e questo sistema è frammentato, conflittuale e personalizzato, tanto che ogni organizzazione aspira a espandersi nel territorio altrui. Si sostiene spesso, ad esempio, che la CIA abbia una propria politica estera, e ci sono prove del passato che lo dimostrano. L’Agenzia ha una storia di ignoranza, o almeno di interpretazione creativa, dei desideri del governo, e le sue stesse dimensioni, il suo budget e l’entità delle sue risorse fanno sì che farlo sia sempre una tentazione. A questo si deve aggiungere l’eredità dell’Office of Strategic Services, risalente al periodo bellico, generalmente considerato la sua organizzazione madre. L’OSS, da quanto possiamo dedurre, era un’organizzazione piuttosto dilettantesca, almeno agli inizi, e molti dei suoi membri più anziani non avevano alcuna esperienza nell’intelligence. Era anche pesantemente militarizzata e gran parte del suo lavoro consisteva in operazioni frammentarie e approssimative di dubbia utilità, che oscuravano il lavoro ben più utile di raccolta ed elaborazione di dati di intelligence.
La CIA è l’erede di queste tradizioni e per gran parte della sua storia vi è stata una tensione tra la Direzione Analisi, che era rispettata e piuttosto sensata nei suoi giudizi, e la Direzione Operazioni, che aveva la tendenza a giocare a cowboy e indiani in giro per il mondo, spesso con risultati disastrosi. Secondo chi vi ha lavorato di recente, questa tendenza si è enormemente rafforzata dopo il 2001, al punto che le attività militari e politiche della Direzione Operazioni hanno rischiato di sfuggire al controllo. Questo è forse un caso estremo di uno dei problemi fondamentali delle agenzie di intelligence: la leadership politica si lascia talmente abbagliare dalle promesse di ciò che può realizzare da perdere la testa.
Si tratta di una panoramica molto breve e superficiale sul campo dell’intelligence, basata per lo più su conoscenze generali. E non è che non vengano sollevate immediatamente domande importanti. Ad esempio, come dovrebbero essere presi di mira i servizi segreti in una democrazia, quali metodi dovrebbero essere autorizzati a utilizzare e chi decide? Oppure come possiamo affrontare la minaccia riconosciuta dei servizi segreti stranieri senza danneggiare gli interessi degli espatriati o degli immigrati provenienti da quegli stessi Paesi?
Ma in realtà, la gente non è molto interessata a queste questioni. Come ho suggerito all’inizio, i servizi segreti sono una sorta di schermo bianco su cui vengono proiettate le nostre paure e fantasie, permettendoci, a seconda dei gusti, di provare ammirazione o un senso di superiorità morale nei loro confronti. E così le persone parlano con assoluta sicurezza di argomenti su cui sono in gran parte ignoranti, poiché non hanno alcun interesse a istruirsi. Molti siti Internet, e ancora più commentatori su quei siti, offrono discorsi eruditi, usando a caso parole come “risorsa”, “intelligence” o “spia” nel tentativo di spacciarsi per esperti, e di recente, a quanto vedo, hanno iniziato ad apparire termini come “spia adiacente”, qualunque cosa significhi. Quindi il defunto signor Epstein viene dichiarato con sicurezza un agente della CIA, una “risorsa” della CIA, qualunque cosa sia, un membro del Mossad, un doppio agente di qualche tipo, un ricattatore indipendente, assassinato dalla CIA, assassinato dal Mossad, assassinato dai russi, e una mezza dozzina di altre teorie prive di un briciolo di prova, avanzate da persone che non conoscono la differenza, ad esempio, tra l’FSB e l’SVR. Ma è tutto molto divertente.
Questo non giova alla democrazia, a prescindere da ciò che può avere sui clic su internet, e trasforma quelle che sono in realtà questioni serie sul controllo e l’assegnazione dei compiti alle agenzie di intelligence in una sorta di competizione letteraria fantasy in cui più l’accusa è oltraggiosa, più clic si ricevono. L’ironia è che l’intelligence è comunque un argomento affascinante nella vita reale e solleva ogni sorta di interessanti questioni morali, politiche e pratiche, alcune delle quali ho appena accennato qui e su cui c’è molto altro da dire. Dopotutto, c’è un evidente vantaggio nel discutere di questioni di intelligence applicando, beh, un po’ di intelligenza naturale, piuttosto che seguendo le convenzioni hollywoodiane. Fatemi sapere se siete interessati e, nel frattempo, quando leggete di intelligence, non dimenticate cosa dice il Dao de Jing :
Tucker Carlson ha detto al suo ultimo ospite, il co-conduttore di Breaking Points Saagar Enjeti, in un’intervista rilasciata martedì: “Se ti alzi e dici ‘restaureremo la grandezza di questo Paese’, lo faremo mettendo al primo posto i nostri interessi. È quello che fa ogni Paese. È naturale. È organico”. Carlson stava soppesando la filosofia “America First” tipica del MAGA con quella di coloro sulla destra che sembrano preferire mettere Israele al primo posto.”E poi metti gli interessi di un Paese di 9 milioni di persone al di sopra dei tuoi in un modo che è semplicemente offensivo, la gente non riesce a sopportarlo”, ha detto Carlson. “Gli scoppia il cervello.” “Penso che questo stia facendo saltare la coalizione”, si è lamentato Carlson. “Spero di sbagliarmi. Io sostengo la coalizione… Sono preoccupato. Ho la sensazione che stia succedendo proprio questo. “Enjeti concordò: “Penso che dovresti preoccuparti”.
Nei primi giorni del secondo mandato del presidente Donald Trump, i fedeli del MAGA erano ottimisti, entusiasti e piuttosto uniti. Era ampiamente riconosciuto che Trump non sarebbe mai riuscito ad accontentare tutti nella sua coalizione, ma la maggior parte sembrava disposta a concedergli clemenza su alcune questioni, purché il MAGA procedesse nella giusta direzione per la maggior parte delle questioni, o anche solo per un numero sufficiente di questioni. In quei primi mesi, Trump iniziò a mantenere le sue promesse di sicurezza dei confini e di deportazioni. Il suo inviato speciale Steve Witkoff impose un cessate il fuoco a Gaza e una migliore diplomazia tra Russia, Ucraina e Stati Uniti sembrò possibile. La nuova amministrazione istituì DOGE con Elon Musk a capo, che si prefisse di trovare tagli per 2.000 miliardi di dollari. Il presidente Trump stava attaccando duramente i neoconservatori e il loro fallimentare progetto di nation building durante un discorso in Arabia Saudita. Il vicepresidente J.D. Vance stava attaccando apertamente le leggi tedesche contro la libertà di parola in un discorso a Berlino.Il procuratore generale Pam Bondi ha affermato che la lista dei clienti, sicuramente schiacciante, del defunto trafficante di minori Jeffrey Epstein era sulla sua scrivania e che stava per renderla pubblica. Questo era allora. Martedì scorso, il Dipartimento di Giustizia di Trump ha dichiarato che non esisteva alcuna lista di clienti di Epstein, cosa considerata una sfacciata menzogna da molti membri della coalizione MAGA. Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu è in visita alla Casa Bianca per la terza volta in meno di sei mesi del secondo mandato di Trump. Trump ha attaccato militarmente l’Iran , una delle massime aspirazioni di Israele e di ogni neoconservatore americano da decenni. Il cessate il fuoco a Gaza è stato violato da tempo e l’esercito israeliano ha massacrato palestinesi per mesi a spese dell’America. Lo stesso giorno, il presidente ha annunciato che gli Stati Uniti avrebbero inviato più armi e dollari all’Ucraina. Musk se n’è andato e il DOGE sembra un lontano ricordo, insieme a tutte le chiacchiere sui tagli al governo. L’amministrazione sostiene pienamente gli sforzi contro la libertà di parola che prendono di mira coloro che negli Stati Uniti osano criticare il governo israeliano. Trump e gran parte del suo partito repubblicano sembrano ora molto orgogliosi di aver approvato di recente la legge “Big, Beautiful Spending”, osteggiata dai falchi fiscali del GOP come il senatore Rand Paul (R-KY), i deputati Thomas Massie (R-KY) e Warren Davidson (R-OH), e anche Elon Musk . E sì, come diceva Tucker Carlson, questo presidente e il suo partito ora mettono regolarmente Israele al primo posto. Il senatore Lindsey Graham (R-SC) è molto soddisfatto di questa versione di “MAGA”. . Lo stesso vale per il senatore Ted Cruz (R-TX). Il conduttore radiofonico neoconservatore Mark Levin ritiene che l’attacco all’Iran di Trump sia l’incarnazione del MAGA. I neoconservatori che un tempo deridevano il MAGA come una setta ora liquidano i destri che non si fidano abbastanza di Trump. Molti repubblicani al Congresso ed elettori, e forse persino la maggioranza, considerano il MAGA qualsiasi cosa Trump decida di fare in un dato giorno e a qualsiasi capriccio, a prescindere da quanto possa essere in contraddizione con ciò che ha fatto un minuto prima o con il messaggio generale di lunga data del presidente. Ecco dove si trova attualmente il MAGA, per chi è ancora disposto a chiamarlo così. Poi c’è Ultra-MAGA. Questi sono i sostenitori, molti dei quali sono con Trump fin dall’inizio, che credono nei principi e nelle politiche che hanno definito il MAGA nel corso della sua storia. Vogliono la sicurezza dei confini. Vogliono smettere di combattere guerre infinite. Vogliono drastici tagli alla spesa pubblica. Vogliono attaccare il Deep State.Vogliono davvero mettere l’America al primo posto. Gli Ultra-MAGA sono Steve Bannon, Musk, Carlson, Massie, Davidson e Paul. Fanno parte di questo gruppo anche i podcaster, tra cui Joe Rogan , che hanno contribuito all’elezione di Trump. Musk e Bannon notoriamente non si sopportano, ma entrambi sono Ultra-MAGA nonostante i loro disaccordi. Il “Partito America” proposto da Musk fa parte di questa fazione all’interno della coalizione di Trump. Nessuno è più estremista del MAGA di ogni fedele sostenitore del MAGA che è assolutamente indignato dal fatto che questo presidente e il suo team – il loro presidente e il suo team – ora affermino che non ci sono prove che suggeriscano che Epstein abbia fatto qualcosa. L’attuale controversia su Epstein sembra delinearsi. L’Ultra-MAGA è diversificato, ampio e potrebbe benissimo sopravvivere allo stesso Donald Trump, in termini di influenza sulla politica americana, sul Partito Repubblicano o persino su altri partiti. L’attuale missione principale del MAGA sembra essere quella di sottomettersi al consenso di Washington, soprattutto in politica estera, e di irritare e deludere i suoi veri sostenitori, il che potrebbe in ultima analisi rafforzare la determinazione dell’Ultra-MAGA, a prescindere da ciò che fa questo presidente. Carlson ha detto a Enjeti: “Uno dei tanti tragici effetti collaterali è che, secondo me, sta distruggendo la destra. E lo dico da persona che è stata di destra per tutta la vita. Per tutta la vita, sono stata di destra”.”Credo davvero nelle idee di base, e non sono un liberal”, ha detto Carlson. “Questo è certo. Anzi, sono molto più conservatore di Mark Levin. Questo è certo.””Ma il problema è che la promessa del MAGA è ‘America First’ e la contraddizione è fin troppo evidente…” ha aggiunto Tucker. Troppo ovvio, per alcuni. Per molti.Quanti saranno, lo dirà il tempo.
Il sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire: – Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704; – IBAN: IT30D3608105138261529861559 PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione). Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373
Il sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire: – Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704; – IBAN: IT30D3608105138261529861559 PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione). Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373
Le sanzioni secondarie da lui minacciate potrebbero ritorcersi contro di lui, danneggiando gravemente gli interessi degli stessi Stati Uniti.
Nell’ordine in cui sono stati menzionati, ogni mossa corrispondente mira a: 1) rafforzare le difese aeree dell’Ucraina al fine di rallentare il ritmo delle continue conquiste terrestri della Russia; 2) aiutare l’Ucraina a riconquistare parte del territorio perduto; e 3) costringere Cina e India a fare pressione sulla Russia affinché raggiunga un cessate il fuoco. I primi due obiettivi sono autoesplicativi, il secondo è irrealistico dato il fallimento della controffensiva ucraina, armata in modo molto più pesante, nell’estate del 2023 , mentre il terzo richiede qualche approfondimento.
Le importazioni su larga scala di petrolio russo a prezzo scontato da parte di Cina e India hanno svolto un ruolo cruciale nel contrastare la pressione delle sanzioni occidentali, contribuendo a stabilizzare il rublo e, di conseguenza, l’economia russa in generale. Sebbene queste importazioni favoriscano anche le loro economie, Trump scommette che quantomeno le ridurranno per evitare le sue minacciate sanzioni secondarie al 100%. Potrebbe fare un’eccezione per europei e turchi, che a loro volta acquistano risorse russe, con il pretesto di armare l’Ucraina.
Concentrandosi sui due maggiori importatori di energia russi, Trump sta cercando di ridurre significativamente le entrate di bilancio che il Cremlino riceve da queste vendite, seminando al contempo ulteriori divisioni all’interno del nucleo RIC dei BRICS e della SCO, aspettandosi almeno in parte che la Cina o l’India aderiscano agli accordi. Prima della scadenza, prevede che i loro leader – che sono amici stretti di Putin da anni – cercheranno di spingerlo a raggiungere il cessate il fuoco auspicato dall’Occidente, anche se non è dato sapere se ci riusciranno.
In ogni caso, Trump è pronto a mettersi in un dilemma interamente creato da lui stesso se uno di loro non ottempera alla sua richiesta di interrompere gli scambi commerciali con la Russia, o se uno o entrambi lo facessero solo in parte. Dovrà rinviare l’imposizione delle sue minacciate sanzioni secondarie del 100% su tutte le loro importazioni, abbassarne il livello o ridurne l’entità in modo che si applichi solo alle loro aziende che continuano a commerciare con la Russia, altrimenti si potrebbero verificare gravi ripercussioni, soprattutto se fosse la Cina a non ottemperare pienamente.
Il suo accordo commerciale preliminare con la Cina, che all’inizio di maggio ha descritto come un ” reset totale ” dei loro rapporti, potrebbe crollare e quindi aumentare i prezzi in generale per gli americani. Per quanto riguarda l’India, anche i negoziati commerciali in corso potrebbero fallire, il che potrebbe creare un’apertura per far progredire il nascente riavvicinamento sino-indo-indiano, la cui esistenza è stata cautamente confermata lunedì dal suo principale diplomatico. Ogni caso di contraccolpo, per non parlare di entrambi contemporaneamente, potrebbe essere molto dannoso per gli interessi americani.
Il tentativo di Trump di trovare la soluzione non è quindi solo goffo, ma potrebbe anche ritorcersi contro di lui, sollevando così la questione del perché abbia accettato di farlo. Sembra che sia stato indotto a credere che Putin avrebbe accettato un cessate il fuoco che non risolvesse le cause profonde del conflitto, legate alla sicurezza, in cambio di un cessate il fuoco incentrato sulle risorse.partnership strategica . Quando Putin ha rifiutato, Trump l’ha presa sul personale e ha pensato che Putin lo stesse prendendo in giro , il che ha portato i suoi consiglieri a manipolarlo per fargli usare questa escalation come vendetta.
Zelensky, i falchi americani anti-russi, Melania e i media mainstream hanno sfruttato, ciascuno a modo suo, la sua falsa aspettativa che Putin avrebbe accettato un accordo di partenariato per il cessate il fuoco.
Molti faticano a dare un senso alla decisione di Trump di trovare un compromesso maldestro tra l’intensificarsi del coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto ucraino e l’allontanamento da esso. L’analisi precedente, linkata, ha concluso che è stato manipolato dai suoi consiglieri, che hanno sfruttato la sua falsa aspettativa che Putin avrebbe accettato un cessate il fuoco che non risolvesse le cause profonde del conflitto, legate alla sicurezza, in cambio di una strategia incentrata sulle risorse.partenariato strategico . Questa osservazione verrà ora approfondita.
Trump ha fatto campagna elettorale promettendo di porre fine al conflitto ucraino “al primo giorno”, promessa che in seguito ha ammesso essere ” esagerata “. Ha affermato che la sua amicizia con Putin e le sue spiccate capacità di negoziare avrebbero facilmente portato a questo risultato. Per raggiungere questo obiettivo, Trump ha cercato di convincere Putin ad addolcire la situazione, incolpando Biden e Zelensky del conflitto, dando credito alle affermazioni della Russia secondo cui le aspirazioni dell’Ucraina alla NATO rappresentavano una minaccia per la sua sicurezza e promettendo che “la Crimea resterà alla Russia” una volta terminato il conflitto.
Per addolcire ulteriormente la sua proposta di un cessate il fuoco incondizionato che avrebbe sostanzialmente congelato il conflitto lungo la Linea di Contatto, Trump ha anche suggerito una partnership strategica con la Russia incentrata sulle risorse. Da parte sua, Putin ha suggerito lo stesso, sebbene con l’intento di incoraggiare Trump a costringere Zelensky a fare le concessioni di pace richieste dalla Russia. Alla fine, non si è ottenuto nulla a causa della conseguente situazione di stallo, che Trump a quanto pare ha preso sul personale, rendendosi così suscettibile a manipolazioni.
Dopo la firma dell’accordo minerario tra Stati Uniti e Ucraina in primavera , Zelensky ha iniziato a parlare a gran voce del suo precedente interesse per un cessate il fuoco incondizionato, il che ha indotto Trump a pensare che Putin sia l’unico ostacolo alla pace, a causa delle condizioni per il cessate il fuoco richieste dal leader russo nel giugno 2024. Trump aveva già ipotizzato che Putin lo stesse ” spingendo a farlo “, quindi il cambio di rotta retorico di Zelensky, dalla promessa di combattere fino alla sconfitta strategica della Russia alla richiesta di un cessate il fuoco incondizionato, è stato tempestivo e strategico.
Non è stato solo Zelensky a sussurrare all’orecchio di Trump che Putin lo stava prendendo in giro, ma anche falchi anti-russi come Lindsey Graham e persino sua moglie Melania, che Trump ha rivelato lunedì di voler contestare le sue affermazioni sulle “meravigliose” telefonate con Putin, sottolineando che la Russia stava ancora bombardando l’Ucraina. Parallelamente, i media mainstream hanno affermato che Putin stava ” umiliando ” Trump, il che mirava a sfruttare il suo orgoglio e il desiderio di elogi da parte dei suoi critici per spingerlo a procedere a oltranza.
L’opportunismo mercantile di Trump ha probabilmente messo a tacere ogni dubbio residuo sulla necessità percepita di (goffamente) infilare l’ago della bilancia dopo che la NATO ha accettato di pagare il prezzo intero per le armi americane che avrebbe poi inviato in Ucraina per limitare il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nel conflitto. Dal suo punto di vista, l’Europa sosterrebbe i costi di un’ulteriore escalation e persino le conseguenze di una spirale incontrollata, rendendo così ovvia la sua nuova strategia a tre punte per il conflitto.
Trump è stato quindi manipolato da Zelensky, dai falchi anti-russi degli Stati Uniti, da Melania e dai media mainstream, ognuno dei quali ha sfruttato a modo suo la sua falsa aspettativa che Putin avrebbe accettato un accordo di cessate il fuoco e partenariato. La NATO ha poi approfittato del suo opportunismo mercantile per accettare di pagare il prezzo pieno per le armi statunitensi che invierà a Kiev. Per quanto deludente per molti, compresi i politici russi, il lato positivo è che Trump è ancora riluttante a intensificare radicalmente il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti.
Il dilemma del prigioniero tra Cina e India, basato sui dazi doganali, potrebbe rivelarsi vantaggioso per la Russia.
Uno dei tre pilastri del nuovo programma di Trump La politica annunciata per il conflitto ucraino prevede l’imposizione di dazi fino al 100% sui partner commerciali della Russia se non si raggiunge un accordo di pace entro 50 giorni. Questa cifra è molto inferiore ai dazi del 500% proposti dal suo alleato, il senatore Lindsey Graham, nel suo disegno di legge ” economic bunker buster “, la cui aliquota, dopo l’annuncio di lunedì, Trump ha dichiarato “in un certo senso insignificante”. Ciononostante, i dazi del 100% sarebbero comunque un problema molto serio, soprattutto se applicati a Cina e India.
Si prevede che questi due saranno i suoi obiettivi principali, poiché sono i maggiori clienti energetici della Russia e tutti e tre formano il nucleo RIC dei BRICS e della SCO, i due gruppi multipolari che Trump vuole smantellare. Anche il capo della NATO Mark Rutte ha previsto che queste sanzioni “si ricadranno su di loro e sul Brasile in modo massiccio”. Altri clienti energetici come l’UE e la Turchia potrebbero essere esentati dalle sue minacce di sanzioni con il pretesto che forniscono aiuti all’Ucraina, come suggerito dall’emendamento proposto al disegno di legge di Graham.
Imporre dazi del 100% contro Cina, India o entrambe potrebbe ritorcersi contro gli Stati Uniti, rovinando i loro negoziati commerciali e potenzialmente accelerando il nascente riavvicinamento sino-indiano , le cui conseguenze potrebbero essere prezzi più alti per gli americani e complicazioni per il “ritorno in Asia” del loro Paese. Dal punto di vista degli interessi percepiti dagli Stati Uniti in questo contesto, lo scenario peggiore sarebbe quindi che Cina e India sfidassero la minaccia, costringendo gli Stati Uniti a fare marcia indietro o a imporre dazi su entrambe.
Questo scenario non è così improbabile come alcuni scettici potrebbero immaginare. Sebbene la continua rivalità sino-indo-indiana potrebbe portare a un dilemma del prigioniero, in cui entrambi i Paesi acconsentono alla richiesta degli Stati Uniti di ridurre almeno le importazioni di energia dalla Russia, evitando così i dazi del 100% (anche se vengono tariffati a un tasso ridotto come ricompensa), mantenendo in vita il loro accordo commerciale preliminare nel caso della Cina e i negoziati commerciali nel caso dell’India, ed evitando di inimicarsi gli Stati Uniti, potrebbe anche rendere più probabile lo scenario peggiore per gli Stati Uniti. Ecco come.
L’adeguamento danneggerebbe la loro crescita a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia, che darebbe un vantaggio al rivale inadempiente. Anche i legami con la Russia potrebbero essere compromessi: la Russia potrebbe stringere un accordo con gli Stati Uniti se la Cina si adeguasse, in modo da evitare la dipendenza da una Cina allora inaffidabile, accelerando così il “ritorno in Asia” degli Stati Uniti a proprie spese; mentre la Russia potrebbe raddoppiare i legami con la Cina se l’India si adeguasse e ridurre le esportazioni di armi verso di essa in cambio di un maggiore sostegno cinese, dando così alla Cina un vantaggio decisivo nella loro feroce disputa di confine.
Di conseguenza, la continua rivalità sino-indo-indiana potrebbe effettivamente portare ciascuno a sospettare che l’altro non si adeguerà al fine di evitare il rispettivo scenario sopra menzionato, che il rivale potenzialmente inadempiente potrebbe considerare più dannoso per i propri grandi interessi strategici rispetto a una sfida agli Stati Uniti. Potrebbero quindi giungere a condividere la stessa valutazione e quindi non aderire, portando così allo scenario peggiore descritto in precedenza per gli Stati Uniti, che dovrebbe fare marcia indietro o imporre dazi su entrambi.
In questo scenario ottimale, dal punto di vista russo, il Cremlino potrebbe quindi convincere Cina e India ad accelerare il loro riavvicinamento, poiché entrambe si troverebbero in posizioni simili nei confronti degli Stati Uniti, invece di essere divise e governate dal dilemma del prigioniero imposto dai dazi. Resta ovviamente da vedere cosa accadrà, ma come sostenuto in questa analisi, la rivalità sino-indo-indiana influenzerà più di ogni altra cosa la decisione di Trump di imporre sanzioni secondarie anti-russe.
Il Laos consoliderebbe il suo equilibrio geopolitico, mentre la Russia potrebbe sperimentare un nuovo modello di partenariato politico-militare, che potrebbe poi mettere a punto per gli altri partner del Sud del mondo.
L’agenzia di intelligence militare ucraina GUR ha riferito all’inizio di luglio che la Russia vorrebbe che il Laos inviasse genieri a Kursk per supportare le operazioni di sminamento. Nessuna delle due parti ha ancora commentato ufficialmente queste affermazioni al momento della pubblicazione di questa analisi, ma non sarebbe sorprendente se fossero vere. Questo perché il Laos ha una vasta esperienza in questo campo, maturata nei decenni successivi al fatto che gli Stati Uniti, tra il 1964 e il 1973, hanno sganciato su di esso più bombe di tutte quelle sganciate durante l’intera Seconda Guerra Mondiale.
Il Laos dipende anche parzialmente dagli aiuti esteri, la Russia è rimasta tra i suoi principali partner strategici dalle guerre d’Indocina in poi e il Cremlino ha interesse a sperimentare un nuovo modello di partenariato politico-militare per rafforzare i legami con i paesi del Sud del mondo. Nell’ordine in cui sono state menzionate queste ragioni, la prima potrebbe incentivare il Laos ad accogliere la richiesta segnalata se la Russia promettesse maggiori aiuti in cambio, in particolare finanziamenti e armi.
Lo scopo dal punto di vista del Laos sarebbe quello di ridurre la sua parzialedipendenza dai fondi occidentali, ottenendo al contempo esperienza militare moderna e attrezzature più recenti dalla Russia (probabilmente a un prezzo scontato). Per quanto riguarda il secondo motivo, un’espansione completa delle relazioni con la Russia attraverso questi mezzi potrebbe rafforzare l’equilibrio geopolitico del Laos, che si è concentrato principalmente su Cina, Stati Uniti e, in misura minore, sui suoi vicini dell’ASEAN, tra cui spicca il Vietnam, stretto partner russo .
Infine, i suddetti benefici in termini di aiuti e bilanciamento che il Laos potrebbe ricevere in seguito all’accoglimento della richiesta russa di intervento potrebbero essere adattati in modo da risultare appetibili ai numerosi paesi del Sud del mondo, nell’ambito di un nuovo modello di partenariato politico-militare. Per essere più precisi, molti di loro praticano simili azioni di bilanciamento sino-americane a quelle del Laos, da qui l’interesse di coltivare legami più stretti con la Russia per alleviare la pressione e, di conseguenza, garantire loro maggiore flessibilità in politica estera.
Sono sempre alla ricerca di maggiori aiuti finanziari e, sebbene la Russia non possa competere con questi due Paesi in termini di fondi diretti che potrebbe trasferire loro, accordi a lungo termine per l’esportazione di idrocarburi a prezzi scontati (meno rilevanti per il Laos, concentrato sull’idroelettrico ) come contropartita potrebbero essere sufficienti. Allo stesso modo, la Russia vuole riconquistare la quota perduta del mercato globale degli armamenti, e a tal fine un maggior numero di merci (probabilmente a prezzi scontati) potrebbe aiutare questi Paesi a evitare il dilemma a somma zero di dover scegliere tra armi cinesi e statunitensi.
Dal punto di vista della Russia, gli stretti legami strategici che potrebbe coltivare con il Sud del mondo attraverso questo nuovo modello di partenariato politico-militare potrebbero creare l’ottica di un sostegno più significativo per la sua specialeoperazioni in tutto il mondo, aprendo potenzialmente nuove opportunità economiche nel settore reale. Ciò potrebbe concretizzarsi nel fatto che il Cremlino sfrutti queste nuove relazioni per ottenere un maggiore accesso al mercato e posizionarsi come partner prioritario per futuri progetti infrastrutturali (anche su larga scala).
Tuttavia, la Corea del Nord rimarrà sempre il principale partner politico-militare della Russia rispetto a questo modello che potrebbe sperimentare, essendo stata la prima a partecipare e avendo anche inviato truppe per combattere l’Ucraina, cosa che il rapporto del GUR non afferma di chiedere anche al Laos di fare. Finché il Laos e chiunque altro svolgeranno ruoli non bellici solo all’interno dei confini universalmente riconosciuti della Russia, probabilmente non dovranno temere sanzioni occidentali, quindi non ci saranno costi reali per la loro conformità.
Gli interessi dell’India, della Russia e forse anche della Cina potrebbero risultarne negativamente compromessi.
A gennaio si era valutato che ” il regime pakistano ha distrutto il proprio Paese e tradito i propri interessi nazionali per niente “, ma tale valutazione è poi cambiata drasticamente a causa della linea inaspettatamente dura dell’amministrazione Trump nei confronti dell’India e dell’abilità con cui il Pakistan ha giocato le sue carte con lui. Per quanto riguarda il primo punto, nonostante gli indofili di alto livello nel suo team, Trump sta cercando di subordinare l’India proprio come Biden prima di lui, attraverso i mezzi e per le ragioni che sono state spiegate qui .
In breve, vuole rallentare l’ascesa dell’India come Grande Potenza in modo da rallentare il declino dell’egemonia unipolare degli Stati Uniti, e a tal fine ha minacciato di modificare o revocare la deroga alle sanzioni per Chabahar, sta giocando duro con essa sui colloqui commerciali e ha umiliato l’India affermando di aver mediato la pace con il Pakistan. Questi sorprendenti sviluppi consecutivi suggeriscono fortemente che egli preveda una riorganizzazione della geopolitica dell’Asia meridionale, come spiegato qui , che andrebbe a vantaggio del Pakistan a spese dell’India.
Quest’ultimo punto porta al ruolo del Pakistan nei piani di Trump. Dovrà raggiungere un accordo con il Paese se intende seriamente riportare le forze statunitensi alla base aerea di Bagram, in Afghanistan, come ha dichiarato in precedenza di voler fare. Il suo incontro senza precedenti con il feldmaresciallo Asim Munir il mese scorso, la prima volta che un presidente degli Stati Uniti ha ospitato in esclusiva il capo militare pakistano, suggerisce che gli Stati Uniti continueranno a ignorare le questioni relative ai diritti umani e alla democrazia in Pakistan, mentre lavorano per raggiungere un’intesa sul loro presunto programma di missili balistici intercontinentali .
Queste concessioni potrebbero essere in cambio dell’accesso militare e/o economico all’Afghanistan. Altre ricompense potrebbero includere accordi preferenziali su minerali critici e criptovalute, simili a quelli di cui ha parlato il Financial Times nel suo articolo su come il Pakistan stia corteggiando Trump. Inoltre, il Pakistan sta cercando di raggiungere un accordo petrolifero con gli Stati Uniti, il che potrebbe portarlo ad abbandonare tali colloqui e persino altri accordi con la Russia , qualora avesse successo. Queste “carote” vengono offerte mentre la regione più ampia sta attraversando cambiamenti significativi.
Il ripristino dell’influenza statunitense sul Pakistan potrebbe quindi portare quest’ultimo a controllare l’accesso della Russia al Paese tramite il PAKAFUZ per conto del primo, qualora l’NSTC diventasse totalmente insostenibile. Inoltre, se i rapporti afghano-pakistani migliorassero, l’influenza congiunta tra Stati Uniti e Pakistan potrebbe estendersi in Asia centrale attraverso quel Paese, integrando l’ espansione dell’influenza turca attraverso l’Azerbaigian e contenendo al massimo la Russia sul suo fronte meridionale. In tal caso, il Pakistan soppianterebbe potenzialmente l’India come principale partner regionale degli Stati Uniti.
Ciò potrebbe portare gli Stati Uniti a fare nuovamente leva sul “principale alleato non NATO” Pakistan come mezzo per costringere l’India a concessioni o per contenerla se Delhi non cede. Se il ” reset totale ” autoproclamato da Trump con la Cina dovesse funzionare, allora questi tre potrebbero coordinare la suddetta campagna di pressione, mentre il Pakistan potrebbe essere costretto dagli Stati Uniti a prendere le distanze dalla Cina in caso di fallimento. In ogni caso, il riavvicinamento tra Stati Uniti e Pakistan potrebbe avere conseguenze geostrategiche di vasta portata, da qui la necessità di monitorarlo.
Gli interessi dell’India, della Russia e forse anche della Cina potrebbero risultarne negativamente compromessi.
A gennaio si era valutato che ” il regime pakistano ha distrutto il proprio Paese e tradito i propri interessi nazionali per niente “, ma tale valutazione è poi cambiata drasticamente a causa della linea inaspettatamente dura dell’amministrazione Trump nei confronti dell’India e dell’abilità con cui il Pakistan ha giocato le sue carte con lui. Per quanto riguarda il primo punto, nonostante gli indofili di alto livello nel suo team, Trump sta cercando di subordinare l’India proprio come Biden prima di lui, attraverso i mezzi e per le ragioni che sono state spiegate qui .
In breve, vuole rallentare l’ascesa dell’India come Grande Potenza in modo da rallentare il declino dell’egemonia unipolare degli Stati Uniti, e a tal fine ha minacciato di modificare o revocare la deroga alle sanzioni per Chabahar, sta giocando duro con essa sui colloqui commerciali e ha umiliato l’India affermando di aver mediato la pace con il Pakistan. Questi sorprendenti sviluppi consecutivi suggeriscono fortemente che egli preveda una riorganizzazione della geopolitica dell’Asia meridionale, come spiegato qui , che andrebbe a vantaggio del Pakistan a spese dell’India.
Quest’ultimo punto porta al ruolo del Pakistan nei piani di Trump. Dovrà raggiungere un accordo con il Paese se intende seriamente riportare le forze statunitensi alla base aerea di Bagram, in Afghanistan, come ha dichiarato in precedenza di voler fare. Il suo incontro senza precedenti con il feldmaresciallo Asim Munir il mese scorso, la prima volta che un presidente degli Stati Uniti ha ospitato in esclusiva il capo militare pakistano, suggerisce che gli Stati Uniti continueranno a ignorare le questioni relative ai diritti umani e alla democrazia in Pakistan, mentre lavorano per raggiungere un’intesa sul loro presunto programma di missili balistici intercontinentali .
Queste concessioni potrebbero essere in cambio dell’accesso militare e/o economico all’Afghanistan. Altre ricompense potrebbero includere accordi preferenziali su minerali critici e criptovalute, simili a quelli di cui ha parlato il Financial Times nel suo articolo su come il Pakistan stia corteggiando Trump. Inoltre, il Pakistan sta cercando di raggiungere un accordo petrolifero con gli Stati Uniti, il che potrebbe portarlo ad abbandonare tali colloqui e persino altri accordi con la Russia , qualora avesse successo. Queste “carote” vengono offerte mentre la regione più ampia sta attraversando cambiamenti significativi.
Il ripristino dell’influenza statunitense sul Pakistan potrebbe quindi portare quest’ultimo a controllare l’accesso della Russia al Paese tramite il PAKAFUZ per conto del primo, qualora l’NSTC diventasse totalmente insostenibile. Inoltre, se i rapporti afghano-pakistani migliorassero, l’influenza congiunta tra Stati Uniti e Pakistan potrebbe estendersi in Asia centrale attraverso quel Paese, integrando l’ espansione dell’influenza turca attraverso l’Azerbaigian e contenendo al massimo la Russia sul suo fronte meridionale. In tal caso, il Pakistan soppianterebbe potenzialmente l’India come principale partner regionale degli Stati Uniti.
Ciò potrebbe portare gli Stati Uniti a fare nuovamente leva sul “principale alleato non NATO” Pakistan come mezzo per costringere l’India a concessioni o per contenerla se Delhi non cede. Se il ” reset totale ” autoproclamato da Trump con la Cina dovesse funzionare, allora questi tre potrebbero coordinare la suddetta campagna di pressione, mentre il Pakistan potrebbe essere costretto dagli Stati Uniti a prendere le distanze dalla Cina in caso di fallimento. In ogni caso, il riavvicinamento tra Stati Uniti e Pakistan potrebbe avere conseguenze geostrategiche di vasta portata, da qui la necessità di monitorarlo.
Ciò potrebbe aumentare le possibilità di una svolta da qualche parte lungo il fronte, contribuire a spostare in modo decisivo l’opinione pubblica interna contro il conflitto e quindi rendere più facile per le forze dello “stato profondo” cospirare contro Zelensky.
È quindi logico che la Russia prenda finalmente di mira la logistica militare ucraina, in particolare i suoi centri di leva, con l’obiettivo di impedire a Kiev di rimpinguare le perdite in prima linea e aumentare di conseguenza le possibilità di una svolta decisiva da qualche parte lungo il fronte. La Russia non distruggerà comunque i ponti ucraini sul Dnepr, forse per le ragioni ipotizzate qui lo scorso anno, ma colpire i suoi centri di leva è meglio di niente e potrebbe anche conferire alla Russia un vantaggio in termini di soft power.
Come ha riconosciuto il Financial Times nel suo articolo, questi centri di leva sono incredibilmente impopolari tra la popolazione, quindi ne consegue che la loro distruzione da parte della Russia potrebbe far tirare un sospiro di sollievo agli ucraini comuni e forse renderli più propensi a una soluzione politica a questo conflitto di lunga data. Chi era già antirusso o lo è diventato nel corso delle ostilità potrebbe non cambiare le proprie opinioni politiche, ma ciò che è importante è che non si oppongano a concessioni alla Russia.
Certo, il motivo principale per cui Zelensky non vuole accogliere nessuna delle richieste di pace di Putin è perché ciò potrebbe innescare eventi rapidi che lo estrometterebbero dal potere, ma anche l’opinione pubblica gioca un ruolo nel giustificare falsamente questa posizione egoistica alla popolazione. L’organizzazione indipendente di proteste su larga scala è praticamente impossibile in Ucraina al giorno d’oggi a causa del predominio interno dell’SBU, ma cambiamenti decisivi nell’opinione pubblica potrebbero innescare una lotta di potere.
Quelle istituzioni e/o altre potrebbero potenzialmente vedere in questo scenario l’opportunità di consentire proteste controllate allo scopo di fare pressione su Zelensky “dal basso” affinché faccia ciò che è necessario per porre fine al conflitto, il che potrebbe poi legittimare la pressione esercitata su di lui anche dalle loro istituzioni. L’obiettivo sarebbe quello di rimuoverlo dal potere, anche solo attraverso le nuove elezioni che ha promesso di indire a breve dopo la fine del conflitto, e quindi potenzialmente trarre profitto da lucrosi contratti di ricostruzione.
Per quanto avvincente possa sembrare questa sequenza, non può essere data per scontata, ma rimane la possibilità che la Russia possa almeno ottenere un vantaggio in termini di soft power se continua a colpire questi centri di leva. Gli ucraini più comuni probabilmente lo apprezzeranno, dato che non vogliono morire per Zelensky. Persino JD Vance riconosce questa realtà, come dimostrato dal fatto che a fine febbraio, durante il suo scontro con Zelensky alla Casa Bianca, ha parlato al mondo della politica di coscrizione forzata dell’Ucraina e dei problemi di reclutamento.
È quindi una mossa intelligente da parte della Russia iniziare finalmente a colpire i centri di leva ucraini, poiché ciò potrebbe aumentare le possibilità di una svolta sul fronte, contribuire a spostare in modo decisivo l’opinione pubblica interna contro il conflitto e quindi facilitare la cospirazione contro Zelensky da parte delle forze dello “stato profondo”. La Russia non ha nulla da perdere e tutto da guadagnare continuando e possibilmente espandendo questi attacchi, poiché colpiscono Zelensky dove fa più male, in più di un modo.
Ciò che più gli sta a cuore a livello personale è mantenere il potere impedendo il crollo del suo governo, ma se ciò fosse inevitabile, allora vorrebbe almeno tenere i conservatori fuori dal potere in caso di elezioni anticipate.
Il Primo Ministro polacco Donald Tusk ha inviato diverse migliaia di soldati ai confini del suo Paese con Germania e Lituania per contribuire alla difesa contro l’immigrazione clandestina e coadiuvare i controlli recentemente reintrodotti lungo queste due frontiere. Il pretesto era il rimpatrio da parte della Germania di alcuni immigrati clandestini in Polonia e di altri che avevano attraversato il Paese dalla Lituania dopo essere entrati nell’UE dalla Bielorussia. Il primo motivo ha persino spinto la creazione di pattuglie cittadine composte da persone interessate da questa mossa.
La vera ragione, tuttavia, è legata alla vittoria risicata del presidente eletto Karol Nawrocki il 1° giugno, che impedirà a Tusk e alla sua coalizione liberal-globalista al governo di attuare il loro programma. Il presidente uscente Andrzej Duda è alleato con l’opposizione conservatrice e, di conseguenza, ha posto il veto su alcune delle proposte di legge più radicali del parlamento, che non sono state in grado di respingere per mancanza della maggioranza dei due terzi richiesta. Anche Nawrocki è alleato con loro e ci si aspetta quindi che faccia lo stesso.
Le prossime elezioni parlamentari dell’autunno 2027 potrebbero quindi portare i conservatori al potere in coalizione con il partito populista-nazionalista della Confederazione. Anzi, questo potrebbe accadere anche prima, se la coalizione liberal-globalista al governo di Tusk dovesse crollare molto prima delle prossime elezioni a causa della crescente rabbia pubblica per la persistente situazione di stallo. Non si tratta di speculazioni infondate, ma di un recente incontro di mezzanotte tra il presidente del parlamento e il leader dell’opposizione conservatrice.
TVP World, un’emittente pubblica, ha pubblicato un’analisi di Stuart Dowell su ” Come un incontro di mezzanotte ha rivelato le fratture all’interno della fragile coalizione di governo polacca “, in cui si afferma che l’incontro sospetto di Szymon Holownia con Jaroslaw Kaczynski potrebbe aver discusso del suo ruolo in un “governo tecnico”. Si tratta di uno scenario plausibile, poiché la defezione di Holownia, sostenitore di “Polonia 2050”, dalla coalizione liberal-globalista al potere costringerebbe a elezioni anticipate e l’opposizione potrebbe premiarlo di conseguenza.
A parte le speculazioni sul futuro del governo di Tusk, che potrebbero durare fino all’autunno del 2027, è chiaro che la sua decisione di inviare diverse migliaia di soldati per assistere con i controlli di frontiera appena reintrodotti mira a conquistare il favore dei cosiddetti elettori “moderati” indecisi in vista delle prossime elezioni. Non si sarebbe sentito in dovere di farlo se Nawrocki avesse perso e il suo alleato, il sindaco di Varsavia Rafal Trzaskowski, fosse stato il prossimo presidente eletto. Tusk probabilmente non avrebbe fatto nulla in quello scenario.
Inizialmente, la sua coalizione liberal-globalista al potere non si opponeva all’immigrazione illegale allo stesso livello del precedente governo conservatore, ma la crescente rabbia dell’opinione pubblica li spinse in quella direzione, in vista delle imminenti elezioni presidenziali. Lo stesso vale per la loro politica inflessibile nei confronti dell’Ucraina. Tusk non prevedeva di attuare nessuna delle due misure al suo ritorno alla carica di Primo Ministro alla fine del 2023, ma alla fine lo fece per aiutare Trzaskowski a vincere la presidenza e prevenire così una situazione di stallo.
È quindi effettivamente vero che l’elezione di Nawrocki ha spinto Tusk a giocare duro con i vicini della Polonia sull’immigrazione illegale, anche a costo di incorrere nell’ira dell’UE mettendo a repentaglio Schengen . Ciò che conta di più per lui personalmente è mantenere il potere impedendo il crollo del suo governo, ma se ciò è inevitabile, allora vuole quantomeno tenere i conservatori fuori dal potere in caso di elezioni anticipate. Questi calcoli mostrano quanto stia diventando politicamente disperato.
Mentre da gran parte della stampa si levano grida di dolore per i dazi all’Europa annunciati da Trump e sono calcolati i danni (le minori esportazioni) che ne conseguiranno alle economie europee, nessuno – che mi risulti – ha affiancato, come determinante del comportamento (e della decisione futura) di Trump, quanto vi concorrano presupposti, regole e regolarità della politica.
Tra questi il problema del nemico, inteso nel senso del competitore ostile, prescindendo dallo stato di guerra e di pace. E’ chiaro che in un pluriverso politico tutti i soggetti si trovano in uno stato di ostilità, che può avere carattere agonale o polemico (Freund). Ma gli Stati sono collocati in una graduazione di ostilità, come ci dimostra la storia. Per la Francia generalmente il primo posto è di chi occupa la riva destra del Reno, cioè la Germania; Italia e Spagna, pur confinanti sono per lo più collocati a gradini inferiori della “scala”.
Ovviamente, anche per evitare un confronto in posizione sfavorevole, occorre affrontare un nemico per volta e garantirsi che gli altri (potenziali) nemici conservino lo stato di neutralità, o meglio si comportino da alleati. Lo sapevano bene i Romani il cui divide et impera è la sintetica espressione di questa regola, che de Benoist considera la prima (e più importante) della lotta politica. Ossia la riduzione (del numero) dei nemici. In questa situazione Trump che ha trovato il modo di alzare il tono del conflitto con mezzo mondo, Cina in testa, difficilmente può non accordarsi con l’Europa. Anche perché – e qua si torna, almeno in parte, sull’economico – U.E. e U.S.A. hanno per lo più gli stessi problemi: delocalizzazione, dumping commerciale dei paesi emergenti, immigrazione fuori controllo. E avere gli stessi problemi non divide ma è un incentivo ad allearsi: nel secolo scorso UK, U.S.A. e U.R.S.S. divennero alleati perché avevano in comune gli stessi problemi; l’espansionismo tedesco e giapponese. Questo li indusse a superare le differenze di interessi ed ancor più quelle ideologiche.
Infine se a seguire una certa convinzione, onde a determinare, almeno parzialmente affinità e non affinità politiche (e campi di maggiore o minore affinità) è l’appartenenza alla stessa “civiltà” (Kultur) è palese che U.E. ed U.S.A. sono la filiazione politica del cristianesimo occidentale, col suo millenario bagaglio di idee, convenzioni e costumi, estesi ad ogni campo: dal religioso all’economico, dal giuridico alla scienza. Il che aiuta: ha ragione la Meloni quando parla di occidente: una cultura comune unisce assai più di quanto interessi – per lo più occasionali e limitati – possano dividere.
A patto di non fare di questi ultimi il criterio (esclusivo) di scelta politica. Il che talvolta, succede.
Teodoro Klitsche de la Grange
Il sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:
– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;
Come dicevamo nelle riflessioni precedenti – e come mi ripeto ogni volta che vedo certi sorrisetti a denti stretti di Hegseth quando la Casa Bianca annuncia nuove forniture di armi a Kyiv – barattare la politica interna con quella estera si è rivelato per l’ennesima volta quel tipico affare all’italiana: ottieni il voto a casa, ma perdi il bandolo della matassa a Washington. E ora eccoci! Lo scenario che paventavamo prende forma: i neocon, come virus latenti nella tappezzeria, tornano ad aggirarsi tra i corridoi della Casa Bianca senza nemmeno bisogno di un nuovo 11 settembre. Trump, tra un’ordinanza e un dietrofront, si ritrova a dover gestire una guerra che non voleva, con uno stock di armi che assomiglia più a una lista di nozze di un aspirante survivalista che al magazzino della superpotenza mondiale.
Le riserve sono stremate – e non solo per l’Ucraina: c’è da badare a Tel Aviv, alle basi in Medio Oriente e, appena la Cina sbadiglia, anche alle questioni del Pacifico. Trump, in un ballo tragicomico, ordina una pausa alle consegne, poi riprende l’invio di armi, mentre il Pentagono cerca di tenere insieme i pezzi e Zelensky scrive su Telegram che i droni sono la priorità, ma almeno servono le risorse per produrli.
Gli alleati europei accelerano sulla produzione interna, mentre gli americani – per la prima volta dalla guerra in Corea – devono scegliere chi salvare per primo: l’alleato di turno al fronte o la propria deterrenza globale.
E tutto questo, caro mio {specchio}Mirror, era perfettamente evitabile. Bastava solo che qualcuno se ne andasse fin dall’inizio, lasciando spazio a una decisione chiara: tuffarsi anima e corpo nella partita ucraina oppure lasciarsi bruciare la candela da un’altra parte. Invece, l’eterno ritorno dei neocon, il balletto delle scorte vuote, l’incertezza alla Casa Bianca e quelle facce che non promettono nulla di buono ci ricordano che, come diceva Totò, qui la commedia non finisce mai. E la politica estera continua a essere la moneta con cui paghiamo i nostri debiti di consenso in patria.
Le elezioni di “MediOriente” sono arrivate in anticipo
E così, caro Mirror, mentre scandagliavamo gli scenari geopolitici e i rituali occulti delle alleanze dei Brics sono arrivate in anticipo rispetto alle nostre peggiori previsioni le elezioni di “mediOriente”.
Nemmeno tu te ne saresti aspettato , lo so , ma il sistemone profondo era già in “dimensione Hannibale-Sansone” e come già la scorsa estate scrivendo , per contenere gli entusiasmi dei Brics addicted, sottolineavo quanto fosse irrealistico sottovalutarne il potere pervasivo multilivello e dalle risorse pressoché infinite .
E dopo la fine dei sogni puntuale è arrivata la mazzata dei dazi al 30% su tutto l’export europeo, minacciando di raddoppiarli alla prima ritorsione.
Un colpo durissimo, mascherato dalla solita retorica dell’“America First”, che lascia l’Unione Europea a leccarsi ferite da record. Secondo le ultime stime, il conto annuo per l’export europeo potrebbe superare i 115 miliardi di euro solo per il primo anno, con effetti devastanti anche per il made in Italy, già messo a dura prova dalla stagnazione e dalla concorrenza internazionale
Nel calderone finiscono acciaio, automotive, tecnologia, farmaceutica: la lettera minatoria di Trump a von der Leyen sancisce l’inizio di una nuova guerra commerciale, senza esclusione di colpi e con la promessa di tariffe al 60% in caso di “ripicche” da Bruxelles.
L’Italia costruisce stazioni perdendo tutti i treni .
Naufragata quindi la possibilità di sganciarci dalla contrattazione comunitaria e prediligere una diplomazia bilaterale ( vedi Orban),eccoci nella morsa dei dazi da una parte e di una gestione “von der Lobby” dall’altra, troppo attenta a difendere la linea comune ReArm First , anche davanti all’evidenza del disastro .
Paghiamo così il prezzo della coesione europea: le spese schizzano al 5%; solo per l’Italia, le perdite previste potrebbero toccare i 35 miliardi – roba da “affarone”, altro che ripresa, e ci manca solo una guerra vera per completare il quadro
La risposta di Bruxelles, tutta fatta di dichiarazioni solenni e minacce di contromisure, rischia di produrre solo una catena di escalation tariffarie che danneggerà soprattutto le nostre imprese e i nostri cittadini.
A questo punto, non sorprende che le mosse di Musk e la nascita del “America Party” – quell’esperimento elettorale che solo pochi mesi fa sembrava visionario o naif – inizino a sembrare un’ipotesi tutt’altro che peregrina. In mezzo a un sistema bipartitico in crisi di consensi, con i repubblicani ostaggio del protezionismo e i democratici impantanati nel consueto dibattito interno, chi offre un’alternativa trova spazio e ascolto.
Mentre a Washington si litiga sulle priorità, in Europa si paga il prezzo dei ritardi e di scelte mai sovrane: Musk fiuta la crepa e prova a incunearsi, e con ogni nuovo colpo inferto dall’asse Trump-von der Leyen, il suo progetto acquista senso e appeal.
Francamente, un assalto di questa portata me lo sarei aspettato alle midterm, quando gli equilibri americani di solito si frantumano nei giochi di potere di metà mandato. Ma, come si diceva, le “elezioni di medio oriente” – quelle in cui il perno neocon, l’AIPAC e Bibi Netanyahu muovono il bastone e la carota tra Tel Aviv e la West Wing – hanno anticipato tutto: stavolta la tempesta è arrivata prima, e l’Europa ci si è trovata dentro senza nemmeno la protezione di un ombrello degno di questo nome.
Il sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:
– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;
Il sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire: – Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704; – IBAN: IT30D3608105138261529861559 PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione). Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373
Trump ha finalmente “stupito” il mondo oggi con il suo grandioso annuncio di misure punitive contro la Russia.
Come al solito, l’annuncio è apparso piuttosto deludente, con i mercati russi che hanno reagito con un balzo di quasi il 3%. Ma approfondiamo la questione per vedere se le spaventose minacce di Trump abbiano effettivamente più sostanza di quanto si creda.
In primo luogo, la tempistica: Axios riferisce ora che Putin avrebbe detto a Trump che intende “intensificare” l’offensiva estiva russa nei prossimi 60 giorni, con l’obiettivo – secondo alcune fonti – di catturare il resto del territorio nominale russo, ovvero gli oblast di Donetsk, Lugansk e Zaporozhye.
Axios: Secondo Trump, Putin gli avrebbe parlato dei piani per intensificare l’offensiva in Ucraina nei prossimi 60 giorni.
Trump ha condiviso i dettagli della conversazione con il leader russo con il suo omologo francese Macron, aggiungendo: “Vuole prendersi tutto”.
Secondo la pubblicazione, fu dopo questa conversazione che Trump criticò Putin e promise di aumentare le forniture di armi all’Ucraina.
Se c’è un briciolo di verità in tali resoconti, allora il “preavviso di 50 giorni” di Trump sembrerebbe coincidere con la tempistica di Putin, dato che la conversazione è avvenuta giorni fa e quindi il “piano di 60 giorni” di Putin cadrebbe quasi esattamente nella scadenza di Trump.
L’interpretazione di base potrebbe essere che Trump sta dando alla Russia due mesi per catturare qualsiasi territorio che rivendica appartenga a lei, dopodiché “calcherà il martello”.
Ora, sul fronte delle armi, come sempre, si annida la nube di ambiguità più grande. Nessuno sembra sapere con precisione quali armi e da quale pacchetto verranno spedite, ma secondo la CNN , sembra tutto più o meno la stessa cosa, solo “riconfezionata” con un nuovo prezzo.
I rapporti indicano che verranno inviati gli stessi missili aria-aria, obice e proiettili GMLRS di prima, ma semplicemente che ora saranno i paesi NATO a pagarne il conto. Prima di allora, sotto l’accordo di pace di Biden, gli Stati Uniti inviavano armi direttamente all’Ucraina dalle proprie scorte, per poi rifornirle con nuovi ordini al MIC, con fondi dei contribuenti. Ora, arriveranno dai fondi dei contribuenti europei: una vittoria per gli Stati Uniti, dobbiamo ammetterlo.
Ma il punto focale più importante erano i “sistemi” Patriot. Di nuovo, la nuvola di confusione: nessuno sa esattamente cosa rappresentino i numeri: lanciatori Patriot, batterie, battaglioni, ecc. Trump una volta ha menzionato la parola “batterie”, ma i numeri in discussione non sembrano realisticamente coincidere. Ad esempio, ha menzionato l’invio di “17” all’Ucraina, ma gli Stati Uniti stessi hanno solo un totale di circa 50-70 batterie attive, e ovviamente inviare un terzo dell’intera scorta di Patriot è improbabile.
Leggendo attentamente tra le righe, Trump sembra aver detto che l’ obiettivo finale è quello di procurarsi un maggior numero di “sistemi” per l’Ucraina, ma “inizialmente” ne verrà inviata solo una minima parte. Questo è uno dei pochi commentatori che ha colto le sfumature di questo “annuncio” mellifluo:
Ricordiamo che Rubio ha recentemente insinuato che gli Stati Uniti non hanno più Patriot da consegnare, in un video che ho pubblicato diversi aggiornamenti fa. Ha invitato l’Europa a consegnare i propri Patriot, ma che sorpresa! In un nuovo articolo del Financial Times , il Ministro della Difesa tedesco Pistorius ha ammesso che la Germania non invierà né Patriot né missili Taurus:
https://archive.ph/aXm7y
Come si può vedere da quanto sopra, prosegue affermando che la Germania potrebbe acquistare due sistemi dagli Stati Uniti per l’Ucraina. Si tratta di una sorta di gioco di prestigio puerile, in realtà mirato a rafforzare la narrazione pubblicitaria secondo cui l’Ucraina viene “sostenuta” per mantenere vive le speranze, in modo che l’AFU non crolli per la demoralizzazione.
Il ministro della Difesa tedesco Pistorius a Reuters:
La decisione sui due Patriot per l’Ucraina sarà presa entro pochi giorni o settimane, ma la consegna effettiva del primo sistema richiederà mesi.
In breve: è un gran clamore rimandare la questione, riproponendo la stessa politica con nuovo clamore.
Anche la minaccia delle sanzioni era carica di doppi significati. Trump le ha definite “dazi sulla Russia”, ma in realtà si tratta semplicemente di dazi sugli alleati degli Stati Uniti:
La Russia non esporta praticamente nulla negli Stati Uniti che possa essere “tassato”. La minaccia in questo caso è inutile, poiché questi altri pesi massimi non accetteranno la minaccia di Trump, costringendolo a fare marcia indietro all’ultimo momento, come al solito, per poi cantare “vittoria” dopo aver ottenuto qualche altro “accordo” di facciata.
In conclusione: l’intera farsa sembra essere un subdolo ma brillante gioco di prestigio da parte di Trump, che ancora una volta dà l’impressione di un’importante “azione” contro la Russia per mettere a tacere i critici e placare i neoconservatori, mentre in realtà fa ben poco per favorire gli sforzi bellici dell’Ucraina, se non rimettere in vita lo status quo precedente. L’azione mira a giocare su entrambi i fronti, alleviando la pressione su se stesso, senza però mettere a repentaglio eccessivamente il suo rapporto con Putin nella speranza di poter ancora ottenere il suo armistizio che gli ha fruttato il premio Pulitzer.
In particolare, articoli di prima qualità come i missili JASSM erano completamente assenti dalla discussione, contrariamente alle previsioni ad alto numero di ottani provenienti dalla galleria delle noccioline del giorno prima. Allo stesso modo, nell’articolo del FT precedentemente citato , Pistorius ha nuovamente respinto categoricamente – per l’ennesima volta – l’invio di missili Taurus all’Ucraina:
Quindi, cosa ci rimane? In sostanza, la ripresa dello status quo del PDA di Biden con una nuova ambigua promessa di “alcuni” lanciatori Patriot, che è più un invito preliminare a cercare potenziali lanciatori tra gli alleati.
Alla domanda su cosa sarebbe successo dopo 50 giorni se Putin si fosse rifiutato di fare marcia indietro, Trump ha risposto a un giornalista: “Non farmi questa domanda”.
La domanda più importante è se Trump abbia ora ufficialmente preso in mano la situazione, nonostante i suoi flebili tentativi di attribuire i suoi continui fallimenti a Biden; molti la pensano così. Ma continuo a sospettare che Trump stia facendo del suo meglio per recitare la parte del severo e impaziente caposquadra, per dare prova di “durezza” nei confronti di Putin al suo pubblico dello Stato profondo, il tutto mentre cerca in realtà di non danneggiare troppo le relazioni tra Stati Uniti e Russia.
Ad esempio, solo due giorni fa alcuni “alti funzionari” hanno dichiarato al FT che Trump continua a considerare Zelensky il principale ostacolo alla pace:
Ciò renderebbe probabilmente la sua “rabbia” nei confronti di Putin una messinscena.
—
Intermezzo:
L’ex primo ministro russo Sergei Stepashin ha un messaggio duro per la Germania, in mezzo a tutte le minacce di militarizzazione:
Mosca “conosce l’ubicazione” delle basi missilistiche tedesche mentre Merz progetta di consegnare a Zelensky le bombe per colpire “il centro della Russia” – ex primo ministro Stepashin
Considerato che tutte le manovre di Trump e dell’Ucraina in materia di armi sono semplicemente un tentativo di anticipare e smorzare un po’ le offensive estive russe, passiamo ora alle notizie di prima linea:
A partire dalla Zaporozhye occidentale, le forze russe presero il controllo del resto di Kamyanske:
A est di lì, le forze russe liberarono ‘Myrne’, un insediamento il cui nome russo è Karl Marx:
I mercenari pensavano di andare in safari, ma si è rivelata una guerra: come l’esercito russo ha liberato l’insediamento di Karl Marx
Uno scout con il nominativo di chiamata “Husky” ha parlato della liberazione dell’insediamento di Karl Marx nella DPR:
Quale ruolo svolgono gli “uccelli” nelle operazioni d’assalto? – 00:11
Come vennero catturati i mercenari stranieri – 00:30
Questo insediamento si trova appena a ovest di Gulyaipole:
E ad est si può vedere Malinovka, la cui completa liberazione da parte delle forze russe è stata appena annunciata:
Il 1466° reggimento fucilieri motorizzati e il 3° battaglione del 114° reggimento fucilieri motorizzati, operanti sotto la task force “Vostok”, hanno liberato il villaggio di Malinovka in direzione di Zaporozhye.
La battaglia per Malinovka fu lunga, sanguinosa ed estenuante. Entrambe le parti subirono gravi perdite nei feroci combattimenti. Ma alla fine, la bandiera russa fu issata sul villaggio.
Dopo aver consolidato questa posizione, la Task Force “Vostok” si sta riorganizzando e preparando la mossa successiva.
Più a nord-est, sulla linea di Velyka Novosilka, ricorderete che le forze russe avevano recentemente conquistato Poddubne. Ora si sono espanse a nord per conquistare Tolstoj e parte di Novokhatske:
Alcune fonti sostengono che Novokhatske sia già stata presa e che si siano spostati ancora più lontano, a Zeleni Hai, come segue:
Ma non c’è ancora una conferma ufficiale e non vogliamo affrettarci.
La direzione di cui si è parlato di più è stata l’agglomerato di Pokrovsk-Mirnograd, dove, secondo alcuni resoconti, le forze russe hanno compiuto uno sfondamento critico:
️Le truppe russe hanno fatto irruzione per quattro chilometri in direzione di Pokrovsk e hanno preso il controllo delle vasche di depurazione dell’impianto centrale di lavorazione di Mirnogradskaya, riporta il canale Telegram Slivochny Kapriz, citando i riferimenti geografici.
Di seguito sono riportate riprese geolocalizzate delle forze russe che avanzano oltre Razine verso Rodinske:
La ragione per cui ciò è particolarmente importante è che metterebbe le forze russe a distanza di attacco da una delle ultime arterie di rifornimento rimaste per l’intero agglomerato.
Ecco una visuale più chiara e una spiegazione più chiara. In basso, i cerchi gialli mostrano una delle due principali vie di rifornimento che alimentano l’intero gigantesco agglomerato fortificato che comprende sia Pokrovsk che Mirnograd:
Se le forze russe ottengono il controllo del fuoco sulla rotta gialla, l’ampia catena di approvvigionamento per l’agglomerato si riverserà sull’ultima rotta indicata dal cerchio rosso. Ciò significa che la logistica dell’intera area verrà compressa in un’unica rotta, il che la sottoporrà a una pressione enorme, soprattutto man mano che le forze russe si avvicineranno a quest’ultima rotta, mettendola a sua volta sotto controllo.
Un altro rapporto:
DivGen segnala che tutte le strade di rifornimento che conducono all’agglomerato di Pokrovsk – Mirnograd sono ora nel raggio d’azione dei droni FPV
In breve, le perdite ucraine nelle retrovie di questa zona sono destinate ad aumentare vertiginosamente.
Rapporto più dettagliato:
Secondo i dati disponibili, le prime informazioni sullo sfondamento della linea di difesa delle Forze Armate dell’Ucraina nella zona di Rodinsky sono confermate.
Il fronte a nord-est di Pokrovsk è crollato nell’area di responsabilità della 14a Brigata Operativa della Guardia Nazionale Ucraina, che, secondo i dati operativi, ha di fatto perso la capacità di organizzare la difesa. La profondità dello sfondamento della Federazione Russa ha presumibilmente raggiunto i 5 km; le unità avanzate della 9a Brigata Fucilieri Motorizzati e del 57° Reggimento Fucilieri Motorizzati russi hanno già raggiunto la periferia orientale di Rodinsky, da dove mancano solo 4 km al centro città.
Lo sfondamento, a giudicare da alcuni resoconti, è stato possibile grazie allo scarso adattamento del terreno alle esigenze difensive. Il tratto tra Razino e Fedorovka è in campo aperto. La tattica russa è rimasta la stessa: la ricognizione individua le aree vulnerabili, dopodiché vengono schierati gruppi d’assalto numericamente superiori ai difensori. Ciò crea un vantaggio locale che le Forze Armate ucraine non possono compensare.
Il comando ucraino tentò di stabilizzare il fronte manovrando le riserve: vi furono trasferite urgentemente unità di almeno quattro diverse unità d’assalto, una delle quali proveniente dalla direzione di Kherson e la seconda da quella di Sumy. Ciò corrispondeva alle azioni previste nello scenario di Sumy, dove le riserve operavano come vigili del fuoco, ma in questo caso l’effetto non poté essere ottenuto.
Ci sono stati altri progressi, ma per ora ci limiteremo a quelli principali.
—
Analizziamo ora alcuni ultimi elementi distinti:
Con lo spirito del “meglio tardi che mai”, secondo le nuove immagini satellitari, nelle basi aeree russe stanno sorgendo sempre più rifugi antiaerei:
Immagini dei rifugi antiaerei presso l’aeroporto di Khalino nella regione di Kursk e di Saki in Crimea, pubblicate dal British Institute for the Study of War (ISW).
Gli “analisti” britannici scrivono che questa costruzione è legata al successo dell’operazione ucraina “Spiderweb”, ma in realtà la costruzione di rifugi per l’aviazione in molti aeroporti russi è iniziata lo scorso autunno.
Informatore militare
—
Un’altra nota sulle ipocrite condanne di Trump nei confronti della Russia. In uno storico caso di ipocrisia, si azzarda ad accusare Putin di fare il doppio gioco “parlando gentilmente” e poi bombardando bruscamente l’Ucraina:
Pentola, bollitore.
Trump sta parlando allo specchio. È letteralmente quello che ha fatto lui stesso con l’Iran, con la sua amministrazione che si vanta apertamente dello “stratagemma” di placare l’Iran con “colloqui” prima di lanciargli un attacco criminale.
Per non parlare del fatto che il suo attacco era essenzialmente nucleare: ammesso che sul sito fossero presenti materiali nucleari iraniani, e data la vicinanza del sito a Teheran, si potrebbe azzardare ad accusare Trump di aver tentato un genocidio nucleare di civili.
L’arroganza dell’eccezionalismo è sconfinata.
—
A proposito di Iran, le immagini trapelate di recente da terra hanno rivelato che gli attacchi dell’Iran alla base statunitense di Al-Udeid in Qatar hanno colpito il costoso complesso di comunicazioni statunitense con una precisione sconvolgente:
Ecco una foto del “prima” che corrisponda alla posizione:
L’attacco missilistico iraniano del 23 giugno alla base aerea statunitense di Al-Udeid in Qatar ha distrutto un’installazione radar. La cupola del radar è risultata visibilmente bruciata e una struttura adiacente ha subito danni, contraddicendo le affermazioni del Pentagono secondo cui tutti i missili sono stati intercettati e non si sono verificati danni.
Nuove immagini rivelano anche la distruzione del “Modernized Enterprise Terminal” dell’esercito statunitense, un sistema di comunicazioni satellitari a banda larga rinforzato, a seguito dell’attacco delle Forze aerospaziali dell’IRGC.
L’obiettivo, il Modern Entreprise Terminal (MET), ora distrutto, era stato installato nella base nel 2016 al costo di 15 milioni di dollari e forniva capacità di comunicazione sicure, tra cui servizi vocali, video e dati, collegando i militari nell’area di responsabilità del Comando centrale degli Stati Uniti con i leader militari di tutto il mondo.
Ricordiamo che il cercatore della “verità” Trump ha affermato che tutti i missili sono stati abbattuti coraggiosamente dall’impareggiabile sistema “Patriot”.
Si apre il vaso di Pandora delle domande su quanto siano stati realmente accurati i restanti attacchi dell’Iran contro Israele …?
Secondo i dati radar visionati dal Telegraph, durante la recente guerra durata 12 giorni i missili iraniani avrebbero colpito direttamente cinque basi militari israeliane.
Gli attacchi non sono stati resi pubblici dalle autorità israeliane e non possono essere segnalati dall’interno del Paese a causa delle rigide leggi sulla censura militare.
D’altro canto, Israele ha affermato di aver distrutto “200 su 400” lanciamissili iraniani:
“L’Iran aveva circa 400 lanciatori e ne abbiamo distrutti più di 200 , il che ha causato un collo di bottiglia nelle loro operazioni missilistiche”, ha detto giovedì un funzionario militare israeliano.
Hanno aggiunto: “Abbiamo stimato che l’Iran avesse circa 2.000-2.500 missili balistici all’inizio di questo conflitto. Tuttavia, si stava rapidamente orientando verso una strategia di produzione di massa, che potrebbe portare il suo arsenale missilistico a 8.000 o addirittura 20.000 missili nei prossimi anni”.
Tuttavia, diverse analisi OSINT indipendenti che hanno conteggiato ogni collegamento individuato hanno in realtà individuato tra 20 e 40 obiettivi distrutti, il che rappresenterebbe il 5-10% del totale iraniano:
Qualcuno ha meticolosamente contato il numero di lanciamissili iraniani colpiti durante la guerra con Israele, basandosi sui filmati dei raid aerei israeliani resi pubblici. Secondo il conteggio, 20 sono stati distrutti, 4 danneggiati, 9 lanciamissili vuoti o falsi e 12 clip ripetute.
Secondo i miei calcoli, Israele ha probabilmente colpito circa 30-40 lanciatori in totale, ma ho incluso anche un certo numero di lanciatori fissi o retrattili che, in base alle immagini satellitari, sembrano essere stati colpiti contro basi missilistiche.
Per contestualizzare, Israele aveva stimato che l’inventario iraniano di lanciatori di missili balistici a medio raggio fosse di circa 400 unità, anche se, a mio parere, il numero effettivo potrebbe essere anche più alto.
L’articolo del Telegraph cita il vice comandante in capo dell’IRGC, il quale afferma che le famose “città missilistiche” sotterranee dell’Iran non erano state nemmeno sfruttate durante il breve conflitto:
Il Maggior Generale Fazli ha affermato che le “città” sotterranee dei missili sono rimaste intatte in Iran.
“Non abbiamo ancora aperto le porte di nessuna delle nostre città missilistiche”, ha affermato giovedì.
“Valutiamo che finora sia stato utilizzato solo il 25-30 per cento della capacità missilistica esistente e, allo stesso tempo, il ciclo di produzione supporta efficacemente questa capacità operativa.”
—
Nuovo rapporto sulle innovazioni russe nel settore dei droni:
Abbiamo parlato con le nostre fonti, che ci hanno riferito che i russi, sulla base dei droni Geran/Shahed, stanno creando un esercito di sistemi di lancio a lunga distanza (i cosiddetti “queen”) con rientro obbligatorio. Il principio di funzionamento è semplice. Il drone principale Geranium trasporterà 2-3 FPV e fungerà da trasmettitore e ripetitore del segnale. Ad esempio, il Geran viene inviato sull’autostrada Dnepr Krivoy Rog; al di sopra di essa, lancia FPV che intercettano attrezzature/veicoli in movimento sull’autostrada.
Questa è una tendenza futura di massa. Attualmente i droni svolgono attività logistiche solo a una distanza di 20 chilometri dall’LBS, ma presto saranno ovunque. I russi stanno già producendo in serie il Geran-3, il che è diventato un grosso problema per le Forze Armate ucraine.
La crisi ucraina sta guidando il rapido sviluppo della tecnologia militare.
A questo proposito, il massimo esperto ucraino di radioelettronica e droni, Serhiy “Flash” Beskrestnov, fornisce un aggiornamento sull’utilizzo dei droni in Russia:
Il vostro supporto è inestimabile. Se avete apprezzato la lettura, vi sarei molto grato se vi impegnaste a sottoscrivere un impegno mensile/annuale per sostenere il mio lavoro, così da poter continuare a fornirvi report dettagliati e incisivi come questo.
A Rio de Janeiro il vertice BRICS ha messo in scena una cena di famiglia dove i principali invitati latitano, segnando il primo vero interrogativo geopolitico di un alleanza delle grandi ambizioni identitarie . Si dovrebbe prendere atto, passando per disfattisti , che la battuta di arresto dell’alternativa Multipolare antagonista dello strapotere del petrodollaro sta affrontando la sua prima vera crisi politica .
Mandare la palla in tribuna arrampicandoci sull’Esquilino dei Brics , non smuove nemmeno le statistiche degli Stream pompati . Continuiamo così, facciamoci del male. Come se ammetterlo non sia già abbastanza difficile .
Il vecchio catenaccio della Perfida
Lo sfacciato incontro Cipriota di Modi con i CEO Cap. Venturedi vecchio catenaccio della Perfida Albione, ha rappresentano la prima vera prova strutturale del sistema BRICS .
Per non infierire troverete qui sotto il rito dove , il presidente Indiano riceve (esattamente come il dono di Re Charles a Mattarella -Cipro era il centro congressi)
Condividere una sogno non sottintende l’istinto autoconservativo a confonderlo con il desiderio.
L’imminente tracollo del dollaro sembra sempre più lontano .
La notizia ufficiale: il “club degli emergenti” si allarga e apre le porte a Iran, Egitto e Indonesia, quasi a voler compensare la mancanza dei veri protagonisti. Perché diciamolo: senza Putin e Xi Jinping ,la foto di famiglia somiglia più al bilaterale con invitati tra il Dragone e il Brasile .
Eppure, tra brindisi e dichiarazioni per la stampa, la realtà si impone: l’accordo vero, quello che conta, resta l’asse tra Pechino e Brasilia. Una coppia male assortita che si studia da anni, ballando tra opportunismo e diffidenza.
Lula si muove con la leggiadria di chi sa di non poter troppo irritare né la Cina, né l’India (prossima alla presidenza BRICS) e neppure l’Occidente che guarda con sospetto ma non disdegna. Così, evita la Belt and Road Initiative ma giura fedeltà ai forum con Pechino, la cui “assenza strategica” viene liquidata con un’elegante scusa di diplomazia informale: meglio non dare nell’occhio .
Il Brasile ostenta identità globale, ma poi si risveglia ogni mattina con la realtà di essere il primo partner commerciale della Cina sull’intero continente latinoamericano: il 45% delle esportazioni brasiliane si ferma comodamente a Pechino, altro che multipolarismo.
Ogni dichiarazione di autonomia viene immediatamente smentita dai dati che rivelano una dipendenza ormai strutturale e di fatto ineludibile dalla real politique e dalla strategia di Trump e del suo protezionismo predittivo , apparentemente schizofrenico .
Cina: egemonia senza sbraitare (ma con calcolatrice in tasca) Pechino, dal canto suo, conduce il gioco con la pazienza di chi sa di aver già vinto. Investe, firma accordi anti-dollaro, ma evita i toni ruvidi e le imposizioni alla vecchia maniera: meglio una egemonia “zen” che non faccia scattare l’allarme nei partner moderati, soprattutto ora che il BRICS si trova a dover gestire quadri sempre più eterogenei e dialoghi surreali dovuti all’ingresso di attori come Iran ed Egitto.
L’espansione del blocco fa notizia, ma la sostanza non cambia. L’allargamento può dare l’illusione della forza, ma serve soprattutto a Pechino per allargare il fronte anti-sanzioni.
A Brasilia, invece, l’idea di condividere il tavolo con Iran e co. provoca più di una perplessità : Lula corre ai ripari, moltiplica gli incontri diretti bilaterali con India e UE, sponsorizza la COP30 e cerca di restare in gioco senza irritare troppo il vero padrone di casa.
In un mondo in cui tutti fingono di essere contro l’Occidente ma nessuno vuole realmente mollare l’osso, BRICS si conferma un raffinato laboratorio di realpolitik:
Lula recita il suo ruolo di mediatore, la Cina prende appunti e nessuno si sogna di spiegare davvero perché sono più amici di prima .
Ma Putin e Xi ?
Cesare Semovigo
Il sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:
– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;