1° Maggio, tra speranze e rituali stantii_di Giuseppe Germinario

La celebrazione del 1° Maggio si è affermata definitivamente in risposta alla strage di operai avvenuta nel 1886 a Chicago. Non è mai stata solo una commemorazione di un evento tragico; è diventata immediatamente e soprattutto il motore di una speranza, di un grido universale, internazionale, fondato sul desiderio di emancipazione e sulla forza trascinante e innovatrice del lavoro salariato capace di trasformare il mondo. Le dinamiche  storiche degli ultimi due secoli, una loro disanima più disincantata, hanno rivelato una realtà molto più complessa. Il conflitto sociale tra sfruttati e sfruttatori non è il motore determinante l’intero ambito del confronto, dello scontro politico; è parte di esso e pesantemente condizionato dalle modalità e dall’esito della competizione tra centri decisori che assume soprattutto le caratteristiche di un confronto interno agli stati e tra gli stati. Questi ultimi inseriti di fatto in precisi, quanto fluidi contesti geopolitici nei quali territorio, cultura, processi identitari consentono di inquadrare le costanti, i cambiamenti e i momenti di rottura.

Lo stesso criterio divisivo della lotta di classe fondata sulla contrapposizione, sullo spartiacque tra lavoro salariato e capitale, per meglio dire tra salariati e capitalisti, pur nella grandezza degli eventi e delle motivazioni che ha scatenato, si è rivelato insufficiente ed ormai inadeguato, distorcente, nel leggere queste dinamiche e nell’indicare prospettive realistiche di emancipazione e di assetti geopolitici migliori.

La celebrazione del 1° maggio si dibatte di conseguenza in questo dilemma sino al tentativo di ingabbiarlo in veri e propri processi di rimozione.

Il più eclatante è, probabilmente, il silenzio calato in Italia e in tutto il mondo cosiddetto occidentale sulla immane strage alla Camera del Lavoro di Odessa, avvenuta tra il 1° e il 2 di maggio del 2014. Decine, secondo le fonti ufficiali, centinaia, nella realtà, di persone arse vive e giustiziate da orde nazistoidi, tutte ancora adesso ben inserite nei gangli vitali dello Stato e del Governo Ucraino, l’attuale paladino delle democrazie.

Qui sotto uno dei filmati più drammatici riguardanti quell’evento:

Lo stesso giorno parti l’offensiva militare del regime, durata dieci anni, contro le regioni orientali e la loro popolazione decisa ad opporsi alle leggi discriminatorie instaurate dal regime e contrarie agli accordi sottoscritti. In questo quadro si inserisce il proposito della NATO di avvicinarsi ai confini e minacciare sempre più l’esistenza stessa della Russia e la reazione culminata con l’intervento militare del febbraio 2022.

Qui sotto una breve ricostruzione di quest’ultimo evento, tratta dalle bozze del libro di Max Bonelli “Antimaidan” :

Il 2 maggio è una data memorabile in tutti i sensi, parallelamente al momento in cui i russi furono bruciati vivi nella “Katyn di Odessa” nella Casa dei sindacati.

Il nemico lanciò la prima operazione militare su larga scala con armi combinate per assaltare la città di Slavjansk.

È questa data, il 2 maggio, che è considerata il giorno in cui è iniziata la guerra (https://t.me/cs_association_0/194), che dura da più di 10 anni.

Quindi, il nemico è riuscito a conquistare le alture dominanti sul monte Karachun e raggiungere la periferia della città, ma grazie all’abile comando di Igor Strelkov, al coraggio della milizia, alla forza dello spirito russo e all’aiuto di Dio, i nostri ragazzi hanno fatto impedendo al nemico di entrare in città, abbatté diversi elicotteri e inflisse una grave sconfitta alla manodopera nemica.

La guarnigione sopravvisse e resistette a lungo, respingendo sempre più attacchi nemici, finché la città fu quasi completamente circondata.

Telegram (https://t.me/cs_association_0/194)
Когда запели пушки
Сегодня священная дата войны на Донбассе. Именно десять лет назад, 2 мая 2014 года Украина начала проводить штурм Славянска силами авиации и бронетехники – фактически первая серьёзная операция с заходом украинской армии с нескольких сторон в окрестности города. Параллельно с этим была взята гора Карачун – господствующая высота над Славянском, с которой видно было всё как на ладони

(Oggi è la data sacra della guerra nel Donbass. Dieci anni fa, il 2 maggio 2014, l’Ucraina iniziò a sferrare un assalto a Slavyansk utilizzando aerei e veicoli blindati: di fatto, la prima operazione seria con l’esercito ucraino che entrava nelle vicinanze della città da diverse direzioni. Parallelamente a ciò, fu preso il monte Karachun, l’altezza dominante sopra Slavyansk, da cui tutto era chiaramente visibile.

Il giorno dell’inizio di una guerra su vasta scala che dura da dieci anni. La guarnigione resistette quel giorno).

2Maggio mi alzo la mattina presto, durante la colazione leggo le notizie ansa dell´attacco a Sloviansk. Le truppe aviotrasportate hanno attaccato alle 3.30 ore italiane contemporaneamente tutti i posti di blocco di questa citta´ di 130.000 abitanti, ne prendono 9 ma incontrano una maggiore resistenza del previsto, 2 elicotteri sono abbattuti ed uno danneggiato. Le fonti ucraine parlano solo di due morti tra i loro soldati, ma la cifra mi sembra sproporzionata all´entità delle perdite di mezzi. Anche i filorussi lamentano perdite almeno 1 morto e 10 feriti. Mentre viaggio nel pulman per andare a lavoro, vengono segnalati alcuni video sull´abbattimento di un elicottero[1] .Sono separatisti che riprendono, l´elicottero punta senza controllo verso terra e poi una esplosione ed una grossa nuvola di fumo seguita da grida di gioia e spari che non si capisce se sono in segno di approvazione o provengono da scontri nelle vicinanze, la guerra, civile e`realta` a Sloviansk. Quando sono in pausa pranzo me ne arriva un altro di video su facebook da parte di Anna sono 2 minuti di un volto umano della guerra.[2] Da una macchina scende un combattente filorusso ed il pilota di un elicottero abbattuto, ferito alla coscia l´uomo è sotto shock, contusioni sul viso ed il giubbetto di salvataggio arancione penzolante. I filorussi lo aiutano ed un dottore gli da il primo soccorso. Il combattente descrive che dopo l´impatto soldati ucraini si sono fatti avanti, prendono le armi e lasciano il pilota ferito al suo destino. Avrà almeno 40 anni forse 45, si muove come un soldato esperto ma mostra il viso e parla il dialetto locale, uno dei tanti della città che ha preso le armi, forse aveva fatto il servizio militare nell´armata rossa e poi tornando a casa si è ritrovato ucraino, adesso dopo il golpe ha deciso di prendere il destino della storia con le sue mani. La Russia chiede una riunione urgente del consiglio di sicurezza dell´Onu e contemporaneamente si fa più duro il confronto sul gas dove il debito ucraino è arrivato a 3,5 miliardi di dollari e si preannuncia un taglio delle forniture a partire da giugno se non ci sarà il saldo.[3]La sera quando torno a casa trovo Anna con gli occhi rossi e la voce rotta dalla emozione ”A Odessa è successo un massacro, una cosa orribile , i nazisti hanno bruciato la casa dei sindacati con i filorussi dentro, ci sono decine di morti” la cosa mi sembra così enorme che provo ad avere conferma sulla stampa italiana. Gli articoli su Repubblica sono inusualmente pochi e solo su un articolo di redazione si trovano notizie contraddittorie “Trentotto persone sono morte in un incendio dopo gli scontri a Odessa”. Qualche trafiletto più in basso ”E’ di almeno 38 morti anche il bilancio delle vittime degli scontri tra separatisti e lealisti a Odessa, città portuale ucraina sul Mar Nero. “Uno di loro è stato colpito da un proiettile”, ha riferito una fonte all’agenzia Interfax, “mentre per quel che riguarda gli altri non si conosce la causa della loro morte”. La Casa dei Sindacati è stata data alle fiamme. Le persone sono morte nell’incendio. Gli scontri sono violentissimi”.Mi viene a pensare che c´è una guerra in atto in Odessa chiedo, conferma ad Anna ”sembra che si sparano ci sono morti da una parte e dall´altra”. Mi risponde quasi isterica ”ti dico di no i morti sono solo tra i filorussi, sono arrivati due treni carichi di 2500,tifosi di squadre di calcio con quelli di pravji sektor che li guidavano, sono andati addosso alle tende dei filorussi che raccoglievano le firme per il referendum dell´11 maggio, gli hanno dato fuoco , i filorussi erano di meno 200-300 persone sono fuggite nel vicino palazzo dei sindacati e quei bastardi gli hanno dato fuoco al grido gloria all´Ucraina” piange disperata, “capisci ho lavorato tanto per la lingua ucraina ed anche io sono responsabile di aver creato questo mostro, come voi europei, americani, anche io che in realtà sono russa”. Le lacrime scendono irrefrenabili, non riesco che a dire banalità “forse sono notizie esagerate”. Guarda tu stesso!” Mi mette davanti il suo computer ed un video terrificante girato dagli stessi nazisti messo su Youtube, si vedono corpi carbonizzati seduti sulle scale interne di un grande edificio su più piani, alcuni sono bruciati solo dalla cintola in su come se qualcuno gli avesse versato benzina e dato fuoco. Il video dal titolo ”cimici russe colorate bruciano” verrà rimosso nei giorni successivi. Ma altri video non meno cruenti sono sulla rete. Come quello che riassume in pochi minuti gli avvenimenti.[4]. Oppure quello girato dalle prime autorità che entrano nell´edificio e che si aggirano tra i cadaveri indifferenti al massacro che non hanno saputo evitare.[5]Il titolo “terroristi russi bruciati vivi nella casa dei sindacati ad Odessa”, spiega la loro indifferenza se non complicità,si vede più volte in varie sequenze un alto ufficiale di polizia che si muove indisturbato tra i nazisti quasi dirigendo il pogrom.[6] L´ufficiale viene accompagnato in un un autoambulanza per fare un briefing con uno dei capi dei nazisti. Si parla di russi bruciati vivi come se questo può giustificare la mostruosità ma in realtà sono ucraini russofoni come altri 10 milioni che vivono nel Sud-est e che da questo momento avranno chiaro che se vogliono protestare lo dovranno fare con le armi in mano come a Sloviansk oppure accettare il nuovo corso politico ucraino , protestare pacificamente significa votarsi ad una morte orribile. Il bilancio cresce di ora in ora arriverà a 48 persone più altri 50 dispersi i cui corpi non saranno trovati. Quando vado a letto la testa mi gira, le vene pulsano sulle tempie, faccio fatica a respirare non riesco a pensare che al bianco dei denti che si staglia sul nero della carne carbonizzata, o a quella donna incinta strangolata con il filo del telefono in una stanza non toccata dall´incendio, perché non dovevano essere lasciati testimoni, o a quei ragazzi semicarbonizzati che dopo aver saltato dal 2° piano con le gambe spezzate si trascinavano tra l´ilarità dei nazisti che li finivano a bastonate. Mi viene solo una domanda “è questa l´Europa che voglio? questa sarebbe quello per cui 50 milioni di persone sono morte nella ecatombe che ebbe fine nel 1945?” In quella notte decido che non posso essere spettatore passivo, nel mio nido di sicurezza in Scandinavia, decido che devo scrivere raccontare questa follia di cui anche il mio paese è complice.

 

[1]    https://www.youtube.com/watch?v=QbWYEZWi-Cg

[2]    https://www.youtube.com/watch?v=lbMjiCb7EPU

[3] http://www.repubblica.it/economia/2014/05/02/news/ucraina_l_ue_prova_a_rassicurare_gas_fino_a_maggio_ma_gazprom_frena_sul_prossimo_inverno-85039832/?ref=search

[4]https://www.youtube.com/watch?v=FpVWEppLi_I

 

[5]    https://www.youtube.com/watch?v=ycfOCxR5mxM&oref=https%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3DycfOCxR5mxM&has_verified=1

[6]    https://www.youtube.com/watch?v=H4dJRnI-X8Q#t=37

Qui sotto un filmato rievocativo:

Gli interessati all’acquisto del volume “Antimaidan” possono rivolgersi direttamente all’autore tramite email max.bonelli@mail.ru

Giuseppe Germinario

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SITREP 5/1/24: Il rullo compressore russo avanza mentre l’Ucraina si prepara all’impatto, di SIMPLICIUS

Questa volta iniziamo le cose in modo un po’ diverso e passiamo direttamente agli aggiornamenti sul campo di battaglia, mentre le forze russe continuano a fare progressi in una serie di settori chiave.

Sull’asse di Avdeevka si sono registrati diversi progressi degni di nota rispetto all’ultima volta.

In primo luogo, è stata completamente conquistata l’ampia area di distacco tra Arkhangelsk e Keramik, cerchiata in giallo qui sotto:

Anche la stessa Arkhangelske viene ora presa d’assalto e, secondo quanto riferito, una parte di essa è occupata dalle truppe russe, visibile sopra la freccia gialla.

E ora anche Sokol/Sokil, sul lato occidentale, viene avvicinata, con le truppe russe che si muovono su Karl Marx Avenue da Soloviev e ingaggiano battaglie con le truppe dell’AFU alla periferia del piccolo insediamento.

Zoomando verso l’esterno, possiamo ancora una volta vedere che l’hub chiave della regione, Kostantinovka, viene lentamente avvolto dai salienti che si spingono da Ocheretino e Chasov Yar, con l’Ocheretino, la porzione meridionale della tenaglia, a 10 km dal taglio dell’MSR di Konstantinovka:

Nel nord, le unità RF della 98a divisione aviotrasportata avanzano a Chasov Yar non solo direttamente, ma aggirando la parte più orientale a sud dove le truppe russe sono state ora geolocalizzate per passare sopra il canale Seversky-Donets evidenziato in bianco qui sotto:

Ciò significa che sembrano tentare di mettere il corpo principale di Chasov Yar in una tenaglia in questo modo:

Spiegel:

I militanti ucraini si stanno preparando per una rapida ritirata dalla zona di Chasov Yar – Spiegel

“Se il nemico occupa un’altura nell’area del villaggio di Ivanovskoye, allora potrà avvicinare i suoi sistemi antiaerei e nascondere il suo equipaggiamento tra gli edifici, e saremo costretti a ritirare la potenza di fuoco”, hanno dichiarato le forze armate ucraine. ha detto il funzionario alla pubblicazione tedesca.

I soldati dell’AFU si sono lamentati di problemi con i rifornimenti, nonché di frequenti attacchi da parte dell’artiglieria e dell’aviazione russa.

Secondo gli autori dell’articolo, dopo la ritirata da Chashi Yar, la parte settentrionale del fronte del Donbass potrebbe crollare. La situazione a Kiev è aggravata dalla fuga dei militanti da Ocheretino.

Gli osservatori del Wall Street Journal concordano con i loro colleghi tedeschi, che hanno scritto che l’avanzata delle forze armate russe ha messo in luce le vulnerabilità delle posizioni delle forze armate ucraine.

Anche Julian Ropcke della Bild è abbattuto:

Presto l’esercito entrerà a Chasov Yar: si sta avvicinando alla città da sud, – BILD

Durante l’attacco a Chasov Yar, l’esercito utilizza la tattica del doppio attacco, ha riferito in precedenza l’esperto militare della BILD Julian Röpcke. Le forze armate attaccano direttamente il microdistretto di Kanal a est della città e lo aggirano anche da nord e da sud, passando per i villaggi di Bogdanovka e Ivanovskoye (Krasnoye). Al Centro e al Nord le Forze Armate mantengono la linea.

Ora, sul fianco meridionale delle Forze Armate, sono riusciti ad attraversare il canale Seversky Donets – Donbass e ad avanzare verso la città.

“Le forze armate hanno attraversato il canale a Chasov Yar, 1 km a sud-est della città. È solo questione di tempo prima che entrino nella città da est o da sud”, scrive Röpcke.

Bild scrive inoltre:

Le forze armate ucraine non hanno abbastanza soldati per fermare l’avanzata delle forze armate russe, riferisce la tedesca Bild.

“I migliori soldati sono stati uccisi, feriti o in servizio quasi continuo. Molti sono assolutamente esausti perché le fasi di riposo e di recupero sono impossibili a causa della mancanza di personale. Ciò riduce la loro efficacia in combattimento e il loro morale”, osserva la pubblicazione.

Una nuova ondata di mobilitazione non potrà risolvere la carenza di personale, perché le reclute non ricevono una buona formazione e non sanno usare le armi.

In effetti, ecco come Arestovich, spesso preveggente, ha predetto gli imminenti sforzi russi per quest’estate:

Gli eventi dell’estate, secondo Arestovich, si svilupperanno così. L’esercito russo fa uno sfondamento a Konstantinovka a ovest di Chasova Yar, e nella zona di Ocheretino sviluppa un’offensiva verso Pokrovsk. Non è chiaro cosa accadrà più a nord, nella zona di Belogorovka-Seversk. Il compito finale è raggiungere la linea Kramatorsk-Konstantinovka-Toretsk entro la fine di giugno e in settembre-novembre la battaglia per Slavyansk.

Potete vedere che le due città estremamente importanti di Pokrovsk e Konstantinovka sono quasi equidistanti dall’ultimo saliente di Ocheretino, quindi è probabile che le forze russe continueranno a sviluppare entrambe le direzioni allo stesso tempo, trovando i varchi più liberi per avanzare come l’acqua che scorre attraverso aree di minima resistenza:

Ci sono altri progressi a Urozhaynoye (Raccolto) e Rabotino, dove le forze russe sono state geolocalizzate piantando una bandiera nel nord del villaggio dopo averlo riconquistato, ma per ora questo sarà sufficiente.

Andare avanti.

Tocchiamo il tema degli aiuti e delle prospettive dell’Ucraina. Una volta che la febbre sfrenata del giubilo post-aiuto si è calmata, gli ucraini si sono ritrovati ad affrontare la dura realtà. Ne avevo parlato la volta scorsa, ma ora abbiamo conferme ancora più chiare di quanto in realtà le promesse fossero state inconsistenti.

I commentatori pro-UA lamentano dal profondo che, nonostante le chiassose fanfare, in realtà non sono ancora arrivati ​​gli aiuti e che gran parte dei mezzi principali non saranno spediti prima di un bel po’ di tempo:

Prosegue riferendo:

Zelenskyj sembra confermarlo:

Ciò fa seguito a ciò che ho scritto nell’ultimo rapporto sugli Stati Uniti che stanno semplicemente iniziando a prendere ordini per materiale che può impiegare 1-2 anni per arrivare.

Ciò è fortemente ostacolato da un’industria della difesa sclerotica che sta sperimentando non solo costi in aumento ma anche grandi esitazioni e dubbi:

Ad esempio questo rapporto:

Alcuni appaltatori non vogliono stipulare contratti a lungo termine con il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti a prezzi fissi per rifornire l’Ucraina di armi provenienti dalle scorte del Pentagono, secondo un rapporto del GAO Congressional Accountability Office. 

Secondo il dipartimento, i dipartimenti militari statunitensi hanno concluso o stanno pianificando di concludere nel prossimo futuro contratti pluriennali per l’acquisto di cinque tipi di armi fornite all’Ucraina. Ma i funzionari del Pentagono e i funzionari degli appaltatori hanno dichiarato al GAO di dover affrontare delle difficoltà nell’attuazione di questi piani. Alcuni appaltatori, infatti, sono riluttanti a stipulare contratti a lungo termine a causa del prezzo fisso.

Un analista russo ha scritto un post penetrante proprio su questo argomento:

Ciò che è interessante anche per gli ucraini riforniti dalla NATO è che quasi tutti i miglioramenti nei veicoli corazzati e nell’artiglieria trasferiti, sia in termini di facilità d’uso che di sicurezza, sono opera degli stessi stemmi. Sia efficaci che poco efficaci, ma per lo più artigianali. Le modifiche di fabbrica vengono apportate principalmente alle attrezzature che si trovano in uno stato che richiede riparazioni importanti, che si tratti di vecchi carri armati sovietici e veicoli corazzati o di veicoli occidentali. E i miglioramenti vengono apportati principalmente nel quadro dei progetti e degli sviluppi prebellici esistenti, praticamente senza tenere conto dell’esperienza della guerra. 

Abbiamo anche spazio per crescere in quest’area, ma la configurazione dell’armatura e della protezione aggiuntiva degli stessi T-72B3 e T-90M, che vanno alle truppe con UVZ, è già stata modificata più volte e continuerà ad essere cambiato man mano che si trasforma il quadro della minaccia. Come cambierà Abrams dal fronte, recentemente ritirato, prima del suo ritorno? La questione qui è piuttosto se avranno un posto dove tornare. 

Le forze del nemico in questa parte sono concentrate principalmente sul territorio dell’Ucraina stessa e soprattutto nello sviluppo dei droni: il miglioramento degli stessi droni sta ora progredendo lì ad un ritmo più veloce rispetto a sviluppi simili da parte della NATO, a causa della costante comunicazione degli sviluppatori con coloro che usano queste armi. 

Perché sta succedendo? In generale, tutto è abbastanza semplice. La NATO non ha mai percepito questa guerra come qualcosa in cui fosse assolutamente necessario investire tutte le proprie risorse, e la sua industria segue ancora un percorso di minimizzazione dei costi che non implica il miglioramento attivo delle attrezzature trasferite, tanto meno un miglioramento rapido. I processi burocratici paneuropei, che hanno trasformato quasi ogni progetto militare occidentale in una cornamusa infinita di documenti e riunioni, non fanno altro che esacerbare il problema. 

Per loro. Per noi, ovviamente, lo semplificano.

Ciò è stato confermato dal gruppo di hacker russo Beregini che ha pubblicato un rapporto che descrive in dettaglio come quasi tutti i carri armati tedeschi Leopard 1A5 consegnati all’Ucraina presentassero difetti:

D’altro canto continuano ad aumentare le forniture, gli scioperi e i raggruppamenti russi. Ad esempio, questo aggiornamento dell’analista della difesa Konrad Muzyka:

“Siamo arrivati ​​​​al punto in cui la situazione sul fronte è la peggiore dal marzo 2022. Il vantaggio numerico dei russi è in costante crescita, così come il numero degli attacchi. L’Ucraina non è sopravvissuta all’ora più buia. Sta per iniziare. “

La situazione continua ad essere aggravata da massicci problemi per le truppe.

Riepilogo di quanto sopra:

La 47a brigata delle forze armate ucraine ha subito perdite molto pesanti in soldati e ha perso anche 40 veicoli da combattimento della fanteria Bradley e 5 carri armati Abrams. 

Forbes scrive di questo. 

“Quando le difese ucraine sono crollate poco più di una settimana fa vicino al villaggio di Ocheretino, poche miglia a ovest delle rovine di Avdiivka, il comando ucraino ha fatto quello che fa di solito in una crisi: ha schierato lì la 47a “brigata di emergenza” meccanizzata, addestrati da istruttori NATO e montati su carri armati Abrams, veicoli da combattimento della fanteria Bradley e cannoni semoventi M-109″, si legge nella pubblicazione. 

Ma come nota Forbes, la 47a Brigata non è stata in grado di impedire alla 30a Brigata di fucilieri motorizzati russa di catturare Ocheretino la scorsa settimana e di approfondire un saliente di 5 miglia che ha tagliato come un coltello il territorio ucraino. 

La brigata era effettivamente in procinto di ritirarsi dal fronte per riprendersi quando la 30a brigata russa attaccò Ocheretino. Il comando del gruppo delle forze armate ucraine “Donetsk” ha ordinato al 47esimo di voltarsi e tornare in battaglia, dove ha subito enormi perdite, scrive Forbes. 

La pubblicazione ricorda che la 47a brigata guidò la controffensiva delle forze armate ucraine vicino a Rabotino già nel giugno scorso e subì pesanti perdite tra i campi minati russi. Quattro mesi dopo la brigata fu lanciata per 100 miglia nel massacro di Avdeevka. La città cadde in febbraio e il 47° rimase a coprire la ritirata e poi si mosse per sostenere il fianco a Ocheretino.

“Ha subito pesanti perdite e ha perso almeno 40 dei suoi circa 200 veicoli da combattimento di fanteria Bradley e 5 dei 31 carri armati Abrams. La brigata ha un disperato bisogno di riposo, riavvio e riorganizzazione”, scrive Forbes.

il Washington Post ha indirettamente lanciato un’altra notizia bomba quando ha finalmente ammesso che la ridicola cifra delle vittime di Zelenskyj era falsa, intesa a sostenere il morale, e che il numero reale è probabilmente significativamente più alto, qualcosa che coloro che sono in grado di respirare attraverso il naso sanno da tempo:

In effetti, secondo quanto riferito, gli Stati Uniti stanno esaurendo gli uomini ucraini da addestrare:

Rezident UA riferisce che fino al 35% dei militari dell’AFU sono scomparsi durante l’addestramento europeo e non sono mai stati ritrovati. un numero che aumenta ogni anno:

#Dentro
La nostra fonte nell’OP ha affermato che lo Stato Maggiore non considera la formazione degli ucraini all’estero un modello efficace, l’anno scorso quasi il 20% degli uomini non è tornato, quest’anno la percentuale è salita al 35%.

Alla luce di quanto sopra, i personaggi occidentali continuano inutilmente a pavoneggiarsi minacciando di inviare truppe:

L’ex ministro della Difesa britannico e attuale membro del Parlamento, James Heappey, ha sostenuto l’idea di Macron di inviare truppe occidentali in Ucraina per addestrare gli ucraini. 

Quando un giornalista gli ha chiesto se fosse opportuno inviare truppe britanniche in Ucraina, ha risposto affermativamente.

Ed è interessante notare che le forze speciali dell’esercito americano iniziano ad accelerare i corsi di lingua ucraina per le reclute, come in previsione di un futuro dispiegamento nel paese:

Un breve accenno al ponte Kerch. Continuano ad esserci “rapporti” secondo cui l’Ucraina si sta preparando a colpire il ponte già dal 7 al 9 maggio, in tempo per l’inaugurazione di Putin, al fine di rovinarlo.

I sistemi SIM stranieri confermano il trasferimento di almeno 100 missili ATACMS modificati in Ucraina per una portata di 300 chilometri. Tenendo conto dell’uso dei missili inganno ADM-160 MALD, le forze armate ucraine dispongono di un potente arsenale per attaccare la Crimea. Il prossimo attacco è previsto all’inizio di maggio per l’insediamento di Putin il 7 e 9 maggio. La Crimea è satura di sistemi di difesa aerea, la nostra gente sta aspettando un attacco e si sta preparando.

Da Rezident UA:

La nostra fonte presso lo Stato Maggiore dell’OP ha affermato che sono state ricevute le prime istruzioni introduttive per le unità delle forze armate ucraine nell’operazione Ponte di Crimea. È in preparazione un attacco combinato con UAV acquatici/subacquei/aerei, ATACMS e lanci di missili Storm Shadow.

E da Legitimny:

La nostra fonte riferisce che per danni significativi al ponte di Crimea è necessario spendere quasi tutti i missili a lungo raggio trasferiti dai partner. E poi, questo metterà il ponte fuori servizio per 2-3 mesi. 

Ciò, ovviamente, interromperà parzialmente le festività natalizie in Crimea, ma non influenzerà in alcun modo il corso delle ostilità. Sarà solo una campagna di pubbliche relazioni rumorosa e costosa. L’Ucraina spenderà molte risorse, ma riceverà un profitto minimo; a lungo termine questo si rivelerà un grosso problema e un altro errore di calcolo del PO. 

L’unica cosa che gli esperti non possono dire ora è quale sarà la risposta del Cremlino al prossimo aumento della posta in gioco (qualcuno lo sta provocando deliberatamente).

Più probabilmente:
– L’Ucraina sarà tagliata fuori del 70% di tutta l’elettricità e le stazioni di distribuzione saranno costantemente colpite.
– L’Ucraina sarà privata della sua carta vincente sul gas. Molto probabilmente, l’UGC verrà in qualche modo disabilitato.
– le infrastrutture delle ferrovie e dei ponti verranno distrutte in modo più grave. Forse i ponti verranno colpiti con qualcosa di molto grande e potente, in modo da “rovesciarli” immediatamente con un colpo solo.
– ricominceranno a colpire duramente i porti. 

Nel complesso: la vita in Ucraina diventerà ancora peggiore e più difficile per la popolazione. Le autorità ucraine lo sanno, ma eseguono le istruzioni di coloro che pagano queste “vacanze” e pagano le spese d’ufficio per questo “cinema”. Prendersi cura di se stessi! Per le autorità sei solo uno strumento per fare pubbliche relazioni e fare soldi.

Da quando l’Ucraina ha ricevuto nuovi lotti di ATACM, sono già stati registrati diversi tentativi di attacco su larga scala, incluso uno in Crimea giorni fa che ha avuto risultati inconcludenti. Un rapporto indicava che l’AD russo aveva intercettato con successo 10-12 missili ATACM, mentre le immagini sgranate del satellite mostravano alcuni segni “discutibili” sugli aeroporti che avrebbero potuto potenzialmente essere colpi “semi-riusciti”, ma nessuno ne è abbastanza certo.

Oggi, un nuovo video mostrava un attacco dell’ATACM contro una concentrazione di truppe russe a Lugansk, sempre con risultati discutibili.

Ma il punto è: l’Ucraina li possiede e li sta utilizzando. Un attacco a Kerch non è escluso, come indicano le voci sopra citate. Ma è improbabile che abbia successo poiché la precisione dei missili non è sufficientemente elevata da causare danni concentrati.

Inoltre, continuano a circolare rapporti su quanto gravemente la tecnologia occidentale sia stata degradata dal progressivo miglioramento delle capacità di guerra elettronica della Russia.

L’ultima volta che abbiamo scritto della debacle del GLSDB , ora è stato esposto anche il decantato proiettile di artiglieria Excalibur da 155 mm guidato da GPS:

L’efficacia dei colpi guidati dal GPS Excalibur dell’Ucraina è diminuita dal 70% al 6% in sei settimane poiché la Russia si è adattata e ha utilizzato varie risorse di guerra elettronica per contrastarli. Fonte: https://congress.gov/118/meeting/house/116957/witnesses/HHRG-118-AS35-Wstate-PattD-20240313.pdf

L’efficacia dell’Excalibur è stata ridotta al 6%? È praticamente inutile.

A proposito, questo dimostra perché il Krasnopol russo è superiore: ha capacità di guida laser che non possono essere bloccate allo stesso modo.

Infine, tutto ciò si intreccia con le continue speculazioni sulla prossima offensiva russa.

Condividerò alcune voci e voci, in particolare nei confronti della direzione di Kharkov, che è sempre più al centro delle preoccupazioni per l’Ucraina.

Primo, il Financial Times ora si è schierato a favore della direzione di Kharkov :

🇷🇺⚔️🇺🇦 La Federazione Russa si sta preparando per una grande offensiva alla fine di maggio o a giugno, hanno riferito al Financial Times fonti dello Stato maggiore ucraino. 

Secondo loro, prima di questa operazione, la Russia lancerà attacchi missilistici su Kharkov e altre città strategicamente importanti, “ammorbidendo il campo di battaglia”. 

Una fonte delle forze armate ucraine ha detto alla Bild di temere un attacco a Kharkov con la partecipazione di 20-40mila soldati russi.

💬 “Allora dovremo decidere se vogliamo difendere il nord o l’est. È impossibile fare entrambe le cose”, ha detto.

È interessante notare che le foto satellitari mostrano che la Russia sta costruendo un nuovo campo d’aviazione proprio sul lato opposto del confine con Kharkov:

I media occidentali, citando immagini satellitari, riferiscono che la Russia ha iniziato a costruire un nuovo aeroporto a 70 km dall’Ucraina, nella regione di Belgorod. 

La lunghezza della pista è di circa 1800 metri. È sufficiente per diversi tipi di aeromobili. 

Questo conferma i piani di spostamento del fronte dal confine verso ovest.

Potrebbe essere in preparazione di un maggiore supporto aereo per una nuova campagna del nord?

Come si legge nell’articolo del FT sopra citato, alcuni sostengono che la Russia utilizzerebbe solo 20-40k truppe per entrare da nord – ipoteticamente. Questo non è sufficiente per catturare l’intera regione o la stessa città di Kharkov, ma questo potrebbe non essere il punto.

Secondo l’ipotesi, la forza potrebbe semplicemente servire a distogliere le truppe ucraine dal deterioramento della linea del Donbass per creare sfondamenti molto più grandi. L’ufficiale ucraino citato nell’articolo ha ammesso di non avere abbastanza truppe per resistere efficacemente in entrambe le aree.

Questo sarebbe ancora una volta parte integrante della strategia russa di “sgranocchiare” l’Ucraina a poco a poco, in una grande guerra di logoramento: la morte per mille tagli da ogni parte.

La Bild riferisce delle fortificazioni ucraine in previsione:

Qui c’è un thread sulle fortificazioni che include video che mostrano che la Russia sta bombardando attivamente le fortificazioni di Kharkov proprio sul confine russo :

Anche Zelensky ha affermato che la Russia “si sta preparando per un’offensiva”:

Ma molti non sono fiduciosi sulle prospettive dell’Ucraina. Il giornale svizzero Blick:

“I russi prenderanno il controllo del Donbass entro ottobre, poi il conflitto si bloccherà e dovremo negoziare con Putin”, si legge nelle parole di un ufficiale della quinta brigata d’assalto delle Forze armate ucraine, che detiene la difesa a Chasovy Yar.

Diamo un’occhiata ad alcuni ultimi elementi vari.

Gli Iskander russi avrebbero distrutto un enorme magazzino postale di Novaya Pochta a Odessa che, secondo alcune fonti, ospitava uno dei grandi carichi di nuove armi, in particolare munizioni da 155 mm, provenienti dalla NATO :

Un’ora e mezza fa, a Odessa, è stato distrutto un magazzino di granate provenienti dagli Stati Uniti, appena portate. 

Forse anche nel quadro del pacchetto di assistenza recentemente accettato. I proiettili da 155 mm sono arrivati in mattinata dalla Romania via mare. Al momento, la detonazione è in corso e il fuoco divampa. L’SBU ha isolato l’area in cui sono arrivati i due missili del compagno Iskander K. e blocca tutti coloro che cercano di filmare il luogo. 

Le detonazioni sono ancora in corso. 61 miliardi di dollari ben spesi.

Gli incendi e le esplosioni sono stati enormi e sono ancora in corso da un giorno intero:

Geolocalizzazione: 46.39076154894405, 30.709783815056294

L’ambasciatore americano ha pianto per questo:

Negli attacchi, si dice che sia stato eliminato un importante maggiore del Comando meridionale ucraino:


I commissari della mobilitazione lamentano che nessuno vuole arruolarsi nell’esercito:

Un dato di fatto che si fa sempre più forte nella società ucraina:

In ogni programma e in ogni intervista si parla sempre e solo di questo: “Siamo a corto di uomini”.

L’assemblaggio di blindati NATO per il Giorno della Vittoria di Mosca è finalmente completo con l’arrivo degli Abrams e degli altri. Ecco un video umoristico del perenne parassita della BBC Steve Rosenberg che divora amaramente la sua uva acida per l’occasione:

Gli ingegneri russi continuano a essere i più veloci al mondo nell’aggiornare al volo gli equipaggiamenti in base alle richieste provenienti direttamente dai soldati sul campo. Le nuove versioni del T-90M inviate alle truppe sono ora dotate di una griglia anti-drone completamente ridisegnata, che ha persino le sue porte d’ingresso sulla parte superiore:

Dopo averci lavorato nel corso dell’SMO, si può affermare che la Russia dispone di gran lunga dei più sofisticati e collaudati dispositivi difensivi anti-drone e delle modifiche alle armature di qualsiasi altro Paese al mondo. Basta dare un’occhiata agli sforzi di altri Paesi in materia di sophomore per notare quanto siano indietro nella catena di adattamento.

Per esempio, la Corea del Sud ha recentemente iniziato a dotare i suoi blindati di “gabbie di piombo” che sono piuttosto primitive in confronto, ma almeno dimostrano che ancora una volta la Russia innova e guida mentre i militari più avanzati del mondo seguono le sue orme:

La Russia continua a dare la caccia all’inafferrabile HIMARS e, secondo quanto riferito, è riuscita a colpirne un altro con un missile teleguidato Tornado-S:

Infine, per fare chiarezza e chiudere la situazione di Russell Bentley.

Molti mi hanno chiesto di commentare la notizia, ma per ora mi sono astenuto per aspettare di raccogliere dettagli effettivamente confermati. Per la prima volta, abbiamo ora alcuni dettagli reali da una fonte affidabile, in questo caso la giornalista russo-tedesca Alina Lipp. Potete ascoltare il suo resoconto qui sotto e decidere da soli a cosa credere per quanto riguarda i dettagli:

Molti avranno visto questo video precedente, ma per chi non l’avesse visto, ecco l’amico buryat di Bentley che si rivolge ai membri della suddetta 5ª Brigata, che secondo quanto riferito proviene dalla Buryatia:

Anche se nulla è veramente “confermato” per quanto riguarda le fonti ufficiali, un altro dettaglio che ho letto e che aggiungo è che presumibilmente i resti carbonizzati di Bentley sono stati trovati in un’auto bruciata e abbandonata. Possiamo quindi supporre che, se la storia di cui sopra è vera, i colpevoli siano stati presi dal panico dopo averlo ucciso “accidentalmente” e abbiano cercato di eliminare le prove.

L’unica domanda che rimane è: si è trattato di un “rapimento” mirato o di un crimine di opportunità? Sappiamo che Donetsk è stata colpita da missili e Bentley si è recato nei pressi di una stazione di servizio locale, vicino al quartiere Petrovsky, per indagare con la sua fotocamera e registrare alcuni video. Poi è stato visto salire su un’auto da alcuni uomini. Secondo alcune teorie, l’attacco avrebbe colpito il quartier generale della 5a brigata e gli uomini avrebbero visto un “americano” che si aggirava nei paraggi e avrebbero pensato che si trattasse di una spia della NATO, responsabile dell’attacco contro di loro.

È impossibile saperlo con certezza, ma le circostanze non hanno senso. Per me ha più senso un crimine di opportunità da parte di persone che non sapevano nemmeno chi fosse e che era solo una specie di americano in giro, ma è impossibile saperlo.

Rispettavo Bentley ma non ero un suo grande “fan” personale, solo perché ho avuto interazioni con lui poco piacevoli e ho conosciuto persone con cui è stato estremamente scortese e offensivo. Al di là della sua immagine su misura, nella vita reale non era la persona più “gentile”, nemmeno con le persone che lo aiutavano o lavoravano con lui. E sto facendo il diplomatico per avere un po’ di rispetto alla luce della sua scomparsa, se capite cosa intendo.

Tuttavia, essere scontrosi o addirittura stronzi:

  1. Non ti rende meritevole di morte né mi spinge a festeggiare la tua morte.

  2. Non toglie i vostri successi e non offusca le cose positive che avete fatto.

Pertanto, dico RIP a “Texas”, che aveva le palle più grosse della maggior parte di noi, ha vissuto la vita al massimo e può almeno dire di aver combattuto – e di essere morto – per qualcosa di significativo:


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Zakhar Prilepin: sono sopravvissuto a un assassinio e ho visto che la Russia sta ritrovando se stessa , di Zakhar Prilepin

Zakhar Prilepin: sono sopravvissuto a un assassinio e ho visto che la Russia sta ritrovando se stessa

2024-04-30 08:18:22

Il 6 maggio 2023, l’auto su cui viaggiava Zakhar Prilepin è esplosa nella regione russa di Nizhny Novgorod, provocando a Prilepin una commozione cerebrale e fratture multiple, mentre il suo autista è morto sul colpo.

Zakhar Prilepin ha molteplici identità sociali. Come famoso scrittore russo, le sue opere sono state vendute in Russia e tradotte in molte lingue; come noto attivista politico russo, ha partecipato alla prima e alla seconda guerra cecena, è stato presidente del gruppo “Russia Giusta – Patrioti – Per la Verità”. Come noto attivista politico russo, ha combattuto nella prima e nella seconda guerra cecena, è stato presidente del partito comune “Russia Giusta – Patrioti – Per la Verità” e, dopo lo scoppio del conflitto russo-ucraino, è stato vice comandante di un reggimento della Guardia Nazionale ed è andato al fronte.

Quasi un anno dopo l’assassinio, l’Observer ha una conversazione con Zakhar Prilepin.

[Traduzione/Yue Guandong]

Assassinio, vita e morte.

OBSERVER : Zahar, ciao! Abbiamo saputo che l’anno scorso c’è stato un attentato contro di lei. Come si sente ora? Che effetto le ha fatto questo assassinio?

Zakhar Prilepin: Mi sento bene, posso ancora camminare con un bastone e, in generale, sono soddisfatto della mia vita al momento. Ho 13 ossa rotte nel corpo, tra cui una frattura di una vertebra, nove fratture alle gambe, di cui tre aperte, e una commozione cerebrale. I miei medici sono molto bravi e dopo sei mesi di cure mi dicono che tra poco mi riprenderò completamente e tornerò come prima. Le persone sono molto resistenti.

OBSERVER : Come è sopravvissuto al giorno dell’assassinio?

Zakhar Prilepin: In quel momento ho ripreso conoscenza e ho capito subito che sarei sopravvissuto. Poi sono stato portato in ospedale, ricordo le luci che lampeggiavano sul soffitto, mi hanno messo su una barella e mi sono sentito bene: il fatto che fossi ancora vivo era già di per sé un miracolo.

OBSERVER : Quali mezzi hanno usato per assassinarla? Che tipo di tattiche e azioni hanno adottato gli assassini?

Zakhar Prilepin: Hanno piazzato due mine anticarro sulla strada che stavo percorrendo. Le mine sono state piazzate su una strada rurale sabbiosa a senso unico, privilegiando il lato del passeggero. Ma cinque minuti prima dell’esplosione, ho suggerito di cambiare posto al mio collega, autista e guardia del corpo, e mi sono messo al posto di guida. La prima mina è esplosa sotto il suo sedile, dove avrei dovuto sedermi io, ed è morto sul colpo. Anche il mio collega rimase gravemente ferito e occupò tre pagine del referto medico, mentre la mia era solo mezza pagina.

Dopo l’esplosione, l’auto è ruzzolata a mezz’aria e alla fine si è ribaltata. Ho sbattuto violentemente la testa sul tetto dell’auto e l’impatto mi ha provocato la rottura della colonna vertebrale e anche del collo. Il mio sedile è stato strappato, il volante è sparito, tutti i vetri dell’auto sono stati spazzati via e le ruote sono schizzate per 70 metri sui tetti di tre case.

La scena dell’assassinio di Zakhar Prilepin6 maggio 2023Foto da Surge Images

In realtà, le mine erano caricate con 10 chilogrammi di piccole noci, che sono state sparse per un centinaio di metri e hanno spezzato molti alberi, ma nessuna delle noci mi ha colpito. Le persone che mi hanno assassinato non erano killer professionisti, e solo una delle mine è esplosa, e la seconda mi avrebbe ucciso, ma non è esplosa.

Comunque, è stato tutto – e sottolineo ancora una volta – un miracolo. Sarei dovuto morire, perché la mina esplosa era anche una mina anticarro in grado di distruggere carri armati e camion pesanti. In questo caso devo elogiare il produttore tedesco: l’Audi Q7 si è dimostrata un’auto molto robusta.

OBSERVER : Secondo lei, chi è responsabile di questo attacco?

Zakhar Prilepin: Questa vicenda non ha nulla a che fare con la mia opinione, l’uomo che ha cercato di uccidermi ha fornito tutte le prove. Quando è fuggito, ha distrutto il telefono cellulare e lo ha gettato nel lago. Durante le indagini successive, il telefono è stato ritrovato e tutte le informazioni in esso contenute sono state recuperate. Negli ultimi sei mesi era stato in contatto con il suo responsabile a Kiev, che aveva coordinato tutte le sue azioni.

Anche gli assassini provenivano dall’Ucraina. Non molto tempo fa, un alto funzionario del Servizio di Sicurezza dell’Ucraina (SBU) ha dichiarato quasi direttamente che dietro il mio assassinio c’erano le forze speciali ucraine. Si è vantato di avermi fatto saltare i genitali. È stato così divertente che ho risposto che sarei andato sicuramente ai bagni pubblici di luoghi come Kiev e Odessa, dove sicuramente sarei stato invitato calorosamente dagli ucraini.

OBSERVER : Può raccontare ai lettori cinesi la storia della sua vita, e in particolare la sua importanza e la sua influenza nella cultura russa?

Zakhar Prilepin: Sono nato in URSS nel 1975 e ho prestato servizio per 10 anni in diverse forze speciali, partecipando a diversi conflitti militari. Sono stato tenente colonnello della Guardia Nazionale e durante il mio servizio sono stato a lungo antagonista nelle mie idee politiche al governo dell’era Eltsin e durante il primo mandato di Putin, quando il nostro presidente credeva ancora che fosse possibile avere relazioni normali con l’Occidente, ma io non ci ho mai creduto. Dal mio punto di vista sono sempre stato un socialista, ho resistito al crollo dell’Unione Sovietica dal 1991 e credo ancora in un ritorno al socialismo in Russia.

Ho pubblicato 25 libri, tradotti in 25 lingue, che presentano in modo dettagliato le mie convinzioni. Il mio romanzo Sankya (traduzione cinese “Sanika”), che racconta la storia dei rivoluzionari di sinistra nella Russia contemporanea, è stato tradotto in cinese. Non confondeteli con i rivoluzionari liberali di oggi: sono molto diversi e noi detestiamo il liberalismo come la peste.

Negli ultimi dieci anni sono stato uno degli scrittori più popolari in Russia. Secondo l’Agenzia russa del libro, l’anno scorso sono diventato l’autore più venduto e più popolare in Russia. Secondo il più grande centro di ricerca sociale russo, sono senza dubbio lo “scrittore dell’anno”.

Inoltre, sono vice-capo di un reggimento della Guardia Nazionale, che attualmente combatte in prima linea. Sono stato anche presidente del partito comune “Russia Giusta-Patrioti per la Verità” nel Parlamento russo, ma a causa della mia condizione di soldato sono stato sospeso dal partito. In Russia, i militari non possono aderire ai partiti politici.

Logo del partito “Russia giusta – Patrioti – Per la Verità”

Anche a seguito di queste esperienze, ho subito sanzioni globali che avrebbero portato al mio arresto se fossi stato presente in un qualsiasi Paese occidentale o in un Paese dipendente dagli Stati Uniti. I miei contratti editoriali sono stati sospesi in Francia, Italia, Polonia, ecc. nonostante i miei libri siano stati molto popolari in quei Paesi; quasi tutti i miei libri sono stati pubblicati in quei Paesi, soprattutto in Francia.

OBSERVER: Quali sono alcuni dei progetti in cui è stato coinvolto, sia nelle attività militari speciali che fuori dal campo di battaglia?

Zakhar Prilepin: Non sono autorizzato a rivelare elementi relativi a “operazioni militari speciali”. Il mio reggimento ha preso parte a diverse operazioni e ha subito perdite in combattimento con il nemico, ma abbiamo inflitto al nemico perdite maggiori.

Al di fuori del campo di battaglia, ho istituito diversi centri di formazione: una scuola di letteratura, una scuola di formazione per combattenti e ufficiali, e ho creato la mia fondazione umanitaria e la mia casa editrice di libri.

Non stiamo combattendo questa guerra con l’odio.

Osservatore: questo è il terzo anno del conflitto russo-ucraino, su Internet cinese i russi sono noti per il loro spirito combattivo, come valuta i soldati che hanno partecipato alla guerra e hanno combattuto in prima linea?

Zakhar Prilepin: Gli uomini russi hanno ancora uno spirito di sacrificio. Penso che l’esercito russo sia uno dei più forti al mondo, e non c’è nulla di sbagliato in questa valutazione. Ma gli ucraini assomigliano ai russi perché sono testardi, bellicosi e disposti a morire. Anche se l’Ucraina sta ricevendo l’aiuto di Stati Uniti, Europa, Canada, Turchia, Israele, Australia, eccetera, fallirà comunque.

OBSERVER: In che modo la forza intellettuale e lo zelo militare delle giovani generazioni russe di oggi sono paragonabili a quelli delle generazioni staliniane, post-staliniane e della fine del regime sovietico?

Zakhar Prilepin: La memoria dei nostri padri e dei nostri nonni, i cui discendenti hanno vissuto e combattuto in Russia, sta gradualmente rivivendo nelle menti dei giovani di oggi. È vero che in Russia alcuni giovani e persone di mezza età sono influenzati da “valori quasi borghesi”, ma i “valori liberali paneuropei” che l’Occidente ci ha presentato si sono rivelati una banale “russofobia” e un fanatico filoamericanismo. “Russofobia” e fanatismo filoamericano dell’Occidente.

Per qualche motivo, tutti i “liberali” sostengono l’Ucraina contro la Russia, Israele contro la Palestina e gli Stati Uniti contro chiunque – non importa dove gli americani schierino le loro truppe. Naturalmente, applaudono Taiwan e la incoraggiano a opporsi alla Cina continentale. Non si tratta di “liberalismo”, ma solo di alcuni russi a cui è stato fatto il lavaggio del cervello e che sono diventati pedine anti-russe.

Penso che i giovani cinesi possano trovarsi di fronte allo stesso problema. La propaganda occidentale può essere disastrosa, ma fortunatamente solo una piccola percentuale dei nostri giovani vi è esposta, probabilmente non più del 15%. Non è un numero negativo, ma non è fatale.

Unità di artiglieria russe lanciano attacchi contro depositi di munizioni e roccaforti ucraine, 10 aprile 2024, Donetsk. Foto da Surge Images

OBSERVER: Ci sono eroi che stanno emergendo ora, come Aleksandr Matrosov nella Seconda Guerra Mondiale, come ispirazione e modello per altri combattenti?

Zakhar Prilepin: Tali eroi sono emersi già nella prima fase della guerra nel Donbas, iniziata nel 2014. Già all’epoca, alcuni combattenti sono diventati eroi popolari. I miei compagni, ad esempio, Arsen “Motorola” Pavlov, e Alexander Zakharchenko, il primo leader della Repubblica Popolare di Donetsk, che era anche uno dei comandanti della guerriglia della milizia del Donbass. Molti in Russia li venerano, scrivono canzoni su di loro, costruiscono monumenti in loro onore e intitolano loro strade e piazze.

OBSERVER: Il Presidente Putin ha ripetutamente affermato che i combattenti coinvolti in “operazioni militari speciali” dovrebbero diventare la nuova élite della Russia. Come valuta questa dichiarazione e come dovrebbe essere attuata questa politica?

Zakhar Prilepin: Finora, penso che tali intenzioni siano buone. per 30 anni, la Russia ha costruito una gerarchia borghese, che sta crollando sotto i nostri occhi – ma il crollo è solo di alcune strutture dettagliate separate, non di una natura olistica. Finora non vedo alcun meccanismo per trasformare i partecipanti alla guerra in un nuovo tipo di amministratori. Dopo tutto, per farlo, devono prima tornare dalla guerra.

OBSERVER: Tutti i soldati che attualmente combattono in prima linea sono volontari?

ZAHAR PRILLEPIN: Per lo più volontari, ma altre 300.000 persone sono state chiamate per stabilizzare la linea del fronte. Ma non so quanto rappresentino effettivamente il numero totale dei combattenti, forse un terzo, forse meno, forse un quinto.

Volontari russi si preparano a partire per le posizioni nel conflitto russo-ucraino dopo aver ricevuto un addestramento militare il 17 gennaio 2024 a Grozny, capitale della Repubblica Cecena, Russia. Foto da Surge Images

OBSERVER : Da dove vengono e quanti anni hanno?

Zakhar Prilepin: Queste persone provengono da tutta la Russia e hanno un’età compresa tra i 18 e i 60 anni.

OBSERVER: Quali erano i pensieri e gli atteggiamenti di questi soldati nei confronti della guerra e del nemico? Sono molto odiosi?

Zakhar Prilepin: No, le assicuro che non c’è un alto livello di odio. Non ci sono eccessi sanguinosi, a parte il normale lavoro militare: e vi dico con il senso di responsabilità di una persona che ha vissuto la guerra con dieci anni di esperienza, che dal 2014 – sono stato consigliere di Alexander Zakharchenko dal 2015, ed ero il vice comandante di un battaglione di commando -Non ho visto un solo esempio di un vero crimine di guerra commesso dalla parte russa. I combattenti e gli ufficiali che violano le leggi non scritte della guerra – tra cui il rispetto per il nemico sconfitto e catturato – saranno puniti, e queste persone non saranno comprese in Russia.

Osservatore: Come valuta l’entità e la portata dei combattimenti nell'”operazione militare speciale”? Può essere paragonata alla Seconda guerra mondiale?

Zakhar Prilepin: No, non possiamo paragonarla alla Seconda guerra mondiale. Ma si può dire che nella conquista di una sola città – Bakhmut – le forze russe hanno perso tante persone quante ne hanno perse nei dieci anni di guerra in Afghanistan – circa 15.000 persone. E gli ucraini ne hanno perse altrettante, se non di più, nella difesa di Bakhmut. Ma durante la Seconda guerra mondiale, le perdite e le dimensioni della guerra furono molto maggiori quando la città fu liberata.

OBSERVER: C’è un conflitto che può essere paragonato a questo?

Zakhar Prilepin: Ho partecipato a conflitti nel Caucaso settentrionale e sono abbastanza paragonabili. Sebbene la guerra immediata sia un po’ più grande, anche l’Ucraina è molto più grande della Cecenia. Tuttavia, ci sono chiare somiglianze nell’intensità dello scontro. Che sia in Cecenia o in Ucraina, si tratta essenzialmente di una guerra civile. Entrambi i nemici hanno utilizzato tattiche di terrore ed entrambi hanno ricevuto assistenza esplicita e implicita dall’intera famiglia filoamericana.

OBSERVER: Quali sono stati, secondo lei, i principali stili di combattimento e le caratteristiche della guerra?

Zakhar Prilepin: A mio parere, il combattimento è cambiato radicalmente. Nel 2016 non si vedevano droni in combattimento – erano estremamente rari – ma ora intere strategie militari sono costruite attorno ad essi. Ma come sempre, l’intelligenza e il coraggio non sono diminuiti e le persone sono ancora il fattore decisivo per raggiungere la vittoria.

OBSERVER : Pensa che la Russia possa ancora vincere nel caso in cui il conflitto si sviluppi in una guerra nucleare?

Zakhar Prilepin: Se il conflitto degenera in una guerra nucleare, tutti saranno perdenti. Ma la Russia non si lascerà mai sconfiggere e umiliare.

In un’intervista rilasciata ai media russi il 13 marzo 2024, Vladimir Putin ha dichiarato chela Russia non escluderebbe l’uso di armi nucleari se la sua sovranità e indipendenza fossero compromesse. Foto da Surge Images

La Bandiera Rossa dovrebbe essere la grande bandiera di liberazione della società umana.

OBSERVER : Parliamo un po’ di più della Russia a livello nazionale. Come sta sopravvivendo la Russia alla pressione di sanzioni senza precedenti? Come compensa la mancanza di beni, tecnologia e, soprattutto, di esperti e tecnici occidentali?

Zakhar Prilepin: Per me è un mistero. Tuttavia, i miei conoscenti nel mondo della produzione dicono che l’Unione Sovietica ha lasciato un’eredità così grande che dobbiamo solo dedicare un po’ di tempo a “scongelare” questi impianti di produzione congelati da tempo e a far rientrare alcuni degli specialisti chiave che hanno un’età media di 70 e 80 anni, anche se la maggior parte di loro è molto sana. La maggior parte di loro è in ottima salute.

Questi uomini hanno riavviato enormi impianti di produzione e ora la Russia sta raggiungendo livelli di fornitura di munizioni che la NATO difficilmente può eguagliare. Lenin, Stalin e Breznev ci hanno lasciato una potente eredità di grandi uomini.

OBSERVER : Qual è la sua valutazione delle affermazioni secondo cui il governo russo non sta finanziando adeguatamente le riforme industriali della Russia in base alle esigenze attuali, a causa delle preoccupazioni di una spesa inefficiente?

Zakhar Prilepin: È emerso che in Russia c’è molto denaro, ma non se ne sa molto. I miei amici dell’industria militare dicono di avere sia posti di lavoro che redditi elevati nei prossimi anni.

Il 10 febbraio 2024, il Ministro della Difesa russo Shoigu ispeziona un’azienda di produzione di droni nella Repubblica di Udmurt della Federazione Russa. Foto da Surge Images

Osservatore: La posizione del governo russo è solida sotto la pressione occidentale? Il lancio dell'”operazione militare speciale” e le sanzioni hanno portato a un cambiamento nell’atteggiamento della popolazione nei confronti della leadership?

Zakhar Prilepin: La Russia sta ritrovando se stessa ed è disposta a sopportare alcune difficoltà. I russi si sentivano umiliati, ora si sentono liberi e cominciano a diventare se stessi.

Osservatore: è aumentata la pressione dell’opinione pubblica sul governo? Dopo tutto, la Russia ha dovuto rinunciare alla cultura occidentale, alla tecnologia e ai social network ……

Zakhar Prilepin: Non è aumentata, è diminuita. La società civile è pienamente impegnata nelle sfide dell’Occidente e la vera società civile si preoccupa più di questo tema che delle parate gay e della cosiddetta agenda verde.

OBSERVER: Cosa pensano i russi delle “operazioni militari speciali” e quanto è forte il loro sostegno alla guerra militare e a Putin?

Zakhar Prilepin: Il sostegno è senza precedenti. Non credo che la sociologia ci abbia fuorviato troppo, e la situazione reale è che due terzi della popolazione del Paese sono favorevoli a questa azione.

OBSERVER: Come descriverebbe l’ideologia russa e che tipo di ideologia è? Si tratta di capitalismo, socialismo o di un mix di alcune ideologie?

Zakhar Prilepin: È la nazionalizzazione graduale di tutte le industrie, con un governo centrale forte, ma allo stesso tempo mantenendo l’ideologia borghese che Boris Eltsin ci ha lasciato. La Russia moderna non è desiderosa di riconoscere che tutti i partner occidentali con cui abbiamo trascorso 30 anni a costruire relazioni sono diventati da un giorno all’altro nostri nemici; e che quei Paesi che abbiamo abbandonato nel 1991 – i Paesi dell’ex campo socialista – sono diventati quasi sicuramente i nostri partner principali – che si tratti della Corea del Nord, di Cuba, del Venezuela o dei Paesi africani. -Che si tratti della Corea del Nord, di Cuba, del Venezuela o dei Paesi africani.

Persone a Mosca assistono alla cerimonia di deposizione di una corona di fiori al Mausoleo di Lenin il 7 novembre 2021, in occasione del 104° anniversario della Grande Rivoluzione d’Ottobre. Foto da Surge Images

OBSERVER : Pensa che la Russia abbia bisogno di un’ideologia? Se sì, come la articolerebbe?

Zakhar Prilepin: Vladimir Putin lo descrive come “patriottismo”, ma io credo che la Russia debba porsi obiettivi più ambiziosi. La Russia potrà diventare un attore importante nel nuovo ordine internazionale quando la Cina, la Russia e i Paesi amici dell’America Latina e dell’Africa, così come altre nazioni libere, organizzeranno non solo i BRICS, ma anche i propri Oscar, il proprio Festival di Cannes, il proprio Premio Nobel, i propri organismi di accreditamento. Queste istituzioni saranno riconosciute dalla maggioranza della popolazione mondiale, non governate da una minoranza.

Abbiamo il potere di cambiare il mondo. Credo che la Bandiera Rossa non debba essere solo un’eredità museale in Russia, come la bandiera della vittoria del 1945. No, dovrebbe essere anche la grande bandiera della liberazione della società umana.

OBSERVER : Pensa che la Russia debba riformare il suo sistema educativo?

Zakhar Prilepin: Naturalmente, tutte le pratiche imposte dall’Occidente dovrebbero essere abolite o modificate. L’Occidente non farà mai nulla per renderci migliori o più intelligenti, e tutti i suoi “standard” si basano su un programma difettoso o un altro.

OSSERVATORE: Qual è il suo atteggiamento nei confronti delle idee eurasiatiche? Sostiene il movimento eurasiatico o può essere definito un eurasiatico?

Zakhar Prilepin: Sì, assolutamente favorevole. Sono un membro attivo di questo movimento e ho una grande esperienza di lotta.

Dobbiamo imparare dalla calma e dalla fiducia della Cina

OBSERVER: Qual è la sua opinione sul Partito Comunista Cinese? Ne sa qualcosa?

Zakhar Prilepin: Penso che lei sia molto forte e che dimostri un’estrema resilienza e dignità. Sono stato in Cina e ne sono rimasto affascinato, e penso che la Cina abbia un’incredibile macchina statale – è guidata, funziona, è tenace e determinata.

OBSERVER : Cosa sa dell’abilità militare del presidente Mao Zedong?

Zakhar Prilepin: Non sono un esperto in questo campo, ma credo che sia stato uno dei principali fondatori non solo delle riforme sociali nel mondo nel XX secolo, ma anche del futuro dell’umanità, che nel XX secolo ha dato vita a giganti in Russia e in Cina, le cui dimensioni aumentano invece di diminuire di anno in anno. Con loro sullo sfondo, qualsiasi “Napoleone” appare piuttosto buffo.

OBSERVER : Ha vissuto il crollo dell’Unione Sovietica? Quali sono state, secondo lei, le ragioni del crollo dell’Unione Sovietica? Quali sono gli errori commessi dal governo sovietico che il Partito Comunista Cinese dovrebbe evitare?

Zakhar Prilepin: Il sistema dell’ultima Unione Sovietica si era ossificato, ma quando ha iniziato a ricostruirsi è stato sottoposto all’insolita influenza dei gruppi di pressione liberali. In effetti, è stato Dio a punirci mandando al potere due cattivi: Gorbaciov e Eltsin. Il primo è stato solo un piccolo fallimento, mentre il secondo è stato un criminale. Se al potere ci fossero state persone diverse, saremmo sopravvissuti. Ma nella storia non ci sono se, e non possiamo immaginare quale sarebbe stato il risultato alternativo. Quindi siamo stati puniti e ora, dopo aver sperimentato errori e umiliazioni, dobbiamo riconquistare il nostro vero nome.

Il primo presidente russo Boris Eltsin (a sinistra) e l’ultimo leader dell’Unione Sovietica Mikhail Gorbaciov (a destra) Foto da Surf Images

Osservatore: Sei mai stato in Cina? Cosa sa della cultura cinese?

Zakhar Prilepin: Una volta sono stato invitato a Shanghai da un amico prima della guerra. È una storia molto interessante, all’epoca ero molto disinvolto e spensierato. Una sera ricevetti una telefonata da una persona che non conoscevo.

-Sai, Zakhar, siamo tre russi normali che vivono in Cina. Ci siamo trasferiti qui da molto tempo, ma ci manca ancora casa. In questo momento siamo in bagno e stiamo cercando di risolvere la controversia che stiamo affrontando. Potete venire da noi?

-Ora?

-Sì, compriamo subito i biglietti.

…… Mezz’ora dopo sono partito per l’aeroporto.

Mi hanno ospitato nello stesso bagno, ma al mattino. Abbiamo continuato a parlare liberamente, seguiti da un barile di sakè e da un’anatra alla pechinese. Abbiamo trascorso la giornata passeggiando per la città e la sera sono tornato in aereo.

In ogni caso, questo è fondamentalmente un racconto di Going to China, to the Bathroom. Ma non ho ancora scritto la storia.

A proposito, anch’io ho amato quel bagno, un bagno comune.

In seguito sono andato di nuovo in Cina, ma solo di corsa.

Da molto tempo possiedo una vasta collezione di poesie cinesi classiche e moderne. Mi piace molto leggerli, sono tutti così incredibili. Colleziono costantemente nuove e vecchie edizioni di questi libri, ma la mia collezione non è così ampia come vorrei.

OBSERVER: Ha trovato qualche lezione nella saggezza e nella filosofia cinese?

Zakhar Prilepin: Potrei facilmente citare questo o quel verso, ma forse un’altra volta, preferisco dirlo con parole mie.

Sembra che la Russia abbia ereditato uno dei principi della guerriglia (stiamo combattendo una guerriglia contro i mostri coloniali del mondo): il principio della transitorietà (pensiero organico in situazioni transitorie). Nessuno, compresi noi stessi, sa di cosa sia capace la Russia. E soprattutto, noi stessi non lo capiamo appieno. Stiamo riscoprendo il nostro Paese come Colombo. Ma dobbiamo imparare dalla calma e dalla fiducia in se stessi della Cina; dobbiamo renderci conto che non siamo peggiori o più stupidi dell’Occidente e che non dobbiamo imitare ciecamente l’Occidente.

Naturalmente, dobbiamo essere fedeli agli ideali che il XX secolo ci ha dato, e tutte queste cose – il capitale mondiale, l’imperialismo liberale mondiale, come un’intera macchina di violenza e menzogna – non sono scomparse. È molto importante che la Cina lo abbia tenuto a mente e abbia imparato a combattere contro queste armi usate dal nemico. Dobbiamo continuare a progredire nel nostro apprendimento.

OSSERVATORE : Può esprimere onestamente il suo punto di vista sulle possibili differenze tra Russia e Cina e su come queste differenze possono essere risolte? Come possono le due parti capirsi meglio su questi temi ed evitare malintesi?

Zakhar Prilepin: Ad esempio, la situazione nell’Estremo Oriente russo e in Siberia. In Estremo Oriente, molti russi sono preoccupati per la crescita dell’influenza della Cina e si teme una “conquista cinese” della regione. A Blagoveshchensk (Bolla di Sealand), ad esempio, è stata issata una grande bandiera russa sul fiume Amur, sul lato russo, che potrebbe essere interpretata come un segno che sottolinea la sovranità territoriale. Perché è necessario inviare un segnale così forte alla Cina, sottolineando l’integrità territoriale?

Tutti i miei amici dell’Estremo Oriente sono scettici e sarcastici sull’espressione “minaccia cinese”, che considerano una questione inverosimile. Io credo loro e penso che sia perfettamente possibile avere un’ottima relazione tra Russia e Cina.

Questo articolo è un articolo esclusivo di Observer.com, il contenuto dell’articolo è puramente il punto di vista personale dell’autore, non rappresenta il punto di vista della piattaforma, senza autorizzazione, non può essere riprodotto, o sarà ritenuto legalmente responsabile. Prestare attenzione alla micro lettera dell’Observer guanchacn, leggere articoli interessanti ogni giorno.

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Ucraina: Un’ulteriore guida per i perplessi, di AURELIEN

Ucraina: Un’ulteriore guida per i perplessi.

Non lo sapevano. Ma ora lo sanno.

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La scorsa settimana abbiamo analizzato cosa potrebbe accadere in Ucraina. Un armistizio, ovvero un accordo su come e quando terminare i combattimenti, dovrà essere negoziato a breve, anche se non sarà semplice da realizzare e potrebbe facilmente fallire. Tuttavia, supponendo che entro la metà del 2025 (o qualsiasi altra data vogliate proporre se ritenete che sia troppo presto) ci sia un armistizio e che i combattimenti siano finiti, cosa succederà? Questo è l’argomento del saggio di oggi.

Le questioni principali sono due. La prima riguarda le circostanze dell’armistizio stesso e il rapporto tra la situazione militare e le decisioni politiche che dovranno essere prese. Comincia a delinearsi la situazione che avevo previsto da tempo: gli ucraini si stanno ritirando da un certo numero di posizioni chiaramente indifendibili e alcune unità sembrano aver ceduto e si sono ritirate senza ordini. Con la crescente carenza di manodopera, equipaggiamento e munizioni, e dato che non si può combattere solo con i soldi, è probabile che entrambi questi processi continuino. Tuttavia, non c’è nulla di deterministico o matematico nella decisione di arrendersi, ed è per questo che è effettivamente impossibile prevedere anche solo una data approssimativa. La storia, che per quanto imperfetta è l’unica guida che abbiamo, suggerisce che ciò che determinerà la data sarà la perdita di speranza e di unità tra l’élite al potere, e questo potrebbe avvenire tra un mese o tra un anno.

Supponiamo quindi, per amor di discussione, che a un certo punto i russi abbiano il pieno controllo della regione del Donbas e che l’UAF si sia ritirata da Kharkov e Odessa. I russi hanno interrotto le operazioni offensive di terra, ad eccezione di un’occupazione simbolica di Odessa per prendere il controllo del porto, ma continuano ad attaccare le aree posteriori dell’Ucraina e le infrastrutture del Paese. Ok, e allora? E chi decide? La settimana scorsa ho sottolineato che la resa è qualcosa che deve essere ordinata dalla leadership politica: non può accadere e basta. Teoricamente, anche in questo caso, il governo di Kiev (e chissà chi sarà al comando a quel punto) potrebbe rifiutarsi di arrendersi. L’UAF avrebbe poche capacità di combattimento, ma d’altra parte i russi potrebbero decidere che sarebbe inutile cercare di occupare l’intero paese e prendere Kiev, e non è detto che abbiano comunque le forze necessarie. A quel punto, si avrebbe una situazione di “nessuna guerra nessuna pace”, in cui i russi probabilmente rinforzano Odessa, ma per il resto si limitano a bombardare obiettivi nelle retrovie.

In una situazione del genere, sarebbe possibile per il governo di Kiev (ammesso che esista un governo effettivo) continuare a fare rumori bellicosi e a gesticolare selvaggiamente, promettendo un’offensiva nel 2026. Da parte loro, gli Stati Uniti (o almeno Biden) cercheranno disperatamente di ritardare una resa formale fino a dopo le elezioni di novembre, per cui si può ipotizzare che almeno fino a quel momento faranno pressione su Kiev affinché rimanga sfiduciata. Ciò che è meno chiaro è cosa possano offrire o minacciare: non ci sono più attrezzature da inviare che possano influenzare l’esito dei combattimenti, e tutto ciò che il denaro può fare è mantenere lo Stato e le sue strutture ancora per un po’. Da parte loro, i russi cercheranno di esercitare una pressione psicologica su Kiev: forse con boati sonici a basso livello sulla capitale o con attacchi dimostrativi a oggetti di prestigio nazionale. Tutto diventerebbe quindi molto complicato e spiacevole, ma questo non vuol dire che, se si riuscisse a gestire una sorta di resa , tutti i problemi scomparirebbero. In molti casi saranno solo all’inizio.

Ciò è dovuto principalmente all’Occidente, e questo è il secondo punto. La coalizione disordinata che ha sostenuto l’Ucraina (NATO, UE, ma anche Giappone e Australia) ha poca coerenza interna e interessi e obiettivi nazionali molto diversi. Questo è stato oscurato dal fatto che l’obiettivo formale dal 2022 – “sostenete l’Ucraina!” – era facile da concettualizzare, almeno come slogan, anche se l’attuazione effettiva è stata molto più complicata. I leader di questi Paesi, così come i loro consiglieri e la loro classe parassitaria, hanno quindi vissuto in una sorta di sogno febbrile dal febbraio 2022. Qualcosa che non si aspettavano, qualcosa di cui non hanno esperienza, qualcosa che fondamentalmente non capiscono, si è rivoltato e li ha morsi. Si muovono meccanicamente, vivono in un universo parallelo che mantiene il più possibile le caratteristiche della loro visione del mondo, confortandosi freneticamente l’un l’altro con il pensiero che presto sarà tutto finito.

Dopo lo shock iniziale, la politica collettiva di “sostegno all’Ucraina” era fattibile perché sembrava che la crisi sarebbe stata breve e si sarebbe risolta a vantaggio dell’Occidente globale. Il peggio che potesse accadere sarebbe stato un paio di mesi di dislocazione, mentre l’esercito russo crollava, l’economia crollava e c’era un cambio di governo a Mosca. In Occidente potrebbero verificarsi alcune perturbazioni economiche, ma non molto, e i vantaggi a lungo termine di sbarazzarsi dell’attuale sistema politico ed economico russo sarebbero enormi per l’Occidente. Questo non è accaduto, naturalmente, ma nell’allucinazione consensuale che funge da club-house per i decisori occidentali, non ha avuto molta importanza, perché, beh, dategli tempo. L’economia russa sarebbe crollata, l’esercito russo era a corto di armi e i coraggiosi ucraini li avrebbero presto sfrattati dal Paese. Quando questo non ha funzionato, beh, bisognava dare un po’ più di tempo. La controffensiva, con equipaggiamento occidentale e truppe addestrate dall’Occidente, avrebbe posto fine alla guerra. Quando non ha funzionato, beh, diamo ancora più tempo e ci inventeremo un altro piano intelligente. Dopo tutto, i russi non stavano guadagnando territorio, vero? Ma ora lo stanno facendo, quindi questa scusa non è più valida.

Tutto ciò rivelerà presto, in modo molto netto, le divisioni che sono sempre esistite in Occidente sull’Ucraina, ma che sono state nascoste sotto la sete di sangue collettiva degli ultimi due anni. E queste divisioni cominceranno a venire a galla ora, quando i russi cominceranno a guadagnare territori e gli ucraini a ritirarsi. Ciò che complica le cose è che queste divisioni non sono solo tra Stati, ma anche al loro interno.

Per la maggior parte dei politici occidentali, la Russia non era una priorità prima del 2022. La Covid non era ancora finita, la maggior parte delle economie occidentali era in cattive acque, la maggior parte dei governi occidentali era spaventata da qualcosa chiamato “populismo” che stava prendendo piede. Sì, c’era una guerra civile in Ucraina, ma se ne parlava molto poco, sì, c’erano sanzioni contro la Russia, ma c’erano anche sanzioni contro ogni sorta di altri Paesi. I Paesi geograficamente vicini alla Russia erano, naturalmente, più interessati agli eventi del Paese, e i principali attori della NATO e dell’UE dedicavano un po’ di tempo al Paese, ma niente di più. Semmai si pensava di più alla Cina.

Non c’è mai stata un’unica “politica” sulla Russia all’interno della NATO o dell’UE, e ci sono stati approcci diversi anche all’interno dello stesso governo. (In effetti, chi ha esperienza del funzionamento interno delle organizzazioni internazionali sarà probabilmente un po’ divertito nel vedere, ad esempio, le parole “NATO” e “politica” comparire nella stessa frase). Per quanto possa essere interessante immaginare comitati segreti che lavorano in tane sotterranee a Bruxelles elaborando piani astuti per molti anni, la NATO è istituzionalmente incapace di fare una cosa del genere. Il che, in un certo senso, è un peccato, perché una politica adeguatamente organizzata potrebbe teoricamente essere messa in atto ora, mentre i membri del comitato segreto si riuniscono d’urgenza, roteando i baffi e dicendo “Maledizione! Sventato di nuovo!”. Ma il problema principale è che, al di là del livello retorico, né la NATO né l’UE hanno una politica coerente e ponderata da cui tirarsi indietro . Tutto è stato inventato nel panico e nella fretta, con compromessi e dita incrociate, e muta continuamente a seconda della situazione. Pertanto, probabilmente nessun Paese ha la stessa idea di ciò che sta facendo e perché, e nemmeno di come ci è arrivato, anche supponendo che i governi stessi siano uniti sulla questione. Dopotutto, molti Paesi hanno seguito le dichiarazioni e i comunicati politici aggressivi nei confronti della Russia perché non si preoccupavano più di tanto e non aveva senso sprecare capitale politico per opporsi. Allo stesso modo, sostenere l’Ucraina contro quelle che sembravano essere mosse aggressive da parte della Russia non sembrava un grosso problema nel 2010, e molti governi avevano altre priorità.

Questo ha portato a una curiosa situazione in cui i leader nazionali, i loro consiglieri e tutti gli opinionisti “seri” sono stati retoricamente dalla stessa parte dell’argomento dal 2021, anche se nella maggior parte dei casi non hanno riflettuto molto sui dettagli o sulle implicazioni. Ma questo è piuttosto insolito nella politica internazionale. Se pensiamo ai moderni disastri di politica estera – Suez, Vietnam, Iraq – è sorprendente che all’epoca ci sia stata una notevole opposizione politica aperta e che in seguito ci siano state persone che hanno potuto affermare, con ragione, di aver avvertito che le cose sarebbero andate male. In questo caso, solo alcune figure marginali in pochi Paesi hanno espresso molti dubbi all’inizio, e il consenso sul fatto che “sostenere l’Ucraina!” è una buona cosa è ancora in gran parte intatto. Di conseguenza, l’unica strategia pubblica che l’Occidente globale potrà utilizzare sarà quella che ho descritto in diverse occasioni, in cui “Putin voleva conquistare l’Europa” ma è stato frustrato dai coraggiosi ucraini e dalla fermezza dell’Occidente.

Ma se nel breve periodo questo può essere una difesa d’ufficio (e sarà rivendicato con entusiasmo dagli opinionisti che hanno sbagliato in modo altrettanto catastrofico), non risponde a quello che sarà il problema più urgente che verrà posto nei vari palazzi di Bruxelles: Che cosa faremo adesso? Né risponde ad altre domande politiche tradizionali, in particolare: chi ci ha messo in questa situazione? e a chi possiamo dare la colpa per il risultato? Mentre è già chiaro che la sconfitta militare sarà interamente colpa dell’Ucraina e che l’Occidente ha fatto tutto il possibile, questo non fermerà le recriminazioni dietro le quinte all’interno dei governi e tra di essi, e i tentativi molto pubblici da parte di diverse nazioni di proporsi come il salvatore trascurato: se solo i loro consigli fossero stati ascoltati, o il loro esempio seguito!

Questo è ciò che si nasconde, ad esempio, dietro i commenti selvaggi sul possibile invio di truppe occidentali in Ucraina. Avrete notato che, un mese o più dopo che Macron ha suggerito per la prima volta che le truppe europee potrebbero essere inviate in Ucraina, non è successo assolutamente nulla, nonostante le voci e le affermazioni senza fiato che le truppe sarebbero state dispiegate “presto”. In realtà, questo fa parte di una serie di iniziative volte a trarre il massimo profitto possibile dalle conseguenze della catastrofe e a rafforzare la posizione francese nelle lotte politiche a venire. (Più recentemente, è stata riproposta l’idea di una forza di spedizione europea per l’evacuazione dei cittadini, discussa per la prima volta trentacinque anni fa). È la stessa logica, credo, che sta alla base della recente decisione del Congresso degli Stati Uniti di sbloccare gli “aiuti” all’Ucraina. Sospetto che i responsabili siano stati informati senza mezzi termini dalle agenzie di intelligence statunitensi che la partita era finita, e che la loro preoccupazione ora sia quella di non lasciarsi vulnerare dall’accusa che, bloccando gli aiuti, siano stati responsabili della sconfitta. Può sembrare un’accusa ridicola, ma ora ci troviamo in una situazione in cui le persone fanno a gara a fare e dire cose che si presentano come più fedeli di chiunque altro nel loro sostegno all’Ucraina, in modo da non essere ritenuti responsabili quando le cose crollano.

Questo punto è direttamente collegato al fatto che la maggior parte dei governi e degli opinionisti si è trovata coinvolta in qualcosa a cui non era preparata, che non capiva veramente, ma che ha seguito comunque. Per avere un’idea di cosa significhi in pratica, un buon paragone è una di quelle start-up le cui azioni toccano brevemente la stratosfera prima di precipitare sulla terra. Pensiamo, per esempio, a un robot da passeggio per cani dotato di intelligenza artificiale e collegato a Internet. Ci sarà un piccolo numero di veri credenti che pensano che questo sia il prossimo iPhone. Ci saranno giornalisti tecnici di supporto con più entusiasmo che reale conoscenza. Ci saranno persone che cercheranno di trarre un rapido profitto. Ci saranno quelli che si faranno trascinare dall’entusiasmo generale. Ci sarà chi cercherà di sfruttare lo stesso entusiasmo per i propri scopi. Ci sarà chi avrà paura di perdere l’opportunità di arricchirsi, e così via.

“Sostenere l’Ucraina” è un po’ come questo. Ci sono alcuni veri credenti, soprattutto negli Stati Uniti, che hanno passato la vita a cercare di abbattere prima l’Unione Sovietica e poi la Russia. Talvolta hanno occupato posizioni di potere o di influenza e hanno cercato di attuare tale programma dove hanno potuto, anche se, come sa chiunque abbia familiarità con il sistema violentemente disfunzionale degli Stati Uniti, è difficile per chiunque, o per qualsiasi gruppo, avere un’influenza più che parziale e temporanea sulla politica. Ma nel febbraio 2022 devono aver pensato che fosse giunta la loro ora. C’era un gruppo molto più ampio, che comprendeva i nostalgici della Guerra Fredda, coloro che rimpiangevano di essere troppo giovani per la Guerra Fredda, e coloro che erano stati educati a vedere il mondo in termini di competizione tra Grandi Potenze, e che consideravano la Russia come un rivale e il conflitto non necessariamente come una cosa negativa. C’erano Paesi con rapporti storici difficili con la Russia. In Europa, come ho raccontato a lungo, c’era un antirussismo messianico tra le élite, composto in parte da tropi storici razzisti e in parte dalla paura e dall’avversione per la Russia come “anti-Europa”, un Paese canaglia che si opponeva all’inevitabile trionfo dei valori sociali ed economici liberali interpretati da Bruxelles. C’erano poi i semplici opportunisti che speravano di trarre un valore politico, personale o finanziario dalla crisi e i sostenitori dell’aumento della spesa per la difesa e del riarmo per principio. C’era chi temeva per il proprio lavoro o per il proprio futuro se non si fosse unito alla corsa, e chi sperava di guadagnare punti politici correndo più velocemente degli avversari. Così i difensori della “democrazia” contro l'”autoritarismo” e i nostalgici che avrebbero voluto che la Seconda Guerra Mondiale fosse andata diversamente si sono trovati a camminare nello stesso corteo. E infine, naturalmente, la maggior parte dei leader, degli opinionisti e dei parassiti non aveva la minima idea di cosa stesse accadendo, ma era al seguito del corteo.

Perché ovviamente sarebbe stato facile e privo di rischi. L’esercito russo e l’economia russa crollerebbero rapidamente, e il Paese stesso si trasformerebbe rapidamente in un Canada un po’ più grande. Ci sarebbe stato lavoro per le ONG per generazioni, libri da scrivere, film per la TV da realizzare, istituzioni da riformare, partiti politici da creare e sponsorizzare e contratti per attrezzature di difesa occidentali. Gli attivisti per i diritti umani stavano già guardando gli orari delle compagnie aeree per assistere agli inevitabili processi e condanne di Putin e dei suoi colleghi, fantasticando di essere i primi a lanciare una pietra affilata alle inevitabili esecuzioni. Da banchieri e speculatori immobiliari a formatori di sensibilità di genere e attivisti per i diritti dei transessuali, ce n’era per tutti i gusti. Finché non c’è stato.

All’inizio sembrava che i profitti sarebbero stati un po’ più lunghi di quanto promesso. Poi non ci sarebbero stati profitti. Poi tutti avrebbero perso tutti i loro soldi, tranne pochi furbi. Ora, la fallacia dei costi sommersi è ben nota agli psicologi e anche a coloro che studiano l’eccentrico funzionamento dei mercati finanziari. Più investiamo in un’idea, sia dal punto di vista finanziario che psicologico, più ci aggrappiamo ad essa, anche di fronte all’evidenza che non funziona. E quando anche tutti gli altri vi aderiscono, diventa impossibile ritirarsi. Per cambiare la metafora, immaginate il movimento “sosteniamo l’Ucraina!” come una setta apocalittica degli Ultimi Giorni, che si riunisce nel deserto da qualche parte per essere portata via dalla Terra da dischi volanti. C’è stato un ritardo, ma i cultisti si dicono l’un l’altro: non preoccupatevi, andrà tutto bene. Ma non andrà tutto bene.

Ma nessuno vuole essere il primo a chiedere indietro i propri soldi, e comunque non ci sono soldi. I soldi, le armi e le munizioni sono già stati inviati. L’avvicinamento ai neonazisti è già avvenuto, ed è ripreso in video. I pianificatori e gli esperti militari occidentali hanno contribuito a uccidere un gran numero di russi. Le economie occidentali hanno subito ingenti danni economici. La maggior parte del Sud globale è stata alienata. L’Occidente è stato in gran parte disarmato e la sua industria della difesa ha dimostrato di essere inferiore a quella russa nei settori più importanti. I russi sono ora la potenza militare indiscussa in Europa e sono piuttosto arrabbiati. Quindi, che fare adesso?

A breve termine, l’Occidente farà quello che fa sempre, cioè rifugiarsi nelle parole e continuare a parlare in modo aggressivo a un nemico più forte e a fare minacce che sa di non poter attuare. A parte tutto, questo perché sarà impossibile trovare un accordo su cosa dire. Ci sono così tanti interessi diversi, così tanti Paesi diversi, così tante mentalità diverse coinvolte che, come spesso accade, la macchina continuerà a guidare nella stessa direzione (in questo caso verso il precipizio) perché non c’è accordo su quale direzione dare al volante. Almeno nel breve periodo, possiamo aspettarci più che altro ringhi di sfida. Ma a un certo punto ci saranno persone sedute, come è successo a me, in stanze soffocanti e senza aria, in riunioni che durano tutto il giorno, cercando disperatamente di trovare un linguaggio di compromesso per un comunicato che nessuno prenderà sul serio, ma che dovrà comunque essere emesso. E poi di tanto in tanto c’è un silenzio, rotto da qualcuno che chiede: “Sì, ma che cosa faremo in realtà ? Ed ecco il problema.

Partiamo quindi dall’ipotesi che si sia realizzato qualcosa di simile allo scenario delineato nel mio ultimo saggio e sviluppato sopra: i combattimenti sono cessati, è stato firmato un armistizio e gli ucraini stanno attuando le condizioni imposte loro. Cosa dovrà fare l’Occidente, e quando?

Il primo requisito è l’accettazione, e per certi versi è il più difficile di tutti. È difficile pensare a uno shock paragonabile per il sistema politico occidentale in tempi moderni. Ho citato Suez e il Vietnam, e per certi versi si tratta di analogie, soprattutto per gli Stati Uniti. L’Ucraina è, in effetti, il momento di Suez dell’America, in cui dovrà adattare radicalmente la propria concezione di potenza mondiale. Ma questo richiederà tempo e darà luogo a tutta una serie di complicazioni per le quali non abbiamo spazio in questa sede. A breve termine, alla maggior parte delle élite occidentali sembrerà che il mondo si sia capovolto, e non avranno tutti i torti. Sospetto che nulla, dopo lo shock della Rivoluzione russa, si avvicini a ciò che le élite occidentali stanno per sperimentare. La sensazione che si ebbe nel 1917, quando la storia prese una direzione del tutto inaspettata e incredibile, non ha probabilmente eguali da allora, se non in qualche misura la fine di quella stessa storia nel 1989-91. Ma lì, le conseguenze dirette per la società civile sono state molto gravi. Ma in quel caso, le conseguenze dirette per l’Occidente della fine dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia furono limitate, e in ogni caso per lo più positive. Nel 1917, sembrava che una sorprendente manovra subdola tedesca fosse riuscita a estromettere la Russia dalla guerra, scatenando forze rivoluzionarie incomprensibili in Europa e minacciando direttamente la sicurezza delle potenze alleate e le loro possibilità di vittoria.

Sospetto che lo shock sarà grande come allora, e la domanda fondamentale posta dalle popolazioni, dai politici dell’opposizione e dagli opinionisti che cambiano abilmente schieramento, sarà: “Come è potuta accadere una cosa del genere? Si può immaginare un politico opportunista che dica qualcosa del tipo: “All’epoca ho sostenuto il governo contro l’aggressione russa, e avevo ragione a farlo. Ma ci era stata promessa una rapida vittoria ucraina e una sconfitta russa. E dov’è? Ci era stato promesso che l’addestramento e l’equipaggiamento occidentale avrebbero ribaltato la situazione. Perché non lo hanno fatto? Chi è responsabile e sarà chiamato a risponderne?”. La storia non è sempre molto clemente e sospetto che a tempo debito i critici prenderanno di mira non l’opposizione di fondo alla Russia o il sostegno all’Ucraina, che saranno troppo sensibili per essere toccati per alcuni anni, ma il travisamento e l’esagerazione dei fatti da parte dei governi. E l’unica difesa dei governi, oltre a “tutti hanno sbagliato”, sarà “non lo sapevamo”. Non che questo serva a molto. Mi viene in mente la vecchia barzelletta scozzese sui peccatori bigotti che si ritrovano all’inferno (con le scuse agli oratori scozzesi). Hanno detto:

” Oh, Signore, non sapevamo, non sapevamo”.

E il Signore della Guida, con la sua infinita misericordia e compassione, disse: “Non è vero che il Signore della Guida non ha mai avuto bisogno di un’altra persona”.

“Weill, you ken nou”.

In politica è sempre troppo tardi.

I primi risultati saranno panico e confusione, perché le vecchie norme non saranno più applicabili. Per più di trent’anni le élite occidentali hanno creduto nella loro egemonia e nel loro diritto unilaterale di prendere decisioni importanti. Anche se, in realtà, le cose sono state molto più complicate, i presupposti ereditati dalla generazione di Macron e Sunak sono che, qualunque sia il problema nel mondo, l’Occidente se ne farà carico e ne detterà l’esito. Ancora oggi, non mi sorprenderebbe sapere che a Washington ci sono gruppi di lavoro che lavorano alla bozza di un trattato di pace tra Ucraina e Russia, da negoziare sotto l’egida degli Stati Uniti, con Washington che ha l’ultima parola. Ma non si tratta solo di aspettative esagerate, è anche ciò a cui ci si è abituati e ciò che il sistema stesso si aspetta. Chi sarà il primo diplomatico statunitense a dire “ma forse non saremo invitati?”. La realtà è che, come un armistizio sarà negoziato direttamente tra russi e ucraini, così non c’è ragione per cui un trattato di pace non debba essere interamente bilaterale, se questo è ciò che i russi vogliono. Mi dispiace, non siete invitati.

Il broncio è una cosa che le nazioni fanno spesso, perché è facile: ma non è una politica. Possiamo quindi ipotizzare che inizialmente ci sarà una serie di smentite o di semplici rifiuti di dire qualcosa. I successi militari russi saranno minimizzati e sminuiti e gli opinionisti scriveranno che “non è ancora finita”. La reazione a un successo russo molto significativo (la presa di Kharkov/Kharkiv, ad esempio) sarà di confusione e almeno parziale silenzio, a causa dell’impossibilità di trovare rapidamente una linea comune. La reazione a un accordo di armistizio sarà probabilmente ancora più confusa e consisterà soprattutto in spacconate e minacce vuote.

Nella misura in cui emergerà una linea comune, si tratterà effettivamente di un broncio: un rifiuto di accettare la situazione. Il processo di stesura del primo comunicato della NATO dopo l’accordo di armistizio sarà molto travagliato, ma è probabile che il testo consista per lo più di dichiarazioni di sfida e di vaghe minacce. Cose come “non accetteremo mai”, “continueremo a sostenere l’Ucraina con tutti i mezzi possibili” e così via. Ma a pranzo, o negli scambi informali tra i principali attori, qualcuno alla fine dirà: “Sì, ma cosa faremo in concreto ?” .Ci sono esempi in cui il broncio è durato a lungo. La Repubblica Democratica Tedesca (Germania Est) non è mai stata riconosciuta come Stato indipendente dalla maggior parte dei Paesi. Taipei, anziché Pechino, è stata riconosciuta come capitale della Cina per vent’anni dopo la guerra civile, e la rivoluzione iraniana è stata accettata solo lentamente e gradualmente dalla maggior parte del resto del mondo. Le relazioni con la Cina hanno impiegato un po’ di tempo per riprendersi dopo l’incidente di Piazza Tienanmen nel 1989. La difficoltà in questo caso, però, è che saranno gli stessi ucraini a stipulare un accordo (anche se non avranno avuto molta scelta) e l’Occidente potrebbe ritrovarsi nella ridicola posizione di cercare di dettare pubblicamente la politica all’Ucraina contro la sua volontà.

Nel frattempo, cosa facciamo? È probabile che un accordo di armistizio preveda la partenza di tutto il personale militare straniero dall’Ucraina. In teoria, gli Stati occidentali potrebbero ignorare questo requisito, dal momento che non sarebbero firmatari, ma in tal caso i russi metterebbero semplicemente in pausa l’accordo e continuerebbero la guerra. Anche le truppe occidentali sarebbero considerate un obiettivo legittimo in questo caso, e uno dei punti che ho sempre cercato di sottolineare è che le capacità militari della NATO sono ora così limitate che qualsiasi tentativo di intervenire direttamente in un conflitto del genere (attaccando la Crimea, ad esempio) sarebbe quasi letteralmente un suicidio.

La reazione più probabile è una serie di gesti politici. Ci saranno vertici della NATO e dell’UE, nuovi cicli di sanzioni, dichiarazioni di eterna inimicizia nei confronti della Russia, la cancellazione di qualsiasi accordo bilaterale ancora esistente e ulteriori (e probabilmente inutili) tentativi di isolare la Russia a livello diplomatico ed economico. Ci saranno alcune esercitazioni dimostrative della NATO vicino, ma non troppo, ai confini della Russia. Soprattutto, si parlerà, si parlerà molto, perché in una luce poco chiara ciò può essere confuso con l’attività. La NATO e l’UE lanceranno iniziative di alto profilo per ricostruire l’industria della difesa statunitense ed europea e le loro forze armate. I politici parleranno di arruolamento, ma non a voce troppo alta, e di piani speculativi per acquistare un giorno tutti i tipi di armi miracolose. Verranno annunciati studi su settori come la difesa missilistica. Si cercheranno nuovi alleati ovunque si possano trovare.

La maggior parte di questi discorsi sarà finalizzata a rassicurare l’opinione pubblica occidentale, confusa e molto probabilmente arrabbiata e spaventata per quanto è accaduto. In parte si tratterà anche di fischiettare per tenere alto il morale dei leader occidentali. Come ho sottolineato più volte, né la coscrizione né il riarmo sono opzioni serie, se non come parte di un improbabile programma internazionale ventennale, massiccio e multidimensionale, che implica una notevole coercizione politica. E alcune cose non possono essere costrette. Il problema delle industrie della difesa occidentali, ad esempio, non è solo che inseguono profitti a breve termine: è più complicato di così. Il problema è che, come il resto dell’economia, sono state MBA-izzate, in modo da essere gestite da finanzieri, e quindi le persone con un background tecnico se ne sono andate e non sono state rimpiazzate. Pertanto, anche una nazionalizzazione drastica non risolverebbe il problema, perché non esiste più la capacità di base di produrre attrezzature di difesa affidabili e puntuali. Le aziende dovrebbero essere ricostruite da zero, il che richiede laureati in ingegneria e tecnici, il che richiede persone che li formino, il che richiede … beh, avete capito.

Questo non significa che tali idee non saranno gettate in giro per effetto politico nella confusione della sconfitta, ma significa che diventerà rapidamente chiaro che non hanno alcun contenuto. Dopo tutto, anche se si potesse fare, come si potrebbe spiegare a cosa servirebbe il riarmo Questa non è la Guerra Fredda, dove gli eserciti si fronteggiavano. I russi non hanno alcun interesse a espandersi territorialmente e Berlino, ad esempio, dista da uno a duemila chilometri dal più vicino probabile concentramento di truppe russe. La Polonia è certamente più vicina, ma anche se, con ogni probabilità, massicce forze russe fossero dislocate nell’Ucraina occidentale, ciò significherebbe che tutte le forze che la NATO potrebbe mettere insieme verrebbero inviate in Polonia? Un Paese che può forse generare tre brigate meccanizzate leggere sarebbe felice di averne due permanentemente in Polonia: il suo esercito di fatto fuori dal Paese per sempre? Come potrebbe una leadership politica nazionale presentare questo ai suoi cittadini? Quindi è probabile che ci siano molti suoni e furori, che non significano quasi nulla.

Dopodiché, molto dipende da cosa vogliono i russi e come. Dal loro comportamento nel 2021-22 è già chiaro che Mosca vuole un accordo bilaterale con l’Ucraina e poi un accordo multilaterale separato con l’Occidente. Tecnicamente, potrebbe esserci prima un trattato di pace separato e poi un accordo più ampio sul futuro dell’Ucraina, ma, visti i precedenti, è probabile che i russi vogliano un unico negoziato. Questo sarà direttamente con l’Ucraina: probabilmente, con grande shock e sgomento dell’Occidente, i russi non parteciperanno. Sebbene l’Occidente possa tentare di esercitare pressioni sull’Ucraina indirettamente, è probabile che esso stesso sia così diviso che tali pressioni potrebbero non essere di grande entità. In ogni caso, l’influenza occidentale sull’Ucraina si sta riducendo da tempo e si ridurrà ulteriormente: come negli ultimi anni del Vietnam del Sud, la coda sta iniziando a scodinzolare. Qualsiasi prevedibile governo post-armistizio in Ucraina sarà probabilmente liquidato come “filorusso”, per quanto possa contare, ma in realtà è più probabile che sia semplicemente realistico e che capisca che l’Occidente non può più aiutarlo concretamente. Da parte sua, l’Occidente sarà vincolato da tutte le sue promesse, i suoi accordi, le sue dichiarazioni congiunte e i suoi comunicati, e soprattutto dal suo impegno a far sì che siano gli ucraini a decidere del futuro del loro Paese. Non può semplicemente dire “oh, era un altro gruppo di ucraini”, quindi in pratica l’Occidente dovrà sorridere e sopportare. Ironia della sorte, una cosa che i russi probabilmente accetterebbero – l’adesione all’UE – è probabilmente l’unica cosa che gli europei considererebbero con orrore se accadesse davvero.

Un accordo multilaterale con l’Occidente è sempre stato problematico: ora rischia di diventare un incubo. Un conto è stato liquidare con disprezzo la bozza di testo del trattato russo del dicembre 2021 (un classico errore che gli storici discuteranno per generazioni), ma quel disprezzo era almeno spiegabile nel senso che l’Occidente si sentiva comodamente superiore alla Russia e non vedeva la necessità di assecondare i capricci di una potenza militare ed economica in declino che si rifiutava di scomparire in silenzio. Sì, non lo sapevano. Ma ora lo sanno.

È difficile dire come l’Occidente reagirebbe all’inevitabile proposta russa di un progetto di trattato, perché non ci siamo mai trovati in questa situazione. Nel 2021, l’Occidente non pensava che ci fosse nulla da discutere e sospetto che, almeno formalmente, questa sia ancora la posizione. Il primo ostacolo sarà l’accettazione da parte dell’Occidente collettivo di dover partecipare a negoziati che comporteranno la rinuncia a qualcosa, ricevendo in cambio poco o nulla. Potrei scrivere un intero saggio su questo argomento (forse lo farò più tardi), ma in parole povere c’è un’importante distinzione tra un gruppo di nazioni che affronta un tipo di crisi che conosce, per quanto grave, e le stesse nazioni che affrontano un tipo di crisi di cui non hanno esperienza. L’attuale guerra contro la Russia rientra almeno nella comprensione storica dei Paesi della NATO e dell’UE. Ma negoziare, ad esempio, il ritiro delle forze straniere di stanza in Europa alla posizione del 1997 (se i russi ora non chiedono altro) rappresenta un tipo di negoziazione che l’Occidente non ha mai dovuto contemplare prima. Non mi sembra chiaro se la NATO e l’UE sopravviveranno a questa esperienza, data l’infinita varietà e combinazione di problemi, rivalità, gelosie, obiettivi incompatibili e tensioni interne che un simile negoziato comporterebbe.

I russi non devono fare nulla. Sono abbastanza sicuro che preferirebbero un accordo, ma avranno il possesso della palla e dal loro punto di vista la situazione può solo migliorare. Con il passare dei mesi, la realtà comincerà a farsi strada: in particolare, il fatto che la Russia ha ora forze militari più grandi e più potenti di quelle del 2021, e che l’Occidente è in gran parte disarmato. Non credo che i recenti annunci di aumento delle dimensioni delle forze russe siano finalizzati alla guerra, ma all’intimidazione. Una nazione vittoriosa con un milione di uomini sotto le armi, con la capacità di colpire ovunque in Europa con missili senza temere ritorsioni, ottiene alcuni ovvi vantaggi politici. Anche la nostra classe politica occidentale, ormai indebolita, inizierà a capirlo.

Per molti versi questa sarà l’alba della realtà. Per decenni, l’Occidente ha operato secondo il principio che nessuna delle sue azioni avrebbe mai avuto conseguenze. Le minacce e l’ostilità, le sanzioni e le aggressioni sono solo una sorta di gioco: quello che facciamo al mondo esterno. A dispetto di quanto si può leggere, gli Stati Uniti non stanno per iniziare una guerra con la Cina: la verità è peggiore. Gli Stati Uniti pensano che le minacce e le sanzioni contro la Cina, in parte per consumo interno, non avranno conseguenze nel mondo reale. Ebbene, l’Ucraina ha messo a dura prova l’idea che le azioni occidentali non abbiano conseguenze. “Non lo sapevamo”, strilleranno i leader nazionali. “Beh, ora lo sapete”, risponderà sicuramente la Storia.

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I media stranieri parlano bene della mediazione cinese nei colloqui tra Hamas e Fatah: la Cina dovrebbe ottenere un’altra svolta dopo la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Shah e Iran, di Liu Chenghui

I media stranieri parlano bene della mediazione cinese nei colloqui tra Hamas e Fatah: la Cina dovrebbe ottenere un’altra svolta dopo la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Shah e Iran

  • Liu Chenghui È meglio tenere d’occhio le cose che perderle di vista.

2024-04-30 21:53:23

Dallo scoppio del nuovo round del conflitto israelo-palestinese, la Cina ha compiuto sforzi incessanti per promuovere i negoziati. Di recente, sotto gli auspici della Cina, il Movimento di liberazione nazionale palestinese (Fatah) e il Movimento di resistenza islamica (Hamas) hanno avviato a Pechino consultazioni sulla riconciliazione interna e hanno compiuto progressi positivi, suscitando grande attenzione da parte dell’opinione pubblica internazionale.

I media stranieri ritengono che Fatah e Hamas abbiano avuto difficoltà a colmare le loro differenze politiche nel corso degli anni e che gli sforzi attivi della Cina abbiano portato la speranza di una soluzione pacifica alla questione israelo-palestinese. La mediazione evidenzia la crescente influenza diplomatica della Cina in Medio Oriente, soprattutto in un momento in cui gli Stati Uniti non sono in grado di unire le parti; la Cina è in prima linea su questo tema e si prevede che compia un’altra simile svolta diplomatica dopo aver facilitato la ripresa delle relazioni diplomatiche tra gli arci-rivali della regione, Arabia Saudita e Iran.

“A prescindere dall’esito, la Cina porta la speranza di una soluzione pacifica alla questione palestinese-israeliana “.

“È una mossa diplomatica importante per la Cina”. Il First Post indiano (First Post) ha scritto il 30 che una serie di segnali recenti indicano la crescente influenza diplomatica della Cina in Medio Oriente, dove ha stretti legami con l’Iran e il mondo arabo. L’anno scorso, l’Arabia Saudita e l’Iran, arci-nemici, hanno raggiunto uno storico accordo di pace con la mediazione della Cina. Al contrario, gli Stati Uniti sono stati riluttanti a spingere per una ripresa delle relazioni tra Hamas e Fatah e hanno considerato Hamas come “terroristi” che non hanno la capacità di tenerli uniti. Oggi la Cina è di nuovo in prima linea.

“La Cina cerca di unire Hamas e Fatah”. L’indiano Business Standard scrive: “In un raro passo verso l’unità, le due parti rivali palestinesi hanno fatto un passo verso l’unità con la spinta della Cina”.

Funzionari di Fatah e Hamas tengono colloqui intra-palestinesi a Mosca, 12 febbraio 2019/Reuters

Secondo un articolo della Israel National Television, l’attuale round di colloqui di pace è stata la prima visita pubblica di una delegazione di Hamas in Cina dallo scoppio del conflitto israelo-palestinese lo scorso ottobre. La mediazione della Cina nei colloqui tra Hamas e Fatah, impegnati in un confronto politico dal 2007, è l’ultimo esempio del suo coinvolgimento attivo in Medio Oriente. Un rapporto della Reuters l’ha descritta come una notevole mossa diplomatica della Cina per impegnarsi nella regione palestinese, mentre a Gaza continuano i combattimenti.

Secondo quanto riportato dall’AFP il 30 aprile, la Cina ha sempre sostenuto la causa palestinese e la soluzione dei due Stati al conflitto palestinese-israeliano. Secondo il sito di notizie online indonesiano Head topics, la visita di funzionari di Hamas e Fatah in Cina ha coinciso con gli attacchi di Israele a Gaza e l’incontro ha favorito l’aumento delle possibilità di riconciliazione tra le fazioni politiche palestinesi e la formazione di un governo di coalizione.

Secondo un articolo del Times of India del 28 settembre, la disputa politica tra Hamas e Fatah è sotto i riflettori dal 2007. Con l’aumento dell’influenza cinese in Medio Oriente, la spinta della Cina per i colloqui di unità tra i due paesi rafforzerebbe ulteriormente la sua posizione in Medio Oriente. In caso di successo, si tratterebbe del secondo passo avanti simile della Cina, dopo aver mediato un accordo di pace tra gli arci-rivali della regione, l’Arabia Saudita e l’Iran.

Il 10 marzo 2023, la Cina, l’Arabia Saudita e l’Iran hanno firmato e rilasciato una dichiarazione congiunta in cui si annunciava che i sauditi e gli iraniani avevano concordato di ripristinare le relazioni diplomatiche / Ministero degli Affari Esteri

“La Cina ha ospitato un incontro storico”. Un articolo del Weeklyblitz, media in lingua inglese del Bangladesh, ha descritto i colloqui come uno sviluppo significativo. L’annuncio che la Cina ospiterà i colloqui di unità tra Hamas e Fatah, due fazioni da sempre rivali, è un passo importante per la diplomazia palestinese in un momento di conflitto in corso nella Striscia di Gaza. I buoni uffici evidenziano l’espansione dell’influenza della Cina sulla scena globale, in particolare in Medio Oriente, soprattutto in questo momento critico in cui la violenza nella regione si sta intensificando, le vittime stanno aumentando e le tensioni stanno raggiungendo il punto di ebollizione. La partecipazione attiva della Cina dimostra il suo impegno a promuovere il dialogo e il suo potenziale contributo alla risoluzione del prolungato conflitto palestinese-israeliano.

“In prospettiva, l’esito dei negoziati condotti dalla Cina rimane incerto, anche se alla luce delle complesse dinamiche geopolitiche. Tuttavia, l’impegno attivo della Cina sottolinea il suo impegno a promuovere il dialogo e la stabilità in Medio Oriente. Mentre la comunità internazionale è alle prese con il conflitto in corso a Gaza, l’iniziativa diplomatica della Cina offre un barlume di speranza per una risoluzione pacifica della questione israelo-palestinese”. Il rapporto afferma che.

In un’intervista rilasciata all’Associated Press (AP) il 24 aprile, l’alto funzionario di Hamas Khalil Haya ha dichiarato che Hamas sarebbe disposto a deporre le armi e a trasformarsi gradualmente in un partito politico se si potesse raggiungere una soluzione a due Stati basata sui confini del 1967.

“Le due parti potrebbero tenere il prossimo ciclo di colloqui a Pechino a giugno “.

Nel 2007 è scoppiato un conflitto tra Fatah e Hamas, culminato con la presa di potere di Hamas sulla Striscia di Gaza e il controllo de facto di Fatah sulla Cisgiordania. Questo conflitto ha portato alla divisione dei territori palestinesi in due entità: il governo di Hamas nella Striscia di Gaza e l’Autorità Palestinese in Cisgiordania. Da allora, tutti gli sforzi di mediazione dei principali attori della regione, guidati dall’Egitto, non sono riusciti a porre fine alla divisione palestinese.

Per quanto riguarda i dettagli dei colloqui, il 30 aprile il portavoce del Ministero degli Affari Esteri Lin Jian ha reso noto che, su invito della parte cinese, i rappresentanti del Movimento di Liberazione Nazionale Palestinese e del Movimento di Resistenza Islamica sono venuti di recente a Pechino per consultazioni sulla promozione della riconciliazione interna in Palestina, un dialogo approfondito e franco, in cui entrambe le parti hanno espresso pienamente la loro volontà politica di raggiungere la riconciliazione attraverso il dialogo e la consultazione e hanno esplorato una serie di questioni specifiche, e hanno compiuto progressi positivi, concordando di continuare il processo di dialogo e di impegnarsi per la rapida realizzazione dell’unità e della solidarietà palestinese. Le due parti hanno concordato di proseguire il processo di dialogo con l’obiettivo di realizzare al più presto l’unità e la solidarietà palestinese.

Lin Jian ha dichiarato che le due parti hanno apprezzato molto il fermo sostegno della Cina alla giusta causa del popolo palestinese per il ripristino dei suoi legittimi diritti nazionali, ha ringraziato la parte cinese per i suoi sforzi nel promuovere il rafforzamento dell’unità interna palestinese e ha raggiunto un accordo sull’idea del dialogo per il prossimo passo.

‘esercito israeliano sta avanzando il suo piano di operazioni di terra per Rafah. Sempre secondo fonti ufficiali israeliane, l’esercito israeliano ha ormai fatto tutti i preparativi necessari per un attacco a Rafah / Punch Images

Al Jazeera 30, citando fonti, ha rivelato che Hamas e Fatah si sono concentrati questa volta sulla necessità di porre fine alla divisione interna palestinese, con entrambe le parti che hanno sottolineato congiuntamente che l’unità e la solidarietà dovrebbero essere raggiunte nel quadro dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, in cui tutte le forze e le fazioni palestinesi dovrebbero essere incluse.

Le due parti hanno inoltre dichiarato che, in occasione dei prossimi colloqui che si terranno a Pechino a metà giugno, continueranno a discutere di argomenti rilevanti, tra cui il ruolo della Cina nel rafforzamento dell’unità palestinese, la ricerca della fine dell’occupazione e la creazione di uno Stato palestinese, in conformità con le risoluzioni internazionali.

Hamas e Fatah discuteranno anche della necessità di formare un governo ad interim, nazionale e non settario, “affinché possa adempiere alle sue funzioni tecniche e amministrative nei settori del soccorso, dell’eliminazione delle aggressioni e della ricostruzione di Gaza”. Uno dei primi compiti di tale governo sarebbe quello di unificare le istituzioni palestinesi e preparare le elezioni generali.

Per quanto riguarda il successo dei colloqui, il dottor Ahmad Rafiq Awad, direttore del Centro di ricerca di Gerusalemme dell’Università Al-Quds, ha sottolineato che il ruolo della Cina nella questione palestinese non si limita a promuovere la riconciliazione tra le due parti durante i colloqui, ma sono degni di nota anche i suoi sforzi per sostenere la posizione della Palestina nel Consiglio di Sicurezza, per appoggiare lo Stato di Palestina nel diventare un membro a pieno titolo delle Nazioni Unite e per promuovere la realizzazione della “soluzione dei due Stati”. Meritano attenzione anche gli sforzi della Cina per sostenere la posizione palestinese nel Consiglio di Sicurezza, per appoggiare la piena adesione dello Stato di Palestina alle Nazioni Unite e per promuovere la soluzione dei due Stati.

Ha affermato che la Cina, una potenza globale con interessi e visioni proprie in contrapposizione al capitalismo europeo e americano, potrebbe vedere la questione palestinese come una questione regionale e globale e considerarsi capace e disposta a partecipare, riflettendo il fatto che sta trasformando il suo potere economico in potere politico.

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L’ordine alternativo della Cina, Di Elizabeth Economy

Ormai è innegabile l’ambizione del presidente cinese Xi Jinping di rifare il mondo. Vuole dissolvere la rete di alleanze di Washington ed eliminare i valori “occidentali” dagli organismi internazionali. Vuole far cadere il dollaro americano dal suo piedistallo ed eliminare la morsa di Washington sulle tecnologie critiche. Nel suo nuovo ordine multipolare, le istituzioni e le norme globali saranno sostenute dalle nozioni cinesi di sicurezza comune e sviluppo economico, dai valori cinesi dei diritti politici determinati dallo Stato e dalla tecnologia cinese. La Cina non dovrà più lottare per la leadership. La sua centralità sarà garantita.

A sentire Xi, questo mondo è a portata di mano. Alla Conferenza centrale sul lavoro relativo agli affari esteri dello scorso dicembre, si è vantato del fatto che Pechino è (secondo le parole di un comunicato stampa del governo) un “grande Paese fiducioso, autosufficiente, aperto e inclusivo”, che ha creato la “più grande piattaforma mondiale per la cooperazione internazionale” e ha aperto la strada alla “riforma del sistema internazionale”. Ha affermato che la sua concezione dell’ordine globale – una “comunità con un futuro condiviso per l’umanità” – si è evoluta da “iniziativa cinese” a “consenso internazionale”, da realizzare attraverso l’attuazione di quattro programmi cinesi: l’Iniziativa Belt and Road, l’Iniziativa per lo Sviluppo Globale, l’Iniziativa per la Sicurezza Globale e l’Iniziativa per la Civilizzazione Globale.

Al di fuori della Cina, questi proclami sfacciati e autocelebrativi vengono generalmente ignorati o respinti, anche dai funzionari americani, che tendono a ignorare il fascino della strategia di Pechino. È facile capire perché: molti dei piani cinesi sembrano fallire o ritorcersi contro di loro. Molti dei suoi vicini si stanno avvicinando a Washington e la sua economia sta vacillando. Lo stile diplomatico conflittuale da “guerriero lupo” del Paese può essere piaciuto a Xi, ma ha fatto guadagnare alla Cina pochi amici all’estero. I sondaggi indicano che Pechino è largamente impopolare in tutto il mondo: Uno studio del Pew Research Center del 2023, ad esempio, ha analizzato gli atteggiamenti verso la Cina e gli Stati Uniti in 24 Paesi di sei continenti. È emerso che solo il 28% degli intervistati ha un’opinione favorevole di Pechino e solo il 23% afferma che la Cina contribuisce alla pace globale. Quasi il 60% degli intervistati, invece, aveva un’opinione positiva degli Stati Uniti e il 61% affermava che Washington contribuisce alla pace e alla stabilità.

Ma la visione di Xi è molto più formidabile di quanto sembri. Le proposte della Cina darebbero potere ai molti Paesi che sono stati frustrati e messi da parte dall’ordine attuale, ma permetterebbero agli Stati attualmente favoriti da Washington di avere un ruolo internazionale prezioso. Le iniziative di Pechino sono sostenute da una strategia operativa completa, ben finanziata e disciplinata, che prevede il coinvolgimento dei governi e delle popolazioni di quasi tutti i Paesi. Queste tecniche hanno fatto guadagnare a Pechino un nuovo sostegno, in particolare in alcune organizzazioni multilaterali e presso le non democrazie. La Cina sta riuscendo a diventare un agente di cambiamento gradito e a dipingere gli Stati Uniti come i difensori di uno status quo che piace a pochi.

Piuttosto che respingere il libro dei giochi di Pechino, i politici statunitensi dovrebbero imparare da esso. Per vincere quella che sarà una competizione a lungo termine, gli Stati Uniti devono cogliere il mantello del cambiamento che la Cina ha rivendicato. Washington deve articolare e portare avanti la propria visione di un sistema internazionale trasformato e del ruolo degli Stati Uniti all’interno di tale sistema, che comprenda Paesi a diversi livelli economici e con diversi sistemi politici. Come la Cina, gli Stati Uniti devono investire profondamente nelle basi tecnologiche, militari e diplomatiche che consentono la sicurezza interna e la leadership all’estero. Tuttavia, mentre il Paese si impegna in questa competizione, i responsabili politici statunitensi devono comprendere che la stabilizzazione a breve termine delle relazioni bilaterali favorisce piuttosto che ostacolare gli obiettivi finali degli Stati Uniti. Dovrebbero basarsi sul vertice dello scorso anno tra il presidente Joe Biden e Xi, riducendo la retorica anticinese e creando una relazione diplomatica più funzionale. In questo modo, gli Stati Uniti potranno concentrarsi sul compito più importante: vincere la partita a lungo termine.

ORA POSSO VEDERE CHIARAMENTE

Il manuale di Pechino inizia con una visione ben definita di un ordine mondiale trasformato. Il governo cinese vuole un sistema costruito non solo sul multipolarismo, ma anche sulla sovranità assoluta, sulla sicurezza radicata nel consenso internazionale e nella Carta delle Nazioni Unite, sui diritti umani determinati dallo Stato in base alle circostanze di ciascun Paese, sullo sviluppo come “chiave principale” per tutte le soluzioni, sulla fine del dominio del dollaro statunitense e sull’impegno a non lasciare indietro nessun Paese e nessuno. Questa visione, secondo Pechino, è in netto contrasto con il sistema sostenuto dagli Stati Uniti. In un rapporto del 2023, il Ministero degli Affari Esteri cinese ha affermato che Washington è “aggrappata alla mentalità della Guerra Fredda” e “mette insieme piccoli blocchi attraverso il suo sistema di alleanze” per “creare divisione nella regione, alimentare il confronto e minare la pace”. Gli Stati Uniti, prosegue il rapporto, interferiscono “negli affari interni di altri Paesi”, usano lo status del dollaro come valuta di riserva internazionale per “costringere altri Paesi a servire la strategia politica ed economica americana” e cercano di “scoraggiare lo sviluppo scientifico, tecnologico ed economico di altri Paesi”. Infine, secondo il Ministero, gli Stati Uniti perseguono “l’egemonia culturale”. Le “vere armi dell’espansione culturale statunitense”, ha dichiarato, sono le “linee di produzione della Mattel Company e della Coca-Cola”.

Pechino sostiene che la sua visione, al contrario, promuove gli interessi della maggioranza dei popoli del mondo. La Cina è al centro della scena, ma ogni Paese, compresi gli Stati Uniti, ha un ruolo da svolgere. Alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco 2024 di febbraio, ad esempio, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha affermato che la Cina e gli Stati Uniti sono responsabili della stabilità strategica globale. Cina e Russia, invece, rappresentano l’esplorazione di un nuovo modello di relazioni tra grandi Paesi. La Cina e l’Unione Europea sono i due principali mercati e civiltà del mondo e dovrebbero resistere alla creazione di blocchi basati sull’ideologia. La Cina, che Wang ha definito “il più grande Paese in via di sviluppo”, promuove la solidarietà e la cooperazione con il Sud del mondo per aumentare la propria rappresentanza negli affari globali.

La visione della Cina è pensata per essere convincente per quasi tutti i Paesi. Quelli che non sono democrazie vedranno convalidate le loro scelte. Quelli che sono democrazie ma non grandi potenze otterranno una maggiore voce nel sistema internazionale e una quota maggiore dei benefici della globalizzazione. Anche le grandi potenze democratiche potranno riflettere se l’attuale sistema è adeguato per affrontare le sfide odierne o se la Cina ha qualcosa di meglio da offrire. Gli osservatori negli Stati Uniti e altrove potrebbero storcere il naso di fronte a queste frasi altisonanti, ma lo fanno a loro rischio e pericolo: l’insoddisfazione per l’attuale ordine internazionale ha creato un pubblico globale più disponibile alle proposte della Cina di quanto non potesse esistere fino a poco tempo fa.

QUATTRO PILLOLE

Per oltre due decenni, la Cina ha fatto riferimento a un “nuovo concetto di sicurezza” che abbraccia norme come la sicurezza comune, la diversità dei sistemi e la multipolarità. Negli ultimi anni, però, la Cina ritiene di aver acquisito la capacità di portare avanti la sua visione. A tal fine, durante il suo primo decennio al potere, Xi ha lanciato tre distinti programmi globali: la Belt and Road Initiative (BRI) nel 2013, la Global Development Initiative (GDI) nel 2021 e la Global Security Initiative (GSI) nel 2022. Ognuno di essi contribuisce in qualche modo a favorire la trasformazione del sistema internazionale e la centralità della Cina al suo interno.

Inizialmente, la BRI era una piattaforma che permetteva a Pechino di soddisfare le esigenze di infrastrutture dure delle economie emergenti e a medio reddito, sfruttando l’eccesso di capacità dell’industria edilizia cinese. Da allora si è ampliato fino a diventare un motore della geostrategia di Pechino: incorporare gli ecosistemi digitali, sanitari e di tecnologia pulita della Cina a livello globale, promuovere il suo modello di sviluppo, espandere la portata delle sue forze militari e di polizia e promuovere l’uso della sua moneta.

Il GDI si concentra sullo sviluppo globale in senso più ampio e pone la Cina al posto di guida. Spesso in collaborazione con le Nazioni Unite, sostiene progetti su piccola scala che riguardano la riduzione della povertà, la connettività digitale, il cambiamento climatico, la salute e la sicurezza alimentare. Il programma promuove la preferenza di Pechino per lo sviluppo economico come base per i diritti umani. Un documento governativo sul programma, ad esempio, accusa gli altri Paesi di “emarginare le questioni relative allo sviluppo enfatizzando i diritti umani e la democrazia”.

La Cina sta riuscendo a diventare un agente di cambiamento gradito.

Pechino ha posizionato la GSI come un sistema per, come hanno detto diversi studiosi cinesi, fornire “saggezza cinese e soluzioni cinesi” per promuovere “la pace e la tranquillità nel mondo”. Nelle parole di Xi, la GSI sostiene che i Paesi “rifiutano la mentalità della Guerra Fredda, si oppongono all’unilateralismo e dicono no alla politica di gruppo e al confronto tra blocchi”. Il percorso migliore, secondo Xi, consiste nel costruire un'”architettura di sicurezza equilibrata, efficace e sostenibile” che risolva le differenze tra i Paesi attraverso il dialogo e la consultazione e che sostenga la non interferenza negli affari interni altrui. Dietro la retorica, la GSI è progettata per porre fine ai sistemi di alleanze degli Stati Uniti, stabilire la sicurezza come precondizione per lo sviluppo e promuovere la sovranità assoluta e la sicurezza indivisibile, ovvero l’idea che la sicurezza di uno Stato non debba andare a scapito di quella degli altri. La Cina e la Russia hanno usato questa nozione per giustificare l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, suggerendo che l’attacco di Mosca fosse necessario per impedire a una NATO in espansione di minacciare la Russia.

Ma la strategia di Xi ha preso il volo solo nell’ultimo anno, con la pubblicazione della Global Civilization Initiative nel maggio 2023. La GCI avanza l’idea che Paesi con civiltà e livelli di sviluppo diversi avranno modelli politici ed economici diversi. Afferma che gli Stati determinano i diritti e che nessun Paese o modello ha il mandato di controllare il discorso dei diritti umani. Come ha detto l’ex ministro degli Esteri Qin Gang: “Non esiste un modello unico per la protezione dei diritti umani”. Pertanto, la Grecia, con le sue tradizioni filosofiche e culturali e il suo livello di sviluppo, può avere una concezione e una pratica dei diritti umani diversa da quella della Cina. Entrambe sono ugualmente valide.

I leader cinesi stanno lavorando duramente per convincere i Paesi e le istituzioni internazionali ad accettare la loro visione del mondo. La loro strategia è multilivello: stringere accordi con singoli Paesi, integrare le loro iniziative o componenti di esse in organizzazioni multilaterali e incorporare le loro proposte nelle istituzioni di governance globale. Il BRI è il modello di questo approccio. Circa 150 Paesi sono entrati a far parte del programma, che sostiene apertamente i valori che fanno da cornice alla visione cinese, come il primato dello sviluppo, la sovranità, i diritti politici diretti dallo Stato e la sicurezza comune. Questo accordo bilaterale è stato accompagnato dagli sforzi dei funzionari cinesi per collegare la BRI ad altri sforzi di sviluppo regionale, come il Master Plan sulla connettività 2025 creato dall’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN).

Xi a un vertice a San Francisco, novembre 2023
Kevin Lamarque / Reuters

La Cina ha inoltre integrato con successo la BRI in più di due dozzine di agenzie e programmi delle Nazioni Unite. Ha lavorato con particolare impegno per allineare la BRI e l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, di alto profilo. Il Dipartimento degli Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite, che è stato diretto da un funzionario cinese per oltre un decennio, ha prodotto un rapporto sul sostegno della BRI all’Agenda. Il rapporto è stato parzialmente finanziato dal Fondo fiduciario per la pace e lo sviluppo delle Nazioni Unite, che a sua volta è stato inizialmente istituito da un impegno cinese di 200 milioni di dollari. Tale sostegno contribuisce senza dubbio all’entusiasmo che molti alti funzionari delle Nazioni Unite, tra cui il Segretario generale, hanno mostrato nei confronti della BRI.

I progressi su GDI, GSI e GCI sono stati comprensibilmente più nascosti. Finora, solo pochi leader di Paesi come la Serbia, il Sudafrica, il Sud Sudan e il Venezuela hanno offerto un sostegno retorico all’idea del GCI di rispettare la diversità delle civiltà e dei percorsi di sviluppo e, per estensione, alla visione della Cina di un ordine che non dia il primato ai valori delle democrazie liberali.

Il GDI ha ottenuto un sostegno internazionale maggiore rispetto al GCI. Dopo che Xi ha annunciato il progetto davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la Cina ha sviluppato un “Gruppo di amici del GDI” che ora vanta più di 70 Paesi. Il GDI ha fatto avanzare 50 progetti e si è impegnato a offrire 100.000 opportunità di formazione a funzionari ed esperti di altri Paesi affinché si rechino in Cina per studiare i suoi sistemi. Queste opportunità di formazione sono state pensate per promuovere le tecnologie avanzate della Cina, le sue esperienze di gestione e il suo modello di sviluppo. La Cina è anche riuscita a collegare formalmente la GDI all’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e ha organizzato seminari relativi alla GDI con l’Ufficio delle Nazioni Unite per la cooperazione sud-sud. In altre parole, Pechino sta inserendo il programma nel tessuto del sistema governativo internazionale.

La GSI ha ottenuto un consenso retorico ancora maggiore. Secondo il Ministero degli Esteri cinese, più di 100 Paesi, organizzazioni regionali e internazionali hanno sostenuto la GSI e i funzionari cinesi hanno incoraggiato i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), l’ASEAN e l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai ad adottare il concetto. Alla riunione della SCO del settembre 2022, la Cina ha avanzato il GSI e ha ricevuto il sostegno di tutti i membri, tranne India e Tagikistan.

APPELLO DI MASSA

La Cina, a differenza degli Stati Uniti, investe molto nelle risorse diplomatiche necessarie per commercializzare le proprie iniziative. Ha più ambasciate e uffici di rappresentanza in tutto il mondo di qualsiasi altro Paese, e i diplomatici cinesi intervengono frequentemente alle conferenze e pubblicano un flusso di articoli sulle varie iniziative della Cina nelle testate giornalistiche locali.

Questo apparato diplomatico è supportato da reti mediatiche cinesi altrettanto estese. La rete di informazione internazionale cinese, la CGTN, ha il doppio degli uffici all’estero della CNN e la Xinhua, il servizio di informazione ufficiale cinese, ha oltre 180 uffici in tutto il mondo. Sebbene i media cinesi siano spesso percepiti in Occidente come poco più che rozzi strumenti di propaganda, essi possono promuovere un’immagine positiva della Cina e della sua leadership. In uno studio pubblicato nel 2024, un team di studiosi internazionali ha intervistato più di 6.000 persone in 19 Paesi per verificare se la Cina o gli Stati Uniti fossero più efficaci nel vendere il proprio modello politico ed economico e il proprio ruolo di leader globale. Al principio, i partecipanti preferivano in larga misura gli Stati Uniti: l’83% degli intervistati preferiva il modello politico statunitense, il 70% il modello economico statunitense e il 78% la leadership statunitense. Ma quando sono stati esposti ai messaggi dei media cinesi – sia solo a quelli cinesi che a quelli del governo cinese e statunitense in una competizione testa a testa – i partecipanti hanno preferito i modelli cinesi a quelli statunitensi.

Per promuovere i suoi obiettivi, Pechino si avvale anche della forza delle aziende statali e del settore privato del Paese. Le aziende tecnologiche cinesi, ad esempio, non solo forniscono connettività digitale a diversi Paesi, ma permettono anche agli Stati di emulare elementi del modello politico di Pechino. Secondo Freedom House, rappresentanti di 36 Paesi hanno partecipato a sessioni di formazione del governo cinese su come controllare i media e le informazioni su Internet. In Zambia, l’adozione della “via cinese” per la governance di Internet – come l’ha descritta un ex ministro del governo – ha portato all’incarcerazione di diversi zambiani per aver criticato il presidente online. Gli esperti del German Council on Foreign Relations hanno rivelato che le middlebox di Huawei hanno bloccato siti web in 17 Paesi. Più gli Stati adottano norme e tecnologie cinesi che reprimono le libertà politiche e civili, più Pechino può minare l’attuale sistema internazionale che abbraccia i diritti umani universali.

Gli Stati Uniti devono cogliere il mantello del cambiamento che la Cina ha rivendicato.

Inoltre, Xi ha rafforzato il ruolo dell’apparato di sicurezza cinese come strumento diplomatico. L’Esercito Popolare di Liberazione cinese sta conducendo esercitazioni con un numero crescente di Paesi e offre addestramento ai militari di tutto il mondo in via di sviluppo. L’anno scorso, ad esempio, la Cina ha portato a Pechino più di 100 alti ufficiali militari provenienti da quasi 50 Paesi africani e dall’Unione Africana per il terzo Forum sulla pace e la sicurezza Cina-Africa. La Cina e i partecipanti africani hanno concordato di organizzare un maggior numero di esercitazioni militari congiunte e hanno accolto la BRI e la GSI, insieme al piano di sviluppo Agenda 2063 dell’Unione Africana, come un modo per perseguire lo sviluppo economico, promuovere la pace e garantire la stabilità nel continente. Insieme, questi accordi contribuiscono a creare il sistema di sicurezza collaborativo che la Cina desidera: un sistema basato su Pechino.

La Cina ha potenziato la sua strategia con un atteggiamento sia paziente che opportunistico. Pechino fornisce ingenti risorse per le sue iniziative, rassicurando gli altri Paesi sul suo sostegno a lungo termine e consentendo ai funzionari cinesi di agire rapidamente quando si presentano le opportunità. Ad esempio, nel 2015 Pechino ha annunciato per la prima volta una versione della Via della seta della salute, che però ha suscitato poca attenzione. Nel 2020, tuttavia, la Cina ha sfruttato la pandemia COVID-19 per dare nuova vita al progetto. Xi ha tenuto un importante discorso davanti all’Assemblea mondiale della sanità, promuovendo la Cina come hub per le risorse mediche. Pechino ha abbinato province cinesi a diversi Paesi e ha fatto in modo che le prime inviassero attrezzature di protezione personale e professionisti medici ai secondi. La Cina ha anche utilizzato la pandemia per promuovere le tecnologie sanitarie digitali cinesi e la medicina tradizionale cinese – una priorità per Xi – come metodi per trattare il virus.

Più recentemente, la Cina ha sfruttato l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e le conseguenti sanzioni occidentali per spingere la de-dollarizzazione dell’economia globale. Gli scambi commerciali della Cina con la Russia sono ora regolati per lo più in renminbi e Pechino sta lavorando attraverso la BRI e le organizzazioni multilaterali, come i BRICS (a cui 34 Paesi hanno espresso interesse ad aderire), per promuovere la de-dollarizzazione. Come ha detto il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva durante una visita in Cina nel 2023, “ogni sera mi chiedo perché tutti i Paesi debbano basare il loro commercio sul dollaro. Perché non possiamo fare scambi commerciali basati sulle nostre valute?”.

IL PAGAMENTO

Pechino ha chiaramente fatto progressi nell’ottenere un’adesione retorica da parte di altri Paesi, così come da parte delle organizzazioni e dei funzionari delle Nazioni Unite. Ma in termini di cambiamenti effettivi sul campo, di raccolta del sostegno dei cittadini di altri Paesi e di influenza sulla riforma delle istituzioni internazionali, i risultati della Cina sono più contrastanti.

La GDI, da parte sua, è ben avviata. Un rapporto biennale sui progressi compiuti, redatto dal think tank dell’agenzia di stampa Xinhua, indica che il 20% dei 50 programmi di cooperazione iniziali del GDI è stato completato e che ne sono stati proposti altri 200. Alcuni progetti sono fortemente locali e a lungo termine, ma altri avranno un impatto più immediato, come un progetto di energia eolica in Kazakistan che soddisferà il fabbisogno energetico di più paesi. Alcuni progetti sono altamente locali e a lungo termine, ma altri avranno un impatto più immediato, come un progetto di energia eolica in Kazakistan che soddisferà il fabbisogno energetico di oltre un milione di famiglie.

Nonostante la relativa nascita della GSI, Wang, ministro degli Esteri cinese, ha subito affermato che il riavvicinamento del 2023 tra Iran e Arabia Saudita, mediato da Pechino, è un esempio del principio della GSI di promuovere il dialogo. Tuttavia, la Cina ha avuto meno successo nell’utilizzare i principi della GSI nei suoi tentativi di risolvere la guerra in Ucraina e il conflitto israelo-palestinese. Inoltre, alcuni Paesi hanno espresso il timore che la GSI sia una sorta di alleanza militare. Nonostante sia stato uno dei primi beneficiari dei progetti GDI, ad esempio, il Nepal ha resistito alle molteplici richieste cinesi di entrare a far parte della GSI perché non vuole far parte di un’alleanza di sicurezza.

La BRI ha trasformato il panorama geostrategico ed economico di gran parte dell’Africa, del Sud-est asiatico e, in misura crescente, dell’America Latina. Huawei, ad esempio, fornisce il 70% di tutti i componenti dell’infrastruttura di telecomunicazioni 4G in Africa. Inoltre, gli investimenti cinesi BRI per il 2023 sono aumentati rispetto al 2022. Vi sono tuttavia segnali che indicano che l’influenza della BRI potrebbe essere in calo. L’Italia, la più grande economia dell’iniziativa (a parte la Cina stessa), si è ritirata a dicembre e solo 23 leader hanno partecipato al Belt and Road Forum 2023, rispetto ai 37 del 2019. I finanziamenti cinesi per la BRI sono diminuiti drasticamente rispetto al picco del 2016 e molti Paesi beneficiari della BRI stanno lottando per ripagare i prestiti di Pechino.

I sondaggi di opinione dipingono un quadro altrettanto eterogeneo. Il sondaggio Pew ha indicato che le economie a medio reddito, in particolare in Africa e in America Latina, hanno maggiori probabilità di avere una visione positiva della Cina e del suo contributo alla stabilità rispetto alle economie a più alto reddito in Asia e in Europa. Ma anche in queste regioni, le opinioni popolari sulla Cina sono tutt’altro che uniformemente positive.

Un sondaggio condotto nel 2023 su 1.308 élite degli Stati dell’ASEAN, ad esempio, rivela che sebbene la Cina sia considerata l’attore economico e di sicurezza più influente della regione, la maggioranza di tutti i Paesi, ad eccezione del Brunei, esprime preoccupazione per la crescente influenza della Cina. La maggioranza o la pluralità di sette Paesi su dieci non crede che la GSI porterà benefici alla loro regione. Inoltre, alla domanda se, se costretti a scegliere, si allineerebbero con la Cina o con gli Stati Uniti, la maggioranza di sette Paesi ASEAN su dieci ha scelto gli Stati Uniti.

I sondaggi di Afrobarometro del 2019 e del 2020 indicano che la Cina gode di una reputazione più positiva in Africa: il 63% degli africani intervistati in 34 Paesi ritiene che la Cina sia un’influenza esterna positiva. Ma solo il 22% ritiene che la Cina sia il modello migliore per lo sviluppo futuro e l’approvazione del modello cinese è diminuita rispetto ai sondaggi del 2014 e del 2015.

Un sondaggio del 2021 condotto su 336 opinion leader di 23 Paesi dell’America Latina è stato altrettanto eloquente. Sebbene il 78% degli intervistati ritenga che l’influenza complessiva della Cina nella regione sia elevata, solo il 35% ha un’opinione buona o molto buona della Cina. (Gli intervistati hanno opinioni simili sugli Stati Uniti). È stato espresso un sostegno all’impegno con la Cina in materia di commercio e investimenti diretti esteri, ma un sostegno minimo all’impegno in materia di cooperazione multilaterale, sicurezza internazionale e diritti umani.

Infine, il sostegno alla Cina e alle iniziative sostenute dalla Cina in seno alle Nazioni Unite è eterogeneo. Ad esempio, uno studio dettagliato sugli investimenti della Cina nella Via della Seta Digitale in Africa ha rilevato che, sebbene otto membri africani della DSR abbiano appoggiato la proposta del Nuovo IP cinese per aumentare il controllo statale su Internet, un numero maggiore di membri africani della DSR non ha scritto a suo favore. Il voto del febbraio 2023 per condannare l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia – in cui 141 Paesi hanno votato a favore, 7 contro e 32, tra cui la Cina e tutti gli altri membri della SCO tranne la Russia, si sono astenuti – suggerisce un diffuso rifiuto del principio di sicurezza indivisibile della GSI. Ciononostante, la Cina ha ottenuto il sostegno di 25 dei 31 Paesi emergenti e a medio reddito (esclusa la Cina stessa) nel Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, nel tentativo di impedire il dibattito sul trattamento riservato da Pechino alla sua popolazione minoritaria uigura. È stata solo la seconda volta nella storia del Consiglio che un dibattito è stato bloccato.

COMBATTERE IL FUOCO CON IL FUOCO

Il sostegno agli sforzi della Cina può apparire superficiale in molti segmenti della comunità internazionale. Ma i leader cinesi esprimono una grande fiducia nella loro visione trasformatrice e i principi e le politiche di base proposte nella GDI, nella GSI e nella GCI godono di un notevole slancio tra i membri dei BRICS e della SCO, così come tra le non democrazie e i Paesi africani. Le vittorie della Cina all’interno di organizzazioni più grandi, come l’ONU, possono sembrare minori, ma si stanno accumulando, dando a Pechino un’autorità sostanziale all’interno di istituzioni importanti che molte economie emergenti e a medio reddito apprezzano. Inoltre, Pechino ha una strategia operativa formidabile per realizzare la trasformazione desiderata, insieme alla capacità di coordinare le politiche a più livelli di governo per un lungo periodo.

Parte del motivo per cui gli sforzi di Pechino stanno prendendo piede è che l’attuale sistema, guidato dagli Stati Uniti, è impopolare in gran parte del mondo. Non ha un buon record nell’affrontare sfide globali come le pandemie, i cambiamenti climatici, le crisi del debito o la scarsità di cibo – tutte cose che colpiscono in modo sproporzionato le persone più vulnerabili del pianeta. Molti Paesi ritengono che le Nazioni Unite e le loro istituzioni, compreso il Consiglio di Sicurezza, non riflettano adeguatamente la distribuzione del potere nel mondo. Il sistema internazionale, inoltre, non si è dimostrato in grado di risolvere i conflitti di lunga data o di prevenirne di nuovi. Gli Stati Uniti, inoltre, sono sempre più visti come un’entità che opera al di fuori delle istituzioni e delle norme che ha contribuito a creare: dispiegando sanzioni diffuse senza l’approvazione del Consiglio di sicurezza, contribuendo a indebolire organismi internazionali come l’Organizzazione mondiale del commercio e, durante l’amministrazione Trump, ritirandosi da accordi globali. Infine, il periodico inquadramento di Washington del sistema mondiale come diviso tra autocrazie e democrazie allontana molti Paesi, compresi alcuni democratici.

Anche se la sua visione non si realizza pienamente, a meno che il mondo non disponga di un’alternativa credibile, la Cina può approfittare di questa insoddisfazione per compiere progressi significativi nel degradare materialmente l’attuale sistema internazionale. La battaglia in salita che gli Stati Uniti hanno condotto per convincere i Paesi a evitare le apparecchiature di telecomunicazione Huawei è una lezione importante per affrontare un problema prima che si presenti. Sarebbe molto più difficile rovesciare un ordine globale che ha svalutato i diritti umani universali a favore di diritti determinati dallo Stato, ha svalutato in modo significativo il sistema finanziario, ha incorporato ampiamente sistemi tecnologici controllati dallo Stato e ha smantellato le alleanze militari guidate dagli Stati Uniti.

Il sistema internazionale guidato dagli Stati Uniti è impopolare in gran parte del mondo.

Gli Stati Uniti dovrebbero quindi muoversi in modo aggressivo per posizionarsi come forza di cambiamento del sistema. Dovrebbero prendere spunto dal libro dei giochi della Cina ed essere opportunisti, cercando un vantaggio strategico nel momento in cui l’economia cinese sta vacillando e il suo sistema politico è sotto stress. Dovrebbe riconoscere che, come Xi ha ripetutamente affermato, nel mondo si stanno verificando cambiamenti “come non se ne vedevano da 100 anni”, ma chiarire che questi cambiamenti non segnalano il declino degli Stati Uniti. Al contrario, sono in linea con la visione dinamica del futuro di Washington.

La visione dovrebbe iniziare con la promozione di una rivoluzione economica e tecnologica che trasformi i paesaggi digitali, energetici, agricoli e sanitari del mondo in modi che siano inclusivi e contribuiscano alla prosperità globale condivisa. Ciò richiederà nuove norme e istituzioni che integrino le economie emergenti e a medio reddito in catene di approvvigionamento globali resilienti e diversificate, reti di innovazione, ecosistemi di produzione pulita e regimi di governance delle informazioni e dei dati. Washington dovrebbe promuovere una conversazione globale sulla sua visione di un cambiamento tecnologicamente avanzato radicato in standard elevati, stato di diritto, trasparenza, responsabilità delle autorità e sostenibilità, norme di buon governo condivise e non cariche di ideologia. Una discussione di questo tipo potrebbe riscuotere un ampio consenso, così come l’attenzione della Cina per l’imperativo dello sviluppo esercita un ampio fascino.

Washington ha messo in atto alcuni degli elementi costitutivi di questa visione attraverso il Consiglio per il commercio e la tecnologia tra Stati Uniti e Unione Europea, il Quadro economico indo-pacifico e il Partenariato per gli investimenti nelle infrastrutture globali. Tuttavia, proprio gli Stati più aperti alla visione di trasformazione della Cina – la maggior parte dei membri dei BRICS e della SCO e le economie emergenti e a medio reddito non democratiche – sono rimasti in gran parte esclusi dall’equazione. Insieme a questi Paesi, Washington dovrebbe esplorare accordi regionali simili a quelli che ha stabilito con i suoi partner asiatici ed europei. Un maggior numero di Paesi dovrebbe essere coinvolto nelle reti che Washington sta creando per rafforzare le catene di approvvigionamento, come quelle create dal CHIPS e dal Science Act. Inoltre, paesi come la Cambogia e il Laos, esclusi dagli accordi esistenti, come il quadro indo-pacifico, dovrebbero avere un percorso di adesione. Ciò amplierebbe l’impronta di sviluppo degli Stati Uniti, consentendo loro di fornire una traiettoria di sviluppo diversa da quella del BRI e del GDI di Pechino e, a differenza delle iniziative cinesi, offrendo ai Paesi partecipanti l’opportunità di contribuire a sviluppare le regole della strada.

L’intelligenza artificiale rappresenta un’opportunità unica per gli Stati Uniti di segnalare un nuovo approccio più inclusivo. Man mano che se ne apprezzano le applicazioni, l’intelligenza artificiale richiederà nuove norme internazionali e potenzialmente nuove istituzioni per sfruttarne gli effetti positivi e limitarne quelli negativi. Gli Stati Uniti, che sono il principale innovatore dell’IA a livello mondiale, dovrebbero impegnarsi in prima persona con Paesi diversi dai loro alleati e partner tradizionali per sviluppare le norme. Gli sforzi congiunti tra Stati Uniti e Unione Europea in materia di formazione delle competenze per la prossima generazione di posti di lavoro nel campo dell’IA, ad esempio, dovrebbero essere ampliati per includere la maggioranza globale. Gli Stati Uniti possono anche sostenere l’impegno tra il loro solido settore privato e le organizzazioni della società civile e le loro controparti in altri Paesi, un approccio multistakeholder che la Cina, con il suo stile diplomatico da “capo di Stato”, di solito rifugge.

Questo sforzo richiederà a Washington di attingere più efficacemente al settore privato e alla società civile statunitensi, proprio come la Cina ha coinvolto le sue imprese statali e il settore privato nella BRI e nella GDI, promuovendo partenariati internazionali vivaci, avviati dallo Stato ma guidati dalle imprese e dalla società civile. Nella maggior parte del mondo, compresa l’Africa e l’America Latina, gli Stati Uniti sono una fonte di investimenti diretti esteri e di assistenza più grande e più desiderata della Cina. Washington ha lasciato inutilizzato un significativo allineamento di interessi tra i suoi obiettivi strategici e gli obiettivi economici del settore privato, come la creazione di ambienti politici ed economici all’estero che consentano alle aziende statunitensi di prosperare. Poiché le aziende e le fondazioni americane sono attori privati, tuttavia, i benefici dei loro investimenti non ricadono sul governo degli Stati Uniti. L’istituzionalizzazione dei partenariati pubblico-privati può collegare meglio gli obiettivi degli Stati Uniti con la forza del settore privato americano e contribuire a garantire che le iniziative non vengano messe da parte durante le transizioni politiche a Washington. Il lavoro delle fondazioni private negli Stati Uniti, che investono miliardi di dollari nelle economie emergenti e nei Paesi a medio reddito, dovrebbe essere amplificato dai funzionari americani e rafforzato attraverso partnership con Washington.

Una governance globale più inclusiva richiede anche che Washington prenda in considerazione i potenziali compromessi con la crescita delle economie e delle forze armate di altri Paesi rispetto a quelle degli Stati Uniti. Nel breve termine, ad esempio, una più chiara delimitazione dei limiti della politica sanzionatoria statunitense potrebbe contribuire a rallentare lo slancio di Pechino verso la de-dollarizzazione. Ma Washington dovrebbe usare questo tempo per valutare la sostenibilità del dominio del dollaro nel lungo periodo e considerare quali misure, se del caso, i funzionari statunitensi dovrebbero adottare per cercare di preservarlo. La visione di Washington potrebbe anche dover incorporare riforme dell’attuale sistema di alleanze. La dura realtà della crescente abilità militare della Cina e il suo sostegno economico alla Russia durante la guerra di quest’ultima contro l’Ucraina rendono evidente che Washington e i suoi alleati devono ripensare alle strutture di sicurezza necessarie per gestire un mondo in cui Pechino e i suoi partner affini operano come alleati militari soft e potenzialmente hard.

La Cina ha ragione: il sistema internazionale ha bisogno di riforme.

Come la Cina, gli Stati Uniti devono spendere di più per le fondamenta della loro competitività e della loro sicurezza nazionale per avere successo a lungo termine. Sebbene le politiche difensive siano spesso necessarie, esse garantiscono solo protezioni a breve termine. Ciò significa che Washington deve dotarsi di personale all’altezza dell’apparato di politica estera di Pechino. Circa 30 ambasciate e missioni statunitensi non hanno un ambasciatore americano in carica; ognuno di questi posti deve essere occupato. Gli Stati Uniti hanno fatto i primi passi per migliorare la loro competitività economica con programmi come l’Inflation Reduction Act e il CHIPS and Science Act, ma hanno bisogno di investimenti sostenuti nella ricerca e nello sviluppo e nella produzione avanzata. Deve anche adottare politiche di immigrazione che attraggano e trattengano i migliori talenti da tutto il mondo. E Washington deve riprendere a investire nelle fondamenta delle sue capacità militari a lungo termine e nella modernizzazione. Senza un sostegno bipartisan agli elementi di base della competitività e della leadership globale americana, Pechino continuerà a fare progressi nel cambiare l’ordine globale.

Infine, per evitare inutili attriti, gli Stati Uniti dovrebbero continuare a stabilizzare le relazioni USA-Cina definendo nuove aree di cooperazione, espandendo l’impegno della società civile, smorzando l’inutile retorica ostile, gestendo strategicamente la propria politica su Taiwan e sviluppando un messaggio chiaro sugli strumenti economici utilizzati per proteggere la sicurezza economica e nazionale degli Stati Uniti. Ciò consentirà agli Stati Uniti di mantenere le relazioni con coloro che in Cina sono preoccupati per l’attuale traiettoria del Paese e darà a Washington lo spazio per concentrarsi sullo sviluppo delle proprie capacità economiche e militari, portando avanti la propria visione globale.

La Cina ha ragione: il sistema internazionale ha bisogno di una riforma. Ma le fondamenta di tale riforma si trovano al meglio nell’apertura, nella trasparenza, nello Stato di diritto e nella responsabilità ufficiale che sono i tratti distintivi delle democrazie di mercato del mondo. L’innovazione e la creatività globali necessarie per risolvere le sfide del mondo prosperano meglio nelle società aperte. La trasparenza, lo Stato di diritto e la responsabilità ufficiale sono alla base di una crescita economica globale sana e sostenuta. E l’attuale sistema di alleanze, sebbene insufficiente a garantire la pace e la sicurezza globale, ha contribuito a evitare che scoppiasse una guerra tra le grandi potenze mondiali per oltre 70 anni. La Cina non è ancora riuscita a convincere la maggioranza della popolazione del pianeta che le sue intenzioni e capacità sono quelle necessarie per plasmare il XXI secolo. Ma spetta agli Stati Uniti e ai loro alleati e partner creare un’alternativa affermativa e convincente.

  • ELIZABETH ECONOMY è Senior Fellow presso la Hoover Institution dell’Università di Stanford. Dal 2021 al 2023 è stata consigliere senior per la Cina presso il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti. È autrice di The World According to China.
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Russia Ucraina, il conflitto! 58a puntata Segni di sbandamento Con Max Bonelli

La pressione delle forze militari russe non è più occasionale e localizzata. Sono numerosi i punti del fronte sul quale l’esercito ucraino non solo arretra, ma si rivela incapace di ribattere o, quantomeno, di organizzare una difesa dinamica. Il regime ucraino è chiaramente la prima vittima della propria narrazione; le seconde sono i paesi europei che si sono accodati alle scelte statunitensi ciniche ed avventuriste. Due anni di conflitto mostrano i segni evidenti di logoramento ed esaurimento delle forze ucraine e i limiti della potenza statunitense, pur con tutta la consorteria al seguito. Nella foto di copertina Paul Massaro, appena nominato Direttore delle Risorse Umane della Commissione di Helsinki. La Commissione Helsinki degli Stati Uniti monitora i diritti umani e la cooperazione internazionale in 57 paesi. Il distintivo esibito sulla giacca vale più di tante parole.

Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Punti fondamentali del conflitto sionista israelo-arabo-palestinese, di Vladislav B. Sotirović

Punti fondamentali del conflitto sionista israelo-arabo-palestinese

Di che cosa si tratta?

Il conflitto sionista israelo-arabo-palestinese è oggi uno dei problemi di sicurezza globale più importanti da affrontare, se non il più importante. Tuttavia, questo conflitto non è storicamente molto antico: è una questione piuttosto moderna, che risale, infatti, al Primo Congresso Sionista del 1897. La domanda centrale è: che cos’è il conflitto? In altre parole: Per cosa combattono i due diversi gruppi?

A prima vista, si può capire che dietro le ragioni del conflitto c’è una confessione, poiché questi due popoli sono di confessioni diverse: gli ebrei sono prevalentemente giudaici, mentre la confessione palestinese predominante è l’Islam, ma comprende anche cristiani e drusi. Tuttavia, le ovvie differenze religiose non sono la causa fondamentale della lotta. In realtà, il conflitto è iniziato un secolo fa e continua ad essere una lotta per la terra.

La Palestina, la terra rivendicata da entrambe le parti, era conosciuta con questo termine nelle relazioni internazionali (IR) dal 1918 al 1948. Inoltre, lo stesso termine è stato applicato dall’Islam, dal Cristianesimo e dall’Ebraismo per designare la Terra Santa. Tuttavia, a seguito delle guerre dal 1948 al 1967 tra gli arabi e Israele, questa terra (circa 10.000 miglia quadrate) è diventata oggi divisa in tre parti: 1) Israele; 2) la Cisgiordania e la Striscia di Gaza.

Tuttavia, entrambi i gruppi hanno un background diverso nel rivendicare questa terra per sé:

1. Le rivendicazioni ebraiche sioniste sulla Palestina si fondano sulla promessa biblica ad Abramo e a tutti i suoi discendenti. Le basi storiche di tali rivendicazioni si fondano sul fatto che sul territorio della Palestina sono stati stabiliti gli antichi regni degli ebrei: Israele e Giudea. Dal punto di vista politico, questa rivendicazione storica è sostenuta dalla necessità degli ebrei di avere uno Stato-nazione per liberarsi dall’antisemitismo europeo, soprattutto dopo l’olocausto della Seconda guerra mondiale.

2. Gli arabi palestinesi rivendicano la stessa terra sulla base del fatto che vivono in Palestina da centinaia di anni e che erano la maggioranza demografica fino al 1948. Inoltre, essi rifiutano la nozione confessionale-ideologica degli ebrei sionisti, secondo cui i regni ebraici basati sull’Antico Testamento possono costituire un fondamento razionale e morale/scientifico da utilizzare per una rivendicazione moderna accettabile, soprattutto tenendo conto del fatto che gli ebrei lasciarono la Palestina dopo l’occupazione dell’Impero romano nel I secolo d.C. (per 2000 anni!). Tuttavia, gli arabi palestinesi utilizzano anche gli argomenti della Bibbia e, quindi, sostengono che il figlio di Abramo, Ismaele, è il capostipite degli arabi e che Dio ha promesso la Terra Santa a tutti i figli di Abramo, il che significa semplicemente anche agli arabi (gli arabi sono semiti come gli ebrei). Ma la questione cruciale dal punto di vista degli arabi palestinesi è che essi non possono dimenticare la Palestina come una questione di compensazione per l’olocausto contro gli ebrei commesso in Europa (al quale gli arabi palestinesi non hanno partecipato affatto).

I palestinesi e la diaspora

Il termine palestinese, dal punto di vista storico-politico, si riferisce oggi a quei popoli della Palestina le cui radici storiche sono riconducibili a questa terra, così come definita dai confini del Mandato britannico, e cioè agli arabi di confessione cristiana, musulmana o drusa. Si stima che oggi circa 5,6 milioni di palestinesi vivano all’interno dei confini della Palestina del Mandato Britannico, oggi divisa in tre parti: 1) lo Stato di Israele sionista; 2) il territorio della Cisgiordania; 3) la Striscia di Gaza. Gli ultimi due sono stati occupati da Israele durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967. Si afferma inoltre che oggi circa 1,5 milioni di palestinesi vivono come cittadini di Israele. Pertanto, i palestinesi costituiscono circa il 20% della popolazione israeliana. Inoltre, circa 2,6 milioni di palestinesi vivono in Cisgiordania, di cui 200.000 a Gerusalemme Est, e circa 1,6 milioni nella Striscia di Gaza (almeno prima dell’attuale genocidio israeliano sui gazani, iniziato nell’ottobre 2023). Tuttavia, sono circa 5,6 milioni i palestinesi che vivono nella diaspora, al di fuori della Palestina, principalmente in Libano, Siria e Giordania.

Tra tutti i gruppi della diaspora palestinese, il più numeroso (circa 2,7 milioni) vive in Giordania (senza considerare il territorio della Cisgiordania che legalmente apparteneva al Regno di Giordania). Molti di loro vivono ancora nei campi profughi istituiti nel 1949, mentre altri sono diventati abitanti delle città. Alcuni rifugiati palestinesi si sono rifugiati in Arabia Saudita o in altri Stati arabi del Golfo, mentre altri si sono trasferiti in altri Paesi del Medio Oriente o nel resto del mondo. Tra tutti gli Stati arabi, solo la Giordania concesse la cittadinanza ai palestinesi che vivevano lì. Questo è diventato, tuttavia, il motivo formale per alcuni ebrei sionisti di sostenere che la Giordania è, di fatto, già uno Stato nazionale dei palestinesi e, quindi, non c’è alcun bisogno di creare uno Stato indipendente di Palestina. D’altra parte, però, molti palestinesi sostengono che gli Stati Uniti sono, fondamentalmente, lo Stato nazionale degli ebrei e, di conseguenza, Israele in Medio Oriente non ha bisogno di esistere (come secondo Stato nazionale degli ebrei).

Tuttavia, la situazione dei rifugiati palestinesi nel Sud del Libano è particolarmente disastrosa, poiché molti libanesi li incolpano della guerra civile che ha rovinato il Paese nel 1975-1991 e, pertanto, chiedono che tutti i palestinesi libanesi siano reinsediati altrove come condizione preliminare per ristabilire la pace nel Paese. Soprattutto i cristiani libanesi sono molto ansiosi di liberare il Paese dai palestinesi musulmani, poiché temono che i palestinesi stiano minando l’equilibrio religioso del Libano.

Palestinesi israeliani

Quando Israele fu proclamato Stato indipendente nel maggio del 1948, all’interno dei suoi confini c’erano solo 150.000 arabi palestinesi. Da un lato, a tutti loro fu concessa la cittadinanza israeliana, cioè automaticamente e con diritto di voto. Tuttavia, dall’altro lato, essi sono stati de facto cittadini di seconda classe (cioè la minoranza etnica e confessionale) proprio per il motivo che Israele è stato ufficialmente definito come Stato ebraico e Stato del popolo ebraico. Gli arabi palestinesi non sono gli ebrei (anche se entrambi sono semiti). La maggior parte dei palestinesi israeliani è stata sottoposta, prima della guerra arabo-israeliana del 1967, all’autorità militare che ha limitato la loro libertà di movimento e altri diritti civili come il lavoro, la libertà di parola, l’associazione, ecc. I palestinesi non potevano essere membri a pieno titolo della federazione sindacale israeliana (l’Histadrut) fino al 1965. Tuttavia, il problema principale era che lo Stato di Israele confiscò circa il 40% della terra palestinese per utilizzarla in progetti di sviluppo. Tuttavia, dalla maggior parte dei progetti di sviluppo dello Stato hanno tratto vantaggio soprattutto gli ebrei israeliani, ma non i palestinesi arabi israeliani.

Una delle rivendicazioni fondamentali degli arabi palestinesi in Israele è che tutte le autorità israeliane li discriminano sistematicamente, assegnando pochissime risorse per l’assistenza sanitaria, l’istruzione, i lavori pubblici, lo sviluppo economico o le risorse per le autorità governative municipali alle terre popolate da arabi. Un’altra affermazione generale è che i palestinesi israeliani sono sistematicamente discriminati anche per il diritto di preservare e sviluppare la loro identità culturale, nazionale e politica. Di fatto, fino al 1967 i palestinesi israeliani sono stati totalmente isolati dal mondo arabo, ma anche molto considerati dagli altri arabi come traditori che hanno lasciato per vivere nell’oppressivo Stato sionista anti-arabo di Israele. Tuttavia, dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, la maggioranza dei palestinesi israeliani è diventata più sicura di sé nella propria identità nazionale arabo-palestinese, soprattutto negli ultimi 20 anni, quando le autorità israeliane sioniste hanno proibito di commemorare la Nakba, ovvero l’espulsione o la fuga di almeno 500.000 arabi palestinesi nel 1948-1949 durante la prima guerra arabo-israeliana.

Dr. Vladislav B. Sotirović
Ex professore universitario
Vilnius, Lituania
Ricercatore presso il Centro di Studi Geostrategici
Belgrado, Serbia
www.geostrategy.rs
sotirovic1967@gmail.com
© Vladislav B. Sotirović 2024
Disclaimer personale: l’autore scrive per questa pubblicazione a titolo privato e non rappresenta nessuno o nessuna organizzazione, se non le sue opinioni personali. Nulla di quanto scritto dall’autore deve essere confuso con le opinioni editoriali o le posizioni ufficiali di altri media o istituzioni.

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25 APRILE: OGGI MENO CHE MAI, di Daniele Lanza

[parte prima: il buco nero*]
“ C’era una volta il Regno d’Italia. Sotto direzione di sua eccellenza il duce (che praticamente gioca a poker col destino di tutta la nazione) si imbarca in una guerra mondiale, conducendola assai modestamente per 3 anni. A metà del conflitto in corso, quando si presagisce la catastrofe imminente, la monarchia tenta furbamente di negoziare un’uscita onorevole dal conflitto – idealmente passando tra le schiere alleate ora vincenti (come cambiare squadra a metà della partita quando capisci chi vincerà): purtroppo però, gli angloamericani non sono integralmente rincretiniti e rigettano compromessi picareschi suggeriti (sorvoliamo ogni dettaglio) e impongono ciò che è naturale nella prospettiva di un vincitore: una RESA INCONDIZIONATA (con libertà da parte italiana di denominarla “armistizio” per motivi di immagine…). Nemmeno l’alto comando germanico è rincretinito purtroppo: ci si accorge molto per tempo delle manovre machiavelliche italiane, al punto che nel giro di 72 ore (tre giorni) dopo l’annuncio radio dell’armistizio hanno occupato metà della penisola e raccolto 1 milione di prigionieri, in blocco, quasi senza combattere. Come a dire, gli italiani cercano di raggirare sia nemici che alleati, ma non gli riesce per nulla nè con uno nè con l’altro.
STOP.
Come vedete ce l’abbiamo fatta: in 1 minuto di lettura siamo arrivati all’ 8 SETTEMBRE
Si parte da qui e non dal 25 aprile: l’armistizio è la matrice di tutto ciò che sarà e di tutto ciò che è stato (perchè la storia verrà riletta retroattivamente sulla base dei valori di cosa viene dopo tale data). Il prologo, il “MATRIX” della società italiana contemporanea.
Da quella sera in cui le trasmissioni radio dell’EIAR riportano a tutta la penisola il comunicato di Badoglio siamo di fronte a un BUCO NERO, un corridoio buio pervaso da una cacofonia assordante, un labirinto ingannevole per ogni singola anima coinvolta.
La società italiana, tutta assieme, transita in questo buco nero per circa 20 mesi, riemergendone soltanto alla conclusione formale del conflitto.
Un risveglio amaro, indescrivibile, colmo di macerie materiali e morali che impone una ridefinizione dell’identità collettiva, ovvero qualcosa di meno eroico e più umile rispetto all’immagine conquistatrice del regno d’Italia a direzione fascista (e abbiamo la repubblica democratica che ben conosciamo). Il problema è che anche in questa forma più “sobria” lo stato ha BISOGNO di eroi, di ricorrenze di patriottismo: qualsiasi stato ne ha bisogno, per darsi un fondamento dignitoso, fiero.
Certo che il caso nostrano nel 1945 è qualcosa di complicato assai come si può intuire: cosa ci sarebbe esattamente da celebrare ?! Una guerra mondiale condotta in modo imbarazzante e perduta in modo eclatante ? Il biennio di zona grigia che ne segue, degenerato in guerra civile ?
Un bel rebus. Altro non si può fare che risolverlo radicalmente e trasformare una sconfitta in una vittoria agli occhi della società che si andrà a governare.
Il triennio di imbarazzante guerra mussoliniana chiaramente non è celebrabile, e men che meno l’8 settembre (che è la fine del fascismo sì, ma è anche una sconfitta nazionale), quindi per forza di cose occorre concentrarsi sul biennio successivo e trovarvi qualcosa di “luminoso” che unisca in qualche modo gli animi, in un’istante – anche fugace – di memoria condivisa che sorvoli le centinaia fi migliaia di repubblichini e lo spartiacque all’interno della resistenza (bianchi, rossi, azzurri, verdi, gialli ed altro).
Beh, un solo momento può aver generato un respiro di sollievo in quasi tutti: quando si annuncia che la guerra sul suolo italiana è finita. Abbiamo il 25 APRILE pertanto. Questa data segna il termine del buco nero di cui parliamo: l’8 settembre e il 25 aprile sarebbero l’Alfa e l’Omega di un determinato percorso a rigore di logica.
Ecco, giusto il “rigore della logica” impone di fare alcune precisazioni al riguardo.
Nota preliminare: la ricorrenza in questione ad analizzarla con maggiore scrupolo, mostra una caratteristica singolare, nel senso che indica la FINE di qualcosa anzichè l’affermarsi di qualcosa (…).
Indica la fine delle zona grigia in cui si transitava da 20 mesi, la consolatoria sensazione che si prova alla fine di un incubo, sì: un “successo” dal carattere passivo – per così esprimersi – che non ha esattamente a vedere con un’oggettiva vittoria sul campo da parte degli italiani medesimi (il cui territorio è liberato dalle forze angloamericane che lo percorrono), anche se la retorica patriottica da allora in avanti imporrà una narrativa che sostiene l’esatto opposto.
L’elemento italiano, nel dato frangente storico – considerato nella sua totalità – sembra più una comparsa sul palcoscenico, una figura di contorno nel contesto di quel confronto finale feroce tra I due veri protagonisti del dramma (l’occidente anglosferico da un lato e l’Imperium continentale germanico dall’altro) cui capita di collidere l’uno contro l’altro proprio sul territorio della penisola, coinvolgendone indirettamente suoi abitanti che si trovano così coinvolti in un gioco più grande di loro e si agitano come tragici figuranti sullo sfondo: l’elemento italiano – per secolare esperienza – fa quello che può, si industria per sopravvivere, si batte, si dispera, ama e odia tutto ciò che si vuole, ma sul piano reale (scevro di retorica) non determina che poco del proprio destino futuro, che è in mano di forze superiori ad esso.
Nessuno può umanamente negare gli atti di valore, di generosità, di dignità che costellano la zona grigia dell’Italia nel 43-45, ma (mi rammarica molto ribadirlo) la realtà materiale fu tutta un’altra.
Una realtà dura questa, molto problematica, in quanto in esatta antitesi con quanto invece si pretende di affermare istituzionalmente con il 25 aprile: “Un popolo – gli italiani – che determina il proprio destino”. Il fulcro necessario, la condicio sine qua non di una qualsiasi narrazione patriottica in qualsiasi paese del mondo ha a che fare con l’autodeterminazione……….quella scintilla di volontarietà che distingue il servo dall’uomo libero.
Eppure – tragicamente – il nodo insolubile si colloca proprio qui: il popolo italiano non si è “liberato”. Non da solo almeno. Non si è liberato nel ventennio 1922-1943, non ha protestato negli anni della guerra, non si è liberato nemmeno nel tragico biennio 43-45, ma piuttosto è stato liberato (c’è una bella differenza) dalle forze alleate che strapparono la penisola al padrone precedente, armato di svastica.
Il popolo italiano “partecipa” attivamente sì, ma ad un processo di liberazione condotto da terzi, cioè da una potenza che ne sta INVADENDO il territorio, collocandolo nella propria sfera di influenza evitando che nazisti prima (o sovietici dopo) lo facciano. Un’influenza che difenderà a conserverà sino ai nostri giorni come si può osservare.
“Partecipazione” quella italiana, la cui natura si presterebbe a tante osservazioni: partecipazione….a favore di chi ? Tanti stavano coi repubblichini. E tra gli stessi resistenti la metà militava sotto la falce e il martello (che negli anni 40 non era quella di Berlinguer, ma quella di Stalin). Quale tipo di democrazia la società italiana ha realmente sostenuto ? Quale memoria condivisa ?
La memoria condivisa non è mai esistita: quanto si è ragginuto alla fine delle ostilità è stata una “tregua democratica” per evitare il collasso totale. Senza intervento esterno non ci sarebbe stato alcun vincitore (e l’intervento esterno non è certo stato effettuato con il beneficio degli italiani come obiettivo). Questo fa del biennio 43-45 più un ENIGMA identitario che non una pagina di storia celebrativa.
25 APRILE: OGGI MENO CHE MAI.
[parte seconda: la facciata*]
Secondo punto.
Nel capitolo precedente si è rievocato mestamente l’8 settembre, ma la retorica recita:” Se la patria muore l’8 settembre, rinasce poi il 25 aprile”.
Nella logica dell’ALFA ed OMEGA, si vorrebbe il 25 aprile come un nuovo inizio, come la conclusione di un tormentato processo di palingenesi di una società differente da quella precedente:
Sarebbe bello credervi, sarebbe consolatorio.
La realtà invece è che la data in questione, malgrado la carica consolatoria che porta in sè, non cessa comunque di essere figlia di una antecedente, ossia di quella catastrofe che fu l’8 settembre. Il 25 aprile può rivestire un valore simbolico per l’opinione pubblica interna (sorvoliamo pure le critiche di principio sollevate nel capitolo avanti), ma NON cambia assolutamente gli equilibri geopolitici che si sono affermati l’8 settembre: in parole altre la società italiana è libera di celebrare la propria libertà sul piano interno, la caduta del fascismo la ritrovata democrazia dei partiti e tutto il resto……….fermo restando che sul piano INTERNAZIONALE della politica estera, lo stato italiano è azzerato. Ha perduto (ceduto) quella parte della propria sovranità permanentemente, come usualmente accade dopo le sconfitte totali.
Morale: le istituzioni del dopoguerra, non potendo dotare il nuovo stato italiano di una sovrastruttura identitaria eroica, fatta di imperi e condottieri, non potendo sugellare tutto questo in una memorabile vittoria storica sul campo…..scelsero tutto quello che gli rimaneva sul momento, ovvero la data di fine dell ostilità sul territorio italiano, momento consolatorio per l’intera società o quasi.
Per riformulare con altre parole: nel voler dare agli italiani una data di riferimento per l’orgoglio nazionale, ma non potendo rifarsi ad un successo geopolitico materiale (che ovviamente non esisteva al termine di una guerra mondiale perduta), si fornì al posto di quest’ultimo l’euforia consolatoria affermatasi nella memoria collettiva verso la FINE del conflitto, negli ultimi giorni dello stesso. Come dire che giocoforza si è passati dalla celebrazione di un’oggettiva vittoria sul campo, alla celebrazione di uno stato d’animo (?!) diffuso nella società (il 25 aprile è questo), adeguatamente arricchito di una sovrastruttura atta ad enfatizzare il ruolo attivo dell’elemento italiano in modo che non passi da spettatore passivo degli eventi che si fa “liberare” da altri o nemmeno che sia “eroe per caso” coinvolto – sempre suo malgrado in cose più grandi di lui (…).
Questa mitologia patriottica nazionale post-fascismo volontariamente o meno traghetta l’intera Italia e la sua società in un equivoco semantico di grandi e gravi proporzioni…..
Il 25 APRILE si celebra una “vittoria” (se vogliamo considerarla tale), che però non fuoriesce dai margini della precedente sconfitta (8 settembre) che si colloca su un ordine di grandezza maggiore (leggere bene, questa è la chiave di tutto): gli equilibri geopolitici affermati dall’armistizio rimangono INALTERATI, a prescindere da cosa le istituzioni italiane democratiche decidono di celebrare. Il 25 aprile è quindi un evento che necessariamente si colloca entro I margini dello schema geopolitico angloamericano (successivamente “Atlantico”) senza alcun margine di autonomia: una data celebrativa ad uso e consumo esclusivamente INTERNO, una soddisfazione esclusivamente morale che nessun peso riveste nei reali rapporti di forza geopolitici che costituiscono la realtà internazionale.
Come dire “Lo stato italiano può comportarsi come vuole in politica interna e fare la celebrazioni che vuole: in materia estera tuttavia è e resta un satellite”.
Questa è la libertà “atlantica” che il biennio 43-45 ha portato alla penisola.
Da qui in avanti, tutto alla coscienza di chi legge (di seguito le varianti):
1 – coloro che criticheranno radicalmente ogni affermazione di questi interventi, scegliendo di continuare ad identificarsi nella retorica convenzionale con cui sono cresciuti.
2 – coloro che in fondo comprendono la realtà delle cose (senza dirlo ad alta voce) ma ai quali in fondo va bene così poiché si identificano con l’occidente atlantico e non auspicano ad altri sistemi, accettando anche l’assenza di sovranità italiana.
3 – coloro che ammettono la perdita di sovranità geopolitica, ma che in fondo non gli importa, che lo considerano un male necessario o in fondo un bene per punire l’Italia del passato imperialista.
4 – coloro che si identificheranno in quanto scrivo, ma con fondato timore di essere poi considerati fascisti ed altro a causa del non ossequio alla religione civile.
Si potrebbe continuare a lungo ma scelgo invece di fermarmi qui (…).
Da molti anni mi esprimo in merito al 25 aprile – da 100 angolature differenti – alle volte con più energia, altre con noia ed altre ancora non lo faccio proprio. Chi mi segue da sempre sa come la penso, pertanto se scrivo ancora qualcosa è per gli tutti gli altri, ma a anche così a questo punto non serve proseguire: chi voleva davvero comprendere l’ha fatto……..altrimenti non ha senso continuare.
Io NON celebro il 25 aprile.
Non nel senso di esserne CONTRO, collocandomi quindi con quelle che lo avversano da sempre (neofascisti), ma in un senso assai più radicale: io ne sono ontologicamente FUORI. Il 25 aprile non è una vittoria, ma una conseguenza di un danno di magnitudo maggiore avvenuto anteriormente (8 settembre). Chiunque fosse uscito “vincitore” da quel 25 aprile non lo sarebbe stato che di facciata: se avessero prevalso I repubblichini l’Italia sarebbe stata un satellite nazista di Berlino. Se avessero vinto gli angloamericani, sarebbe diventata una base atlantica nel Mediterraneo (è andata in porto questa variante). Non esiste una variante alternativa dove l’interesse italiano (indipendente) si afferma…….ma questo forse – se si vuole scavare ancora più in profondità – è una problematica le cui radici risalgono a molto prima e che vedono al centro una profondissima debolezza della politogenesi e dell’identità collettiva italiana di fondo: quella debolezza che nasce da un’imperfetta unità raggiunta nel secolo ancora precedente, che da vita ad un’identità ricca di ambizioni, ma fragile nel suo insieme, una grande FACCIATA incorniciata dell’azzurro dei Savoia (per I quali era la maggiore creazione) che permise ad un dittatore carnevalesco dalla mascella squadrata di inquadrarla per 20 anni (costruendo sulla superficie di tale facciata – insufficiente a gestire l’era dei movimenti di massa – un’ulteriore facciata sovrapposta ad essa, in camicia nera). Discorsi lunghi e già fatti da gente infinitamente più importante di me.
CONCLUSIONE: la matrice ATLANTICA di cui è intrisa l’identità italiana post-bellica, la simbiosi che si attua dal dopoguerra ad oggi percorrendo tre generazioni ormai, non è in grado di rappresentare la visione del mondo di cui sono portatore. D’altro canto ho un’altra cittadinanza adesso, che mi permette, moralmente, di vedere I fatti da una distanza che rende il tutto più nitido.
I gravi eventi geopolitici che stanno ridefinendo gli equilibri del mondo in questi anni, ne sono il banco di prova: lo stato italiano di fronte all’eventualità di un confronto NUCLEARE non ha nemmeno la possibilità di tirarsene fuori (non dico andare contro Washington, no, ma nemmeno di essere neutrale, come qualsiasi stato libero potrebbe fare. Il diritto di BASE di una sovranità geopolitica: la libertà di non essere trascinati a combattere in conflitti altrui).
Tutti I nodi vengono al pettine e quelli di 80 anni fa ce li troviamo davanti adesso: I nostri “liberatori” dell’era nazifascista, esigono ancora adesso, a molti decenni di distanza una fedeltà che contrappone lo stato italiano a “nemici” che non sarebbero tali in altre circostanze: I nemici geopolitici dell’anglosfera (USA/UK) sono diventati per meccanismo obbligato anche nemici dell’Italia. E pazienza finchè erano stati del terzo mondo, pazienza (ma già un po meno) sinchè erano gruppi terroristici……….ma ora si è passati anche alle maggiori potenze nucleari e convenzionali sul pianeta (Mosca e Pechino).
Sì, il 25 APRILE è attuale, attualissimo, nel senso che il passato – la sua eredità – ce la ritroviamo davanti agli occhi oggi, in tutta la sua pericolosità.
Come ogni anno auguro ad ognuno che mi segue dalla penisola, un buon 25 aprile: vi posso comprendere pur rimanendo delle mie opinioni. Mi auguro soltanto che ci si renda conto di cosa realmente significa e dove ci porta.
Andiamo oltre le facciate, ma proprio TUTTE: superata quella azzimata della monarchia, quella in camicia nera di Mussolini…..anche quella dell’indipendenza della repubblica democratica (incorniciata del blu atlantico) lo è, purtroppo.
Che coloro che vi liberarono dal nazifascismo facendo finire la seconda guerra mondiale…..non vi trascinino – 80 anni dopo – nella terza.
Il migliore augurio, di più non posso fare.
G. Meloni : “LA FINE DEL FASCISMO POSE LE BASI DELLA DEMOCRAZIA”.
Certamente.
Vi erano milioni di iscritti al partito nazionale fascista e poi -a guerra finita – vi furono milioni di tranquilli democratici (in molti casi i dati anagrafici coincidevano).
La democrazia a sua volta ha posto le basi per la fine del pianeta complice confronto nucleare globale.
Giorgia, mi domando quanti “ferventi democratici” come te vi siano in parlamento.
Della costituzione più bella del mondo non parlo perchè non sono ancora pronto per una denuncia per vilipendio (tuttavia sarebbe un’idea).
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Stati Uniti! La coperta troppo corta di un impero Con Gianfranco Campa

La leadership statunitense dominante inizia a presagire che la coperta di cui dispone non è sufficiente a coprire l’attuale impero. Una crisi, quindi, da sovraestensione cui porre in qualche maniera rimedio. I dilemmi da risolvere sono drammatici. Si tratta di consolidare con polso ferreo il controllo sull’area accessibile del proprio impero sul quale esercitare egemonia diretta ed estrazione spietata di risorse; il capro espiatorio designato è, a questo punto, l’Europa con la piena accondiscendenza delle sue élites. Si tratta di ridurre e concordare con i nuovi contendenti nell’agone internazionale, in primo luogo la Cina, le dinamiche di una globalizzazione dalla quale la formazione sociale degli Stati Uniti non può prescindere in tempi storicamente ragionevoli, pena il collasso interno, ma dalla quale anche la Cina potrebbe subire sconquassi traumatici in caso di collasso della intera rete costruita in questi ultimi decenni. La recente intervista alla Segretaria all’economia Raimondo, recentemente pubblicata, dietro la maschera dell’oltranzismo parossistico, cerca di delimitare, appunto, i confini di questo scontro http://italiaeilmondo.com/2024/04/23/cina-stati-uniti-capire-la-dottrina-raimondo-di-alessandro-aresu/ , in verità troppo ristretti per l’attuale leadership cinese. Un nodo gordiano quasi impossibile da sciogliere e del quale sembra approfittare sul piano dei consensi popolari Donald Trump parallelamente però al crescere della stretta soffocante della piovra tentacolare dei centri di potere che cercherà di soffocarlo presto o tardi. Nel frattempo sia in Europa, il polacco Duda oltre allo scontato Orban, che il leader liberale in Giappone, figure politiche inaspettate sembrano cogliere il vento che spira oltreatlantico. Opportunismo e trasformismo di chi? Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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