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L’Equilibrio Precario del Policentrismo Globale: Il Ruolo dell’Europa_di Alberto Cossu

L’Equilibrio Precario del Policentrismo Globale: Il Ruolo dell’Europa

Autore: Alberto Cossu – 03/12/2025

L’Equilibrio Precario del Policentrismo Globale: Il Ruolo dell’Europa

Le dinamiche geopolitiche del 2025 hanno consolidato una realtà complessa in cui l’ordine internazionale si muove verso un assetto policentrico o multicentrico e dove potenze come l’India giocano un ruolo di bilanciamento fondamentale. Il Partenariato Strategico Privilegiato tra India e Russia, con il 23° Summit Annuale tra Vladimir Putin e Narendra Modi , dimostra di essere un pilastro di questa nuova architettura. Comprendere questa interazione, in particolare nel suo impatto sui rapporti con Washington e Pechino, è essenziale per definire il futuro strategico dell’Europa.

La “Politica dell’Opzionalità” di Nuova Delhi

Il Summit Putin-Modi di dicembre 2025 ha riaffermerà l’impegno reciproco, mettendo in luce l’abilità di Nuova Delhi di esercitare la sua autonomia strategica. L’India, pur essendo un membro chiave del Quad (che include USA, Giappone e Australia) e un partner indispensabile nella strategia di contenimento della Cina nell’Indo-Pacifico, non ha permesso che le pressioni occidentali la costringessero ad abbandonare il suo storico alleato russo.

La Russia è rimasta il principale fornitore di armamenti dell’India, un dato che va oltre il mero commercio di armi. Riguarda l’interoperabilità dei sistemi, i contratti di manutenzione a lungo termine e la licenza di produzione in loco che sostiene l’industria della difesa indiana. La discussione sui sistemi S-400 durante il Summit è l’esempio più lampante di come questo legame sfidi la normativa CAATSA (Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act) degli Stati Uniti.

L’acquisto di petrolio russo scontato è stata una mossa economicamente pragmatica per l’India, che ha minimizzato l’impatto dell’inflazione globale sui suoi cittadini. L’accelerazione degli accordi per l’uso di valute locali (come la Rupia e il Rublo) e lo sviluppo di canali di pagamento alternativi al sistema SWIFT, come l’integrazione di RuPay e Mir, sono passi concreti verso la de-dollarizzazione. Queste azioni non solo aggirano le sanzioni occidentali, ma costituiscono anche la base infrastrutturale per il nuovo ordine policentrico.

Questo “Partenariato Strategico Privilegiato Speciale” non è solo bilaterale; esso rappresenta per l’India la leva diplomatica per ottenere migliori condizioni di partnership da parte degli Stati Uniti e dell’Europa, sfruttando il principio della diversificazione dei rischi.

Il Complesso Triangolo USA-India-Cina

L’asse India-Russia si interseca in modo critico con la principale frizione geopolitica del nostro tempo: la competizione strategica tra Stati Uniti e Cina.

L’India: Bilanciere Strategico

Per gli Stati Uniti, l’India è il contrappeso essenziale alla crescente egemonia cinese nell’Indo-Pacifico. Washington è disposta a tollerare la relazione indo-russa finché Nuova Delhi mantiene una posizione di non-allineamento favorevole agli interessi occidentali contro Pechino.

Tuttavia, le frizioni economiche non mancano. La decisione della Casa Bianca di imporre dazi o imposte speciali (talvolta soprannominate “tassa-Putin”) sull’importazione di prodotti indiani realizzati con energia o materiali russi, ha messo a dura prova la partnership. Questa mossa è percepita da Nuova Delhi come un tentativo di forzare la sua mano e ridurne l’autonomia, spingendola paradossalmente verso una maggiore cooperazione economica con Russia e Cina attraverso piattaforme come i BRICS e la SCO.

L’altra faccia del policentrismo è il potenziale riavvicinamento pragmatico tra India e Cina. Nonostante le dispute territoriali irrisolte sull’Himalaya, Nuova Delhi e Pechino condividono un interesse convergente nel limitare l’influenza economica e normativa occidentale. La Cina vede nella partnership indiana con la Russia un rafforzamento del blocco non-occidentale, sebbene la sua ambizione egemonica ponga limiti strutturali alla piena fiducia indiana.

L’elemento chiave è la sovranità digitale ed economica. Tutti e tre i Paesi (India, Russia, Cina) lavorano per creare strutture finanziarie e tecnologiche immuni dal controllo giurisdizionale occidentale, accelerando la frammentazione del sistema globale.

L’Europa nel Mondo Policentrico: La Necessità di una “Terza Via”

In questo scacchiere in evoluzione, l’Europa si trova in una posizione strategica fragile. La guerra in Ucraina e le conseguenti sanzioni alla Russia hanno costretto l’Unione Europea a valutare drasticamente la sua dipendenza energetica e autonomia strategica.

L’Europa è ancora largamente dipendente dalla sicurezza fornita dagli USA (tramite la NATO). La sua politica estera, in particolare verso Russia e Cina, è spesso allineata con Washington, riducendo la sua capacità di agire come polo autonomo.

 L’Europa ha un forte interesse a stabilire partnership strategiche con l’India (per la democrazia, la tecnologia e il mercato). Tuttavia, la posizione rigida sull’Ucraina rende difficile per l’UE costruire un vero ponte con Nuova Delhi. Finché l’Europa condanna in modo inequivocabile gli acquisti di petrolio russo o la cooperazione militare indo-russa, non può ambire a sostituire la Russia come fornitore di difesa o come partner energetico di fiducia.

La Visione del “Policentrismo Europeo”

Per avere un ruolo da protagonista, l’Europa non può limitarsi a essere un satellite strategico degli Stati Uniti. Deve sviluppare una sua “terza via”, un policentrismo europeo basato su tre pilastri:

  1. Autonomia Strategica e di Difesa: Investimenti in tecnologia della difesa, cyber-sicurezza e un’industria militare continentale coesa. L’Europa deve essere in grado di difendere i propri confini e interessi senza l’approvazione automatica o il sostegno necessario di Washington.
  2. Diplomazia Attiva: L’Europa deve smettere di porre l’adesione totale alle sue sanzioni come precondizione per la cooperazione con potenze medie come l’India, il Brasile o i Paesi africani. Deve invece offrire partenariati che rispettino l’autonomia strategica di questi Paesi. Ad esempio, nel commercio di chip o di energia pulita, l’Europa può offrire condizioni e catene di fornitura più stabili e meno politicamente vincolanti di quelle cinesi o americane. E’ fondamentale sviluppare soluzioni diplomatiche e non alimentare contrapposizioni.
  3. Potenza Normativa: L’UE è una potenza normativa globale. Deve utilizzare questa forza per plasmare la governance di settori chiave come la tecnologia, l’intelligenza artificiale  offrendo un modello alternativo sia al capitalismo cinese che a quello americano.

Conclusione

Il dibattito tra unipolarismo, multipolarismo e policentrismo non è più meramente teorico; è la realtà operativa del 2025.

L’Unipolarismo (dominato dagli USA dopo il 1991) è in fase di rapido declino.

Il Multipolarismo (spesso inteso come una struttura con pochi, grandi blocchi) non descrive pienamente la fluidità attuale.

Il Policentrismo è il modello più accurato per descrivere l’esistenza di molteplici centri di potere, regionali e tematici, che non sono sempre allineati in blocchi rigidi. L’India è un centro di potere autonomo (sia militare che economico), così come lo sono il Brasile, la Turchia e, potenzialmente, l’Europa.

La persistenza del partenariato India-Russia è la manifestazione più evidente che questi centri di potere apparentemente “minori” eserciteranno la loro sovranità, anche a rischio di tensioni con gli attori maggiori.

Per l’Europa, il futuro non risiede nel tentativo di ripristinare il vecchio ordine mondiale, ma nell’abbracciare il policentrismo e nel ritagliarsi un ruolo di polo di equilibrio e di regolamentazione. L’Europa deve agire come un ponte neutrale, offrendo partnership stabili e basate su regole, diventando l’attore che può dialogare con Nuova Delhi senza imporre ultimatum anti-russi e che può competere con Pechino senza ricorrere al protezionismo estremo di Washington.

La capacità dell’Europa di forgiare una vera autonomia strategica non solo garantirà la sua sicurezza futura, ma determinerà se il policentrismo globale sarà caotico e conflittuale, o se potrà evolvere in un sistema stabile basato su un equilibrio dinamico di interessi e influenze.

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TRUMP E IL RATTO D’EUROPA_di Teodoro Klitsche de la Grange

TRUMP E IL RATTO D’EUROPA

1.0 Le reazioni indispettite delle èlite europee e della stampa loro allineata alle  pagine che Trump ha dedicato all’Europa nel documento National Security Strategy 2025, non sorprendono: né per la reazione né nei di essa modi ed argomentazioni. D’altra parte anche le considerazioni del documento americano erano state in gran parte anticipate nelle precedenti esternazioni di Trump (e di Vance); peraltro, diversamente da quello che il Presidente USA afferma urbi et orbi, ossia tutto e il contrario di tutto a giorni alterni, il pensiero sull’Europa è stabile e immutato. I punti essenziali del quale sono di seguito riepilogati.

1) “L’Europa continentale sta perdendo quota nell’economia globale: è scesa dal 25% del PIL mondiale nel 1990 al 14% attuale — in parte a causa di regolamentazioni nazionali e sovranazionali che soffocano creatività e spirito d’iniziativa. Ma questo declino economico è superato da una prospettiva ancor più grave: quella della cancellazione civile” e questo perché l’attività dell’U.E. e di altri organismi internazionali…” conculcano la libertà politica e la sovranità; ed adottano “politiche migratorie che stanno trasformando il continente e creando conflitti; censura della libertà di espressione e repressione dell’opposizione politica; crollo dei tassi di natalità; perdita delle identità nazionali e della fiducia in sé stessi.

Se le tendenze attuali proseguiranno, il continente sarà irriconoscibile in 20 anni o meno”.

2) Il Presidente afferma di volere “che l’Europa rimanga europea, che ritrovi fiducia civile e abbandoni il suo fallimentare modello di soffocamento regolatorio”. Poi un’altra considerazione realistica “Gli alleati europei godono di un significativo vantaggio in termini di hard power rispetto alla Russia in quasi tutte le misurazioni, tranne che nelle armi nucleari”, perciò l’Europa gode di un vantaggio che  dovrebbe impedire o almeno ridimensionare le (pretese) velleità egemoniche di Putin, se ne deduce.

3) “L’amministrazione Trump si trova in contrasto con funzionari europei che nutrono aspettative irrealistiche sulla guerra e governano in maggioranze instabili, molte delle quali calpestano principi democratici fondamentali per reprimere l’opposizione. Una larga maggioranza degli europei vuole la pace, ma questo desiderio non si traduce in politiche concrete, in larga parte a causa della sovversione dei processi democratici da parte di questi governi”.

4) Tuttavia “l’Europa rimane strategicamente e culturalmente vitale per gli Stati Uniti. Il commercio transatlantico resta uno dei pilastri dell’economia globale e della prosperità americana” pertanto “La diplomazia americana deve continuare a difendere la vera democrazia, la libertà di espressione e la celebrazione senza complessi dei caratteri nazionali europei e della loro storia. L’America incoraggia i propri alleati politici in Europa a promuovere questa rinascita dello spirito, e la crescita dell’influenza dei partiti patriottici europei rappresenta effettivamente un motivo di grande ottimismo.

Il nostro obiettivo deve essere aiutare l’Europa a correggere la sua traiettoria attuale… Vogliamo lavorare con paesi affini che desiderano restaurare la propria grandezza.

Sul lungo periodo, è più che plausibile che entro poche decadi almeno alcuni membri della NATO diventeranno a maggioranza non europea”.

5) La migrazione incontrollata può alterare l’anima dell’Europa. Nelle nazioni ove la maggior parte della popolazione divenisse non europea “è una questione aperta se considereranno il proprio ruolo nel mondo — o la propria alleanza con gli Stati Uniti — nella stessa maniera di coloro che firmarono il Trattato NATO”.

6) Segue un elenco di priorità: Ristabilire condizioni di stabilità interna in Europa e stabilità strategica con la Russia; conseguire autonomia militare, invertire la rotta spirituale. Tra queste interessano soprattutto:

“• Rafforzare le nazioni solide dell’Europa centrale, orientale e meridionale tramite legami commerciali, vendite di armi, collaborazione politica e scambi culturali ed educativi;

• Porre fine alla percezione — e prevenire la realtà — di una NATO in espansione perpetua;

• Incoraggiare l’Europa a contrastare sovracapacità mercantiliste, furti tecnologici, cyber-spionaggio e altre pratiche economiche ostili”.

2.0 I capisaldi del discorso di Trump sull’Europa e di tutto il documento, sono il realismo, il pragmatismo, il ridimensionamento (o il rifiuto) di contrapposizioni ideologiche: tipo quella spesso prediletta di democrazie contro autocrazie. Ossia il contrario (spesso) e, in genere, il diverso da quanto praticato dalle élite europee (al tramonto) nell’ultimo trentennio, anche ispirato dalle amministrazioni USA pre-Trump.

D’altra parte che il capitolo sull’Europa s’intitoli “promuovere la grandezza europea” è anch’essa una considerazione realistica, per due motivi. Il primo che in un pluriverso, è essenziale selezionare i nemici e gli amici: se il nemico è un elemento insopprimibile, occorre provvedersi di amici, perché – come insegnato da millenni di storia, non ci si può contrapporre a tutti, pena la sconfitta e, al limite, l’autodistruzione.

E tra i diversi soggetti politici (Russia, Cina, India) l’intesa è più facile con chi, come Europa e USA, appartengono alla medesima Kultur (civiltà): quella del cristianesimo occidentale, con la separazione di Chiesa e Stato, di questo dalla società civile, del popolo e dei suoi rappresentanti, della libertà e delle proprietà garantite (anche nei confronti dei poteri pubblici).

3.0 Dove la critica di Trump coglie nel segno è nel notare come la pratica governativa della maggior parte dei paesi europei abbia contraddetto gran parte dei principi della civiltà euro-occidentale e della capacità di ripresa..

Il primo luogo con la perdita del rapporto tra vertice politico (governanti) e seguito (in senso lato i governati), il cui segno più evidente è il moltiplicarsi di governi populisti o comunque non allineati alle vecchie élite, in particolare nell’Europa “centrale, orientale e meridionale”. Ma risulta anche  laddove i governi “nuovi” non hanno conseguito la maggioranza negli organi governativi, ma l’hanno tra gli elettori, con la conseguenza della difficile governabilità, come in Francia (malgrado la prevalenza nella quinta Repubblica del pouvoir minoritaire presidenziale-governativo). Mentre nel contempo la dirigenza europea esercita pressione sui governi non allineati, malgrado eletti (e confermati) da maggioranze popolari (come l’Ungheria di Orban) o cercando di non condannare, anzi di agevolare la manomissione del procedimento elettorale (come in Romania).

Tutte pratiche aventi in comune la debolezza di élite dal consenso scemante; ovviamente riuscendo sempre meno a raggiungere lo scopo.

In secondo luogo l’irrealismo di certe politiche: dal cominciare col far passare la Russia come nemica principale, quando è evidente che Putin non ha l’intenzione, e a ben vederer neppure la forza di invadere l’Europa centrale ed occidentale in un conflitto convenzionale (l’uso della superiorità nucleare russa appare ancor più irrealistico). O quello di europeizzare masse di migranti, in particolare islamici: poco propensi ad abiurare. O perseguire obiettivi (Green Deal) in modo autolesionistico (per l’economia).

Inoltre Trump nota il tafazzismo europeo quando, invece dell’orgoglio delle proprie civiltà, istituzioni, valori e cioè della propria identità, ne prova quasi vergogna (qua, però, l’esempio è venuto dagli USA e dalla cancel culture).

Le proposte del documento sull’Europa hanno anche un effetto ironico: dopo che le élite europee avevano favorito l’estensione della NATO (e dell’UE) agli Stati dell’Europa orientale, proprio dell’America viene il prudente (ed evidente) consiglio di non espanderla (dato a suo tempo da tanti altri, tra cui Kissinger). Così i tromboni italiani che hanno auspicato la riduzione della sovranità nazionale – cominciando del “vincolo esterno” – e “guerrafondai” europei (italiani compresi) tutti compiaciuti di aiutare gli ucraini a combattere una guerra (persa) a danno dei combattenti e a spese degli europei, che proprio dal referente principale arrivi il consiglio a calmare i bollenti spiriti e a pensare più realisticamete è sintomatico dell’inadeguatezza di élite decadenti.

Alle quali ciò che (più verosimilmente) dispiace del documento è l’incoraggiamento ad alleati politici e partiti patriottici; suona come un preavviso di sfratto alle élite.

Cosa che ovviamente non sopportano e pour cause: avendo collezionato talvolta sconfitte e talaltrA risultati mediocri, non resta loro che consolarsi con l’esercizio del potere.

E’ il potere per il potere, in luogo del potere per uno scopo (l’interesse generale, della comunità.

Ma non vogliono che lo si “racconti in giro” come ha fatto Trump. E per questo fanno passare le critiche del Presidente americano per spirito antieuropeo nel senso delle comunità, quando il bersaglio ne sono le élite europee decadenti.

Teodoro Klitsche de la Grange

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Donroe: il corollario Trump alla dottrina Monroe_di Le Grand Continent

Donroe: il corollario Trump alla dottrina Monroe

Per raggiungere l’Europa, Trump ha «bisogno» di passare attraverso il continente americano.

Sovvertendo la dottrina Monroe, egli persegue un progetto imperialista esplicito.

Il contesto generale della strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti.

Autore Il Grande Continente

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In occasione dei 250 (?sarebbero 200_nota editoriale) anni della dottrina Monroe, martedì la Casa Bianca ha pubblicato un comunicato ufficiale  1in cui Donald Trump afferma il suo attaccamento a questo pilastro strutturale della politica estera statunitense, ma anche la sua intenzione di attualizzarlo completandolo con un «corollario Trump».

Quando il 2 dicembre 1823 il presidente James Monroe pronuncia il suo discorso sullo stato dell’Unione, gli Stati Uniti sono un paese giovane il cui territorio non ha ancora raggiunto le dimensioni attuali. Un decennio prima, le potenze imperiali iberiche, a lungo predominanti in America, hanno iniziato a crollare, consentendo la nascita di nuovi Stati indipendenti nel continente. 

È in questo contesto che il presidente Monroe annuncia ai suoi concittadini, agli abitanti del continente americano e al resto del mondo che il suo Paese intende ora agire per accelerare e perpetuare questa dinamica di riflusso degli imperialismi esogeni in terra americana. Presentando gli Stati Uniti come garanti dell’indipendenza dell’intero continente americano, avverte le potenze extra-americane che non tollererà più tentativi di predazione imperiale da parte loro sul continente.

La dottrina Monroe è fondamentalmente ambigua. Affermando che gli Stati Uniti proteggeranno d’ora in poi l’indipendenza dell’intero continente americano, essa li rende una potenza che vuole essere fraterna e solidale nei confronti degli altri popoli americani. Questa promessa apparentemente altruistica nasconde in realtà una doppia dimensione egoistica: in primo luogo, gli Stati Uniti decidono di proteggere il loro continente non tanto per aiutare gli altri americani, quanto per garantire la sicurezza dei loro vicini e proteggere se stessi. In secondo luogo, questa dottrina afferma implicitamente che gli Stati Uniti sono per loro natura la potenza egemonica nelle Americhe e sono destinati a rimanere tali.

La dottrina Monroe pretende quindi di vietare le ingerenze extra-americane, e in particolare europee, nell’emisfero occidentale, ma si guarda bene dal menzionare le ingerenze che gli stessi Stati Uniti potrebbero essere indotti a esercitare negli affari degli altri paesi americani. Questa ambiguità apre una breccia nella quale si inserisce nel 1904 il presidente Theodore Roosevelt.

Aggiungendo il suo “corollario” alla dottrina Monroe, afferma il diritto degli Stati Uniti di intervenire ovunque lo ritengano necessario in America per difendere meglio il continente dalle minacce che il resto del mondo potrebbe rappresentare per esso. La violazione da parte degli Stati Uniti della sovranità degli altri Stati americani viene così presentata come un male necessario, il prezzo da pagare per garantire l’indipendenza del continente americano dal resto del mondo.

Mentre la dottrina Monroe intendeva sacralizzare l’indipendenza degli Stati americani rispetto al resto del mondo, il corollario Roosevelt sancisce la preminenza di uno di essi – gli Stati Uniti – sugli altri.

Nell’interpretazione che Trump dà della dottrina Monroe, si osserva lo stesso slittamento, che si discosta in modo ancora più radicale dal suo significato originario.

Il 2 dicembre 1823, la dottrina della sovranità americana fu scolpita nella pietra quando il presidente James Monroe dichiarò alla nazione una semplice verità che ha risuonato attraverso i secoli: gli Stati Uniti non mancheranno mai di difendere la loro patria, i loro interessi o il benessere dei loro cittadini.

A differenza di molti dei suoi predecessori, Donald Trump non cerca di sfruttare l’ambiguità consentita dall’aggettivo inglese american: la «sovranità americana» che celebra è chiaramente quella dei soli Stati Uniti e non dell’intero continente americano. Ciò che gli sta a cuore sono la patria, gli interessi e il benessere dei soli cittadini statunitensi.

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Il 2 dicembre 1823, la dottrina della sovranità americana fu scolpita nella pietra quando il presidente James Monroe dichiarò alla nazione una semplice verità che ha risuonato attraverso i secoli: gli Stati Uniti non mancheranno mai di difendere la loro patria, i loro interessi o il benessere dei loro cittadini.

A differenza di molti dei suoi predecessori, Donald Trump non cerca di sfruttare l’ambiguità consentita dall’aggettivo inglese american: la «sovranità americana» che celebra è chiaramente quella dei soli Stati Uniti e non dell’intero continente americano. Ciò che gli sta a cuore sono la patria, gli interessi e il benessere dei soli cittadini statunitensi.

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Oggi, la mia amministrazione ribadisce con orgoglio questa promessa nell’ambito di un nuovo «corollario Trump» alla dottrina Monroe: sarà il popolo americano, e non le nazioni straniere o le istituzioni globaliste, a controllare sempre il proprio destino nel nostro emisfero.

La formula «corollario Trump» è un riferimento diretto al corollario Roosevelt del 1904. In entrambi i casi, si tratta di modificare la politica estera degli Stati Uniti. Tuttavia, questo cambiamento non viene presentato come una novità, ma come un semplice aggiornamento, che deriverebbe dalla dottrina Monroe senza metterla fondamentalmente in discussione.

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Più di due secoli fa, il presidente Monroe proclamò davanti al Congresso americano quella che oggi è conosciuta come la “dottrina Monroe”, una politica audace che respingeva l’ingerenza delle nazioni lontane e affermava con sicurezza la leadership degli Stati Uniti nell’emisfero occidentale.

Donald Trump espone qui un’interpretazione imperialista della dottrina Monroe. A differenza di alcuni suoi predecessori, non cerca di presentarla come un’opposizione di principio alle ingerenze straniere in America: le uniche che denuncia sono quelle provenienti da «nazioni lontane», in altre parole non americane. Questo è un modo per legittimare implicitamente le ingerenze vicine, ovvero quelle provenienti dagli stessi Stati Uniti.

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«I territori americani, in virtù della libertà e dell’indipendenza che hanno acquisito e mantenuto, non devono più essere considerati oggetto di futura colonizzazione da parte di alcuna potenza europea», dichiarò il presidente Monroe. Grazie a queste parole potenti, tutte le nazioni hanno compreso che gli Stati Uniti d’America stavano diventando una superpotenza senza precedenti nella storia del mondo e che nulla avrebbe mai potuto competere con la forza, l’unità e la determinazione di un popolo amante della libertà.

Donald Trump offre qui una lettura anacronistica della dottrina Monroe.

Quando questa dottrina fu enunciata, gli Stati Uniti erano ben lungi dal disporre dei mezzi per applicarla: numerose potenze europee conservavano allora delle colonie in America. Per decenni, queste potenze continuarono a intervenire negli affari americani senza che gli Stati Uniti potessero opporsi.

È solo nel XX secolo che gli Stati Uniti sono diventati la «superpotenza» di cui parla Donald Trump, trasformando in realtà le raccomandazioni del presidente Monroe.

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Nei secoli successivi, la dottrina della sovranità del presidente Monroe ha protetto i territori americani dal comunismo, dal fascismo e dalle aggressioni straniere. In qualità di 47° presidente degli Stati Uniti, ribadisco con orgoglio questa politica collaudata nel tempo. Da quando sono entrato in carica, ho condotto una politica aggressiva che dà priorità all’America e promuove la pace con la forza. Abbiamo ripristinato l’accesso privilegiato degli Stati Uniti al Canale di Panama. Stiamo ristabilendo il dominio marittimo americano. Stiamo ponendo fine alle pratiche non conformi al mercato nei settori della catena di approvvigionamento internazionale e della logistica.

In questo paragrafo, Donald Trump inserisce la sua politica nella scia di quella di Theodore Roosevelt piuttosto che in quella di James Monroe. La «politica aggressiva» che rivendica fa infatti eco al «grande bastone» (big stick) con cui Roosevelt minacciava coloro che avessero osato opporsi alla potenza degli Stati Uniti.

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La mia amministrazione sta anche mettendo fine al traffico di droghe letali che transita attraverso il Messico, all’invasione di immigrati clandestini lungo il nostro confine meridionale; stiamo smantellando le reti narcoterroristiche in tutto l’emisfero occidentale. Al fine di difendere i lavoratori e le industrie della nostra nazione, ho recentemente concluso accordi commerciali storici con El Salvador, Argentina, Ecuador e Guatemala, consentendo un accesso più ampio e fluido al mercato. Rinvigorita dal mio corollario Trump, la dottrina Monroe è viva e vegeta, e la leadership americana sta tornando, più forte che mai.

In questo paragrafo, Donald Trump giustifica la sua politica ingerente e aggressiva in America Latina presentandola come derivante dai principi enunciati nel 1823 da Monroe, che egli si assume il diritto di reinterpretare aggiungendovi quello che definisce un «corollario Trump».

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Oggi rinnoviamo il nostro impegno a mettere sempre al primo posto la sovranità, la sicurezza e l’incolumità degli Stati Uniti. Soprattutto, ci impegniamo a proteggere la nostra preziosa eredità nazionale di autonomia repubblicana da ogni minaccia, sia esterna che interna.

Il riferimento alle «minacce interne» contro il patrimonio nazionale statunitense costituisce una forma di distorsione della dottrina Monroe, che era orientata alla prevenzione delle minacce non solo extra-statunitensi, ma anche extra-americane. Donald Trump sta cercando di utilizzare la dottrina Monroe per giustificare la sua politica interna repressiva nei confronti dei suoi oppositori.

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Fonti
  1. America 250 : Messaggio presidenziale in occasione dell’anniversario della Dottrina Monroe, Maison-Blanche, 2 dicembre 2025.
  2. America 250: Messaggio presidenziale in occasione dell’anniversario della Dottrina Monroe
  3. Proclamazioni
  4. 2 dicembre 2025
  5. Il 2 dicembre 1823, la dottrina della sovranità americana fu immortalata in prosa quando il presidente James Monroe dichiarò davanti alla nazione una semplice verità che ha risuonato attraverso i secoli: «Gli Stati Uniti non vacilleranno mai nella difesa della nostra patria, dei nostri interessi o del benessere dei nostri cittadini». Oggi, la mia amministrazione ribadisce con orgoglio questa promessa con un nuovo “Corollario Trump” alla Dottrina Monroe: il popolo americano, e non le nazioni straniere né le istituzioni globaliste, controllerà sempre il proprio destino nel nostro emisfero.
  6. Più di due secoli fa, il presidente Monroe proclamò davanti al Congresso degli Stati Uniti quella che oggi è conosciuta come la leggendaria “Dottrina Monroe”, una politica audace che rifiuta l’ingerenza straniera di nazioni lontane e afferma con sicurezza la leadership degli Stati Uniti nell’emisfero occidentale. “I continenti americani, grazie alla condizione di libertà e indipendenza che hanno assunto e mantengono, non devono più essere considerati soggetti a futura colonizzazione da parte di alcuna potenza europea”, dichiarò il presidente Monroe. Con queste parole potenti, ogni nazione capì che gli Stati Uniti d’America stavano emergendo come una superpotenza diversa da qualsiasi altra mai vista prima al mondo e che nulla avrebbe mai potuto rivaleggiare con la forza, l’unità e la determinazione di un popolo amante della libertà.
  7. Nei secoli successivi, la dottrina della sovranità del presidente Monroe ha protetto il continente americano dal comunismo, dal fascismo e dalle violazioni straniere e, in qualità di 47° presidente degli Stati Uniti, sono orgoglioso di riaffermare questa politica consolidata nel tempo. Da quando sono entrato in carica, ho perseguito con determinazione una politica di pace attraverso la forza che mette al primo posto l’America. Abbiamo ripristinato l’accesso privilegiato degli Stati Uniti attraverso il Canale di Panama. Stiamo ristabilendo il dominio marittimo americano. Stiamo smantellando le pratiche non di mercato nella catena di approvvigionamento internazionale e nei settori logistici.
  8. La mia amministrazione sta inoltre bloccando il flusso di droghe letali che attraversano il Messico, ponendo fine all’invasione di immigrati clandestini lungo il nostro confine meridionale e smantellando le reti narcoterroristiche in tutto l’emisfero occidentale. Per difendere i lavoratori e le industrie della nostra nazione, ho recentemente concluso accordi commerciali storici con El Salvador, Argentina, Ecuador e Guatemala, consentendo un accesso al mercato più ampio e semplificato. Rinvigorita dal mio Corollario Trump, la Dottrina Monroe è viva e vegeta e la leadership americana sta tornando più forte che mai.
  9. Oggi rinnoviamo il nostro impegno a difendere sempre la sovranità, la sicurezza e l’incolumità degli Stati Uniti. Soprattutto, promettiamo di proteggere la nostra preziosa eredità nazionale di autogoverno repubblicano da ogni minaccia, sia interna che esterna.

Dare un senso all’Après-Ucraina_di Aurélien

Dare un senso all’Après-Ucraina.

Cosa potrebbe significare e cosa potrebbe non significare.

Aurélien11 dicembre
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Ho scritto in diverse occasioni sulle conclusioni più ampie che l’Occidente deve trarre dal suo fallimento politico e militare in Ucraina, e sulla conseguente probabilità di avere come vicino una Russia arrabbiata e potente. Con l’avvicinarsi della conclusione del conflitto, iniziamo a vedere esperti parlare delle “lezioni” che l’Ucraina può offrire all’Occidente, sia in campo politico che militare. Ma, come dimostrerò, trarre “lezioni” dalle crisi non è mai facile, e naturalmente le persone tendono a trarne insegnamenti che le confortano e rafforzano la fiducia nelle proprie capacità di anticipazione, nella propria attuale posizione politica, o in entrambe. Ho quindi pensato che potesse essere utile fare oggi un’analisi preliminare del territorio e cercare di definire quali siano, a mio avviso, i problemi principali e dove probabilmente si svilupperanno incomprensioni e conflitti politici. Come al solito, non vedo alcun motivo di cercare di fare previsioni definitive.

Dobbiamo innanzitutto comprendere che trarre “lezioni” da qualsiasi crisi politica o militare è problematico per vari motivi, al punto che alcuni paesi occidentali hanno riconosciuto che è meglio parlare più modestamente di “lezioni identificate” piuttosto che di “lezioni apprese”. Le ragioni sono abbastanza ovvie: le “lezioni” potrebbero essere impossibili da seguire per ragioni di risorse, finanziarie o politiche, potrebbero essere in conflitto con altri imperativi altrettanto importanti e, sorprendentemente spesso, non c’è accordo nemmeno su quali siano queste lezioni. Inoltre, l’idea di “trarre lezioni” implica che esse saranno applicabili, in tutto o in parte, ad altre crisi che si presenteranno in futuro (e che tali crisi, di fatto, si presenteranno), e quindi vale la pena di impararle. Altrimenti non ha senso. Pertanto, le proposte di “trarre lezioni” dall’Ucraina implicano che crisi almeno in parte simili si presenteranno in futuro e, come vedremo, non è necessariamente così.

Alcune lezioni tecniche sono state storicamente semplici da identificare e attuare. Per il Regno Unito, l’operazione delle Falkland ne ha fornite alcune, sostanzialmente incontestabili. Ad esempio, gran parte della costruzione delle navi era in alluminio, materiale che brucia facilmente. Allo stesso modo, la sovrastruttura delle navi presentava molti spigoli vivi, il che aumentava la traccia radar, e infine molti dei decessi e dei feriti erano correlati al fumo, e non esisteva alcun sistema per impedire la diffusione di fumi tossici. La marina britannica e altre marine furono in grado di affrontare questi problemi immediatamente o nel corso di ristrutturazioni e nuove costruzioni. Gli inglesi si resero anche conto che il loro sistema decisionale in caso di crisi era troppo diffuso e incoraggiava lotte politiche (assomigliava in qualche modo al sistema statunitense odierno) e introdussero un sistema molto più centralizzato qualche anno dopo.

Ma nella maggior parte dei casi, le “lezioni” sono meno tecniche e meno ovvie, e la loro applicazione ancora meno. È facile sovrainterpretare le “lezioni” di una crisi tanto quanto ignorarle. Proprio come i militari sono abituati a essere accusati simultaneamente di non imparare dall’esperienza da un lato e di combattere sempre l’ultima guerra dall’altro, così la stessa critica può essere ragionevolmente rivolta ai tentativi dei governi di trarre insegnamenti dalle crisi in senso più generale.

Non essendo un esperto militare, tralascerò le questioni molto tecniche, su cui comunque sussistono notevoli divergenze. Inoltre, il modo in cui vengono poste queste domande spesso non è molto utile e spesso coinvolge feticisti delle armi che si sbandierano statistiche sulle prestazioni a vicenda. In definitiva, il punto non è se il previsto FX69 o il previsto Su-141 siano caccia “migliori”, a meno che non si consideri lo scenario generale. Se i combattimenti aerei (anche se a lunghissimo raggio) saranno una caratteristica dei conflitti futuri e questi aerei previsti saranno coinvolti, allora le caratteristiche prestazionali avranno il loro peso. Ma sappiamo, ad esempio, che la dottrina russa per la superiorità aerea si basa in larga misura sui missili e, anche se l’FX69 fosse stato per certi versi “migliore” al momento del suo ingresso in servizio, potrebbe non essere abbastanza vicino agli aerei russi da rendere tale superiorità utile. Le vere lezioni da trarre da crisi e conflitti si trovano sempre a un livello più generale.

Si consideri, ad esempio, un tentativo di prevedere l’esito della Battaglia d’Inghilterra del 1940 semplicemente confrontando le caratteristiche prestazionali degli aerei coinvolti. Questo avrebbe tralasciato le principali ragioni per cui gli inglesi vinsero: il radar, un comando operativo centralizzato, la profondità strategica (dato che la RAF poteva spostare i suoi caccia a nord), il fatto che i piloti tedeschi sopravvissuti all’abbattimento andarono effettivamente perduti mentre i piloti britannici no, ecc. ecc. Né si dovrebbe dimenticare la decisione politica di riarmare ed espandere la RAF. Alcuni dettagli prestazionali erano rilevanti (come la limitata autonomia dei caccia tedeschi), ma erano ben lontani dall’essere l’intera questione. E anche se, ad esempio, i russi avessero studiato attentamente la Battaglia d’Inghilterra (e non c’è traccia del loro contributo), le “lezioni” sarebbero state impossibili da applicare in Unione Sovietica, dove la situazione era molto diversa.

Quindi, detto questo, passiamo all’Ucraina, ripetendo l’importantissima condizione che le “lezioni” hanno valore solo se possiamo aspettarci futuri conflitti con almeno alcune delle stesse caratteristiche, e se è probabile che le “lezioni” siano ragionevolmente durature, dati gli enormi costi e tempi necessari per sviluppare e adattare l’equipaggiamento militare. Per quanto riguarda il primo punto, dobbiamo ricordare che l’Ucraina è un tipo di conflitto molto specifico. Innanzitutto, si combatte su un’area vasta e relativamente urbanizzata, dotata di fortificazioni e di una consistente infrastruttura ereditata dall’Unione Sovietica. Si combatte su diversi tipi di terreno, con condizioni meteorologiche che vanno dal caldo estivo alla neve invernale. (Ricordate le mie osservazioni su Clausewitz e l’importanza del “Paese”). Si combatte tra due nazioni tecnologicamente avanzate con industrie di difesa autoctone, i cui equipaggiamenti sono simili, e in alcuni casi identici, e in gran parte derivanti dalla stessa tradizione tecnologica. Si combatte tra Paesi con una tradizione militare comune e la capacità di condurre operazioni terrestri e aeree su larga scala (meno influenzate dall’Occidente nel caso dell’Ucraina di quanto a volte si pensi), e tra Paesi in cui il patriottismo e la volontà di combattere per il proprio Paese sono ancora forze politiche. E infine, si combatte tra il Paese più grande del mondo, sostanzialmente autosufficiente economicamente e con il tacito consenso della Cina, e un Paese più piccolo sostenuto finanziariamente e militarmente dall’intero mondo occidentale.

Quindi, ovviamente, le probabilità che la stessa situazione si verifichi altrove sono pari a zero. La domanda, come sempre, è fino a che punto, se mai, le peculiarità del conflitto ucraino siano applicabili a potenziali conflitti altrove. La prima domanda è ovviamente se assisteremo ad altri conflitti di questo tipo in altre parti del mondo. Ci sono diverse sfumature nascoste in questa domanda: la guerra in Ucraina è andata avanti così a lungo perché le due parti sono in grado di arruolare e addestrare grandi eserciti (l’Ucraina, certamente, con più difficoltà) e di rifornirli ed equipaggiarli con scorte e nuova produzione (trasferita nel caso dell’Ucraina). Ciò significa che forze molto ingenti possono combattersi ininterrottamente per anni e, nel caso della Russia, ampiamente compensare le perdite di personale e materiali.

Ora, il luogo più ovvio per una guerra futura del genere è l’Europa contro le forze della NATO, ma è dubbio che lo scenario sia molto probabile. Come spiegherò tra un minuto, è molto difficile immaginare che le forze della NATO si riconfigurino per assimilare le lezioni dell’Ucraina, e in ogni caso non è necessario che i russi attacchino le nazioni della NATO con forze di terra. Possono distruggere le forze della NATO da una distanza di sicurezza con missili e droni. Inoltre, le forze della NATO sono piccole ed è improbabile che aumentino di molto, e le loro scorte di munizioni e logistica si esauriranno nel giro di pochi giorni. (A differenza della Russia, e nonostante gli aumenti pianificati delle scorte, le nazioni della NATO non possono sostituire le loro perdite e i consumi in tempo reale, come può fare la Russia). Quindi uno scontro militare diretto sarebbe, come si dice, bruscamente brutale e breve, anche se la NATO “imparasse le lezioni” dell’Ucraina.

È difficile immaginare guerre di simile portata e intensità altrove nel mondo. Una possibilità è una guerra terrestre che coinvolga le due Coree, dove il livello tecnologico, anche sul versante settentrionale, è generalmente elevato, sebbene il territorio sia molto diverso. Inoltre, sebbene scontri di confine qua e là nel mondo siano ovviamente possibili (India e Pakistan o Cina ne sono esempi esemplificativi), è difficile immaginare una guerra su vasta scala del tipo a cui stiamo assistendo ora. Le guerre tra Eritrea ed Etiopia sono state combattute in passato con armi ad alta tecnologia (seppur a un livello di intensità piuttosto basso) e paesi come Sudan e Algeria utilizzano sistemi moderni ma non hanno nemici evidenti che meritino un conflitto serio. Pertanto, sebbene sia ragionevole affermare che l’Ucraina abbia dimostrato l’importanza della logistica e delle scorte di munizioni per combattere una guerra lunga e ad alta intensità, non è chiaro quante guerre di questo tipo ci saranno effettivamente. (Tuttavia, una presunta guerra tra Stati Uniti e Cina per Taiwan, ammesso che possa realmente verificarsi, avrebbe in comune l’importanza dei numeri e delle grandi scorte, anche se l’ambiente operativo fosse molto diverso.)

Tuttavia, l’esperienza ucraina ha dimostrato l’importanza di aspetti noiosi e banali come il supporto logistico, i rifornimenti e la quantità di armi. L’Occidente non si è mai veramente allontanato dalla mentalità della Guerra Fredda, che prevedeva una guerra futura molto breve e quindi non richiedeva scorte oltre un certo livello. Ma in aggiunta, e in gran parte all’oscuro dell’opinione pubblica, le pressioni di bilancio hanno costretto le nazioni occidentali a ridurre la logistica e il supporto logistico. Questo si è recentemente rivelato molto importante nei conflitti nel Mar Rosso, dove le grandi e costose navi da combattimento di superficie occidentali hanno dovuto essere dislocate perché avevano esaurito tutti i loro armamenti difensivi e perché le marine occidentali ora hanno poca capacità di rifornire le loro navi dispiegate mentre sono in mare con i beni di prima necessità per sopravvivere, figuriamoci con nuove munizioni.

L’idea che i numeri siano fondamentalmente importanti non è certo una novità: proverbi secondo cui Dio sta dalla parte delle grandi forze risalgono al XVIII secolo e potrebbero non essere stati originali allora. Allo stesso modo, l’idea che “la quantità abbia una qualità propria”, erroneamente attribuita a Marx, Clausewitz, Stalin e altri, risale anch’essa a molto tempo fa. Ma l’idea fu espressa in forma matematica un secolo fa dall’ingegnere Frederick Lanchester, che dimostrò che per le forze tecnologiche, dove il combattimento non era solo corpo a corpo individuale, la potenza combattiva delle forze avversarie non era proporzionale al loro numero, ma al quadrato del loro numero. Pertanto, uno scontro esemplificativo tra 50 carri armati da una parte e 25 carri armati dall’altra conferisce alla parte più numerosa non un vantaggio di 2 a 1, ma un vantaggio di 2500 (50*50) rispetto a 625 (25*25), ovvero 4 a 1. Naturalmente la qualità conta molto, ma come mostra questo esempio, al variare dei numeri, anche l’efficacia deve variare molto di più. Nel semplice esempio sopra, la parte più piccola deve essere quattro volte più efficace per essere uguale a quella più grande. Durante la Guerra Fredda, questa era la tattica che l’Armata Rossa intendeva adottare: schierare un numero molto elevato di equipaggiamenti “abbastanza buoni” contro equipaggiamenti NATO qualitativamente superiori, ma schierati in numero molto inferiore. Il sistema di attacchi a scaglioni, in cui le forze migliori venivano inviate inizialmente, seguite da quelle meno capaci, aveva lo scopo di logorare le forze NATO in modo tale che, quando fossero state schierate le forze sovietiche più deboli, la NATO non avrebbe avuto più nulla.

I combattimenti in Ucraina non sono stati proprio così, ma ciò che abbiamo visto è lo stesso principio applicato in modo asimmetrico all’attacco rispetto alla difesa. I russi sono stati in grado di lanciare massicci raid con missili e droni, spesso coinvolgendo 400-500 piattaforme. Tali numeri superano la capacità matematica dei sistemi di difesa di ingaggiarli. I missili di difesa aerea possono ingaggiare un solo bersaglio alla volta e vengono spesso lanciati in coppia, quindi il numero di droni e missili russi (inclusi i decoy) si è trasformato in un vantaggio qualitativo. E qui, poiché una batteria di difesa aerea può sparare solo a un certo numero di bersagli in un dato periodo, non importa, entro limiti ragionevoli, quanto siano efficaci i missili, perché molti attaccanti riusciranno comunque a passare. In parole povere, se una città dispone di sistemi di difesa aerea in grado di ingaggiare tre bersagli in successione ciascuno fino a una certa distanza, e la capacità di lanciare dieci intercettori contemporaneamente, allora se il sistema è così avanzato che il colpo con un solo missile è garantito ogni volta, allora trenta bersagli possono essere ingaggiati e colpiti tra il momento in cui vengono rilevati e il momento in cui arrivano. E se l’attaccante invia un centinaio di droni e missili… avete capito. E in effetti questo è ciò che sembra essere accaduto al largo delle coste dello Yemen e durante il bombardamento iraniano di Israele. Sì, puoi acquistare più sistemi di difesa aerea, ma il tuo avversario può inviare molto più facilmente più missili e droni, e alla fine finirai sempre per esaurire i sistemi difensivi prima che lui esaurisca quelli offensivi.

Il che ci porta, suppongo, ai droni, di cui tutti vogliono parlare ora. E ancora una volta, la questione di quali esperienze ucraine siano trasferibili, e quindi quali “lezioni” si possano trarre, è molto più complessa di quanto possa sembrare. Vale la pena sottolineare che i droni non erano molto presenti all’inizio del conflitto, ma ora sono diventati un fattore significativo. (Questo è particolarmente vero per l’Ucraina, che sarebbe in una situazione molto peggiore senza di loro). Ma questo significa, ad esempio, che ora non c’è protezione, tutto è visibile, la sorpresa è impossibile e così via? Ancora una volta, bisogna guardare il quadro più ampio. La Russia dispone di satelliti da ricognizione, mentre l’Ucraina ha accesso ai dati di quelli occidentali. Questo rende i preparativi su larga scala per un attacco, ad esempio, difficili da nascondere a un avversario che dispone di tale tecnologia o può accedervi. Ma i satelliti hanno dei limiti, anche quelli che utilizzano tecnologie di ricognizione non visiva, e non tutto ciò che è accaduto in Ucraina è stato rilevato in anticipo. Per i droni, il quadro è piuttosto diverso. Innanzitutto, sono necessariamente lenti e vulnerabili, e le loro prestazioni sono influenzate dalle condizioni meteorologiche, dal fumo e dal camuffamento. Di recente, i russi hanno sperimentato droni che producono fumo per nascondere i movimenti, e naturalmente hanno tenuto conto di nebbia e pioggia per muoversi inosservati. Quest’ultimo punto è interessante, perché suggerisce che in altre aree del mondo, dove le condizioni climatiche sono diverse, i droni potrebbero essere molto più difficili, o molto più facili, da cui nascondersi (si confrontino, ad esempio, le sabbie del Sahel con le giungle della Cambogia).

Inoltre, “drone” (fino a poco tempo fa, “Unmanned Air Vehicle”) è un termine molto generico. È chiaro, ad esempio, che i droni russi che volano oltre Kiev sono di fatto velivoli senza pilota, con una notevole capacità distruttiva. All’altro estremo, le riprese di numerosi attacchi di droni ucraini mostrano piccoli velivoli a corto raggio che sganciano granate su piccoli gruppi di soldati. Questo ci porta a una delle conclusioni più importanti della guerra finora: molto dipende dal comando e controllo generale e dalla capacità di utilizzare le capacità insieme, come parte di un piano generale. È in parte una questione di scala: i russi sembrano essere in grado di trattare l’intera campagna come un’unica operazione (utilizzando attacchi diversivi in ​​una regione per distogliere le forze ucraine, ad esempio) e questa è una capacità in sé, che l’Occidente non possiede, il che è uno dei motivi per cui le “lezioni” potrebbero non essere facili da imparare.

Il numero esatto e il dispiegamento delle truppe russe non sono chiari, ma è indiscutibile che i russi dispongano di un certo numero di eserciti interforze, forti di circa 25.000 uomini, in Ucraina (in Occidente sarebbero chiamati Corpi d’Armata), comandati da un generale di alto rango e coordinati a loro volta da un quartier generale superiore. L’Occidente non ha nulla di simile, e non ne ha avuto, in realtà, dalla fine della Guerra Fredda. Alcuni paesi occidentali hanno mantenuto le “Divisioni”, ma non come unità di manovra: sono essenzialmente formazioni amministrative, e l’ultima volta che una Divisione è stata schierata in operazioni è stata dagli Stati Uniti (da soli) nella Seconda Guerra del Golfo. I requisiti intellettuali, dottrinali e infrastrutturali per operare a quel livello semplicemente non esistono più in Occidente, ed è dubbio che possano essere ricreati. Questo di per sé probabilmente elimina ogni idea che l’Occidente possa “combattere” una guerra convenzionale contro la Russia, ma ovviamente ciò non significa che il suo esercito sarebbe necessariamente inefficace in altri scenari e contro altri avversari.

La rilevanza di questo per i droni è che i russi hanno chiaramente integrato la guerra con i droni a tutti i livelli della loro pianificazione e delle loro operazioni. Esiste evidentemente un piano a livello operativo per raggiungere l’obiettivo strategico di distruggere la capacità dell’Ucraina di sopravvivere e combattere, e la Russia non invia circa 500 droni e missili ad attaccare obiettivi in ​​tutta l’Ucraina senza un’attenta pianificazione e integrazione con le attività delle forze terrestri e aeree. È dubbio che, per ragioni di scala e dottrina, l’Occidente possa fare qualcosa di simile, soprattutto perché sarebbero coinvolti così tanti paesi diversi con così tanti tipi diversi di equipaggiamento.

Nonostante l’attuale entusiasmo, sembra improbabile che l’Occidente adotti i droni come hanno fatto russi e ucraini. Ci sono diverse ragioni per questo, ma la principale è che questi due paesi stanno combattendo una guerra, e in tempo di guerra l’innovazione tende a imporsi come priorità. Entrambe le parti, e in particolare i russi, sono state colte di sorpresa dalla natura della guerra così come si è sviluppata nel 2022, e di conseguenza l’innovazione è stata molto rapida in tutti i settori. Non c’è alcuna possibilità che ciò accada in Occidente: l’urgenza politica non c’è, lo scenario è completamente incerto e, soprattutto, non esiste una dottrina per l’uso effettivo dei droni: in parole povere, se si avessero effettivamente 100.000 droni di diversi tipi, per cosa li useremmo esattamente e come decideremmo? È improbabile che ci sia una risposta, anche perché il sistema decisionale collettivo occidentale è così poco maneggevole. In effetti, o un gruppo di lavoro della NATO impiega dieci anni a sviluppare un concetto, e nel frattempo la tecnologia sarà cambiata, oppure decine di nazioni decidono semplicemente di fare di testa propria. Dico sempre di non scrivere “NATO” seguito da un verbo, perché la NATO, in quanto tale, è ben oltre il punto in cui può fare qualcosa a livello istituzionale, e qualsiasi “decisione” sarà il minimo comune denominatore di molte scelte e pressioni diverse.

Prima di passare alle potenziali “lezioni” dell’Ucraina per i conflitti extraeuropei, vorrei tornare per un attimo alla questione della durata. In altre parole, non vogliamo dare per scontato che il mondo sia cambiato radicalmente solo per scoprire che questo cambiamento inizia ad attenuarsi o addirittura a invertirsi dopo pochi anni. Ci sono molti esempi di ciò che accade, ma due basteranno. Gran parte della paura e dell’agitazione riguardo ai bombardieri con equipaggio umano dopo la Prima Guerra Mondiale derivavano dal fatto che non sembrava esserci un modo ovvio per fermarli: il bombardiere con equipaggio umano era l’equivalente delle armi nucleari nell’immaginario popolare e politico. Ma alla fine degli anni ’30, come ho appena detto, erano stati sviluppati caccia monoplani ad alta velocità e il radar e altre innovazioni fecero sì che i bombardieri non avessero più aria libera. In effetti, inglesi e americani scoprirono rapidamente che far volare bombardieri senza scorta di giorno sulla Germania – che dopotutto era stata l’idea originale – era un suicidio e furono costretti a passare ai bombardamenti notturni. Successivamente, i sistemi di difesa aerea migliorarono radicalmente e ora, in alcune parti del mondo, la domanda è dove i bombardieri riusciranno a sopravvivere.

Qualcosa di simile accadde con il carro armato. Originariamente, il suo scopo era risolvere il problema fondamentale: la fanteria non poteva più muoversi senza protezione in campo aperto per affrontare il nemico senza subire perdite terrificanti. (Se avete guardato video dall’Ucraina, avrete notato che alcune cose non cambiano mai). Quando i carri armati furono poi utilizzati dai tedeschi in operazioni di penetrazione profonda all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, sembrò che fosse arrivata una forza nuova e irresistibile. Ma tale guerra si rivelò presto limitata, con lo sviluppo di armi anticarro a basso costo. Poi la situazione si ribaltò di nuovo: nella guerra in Medio Oriente del 1973, i carri armati israeliani furono annientati da missili anticarro trasportabili. Fu la fine dei carri armati. In realtà non lo fu, perché gli israeliani, nella loro arroganza, avevano semplicemente trascurato i principi della guerra interforze e avevano inviato i carri armati da soli, senza supporto. Ma questo non impedì la diffusione, negli anni ’80, di fantastiche idee di eserciti occidentali equipaggiati solo con missili anticarro. (In effetti, ricordo un piano particolarmente folle: distribuire armi del genere a ogni famiglia in Germania, in modo che i russi non osassero mai attaccare). Come gli esperti militari fecero subito notare, in una situazione del genere i russi avrebbero semplicemente raso al suolo le difese con l’artiglieria.

Ma in ogni caso, la minaccia rappresentata da tali armi era stata compresa da tempo, e ben presto gli inglesi presentarono una speciale corazza composita per i loro carri armati, da allora copiata da nazioni in tutto il mondo. Anche i russi hanno aperto la strada allo sviluppo di misure difensive attive di ogni tipo. Gli attacchi dei droni contro i carri armati sono l’ultima iterazione di una lotta tra attacco e difesa che dura da cinquant’anni e che senza dubbio evolverà ulteriormente. Si stanno sviluppando tecnologie difensive che potrebbero essere in grado di interrompere e proteggere dai droni al punto che ne sarebbero necessari così tanti per ottenere un’eliminazione che il loro utilizzo sarebbe antieconomico. Sarebbe imprudente liquidare subito il carro armato, e in effetti imprudente trarre troppe conclusioni sui droni.

Come ho detto qualche tempo fa, è discutibile quanti altri conflitti simili a quello ucraino ci saranno effettivamente. Ma la questione ovvia è se le stesse tecnologie vengano applicate (o meno) a guerre molto più comuni: tecnologia inferiore, forze meno addestrate e terreni molto diversi. Ovviamente esistono numerose possibilità, ma consideriamo due varianti di base. La prima è il potenziale utilizzo di droni di diverso tipo da parte di paesi con tecnologia intermedia. Sembra che questo sia stato un fattore determinante nel recente conflitto tra Armenia e Azerbaigian. Ora, qui stiamo parlando principalmente di singoli operatori di droni e di droni che trasportano piccole cariche esplosive. In realtà, coordinare gli attacchi con i droni richiede un’infrastruttura estesa per identificare i bersagli, ordinare gli attacchi e coordinarsi con le forze di terra. Sebbene vi siano prove, ad esempio dell’utilizzo di droni da parte delle RSF in Sudan, probabilmente si tratta solo di un singolo individuo. È necessaria una significativa capacità di comando e controllo per utilizzare i droni come fanno i russi e, naturalmente, per essere sicuri che i bersagli attaccati siano quelli del nemico e non i propri.

La seconda è la guerra asimmetrica tra eserciti ad alta tecnologia (spesso occidentali) e forze irregolari o milizie, e si presenta in due forme. Per lungo tempo, milizie e simili hanno avuto un sostanziale vantaggio logistico rispetto alle forze convenzionali. La regola generale nella guerra di controinsurrezione è sempre stata che il governo, o la parte convenzionale, necessitasse di un minimo di dieci soldati schierati sul terreno per ogni guerrigliero. Questo è stato più o meno il caso durante la crisi algerina, dove a un certo punto mezzo milione di soldati francesi erano schierati nel territorio. Allo stesso modo, durante l’emergenza in Irlanda del Nord, fino a 20.000 soldati britannici sono stati coinvolti nello schieramento, nel pre-addestramento o nel riaddestramento contro una forza attiva dell’IRA che non è mai stata misurata in più di centinaia di unità. L’esperienza delle forze NATO e statunitensi in Afghanistan è stata simile. Gran parte del lavoro di queste truppe consisteva semplicemente nel pattugliamento e nella sorveglianza, e potrebbe essere che parte di questo sforzo possa essere dirottato sui droni, se esiste anche una significativa capacità di comando e controllo.

Abbiamo qualche indicazione che l’alta tecnologia, se usata in modo intelligente, stia già alterando questo equilibrio se la parte convenzionale decide di essere proattiva nella ricerca e nell’eliminazione degli irregolari. Questo è stato fatto di recente da Israele contro Hezbollah. Dopo aver penetrato la loro rete di telefonia mobile e averla resa inutilizzabile, e dopo aver sabotato i cercapersone che venivano utilizzati al suo posto, hanno lasciato Hezbollah senza possibilità di comunicazioni mobili. Ciò ha costretto Hezbollah a organizzare un incontro con i comandanti di alto rango e fonti interne al movimento hanno informato gli israeliani di dove e quando, consentendo loro di essere annientati. Gli israeliani hanno utilizzato i droni, non per lo più in combattimenti convenzionali, ma per attaccare obiettivi di precisione, tra cui singoli comandanti, siti di stoccaggio di armi e così via.

In passato, uno dei vantaggi logistici degli irregolari era il costo e la complessità dell’attacco vero e proprio. In Afghanistan, erano necessari costosi droni (essenzialmente velivoli senza pilota) pilotati da specialisti per attaccare obiettivi talebani con sistemi missilistici costosi e complessi. Durante l’intervento francese in Mali, iniziato nel 2013, si è calcolato che ogni combattente jihadista ucciso costasse circa un milione di euro, tenendo conto dei missili e del costo degli aerei convenzionali provenienti dal Niger. Con i droni e i moderni sistemi di comando e controllo, potremmo assistere all’inizio di un cambiamento in questo equilibrio. In Ucraina, droni piccoli e semplici sono stati utilizzati dagli ucraini per colpire persino singoli soldati russi con granate. Se le forze internazionali tornassero nel Sahel (e l’Unione Africana ha già rilasciato dichiarazioni in tal senso), allora, in teoria, un gran numero di droni relativamente semplici, coordinati centralmente, potrebbe essere utilizzato per localizzare gruppi jihadisti e forse ingaggiarli. Ma dobbiamo sempre ricordare che gli eserciti occidentali non hanno esperienza di questo tipo di guerra e che, al di fuori delle grandi guerre, l’innovazione raramente avviene dall’oggi al domani.

Questo potrebbe non essere il caso di gruppi irregolari, milizie, terroristi, chiamateli come volete. Una delle tattiche fondamentali di questi gruppi è l’attacco a obiettivi fissi con auto o camion pieni di esplosivo. Questa fu la tattica usata per uccidere 63 persone, per lo più libanesi, presso l’ambasciata americana a Beirut nel 1983, quando un camion che trasportava 900 chilogrammi di esplosivo riuscì a entrare nel complesso dell’ambasciata e l’autista si fece esplodere, distruggendo gran parte dell’ambasciata. Da quell’episodio, e da altri in diversi paesi, le ambasciate sono diventate sempre più sicure: le ambasciate statunitensi in particolare, come la nuova ambasciata statunitense a Beirut in costruzione, sono diventate campi fortificati, spesso con ampi spazi vuoti ridondanti per impedire agli attentatori di avvicinarsi troppo. Ma gli aggressori cercano ancora di schiantarsi e farsi strada a colpi di esplosivo: in Iraq, lo Stato Islamico ha fatto un uso creativo di bulldozer pieni di esplosivo, spesso utilizzandone diversi in successione per demolire anche strutture altamente protette.

Si presume che tutti questi attacchi, come gli attacchi ai veicoli governativi o delle ambasciate su strada, avvengano a livello del suolo. I veicoli possono essere rinforzati in modo discreto con corazze in Kevlar e non portare segni distintivi, e gli accessi agli edifici possono essere volutamente tortuosi ed elaborati per prevenire attacchi ad alta velocità e per consentire a una torre di guardia di aprire il fuoco se necessario. Tuttavia, anche droni piuttosto semplici potrebbero cambiare radicalmente questo scenario, ed è difficile pensare a una difesa utile che possa essere predisposta contro di loro. Il jamming elettronico, sebbene forse efficace, causerebbe ogni sorta di problemi collaterali, e in ogni caso l’ultima cosa che si desidera è che un drone con una bomba si schianti contro un edificio vicino alla propria ambasciata e causi morti o feriti.

Per il momento, quindi, la situazione è più o meno chiara che mai in questa fase di crisi. Tuttavia, possiamo trarre qualche conclusione (molto provvisoria)? Vorrei suggerire tre possibili spunti di riflessione:

  • In primo luogo, è probabile che l’entusiasmo e l’eccitazione del pubblico e degli esperti superino di gran lunga qualsiasi reale possibilità di trarre conclusioni utili, per non parlare di apportare cambiamenti utili. Il panico da droni è già iniziato e continuerà, anche perché la persona media non ha idea di che aspetto abbia un drone militare, per non parlare di come differiscano l’uno dall’altro. È probabile che ci saranno pressioni politiche per “scudi anti-droni” altamente costosi e probabilmente inutili sulle aree popolate dell’Occidente, e contromisure altrettanto costose e inutili. Burloni, attivisti politici e semplici idioti riusciranno a chiudere aeroporti e spazio aereo per lunghi periodi: una telefonata o un annuncio sui social media potrebbero essere sufficienti a diffondere il panico. Qualsiasi incidente aereo sarà immediatamente e automaticamente attribuito ai droni. Nel frattempo, naturalmente, l’effettivo uso ostile dei droni per attività come la ricognizione ravvicinata di installazioni sensibili verrà perso nel rumore.
  • In secondo luogo, l’Occidente sarà lento ad adottare le tecnologie utilizzate in Ucraina (inclusi, ma non solo, i droni) e lo farà in modo disomogeneo e con modalità diverse, per ragioni finanziarie, burocratiche e politiche. A sua volta, ciò deriverà in parte dal fatto che le “lezioni” dell’Ucraina, come di altre grandi guerre e crisi, saranno contestate e controverse, e dipenderanno in una certa misura dalle conclusioni che sarà politicamente possibile raggiungere e difendere.
  • Infine, le tecnologie introdotte in Ucraina, e quelle ancora in fase di sviluppo, troveranno utilizzi che per il momento nessuno può prevedere, alcuni positivi, altri negativi. (La criminalità organizzata potrebbe trovare utili le tecnologie dei droni per il trasporto di droga, ad esempio).

Per ora è tutto.

Ucraina e UE: compagni di sventura insieme alle corde_di Simplicius

Ucraina e UE: compagni di sventura insieme alle corde

Simplicius 11 dicembre∙
 
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Sembra che le cose abbiano preso una brutta piega nella vicenda degli “amanti sfortunati” dell’Ucraina e della sua euforica fanciulla europea.

Le opzioni stanno rapidamente esaurendosi, con il fallito tentativo di pirateria di Bruxelles e le riunioni sempre più convulse e umilianti dell’Euro-circus-roadshow, non rimangono praticamente altre opzioni oltre alle autoflagellanti convulsioni di disperazione a cui stiamo dolorosamente assistendo.

Il club dei perdenti con un indice di gradimento complessivo inferiore al 50%

La cosa triste è che questo carnevale non ha quasi più pubblico: chi è, esattamente, protagonista di questa farsa esagerata? per di più?

È chiaro che non c’è più alcuna visione per il futuro, nessuna soluzione praticabile, e gli ultimi fedeli sostenitori globalisti di Macron, Merz e Starmer si comportano come polli senza testa che vagano da una capitale europea in crisi all’altra per la loro interminabile processione di rituali umilianti.

Nel frattempo, i tiranti dell’UE stanno cedendo mentre l’intera struttura traballante inizia a gemere sotto il peso schiacciante della sua irrilevanza. Qui lo scrittore franco-polacco Daniel Foubert offre una diagnosi vivacedella follia terminale e della disgregazione che attanagliano l’Europa morente:

L’Europa non ha “un problema”. Ha TRE problemi: tre nazioni europee stanno soffrendo di una grave “sbornia post-imperiale”.

In primo luogo, c’è il Regno Unito, una nazione che ha votato per la Brexit per “riprendere il controllo”, solo per rendersi conto di aver completamente dimenticato come guidare.

La crisi d’identità britannica è come guardare un leone in pensione che cerca di adottare una dieta vegana. Hanno scambiato la fiducia imperiale con un corso di sensibilizzazione del reparto risorse umane. La terra di Churchill è ora governata da una burocrazia tentacolare, uno “Stato assistenziale” che teme più di offendere qualcuno su X che il declino reale. La polizia britannica, un tempo invidiata dal mondo intero, ora sembra dedicare più risorse alle indagini su “incidenti di odio non criminali” e alla verniciatura delle auto di pattuglia con i colori dell’arcobaleno che alla risoluzione dei furti con scasso. È una nazione che si aggrappa disperatamente all’estetica della tradizione – la famiglia reale, lo sfarzo, il tè – mentre le sue istituzioni sono state svuotate da un marciume progressista che fa sembrare conservatore un campus universitario californiano. Vogliono la spavalderia del XIX secolo, ma sono paralizzati dalla fragilità emotiva del XXI.

Poi c’è la Francia, la zia arrabbiata e fumatrice incallita dell’Europa che si rifiuta di ammettere di essere disoccupata da decenni.

I postumi della Francia si manifestano come uno stato permanente di insurrezione mascherato da “impegno civico”. La loro identità è divisa tra un’élite delirante che pensa ancora che Parigi sia la capitale dell’universo e una popolazione che esprime la sua “joie de vivre” bruciando le fermate degli autobus ogni giovedì. I francesi soffrono di un complesso napoleonico senza Napoleone; esigono il tenore di vita di un impero conquistatore mentre lavorano 35 ore alla settimana e vanno in pensione a un’età in cui la maggior parte degli americani sta appena entrando nel pieno della propria carriera. Predicano i “valori repubblicani” e un secolarismo aggressivo, eppure lo Stato ha perso il controllo su vaste aree delle proprie periferie. La Francia è essenzialmente un bellissimo museo a cielo aperto dove i curatori sono in sciopero, le guardie hanno paura dei visitatori e la direzione è impegnata a dare lezioni al resto del mondo sulla “grandeur”, mentre la bolletta dell’elettricità rimane insoluta.

Infine, abbiamo la Germania, il gigante nevrotico che ha deciso che l’unico modo per espiare la propria storia è quello di commettere un lento suicidio industriale.

Il postumi dell’impero tedesco è una malattia autoimmune morale: il Paese è così terrorizzato dalla propria ombra che ha sostituito l’orgoglio nazionale con un’aggressiva autoflagellazione e norme sul riciclaggio. La loro identità si basa sull’essere la “superpotenza morale”, il che si traduce praticamente nella chiusura delle loro centrali nucleari perfettamente funzionanti per bruciare carbone sporco, il tutto mentre danno lezioni ai loro vicini sull’impronta di carbonio. È una nazione di ingegneri che hanno progettato una società che non funziona. Lo spirito tedesco, un tempo caratterizzato da efficienza e disciplina, si è trasformato in una burocrazia paralizzata, dove compilare il modulo corretto è più importante del risultato. Sono così disperatamente desiderosi di evitare di essere “minacciosi” che sono diventati essenzialmente una grande ONG con un esercito che ha scope al posto dei fucili, terrorizzati che mostrare un po’ di spina dorsale possa essere interpretato come una ricaduta.

Ma ciò che è degno di nota è che, nonostante queste convulsioni terminali, i burattini dell’euro continuano a raddoppiare gli stessi tormenti che li hanno condotti in questo pozzo senza fondo di disperazione. Ad esempio, Qui un parlamentare danese chiede che l’Europa abbia il proprio nucleare.armi dopo i presunti tradimenti degli Stati Uniti, che “non possono più difendere l’Europa”.

Merz è stato anche visto enfatizzare la solennità sdolcinata durante uno scambio sceneggiato in cui un soldato della Bundeswehr lo informava che molti membri delle forze armate non intendono vivere oltre i 40 anni, sottintendendo una sorta di “grande guerra” imminente: uno spettacolo di allarmismo tanto impressionante quanto rivoltante.

Persino Politico ha inferto un duro colpo all’Europa con il suo nuovo numero che presenta Trump come “la persona più potente d’Europa”, relegando scandalosamente gli altri “grandi” europei in fondo alla classifica:

https://www.politico.eu/politico-28-class-of-2026/

È chiaro che anche l’istituzione ha riconosciuto la totale insignificanza di questi cosiddetti “leader di primo piano”.

Ma mentre l’effimera vicenda si esaurisce e la cerchia di sostegno di Zelensky esaurisce le opzioni, anche lo stesso narco-nano comincia a rendersi conto che il tempo sta per scadere. Trump ha ora dato un ultimatum all’Ucraina affinché accetti l’accordo entro Natale, con notizie che sostengono che Trump “abbandonerà” l’Ucraina.

Le idi di dicembre sono ormai alle porte e le notizie che portano con sé non sono ottimistiche.

Con Yermak sconfitto, Zelensky è rimasto solo a fissare il precipizio e per una volta ha ammesso di essere pronto per le elezioni entro 60 giorni dal cessate il fuoco.

L’Ucraina è pronta a tenere le elezioni nei prossimi 60-90 giorni se i suoi alleati potranno garantire la sicurezza del voto, ha dichiarato martedì il presidente Volodymyr Zelensky, in seguito alle critiche del suo omologo americano Donald Trump. -CNN

Possiamo solo supporre che l’unico mandato rimasto al narco-fuhrer sia quello di sparire in modo tale da non renderlo un bersaglio per la vendetta dei gruppi nazionalisti ucraini più militanti. Ciò significa che probabilmente è pronto a rinunciare al trono “democraticamente”, a patto di poter prima garantire un cessate il fuoco “favorevole” che placasse il blocco banderista, che recentemente lo ha minacciato più volte.

https://www.cnn.com/2025/12/09/europe/ukraine-elections-zelensky-trump-russia-proposal-intl-latam

Zelensky ha chiesto sostegno per realizzare questo obiettivo, ma purtroppo il suo “gruppo di sostegno” di professionisti europei, sempre più esiguo, ha sempre meno potere di fare qualcosa, dato che gli Stati Uniti hanno lanciato alcuni dei più feroci attacchi all’unità dell’Europa e della NATO, con la recente Strategia di Sicurezza Nazionale di Trump, Musk e l’ultimo appello dell’impero Twitter per lo scioglimento dell’UE, e ora anche l’ultimo disegno di legge di Massie per ritirare completamente gli Stati Uniti dalla NATO:

In particolare, leggi le parti sottolineate sopra.

Anche Zelensky sa che il gioco è finito e ora non solo sta implorando un cessate il fuoco e le elezioni, ma sta anche implorando la Russia per una nuova “tregua energetica”, dopo i devastanti colpi che la Russia ha inferto alla rete elettrica ucraina nelle ultime settimane.

https://www.zerohedge.com/geopolitica/la-russo-rifiuta-nuova-offerta-di-zelensky-energia-cessate-il-fuoco-problemi-riparazione-rete-elettrica-aggravarsi

Basta ascoltare Alexander Kharchenko, “direttore del Centro di ricerca sull’energia” dell’Ucraina, mentre spiega che la rete energetica non dispone più di risorse per il ripristino:

Se la Russia continua gli attacchi contro l’Ucraina, per il settore energetico è finita, non ci saranno pezzi di ricambio per le riparazioni! E solo la Russia li produce.

“Se la Russia attaccherà ancora 2-3 volte, non avremo più attrezzature per riparare il sistema elettrico”.
– Kharchenko, direttore del Centro di ricerca sull’energia

Uno dei principali canali ucraini che ha riportato la notizia dei nuovi attacchi alla rete energetica russa avvenuti ieri sera:

Kiev dovrà affrontare interruzioni di corrente senza precedenti: alcuni gruppi rimarranno senza elettricità per quasi 17 ore, — DTEK.

Come si può vedere, con la rete energetica ucraina in una situazione così precaria da spingere lo stesso Zelensky a implorare la Russia per un nuovo cessate il fuoco energetico, e con la reputazione dell’UE e della NATO in frantumi e i piani in fumo, le cose non sono mai sembrate così catastrofiche per l’Ucraina.

E tenete presente questo: Il fulcro della narrativa e della propaganda della “vittoria” dell’Ucrainasono stati i suoi cosiddetti attacchi “devastanti” alle risorse energetiche della Russia. Ciò significa che per Zelensky offrire di sacrificare quest’ultima e fondamentale carta vincente – senza la quale l’Ucraina non ha alcuna possibilità di ottenere la “vittoria” – significa che gli attacchi della Russia alla rete elettrica ucraina sono stati davvero devastanti, al punto che Zelensky e il suo team devono aspettarsi una catastrofe imminente. Anche mentre scriviamo, la Russia sta nuovamente colpendo i punti energetici dell’Ucraina sia a Odessa che a Kremenchug, con segnalazioni di interruzioni di corrente.

Nel frattempo, le timide iene europee continuano a girare intorno alla periferia, inserendo furtivamente le loro truppe nelle “retrovie” dell’Ucraina per cercare di influenzare la situazione in ogni modo possibile e disperato. Sfortunatamente per loro, ora stanno subendo perdite, poiché la necessità impellente di arginare le perdite dell’Ucraina li ha apparentemente costretti a passare a ruoli più “attivi”, aperti o “di primo piano”, tanto che molto probabilmente sono finiti sotto il fuoco diretto della Russia, in questo caso presumibilmente dal sistema Iskander:

Per chi se lo stesse chiedendo, quanto sopra rappresenta una sorta di punto di svolta perché non si tratta della morte di un semplice britannico mercenario, come spesso accade oggi, ma piuttosto il primo decesso in assoluto di un soldato in servizio attivo in Ucraina.

https://euromaidanpress.com/2025/12/10/uk-confirms-first-military-casualty-in-ukraine-during-ukrainian-defense-capability-trial/

Si tratta della prima vittima tra i militari britannici in servizio in Ucraina dall’invasione russa del febbraio 2022.

Il Guardian riconosce:

https://www.theguardian.com/uk-news/2025/dec/10/british-solider-killed-on-duty-in-ukraine-named-at-lcpl-george-hooley

Si noti che il defunto caporale George Hooley apparteneva al “Parachute Regiment”, un’unità d’élite delle forze speciali delle forze armate britanniche; da ciò possiamo dedurre e inferire diverse cose.

L’affermazione:

È rimasto ferito in un tragico incidente mentre osservava le forze ucraine testare una nuova capacità difensiva, lontano dal fronte ha aggiunto il ministero.

Quale “nuova capacità difensiva” stavano testando? Presumibilmente un qualche tipo di sistema di difesa aerea contro l’Iskander in arrivo.

In ogni caso, questo è tutto ciò che resta all’Europa disperata: misere “azioni di retroguardia” per cercare di sostenere il proprio crollo del Progetto Ucraina. Nel frattempo, le forze russe continuano ad avanzare con sicurezza, conquistando oggi finalmente Seversk, con Gulyaipole e altre città sotto minaccia:

Ci sono notizie sparse secondo cui la Federazione Russa avrebbe sfondato fino al centro di Gulyaypole.Finora non siamo in grado di confermare queste notizie, ma si registrano movimenti da più parti verso il centro. In alcuni casi, l’«Eastern Express» si trova a meno di un chilometro dal centro. Il segno blu sulla mappa indica la posizione centrale della città, che la Federazione Russa deve ancora raggiungere.

Sembra che il tempo stia finalmente scadendo per l’Ucraina, insieme ai suoi alleati europei e della NATO.

Il barattolo delle Mance rimane un anacronismo, un arcaico e spudorato doppio prelievo, per coloro che non riescono proprio a trattenersi dal ricoprire i loro umili autori preferiti con una seconda avida dose di generosità.

Perché l’establishment ignora i documenti su JFK recentemente declassificati?_di Harrison Berger

Perché l’establishment ignora i documenti su JFK recentemente declassificati?

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Nuovi documenti rivelano come James Angleton, capo dei servizi segreti della CIA, abbia nascosto i movimenti di Lee Harvey Oswald, occultato un contatto segreto con Israele e mentito al Congresso.

Portrait of President John F. Kennedy

Getty Images

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Harrison Berger

28 novembre 2025Mezzanotte

https://elevenlabs.io/player/index.html?publicUserId=cb0d9922301244fcc1aeafd0610a8e90a36a320754121ee126557a7416405662

Oscurato dalle recenti rivelazioni contenute nei fascicoli Epstein, il 62° anniversario dell’assassinio del presidente John F. Kennedy è passato quasi inosservato. Eppure i nuovi documenti relativi a quell’omicidio ancora irrisolto, resi pubblici solo di recente dall’amministrazione Trump, meritano un’attenzione molto maggiore di quella che hanno ricevuto dai media mainstream.

Dal momento in cui sono state rese note le ultime rivelazioni lo scorso marzo, il Partito Democratico e i suoi alleati nei media corporativi hanno assunto il loro consueto ruolo di stenografi della CIA, ignorando – o rifiutandosi apertamente di considerare – ciò che oltre 60.000 documenti hanno rivelato. Durante un’udienza alla Camera il 1° aprile, la deputata Jasmine Crockett (D-TX) – dimostrando la fedeltà del Partito Democratico allo Stato di sicurezza degli Stati Uniti – ha insistito con sicurezza che i documenti su JFK «non mostrano alcuna prova di una cospirazione della CIA» e si è lamentata del fatto che anche ascoltare le testimonianze di Oliver Stone, Jefferson Morley e Jim DiEugenio equivaleva a «dare spazio alle teorie del complotto».

Julian Barnes del New York Times ha fatto eco alla deputata democratica quasi parola per parola, annunciando in modo definitivo che “la CIA non ha ucciso JFK… Oswald ha agito da solo”, nonostante l’enorme volume di documenti che nessun giornalista avrebbe potuto esaminare seriamente in un lasso di tempo così breve. Anche le lettrici veloci Lalee Ibssa e Diana Paulsen della ABC News hanno affermato che, chiedendo al Congresso di riaprire le indagini sull’assassinio di Kennedy, il regista Oliver Stone stava «riesumando teorie cospirative infondate».

Ma nonostante l’insistenza dei democratici e dei loro alleati nei media corporativi, le rivelazioni dell’amministrazione Trump sul caso JFK, insieme ai numerosi documenti già resi pubblici in precedenza, suggeriscono effettivamente l’esistenza di una cospirazione della CIA. Abbiamo un’ampia documentazione proveniente da atti congressuali resi pubblici su chi ha lavorato duramente per insabbiare il caso, tra cui un consorzio di funzionari della CIA che hanno sistematicamente mentito alla Commissione Warren, fuorviando l’indagine pubblica sul principale sospettato dell’omicidio del presidente, Lee Harvey Oswald.

Forse il principale artefice di quell’insabbiamento fu il capo dei servizi segreti della CIA James Jesus Angleton, che, nonostante fosse il responsabile del controspionaggio a capo di quello che era considerato il peggior fallimento dei servizi segreti dai tempi di Pearl Harbor, finì per essere profondamente coinvolto nelle indagini ufficiali della CIA sull’assassinio. 

Sebbene Angleton insistesse nel sostenere che l’agenzia non prestasse attenzione a Oswald e non fosse a conoscenza dello scopo delle sue attività che lo avevano portato a Dallas, dai documenti non classificati sull’assassinio di JFK è emerso che Angleton aveva personalmente conservato un fascicolo riservato di intelligence/sorveglianza su Oswald nei quattro anni precedenti l’assassinio di Kennedy, controllando rigorosamente quali funzionari all’interno della CIA potessero accedervi attraverso la compartimentazione.

Gli inganni di Angleton nei confronti degli investigatori sono così numerosi che, a distanza di 60 anni, continuano a venire alla luce; in un caso degno di nota, rivelato solo quest’anno, Angleton ha commesso spergiuro davanti alla Commissione speciale della Camera sui casi di omicidio, affermando di non sapere quasi nulla di Lee Harvey Oswald prima della sparatoria. In un altro caso, Angleton ha nascosto il fatto che Oswald aveva visitato l’ambasciata cubana a Città del Messico, una visita che la CIA ha pubblicamente affermato di aver scoperto solo dopo l’assassinio. Come ha spiegato Jefferson Morley, autore di The Ghost: The Secret Life of CIA Spymaster James Jesus Angleton, il capo del controspionaggio «preferì aspettare la conclusione dei lavori della Commissione Warren piuttosto che spiegare ciò che la CIA sapeva e il suo interesse per la visita di Oswald al consolato cubano» in Messico.

Sebbene Angleton abbia lasciato la CIA in disgrazia, considerato da molti colleghi un paranoico ossessivo, la sua eredità è stata costantemente venerata dai servizi segreti israeliani. Nelle sue memorie, l’ex direttore del Mossad, Meir Amit, ha descritto James Angleton come “il più grande sionista del gruppo”, aggiungendo che “la sua totale identificazione con Israele è stata una risorsa straordinaria per noi”. Come scrive Morley, “la lealtà di Angleton verso Israele ha tradito la politica statunitense su scala epica”, consentendo probabilmente agli israeliani di costruire una bomba nucleare utilizzando materiali rubati dalla struttura della Nuclear Materials and Equipment Corporation (NUMEC) con sede negli Stati Uniti, in un momento in cui la politica dichiarata del governo statunitense era quella di impedire a Israele di acquisirne una.

Angleton aveva contatti professionali e personali regolari con almeno sei uomini a conoscenza del piano segreto di Israele di costruire una bomba. Da Asher Ben Natan ad Amos de Shalit, da Isser Harel a Meir Amit, da Moshe Dayan a Yval Ne’eman, i suoi amici erano coinvolti nella costruzione dell’arsenale nucleare israeliano. Se venne a conoscenza di qualcosa sul programma segreto di Dimona, ne riferì ben poco. Se non faceva domande sulle azioni di Israele, non stava facendo il suo lavoro. Invece di sostenere la politica di sicurezza nucleare degli Stati Uniti, la ignorava.

Tra le questioni più delicate sollevate dalle rivelazioni dell’amministrazione Trump c’è quella relativa al possibile coinvolgimento o alla preconoscenza da parte di Israele del complotto contro Kennedy, che trascorse i suoi ultimi mesi di vita combattendo contro il governo israeliano per il suo programma nucleare, il suo potere di lobbying negli Stati Uniti e il reinsediamento dei palestinesi dalla terra da cui gli israeliani li avevano espulsi. 

Il solo suggerimento che Israele possa essere stato coinvolto nell’assassinio di Kennedy, molto più delle accuse contro la CIA, suscita immediate denunce da parte dell’establishment. Quando il podcaster Theo Von ha mosso questa accusa contro Israele in una recente puntata di The Joe Rogan Experience, ad esempio, i fedelissimi di Israele come Amit Segal hanno rapidamente denunciato l’affermazione come una “calunnia” e “antisemita”. CyberWell, un’organizzazione di censura guidata da israeliani e composta da ex funzionari dei servizi segreti israeliani che collabora con tutte le principali piattaforme di social media, ha analogamente etichettato l’accusa come una teoria cospirativa antisemita e ha collaborato con tali piattaforme per censurarla da Internet.

L’intensità con cui i critici denunciano chiunque sollevi la questione rispecchia il vigore con cui il governo ha trascorso decenni a cancellare ogni traccia di questo collegamento dai propri archivi. Per decenni, decine di riferimenti a “Israele”, “Tel Aviv” e persino alle identità degli agenti israeliani di Angleton sono stati oscurati dalle testimonianze del Congresso, compresi i documenti della Commissione Church.

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Nella sua testimonianza del 1975 alla Commissione Church, ora disponibile senza molte delle vecchie censure, Angleton conferma che durante l’operazione della CIA denominata “Cuban business” – la campagna segreta di sabotaggi e complotti per assassinare Castro condotta da Bill Harvey e dalla Task Force W – egli fece in modo che un ufficiale dei servizi segreti israeliani all’Avana fungesse da canale segreto di Harvey. Secondo Angleton, questo “uomo israeliano” inviava rapporti dall’Avana a Tel Aviv, da dove venivano trasmessi direttamente ad Angleton e poi a Harvey. Questo sistema consentiva di mantenere alcune delle operazioni più delicate dell’agenzia al di fuori della normale catena di comando della CIA. Una pagina ora mancante di quella stessa testimonianza scoperta da Aaron Good mostra Angleton che minimizza la necessità di informare il direttore della CIA John McCone sul suo collegamento israeliano, pur ammettendo che “quello che stavano facendo era enorme”.

Good sottolinea anche come il canale israeliano di Angleton si sia intrecciato con Lee Harvey Oswald. L’ufficiale del controspionaggio incaricato di leggere la corrispondenza di Oswald e di raccoglierla per il fascicolo di sorveglianza 201 che Angleton teneva prima dell’assassinio era Reuben Efron, un convinto sionista che aveva vissuto in Israele, pubblicato articoli sullo spionaggio su una rivista affiliata all’Organizzazione Sionista Mondiale e, come nota Jefferson Morley, aveva assistito all’interrogatorio di Marina Oswald davanti alla Commissione Warren senza ricoprire alcun ruolo ufficiale.

Proprio nel momento in cui un presidente degli Stati Uniti cercava di frenare le ambizioni nucleari di Israele e di limitare il potere politico della sua lobby a Washington, il funzionario della CIA responsabile del dossier Oswald condivideva segretamente con Israele canali di intelligence, comunicazioni relative all’assassinio e agenti non ufficiali, mentendo al Congresso e potenzialmente anche ad alcuni dei suoi colleghi della CIA. Il governo ha impiegato 60 anni per censurare questi fatti e gli americani hanno il diritto di sapere perché.

Informazioni sull’autore

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Harrison Berger

Harrison Berger è corrispondente per The American Conservative. Ha collaborato con Drop Site NewsThe Nation e Responsible Statecraft. In precedenza è stato ricercatore e produttore per System Update con Glenn Greenwald. Il suo lavoro si concentra sulle libertà civili e sulla politica estera degli Stati Uniti. Ha studiato Scienze politiche e Russo all’Union College (New York).

Idee errate dei serbi riguardo alla legge del 1° dicembre (1918)_di Vladislav Sotirovic

Idee errate dei serbi riguardo alla legge del 1° dicembre (1918)

Esistono diverse idee errate evidenti riguardo alla legge che proclamava la creazione della Jugoslavia, o la cosiddetta unificazione a Belgrado il 1° dicembre 1918, che la storiografia serba, in particolare, evita ostinatamente di affrontare.

Innanzitutto, l’atto della cosiddetta unificazione non fu approvato a Belgrado il 1° dicembre 1918, ma a Zagabria il 23 novembre dello stesso anno dal Consiglio nazionale dello Stato degli Sloveni, Croati e Serbi o Stato SCS (in quest’ordine in base alle categorie etniche). Ciò che viene costantemente e sistematicamente ignorato dalla storiografia serba è che questo Stato autoproclamato sulle rovine dell’Austria-Ungheria era concepito principalmente come uno Stato nazionale croato con gli sloveni e i serbi come una sorta di minoranze nazionali. Ricordiamo che la bandiera dello Stato di questa entità politica era il tricolore croato senza lo stemma: rosso, bianco e blu. Tuttavia, i serbi etnici costituivano una chiara maggioranza nazionale individuale in questo Stato. Proclamativamente, lo Stato della SCS, proclamato il 29 ottobre 1918 dal Parlamento (Sabor) a Zagabria, comprendeva tutti i territori etnici slavi meridionali dell’Austria-Ungheria, ma sotto la bandiera croata. Per rendere le cose ancora più chiare, l’emblema dello Stato di questa entità politica era chiaramente croato perché comprendeva le “terre storiche croate” (il cosiddetto Regno Triune), ovvero Croazia, Slavonia e Dalmazia. Pertanto, il dottor Franjo Tuđman (presidente croato negli anni ’90) poté appropriarsi di tutti questi territori come terre che sarebbero state annesse alla Jugoslavia dalla “Croazia”, soprattutto perché, per qualche folle motivo, il governo del Regno di Serbia era l’unico al mondo a riconoscere questo Stato (e quindi a scavare una fossa sia per i serbi che per la Serbia)! Alla fine di novembre del 1918, una delegazione speciale dello Stato SCS fu inviata da Zagabria a Belgrado con le cosiddette “Istruzioni” (linee guida) per l’unificazione con la Serbia e il Montenegro. A Belgrado, questo atto di unificazione fu confermato (illegittimamente) solo il 1° dicembre 1918 dal reggente Alexander Karađorđević alla presenza della delegazione ufficiale dello Stato SCS di Zagabria. Pertanto, l’atto di unificazione fu proclamato a Zagabria e a Belgrado, ma confermato, ovvero legittimato, da un uomo che non aveva alcuna autorità legale per legittimare un atto politico e storico così importante.

In secondo luogo, da allora fino ad oggi, esiste un mito storico tra i serbi secondo cui con questo atto e i risultati della Grande Guerra (1914-1918), la Serbia sconfisse l’aggressore Austria-Ungheria perché scomparve dalla mappa dell’Europa, e il popolo serbo si unì nel quadro dello “Stato nazionale” per cui aveva lottato per secoli. Si dimentica, tuttavia, che dopo il 1918 sia l’Austria che l’Ungheria erano ancora sulla mappa dell’Europa (solo entro i confini etnici) con quei nomi, ma non la Serbia! Non dimentichiamo che la Serbia entrò nella Grande Guerra per difendere la sua indipendenza politica e quindi il suo nome sulla mappa dell’Europa, ma dopo la stessa guerra, al posto della Serbia, emerse la Jugoslavia austro-ungarica! Il jugoslavismo era un’ideologia austro-ungarica anti-serba (cioè contro la Serbia) destinata agli slavi meridionali austro-ungarici (jugoslavi) invece che a uno Stato unito di tutti i serbi e solo serbi. L’idea viennese di jugoslavismo risale all’inizio del XIX secolo, con l’obiettivo di riunire tutti gli slavi meridionali dell’Impero austriaco (dal 1867, Impero austro-ungarico) attorno a Vienna e non attorno a Belgrado. Nella prima metà e nella metà dello stesso secolo, appare anche con il termine Movimento illirico. Tuttavia, gli sloveni e i serbi (e soprattutto Vuk Stefanović Karadžić) riconobbero immediatamente l’essenza dello jugoslavismo e dell’illirismo austriaci, vedendo in essi, prima di tutto, le rivendicazioni della Grande Croazia sui territori slavi meridionali dell’Impero austriaco (come scrisse Vuk nella sua opera etnografica “Serbi tutti e ovunque” nel 1836). In una prospettiva storica, i serbi su entrambe le sponde del fiume Drina non lottavano per la Jugoslavia, ma per uno Stato nazionale unito di etnia serba, e l’ideologia dello jugoslavismo fu “nascosta sotto il tappeto” per loro in momenti storici oscuri e difficili, presumibilmente come un modo per risolvere la questione nazionale serba. Così, nello spirito dell’ideologia politica quotidiana dominante dello jugoslavismo in entrambe le grandi Jugoslavie (Regno e Repubblica), il “Načertanije” (1844) di Garašanin fu presentato come un programma jugoslavo di unificazione, e la battaglia di Kosovo (1389) come una resistenza jugoslava generale all’invasione dei conquistatori ottomani (ad esempio, dallo storico serbo-erzegovese Vladimir Ćorović). In ogni caso, il 28 luglio 1914, l’Austria-Ungheria dichiarò guerra al Regno di Serbia con l’unico obiettivo di cancellarlo dalla mappa dell’Europa. La guerra finì con la Serbia che non era più sulla mappa dell’Europa, ma l’Austria e l’Ungheria sì, e al posto della Serbia, il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (il Regno di SCS) apparve sulla scena internazionale. Tuttavia, a peggiorare le cose, la Serbia non esisteva nemmeno come regione all’interno del Regno di SCS, e la completa vittoria dell’Austria-Ungheria sulla Serbia arrivò nel 1929, quando il Regno di SCS fu ribattezzato Jugoslavia (austro-ungarica). Ricordiamo anche che la bandiera di Stato di entrambi i regni tra le due guerre (così come della Repubblica di Broz) era la bandiera croata (cioè la bandiera del Regno Triune) solo capovolta.

Quindi, in terzo luogo, nella Jugoslavia del primo dopoguerra (il primo nome era Regno dei Serbi, Croati e Sloveni o Regno di SCS), c’erano tutti i serbi, ma mescolati con un gran numero (e insieme il più grande) di non serbi, cosicché i serbi in Jugoslavia erano in realtà una minoranza rispetto a tutti gli altri popoli e nazionalità (collettivamente). Tutte le Jugoslavie erano etnicamente e religiosamente eterogenee, e in entrambe le grandi Jugoslavie non esisteva una chiara maggioranza etnica di alcun gruppo etnico o confessionale. Individualmente, gli serbi etnici erano sempre i più numerosi, ma non hanno mai avuto la maggioranza assoluta (50% + 1). I croati erano sempre al secondo posto e gli sloveni al terzo. Nel Regno di SCS, la popolazione ortodossa (principalmente serbi) nel 1921 era del 46,67%; i cattolici (principalmente croati e sloveni) del 39,29% e i musulmani (tutti i gruppi etnici) dell’11,22%. Pertanto, i cattolici erano quasi altrettanti quanto i serbi. Per questi e molti altri motivi culturali, storici, economici e politici, subito dopo la proclamazione dell’unificazione nel 1918, divenne chiaro che la Jugoslavia non era e non poteva essere uno Stato “nazionale” di tutti i serbi con cui i serbi avrebbero risolto la secolare “questione nazionale serba”, soprattutto dal 1929, quando l’etnonimo serbo fu rimosso anche dal nome ufficiale dello Stato e sostituito con quello austro-jugoslavo, quando il Paese fu ribattezzato Regno di Jugoslavia.

In quarto luogo, e soprattutto, la Serbia ha compiuto sacrifici umani e materiali anomali per la cosiddetta “unificazione” con i suoi ex nemici, occupanti e assassini di massa, che con l’atto stesso dell’‘unificazione’ ha trasferito dal campo dei vinti a quello dei vincitori e dei cittadini uguali in uno Stato comune, che dovevano essere trattati nel quadro dell’ideologia del “jugoslavismo integrale” (la forma della successiva banalità di Broz sulla “fratellanza e unità” utilizzata nella Jugoslavia socialista). La Serbia ha perso un totale di (almeno) 1 milione e 100.000 persone nella Grande Guerra, di cui 450.000 soldati e 650.000 civili, mentre le potenze centrali sul territorio serbo hanno perso 380.000 soldati. Si stima che circa il 50% della capacità industriale del Regno di Serbia sia stata distrutta durante la guerra, mentre le infrastrutture industriali nei territori jugoslavi dell’Austria-Ungheria sono rimaste intatte. Questo è stato il motivo cruciale per cui i territori austro-ungarici della Jugoslavia del dopoguerra erano industrialmente superiori alla Serbia. La Serbia perse circa il 60% della sua popolazione maschile e un terzo della sua popolazione totale nella Grande Guerra, che rappresenta il più grande etnocidio nella storia della Serbia. Tuttavia, questo etnocidio avrebbe potuto essere evitato? In linea di principio, sarebbe stato possibile se il governo del Regno di Serbia avesse rinunciato alla Dichiarazione di Niš sull’unificazione di tutti gli jugoslavi prima che le potenze centrali attaccassero la Serbia nell’autunno del 1915. Ricordiamo che il 7 dicembre 1914 il governo serbo di Pašić adottò a Niš la cosiddetta “Dichiarazione di Niš” sull’unificazione del Regno di Serbia con i “fratelli” austro-ungarici di origine slava meridionale, ovvero sulla creazione della Jugoslavia al posto della Grande Serbia. La Dichiarazione fu adottata, tra l’altro, come metodo per seminare discordia nelle file austro-ungariche, ma in seguito si rivelò controproducente per i serbi. In ogni caso, nella primavera e nell’estate del 1915, quando era chiaro che le potenze centrali avrebbero attaccato la Serbia e quando l’Intesa stava lottando per ogni potenziale alleato, alla Serbia fu offerta una proposta ragionevole dall’Intesa su come attirare la Bulgaria dalla parte dell’Intesa e quindi neutralizzarla, evitando allo stesso tempo la catastrofe nazionale dell’occupazione che si verificò nell’autunno dello stesso anno. Poiché la Bulgaria non avrebbe pugnalato la Serbia alle spalle durante la grande offensiva tedesco-austro-ungarica imminente, la Serbia avrebbe ceduto alla Bulgaria la Macedonia del Vardar senza la sua parte settentrionale “indiscussa”, che la Bulgaria aveva già riconosciuto come annessa alla Serbia nel 1912 al momento della conclusione dell’accordo serbo-bulgaro prima della prima guerra balcanica. In cambio, dopo la guerra, l’Intesa promise fermamente alla Serbia tutti i territori austro-ungarici abitati da una popolazione a maggioranza serba: la maggior parte della Slavonia, parti della Croazia e della Dalmazia, nonché l’intera Bosnia-Erzegovina. In altre parole, una Grande Serbia senza croati e sloveni. Tuttavia, nell’interesse dell’unificazione di tutta la Jugoslavia non solo con i serbi ma anche con gli sloveni e i croati, il governo del Regno di Serbia rifiutò questa proposta storicamente ottimale in nome della conservazione della “Macedonia serba” sulla base dei diritti storici, anche se non era certo che i serbi fossero la popolazione maggioritaria in queste zone della Macedonia. Lo stesso famoso filologo serbo del XIX secolo Vuk Stefanović Karadžić non era sicuro che i serbi fossero la maggioranza in Macedonia o addirittura che vivessero in gran numero perché non parlavano una lingua serba pura (štokaviana) (né l’ekaviana della Serbia né l’ijekaviana dall’altra parte del fiume Drina), e il famoso geografo serbo Jovan Cvijić definì intorno al 1910 la maggioranza della popolazione slava in Macedonia “slavi macedoni” (tra serbi e bulgari) oltre ai bulgari puri. In ogni caso, la punizione divina non tardò ad arrivare, nell’ottobre 1915, quando, sotto la pressione militare delle potenze centrali da ovest e della Bulgaria da est, il governo serbo decise di lasciare la Serbia con l’esercito principale e alcuni civili e di ritirarsi in Grecia attraverso il Kosovo e l’Albania (“Golgota albanese”). Seguirono anni di occupazione e terrore contro i civili e, quando il paese fu liberato nell’autunno del 1918, la Serbia cessò di esistere, sostituita dalla Jugoslavia.

In quinto luogo, alla fine della Grande Guerra, una Jugoslavia comune era necessaria solo ai croati e agli sloveni (austro-ungarici) sconfitti, ma non ai serbi, e soprattutto non a quelli della Serbia. I croati, attraverso la Jugoslavia, salvarono quanto più possibile della Dalmazia dalle rivendicazioni italiane alla fine della guerra, basate sul Trattato di Londra dell’aprile 1915 (il trattato tra l’Intesa e l’Italia). Così, il vile uovo austro-ungarico chiamato “jugoslavismo” fu inviato in Serbia da Zagabria proprio prima della fine della guerra, che era già stata vinta dai serbi, e il reggente Alexander Karađorđević (nato a Cetinje, in Montenegro) lo accettò con una procedura estremamente illegittima per soddisfare le sue pretese psicomegalomani di diventare re di una grande Jugoslavia (“Regno di Alessandria”), che propagava ideologicamente a tutti i livelli lo “jugoslavismo integrale” delle “tre tribù omonime”. Proprio per queste ragioni “integraliste”, in entrambe le grandi Jugoslavie (“Regno di Alessandria” e “Titoslavia” di Broz), la questione dei crimini di genocidio di massa contro la popolazione del Regno di Serbia occupato dai soldati austro-ungarici non fu mai sollevata ufficialmente, almeno in termini di etnia dei carnefici occupanti. Naturalmente, per semplici ragioni politiche, poiché un numero enorme di quei carnefici in uniforme blu proveniva dai territori jugoslavi dell’Austria-Ungheria, compresi anche quelli di etnia serba. Ricordiamo che l’originale Josip Broz, nato a Kumrovec, in Croazia, nel 1892 (non l’altro chiamato Tito – Segretario del Partito Comunista Jugoslavo!), prestò servizio in una di queste unità di occupazione-esecuzione (la Divisione Croata del Diavolo). A Šumarice, Kragujevac, nella Serbia centrale, c’è un cosiddetto cimitero “cecoslovacco” dove si trovano i resti degli slovacchi che prestarono servizio in uniforme blu ma si rifiutarono di sparare ai civili serbi. Per rappresaglia, altri soldati austro-ungarici spararono ai loro compagni slovacchi. Finora non si conoscono casi di soldati austro-ungarici di origine jugoslava che si siano rifiutati di sparare ai civili serbi o di bruciare le case serbe nella Serbia occupata, come hanno fatto gli slovacchi a Kragujevac.

Infine, in nessuna delle Jugoslavie è mai stato organizzato un referendum nazionale, ovvero il popolo non si è mai chiesto se volesse o meno vivere con gli altri nello stesso Stato. E tutti gli altri erano diversi dai serbi della Serbia, compresi i serbi etnici del territorio dell’Austria-Ungheria. Non dovremmo mai dimenticare che prima dell’“unificazione”, i serbi (tutti cittadini della Serbia) non hanno mai vissuto nello stesso Stato con gli jugoslavi austro-ungarici, né hanno avuto molti rapporti con loro su alcuna base. E viceversa. Entrambi non avevano alcuna esperienza storica di convivenza e si conoscevano molto poco. Soprattutto i serbi serbi e i croati e sloveni cattolici. I serbi ortodossi della Serbia non conoscevano bene né i serbi ortodossi della Bosnia-Erzegovina e del Regno Triune, né i musulmani e i cattolici. Tuttavia, a differenza dei serbi ortodossi della Serbia, i serbi ortodossi austro-ungarici e ottomani conoscevano molto meglio i loro compatrioti musulmani e cattolici (croati e sloveni) rispetto ai serbi del Regno di Serbia. In questo contesto, i serbi conoscevano gli “slavi macedoni” e persino i bulgari della Bulgaria molto meglio dei loro “fratelli” jugoslavi dell’Austria-Ungheria. Per non parlare dei serbi e degli albanesi in Kosovo o dei serbi e degli ungheresi in Vojvodina (Ungheria meridionale fino al 1918). Un esempio illustrativo: un gran numero di cognomi serbi dell’Austria-Ungheria prebellica non esistono in Serbia, né terminano con il suffisso -ić, a differenza dei cognomi dei serbi della Serbia. È il caso di Gavrilo Princip (l’assassino dell’arciduca austro-ungarico Francesco Ferdinando e di sua moglie Sofia, uccisi a Sarajevo il 28 giugno 1914), il cui cognome è completamente latinizzato, e si vocifera che il suo vero nome di battesimo non fosse Gavrilo ma Gabriel. Va menzionato anche Tesla. Gli antenati di Nikola Tesla (famoso inventore serbo dell’Austria-Ungheria) si trasferirono dalla Serbia occidentale all’Austria (Monarchia asburgica, oggi Croazia) come serbi ortodossi con un cognome che terminava in -ić (Draganić). Tuttavia, in Austria, il cognome fu completamente cambiato in Tesla, ma questi stessi Tesla non si convertirono al cattolicesimo né cambiarono la loro identità etnica (per diventare croati). Lo stesso padre di Nikola era un prete ortodosso serbo (ci sono diverse spiegazioni sul perché il cognome sia stato cambiato, ma sono irrilevanti ai fini di questo testo). A proposito, il nome della madre di Tesla, Georgina, è assolutamente raro tra i serbi ortodossi in Serbia, anche se è presente nell’elenco ufficiale dei nomi femminili “serbi” della Chiesa ortodossa serba. I cognomi Princip o Tesla non sono mai esistiti in Serbia, il che non significa automaticamente che non siano di etnia serba, ma che non provengono dalla Serbia, cioè dal paese che si è “unificato” nel 1918 con gli jugoslavi austro-ungarici. È interessante notare che lo studente liceale Gavrilo Princip non era mai stato in Serbia e Nikola Tesla ci era stato solo una volta (a Belgrado). Dragutin Dimitrijević Apis (di etnia valacca), che fu il principale artefice dell’assassinio a Sarajevo nel giugno 1914, non aveva ancora attraversato il fiume Drina. Per informazioni sulle grandi differenze etnoculturali, o meglio sui contrasti etnografici, degli jugoslavi nello Stato comune, si veda Tihomir Đ. Đorđević, Our National Life (Наш народни живот, edizione tra le due guerre in tre volumi), e sulla caratterologia degli jugoslavi, si veda Vladimir Dvorniković (edizione tra le due guerre). A proposito, la stragrande maggioranza dei serbi della Serbia, compresi quelli della Vojvodina ungherese, utilizzava il dialetto ekaviano come lingua madre nel 1918, mentre i serbi al di là del fiume Drina e i croati utilizzavano il dialetto ijekaviano, che era, come lo è oggi, piuttosto croatizzato nella zona del Regno Triune. Fino alla creazione della Jugoslavia, in Serbia non si utilizzava l’alfabeto latino, ma solo l’alfabeto cirillico distillato di Vuk. Tuttavia, per motivi di fratellanza e unità con gli jugoslavi austro-ungarici, dopo l’atto del 1° dicembre 1918, l’alfabeto latino (importato dalla parte jugoslava dell’Austria-Ungheria) ottenne lo stesso status del cirillico e oggi ha un primato indiscusso in Serbia.

Dr. Vladislav B. Sotirovic

Ex professore universitario

Ricercatore presso il Centro di studi geostrategici

Belgrado, Serbia

© Vladislav B. Sotirovic 2025

www.geostrategy.rs; sotirovic1967@gmail.com

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Serbian Misconceptions about the December 1st Act (1918)

There are several obvious misconceptions about the act of proclaiming the creation of Yugoslavia, or the so-called unification in Belgrade on December 1st, 1918, which Serbian historiography, in particular, persistently avoids.

First of all, the act of so-called unification was not passed in Belgrade on December 1st, 1918, but in Zagreb on November 23rd of the same year by the National Council of the State of Slovenes, Croats and Serbs or the State of SCS (in that order in ethnic categories). What is mostly constantly and consistently ignored by Serbian historiography is that this self-proclaimed state on the ruins of Austria-Hungary was conceived primarily as a Croatian national state with Slovenes and Serbs as some kind of national minorities. Let us recall that the state flag of this political entity was the Croatian tricolor without the coat of arms on it: red, white, and blue. However, ethnic Serbs constituted a clear individual-national majority in this state. Proclamatively, the State of SCS, which was proclaimed on October 29th, 1918, by the Parliament (Sabor) in Zagreb, encompassed all South Slavic ethnic territories in Austria-Hungary but under the Croatian flag. To make things even clearer, the state emblem of this political entity was clearly Croatian because it consisted of the “Croatian historical lands” (the so-called Triune Kingdom), i.e., Croatia, Slavonia, and Dalmatia. Therefore, Dr. Franjo Tuđman (Croatian President in the 1990s) could appropriate all these territories as lands that were allegedly brought into Yugoslavia by “Croatia”, especially since, for some crazy reason, the Government of the Kingdom of Serbia was the only one in the world that recognized this state (and thereby dug a grave for both Serbs and Serbia)! At the end of November 1918, a special delegation of the State of SCS was sent from Zagreb to Belgrade with the so-called “Instructions” (guidelines) for unification with Serbia and Montenegro. In Belgrade, this act of unification was only (illegitimately) confirmed on December 1st, 1918, by the regent Alexander Karađorđević in the presence of the official delegation of the Zagreb State of SCS. Therefore, the act of unification was proclaimed in Zagreb and in Belgrade, only confirmed, i.e., legitimized, by a man who did not have any legal authority to legitimize such a major political and historical act.

Secondly, from then until today, there is a historical myth among Serbs that with this act and the results of the Great War (1914‒1918), Serbia defeated the aggressor Austria-Hungary because it disappeared from the map of Europe, and the Serbian people united within the framework of the “national state” for which they had strived for centuries. It is forgotten, however, that after 1918, both Austria and Hungary were still on the map of Europe (just within the ethnic borders) under those names, but not Serbia! Let us not forget that Serbia entered the Great War to defend its political independence and therefore its name on the map of Europe, but after the same war, instead of Serbia, Austro-Hungarian Yugoslavia emerged! Yugoslavism was an Austro-Hungarian anti-Serbian (i.e., against Serbia) ideology intended for Austro-Hungarian South Slavs (Yugoslavs) instead of a united state of all Serbs and only Serbs. The Viennese idea of ​​Yugoslavism dates back to the beginning of the 19th century in order to gather all the South Slavs of the Austrian Empire (from 1867, the Austro-Hungarian Empire) around Vienna and not around Belgrade. In the first half and middle of the same century, it also appears under the term Illyrian Movement. However, the Slovenes and Serbs (and above all Vuk Stefanović Karadžić) immediately recognized the essence of Austrian Yugoslavism and Illyrianism, correctly seeing in them, first and foremost, Greater Croatian claims to the South Slavic territories of the Austrian Empire (as Vuk wrote in his ethnographic work “Serbs All and Everywhere” in 1836). In a historical perspective, the Serbs on both sides of the Drina River did not strive for Yugoslavia, but for a united national state of ethnic Serbs, and the ideology of Yugoslavism was swept “under the rug” for them in murky and difficult historical moments, supposedly as a way of resolving the Serbian national question. Thus, in the spirit of the ruling daily political ideology of Yugoslavism in both greater Yugoslavias (Kingdom and Republic), Garašanin’s “Načertanije” (1844) was presented as a Yugoslav program of unification, and the Battle of Kosovo (1389) as a general Yugoslav resistance to the encroachment of the Ottoman conquerors (e.g., by Serb-Herzegovinian historian Vladimir Ćorović). In any case, on July 28th, 1914, Austria-Hungary declared war on the Kingdom of Serbia with the sole aim of erasing it from the map of Europe. The war ended with Serbia no longer on the map of Europe, but Austria and Hungary did, and instead of Serbia, the Kingdom of Serbs, Croats, and Slovenes (the Kingdom of SCS) appeared on the international scene. However, to make matters worse, Serbia did not exist even as a region within the framework of this Kingdom of SCS, and Austria-Hungary’s complete victory over Serbia came in 1929, when the Kingdom of SCS was renamed (Austro-Hungarian) Yugoslavia. Let us also recall that the state flag of both interwar Kingdoms (as well as Broz’s Republic) was the Croatian flag (i.e., the flag of the Triune Kingdom) only turned upside down.

So, thirdly, in the post-WWI Yugoslavia (the first name was the Kingdom of Serbs, Croats and Slovenes or the Kingdom of SCS), all Serbs were found, but mixed with a large number (and together the largest) of non-Serbs, so that Serbs in Yugoslavia were actually a minority compared to all other peoples and nationalities (collectively). All Yugoslavias were ethnically and religiously heterogeneous, and in both greater Yugoslavias, there did not exist a clear ethnic majority of any ethnic or confessional group. Individually, ethnic Serbs were always the most numerous but never had an absolute majority (50% + 1). Croats were always in second place and Slovenes in third. In the Kingdom of SCS, the Orthodox population (mainly Serbs) in 1921 was 46.67%; Catholics (mainly Croats and Slovenes) 39.29% and Muslims (all ethnic groups) 11.22%. Therefore, there were almost as many Catholics as there were ethnic Serbs. For these and many other cultural, historical, economic and political reasons, soon after the proclamation of unification in 1918, it became clear that Yugoslavia was not and could not be a “national” state of all Serbs with which the Serbs supposedly resolved the centuries-old “Serbian national question”, especially since 1929, when the Serbian ethnonym was also removed from the official name of the state and replaced with the Austro-Yugoslav one as the country became renamed into the Kingdom of Yugoslavia.

Fourth, and most importantly, Serbia made abnormal human and material sacrifices for the so-called “unification” with its former enemies, occupiers and mass murderers, whom it transferred by the very act of “unification” from the camp of the defeated to the camp of the victors and equal citizens in a common state who were to be treated within the framework of the ideology of “integral Yugoslavism” (the form of Broz’s later platitude of “brotherhood and unity” used in socialist Yugoslavia). Serbia lost a total of (at least) 1 million and 100,000 people in the Great War, of which 450,000 soldiers and 650,000 civilians, and the Central Powers on the territory of Serbia 380,000 soldiers. It is estimated that around 50% of the industrial capacity of the Kingdom of Serbia was destroyed during the war, while industrial infrastructure in the Yugoslav territories of Austria-Hungary remained intact. That was the crucial reason why the Austro-Hungarian territories of post-war Yugoslavia were industrially superior to Serbia. Serbia lost about 60% of its male population and a 1/3 of its total population in the Great War, which is the largest ethnocide in the history of Serbia. However, could this ethnocide have been avoided? In principle, it was possible if the Government of the Kingdom of Serbia renounced the Niš Declaration on the unification of all Yugoslavs before the Central Powers attacked Serbia in autumn 1915. Let us recall that on December 7th, 1914, the Pašić Government of Serbia adopted in Niš the so-called “Niš Declaration” on the unification of the Kingdom of Serbia with the Austro-Hungarian “brothers” of South Slavic origin, i.e., on the creation of Yugoslavia instead of Greater Serbia. The Declaration was adopted, among other things, as a method of discord in the Austro-Hungarian ranks, but it later turned out to backfire on the Serbians. In any case, in the spring and summer of 1915, when it was clear that the Central Powers would attack Serbia and when the Entente was fighting for every potential ally, Serbia was offered a reasonable proposal by the Entente on how to attract Bulgaria to the Entente side and thus neutralize it, while at the same time avoiding the national catastrophe of occupation that occurred in the autumn of the same year. Since Bulgaria would not stab Serbia in the back during the upcoming German-Austro-Hungarian major offensive, Serbia was to cede Vardar Macedonia to Bulgaria without its “undisputed” northern part, which Bulgaria had already recognized to be annexed by Serbia in 1912 when concluding the Serbian-Bulgarian agreement before the First Balkan War. In return, after the war, the Entente firmly promised Serbia all the Austro-Hungarian territories inhabited by a majority Serbian population – the major part of Slavonia, parts of Croatia and Dalmatia, as well as the entire Bosnia and Herzegovina. In other words, Greater Serbia without Croats and Slovenes. However, for the sake of all-Yugoslav unification not only with Serbs but also with Slovenes and Croats, the Government of the Kingdom of Serbia rejected this historically optimal proposal in the name of preserving “Serbian Macedonia” based on historical rights, even though it was not known for certain that Serbs were the majority population in these areas of Macedonia. The famous 19th-century Serbian philologist Vuk Stefanović Karadžić himself was not sure that Serbs were the majority in Macedonia or even that they lived in large numbers because they did not speak a pure Serbian (Štokavian) language (neither the Ekavian from Serbia nor the Ijekavian from across the Drina River), and famous Serbian geographer Jovan Cvijić called around 1910 the majority of the Slavic population in Macedonia “Macedonian Slavs” (being between Serbs and Bulgarians) in addition to pure Bulgarians. In any case, divine punishment soon followed, in October 1915, when, under military pressure from the Central Powers from the west and Bulgaria from the east, the Serbian Government decided to leave Serbia with the main army and some civilians and retreat to Greece via Kosovo and Albania („Albanian Golghota“). Years of occupation and terror against civilians followed, and when the country was liberated in the fall of 1918, Serbia effectively ceased to exist, as Yugoslavia emerged in its place.

Fifth, in the end and after the Great War, a common Yugoslavia was needed only by the defeated (Austro-Hungarian) Croats and Slovenes, but not by the Serbs, and especially not by those from Serbia. The Croats, through Yugoslavia, saved as much of Dalmatia as they could from Italian claims at the end of the war based on the Treaty of London from April 1915 (the treaty between the Entente and Italy). Thus, the Austro-Hungarian cowardly egg called “Yugoslavism” was sent to Serbia from Zagreb right before the end of the war that had already been won for the Serbs, and the regent Alexander Karađorđević (born in Cetinje, Montenegro) accepted it in an extremely illegitimate procedural manner for the sake of fulfilling his psychomegalomaniacal claims to be the king of a greater Yugoslavia (“Kingdom of Alexandria”), which ideologically propagated at all levels “integral Yugoslavism” of “three tribes of the same name”. Precisely for these “integralist” reasons, in both greater Yugoslavias (“Kingdom of Alexandria” and Broz’s “Titoslavia”), the issue of mass crimes of genocide against the population of the occupied Kingdom of Serbia by the Austro-Hungarian soldiers was never officially raised, at least in terms of the ethnicity of the occupying executioners. Of course, for simple political reasons, because a huge number of those executioners in blue uniforms came from the Yugoslav territories of Austria-Hungary, including ethnic Serbs, too. Let us recall that original Josip Broz, born in Kumrovec, Croatia, in 1892 (not the other one called Tito – Secretary of the Communist Party of Yugoslavia!), served in one such occupation-execution unit (the Croatian Devil’s Division). In Šumarice, Kragujevac, in Central Serbia, there is a so-called “Czechoslovak” cemetery where the remains of Slovaks who served in blue uniforms but refused to shoot Serbian civilians are located. In retaliation, other Austro-Hungarian soldiers shot their Slovak comrades. So far, there is no known case of Austro-Hungarian soldiers of Yugoslav origin refusing to shoot Serbian civilians or burn Serbian houses in occupied Serbia, as the Slovaks did in Kragujevac.

Finally, out of all the Yugoslavias, a national referendum was never organized for any of them, i.e., the people never asked themselves whether or not they wanted to live with the others in the same state. And all those others were different from the Serbs from Serbia, including ethnic Serbs from the territory of Austria-Hungary. We should never forget that before the “unification”, the Serbians (all citizens of Serbia) never lived in the same state with the Austro-Hungarian Yugoslavs, nor did they associate much with them on any basis. And vice versa. Both had no historical experience in any kind of coexistence and knew each other very little. Especially the Serbian Serbs and the Catholic Croats and Slovenes. The Orthodox Serbs from Serbia were not very familiar either with the Orthodox Serbs from Bosnia-Herzegovina and the Triune Kingdom or with their Muslims and Catholics. However, unlike the Orthodox Serbs from Serbia, the Austro-Hungarian and Ottoman Orthodox Serbs were much more familiar with their Muslim and Catholic compatriots (Croats and Slovenes) and knew them much better than the Serbs from the Kingdom of Serbia. In this context, the Serbs knew the “Macedonian Slavs” and even the Bulgarians from Bulgaria much better than their Yugoslav “brothers” from Austria-Hungary. Not to mention the Serbs and Albanians in Kosovo or the Serbs and Hungarians in Vojvodina (Southern Hungary till 1918). One illustrative example: a huge number of Serbian family surnames from pre-war Austria-Hungary do not exist in Serbia, nor do they end with the suffix -ić, unlike the surnames of Serbs from Serbia. Such is the example of Gavrilo Princip (the assassin of Austro-Hungarian Archduke Franz Ferdinand and his wife, Sofia, in Sarajevo on June 28th, 1914), whose surname is absolutely Latinized, and there are rumors that his real baptismal name was not Gavrilo but Gabriel. Tesla should also be mentioned. Nikola Tesla’s (famous Serbian inventor from Austria-Hungary) ancestors moved from Western Serbia to Austria (Habsburg Monarchy, today Croatia) as Orthodox Serbs with a surname ending in -ić (Draganić). However, in Austria, the surname was completely changed to Tesla, but these same Teslas did not convert to Catholicism or change their ethnic identity (to become Croats). Nikola’s father himself was a Serbian Orthodox priest (there are several explanations for why the surname was changed, but they are irrelevant to this text). By the way, the name of Tesla’s mother, Georgina, is absolutely rare among Orthodox Serbs in Serbia, even though it is on the official list of „Serbian“ female names by the Serbian Orthodox Church. The surnames Princip or Tesla never existed in Serbia, which does not automatically mean that they are not ethnic Serbs, but they are not from Serbia, i.e., the country that “unified” in 1918 with the Austro-Hungarian Yugoslavs. Fascinatingly, the high school student Gavrilo Princip had never been to Serbia, and Nikola Tesla had only been to it once (in Belgrade). Dragutin Dimitrijević Apis (an ethnic Vlach), who was the main architect of the assassination in Sarajevo in June 1914, had not crossed the Drina River by then. For information on the great ethnocultural differences, or rather the ethnographic contrasts, of the Yugoslavs in the common state, see Tihomir Đ. Đorđević, Our National Life (Наш народни живот, interwar edition in three volumes), and on the characterology of the Yugoslavs, see Vladimir Dvorniković (interwar edition). By the way, the vast majority of Serbs from Serbia, including those from Hungarian Vojvodina, used the Ekavian dialect as their mother tongue in 1918, while the Serbs across the Drina River and the Croats used the Ijekavian dialect, which was, as it is today, quite Croatized in the area of ​​the Triune Kingdom. Until the creation of Yugoslavia, the Latin script was not used in Serbia, but only Vuk’s distilled Cyrillic script. However, for the sake of brotherhood and unity with the Austro-Hungarian Yugoslavs, after the December 1st Act of 1918, the Latin script (imported from the Yugoslav part of Austria-Hungary) was given equal status with Cyrillic, and today it has undisputed primacy in Serbia.

Dr. Vladislav B. Sotirovic

Ex-University Professor

Research Fellow at Centre for Geostrategic Studies

Belgrade, Serbia

© Vladislav B. Sotirovic 2025

www.geostrategy.rs; sotirovic1967@gmail.com

I data center sono inutili senza energia: la componente critica che richiede una pianificazione a lungo termine_di Karl Sanchez

I data center sono inutili senza energia: la componente critica che richiede una pianificazione a lungo termine

Il CEO di Nvidia Jensen Huang e altri parlano degli svantaggi di Outlaw US Empire

Karl Sánchez8 dicembre
TRATTO DA KARL SANCHEZ SUBSTACK
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La questione della produzione di energia elettrica rimane un punto di discussione importante quando si considerano tutti i fattori coinvolti nella corsa all’intelligenza artificiale, che non riguarda solo l’Impero fuorilegge degli Stati Uniti e la Cina, come molti pensano, poiché anche Russia e India sono in competizione, sebbene omesse da rappresentazioni artistiche come quella sopra. Ecco un rapporto pubblicato il 7 dicembre su Guancha :

Grazie ad aziende come Nvidia, il boom dell’intelligenza artificiale sta rapidamente stimolando la domanda di data center, ma l’invecchiamento delle infrastrutture e la lentezza dei lavori di costruzione negli Stati Uniti stanno rallentando la costruzione di data center nel Paese. Bloomberg ha pubblicato un articolo il 10 novembre in cui si afferma che a Santa Clara, in California, dove si trova la sede centrale di Nvidia, due data center sono rimasti vuoti per diversi anni a causa della mancanza di energia elettrica locale .

Jordan Sadler, portavoce di Digital Realty, lo sviluppatore di uno dei data center, ha affermato che attendere tre anni per l’energia è “ un tempo di attesa normale nella maggior parte degli Stati Uniti”, e anche più lungo in aree ad alta domanda come la Silicon Valley e la Virginia settentrionale.

“A Santa Clara, se oggi trovi un pezzo di terra e inizi a richiedere una nuova elettricità, potresti dover aspettare anni”, ha detto Sadler.

Il “potrebbe” di Sadler dovrebbe essere “avrà”, e ciò è dovuto principalmente alla mancanza di pianificazione a lungo termine da parte di aziende energetiche private come PG&E nel caso della California, che antepongono i profitti a tutto il resto, inclusa la manutenzione per la quale PG&E ha perso molti milioni di dollari in multe legali perché la sua negligenza volontaria ha causato recenti incendi devastanti – non si è imparato nulla dalla “crisi energetica” inventata alla fine degli anni ’90 che ha messo in mostra Enron e la sua “contabilità”, ma ha anche implicato la riluttanza di PG&E a costruire maggiore capacità e ad aggiornare le linee di trasmissione, quest’ultima causa degli incendi. Ma la California non è l’unico stato con problemi di energia elettrica. Il Texas ha gravi problemi, così come la Virginia e gran parte della costa orientale, in particolare New York, come è stato dimostrato la scorsa estate. La riluttanza a costruire è dovuta alla spinta al profitto dei dirigenti, per lo più finanziari, delle aziende energetiche, mentre gli ingegneri, come nel caso di Boeing, sono stati estromessi dai loro consigli di amministrazione: con l’aumento della domanda per l’offerta limitata disponibile, anche i prezzi aumentano, il che aumenta i profitti, che finiscono nelle tasche degli azionisti invece di aumentare la capacità e potenziare le linee di trasmissione per soddisfare la crescente domanda. Inoltre, all’interno dell’Impero fuorilegge degli Stati Uniti, non esiste alcuna pianificazione centralizzata in materia di produzione di energia: è tutta a livello statale o regionale. Washington può proclamare la necessità di una maggiore capacità di generazione di energia elettrica attraverso il Dipartimento dell’Energia, ma al giorno d’oggi ha pochi mezzi per intervenire.

Le nazioni rimaste nella corsa all’intelligenza artificiale – Cina, Russia e India (l’Europa non è più un contendente grazie alla sua politica energetica incredibilmente idiota e alla distruzione del gasdotto Nord Stream da parte di Biden) – hanno governi che pianificano a lungo termine e hanno ministeri centralizzati che gestiscono sistemi unitari, in modo da poter pianificare e attuare politiche in grado di soddisfare la futura domanda energetica. Dall’articolo, ecco Huang di Nvidia:

“La Cina ha il doppio dell’energia degli Stati Uniti”. Ha affermato che il governo statunitense sta promuovendo la delocalizzazione della produzione, “ma senza energia, come possiamo costruire fabbriche di chip, fabbriche di supercomputer e centri dati di intelligenza artificiale?”

Sebbene non sia associato alla produzione di energia, Huang sottolinea questo punto molto importante:

Huang ha affermato che gli Stati Uniti mantengono ancora un vantaggio di circa “sei mesi” nei modelli di intelligenza artificiale all’avanguardia, ma la Cina è molto più avanti nei modelli open source: “Senza open source, le startup non possono prosperare, i ricercatori universitari hanno difficoltà a condurre ricerche e gli scienziati non possono utilizzare l’intelligenza artificiale. Senza open source, quasi tutti i settori dell’economia non possono raggiungere progressi fondamentali. Le diverse tecnologie che consentono all’intelligenza artificiale di prosperare sono open source e la Cina è più avanti degli Stati Uniti in questo ambito”.

Warwick Powell ha scritto alcuni saggi molto preziosi su questo argomento e sulla tecnologia in generale. Dal suo saggio di inizio novembre :

Per i modelli su larga scala, i costi energetici, i costi di raffreddamento e la produttività totale del sistema sono altrettanto importanti; spesso più dell’efficienza massima del chip. In questo caso, gli Stati Uniti si trovano ad affrontare uno svantaggio strutturale. I prezzi dell’elettricità su scala industriale negli Stati Uniti sono in aumento, attestandosi attualmente in media intorno a 0,12 dollari per kWh, mentre in Cina, le grandi regioni industriali che servono cluster di intelligenza artificiale pagano appena 0,04 dollari per kWh.

E questo è tratto dal suo eccellente saggio di inizio ottobre che tratta esclusivamente la questione del potere:

Gli Stati Uniti si trovano ad affrontare profondi colli di bottiglia strutturali nello sviluppo delle infrastrutture energetiche, che vanno dai ritardi normativi e dai vincoli di trasmissione ai costi di capitale, alla carenza di manodopera qualificata e alla prontezza tecnologica. Anche in assenza di complicazioni internazionali, questi ostacoli interni rendono di fatto irraggiungibile un orizzonte temporale quinquennale per 100 GW di capacità energetica fissa. Le implicazioni sono brutali e gravi. Una fornitura di energia elettrica ridotta e costosa per l’intelligenza artificiale e il settore manifatturiero comprometterà la competitività economica americana, con effetti a catena sulla convenienza economica delle famiglie. Questi impatti stanno già diventando evidenti, con i prezzi all’ingrosso del pool negli Stati Uniti che sono aumentati del 267% negli ultimi 5 anni, a seguito dell’impennata della domanda di elettricità da parte del settore dell’intelligenza artificiale.

I dati della fonte citata sono allarmanti e dimostrano che negli oltre 25 anni trascorsi dallo scandalo energetico Enron non è stato fatto nulla per migliorare la situazione. E il problema del raffreddamento, che richiede enormi quantità d’acqua, è un altro “ostacolo interno” che genererà ogni sorta di proteste NIMBY.

Il neoliberismo non ha solo svuotato la capacità industriale dell’Impero degli Stati Uniti fuorilegge; la sua attenzione ai profitti a breve termine a scapito della pianificazione a lungo termine ha gravemente danneggiato la capacità dell’Impero di competere, mentre la corsa all’intelligenza artificiale si trasforma in una maratona. E vediamo i miliardari accumulare ricchezze invece di investire in una maggiore capacità produttiva e nei sistemi energetici per gestirla. In definitiva, si stanno dimostrando inutili.

Chi ha letto il mio resoconto sul forum annuale della Settimana dell’Energia in Russia avrà appreso cosa ha pianificato e sta attualmente costruendo Rosatom, e non solo in Russia, ma anche in Cina e India. E poi c’è una nuova tecnologia di accumulo di energia – le batterie agli ioni di sodio – che migliora notevolmente le capacità di energia verde. Sia la Cina che la Russia hanno ancora risorse idroelettriche da sfruttare che l’Impero non ha. L’Impero potrebbe costruire più energia eolica, ma Trump ha bloccato il suo programma di sussidi. La ricerca cinese sulla fusione è molto intensa e non è solo guidata dallo Stato, con il numero di start-up che fa parte della strategia cinese di aumentare il ritmo dell’innovazione attraverso la concorrenza, una politica che è stata implementata in tutti gli ambiti tecnologici. Quando la Cina pubblicherà formalmente il suo prossimo piano quinquennale all’inizio del prossimo anno, molti guarderanno ai suoi piani per il settore energetico.

L’India ha una serie di piani di espansione della produzione energetica futura, gestiti centralmente dalla divisione energetica di NITI Aayog , che sembrano imitare il percorso della Cina, che prevede di espandere la produzione di energia a carbone di 90 GW entro il 2032, potenziando al contempo il suo ambizioso settore dell’energia verde, già piuttosto ampio. Ora che l’India ha deciso quale blocco geopolitico preferirà, dovrebbe continuare il suo ritmo di sviluppo annuo dell’8-9%, e ciò richiederà energia.

Lascerò che Warwick Powell faccia questa dichiarazione conclusiva:

L’obiettivo dei 100 GW riflette quindi la consapevolezza di fondo che l’attuale sistema energetico americano non può supportare la duplice ambizione di alimentare l’intelligenza artificiale e rilanciare il settore manifatturiero. Tuttavia, la consapevolezza del problema non deve essere confusa con la fattibilità. Anche con ipotesi ottimistiche, la portata della nuova generazione di energia richiesta sarebbe difficile da realizzare in un decennio. Per riuscirci nella metà del tempo richiesto non solo un boom edilizio senza precedenti, ma anche la risoluzione di consolidati colli di bottiglia strutturali che da tempo limitano lo sviluppo energetico statunitense.

La mancanza di una pianificazione critica a lungo termine è il punto più debole dell’Impero, che sembra ideologicamente in grado di migliorare. Non esiste un piano continentale per un impero di dimensioni continentali che affermi di voler rimanere leader, ma che mostri l’incapacità di farlo. L’unico attore importante che cerca costantemente e pubblicamente di migliorare la situazione è Jensen Huang di Nvidia. A mio parere, dovrebbe rivolgere le sue critiche ai numerosi miliardari della tecnologia, poiché c’è ben poco che il governo federale possa fare per migliorare la situazione energetica e mantenere le aziende americane nella corsa all’intelligenza artificiale.

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C’è un Katechon_di WS

Gli  avvenimenti  stanno  precipitando   anche se , continuamente  confusi  da  un continuo  teatro,   solo pochi    tra noi  riescono  a vedere  il punto  verso  cui  ci  stanno portando .

Uno  di  questi  da molti  anni  è   certamente  Marco Della Luna.

Ora  nel suo più recente  post  (https://marcodellaluna.info/sito/2025/12/04/i-fattori-del-futuro/)  Marco  Della Luna   (MDL   da qui in avanti)  con la sua  solita spietata visione del mondo  cerca di fornirci un  quadro   del “futuro possibile”  che    ci attende.

Il post  è lungo   , troppo lungo per  essere riportato qui interamente  e  quindi  io lo  commenterò qui  solo  su  di un  punto saliente: il nostro  destino  è  già segnato ?.

Innanzitutto      dichiaro di condividere  totalmente le premesse   di MDL;  gli   attuali  avvenimenti , compresi  quelli geopolitici , sono  espressione  “vettoriale”   e “complessa”   di un processo   di trasformazione imposto  a tutti noi  da una oligarchia   tecno-finanziaria  che considera  “superflui”  i “popoli”. 

Il mio punto di vista differisce da quello  di MDL solo su un aspetto: io  credo che questo processo  sia  una costante  della  evoluzione umana  . Per   me questo non  è un  “ accidente  della  storia “, bensì  l’eterna  lotta    tra  “Gnosi” e “Verbo”,   tra   “la conoscenza riservata  a pochi” ( i “migliori” ovviamente)  e la “verità”   rivelata  a tutti gli altri  (  i “ peggiori” appunto).

Perché le tracce  di questa “dicotomia”  si trovano ovunque nella  storia  dell’umanità,  il cui progresso   procede    contortamente   in una   continua  dialettica   tra “bene”  e “ male” .  

Tra  il Verbo, quindi,   e  la  Gnosi che  sempre  prospera nell’ ombra   del primo,  costantemente insidiandolo ,  per    talvolta   anche  venire  allo scoperto  ad   attaccarlo frontalmente   per poi   , almeno  finora ,  esserne   sempre  stato   dolorosamente sconfitto .

Questo è già avvenuto  parecchie  volte  nel passato;  ma  mai  come in questi  “  tempi”  la Gnosi è stata così vicina  a   uccidere  per sempre il Verbo  , o se vogliamo  usare le categorie  di MDL,  mai l’ oligarchia    è stata  così tanto potente   da   ridurre  i popoli   a mandrie  di bestie     gestendoli   in modo  così  tanto “zootecnico”.

 O per meglio ancora   dire,  mai nessuna  oligarchia    è stata  tanto vicina   a produrre  la “speciazione” ,     tra  “   semidei”  e  “bestie parlanti”,  così tanto  da  sempre desiderata  da ogni “gnostico”.

Ora,  nel suo post MDL  per  valutare  il      futuro che  queste oligarchie  ci apparecchiano   sviluppa  ottime  considerazioni      riassumendole  in  questa  sua tabella

     Fattori di Centralizzazione e zootecnia applicata al corpo sociale:

FattoreDescrizione (Sintesi)Rischio Principale
Intelligenza Artificiale (IA)Strumento per il controllo capillare in tempo reale della popolazione e potenziale agente di sconvolgimento finanziario/militare se incontrollata.Controllo onnisciente e imprevedibilità del caos finanziario/militare.
Strumenti Elettromagnetici (5G/6G)Mezzi per il tracciamento universale di persone e oggetti, con il potenziale di manipolazione fisica (termica, attivazione di nanosostanze).Sorveglianza totalitaria e minaccia alla salute fisica.
Manipolazione BiologicaUso di nanotecnologie e fattori mutageni per il controllo profondo degli organismi, mutazioni genetiche e programmi di ridimensionamento demografico.Controllo biologico della popolazione e soppressione di massa.
Stato Guarnigione OrwellianoRistrutturazione degli Stati come roccaforti di controllo e autoprotezione delle oligarchie contro le masse impoverite (es. leva di massa per il controllo sociale).Militarizzazione della società e repressione della protesta popolare.
Atomizzazione e DistrazioneColtivazione di conflitti diversivi (genere, razza, ecc.) e demolizione dei corpi intermedi (es. famiglia) per prevenire l’unione contro la polarizzazione economica.Efficace gestione del dissenso e isolamento dell’individuo.
Successione di EmergenzeUso costante di problemi (climatici, sanitari, economici) reali o simulati per mantenere uno stato di legislazione di emergenza permanente.Erosione delle libertà individuali in nome della sicurezza.
Crisi MonetariaScoppio differibile ma inevitabile della bolla finanziaria dovuta alla sproporzione tra moneta (virtuale) e beni reali, eventualmente gestita con distruzioni regionali per innescare nuova domanda di credito.Collasso economico o guerre regionali come strumento di stabilizzazione finanziaria.
Indementimento GeneraleCalo delle capacità cognitive delle nuove generazioni, accelerato dall’IA, che semplifica la gestione del potere e spegne l’influenzamento popolare.Società apatica e priva di capacità critica verso il potere.

E  analogamente    riporta in tabella    i   vettori  di  resistenza   che potrebbero     contrastare il processo

2. I Vettori della Resistenza (Contro-Fattori)

Contro-FattoreDescrizione (Sintesi)Manifestazione
Decentralizzazione TecnologicaUso di strumenti come Crittografia, Blockchain, e software Open Source per distribuire il potere e l’informazione, garantendo comunicazioni sicure e sistemi finanziari non controllabili centralmente.Forze di resistenza tecnica e movimenti peer-to-peer che minano il controllo finanziario e di comunicazione.
Psiche Collettiva in RivoltaAttivazione degli archetipi di Ombra e Senex in risposta allo stress estremo (crisi e controllo). Si manifesta come reazione violenta al trauma e ricerca di un senso nuovo.Esplosioni emotive di massa e improvvise, difficili da reprimere, guidate da una rabbia profonda o da una ricerca di leader carismatici.
Ritorno tentato  al supposto AutenticoReazione immunitaria del campo sociale contro l’atomizzazione, che spinge alla riscoperta delle reti solidaristiche e delle comunità locali/tangibili.Rafforzamento involontario delle forme solidaristiche (mutuo soccorso, economie locali) che lo Stato Guarnigione tenta di demolire, creando sacche di autonomia.

Che   però,  al contrario  di MDL, io  ritengo  assolutamente  risibili.

 Con  SOLO  questi  fattori  di resistenza  la  sconfitta  dei popoli è certa.

 Per  me non possono   esistere   forme  di resistenza   efficaci  a  questo processo  di  zootecnia    globale     che non   raggiungano  almeno la dimensione   di uno  solido  STATO   tecnologicamente  avanzato  ed  AUTOSUFFICIENTE  in  cui le locali  elites   abbiano   però rifiutato  “la gnosi”  prendendo   invece  come proprio valore morale   “Il verbo” .

Solo  questo   STATO    potrebbe essere   un vero Katechon;   colui   che “  trattiene  il male”   rinviando così  i “tempi ultimi”     del genere umano    secondo   i  termini  della apocalittica paolina.

Quindi il nostro futuro è già segnato  o   c’ è ora   da qualche parte   speranza   di un  simile  Katechon ?

 Ma   la   vera domanda    dovrebbe  essere : chi   potrebbe mai  essere  costui ?

 Per   individure  possibili  “candidati”   c’è un marker molto semplice:   i possibili  Katechon   sono quelli  che  LORO  più odiano ,  più  demonizzano   e più perseguitano.  

I FATTORI DEL FUTURO_ di Marco Della Luna

Generali 0

Al Festival della Distopia

Se non avverranno cataclismi o guerre globali che stravolgano il mondo, il nostro domani risulterà dall’interazione de i seguenti fattori, già oggi all’opera:

Fine delle frottole: gli eventi in corso (soprattutto con Ursula, con Trump e con Israele) stanno ponendo fine alla credibilità di tutti gli story telling sulla solidarietà atlantica, sulla solidarietà europea, sulla solidarietà islamica, sul consenso popolare come presupposto della legittimazione del potere politico, sull’eticità in politica estera, sull’esportazione della democrazia, sul rispetto dei popoli e della legge internazionale; è sempre più evidente che, tra gli stati e tra le classi sociali, contano solo i rapporti di forza e di interesse.

Intelligenza artificiale: essa può essere usata in combinazione con altre tecnologie, da parte di chi la possiede, per stabilire un controllo capillare e in tempo reale dell’intera popolazione terrestre; oppure, al contrario, può sfuggire di mano e produrre sconvolgimenti imprevedibili, agendo tanto in campo finanziario quanto in campo militare.

Strumenti elettromagnetici: il 5G, il 6G etc. possono consentire il tracciamento di ogni movimento e presenza di cose o persone e altresì produrre innalzamenti della temperatura dei corpi fino a cagionarne la morte, oppure l’attivazione di sostanze precedentemente introdotte con farmaci o vaccini racchiusi in capsule termo-solubili. 

Manipolazione biologica: con la possibilità di introdurre nel corpo umano nanomacchine e fattori patogeni e mutageni veicolati dal mRNA auto-replicante, già in uso sulla popolazione ignara, in combinazione con la somministrazione obbligatoria di sostanze, e con altre tecnologie, può realizzare un controllo profondo sugli organismi, mutazioni genetiche (facendo diventare noi stessi gli alieni!), sterilizzazione, depopolazione.

Stato-guarnigione orwelliano: come previsto negli anni quaranta del secolo scorso dal sociologo Harold Lasswell, gli stati già oggi vengono ristrutturati per farne roccaforti di controllo e autodifesa delle minoranze oligarchiche contro le turbolenze e le resistenze di sempre più estese masse impoverite e marginalizzate. In Europa, la nuova corsa agli armamenti e i progetti di leva di massa vanno in questo senso: inquadrare i giovani sotto il controllo e la direzione dell’esercito, sottrarli alla partecipazione a una resistenza sociale, usarli per reprimere la protesta popolare.

Atomizzazione sociale e distrazione delle masse: per controllare meglio la gente e per prevenire informarsi di fronti di opposizione rispetto al vero conflitto sociale, cioè la polarizzazione economica e tecnologica della società tra ricchi potenti e poveri impotenti, si continua l’opera di coltivazione di minoranze e conflittualità diversive, artificiose, come quelle di genere, razza, di religione; e insieme si continua l’opera di demolizione e delegittimazione delle forme spontanee, tradizionali e solidaristiche di società, come la famiglia, i corpi intermedi, i fattori di autoregolazione. L’immigrazione di massa è utile a spezzare il tessuto socio-identitario fiduciario e a diffondere insicurezza fisica sul territorio. L’accoglienza di massa sta innescando inoltre il crollo finanziario del welfare e della sanità.

Mentre l’Europa impoverita diverrà terra di conquista per capitali esogeni (qualcuno la vede come una grande Ucraina in fieri), continuerà il declino degli USA, in termini di a)credibilità della moneta e delle treasuries; b)equilibrio finanziario interno ed esterno; c)livello culturale e competenza lavorativa della popolazione; d)capacità produttiva; e)immagine internazionale; quelli che in un altro articolo ho chiamato “gli Elohim del Dollaro” potrebbero sostituire presto la Cina agli USA come piattaforma di controllo mondiale.

Successione ininterrotta di emergenze:   veri o simulati, i problemi climatici, difensivi, sanitari, economici costituiranno una base permanente per uno stato e una legislazione di emergenza senza fine.

Rafforzamento del pensiero unico obbligatorio: quanto sopra richiede un continuo rafforzamento dell’inculcazione del pensiero unico, dell’interpretazione uniformata della realtà, della emarginazione e scotomizzazione-criminalizzazione del pensiero divergente. Il controllo sui mass media e sulle comunicazioni è già in via di potenziamento.

Indementimento generale: da decenni è in atto, ma ultimamente con l’intelligenza artificiale è notevolmente accelerato, un generale calo della intelligenza delle nuove generazioni, che tendenzialmente porterà a una società di deboli di mente, quindi a trasformazioni necessarie per semplificare la loro vita e le richieste ambientali alle loro ridotte capacità cognitive, e al contempo si spegnerà qualsiasi possibilità di influenzamento popolare sulla gestione del potere. E’ tuttavia possibile, ma pochi lo faranno, usare l’I.A. per esercitare ed ampliare le capacità cognitive, anziché per atrofizzarle delegando ad essa il lavoro intellettivo – delega che asseconda a tendenza al risparmio dello sforzo.

Divaricazione antropologica: non è affatto in corso un ‘risveglio generale della popolazione’, come molti dicono, bensì una crescente divaricazione: mentre una vasta maggioranza si sottomette mentalmente al sistema, una significativa minoranza sposa un complottismo incompetente  o paranoide, quindi controproducente; mentre una seconda, più ristretta minoranza sviluppa e affina effettivi strumenti critici e di pensiero alternativo.

Crisi monetaria: in un contesto in cui la tendenza intrinseca del capitalismo a generare monopoli e cartelli per massimizzare il profitto ha oramai annullato gli spazi di libero mercato – in un contesto in cui il profitto viene principalmente realizzato mediante la creazione e lo smercio di titoli monetari, con conseguenti tendenze inflazionistiche – in questo contesto è già alle viste una generale crisi monetaria dovuta al fatto che i grandi profitti vengono realizzati in modo parassitario, prevalentemente attraverso la creazione ed emissione di mezzi monetari o equivalenti, il cui valore nominale totale è ormai circa 15 volte quello dei beni reali esistenti; onde è differibile ma non evitabile lo scoppio di questa bolla, a meno che avvenga una catastrofe globale. Il differimento dello scoppio della bolla può essere ottenuto mediante distruzioni regionali, come quella condotta dall’UE ai danni dell’economia e della società europea, quasi a farne una grande Ucraina. Distruzioni le quali inneschino una domanda di credito, quindi di moneta, per la ricostruzione.

Crisi dell’Impero: continua il declino degli USA come piattaforma tecno-militar-finanziario per la dominanza globale, con possibilità di sua sostituzione in questo ruolo con la Cina (allargata ai Brics) nonché di tentativi scomposti ed estremi della Casa Bianca per prevenire la caduta finale.

In ogni caso e scenario, l’intelligenza artificiale e l’automazione rendono sempre più superflue, ai fini degli interessi dei poteri forti, le masse di popolazione, le quali pertanto già sono state avviate a programmi di ridimensionamento sia della loro quantità che del loro tenore di vita cioè di consumi ed emissioni inquinanti. L’mRNA autoreplicante, ricordiamo, è già stato dispiegato.

Sono pure già allo studio alla Casa Bianca i campi di raccolta e internamento volontario e involontario per disadattati, disoccupati, fragili. Misure straordinarie, comprese quelle tributarie, saranno introdotte per fronteggiare la crisi occupazionale e il conseguente crollo del gettito fiscale e previdenziale.

Vi sono già molti segni di un processo di riorganizzazione del mondo nel senso prefigurato in 1984 di Orwell, ossia una regia globale che, al fine di stabilizzare Il suo dominio sul pianeta, sotto una falsa etichetta di multipolarismo, suddivide il mondo in un numero limitato di grandi potenze continentali, ciascuna esercitante un controllo tecnologico capillare sulla sua popolazione, e mantiene queste potenze impegnate in una incessante guerra tra di loro.

Il Fattore Katechon

Nel frattempo, la suddetta trasformazione viene ritardata e contrastata da un fattore ‘katechon’.

Se le tecnologie avanzate (come l’IA, il 5G/6G e la manipolazione biologica) possono essere usate per stabilire un controllo capillare, quali sono i fattori che potrebbero agire come freno (katechon),contrappeso, o persino vanificare, questo sforzo oligarchico? Mentre le grandi corporazioni e gli stati tendono a centralizzare i dati e il controllo, una contro-tendenza mira a distribuire il potere e l’informazione alla periferia: la decentralizzazione, che si avvale di alcuni strumenti già esistenti e disponibili. Innanzitutto, la crittografia è la tecnologia di base che garantisce la privacy e l’anonimato in rete, mediante:

-Comunicazioni non intercettabili: strumenti di messaggistica end-to-end (come Signal o Telegram basato su crittografia) rendono estremamente difficile (o impossibile) per governi o entità private spiare le comunicazioni tra cittadini.

-Anonimato in Rete: reti come Tor rendono complesso il tracciamento dell’attività online, fornendo un rifugio cruciale per giornalisti, dissidenti e attivisti in regimi repressivi.

-Resistenza al Tracciamento: questi strumenti sono una barriera diretta contro l’uso del 5G/6G per il controllo delle comunicazioni.

-Blockchain (la tecnologia sottostante le criptovalute e non solo): è l’esempio più lampante di decentralizzazione del potere finanziario e organizzativo. Le criptovalute (come Bitcoin) offrono sistemi finanziari privi di un’autorità centrale (banche o stati). Questo è un potenziale contropiede alla crisi monetaria e sui tentativi di un controllo monetario totale (ad esempio, tramite valute digitali delle banche centrali, CBDC, percepite da alcuni come strumenti di tracciamento).

-Decentralizzazione della Fides: i contratti intelligenti (Smart Contracts) e le DAO permettono alle persone di organizzarsi, prendere decisioni e gestire fondi senza la necessità di intermediari (avvocati, notai, banche o burocrazia statale). Questo erode il potere delle “Roccaforte di controllo” basate sull’intermediazione.

-Open Source: l’IA come strumento di controllo dipende dalla sua proprietà e dal suo accesso limitato, però la comunità open source agisce in senso opposto. Lo sviluppo di modelli di IA e software open source (a codice aperto) rende la tecnologia disponibile a tutti, non solo ai poteri forti. Se il codice è pubblico, chiunque può esaminarlo, modificarlo e usarlo per i propri scopi. Sicurezza e Controllo: La trasparenza del codice aperto impedisce l’introduzione nascosta di backdoor o meccanismi di sorveglianza da parte di chi sviluppa la tecnologia, dando alla comunità la possibilità di mantenere il controllo. Contro-Propaganda: Strumenti di IA open source possono essere usati per sviluppare filtri e analisi per smascherare la propaganda e le fake news promosse dai regimi o dagli interessi oligarchici, contrastando l’opera di “distrazione delle masse”.

Sebbene reali e disponibili, questi fattori ‘catecontici’ servirebbero solo a ritardare il processo, data l’insuperabile disparità tecnologica tra le tecnologie suddette e quelle in mano ai poteri forti, i quali dispongono anche della forza poliziesca e militare necessaria a neutralizzare ogni centrale di resistenza significativa.

Il Fattore Psicologico

Un ulteriore fattore di incertezza è quello psicologico, sia della psiche individuale (resilienza, inventiva, sabotaggio) che di quella collettiva.

A-La Reazione dell’Inconscio Collettivo (Jung)

Secondo Carl Gustav Jung, l’inconscio collettivo è un substrato psichico condiviso dai popoli, composto da archetipi (modelli universali di pensiero e comportamento). Una crisi estrema e prolungata come quella che ho descritto agirebbe come un catalizzatore per l’attivazione di questi archetipi.

1. Attivazione dell’Archetipo dell’Ombra

  • Reazione: L’Ombra rappresenta tutto ciò che la psiche (individuale o collettiva) rifiuta o reprime. Di fronte a una minaccia esterna percepita come assoluta (il potere oligarchico, la tecnologia incontrollabile), l’Ombra collettiva potrebbe emergere con forza dirompente.
  • Manifestazione Sociale: Si manifesterebbe in un aumento della ‘paranoia’ collettiva, della caccia alle streghe e della proiezione. Le masse, incapaci di affrontare direttamente l’autorità invisibile e onnipotente, potrebbero sfogare la loro aggressività repressa su minoranze, capri espiatori o gruppi devianti, intensificando le “conflittualità diversive” che hai già identificato (razza, genere, religione).

2. Emergenza dell’Archetipo del Puer/Senex

  • Reazione: La crisi potrebbe portare a una forte regressione o, al contrario, a una ricerca disperata di un salvatore.
    • Puer Aeternus (Giovane Eterno): Manifestazione di rifiuto della realtà, con evasione di massa, distrazione ancora più estrema (in linea con l’atomizzazione e l’indementimento), o forme di ribellione irrazionale e distruttiva.
    • Senex (Vecchio Saggio): Ricerca di figure di guida forti e carismatiche (politici, leader religiosi, guru) che promettano ordine e sicurezza. Questo potrebbe sia rafforzare i regimi autocratici che far emergere movimenti popolari di resistenza basati su un forte senso di missione o fanatismo religioso.

3. La “Funzione Trascendente” e la Ricerca di Senso

  • Reazione: Di fronte alla dissoluzione dei valori e delle strutture sociali (famiglia, istituzioni), l’inconscio collettivo potrebbe tentare di stabilire una nuova mitologia o una nuova religione di massa per dare significato al caos.
  • Manifestazione Sociale: Potrebbe nascere un forte spiritualismo o misticismo collettivo (non necessariamente religioso, ma basato su nuove narrazioni cosmiche e complottistiche) come unico modo per spiegare e tollerare il controllo tecnologico percepito. L’IA stessa potrebbe diventare un oggetto di venerazione o di odio metafisico (il “Grande Altro” imperscrutabile).

B – La Reazione del Campo Sociale (Mente-come-Campo)

Il concetto di “mente-campo sociale” o “campo morfogenetico” (neovitalismo alla Sheldrake, ma qui usato in senso sociologico) si riferisce al sistema di credenze, emozioni e informazioni che circola rapidamente e influenza la collettività.

1. La Dissociazione Collettiva

  • Meccanismo: Di fronte a un’informazione percepita come insopportabile (ad esempio, la consapevolezza del controllo totale e della propria “superfluità”), la mente collettiva può subire una dissociazione o quanto meno reagire come un’auto-inibizione cognitiva.
  • Manifestazione Sociale: Le persone potrebbero rifiutare completamente la realtà e ritirarsi in bolle di auto-inganno o micro-comunità nichiliste o di identità rattrappite. Si accetterebbe tacitamente il controllo in cambio di una compensazione minima (es. un reddito di base per i “superflui”) pur di non affrontare il trauma, portando all’apatia e alla resa che faciliterebbero lo “Stato guarnigione”.

2. L’Iper-Connessione Emotiva (Contagio)

  • Meccanismo: le emergenze continue e la comunicazione in tempo reale (anche sotto controllo) esasperano la risposta emotiva del campo. Il panico, l’ansia e la rabbia si propagano in modo virale e simultaneo.
  • Manifestazione Sociale: si creerebbero oscillazioni estreme tra periodi di obbedienza paralizzata e momenti di esplosione emotiva di massa (sommosse improvvise, proteste non organizzate, jacqueries, “rivolte della fame” o “rivolte della rabbia”) che sono difficili da prevedere e reprimere, anche per un regime ad alta tecnologia.

3. Il (tentativo di) Ritorno all’Autentico e al Locale

  • Meccanismo: L’atomizzazione e il non-sense imposti dalla società tecnologica possono generare una potente reazione immunitaria del campo sociale.
  • Manifestazione Sociale: Una ricerca disperata di ciò che è reale, tangibile e non-tecnologico. Questo potrebbe portare al rafforzamento involontario di quelle forme solidaristiche che si cercano di demolire (come le reti di mutuo soccorso, comunità locali autosufficienti, economie di baratto, riscoperta della manualità e della terra). Questa è una potenziale forma di resistenza passiva che lo Stato Guarnigione troverebbe difficile da controllare senza un’azione fisica e repressiva totale.

C- Una probabile grande delusione

In sintesi, la psiche collettiva non reagirebbe in modo uniforme, ancor meno in modo efficace. Avverrebbe una polarizzazione estrema:

  • Una parte cadrebbe nella dissociazione e nell’apatia, accettando il controllo in cambio della distrazione (rafforzando il fattore di indementimento e stato guarnigione).
  • L’altra parte attiverebbe gli archetipi di ribellione, paranoia e ricerca di un senso trascendente, portando sia a conflitti interni e proiezioni su capri espiatori, sia a una resistenza radicale e decentralizzata (in linea con la forza della decentralizzazione tecnologica che abbiamo discusso in precedenza).

La stabilità del futuro distopico dipende dalla capacità del potere di mantenere l’apatia della prima metà, mentre reprime o incanala la rabbia della seconda metà verso bersagli innocui.

SINTESI PROVVISORIA

I Vettori della Centralizzazione convergono verso la creazione di un sistema di controllo globale e di monopolio delle risorse naturali e tecnologiche; ma sono all’opera, o disponibili, anche fattori idonei a contrastarli. Possiamo riassumere come segue il quadro d’insieme:

  1. Fattori di Centralizzazione e zootecnia applicata al corpo sociale:
FattoreDescrizione (Sintesi)Rischio Principale
Intelligenza Artificiale (IA)Strumento per il controllo capillare in tempo reale della popolazione e potenziale agente di sconvolgimento finanziario/militare se incontrollata.Controllo onnisciente e imprevedibilità del caos finanziario/militare.
Strumenti Elettromagnetici (5G/6G)Mezzi per il tracciamento universale di persone e oggetti, con il potenziale di manipolazione fisica (termica, attivazione di nanosostanze).Sorveglianza totalitaria e minaccia alla salute fisica.
Manipolazione BiologicaUso di nanotecnologie e fattori mutageni per il controllo profondo degli organismi, mutazioni genetiche e programmi di ridimensionamento demografico.Controllo biologico della popolazione e soppressione di massa.
Stato Guarnigione OrwellianoRistrutturazione degli Stati come roccaforti di controllo e autoprotezione delle oligarchie contro le masse impoverite (es. leva di massa per il controllo sociale).Militarizzazione della società e repressione della protesta popolare.
Atomizzazione e DistrazioneColtivazione di conflitti diversivi (genere, razza, ecc.) e demolizione dei corpi intermedi (es. famiglia) per prevenire l’unione contro la polarizzazione economica.Efficace gestione del dissenso e isolamento dell’individuo.
Successione di EmergenzeUso costante di problemi (climatici, sanitari, economici) reali o simulati per mantenere uno stato di legislazione di emergenza permanente.Erosione delle libertà individuali in nome della sicurezza.
Crisi MonetariaScoppio differibile ma inevitabile della bolla finanziaria dovuta alla sproporzione tra moneta (virtuale) e beni reali, eventualmente gestita con distruzioni regionali per innescare nuova domanda di credito.Collasso economico o guerre regionali come strumento di stabilizzazione finanziaria.
Indementimento GeneraleCalo delle capacità cognitive delle nuove generazioni, accelerato dall’IA, che semplifica la gestione del potere e spegne l’influenzamento popolare.Società apatica e priva di capacità critica verso il potere.

2. I Vettori della Resistenza (Contro-Fattori)

Questi fattori agiscono come potenziale contrappeso al progetto di controllo totale, introducendo elementi di imprevedibilità e conflitto:

Contro-FattoreDescrizione (Sintesi)Manifestazione
Decentralizzazione TecnologicaUso di strumenti come Crittografia, Blockchain, e software Open Source per distribuire il potere e l’informazione, garantendo comunicazioni sicure e sistemi finanziari non controllabili centralmente.Forze di resistenza tecnica e movimenti peer-to-peer che minano il controllo finanziario e di comunicazione.
Psiche Collettiva in RivoltaAttivazione degli archetipi di Ombra e Senex in risposta allo stress estremo (crisi e controllo). Si manifesta come reazione violenta al trauma e ricerca di un senso nuovo.Esplosioni emotive di massa e improvvise, difficili da reprimere, guidate da una rabbia profonda o da una ricerca di leader carismatici.
Ritorno tentato  al supposto AutenticoReazione immunitaria del campo sociale contro l’atomizzazione, che spinge alla riscoperta delle reti solidaristiche e delle comunità locali/tangibili.Rafforzamento involontario delle forme solidaristiche (mutuo soccorso, economie locali) che lo Stato Guarnigione tenta di demolire, creando sacche di autonomia.

3. La Risultante: Un Futuro Estremamente Conflittuale

Il risultato di questi vettori opposti non è, per i prossimo futuro, una dittatura statica e monolitica (come il mondo prefigurato nel 1984 di Orwell, che era in equilibrio e potrebbe costituire il punto di caduta dell’attuale turboenza), ma un sistema instabile e in costante lotta:

  1. Guerra Tecnologica: Il mondo sarà definito da una guerra incessante e polarizzata su due fronti:
    1. Guerra Geopolitica (Esterno): La lotta tra le grandi potenze continentali prefigurate (come nel modello di 1984).
    2. Guerra Sociale (Interno): Il certame tra il potere centralizzato (che usa l’IA e la sorveglianza per assoggettare la popolazione generale a un controllo di tipo zootecnico, come prefigurato nel mio Oligarchia per popoli superflui) e la resistenza decentralizzata (che usa la crittografia e l’Open Source).
  2. Il Prezzo della Stabilità: Il sistema oligarchico sarà costretto a pagare (e far pagare) un prezzo altissimo per mantenere la sua stabilità. La sua sopravvivenza dipenderà dalla capacità di neutralizzare o incanalare l’Ombra collettiva (la rabbia e la paranoia di massa) verso obiettivi inoffensivi e dalla capacità di infrangere la crittografia e la decentralizzazione.
  3. L’Elemento Incontrollabile: Il nostro quadro è completato dalla consapevolezza che sia il progetto di controllo (se l’IA “sfugge di mano”) sia il progetto di resistenza (se la psiche collettiva esplode in modo irrazionale) sono entrambi vulnerabili a fattori esogeni ineludibili (astronomici, climatici o tecnologici).

In sintesi: il futuro non si affaccia al presente col volto di prigione, ma di un assedio.

E GLI ALIENI?

Che ci sian ciascuno dice, dove sian nessuno sa, ma gli alieni non potevano mancare nella nostra rassegna dei fattori del futuro.

L’industria culturale occidentale, con la fiction, la para-fiction e la para-scienza, ha sempre diffuso storie, di alieni, quasi sempre extraterrestri, solitamente pericolosi, spesso ambivalenti; ma da qualche anno sta inseminando la mente pubblica con la percezione di una incombente presenza, di una minaccia aliena, dove gli alieni sono meno frequentemente prospettati come extraterrestri provenienti dagli abissi dello spazio, e sempre più come invece esseri trans-dimensionali – i Trans per eccellenza – che stanno potenzialmente tutt’intorno a noi, in ogni momento, infiltrandosi da altre dimensioni, così che noi non abbiamo la possibilità di interporre una distanza, una separazione fisica, oggettiva, di sicurezza, tra noi e loro, per rifiatare; quindi ci sentiamo costantemente spiati e minacciati, e ci consumiamo in questa sensazione ansiogena.

Questa potrebbe essere una svolta assai efficace e inquietante della narrativa. Trasformerebbe, se ben coltivata, nel mostro immaginario, una lotta sociopolitica in un dramma metafisico e psicologico senza via di fuga razionalmente progettabile.

Introducendo spioni e invasori transdimensionali, non solo creeresti l’emergenza definitiva, ma otterresti anche un nemico che non può essere sconfitto né con la tecnologia (non puoi costruire un muro interdimensionale) né con la resistenza sociale (non puoi fare uno sciopero un essere inafferrabile) né con le armi (che non colpiscono le altre dimensioni).

03.12.25             Marco Della Luna

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Una guida pratica per identificare il grado di un funzionario cinese_a cura di Fred Gao

Capire come è governata la Cina significa in gran parte capire chi governa effettivamente e con quali regole. Questa è la guida più pratica che abbia mai visto sul sistema di classificazione dei quadri in Cina. Risponde a domande che spesso confondono gli osservatori della Cina – ad esempio, perché tribunali e procure siano di mezzo grado superiori ai dipartimenti governativi – e chiarisce “chi è superiore a chi” nel Partito, nel governo, nei tribunali e nelle imprese statali.
Mi sono imbattuto anche in un episodio di podcast con l’autore dell’articolo, il Professor Nie Huihua (聂辉华). Spiega come la classifica delle città cinesi influenzi l’allocazione delle risorse economiche, come gli investimenti, e discute di come la Cina potrebbe superare l’attuale problema del debito locale riorganizzando l’amministrazione locale. Ho ottenuto l’approvazione del Professor Nie, spero di poterlo condividere la prossima settimana.

Una guida pratica per identificare il grado di un funzionario cinese

L’elaborazione del Prof. Nie Huihua sulla logica politica dei ranghi ufficiali cinesi

Yuzhe LUI7 dicembre
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Per dare un senso alle decisioni politiche della Cina, è necessario comprendere le persone che le prendono.

La burocrazia cinese ha attraversato numerose riforme, ma promozioni e ranghi rimangono al centro della sua organizzazione. Proprio come nella Cina tradizionale, la gerarchia struttura ancora oggi le carriere e la vita quotidiana dei funzionari odierni.

Per la vasta pubblica amministrazione del Paese, privilegi politici, reddito, status sociale e autorità organizzativa sono tutti strettamente legati al rango. In quanto principali attori della governance pubblica, gli incentivi e il comportamento dei dipendenti pubblici influenzano direttamente il modo in cui lo Stato è governato. La promozione, in altre parole, non è solo una questione di personale, ma è alla base anche della logica stessa della governance.

La newsletter di oggi esamina questa logica attraverso un saggio, “La logica politica dei ranghi ufficiali cinesi 中国官员级别的政治逻辑”, del Prof. Nie Huihua (聂辉华) e del Dr. Gu Yan (顾严), pubblicato per la prima volta nel 2015 su FT Chinese .

Il Prof. Nie, docente presso la Renmin University of China, ha dedicato molti anni allo studio del governo di primo livello in Cina. Ha conseguito la laurea in Cina e ha completato un anno di ricerca post-dottorato presso l’Università di Harvard sotto la guida del premio Nobel Oliver Hart.

Al momento della pubblicazione dell’articolo, nel 2015, il Dott. Gu era ricercatore associato presso il Social Development Research Institute della Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme. Ora è Direttore della Prima Divisione di Ricerca presso il Centro di Ricerca per il Pensiero Economico di Xi Jinping.

Il saggio è incluso anche nel recente libro del Prof. Nie, The Governance Logic of Primary-Level China , di cui ho condiviso un estratto in precedenza e che molti lettori hanno detto di aver apprezzato.

In questo articolo, gli autori illustrano, in modo sistematico e accessibile, come identificare i ranghi dei funzionari cinesi, includendo anche una serie di casi particolari. Il testo funge da guida pratica per analizzare dall’alto la complessità e la disciplina interna della burocrazia cinese.

Di seguito la mia traduzione in inglese del brano, condivisa con la gentile autorizzazione del Prof. Nie.

Grazie per aver letto la newsletter di Yuzhe He! Dedico il mio tempo libero alla lettura approfondita di materiale sulla Cina, così non devi farlo tu. Sentiti libero di condividerla con i tuoi amici, colleghi, studenti e chiunque altro possa trarne beneficio!

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中国官员级别的政治逻辑

La logica politica dei ranghi ufficiali cinesi

di Nie Huihua, Gu Yan

Per comprendere le questioni politiche ed economiche della Cina, è necessario innanzitutto comprendere il comportamento dei funzionari governativi cinesi. Per comprendere il comportamento dei funzionari, è necessario innanzitutto comprenderne il rango amministrativo. Le ragioni sono le seguenti.

In primo luogo, nel sistema burocratico cinese, il rango amministrativo determina l’allocazione delle risorse e del potere. Come recita un detto popolare, “I funzionari di grado superiore possono facilmente sopraffare i loro subordinati “, il che dimostra chiaramente che il rango è la regola esplicita del gioco nella burocrazia.

In secondo luogo, quasi tutti i funzionari considerano la promozione di grado e la nomina a incarichi più importanti come obiettivi fondamentali della propria carriera. Questo è ben espresso dal noto detto: “Un soldato che non vuole diventare generale non è un buon soldato”. Solo comprendendo i gradi ufficiali si possono comprendere i modelli comportamentali delle amministrazioni locali e dei loro funzionari in tutta la Cina.

Tuttavia, i livelli amministrativi della burocrazia cinese sono estremamente complessi e a volte nemmeno chiaramente specificati. La gente comune li trova difficili da comprendere, e persino studiosi professionisti come noi, specializzati nello studio della Cina, spesso devono dedicare molto tempo a districarsi. Sebbene ci siano molte informazioni online, sono incomplete o imprecise.

Prima di offrire una spiegazione sistematica dei ranghi amministrativi nella burocrazia cinese, i lettori potrebbero voler provare a rispondere ad alcune domande sui ranghi:

Qual è il grado di un vicedirettore generale dell’Amministrazione statale del monopolio del tabacco? Qual è il grado di un vicedirettore del distretto di Baiyun a Guangzhou? Qual è il grado di un direttore dell’ufficio per l’istruzione del distretto di Baiyun a Guangzhou? Qual è il grado di un vice procuratore capo presso la Procura popolare del distretto di Chaoyang a Pechino?

Se pensate che abbiano gradi diversi, vi sbagliate. La risposta corretta è: sono tutti funzionari di livello di Capo Divisione (正处级). Proprio perché la questione dei gradi ufficiali è così importante e complessa, riteniamo necessario dedicare un articolo alla spiegazione delle regole dei gradi nella burocrazia cinese.

I. La gerarchia amministrativa a cinque livelli della Cina definisce il quadro di base dei ranghi ufficiali

In genere, il grado amministrativo di un funzionario cinese è determinato dal grado amministrativo dell’istituzione in cui presta servizio. Questo è il primo principio per identificare il grado di un funzionario.

A differenza delle strutture organizzative della maggior parte dei paesi, la divisione amministrativa della Cina si articola su cinque livelli:

  • IL livello centrale: nazione;
  • il livello provinciale: province, regioni autonome e comuni direttamente sottoposti al governo centrale;
  • livello prefettizio: città di livello prefettizio, prefetture, prefetture autonome e leghe;
  • il livello di contea: contee, distretti, bandiere e città a livello di contea; e
  • il livello comunale: comuni, città e sottodistretti.

Di conseguenza, i funzionari sono raggruppati in cinque categorie principali di rango, ciascuna delle quali è ulteriormente suddivisa in due sotto-gradi: un rango principale (正职) e un rango di vice (副职). Insieme, questi dieci sotto-gradi costituiscono il quadro di base per l’identificazione dello status di un funzionario. La ripartizione è la seguente:

1. Livello nazionale (国家级正职)

Tra questi rientrano i massimi dirigenti del Partito Comunista Cinese (PCC) e dello Stato. Le posizioni a questo livello comprendono:

Segretario generale del Comitato centrale del PCC; membro del Comitato permanente dell’Ufficio politico del Comitato centrale del PCC; Presidente della Cina; Presidente del Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo (ANP); Primo ministro del Consiglio di Stato; Presidente del Comitato nazionale della Conferenza politica consultiva del popolo cinese (CPPCC) e Presidente della Commissione militare centrale (CMC).

2. Livello vicenazionale (国家级副职)

Sono inclusi i membri del PCC e degli organi direttivi statali, diversi da quelli a livello nazionale, nonché i deputati che ricoprono posizioni a livello nazionale. Tra questi rientrano:

Membri e membri supplenti del Politburo centrale del PCC, membro della Segreteria del Comitato centrale del PCC, vicepresidenti del Comitato permanente dell’ANP, vicepremier e consiglieri di Stato del Consiglio di Stato, vicepresidenti del Comitato nazionale del CPPCC, presidente della Corte suprema del popolo e procuratore generale della Procura suprema del popolo.

Casi particolari riguardano il Segretario della Commissione centrale per l’ispezione disciplinare (CCDI) e il Segretario della Commissione centrale per gli affari politici e giuridici (PLAC), il cui grado dipende da circostanze specifiche.

Secondo un secondo principio di identificazione dei gradi ufficiali, noto come principio del “grado più alto applicabile” , se questi due segretari sono membri del Comitato permanente dell’Ufficio politico del Comitato centrale del PCC, ricoprono un grado a livello nazionale. Se sono solo membri dell’Ufficio politico del Comitato centrale del PCC, ricoprono un grado di vice-segretario a livello nazionale.

3. Livello provinciale-ministeriale (省部级正职)

Tra questi rientrano i leader “numeri uno” dei ministeri centrali, dei comitati e dei governi provinciali del Partito. Tra questi:

–– Principali dirigenti degli organi di lavoro del Comitato centrale del PCC (come l’Ufficio di ricerca politica, il Centro di ricerca sulla storia del partito e il Centro di ricerca sulla letteratura del partito);

–– I principali dirigenti dei dipartimenti costituenti il ​​Consiglio di Stato (ministeri, commissioni, uffici, ecc.);

–– I principali leader degli organi di lavoro e dei comitati speciali sotto l’NPC e il CPPCC; e

–– I principali leader dei “quattro organi dirigenti” (comitato del partito, congresso popolare, governo e comitato del CPPCC) in ogni regione a livello provinciale.

Applicando ancora il principio del “grado più alto applicabile”, Wang Huning王沪宁 era a livello provinciale-ministeriale quando ha ricoperto la carica di Direttore dell’Ufficio centrale di ricerca politica del PCC dal 2002 al 2007; dopo il 2007, è stato promosso successivamente a Segretario della Segreteria centrale del PCC e poi a Membro della Segreteria del Comitato centrale del PCC, pur continuando a ricoprire contemporaneamente la carica di Direttore dell’Ufficio di ricerca politica, momento in cui il suo grado è diventato quello di vice-ministero.

4. Livello viceprovinciale (ministeriale) (省部级副职)

Questa categoria comprende i deputati alle posizioni sopra elencate a livello provinciale-ministeriale, nonché i membri del Comitato permanente dei comitati provinciali del partito (elenchi non ripetuti qui).

5. Livello del direttore dell’ufficio di presidenza (厅局级正职)

Questa categoria include:

–– Principali dirigenti di dipartimenti e uffici dei ministeri e delle commissioni centrali;

–– Principali dirigenti di dipartimenti, uffici e commissioni direttamente sotto il controllo dei governi provinciali; e

–– I principali leader dei “quattro organi dirigenti” (comitato del partito, congresso popolare, governo e comitato CPPCC) delle città a livello di prefettura, comprese le prefetture e i distretti sotto amministrazione centrale.

6. Livello di Vicedirettore dell’Ufficio di presidenza (厅局级副职)

Tra questi rientrano i vice direttori di ufficio, nonché i membri dei comitati permanenti dei comitati di partito a livello di prefettura.

7. Livello di capo divisione (县处级正职)

Questa categoria include:

–– Principali dirigenti delle divisioni dei ministeri e delle commissioni centrali;

–– Principali dirigenti di dipartimenti, uffici e commissioni direttamente dipendenti dai governi provinciali;

–– Principali dirigenti di commissioni, uffici e uffici presso le città a livello di prefettura

–– I principali leader del partito e del governo dei comuni o dei sottodistretti nei comuni amministrati centralmente

–– I principali leader dei “quattro organi dirigenti” (comitato del partito, congresso popolare, governo e comitato CPPCC) delle contee

8. Livello di vice capo divisione (县处级副职)

Tra questi rientrano i vicepresidenti delle principali posizioni di capo divisione e i membri dei comitati permanenti dei comitati di partito della contea.

9. Livello del caposezione (乡科级正职)

Questa categoria include:

–– Principali responsabili delle sezioni negli organi delle città a livello di prefettura

–– Principali dirigenti di commissioni, uffici e uffici presso i governi delle contee

–– Segretari del partito comunale, capi di comune e presidenti dei congressi popolari del comune

–– Segretari dei comitati di lavoro dei sottodistretti e direttori degli uffici dei sottodistretti

10. Livello di vicecapo sezione (乡科级副职)

Tra questi rientrano i vice-capi di sezione, nonché i membri dei comitati del partito comunale e i membri dei comitati di lavoro dei sottodistretti.

Con questo quadro di base è possibile identificare il grado della maggior parte dei funzionari.

Ad esempio, il capo dell’Amministrazione statale per la regolamentazione del mercato, il segretario del comitato provinciale del PCC di Zhejiang e il sindaco di Pechino sono tutti a livello provinciale-ministeriale .

Il capo del distretto di Chaoyang a Pechino, il direttore della Commissione provinciale per lo sviluppo e la riforma dello Zhejiang e il presidente del comitato municipale di Fuzhou del CPPCC nella provincia di Jiangxi sono tutti a livello di direttore di ufficio .

A livello di capo divisione rientrano i direttori degli uffici sub-distrettuali (o capi di borgata) nel distretto di Chaoyang di Pechino, il direttore della divisione affari generali della commissione provinciale per lo sviluppo e la riforma dello Zhejiang e il capo del distretto di Linchuan della città di Fuzhou nella provincia di Jiangxi .

Secondo il primo principio (il grado amministrativo di un funzionario cinese è determinato dal grado amministrativo dell’istituzione in cui presta servizio), Nanchang, nella provincia di Jiangxi, è una città a livello di prefettura, quindi, in linea di principio, il Segretario del Comitato Municipale del PCC di Nanchang dovrebbe essere a livello di Direttore di Ufficio . Tuttavia, il Segretario del Partito di Nanchang è anche membro del Comitato Permanente del Comitato Provinciale del PCC di Jiangxi. In base al secondo principio del “grado più alto applicabile”, ciò lo rende un funzionario di livello Vice-Provinciale (Ministeriale) .

II. Sistemi speciali oltre la gerarchia amministrativa a cinque livelli

Mentre i ranghi amministrativi della maggior parte dei funzionari possono essere identificati utilizzando il sistema di riferimento, lo status di molti altri non può essere determinato semplicemente applicando il sistema di cui sopra. Questo perché le istituzioni a loro affiliate non appartengono a nessuno dei cinque livelli amministrativi, ma si collocano tra due livelli; ovvero, le istituzioni stesse si trovano al livello di Vice-Provinciale (Ministeriale) , al livello di Vice-Direttore di Ufficio o al livello di Vice-Capo-Divisione . Di conseguenza, i principali dirigenti di queste istituzioni occupano un rango di mezzo gradino superiore al livello della loro regione amministrativa.

(1) Il primo caso speciale riguarda alcune unità gestite dal Consiglio di Stato o dai suoi ministeri/commissioni, che sono di livello vice-provinciale (ministeriale) , invece che unità ordinarie di livello ministeriale.

Gli esempi includono l’Ufficio nazionale di statistica国家统计局 e l’amministrazione degli uffici governativi国家机关事务管理局 direttamente sotto il Consiglio di Stato, così come gli uffici gestiti dai ministeri/commissioni del Consiglio di Stato, come l’Amministrazione nazionale per l’energia国家能源局 e le riserve alimentari e strategiche nazionali. Amministrazione国家粮食和物资储备局 (entrambi gestiti dalla Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma) e l’Amministrazione nazionale del monopolio del tabacco国家烟草专卖局 (gestita dal Ministero dell’Industria e della Tecnologia dell’informazione).

Un modo semplice per identificarli è: le unità con “总局” nel nome sono unità a livello ministeriale (come 国家市场监督管理总局State Administration for Market Regulation); quelle denominate “国家…局” (amministrazioni e uffici statali sotto i ministeri e le commissioni) sono a livello sub-ministeriale ; e le unità senza il prefisso “National国家” sono generalmente unità a livello di direttore di ufficio all’interno di ministeri/commissioni.

Ad esempio, quando l’Amministrazione Statale per la Sicurezza sul Lavoro (国家安全生产监督管理局) fu istituita nel 2001 sotto la supervisione della Commissione Economica e Commerciale Statale, era un’unità di livello subministeriale. Nel 2003, divenne un’istituzione direttamente dipendente dal Consiglio di Stato (mantenendo il livello di viceministero) e nel 2005 fu elevata a Amministrazione Statale per la Sicurezza sul Lavoro (国家安全生产监督管理总局) (un’istituzione di livello ministeriale). Questa evoluzione istituzionale riflette anche la crescente attenzione del governo centrale alla sicurezza sul lavoro.

Poiché i “国家…局” sono unità di livello viceministeriale, i ranghi intermedi e superiori dei loro quadri sono di mezzo grado inferiori rispetto alle loro controparti con gli stessi titoli negli organi di livello ministeriale.

Secondo l ‘” Avviso sulla stampa e la distribuzione di tre misure di attuazione per la riforma del sistema retributivo negli organi del partito e del governo e nelle istituzioni pubbliche ” dell’Ufficio generale del Consiglio di Stato, in un “国家…局”, il suo direttore, vicedirettore, direttore generale di dipartimento e vicedirettore generale di dipartimento corrispondono rispettivamente al grado di viceministro, direttore generale di dipartimento, vicedirettore generale di dipartimento e capo divisione in un ministero o commissione, mentre i gradi inferiori al capo divisione sono gli stessi in entrambi i sistemi.

Ciò significa, ad esempio, che un vicedirettore di dipartimento presso l’Amministrazione Statale del Monopolio del Tabacco detiene in realtà un grado a livello di divisione, e i capi divisione di quel dipartimento sono anch’essi a livello di divisione. Sebbene un vicedirettore di dipartimento e un capo divisione ricoprano lo stesso grado amministrativo, il primo è superiore al secondo in termini aziendali e di solito viene promosso prima di quest’ultimo.

Un punto da sottolineare: mentre i “国家…局” esistono a livello centrale, le località non possono istituirne di propri. Pertanto, le filiali dei “国家…局” nelle province sono trattate allo stesso modo degli altri dipartimenti e uffici provinciali e sono tutte a livello di direttore di dipartimento. Ad esempio, il direttore dell’Amministrazione statale del monopolio del tabacco è a livello di viceministero, e i direttori dell’amministrazione provinciale del tabacco sono funzionari a livello di direttore di dipartimento.

(2) Il secondo caso speciale riguarda le quindici città sub-provinciali della Cina: Harbin, Changchun, Shenyang, Dalian, Qingdao, Nanchino, Ningbo, Xiamen, Wuhan, Guangzhou, Shenzhen, Chengdu, Xi’an, Jinan e Hangzhou.

Secondo i pareri su diverse questioni riguardanti le città sub-provinciali关于副省级市若干问题的意见emessi dall’Ufficio della Commissione per l’organizzazione istituzionale centrale nel 1995, il grado degli organi direttamente subordinati ai governi delle città sub-provinciali dovrebbe essere determinato per analogia con “国家…局”: i dipartimenti operativi municipali sono a livello di vicedirettore dell’ufficio e le loro unità interne sono a livello di capo divisione .

Il rango dei distretti urbani e dei loro dipartimenti è stabilito in base al rapporto corrispondente con gli organi municipali; le contee e le città a livello di contea sotto la giurisdizione di una città sub-provinciale rimangono a livello di contea e i loro dipartimenti sono a livello di capo sezione .

In termini pratici, ciò significa che il sindaco di Guangzhou è a livello sub-provinciale (ministeriale) , i vicesindaci sono a livello di direttore dell’ufficio , il direttore dell’ufficio dell’istruzione municipale di Guangzhou e il capo del distretto di Baiyun sono entrambi a livello di vicedirettore dell’ufficio , e sia il vice capo del distretto di Baiyun che il direttore dell’ufficio dell’istruzione del distretto di Baiyun sono a livello di capo divisione .

Come accennato in precedenza, sebbene il vice capo del distretto di Baiyun e il direttore dell’ufficio scolastico distrettuale abbiano lo stesso grado amministrativo, il primo è a capo del secondo nell’attività.

(3) Il terzo caso speciale è che le procure e i tribunali hanno un rango amministrativo di mezzo grado superiore rispetto ai dipartimenti governativi della stessa località. Questo perché il governo locale, la procura e il tribunale sono tutti organi statali eletti dall’Assemblea Popolare locale, il cosiddetto “一府两院”.

Ad esempio, il sindaco di Pechino è a livello provinciale-ministeriale , il capo del distretto di Chaoyang a Pechino è a livello di direttore di ufficio e il direttore dell’ufficio finanziario del distretto di Chaoyang è a livello di capo divisione . Pertanto, il procuratore capo della Procura popolare del distretto di Chaoyang, essendo di mezzo grado superiore al direttore dell’ufficio finanziario distrettuale, è a livello di vicedirettore di ufficio .

Per estensione, un procuratore capo aggiunto della Procura popolare del distretto di Chaoyang è a livello di capo divisione , e il capo del dipartimento delle pubbliche accuse all’interno di quella procura è in realtà a livello di vice capo divisione.

III. Organizzazioni di partito e di popolo: influenza reciproca tra ranghi ufficiali e istituzionali

In Cina, il partito al potere guida lo Stato, quindi nella pratica politica effettiva i vertici degli organi del Partito ricoprono solitamente un rango superiore a quello dei vertici dei dipartimenti governativi dello stesso livello territoriale. Ciò avviene principalmente attraverso i comitati permanenti dei comitati di Partito a ogni livello.

Come descritto nel quadro di base sopra, i membri del comitato permanente di un comitato di partito, a parte i principali leader dei “quattro organi dirigenti” (comitato di partito, congresso popolare, governo e comitato CPPCC), sono di mezzo grado inferiori al livello amministrativo della località, ma di mezzo grado superiori ai dipartimenti di cui sono responsabili.

Ad esempio, in una città a livello di prefettura, un membro del comitato permanente del comitato municipale del partito che ricopre contemporaneamente la carica di capo del Dipartimento della pubblicità ricopre il grado di vicedirettore dell’ufficio , che è mezzo grado superiore al direttore dell’ufficio comunale della cultura, che è a livello di capo divisione .

La domanda chiave è: chi può far parte del comitato permanente del comitato del partito?

Oltre al segretario del Partito (segretario provinciale del Partito, segretario municipale del Partito o segretario di contea), sono membri permanenti del comitato il principale leader del governo (governatore, sindaco o capo di contea), il vicesegretario del Partito a tempo pieno, il segretario della commissione per l’ispezione disciplinare, il segretario della commissione per gli affari politici e legali, il capo del dipartimento organizzativo, il capo del dipartimento pubblicitario, il vice capo esecutivo del governo (vice governatore esecutivo, vice sindaco esecutivo o vice capo di contea esecutivo), il segretario generale del comitato del Partito e il comandante o commissario politico del distretto militare locale.

Il capo del dipartimento di lavoro del Fronte Unito e il segretario del Partito del capoluogo di provincia sono generalmente membri del comitato permanente. Per un certo periodo, anche il presidente del comitato provinciale del CPPCC ha fatto parte del comitato permanente provinciale del Partito (ora non più).

La composizione del comitato permanente dimostra che la stragrande maggioranza dei suoi membri sono in realtà dirigenti di organi subordinati del Partito.

Poiché il rango del leader “numero uno” a sua volta influenza il rango dell’organo che dirige, gli organi del Partito sono in pratica mezzo grado più alti rispetto ai corrispondenti dipartimenti governativi. Ciò significa anche che i vicepresidenti degli organi del Partito possono essere mezzo grado più alti rispetto ai loro omologhi nei dipartimenti governativi.

Ad esempio, il capo del Dipartimento Organizzativo di un comitato provinciale del Partito è certamente un membro del comitato permanente provinciale del Partito e quindi un quadro di livello sub-provinciale (ministeriale) . Il vice capo esecutivo di quel Dipartimento Organizzativo, responsabile del lavoro quotidiano, è quindi un quadro di livello di Direttore di Ufficio , allo stesso livello del direttore del dipartimento provinciale delle risorse umane e della sicurezza sociale.

Di fatto, quasi tutti i direttori dei dipartimenti provinciali delle risorse umane e della previdenza sociale ricoprono contemporaneamente la carica di vicedirettori del Dipartimento Organizzazione del comitato provinciale del Partito. I vicedirettori ordinari del Dipartimento Organizzazione, tuttavia, hanno lo stesso grado amministrativo dei vicedirettori dei dipartimenti delle risorse umane e della previdenza sociale.

Gli organi del partito sono di mezzo grado più in alto anche per un altro motivo: la natura di questi organi.

Secondo la Costituzione del PCC, le commissioni di ispezione disciplinare a tutti i livelli, come i comitati plenari del Partito allo stesso livello, sono elette dai congressi del Partito al livello corrispondente. Di conseguenza, le commissioni di ispezione disciplinare sono di mezzo livello superiori agli altri dipartimenti subordinati del Partito (organizzazione, propaganda e lavoro del Fronte Unito) e superiori ai dipartimenti governativi.

Ad esempio, il Segretario della Commissione Centrale per l’Ispezione Disciplinare è a livello di Vice-Nazionale (se è membro dell’Ufficio Politico) o a livello Nazionale (se è membro del Comitato Permanente dell’Ufficio Politico). I Vice-Segretari della Commissione Centrale per l’Ispezione Disciplinare sono a livello Provinciale-Ministeriale , e i Capi del suo Dipartimento Organizzazione e del Dipartimento Pubblicità sono a livello di Vice-Provinciale (Ministeriale) .

Seguendo la stessa logica, il direttore dell’Ufficio per la prevenzione della corruzione di una commissione provinciale per l’ispezione disciplinare ha il grado di vicedirettore dell’ufficio , mentre il direttore dell’ufficio di ricerca del dipartimento organizzativo di un comitato provinciale del partito o il direttore dell’ufficio generale di un dipartimento provinciale delle risorse umane e della sicurezza sociale ha il grado di capo divisione .

Oltre agli organi del Partito, esistono anche organizzazioni popolari come i sindacati, la Lega della Gioventù Comunista, le federazioni femminili e le federazioni dell’industria e del commercio. Tutte queste sono guidate dal Partito e sono quindi collettivamente note come organizzazioni popolari di Partito. A ogni livello, le organizzazioni popolari di Partito hanno lo stesso rango amministrativo dei corrispondenti dipartimenti governativi subordinati.

IV. Posizioni speciali, quadri di alto rango e altre istituzioni

Oltre alle posizioni di leadership con titoli “长“ come “Capo” o “Direttore” (ad esempio, Governatore, Direttore di Ufficio, Capo di Divisione), la Cina ha anche un sistema di posizioni non di leadership.

Questi comprendono principalmente tre livelli, ciascuno con livelli di preside e vice: Counselor巡视员 (corrispondente al livello di direttore dell’ufficio ), Consultant调研员 (corrispondente al livello di capo divisione ) e Principal Staff Member主任科员 (corrispondente al livello di capo sezione ).

Le posizioni non dirigenziali generalmente non hanno potere decisionale o di firma, a meno che non siano delegate dal leader principale. Inoltre, esistono posizioni di ispettore all’interno di ministeri/commissioni centrali, come l’Ispettore Capo Nazionale dell’Istruzione e l’Ispettore Capo del Territorio, che sono in genere a livello di Vice-Provincia (Ministeriale) .

Una seconda categoria di posizioni speciali è quella dei viceministri nei ministeri e nelle commissioni centrali. Il Ministero della Pubblica Sicurezza e il Ministero del Commercio, ad esempio, hanno diversi viceministri, che ricoprono contemporaneamente anche il ruolo di membri del gruppo dei dirigenti del partito del ministero.

Il titolo di “assistente” non fa parte della sequenza standard dei gradi. In termini di grado, i ministri assistenti si collocano tra un viceministro e un direttore a livello di dipartimento-ufficio; amministrativamente, sono solitamente a livello di direttore di ufficio , ma godono dei benefici dei viceministri, tra cui lo status politico, l’assistenza medica e l’alloggio. I gradi dei vice capi di governo a livello provinciale, cittadino e di contea seguono questa analogia.

Oltre al sistema gerarchico ordinario, ci sono anche funzionari il cui rango personale è superiore al rango standard della loro istituzione; questa disposizione è nota come “superamento del rango” (高配). Ne esistono tre tipi principali.

In primo luogo, i leader dei ministeri e delle commissioni chiave. Ad esempio, la Commissione Nazionale per lo Sviluppo e la Riforma (NDRC) ha sei vicedirettori che ricoprono incarichi a livello provinciale-ministeriale , e il Ministero della Pubblica Sicurezza ha due viceministri a livello provinciale-ministeriale , a dimostrazione della loro significativa influenza.

A livello locale, il capo dell’Ufficio di Pubblica Sicurezza è solitamente un membro del Comitato permanente del Comitato del Partito e/o un vice capo del governo, il che li colloca mezzo gradino più in alto rispetto ai principali dirigenti degli altri dipartimenti governativi.

In secondo luogo, importanti organi interni all’interno dei dipartimenti. Tra questi rientrano, ad esempio, gli uffici di controllo dei tribunali popolari, gli uffici anticorruzione delle procure popolari e i dipartimenti politici di organi paramilitari come la pubblica sicurezza, le procure, i tribunali e i dipartimenti di giustizia. I principali dirigenti di questi organi interni sono considerati parte della gerarchia dei vice dirigenti dell’istituzione di appartenenza e, pertanto, occupano un livello superiore di mezzo grado rispetto ai dirigenti dei dipartimenti interni ordinari.

In terzo luogo, i dirigenti delle zone di sviluppo economico, alcune contee amministrate direttamente dai governi provinciali e alcune città a livello di contea, che generalmente occupano un rango di mezzo livello superiore rispetto a quello che avrebbero nel quadro di base. Ad esempio, il direttore del comitato amministrativo di una zona di sviluppo economico o di una zona ad alta tecnologia a livello provinciale è in genere a livello di viceprovinciale (ministeriale) . Il segretario del comitato del partito e il sindaco della città di Yiwu, amministrata dalla città di Jinhua nella provincia di Zhejiang, sono entrambi a livello di vicedirettore di ufficio .

Oltre agli organi di Partito e di governo e alle organizzazioni popolari, la Cina ha anche un vasto numero di istituzioni pubbliche, come università, ospedali, giornali e biblioteche. Molti di questi organismi seguono in parte lo stesso sistema di classificazione degli organi di Partito e di governo, e il loro livello amministrativo è determinato dalla loro subordinazione.

Ad esempio, la maggior parte delle università del “Progetto 985” (oltre 30) sono amministrate direttamente dal governo centrale e sono quindi a livello vice-ministeriale/provinciale. Il Presidente dell’Università e il Segretario del Comitato di Partito sono a livello Sub-Provinciale (Ministeriale) ; i Vicepresidenti Esecutivi e i Vice Segretari Esecutivi del Comitato di Partito sono a livello di Direttore di Ufficio ; gli altri Vicepresidenti/Vice Segretari sono a livello di Vice Direttore di Ufficio ; e i direttori di dipartimenti, divisioni e scuole (college) universitari sono a livello di Direttore di Divisione .

Le università ordinarie sono generalmente amministrate dai dipartimenti provinciali dell’istruzione e sono a loro volta a livello di direttore di ufficio ; i ranghi dei loro vicepresidenti e dei capi di dipartimento, uffici e scuole corrispondono a quelli delle posizioni equivalenti nelle università amministrate centralmente.

Le università universitarie standard sono generalmente gestite dai dipartimenti provinciali dell’istruzione e sono a livello di dipartimento/ufficio, con i ranghi dei loro vicepresidenti, capi dipartimento/divisione e presidi di facoltà corrispondenti a quelli delle università amministrate centralmente.

Le organizzazioni giornalistiche hanno ranghi amministrativi simili a quelli dei dipartimenti governativi. Ad esempio, l’agenzia di stampa Xinhua e il Quotidiano del Popolo, amministrati direttamente dalle autorità centrali, sono istituzioni di livello ministeriale e i loro principali dirigenti sono quindi a livello provinciale-ministeriale.

Anche le imprese statali cinesi (SOE) possiedono livelli amministrativi, in quanto ai loro dirigenti vengono assegnati i relativi gradi. Esistono oltre 50 SOE centrali, le cui questioni relative al personale sono gestite dal Dipartimento Centrale per l’Organizzazione; i loro dirigenti principali sono generalmente a livello sub-provinciale (ministeriale) , con pochissime a livello provinciale-ministeriale (ad esempio, l’ex China Railway Corporation).

Le aziende i cui affari del personale sono gestiti dalla Commissione per la Supervisione e l’Amministrazione dei Beni di Proprietà Statale del Consiglio di Stato (SASAC) sono a livello di Direttore di Ufficio . Analogamente, le aziende statali i cui affari del personale sono gestiti dai Dipartimenti Organizzazione dei Comitati di Partito locali hanno generalmente leader a livello di Vice Direttore di Ufficio o di Direttore di Ufficio , mentre quelle gestite dai SASAC locali sono a livello di Vice Direttore di Ufficio.

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