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Al-Qaeda nello Studio Ovale: una nuova fase del disordine globale_di Simplicius

Al-Qaeda nello Studio Ovale: una nuova fase del disordine globale

Simplicius Nov 11
 
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Oggi Al-Jolani ha visitato la Casa Bianca per un’altra sessione di immagini surreali:

MAGA: Rendere Al-Qaeda di nuovo grande

Si tratta di un uomo che fino a pochi mesi fa era ancora ricercato dall’FBI con una taglia di 10 milioni di dollari per il suo arresto e la sua cattura in qualità di ex capo della branca siriana di Al-Qaeda.

Qualcuno potrebbe chiedersi: perché questo doppio standard nel non sottolineare l’accoglienza riservata a Jolani da Putin un mese prima? Bisogna ammettere che il significato in questo caso è molto più grande: Al-Qaeda era il presunto nemico numero uno degli Stati Uniti, l’organizzazione responsabile dell’11 settembre, un evento il cui significato mitologico rivaleggia con quello dell’Olocausto. Vedere il capo di questa organizzazione sorridere nell’Ufficio Ovale, bisogna ammetterlo, è un contrasto molto più netto rispetto al suo arrivo nella Russia, a volte rivale.

In una scena ancora più bizzarra, Jolani era stato visto poco prima giocare a basket con i generali del CENTCOM, che in precedenza avrebbero dato la caccia a Jolani e alla sua banda in tutto il Levante dai loro affollati centri di comando:

Il presidente siriano Ahmed al-Sharaa, in visita negli Stati Uniti, ha giocato a basket con il capo del Comando Centrale statunitense Brad Cooper e il comandante della coalizione internazionale anti-ISIS in Iraq Kevin Lambert.

L’incontro avviene mentre circolano voci su negoziati tra Stati Uniti e Siria per una presenza aerea nell’aeroporto internazionale di Damasco, al fine di aiutare a monitorare il corridoio israelo-siriano, anche se le autorità siriane hanno smentito tali voci.

https://www.newarab.com/news/damasco-smentisce-reuters-notizia-base-statunitense-in-progetto-siria

Segue inoltre un periodo di caos e confusione in Medio Oriente, mentre Israele continua la sua frenetica altalena tra guerra e pace nei confronti di tutti i paesi vicini, con le ultime voci che parlano di un nuovo conflitto con Hezbollah.

In un’intervista con Eric Prince della Blackwater, persino Steve Bannon, un tempo “orgoglioso sionista”, ora afferma che l’esercito israeliano è una forza completamente esaurita:

Molto clamore è stato generato da un recente video del “fenomeno” politico emergente Nick Fuentes, il quale insiste sul fatto che dobbiamo tutti ammettere che l’impero americano ha ottenuto grandi successi sia sotto Biden che sotto Trump.

La trascrizione del video:

La storia ricorderà Joe Biden come uno dei più grandi maghi della politica estera machiavellica nella storia degli Stati Uniti. [Egli] ha provocato la Russia in un conflitto prolungato che poteva vincere, prosciugando le sue risorse e la sua forza lavoro, perdendo così la Siria, l’Iran, l’Armenia-slash-Azerbaigian e ora il Kazakistan. La Russia dipende completamente dalla Cina.

“Mi dispiace dirlo, ma dobbiamo fare i conti con il fatto che l’impero americano sembra avere la meglio.” E la gente dice: “Oh, sei un neoconservatore, stai facendo propaganda”. Guardiamo i fatti, ok?

Gli Stati Uniti hanno mediato un accordo tra Armenia e Azerbaigian, e ora le forze statunitensi stanno pattugliando il corridoio di Zangezur. Un’enorme vittoria strategica per gli Stati Uniti. Questo è il primo punto.

Secondo, il Kazakistan ha appena concluso un importante accordo economico con gli Stati Uniti. Si tratta di ingenti investimenti negli Stati Uniti e di un importante accordo sulle risorse e sui minerali. Il Kazakistan faceva parte dell’Unione Sovietica ed è un campo di battaglia tra Russia e Cina. Ora gli Stati Uniti hanno ottenuto una vittoria strategica.

La Siria era il più importante Stato cliente della Russia. La Russia aveva lì le sue uniche basi militari fuori dal proprio territorio, a Tartus e Latakia. E ora c’è un governo filo-occidentale: il governo di al-Jolani. Ora, ovviamente, si chiama al-Shara. La Russia deve negoziare anche solo per mantenere la base. Una grande vittoria strategica per gli Stati Uniti.

Cos’è l’Iran? Ora, qualunque cosa accada all’Iran, staremo a vedere. Ma la Russia è stata effettivamente costretta ad abbandonare l’Iran quando Israele ha bombardato l’Iran. La Russia non è venuta in loro aiuto e questo ha danneggiato le loro relazioni.

Ora, se gli Stati Uniti assicurano l’uscita di Maduro, lui se ne va.

Se guardiamo agli ultimi dieci anni, la Russia ha perso Venezuela, Armenia, Siria, Kazakistan e forse Iran. Ha guadagnato Mali, Burkina Faso e Niger. Non è un ottimo affare.

E hai ragione: per quanto riguarda la guerra in Ucraina, staremo a vedere. La Russia ha appena conquistato Pokrovsk e ora dicono che ci sarà una svolta perché l’Ucraina dovrà ritirarsi nelle sue fortificazioni più arretrate. Dicono che la Russia tenterà di raggiungere il fiume. Vedremo se succederà. Ma voglio dire, una guerra prolungata non fa bene a nessun Paese. E con questa guerra che tra pochi mesi entrerà nel suo quarto anno, non va bene. Non va bene per la Russia. Non credo che siano contenti di quanto territorio hanno guadagnato e di quanto sia costato.

Quindi ora i loro alleati: Cina, Corea del Nord e Bielorussia. E questo è ciò che hanno ottenuto dall’ECOWAS, alcuni di questi paesi dell’Africa occidentale. Non è una gran cosa.

Anche in Cina, c’è una buona probabilità che nei prossimi decenni vedremo cosa succederà. Ma c’è una buona probabilità che dovremo fare… Non credo che la Russia voglia questa soluzione, ma questi sono i fatti.

E qualunque sia la vostra opinione al riguardo, ciò non cambia il fatto che Scott Ritter ripete da anni che “l’Ucraina sta per crollare”. Bene, eccoci qui. Questi tizi come Scott Ritter hanno detto: “Tutto Israele sta per crollare. Per loro è finita”. Vi sembra che per loro sia finita? A me non sembra affatto. Dobbiamo essere onesti: l’impero americano, purtroppo, sembra stia vincendo. Ho detto purtroppo. Sfortunatamente, l’impero globale americano sembra stia vincendo.

La maggior parte di quanto sopra può essere facilmente smentito o respinto. Naturalmente, la verità non si trova mai agli estremi: certo, l’America ha ottenuto alcune quasi-vittorie, ma anche molte sconfitte discutibili.

Anche l’osservazione di Fuentes sul simile “successo” di Israele è discutibile. Si tratta per lo più di osservazioni superficiali che semplicemente non tengono conto delle conseguenze di secondo e terzo ordine che Israele, in particolare, ha provocato contro se stesso.

Basta dare un’occhiata alle turbolenze politiche all’interno dello Stato in declino; ecco il video di oggi della deputata della Knesset Naama Lazimi che attacca Netanyahu in una diatriba imperdibile dell’anno, per gentile concessione di RT:

Bibi rimane impassibile mentre il deputato Lazimi lo fa a pezzi alla Knesset

Le cose stanno davvero andando così bene per l’Impero?

Trump è stato fischiato per la prima volta durante una recente apparizione allo stadio, registrando al contempo il minimo storico nei sondaggi di gradimento nella fascia demografica chiave dei 18-29enni:

ULTIME NOTIZIE:

L’approvazione di Trump è scesa del 50% tra i giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni dall’inizio del 2025.

Le nuove proposte di mutui trentennali e dividendi di 2.000 dollari sotto forma di “helicopter money” basato sulle tariffe doganali sono state percepite da molti come uno schiaffo in faccia; quale “età dell’oro” richiede il ricorso disperato a tali espedienti estremi per evitare il collasso?

Tutti hanno assistito alla vittoria schiacciante dei democratici nelle recenti elezioni, con Mamdani che ha conquistato la corona di New York City perché i repubblicani si sono fatalmente aggrappati come amanti sfortunati alla nave che affonda della colonia genocida.

Nel frattempo, libera da tali sconvolgimenti sociali e sintomi di decadenza sociale, la Cina continua a dominare la corsa alla supremazia globale praticamente in ogni settore:

https://www.economist.com/leaders/2025/11/06/chinas-clean-energy-revolution-will-reshape-markets-and-politics

La Cina ha compiuto una rivoluzione nel campo dell’energia pulita, superando tutti i paesi occidentali nella sua produzione, scrive la rivista britannica The Economist.

Secondo la pubblicazione, il Paese ha installato quasi 900 gigawatt di capacità solare, più dell’Europa e degli Stati Uniti messi insieme. L’anno scorso, la Cina ha generato 1826 terawattora di elettricità da energia solare ed eolica, cinque volte l’energia equivalente di tutte le sue testate nucleari.

The Economist osserva che la Cina è diventata una “nuova superpotenza”, una superpotenza energetica. È in grado di produrre quasi un terawatt di energia rinnovabile all’anno, paragonabile a 300 grandi centrali nucleari. Grazie alla produzione su larga scala, il costo dell’energia è in costante diminuzione e la domanda interna stimola un’ulteriore crescita.

La Cina ha già superato la maggior parte degli impegni climatici assunti dopo l’accordo di Parigi e prevede di raddoppiare la capacità di energia rinnovabile e ridurre le emissioni entro il 2035.

Pechino sta anche esportando attivamente le proprie tecnologie. I paesi in via di sviluppo, dove si decide l’esito della lotta contro il cambiamento climatico, stanno diventando i principali consumatori di pannelli solari e apparecchiature per lo stoccaggio di energia cinesi.

Allo stesso tempo, secondo la pubblicazione, la trasformazione energetica della Cina non è guidata dall’altruismo, ma dal pragmatismo: il Paese sta riducendo i propri rischi climatici e rafforzando la propria posizione economica.

Considerando lo stato di degrado in cui versa l’Occidente, si può davvero sostenere in buona fede – senza ricorrere a mere riflessioni superficiali – che l’Occidente stia in qualche modo “vincendo”? Una civiltà vince quando vince la sua società, non quando progetti imperiali che arricchiscono solo il complesso militare-industriale e la classe dei donatori aggiungono qualche nuovo trofeo geopolitico a migliaia di chilometri di distanza. Non esiste attualmente una sola società occidentale che stia vivendo un trend positivo, simile a quello che stanno vivendo la Russia, con la sua rinascita culturale e sociale degli ultimi anni, o la Cina.

L’Occidente è degenerato in poco più che una cricca criminale di miliardari pervertiti che cinicamente stanno saccheggiando il pianeta fino all’ultimo centesimo. Ciò è stato brillantemente espresso dal presidente colombiano Gustavo Petro in un nuovo discorso, che è più che un addio appropriato:

Il presidente colombiano Petro:

«Una banda di pedofili vuole distruggere la nostra democrazia. Per impedire che venga resa pubblica la lista di Epstein, inviano navi da guerra per uccidere i pescatori e minacciano il nostro vicino di invasione per il suo petrolio. Vogliono trasformare la regione in un’altra Libia, piena di schiavi».


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Buio a mezzanotte_di WS

Per  capire  il “buio ucraino”,  cioè la  fase    della  guerra  in Ucraina  qui riportata,    bisogna     ricordarsi sempre che questa è una guerra  “ convenzionale” ma anche  e soprattutto  di  “narrazione”, arma  che serve a spezzare la volontà  del nemico  a sostenere il proprio stato in  guerra  ,  sia perché così è stata concepita da chi l ‘ ha ordita, la NATO,   sia perché  NESSUNO  desidera  che  essa  sfoci  in una guerra nucleare incontrollabile.

Quindi sicuramente la guerra russa alla infrastrutture elettriche ucraine è “didattica” , cioè “tattica” e non “strategica”;  la “strategia”  per sconfiggere quanto prima la NATO-Ucraina presupporrebbe  che la Russia  puntasse a  distruggere completamente TUTTE le infrastrutture dell’ Ucraina  esattamente  come fa  da sempre U$rael.

Non solo, quindi, quelle elettriche, ma anche quelle viarie e  tutto  ciò  che serve  a far  funzionare la società ucraina: magazzini,  catene di approvvigionamento ,   gasdotti, oleodotti, acquedotti, case, ospedali  e  ovviamente  ANCHE  i   centri comando, e i “luoghi  simbolo”; tutte cose  che  invece  in  Ucraina non vengono toccate se non marginalmente.

Ma quale sia  la strategia scelta dai russi l’ ho già spiegato tre anni fa quando i russi hanno capito che era fallito il loro piano A; al quale per altro io penso  non abbiano mai creduto molto.

 Una volta infatti compreso che la guerra con la NATO sarebbe stata inevitabile, la Russia ha deciso di combatterla nelle condizioni migliori per lei, cioè a ridosso delle proprie frontiere, proprio là dove essa può meglio:

1) liquidare completamente l’ esercito ucraino

 2) attirare in suo sostegno le forze di attacco NATO e liquidarle all’ interno della stessa Ucraina laddove esse avranno gravi problemi di supporto logistico.

Quindi i bombardamenti russi sono essenzialmente mirati solo alle infrastrutture  militari ucraine. In primis alle sue infrastrutture aeree e contraere e in secundis alle infrastrutture  civili  di interesse militare, ma non  a quelle viarie e ferroviarie . Queste saranno distrutte dopo, quando le migliori unità NATO saranno arrivate al fronte, nell’ est dell’ Ucraina.

 In questa ottica , né ora e nemmeno dopo, sarà utile  alla Russia portare alla disperazione e agli stenti la popolazione civile  ucraina con bombardamenti “terroristici”. L’ attuale regime infatti poco si cura della popolazione civile e i sui mandanti non vedrebbero l’ ora di creare la “narrazione” del “genocidio del popolo ucraino”.

La Russia cercherà quindi di mantenere un minimo standard di sopravvivenza ai civili, anche  perché terrorizzarli non le serverebbe a nulla; il regine di Kiev non si regge sul consenso popolare ma sul sostegno economico e militare dei paesi NATO.

  Ma allora, in cosa consiste il valore didattico? Ovviamente, come ipotizza Simplicius, “la lezione” è rivolta alle popolazioni dei paesi NATO  di retrovia,  quei NATO-ascari  che sono appunto i più russofobici.

 E il messaggio dice :” volete farci la guerra? Beh allora meditate su quanto misera potrebbe diventare SUBITO la vostra vita” a “ casa vostra”.

Perciò  questi bombardamenti ” didattici” si concentreranno sempre più nell’ Ucraina occidentale, in primis perché li la popolazione non merita nulla in quanto fornisce il nerbo nazista del regime di Kiev, e poi perché lì gli  ” scoppi” si sentono meglio anche di là del confine, anche se la TV non ne parla.

Questa   “fase”,   questo “piano B” russo, è anch’esso  un  “atto  dovuto”, ma è molto  dubbio che possa funzionare  se non  nel “guadagnare  tempo”,  buttando la palla  nel  campo  di quella NATO   che presto  dovrà comunque   scegliere il “che fare”.  La Russia ha infatti dichiarato  anche  al   teatrante Trump  che  essa non defletterà mai  dagli obbiettivi   dichiarati  quando ha intrapreso la  SMO.

E la  decisione  della NATO      dovrà essere    tra     aggravare il conflitto    entrando UFFICIALMENTE  in Ucraina   o, peggio , andare  dritti  verso una  guerra  diretta attaccando    altrove  dove  essa si  ritiene in vantaggio.

Il “dove”  di ciò l’ ho già accennato: Baltico ,  Kaliningrad o  Transnistria  , con una preferenza  per quesi’ultima  perché   lascerebbe  ancora un margine  di ambiguità   alla Russia    con le cui  elites    €uropee vogliono  un “conflitto  eterno”, ma non TOTALE;  che  giustifichi un “governo emergenziale” con cui mantenersi  al potere  schiacciando ogni possibile opposizione   con i  propri  “diktat”   esattamente  come abbiamo visto  con la “pandemia”.

Io  ritengo  avventata  ognuna  di  queste fughe in avanti   e  lo sanno anche i nostri  NATO-gauleiter      che   ANCH’ESSI  rischiano  grosso;  l’  assai probabile   reazione  di una Russia   determinata  a NON perdere  non  colpirà solo  l’ Ucraina ma anche  i i centri nevralgici  della NATO-€uropa.

In  tal  senso,  assai  rivelatore  è il  recente  ridicolo   “ultimatum”  del  NATO-pagliaccio   capo ,Rutt,  a  “non usare l’ arma nucleare” , come  se una  Russia  determinata  a “non perdere”  si ponesse  problemi        di come   essa  apparirebbe  “ al mondo”   se  fosse  costretta  a farlo.

In conclusione  abbiamo ancora la conferma   di cio  che ipotizzai   da  subito.  Noi  Europei   tutti, in  questo mortale  “conflitto”  siamo  TUTTI in trappola . Noi “,€uropopoli”  che non contiamo niente perché  non possiamo    cambiare    una €uroelite  che   non ha altra  speranza  che “andare  avanti” , e i Russi  che non hanno alcuna  speranza  nel “ tornare indietro”.

Sfuggire  a questa  trappola   è sempre  poù difficile   e “ il buio”   di kiev      ci annuncia solo  la      famosa “mezzanotte”     a cui  siamo  sempre più vicini.

 In  quel momento però io  spero ardentemente  che    TUTTI ne paghino le conseguenze . Sarebbe  veramente un  infame  scherzo del destino   che  ne rimanessero  fuori    coloro  che , come le altre  “due  volte”  ,   questo  nuovo  conflitto in  Europa   lo hanno progettato  e acceso.

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Rassegna stampa tedesca, 60a puntata a cura di Gianpaolo Rosani

Ferdinand Gehringer e Johannes Steger analizzano come la Germania, e con essa altri Stati
dell’UE, possano prepararsi a tali scenari nel loro libro “Deutschland im Ernstfall” (La Germania in
caso di emergenza), pubblicato a settembre. Una conversazione sui punti deboli, la prevenzione e
la comunicazione politica.

05.11.2025
PREVENZIONE INVECE DI PANICO: COME UNA
DIFESA COMPLETA
In caso di attacco, non sono solo le qualità militari a determinare il successo della difesa. Almeno
altrettanto importanti sono la resilienza e la volontà di difendersi della popolazione.
RAFFORZARE LA RESILIENZA
In “Deutschland im Ernstfall” (La Germania in caso di emergenza), Ferdinand Gehringer e Johannes Steger
analizzano come la politica e la società possono reagire alle minacce militari. In un’intervista con Militär
Aktuell affermano: l’importante non è il panico, ma la prevenzione e una comunicazione aperta con la
popolazione.
Intervista: MARKUS SCHAUTA
La guerra in Ucraina costringe l’Europa a prepararsi all’emergenza. Numerosi scenari ipotizzano che un
possibile attacco da parte della Russia inizi come una guerra ibrida: disinformazione, attacchi informatici e
sabotaggio di infrastrutture critiche come le reti elettriche e di telecomunicazione sono considerati uno
scenario iniziale realistico.

Giornalismo di guerra: la densità dei droni ha trasformato il territorio in una zona trasparente che si
estende ben oltre le prime linee di fanteria: la cosiddetta kill zone. Uno spazio di dieci, venti o più
chilometri in cui la visibilità diventa letale. La zona di combattimento non è più un luogo fisso a cui
ci si può avvicinare con cautela. Questa nuova realtà è dimostrata dalle decine di chilometri di
strade, soprattutto nel Donbas, che sono ricoperte da reti anti-droni. Il corrispondente di “El
Mundo” Javier Espinosa descrive la scena come “completamente surreale. E allora mi chiedo:
esiste ancora il giornalismo di guerra se non posso più mostrare la guerra?” Per rendere giustizia
alle esperienze dei soldati in prima linea si cerca di intercettarli nel momento in cui tornano dal
fronte. Ma queste occasioni sono sempre più rare. Ciò che resta è filmare immagini dallo schermo
e immagini dal vivo dei droni nel posto di comando e parlare con gli ufficiali. “Vediamo il campo di
battaglia sempre più da lontano”.

07.11.2025
“Chi è contrassegnato come stampa viene
ucciso”
I droni russi osservano ogni mossa in Ucraina. Cacciano in modo mirato civili e giornalisti. Come è
possibile mostrare la guerra in queste condizioni?

Di Christian-Zsolt Varga, Kiev
La morte del fotoreporter francese Antonio Lallican e le gravi ferite riportate dal suo collega ucraino
Georgiy Ivanchenko nel Donbas all’inizio di ottobre segnano una triste svolta nel giornalismo di guerra: per
la prima volta in Ucraina un reporter è stato ucciso in modo mirato da un drone FPV russo.

Merz vorrebbe espellere immediatamente un gran numero di siriani, come ha fatto sapere più
volte. Wadephul, invece, ha dichiarato di avere dei scrupoli. La differenza è evidente. Quando in
primavera la CDU si è assicurata, oltre alla Cancelleria, anche il Ministero degli Esteri, Merz e
Wadephul hanno promesso una «politica estera coerente». Quello che stanno realizzando, invece,
è una politica estera in continuo mutamento. A volte così, a volte così. Su questioni centrali, il
Cancelliere e il suo Ministro degli Esteri non sono d’accordo. Wadephul si discosta, urta e poi deve
giustificarsi. I Ministri degli Esteri non fanno politica con le leggi, ma soprattutto con le parole.
Queste non devono essere enigmatiche, devono essere precise. Nel caso di Wadephul spesso
non è così. In questo modo il ministro non solo danneggia l’immagine della coalizione, ma anche la
reputazione e l’influenza del Paese. La Germania non ha vita facile nel conflitto tra le grandi
potenze. I suoi rappresentanti non dovrebbero quindi inviare messaggi contraddittori. Wadephul
deve decidere se può sostenere o meno la politica di Merz nel governo.

07.11.2025
EDITORIALE
L’incontrollabile
Johann Wadephul ha un problema con le priorità del suo cancelliere. Il ministro degli Esteri deve decidere
se sostenere la politica di Friedrich Merz.

Di Marina Kormbaki
A volte i diplomatici devono edulcorare le cose per evitare che i conflitti degenerino. Il capo della
diplomazia tedesca Johann Wadephul ha portato questa lezione all’estremo.

Il presidente dell’associazione economica dell’acciaio: “La situazione è drammatica. L’industria
siderurgica ha bisogno di condizioni quadro affidabili”. Il problema più grave dell’industria
siderurgica nazionale è la concorrenza dall’Estremo Oriente. Da tempo la Cina esporta in Europa
grandi quantità di acciaio a basso costo. I produttori tedeschi difficilmente riescono a competere
sui prezzi. Esistono già strumenti di protezione, che la Commissione europea intende ora ampliare
in modo significativo. I costi energetici sono un grosso problema per l’industria siderurgica. “Senza
un’efficace riduzione dei prezzi dell’energia elettrica, questa industria non è in grado di
sopravvivere”, ha affermato Merz. Ha annunciato che il prezzo dell’energia elettrica industriale
sovvenzionato dallo Stato entrerà in vigore a partire dal 2026 e che il governo concederà ai
produttori di automobili un margine di manovra maggiore per quanto riguarda i limiti di CO₂ se
utilizzeranno acciaio verde nella produzione.

07.11. 2025
Vertice sull’acciaio
“Crisi che minaccia l’esistenza” per l’industria siderurgica – Il cancelliere federale Merz ha fatto diverse
promesse al settore siderurgico. Tuttavia, alcune di queste misure devono ancora essere chiarite,
soprattutto con Bruxelles.

Di Julian Olk, Klaus Stratmann Berlino
Il cancelliere federale Friedrich Merz (CDU) ha messo in guardia dalla scomparsa dell’industria siderurgica
dalla Germania. “Le aziende stanno attraversando una crisi che ne minaccia l’esistenza”, ha affermato Merz
giovedì dopo un incontro con i rappresentanti del settore nella Cancelleria federale.

Nei paesi nordici il servizio militare è popolare: ogni anno migliaia di giovani uomini e donne si
arruolano volontariamente per l’addestramento militare. Le ragioni sono molteplici e mettono in
evidenza ciò che manca in Germania in termini di preparazione alla difesa. Da un lato c’è la
continuità. A differenza di quanto avviene in Germania, in Finlandia, Norvegia e Danimarca il
servizio militare obbligatorio non è mai stato sospeso, ma solo temporaneamente ridotto il numero
delle reclute. La Svezia ha reintrodotto l’obbligo già nel 2018, dopo una breve pausa. Inoltre, nel
nord, ad eccezione della Finlandia, anche le donne sono tenute a sottoporsi alla visita di leva.
Entrambi questi fattori fanno sì che l’esercito sia più saldamente radicato nella società.


07.11.2025
Dove i giovani difendono il loro Paese
Mentre in Germania la maggioranza dei giovani si dichiara contraria al servizio militare obbligatorio, in
molti Paesi del Nord Europa prestare servizio nelle forze armate è un privilegio molto ambito. Una ricerca
delle cause ci mostra perché e cosa possiamo imparare da questo

Di STEFANIE BOLZEN E LARA JÄKEL
Tre pesanti carri armati avanzano rumorosamente verso il fiordo e, poco prima di raggiungere l’acqua, si
fermano su un piazzale di ghiaia.

Nella notte del 23 novembre 1992, una casa è andata a fuoco. Ibrahim Arslan aveva sette anni
quando due neonazisti hanno lanciato delle bombe molotov attraverso la finestra. Sua nonna
Bahide Arslan, sua cugina Yeliz, sua sorella Ayşe sono morte nell’incendio. Lui è sopravvissuto.
“Tutti dicono che gli anni Novanta sono tornati”, dice oggi. “Ma non sono mai finiti, sono solo
cambiati. E oggi è più pericoloso”. Da metà ottobre è tornato acceso il dibattito su chi appartiene
alla Germania e chi no. Chi è il benvenuto qui e chi no. E chi può sentirsi al sicuro qui, o meno. Il
dibattito è stato riacceso dal cancelliere Friedrich Merz durante un incontro il 14 ottobre a
Potsdam, quando ha detto: “Ma naturalmente abbiamo ancora questo problema nel panorama
urbano, ed è per questo che il ministro federale dell’Interno sta lavorando per consentire e attuare
rimpatri su larga scala”. “Il panorama urbano”: due parole che aleggiano nei talk show come se
fossero state inventate di recente. È lo stesso linguaggio di allora, Merz ha ripetutamente
oltrepassato il confine con l’estrema destra, non per caso, ma con calcolo.

05.11.2025
Germania, il tuo paesaggio urbano
Una frase del cancelliere federale Merz riaccende un vecchio dibattito e ricorda a Ibrahim Arslan giorni
bui. Negli anni Novanta è sopravvissuto a un attacco incendiario razzista
“Probabilmente abbiamo disturbato il paesaggio
urbano”
Come un sopravvissuto all’attacco incendiario razzista a Mölln percepisce il modo in cui i governi tedeschi
trattano i migranti nei dibattiti passati e attuali

Ha cambiato il paesaggio urbano di Mölln con la sua iniziativa “Reclaim and Remember”

Ibrahim Arslan Foto: Daniel Chatard
Da Mölln e Potsdam: Derya Türkmen
È una mattina grigia a Mölln. I ciottoli luccicano bagnati dalla pioggia, il vento fischia attraverso la
Mühlenstrasse. Per il resto c’è silenzio.

Circa il 70% del territorio britannico appartiene all’1% della popolazione, tra cui molti nobili. Il
principe William e il re Carlo possiedono privatamente oltre 72.000 ettari di terreno, 5.410 edifici e
2.582 diritti minerari. Ufficialmente non pagano le tasse, a meno che non lo facciano
volontariamente. Ma non sono tenuti a rivelare a nessuno se lo fanno. Quindi vale il desiderio “To
be King for one Day” o piuttosto l’ira “No Kings”?

STERN
06.11.2025
EDITORIALE

Quando gli oppositori di Donald Trump scendono in piazza, gridano «No Kings». Questo è probabilmente il
denominatore comune più forte su cui gli americani possono concordare: non vogliono essere governati da
monarchi, anche se il loro presidente risiede in una Casa Bianca simile a un palazzo e può lanciare armi
nucleari di propria iniziativa.

A proposito del disconoscimento_di Tree of Woe

A proposito del disconoscimento

Per 75 anni la destra ha rinnegato la destra. Ora la destra sta rinnegando a sua volta.

7 novembre
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Ovunque si guardi oggigiorno, i moderati di destra stanno attivamente sconfessando gli estremisti di destra. Joel Berry ha sconfessato Nick Fuentes. Mark Levin ha sconfessato Tucker Carlson. Dinesh D’Souza, per non essere da meno, ha sconfessato Nick Fuentes, Tucker Carlson e Candace Owens.

L’elenco potrebbe continuare e vi risparmierò un catalogo completo del momento presente. La cosa importante da sapere è che il disconoscimento ha una lunga tradizione a destra. Per 75 anni, i moderati di destra hanno disconosciuto gli estremisti di destra per assicurarsi che non fossero associati a loro o alle loro convinzioni. Tutto iniziò nel 1950, quando la senatrice repubblicana Margaret Chase Smith disconoscié il senatore repubblicano Joe McCarthy nella sua “Dichiarazione di Coscienza”, aprendo la strada al Senato che nel 1954 lo disconoscié definitivamente.

Il disconoscimento divenne una politica formale nel 1955, quando William F. Buckley iniziò a epurare l'”estrema destra”. Prolifico disconoscitore, Buckley rinnegò notoriamente Robert Welch nel 1962, Revilo Oliver nel 1966, Pat Buchanan nel 1991 e infine Sam Francis nel 1995. Il successore di Buckley, Rich Lowry, rinnegò Ann Coulter nel 2001 e John Derbyshire nel 2012.

Il disconoscimento ha raggiunto il suo apice nel febbraio 2016, quando l’intero establishment conservatore si è unito per disconoscere Donald Trump in una serie di saggi su National Review che includeva post di Glenn Beck ( The Blaze ), David Boaz ( Cato ), L. Brent Bozel III ( Media Research Center ), Mona Charen (National Review), Ben Domenech( The Federalist ), Erick Erickson ( The Resurgent ), Steven F. Hayward (professore Reagan alla Pepperdine), Mark Helprin (autore), Yuval Levin ( National Affairs ), Dana Loesch ( The Blaze ), William Kristol ( Weekly Standard ), Andrew McCarthy ( National Review ), David McIntosh ( Club for Growth ), Michael Medved (conduttore radiofonico), Edwin Meese (ex amministratore Reagan), Russell Moore (Commissione per l’etica e la libertà religiosa della Southern Baptist Convention), Michael B. Mukasey (procuratore generale degli Stati Uniti), Katie Pavlich ( Townhall ), John Podhoretz ( Commentary ), RR Reno ( First Things ), Thomas Sowell ( Hoover ), Cal Thomas ( USA Today ), R. Emmett Tyrrell ( American Spectator ) e Kevin D. Williamson ( National Review ).

Si è trattato del disconoscimento politico più coordinato nella storia americana, eguagliato forse solo dal disconoscimento dei videogiocatori da parte dei giornalisti del settore nell’agosto 2014. È stato anche un fallimento, forse il primo grande fallimento nella storia dell’auto-ripudio della destra americana. Ciononostante, nessuno degli influencer sopra menzionati ha davvero sofferto per il suo disconoscimento del Presidente Trump. Anzi, la maggior parte di loro alla fine è diventata pro-Trump ed è rimasta un opinionista popolare all’interno della destra. Qua e là, alcuni hanno abbandonato la destra per abbracciare la sinistra, ancora una volta con scarse conseguenze.

Non è più così. Nel 2025, è emersa una tendenza contraria per cui i destri ora rinnegano chi rinnega, anzi rinnegano il rinnegamento stesso. È davvero notevole da vedere, e gli effetti di questo contro-rinnegamento hanno iniziato a sfinire persino alcuni formidabili guerrieri culturali. Credo che lo sgomento e la frustrazione espressi da Joel Berry (che apprezzo) nel post qui sotto siano del tutto genuini:

Berry sta facendo quello che ogni rispettabile opinionista di destra ha fatto per 75 anni, ma per ragioni che non riesce a comprendere, viene punito in modi che i suoi predecessori non hanno mai avuto. Quindi, cosa è cambiato?

(Il resto di questo post è riservato agli abbonati paganti di questo substack.)

Sulla scia della cultura della cancellazione e dell’omicidio di Kirk, il disconoscimento è oggi percepito come codardia morale

Quando Margaret Chase Smith rinnegò Joseph McCarthy, o quando William F. Buckley rinnegò Robert Welch, tali atti di distanziamento morale furono visti all’epoca come prese di posizione di principio da una posizione di forza. Buckley, ad esempio, era percepito come il leader di un movimento potente che nobilmente scelse di rinunciare all’aiuto dei demagoghi. Si presentò come un uomo che cercava di preservare la dignità morale del movimento anche a costo di un vantaggio tattico. Il messaggio di Buckley era (o sembrava essere): “Non accetteremo questi uomini nella nostra causa, anche se saremmo più forti se lo facessimo”. Il pubblico, anche coloro che non erano d’accordo, poteva rispettare quel tipo di nobile determinazione. L’atto di disconoscimento era visto come nobile.

Ma quel panorama morale non esiste più. Nei decenni successivi, la sinistra ha costruito un sistema totale di coercizione sociale, cultura della cancellazione, deplatforming e guerra reputazionale, progettato per rendere pericolosa la parola. La destra, invece di resistere, ha implementato le tattiche del nostro avversario contro noi stessi. Chiunque fosse messo a tacere dalla sinistra veniva rapidamente rinnegato dalla destra, non per disaccordo, ma perché il suo status di “intoccabile” rischiava di essere contagiato. Il rinnegamento ha quindi cessato di significare principio ed è diventato sinonimo di paura. È diventato visto come il timore istintivo di coloro che speravano di dimostrare la propria rispettabilità a una cultura che già li disprezzava.

Oggi, quando un opinionista moderno si affretta a rinnegare, pochi vedono coraggio in questo gesto. Sembra codardo perché chi rinnega non si oppone al potere, ma piuttosto si inchina davanti ad esso. Ammettiamo che Buckley abbia agito per principio; ammettiamo che anche Levin, Berry e D’Souza agiscano per principio oggi. Comunque sia, un post su Twitter che denuncia un esponente della destra per “aver oltrepassato il limite” oggigiorno non sembra un atto di coscienza, ma di imbarazzo. Dopo l’assassinio di Charlie Kirk, l’ottica morale del rinnegamento si è appena capovolta completamente.

La riabilitazione dei pensatori del passato che abbiamo rinnegato ci ha insegnato a essere cauti nel rinnegare i pensatori del presente

Nemmeno un decennio fa, Donald Trump era universalmente sconfessato. Ogni opinionista, donatore e istituzione conservatrice mainstream si è affrettata a dichiararlo un’aberrazione inadatta, pericolosa, volgare e ineleggibile. Eppure, non solo Trump ha vinto la presidenza nel 2016, ma dopo aver superato due impeachment, continue battaglie legali e un implacabile attacco mediatico, è tornato per riconquistare la presidenza nel 2025. La sua ascesa è stata il fallimento più drammatico del riflesso di ripudio della destra nella storia.

L’ascesa al potere di Trump nonostante il disconoscimento dell’establishment ha portato la gente a chiedersi: “Se l’establishment ha potuto sbagliarsi così tanto su Trump, forse si sbagliava anche su tutti gli altri che ha disconosciuto?”. E quando i destri si ponevano questa domanda, a volte concludevano che la risposta era “sì, si sbagliavano anche allora”.

Si considerino i casi di Joseph McCarthy e Robert Welch. Questi uomini sostenevano, all’inizio degli anni ’50, che i comunisti avevano profondamente sovvertito le istituzioni americane, e pagarono un pesante prezzo politico per tali affermazioni. Eppure, la successiva declassificazione dei cablogrammi del Progetto Venona e dei relativi materiali d’archivio sovietici ha rivelato prove autentiche di spionaggio sovietico all’interno del Progetto Manhattan del governo statunitense, del Dipartimento di Stato e del Dipartimento della Guerra, e uomini come Theodore Hall o Alger Hiss sono ora giustamente riconosciuti come spie comuniste. Oggigiorno McCarthy e Welch, un tempo denunciati come allarmisti paranoici, vengono riabilitati come gli unici ad essere stati adeguatamente vigili.

Oppure prendiamo Sam Francis o John Derbyshire. I fan di quegli intellettuali, esiliati per i loro moniti sul rapido multiculturalismo, l’immigrazione incontrollata e l’erosione del tradizionale legame nazionale, possono ora contare su prove empiriche che dimostrano che avevano ragione. Queste prove semplicemente non erano disponibili finché il professore di Harvard Robert D. Putnam non ha documentato in modo conclusivo i modelli che convalidano i loro moniti. Con l’aumentare della diversità etnica negli Stati Uniti, la popolazione ha segnalato livelli inferiori di fiducia nei vicini, nelle istituzioni, nella partecipazione civica e nel volontariato. Mentre Putnam sostiene ancora che l’effetto potrebbe essere reversibile a lungo termine, il fatto che la diversità sia empiricamente correlata a una diminuzione del capitale sociale è purtroppo oggi evidente ovunque. E così anche Francis e Derbyshire stanno venendo riabilitati in molti ambienti.

Che dire di Pat Buchanan? La sua critica al libero scambio e all’immigrazione su larga scala lo fa oggi vedere meno come un paria impotente e più come un profeta lungimirante. Le obiezioni di Buchanan alla dottrina allora dominante del libero scambio (ovvero che l’esternalizzazione dei posti di lavoro industriali e la ricostruzione della base lavorativa americana avrebbero indebolito il Paese) sono ampiamente visibili nella deindustrializzazione americana e nelle tensioni della catena di approvvigionamento globale. Persino la sua argomentazione secondo cui l’immigrazione di massa senza una forte assimilazione produrrebbe tensioni strutturali anziché dividendi è ora considerata degna di un serio dibattito (anche se non universalmente accettata). Ancora una volta, un pensatore i cui moniti un tempo furono derisi viene ora rivisitato e rivalutato.

E tutto ciò alimenta l’attuale sentimento contro il disconoscimento. Perché se i disconoscitori si sbagliavano almeno in parte su Trump, Buchanan, Francis, Derbyshire, McCarthy e Welch, se il tempo e le prove hanno almeno in parte giustificato gli uomini che un tempo i disconoscitori avevano scacciato… Se così fosse, allora verrebbe spontaneo dire: “Forse dovremmo essere molto più cauti prima di accettare i disconoscimenti oggi; forse il nostro movimento è stato guidato più dalla paura di essere associati che da un giudizio sobrio. Forse, se continuiamo a trattare ogni figura al di fuori dei mutevoli confini dell’accettabilità come se fosse al di là del limite, potremmo ritrovarci ancora una volta a esiliare i profeti di domani, solo per accoglierli tardivamente, quando è troppo tardi per seguire la strada che ci hanno portato”.

Pertanto, la riabilitazione di pensatori del passato che erano stati ripudiati ha insegnato alla destra odierna a essere più cauta nel rinnegare i pensatori del presente.

La giovane destra ha capito il valore di un fianco radicale

Per decenni, la sinistra ha intuitivamente compreso qualcosa che la destra sta solo ora iniziando a comprendere: il valore strategico di un fianco radicale .

Il termine “fianco radicale” fu coniato per la prima volta dalla femminista Jo Freeman nel 1975 per descrivere come i gruppi femministi più estremisti facessero apparire le femministe tradizionali più rispettabili, per contrasto. Il concetto formale fu ulteriormente sviluppato dal sociologo Herbert Haines, che studiò il movimento per i diritti civili e scoprì qualcosa di sorprendente: l’emergere di organizzazioni nere radicali, lungi dal causare una reazione negativa, aiutò in realtà i gruppi moderati per i diritti civili a ottenere sostegno, finanziamenti e concessioni. Nel suo libro del 1988 Black Radicals and the Civil Rights Mainstream , Haines sosteneva che “il tumulto creato dai militanti era indispensabile per il progresso dei neri”. Ciò che appariva caotico o dirompente era, in realtà, parte di una dialettica: i radicali cambiavano il discorso e i moderati ne raccoglievano i risultati.

Questo effetto è stato osservato ripetutamente. Quando i radicali minacciano di creare disordini, le autorità spesso cercano un compromesso con i moderati che sembrano l’unica alternativa. I sindacati sono stati accettati per impedire i consigli dei lavoratori. L’Environmental Defense Fund ha ottenuto un posto al tavolo delle trattative dopo che il Rainforest Action Network ha minacciato il caos. I fianchi radicali violenti, come i Diaconi per la Difesa e la Giustizia, hanno protetto attivisti non violenti come Martin Luther King e hanno permesso alle loro proteste di procedere senza la letale repressione statale. I movimenti politici che hanno successo includono quasi sempre una componente estremista. Il fianco radicale crea spazio e il moderato lo riempie.

Molto prima di avere un nome, la sinistra aveva intuito l’esistenza dell’effetto “fianco radicale”, assiomizzandolo con lo slogan “Nessun nemico per la sinistra”. È il motivo per cui la sinistra non rinnega i suoi estremisti. È il motivo per cui la sinistra indossa con orgoglio magliette di Che Guevara. È il motivo per cui la sinistra conferisce ai suoi estremisti posizioni di prestigio nelle università. È il motivo per cui la sinistra, al massimo, tace quando la follia esce dalla bocca dei suoi più folli.

Ed è questo uno dei motivi principali per cui loro hanno vinto e noi abbiamo perso, generazione dopo generazione, nella guerra culturale. Si sono resi conto che ogni volta che mettevamo da parte i nostri estremisti, inevitabilmente spostavamo la Finestra di Overton dall’altra parte, dalla loro parte.

A quanto pare, le persone non usano alcun criterio globale oggettivo per giudicare chi è moderato e chi è estremista. La posizione di ogni persona sull’asse politico è in realtà relativa alla posizione di tutti gli altri attori. In qualsiasi momento, i moderati sembrano moderati solo perché esistono gli estremisti. Ogni volta che ci siamo liberati dei nostri estremisti, abbiamo fatto apparire i nostri moderati come estremisti.

Quando un “radicale” come McCarthy, Derbyshire o Buchanan veniva rinnegato, tutto ciò che accadeva era che qualcuno alla sua sinistra diventava il successivo estremista di estrema destra, e le persone alla sua sinistra diventavano i nuovi moderati di destra. E così via, e così via, per 75 anni. Cthulhu nuotò a sinistra in parte perché noi annegammo tutti a destra di Cthulhu.

E gli esponenti della destra di oggi lo sanno, soprattutto i giovani. I giovani “estremamente online” di oggi sono, per molti versi, più alfabetizzati ideologicamente di qualsiasi precedente generazione di conservatori. Sono stati cresciuti da genitori progressisti, istruiti in istituzioni intrise di teoria critica e immersi fin dall’adolescenza nelle trincee digitali della guerra culturale. Hanno visto amici cancellati, piattaforme censurate e intere narrazioni crollare sotto l’esame in tempo reale. Concetti che un tempo erano dominio di un’oscura teoria politica sono diventati la base della loro guerra memetica, discussi con disinvoltura sui server Discord e nei thread di Twitter. Quando ero a giurisprudenza, solo una nicchia di esperti stravaganti aveva mai sentito parlare della Finestra di Overton; oggi, incontro spesso giovani che ne capiscono il significato nella battaglia per l’opinione pubblica.

E questi stessi giovani di destra sono stanchi di perdere quella battaglia. Sono stanchi di perdere terreno e vogliono riprenderlo. Pertanto, non tollereranno tattiche che lo facciano perdere. Rinnegare il nostro fronte radicale è una tattica che ha fatto perdere terreno alla destra; è una tattica che ha portato alla sconfitta; ed è quindi una tattica che stanno rinnegando, insieme a chiunque la pratichi.

Martin Luther King non ha mai chiesto che la leadership della Nation of Islam o delle Pantere Nere venisse soppressa, messa a tacere o messa a tacere. Sapeva che lo rendevano più forte. Una volta disse in privato: “Se mi rifiutano, c’è sempre Elijah Muhammad”. I giovani di destra di oggi sanno chi sono gli Elijah Muhammad di oggi e sono felici di lasciargli mantenere il loro fianco radicale.

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Stati Uniti, la crisi del bipartitismo Con Gianfranco Campa

Su Italia e il Mondo: Si Parla delle elezioni locali statunitensi e della crisi del bipartitismo
Il responso delle recenti elezioni locali negli Stati Uniti ha sancito due sconfitte cocenti, un trionfo netto, probabilmente effimero e una condizione di perplessità. La vittoria di Ramdani, uomo di Soros, è stato un piccolo capolavoro di un brillante leader in grado di associare lo spirito identitario dei settori più popolari della popolazione di New York al messaggio ideologico tipico dei “colletti bianchi” dalle prospettive ormai sempre più incerte e dallo status ormai minacciato. Un successo effimero costruito sulle ceneri del Partito Democratico, piuttosto che di quello repubblicano. Negli altri stati federati è stato il Partito Repubblicano a subire una sonora e definitiva lezione, ma nella veste dei più accesi oppositori del Presidente. Trump potrà dormire sonni tranquilli? Non proprio. La diserzione di MAGA ai seggi è occasionale e legata alla volontà di punire i candidati repubblicani? L’evaporazione di MAHA, il movimento di Kennedy e del suo stuolo indispensabile di militanti organizzati, è il segno di un abbandono del sodalizio con Trump? Sono gli interrogativi di un movimento in piena fase di transizione verso una nuova inevitabile leadership. Non mancheranno le sorprese. Giuseppe Germinario

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Il più grande attacco balistico russo di sempre paralizza la rete energetica ucraina_di Simplicius

Il più grande attacco balistico russo di sempre paralizza la rete energetica ucraina

Simplicius 9 novembre
 
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La scorsa notte la Russia ha colpito l’Ucraina con quello che è stato definito il più grande attacco missilistico balistico dell’intero conflitto, durato quasi quattro anni. L’autorità energetica principale dell’Ucraina ha riferito che tutte le centrali termiche del Paese erano fuori uso a causa di blackout diffusi:

https://kyivindependent.com/tutte-le-centrali-termiche-di-proprietà-statale-ucraine-smettono-di-funzionare-dopo-il-più-grande-attacco-mai-sferrato-dalla-Russia/

La deputata ucraina Kira Rudik:

L’autorità energetica ufficiale Tsentroenergo scrive:

Il tipo di panico e digrignamento dei denti non si era mai visto prima: ecco il ministro degli Esteri ucraino Sybiha:

Sono stati effettuati attacchi contro le sottostazioni di due centrali nucleari. Kiev chiede con urgenza la convocazione del Consiglio dell’AIEA, – Il Ministero degli Affari Esteri ucraino chiede l’aiuto dell’Europa 

Kiev, ricorrendo ad accuse propagandistiche, cerca di fermare gli attacchi al suo vacillante settore energetico. Ora la parte di Zelensky sta gridando alla minaccia alla sicurezza nucleare per l’Europa:

Durante gli attacchi di oggi, gli obiettivi erano ancora una volta le sottostazioni che riforniscono le centrali nucleari di Khmelnytskyi e Rivne. La Russia sta mettendo in pericolo la sicurezza nucleare dell’Europa, denuncia il ministro degli Esteri ucraino Sybiga.

Kiev è rimasta senza corrente elettrica a causa dell’esplosione dei tram elettrici provocata da sovratensioni:

Di seguito è riportata la centrale termica di Zmievskaya nella regione di Kharkov:

La centrale termica di Zmievskaya dopo gli attacchi notturni. Secondo le dichiarazioni ufficiali, la centrale è ferma fino a nuovo avviso.

La situazione sembrava apocalittica, anche se c’erano alcune opinioni dissenzienti.

Qui interviene il pseudo-analista russo FighterBomber con un po’ di miele e aceto:

Nuovi record nelle prese degli ucraini.

È difficile dire esattamente come stanno realmente le cose. 600 volt nelle prese elettriche in tutta l’Ucraina o lamentele che non hanno nulla a che vedere con la realtà, che servono allo scopo di raccogliere fondi urgenti per i generatori e alla speranza che smetteremo di sostenere il settore energetico degli ucraini.

Secondo gli abbonati ucraini, l’elettricità è disponibile quasi ovunque. Con alcune interruzioni, ma c’è.

È chiaro che non vogliamo colpire le centrali nucleari. È chiaro che dopo aver finito con le centrali termiche e idroelettriche, bisognerà fare qualcosa con le centrali nucleari e le linee elettriche provenienti dall’Europa.

Ma, diamine, un migliaio di droni e una dozzina di missili al giorno possono risolvere il problema.

Da quanto ho capito, l’Ucraina si trova attualmente nella situazione peggiore dall’inizio dell’operazione militare speciale.

Non è mai stato così grave.

Se li manteniamo in questo stato per un paio di mesi, sarà fantastico.

Attualmente si discute molto su quali siano esattamente i piani della Russia e su come questi si colleghino a quella che in passato era stata percepita come una certa moderazione da parte russa negli attacchi alla rete elettrica ucraina.

L’analista russo Rybar ha appena suscitato discussioni con una recente analisi in cui sostiene che la Russia sta distruggendo tutto tranne le linee elettriche chiave da 750 kV. Tuttavia, è stato confermato che gli ultimi attacchi hanno colpito proprio quelle:

RussiansWithAttitude ha espresso probabilmente il parere più corretto sui piani della Russia al riguardo:

A mio avviso, lo scopo degli attacchi alla rete elettrica non è quello di mettere fuori uso la rete, ma 1) creare problemi, tensioni e un sacco di lavoro superfluo per le retrovie ucraine, 2) portare la rete al limite, fino al punto in cui un singolo attacco mirato a 750 kV e alle centrali nucleari potrebbe metterla fuori uso per davvero, 3) come conseguenza del punto 2), essere pronti a intensificare l’azione in qualsiasi momento, non appena entri in gioco una “terza parte”. Penso che la gente sottovaluti gravemente quanto la Russia stia pianificando in vista di un eventuale ingresso aperto della NATO/UE nella guerra. È anche una dimostrazione per quest’ultima per disincentivarla. “Guardate quante cose potremmo far saltare in aria ogni singola notte in Europa e non potreste fare nulla per impedirlo, quindi state fuori dai piedi”.

Anche questo è sicuramente un ottimo punto:

Molte persone che desiderano un collasso totale della rete elettrica in Ucraina probabilmente non hanno riflettuto a fondo sulla questione. Ciò significherebbe che milioni di anziani, malati e persone indifese soffrirebbero e finirebbero sull’orlo del baratro, una situazione che verrebbe sfruttata con gioia dalla stampa occidentale e trasformata in un secondo Holodomor, tanto che persino gli alleati della Russia esiterebbero a continuare a sostenerla.

Detto questo, possiamo concludere che la situazione è certamente diversa e, in generale, molto peggiore rispetto al passato, soprattutto ora che le difese aeree dell’Ucraina sono indebolite e le capacità di attacco russe sono più avanzate e numerose che mai.

Qui il portavoce dell’aeronautica militare ucraina Yuri Ignat spiega che la Russia sta utilizzando più missili balistici che mai:

Tuttavia, dobbiamo anche considerare la possibilità molto concreta che la Russia stia semplicemente portando l’Ucraina a una situazione di crisi energetica per scoraggiare ulteriori attacchi da parte dell’Ucraina al settore energetico russo, che sono stati dolorosi in combinazione con i vari strumenti di sanzione occidentali in corso, anche se non così gravi come sostenuto.

Per la Russia e Putin, uno scenario ideale sarebbe una sorta di “status quo” bellico che consentisse alla Russia di continuare a mantenere la propria salute economica, e la Russia preferirebbe di gran lunga non subire attacchi ai propri centri energetici in cambio di un passo indietro sulla questione ucraina. Questo perché Putin sa che l’AFU sta già crollando anche senza concentrarsi sulla rete energetica ucraina, quindi mettere fuori uso la rete non è un obiettivo di vittoria particolarmente necessario.

Dopo tutto, come affermato in precedenza, quale potrebbe essere realmente l’obiettivo della Russia nel totale collasso della rete energetica ucraina? Non servirebbe a molto lanciare una nuova campagna Holodomor da parte della macchina informativa globale dell’Occidente. Ma questo è solo per fare l’avvocato del diavolo e riflettere sulle possibilità; potrebbe benissimo essere sbagliato, e la Russia potrebbe effettivamente cercare di abbattere la rete, anche se rimango piuttosto scettico sull’efficacia morale a lungo termine di questa mossa.

Chiediamo al pubblico:

SONDAGGIOLa Russia punta davvero a distruggere completamente la rete energetica dell’Ucraina questa volta?Sì, totale ed evacuazione di KievNo, solo scoraggiare gli attacchi della UA stessa.Portare UA al limite come opzione

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Islam contro Occidente: 4 errori smascherati_di Jonathan Cook

Islam contro Occidente: 4 errori smascherati

5 novembre 2025

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L’Islam non è intrinsecamente violento? Cosa ha impedito al mondo islamico di avere un’Illuminismo? Perché alcuni musulmani sono così propensi a tagliare le teste? Jonathan Cook esamina alcune percezioni errate comuni. 

Graffiti dello Stato Islamico tra le rovine di Sinjar nel luglio 2019, dopo la guerra con lo Stato Islamico. (Levi Clancy/ Wikimedia Commons/ CC0 1.0)

Di Jonathan Cook
Jonathan-Cook.net

A Una recente conversazione con un amico mi ha fatto capire quanto poco la maggior parte degli occidentali conosca l’Islam e quanto facciano fatica a distinguere tra Islam e islamismo.

Questa mancanza di conoscenza, coltivata in Occidente per mantenerci timorosi e solidali con Israele, crea proprio quelle condizioni che in origine hanno provocato l’estremismo ideologico in Medio Oriente e che alla fine hanno portato alla nascita di un gruppo come lo Stato Islamico.

Qui esamino quattro idee sbagliate comuni sui musulmani, l’Islam e l’islamismo, e sull’Occidente. Ognuna è un piccolo saggio a sé stante.

L’Islam è una religione intrinsecamente violenta, che porta naturalmente i suoi seguaci a diventare islamisti.

Non c’è nulla di unico o strano nell’Islam. L’Islam è una religione, i cui seguaci sono chiamati musulmani. Gli islamisti, invece, desiderano perseguire un progetto politico e utilizzano la loro identità islamica come mezzo per legittimare gli sforzi volti a promuovere tale progetto. Musulmani e islamisti sono due cose diverse.

Se questa distinzione non è chiara, pensate a un caso parallelo. L’ebraismo è una religione, i cui seguaci sono chiamati ebrei. I sionisti, invece, desiderano perseguire un progetto politico e utilizzano la loro identità ebraica come mezzo per legittimare gli sforzi volti a portare avanti tale progetto. Ebrei e sionisti sono due cose diverse.

In particolare, con l’aiuto delle potenze coloniali occidentali nel corso dell’ultimo secolo, un importante gruppo di sionisti ha ottenuto un grande successo nella realizzazione del proprio progetto politico. Nel 1948 hanno fondato uno Stato “ebraico” autoproclamato, Israele, espellendo con la violenza i palestinesi dalla loro patria.

Oggi, la maggior parte dei sionisti si identifica in qualche modo con lo Stato di Israele. Questo perché farlo è vantaggioso, dato che Israele è strettamente integrato nell’Occidente e identificarsi con esso comporta benefici materiali ed emotivi.

Il bilancio degli islamisti è stato molto più contrastante e variabile. La Repubblica dell’Iran è stata fondata da islamisti clericali nel corso della rivoluzione del 1979 contro il regime dispotico di una monarchia sostenuta dall’Occidente e guidata dallo Scià.

L’Afghanistan è governato dagli islamisti dei Talebani, giovani radicali emersi dopo che il prolungato intervento delle superpotenze sovietica e americana ha lasciato il loro Paese devastato e nelle mani di signori della guerra feudali. La Turchia, membro della NATO, è guidata da un governo islamista.

Ciascuno di essi ha un programma islamista diverso e contrastante. Questo fatto da solo dovrebbe evidenziare che non esiste un’ideologia “islamista” unica e monolitica. (Ne parleremo più avanti.)

Alcuni gruppi di islamisti cercano un cambiamento violento, altri vogliono un cambiamento pacifico, a seconda di come vedono il loro progetto politico. Non tutti gli islamisti sono fanatici decapitatori dello Stato Islamico.

Lo stesso si può dire dei sionisti. Alcuni cercano un cambiamento violento, altri vogliono un cambiamento pacifico, a seconda di come vedono il loro progetto politico. Non tutti i sionisti sono soldati genocidi e assassini di bambini inviati dallo Stato di Israele a Gaza.

Lo stesso tipo di distinzione può essere fatta tra la religione indù e l’ideologia politica dell’Hindutva.

L’attuale governo indiano, guidato da Narendra Modi e dal suo partito Bharatiya Janata Party, è fortemente ultranazionalista e anti-musulmano. Ma non c’è nulla di intrinseco nell’induismo che porti al progetto politico di Modi. Piuttosto, l’Hindutvaismo si adatta agli obiettivi politici di Modi.

E possiamo vedere tendenze politiche simili in gran parte della storia del cristianesimo, dalle crociate di mille anni fa alle conversioni forzate al cristianesimo dell’era coloniale occidentale, fino al nazionalismo cristiano moderno che prevale nel movimento MAGA di Trump negli Stati Uniti e domina i principali movimenti politici in Brasile, Ungheria, Polonia, Italia e altrove.

Il punto principale è questo: i seguaci dei movimenti politici possono attingere – e spesso lo fanno – al linguaggio delle religioni con cui sono cresciuti per razionalizzare i loro programmi politici e conferire loro una presunta legittimità divina. Tali programmi possono essere più o meno violenti, spesso a seconda delle circostanze in cui si trovano tali movimenti.

L’ossessione dell’Occidente di associare l’Islam, e non l’Ebraismo, alla violenza – anche quando uno Stato che si autodefinisce “ebraico” commette un genocidio – non ci dice assolutamente nulla su queste due religioni. Ma ci dice qualcosa sugli interessi politici dell’Occidente. Ne parleremo più avanti.

Ma l’Islam, a differenza del Cristianesimo, non ha mai attraversato un periodo di Illuminismo. Questo ci dice che c’è qualcosa di fondamentalmente sbagliato nell’Islam.

No, questa argomentazione fraintende completamente le basi socioeconomiche dell’Illuminismo europeo e ignora i fattori paralleli che hanno soffocato un precedente Illuminismo islamico.

L’Illuminismo europeo nacque da una specifica confluenza di condizioni socio-economiche prevalenti alla fine del XVII secolo.thsecolo, condizioni che hanno gradualmente permesso alle idee di razionalità, scienza e progresso sociale e politico di avere la priorità sulla fede e sulla tradizione.

L’Illuminismo europeo fu il risultato di un periodo di accumulo di ricchezza sostenuto, reso possibile dai precedenti sviluppi tecnologici, in particolare quelli relativi alla stampa.

“Lavoro nella tipografia”. Ernst Wiegand, Libreria editrice Lipsia 1909. (Wikimedia Commons/ Pubblico dominio)

Il passaggio dai testi scritti a mano ai libri prodotti in serie aumentò la diffusione delle informazioni e erose lentamente lo status della Chiesa, che fino ad allora era stata in grado di centralizzare il sapere nelle mani del clero.

Questo nuovo periodo di intensa ricerca scientifica, incoraggiato da un maggiore accesso al sapere delle precedenti generazioni di pensatori e studiosi, scatenò anche una marea politica che non poteva essere invertita. Con l’erosione dell’autorità della Chiesa venne meno anche l’autorità dei monarchi, che avevano governato in virtù di un presunto diritto divino. 

Con il passare del tempo, il potere è diventato più decentralizzato e i principi democratici fondamentali hanno gradualmente guadagnato terreno.

Le conseguenze si sarebbero manifestate nei secoli successivi. Il fiorire di idee e ricerche portò a miglioramenti nella costruzione navale, nella navigazione e nella guerra, che permisero agli europei di viaggiare verso terre più lontane. Lì furono in grado di saccheggiare nuove risorse, sottomettere le popolazioni locali resistenti e ridurne alcune in schiavitù.

Questa ricchezza fu riportata in Europa, dove permise a una ristretta élite di condurre una vita sempre più lussuosa. Le eccedenze furono spese per patrocinare artisti, scienziati, ingegneri e pensatori che associamo all’Illuminismo.

Questo processo ha subito un’accelerazione con la rivoluzione industriale, che ha aumentato le sofferenze dei popoli di tutto il mondo. Con il miglioramento delle tecnologie europee, l’aumento dell’efficienza dei sistemi di trasporto e la maggiore letalità delle armi, l’Europa si è trovata in una posizione sempre più favorevole per estrarre ricchezza dalle sue colonie e impedirne lo sviluppo economico, sociale e politico.

Spesso si presume che nel mondo islamico non ci sia stata alcuna Illuminismo. Questo non è del tutto vero. Secoli prima dell’Illuminismo europeo, l’Islam ha prodotto un grande fiorire di saggezza intellettuale e scientifica.

Per quasi 500 anni, a partire dall’8thNel IX secolo, il mondo islamico era all’avanguardia nello sviluppo dei campi della matematica, della medicina, della metallurgia e della produzione agricola.

Allora perché l’Illuminismo islamico non è proseguito e approfondito fino al punto da poter sfidare l’autorità dell’Islam stesso?

C’erano diverse ragioni, e solo una – forse la meno significativa – è legata alla natura della religione.

L’Islam non ha un’autorità centrale, equivalente al Papa o alla Chiesa d’Inghilterra. È sempre stato più decentralizzato e meno gerarchico rispetto al Cristianesimo. Di conseguenza, i leader religiosi locali, sviluppando le proprie interpretazioni dottrinali dell’Islam, sono stati spesso in grado di rispondere meglio alle richieste dei propri fedeli.

Allo stesso modo, la mancanza di un’autorità centralizzata da biasimare o contestare ha reso più difficile creare lo slancio necessario per una riforma in stile europeo.

Ma, come nel caso dell’emergere dell’Illuminismo europeo, l’assenza di un vero e proprio Illuminismo nel mondo musulmano è in realtà radicata in fattori socio-economici.

Le macchine da stampa che hanno liberato la conoscenza in Europa hanno creato un grave handicap per il Medio Oriente.

Gli alfabeti romani europei erano facili da stampare, dato che le lettere dell’alfabeto erano distinte e potevano essere disposte in un ordine semplice — una lettera dopo l’altra — per formare parole, frasi e paragrafi interi. Pubblicare libri in inglese, francese e tedesco era relativamente semplice.

Lo stesso non si può dire dell’arabo.

Iscrizione calligrafica del sultano Mahmud II, 1800. (Museo Sakip Sabanci/ Wikimedia Commons/ Dominio pubblico)

L’arabo ha una scrittura complessa, in cui le lettere cambiano forma a seconda della loro posizione all’interno di una parola, e la sua scrittura corsiva fa sì che ogni lettera sia fisicamente collegata alla lettera precedente e a quella successiva. La lingua araba era quasi impossibile da riprodurre su queste prime macchine da stampa.

(Chiunque sottovaluti questa difficoltà dovrebbe ricordare che Microsoft Word ha impiegato molti anni per sviluppare una scrittura araba digitale leggibile, molto tempo dopo averlo fatto per le scritture romane).

Qual era il significato di tutto questo? Significava che gli studiosi europei potevano recarsi nelle grandi biblioteche del mondo islamico, copiare e tradurre i loro testi più importanti e riportarli in Europa per pubblicarli su larga scala.

La conoscenza in Europa, attingendo alle ricerche avanzate del mondo musulmano, si diffuse rapidamente, dando vita ai primi germogli dell’Illuminismo.

Al contrario, il Medio Oriente non disponeva dei mezzi tecnici necessari — principalmente a causa della complessità della scrittura araba — per replicare questi sviluppi in Europa. Con l’avanzata della scienza occidentale, il mondo islamico rimase progressivamente indietro, senza mai riuscire a recuperare il ritardo.

Ciò avrebbe avuto una conseguenza fin troppo ovvia. Con il miglioramento delle tecnologie europee di trasporto e conquista, alcune parti del Medio Oriente divennero oggetto della colonizzazione e del controllo europei, dai quali faticarono a liberarsi.

L’ingerenza occidentale aumentò drasticamente all’inizio del 20thsecolo con l’indebolimento e poi il crollo dell’impero ottomano, seguito poco dopo dalla scoperta di grandi quantità di petrolio in tutta la regione.

L’Occidente ha governato attraverso brutali sistemi di divide et impera, alimentando le differenze settarie nell’Islam, come quelle tra sunniti e sciiti, equivalenti ai protestanti e ai cattolici in Europa.

Più di 100 anni fa, Gran Bretagna e Francia imposero nuovi confini che attraversavano intenzionalmente le linee settarie e tribali per creare Stati nazionali altamente instabili, come l’Iraq e la Siria. Ciascuno di essi sarebbe rapidamente imploso quando le potenze occidentali avrebbero ricominciato a interferire direttamente nei loro affari nel XXI secolo.

Ma fino a quel momento, l’Occidente ha tratto vantaggio dal fatto che questi Stati instabili avevano bisogno di un uomo forte locale: un Saddam Hussein o un Hafez al-Assad. Questi governanti, a loro volta, cercavano il sostegno di una potenza coloniale, in genere la Gran Bretagna o la Francia, per mantenere il potere.

In breve, l’Europa è arrivata per prima all’Illuminismo principalmente grazie a un semplice vantaggio tecnico, che non aveva nulla a che vedere con la superiorità dei suoi valori, della sua religione o del suo popolo. Per quanto possa essere deludente sentirlo dire, il dominio spettacolare dell’Europa può essere spiegato semplicemente con i suoi copioni.

Ma forse, cosa ancora più importante in questo contesto, quel dominio non ha messo in luce una cultura occidentale particolarmente “civilizzata”, bensì una brama nuda e cruda che ha ripetutamente devastato le comunità musulmane.

Una volta che l’Occidente ha preso il sopravvento nella corsa al controllo delle risorse, tutti gli altri si sono trovati a dover giocare una difficile partita di recupero, in cui le probabilità erano tutte contro di loro.

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Va bene, ma il fatto è che il Medio Oriente è pieno di persone – musulmani – che vogliono tagliare la testa agli “infedeli”. Non puoi dirmi che una religione che insegna alle persone a odiare in questo modo sia normale.

«Ci odiano per la nostra libertà» — il memorabile slogan di George W. Bush — nasconde molto più di quanto riveli. Il sentimento potrebbe essere espresso meglio così: «Ci odiano per la libertà che abbiamo fatto in modo di negare loro».

I progetti politici variamente attribuiti all’islamismo hanno origini molto più recenti di quanto la maggior parte degli occidentali creda.

I primi movimenti islamici, emersi 100 anni fa sulla scia della caduta dell’impero ottomano, erano principalmente impegnati nella ricerca di modi per rafforzare le proprie società attraverso opere di beneficenza.

I loro progetti politici più ambiziosi rimasero marginali rispetto al fascino molto più forte esercitato dal nazionalismo arabo laico, sostenuto da una serie di uomini forti che salirono al potere, solitamente sulla scia delle potenze coloniali britannica e francese.

Fu proprio la guerra del 1967, in cui Israele sconfisse rapidamente i principali eserciti arabi di Egitto, Siria e Giordania, a provocare l’emergere di quello che, negli anni ’70, gli studiosi chiamavano “Islam politico”.

La guerra del 1967 fu una grave umiliazione per il mondo arabo, che si aggiunse alla ferita ancora aperta della Nakba del 1948, quando gli Stati arabi non furono in grado, né disposti, ad aiutare i palestinesi a salvare la loro patria dalla colonizzazione europea e a impedire che fosse sostituita da uno Stato dichiaratamente “ebraico”.

Era un doloroso promemoria del fatto che il mondo arabo non era stato seriamente modernizzato sotto i suoi autocrati sostenuti dall’Occidente.

Piuttosto, la regione languiva in un arretramento imposto che contrastava con i vantaggi finanziari, organizzativi, militari e diplomatici che l’Occidente aveva elargito a Israele – vantaggi evidenti nel sostegno incondizionato dell’Occidente a Israele mentre porta avanti il suo attuale genocidio a Gaza.

Gli occidentali potrebbero rimanere sorpresi dalle scene di strada nelle città arabe secolari alla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70. Le foto e i film dell’epoca mostrano spesso un ambiente alla moda e vivace, almeno per le élite urbane, in cui le donne indossavano minigonne e camicette scollate. Alcune zone di Damasco (qui sotto nel 1970) e Teheran assomigliavano più a Parigi o Londra.

Un mercato a Teheran, 1970. (salijoon.us/ Wikimedia Commons/ Pubblico dominio)

Ma l’occidentalizzazione delle élite arabe laiche e il loro evidente fallimento nel difendere i propri paesi da Israele nella guerra del 1967 hanno scatenato richieste di riforme politiche, soprattutto tra alcuni giovani disillusi e radicalizzati. Essi ritenevano che le false promesse dell’Occidente e la crescente decadenza in stile occidentale avessero reso le società musulmane compiacenti, frammentate, deboli e sottomesse.

Era necessario un progetto politico che trasformasse la regione, rendendola più dignitosa e resiliente, pronta a lottare per la liberazione dal controllo occidentale e contro lo Stato cliente altamente militarizzato dell’Occidente, Israele.

Non dovrebbe sorprendere che questi movimenti riformisti abbiano trovato ispirazione in un Islam politicizzato che avrebbe chiaramente demarcato il loro programma dall’Occidente coloniale e purificato le loro società dalla sua influenza corruttrice.

Era anche naturale che creassero una storia delle origini che infondesse forza: un racconto di un’«epoca d’oro» dell’Islam primitivo, quando una comunità musulmana più devota e unita era stata ricompensata da Dio con la rapida conquista di vaste aree del globo. L’obiettivo degli islamisti era quello di tornare a quest’epoca in gran parte mitica, ricostruendo il mondo musulmano frammentato in un califfato, un impero politico radicato negli insegnamenti dello stesso Profeta.

Manoscritto con illustrazione di Yahya ibn Vaseti rinvenuto nella Maqama di Hariri conservata presso la Bibliothèque Nationale de France. Immagine risalente al XIII secolo raffigurante una biblioteca con alcuni studenti. (Zereshk/ Wikimedia Commons/ Pubblico dominio)

È interessante notare che, paradossalmente, l’Islam politico e il movimento sionista più laico condividevano molti temi ideologici.

Il sionismo cercava espressamente di reinventare l’ebreo europeo, al quale, secondo il pensiero sionista, veniva attribuita una debolezza che lo rendeva fin troppo facilmente vittima di persecuzioni e, in ultima analisi, dell’Olocausto nazista. Uno Stato ebraico avrebbe presumibilmente riportato il popolo ebraico nelle terre dei suoi antenati e rinnovato il suo potere, riecheggiando la mitica età dell’oro degli Israeliti. Uno Stato ebraico avrebbe dovuto ricostruire il carattere del popolo ebraico mentre lavorava duramente per se stesso, coltivando la terra come agricoltori-guerrieri muscolosi e abbronzati. E lo Stato ebraico avrebbe garantito la sicurezza del popolo ebraico attraverso una potenza militare che avrebbe impedito ad altri di interferire nei suoi affari.

Agli islamisti, a differenza dei sionisti, ovviamente, non sarebbe stato offerto alcun aiuto da parte delle potenze occidentali per realizzare il loro sogno politico.

Al contrario, la loro visione offriva consolazione in un momento di fallimento e stagnazione per il mondo arabo. Gli islamisti promettevano un cambiamento radicale delle sorti attraverso un programma d’azione chiaro, utilizzando un linguaggio e concetti religiosi già familiari ai musulmani.

L’islamismo aveva un ulteriore vantaggio: era difficile da falsificare.

Il fallimento di questi movimenti nel rimuovere l’influenza occidentale dal Medio Oriente o nel sconfiggere Israele non ha necessariamente minato la loro influenza o popolarità. Al contrario, ciò potrebbe essere utilizzato per rafforzare l’argomentazione a favore di un’intensificazione dei loro programmi: attraverso un’applicazione più rigorosa del dogma, un approccio più estremo alla rettitudine islamica e operazioni più violente.

Questa stessa logica ha portato alla nascita di Al Qaeda e al culto della morte dello Stato Islamico.

Quello che sta succedendo a Gaza è terribile, ma Hamas è proprio come lo Stato Islamico. Se non possiamo permettere allo Stato Islamico di conquistare il Medio Oriente, non possiamo aspettarci che Israele lasci che Hamas lo faccia a Gaza.

Risiedo nel Regno Unito e quindi rispondere a questa domanda è difficile senza rischiare di violare la severissima legge britannica sul terrorismo. La sezione 12 prevede una pena detentiva fino a 14 anni per chiunque esprima un’opinione che possa indurre i lettori ad avere una visione più favorevole di Hamas.

Il fatto che la Gran Bretagna abbia messo fuori legge la libertà di parola quando si tratta del movimento politico che governa Gaza – oltre alla messa al bando dell’ala militare di Hamas – è rivelatore dei timori occidentali di consentire una discussione adeguata e aperta sulle relazioni tra Israele e Gaza. In effetti, si può applaudire l’uccisione di massa dei bambini di Gaza da parte dell’esercito israeliano senza conseguenze, ma lodare i politici di Hamas per aver firmato un cessate il fuoco rasenta l’illegalità.

Le seguenti osservazioni devono essere comprese in questo contesto altamente restrittivo. È impossibile parlare sinceramente di Gaza in Gran Bretagna per motivi legali, mentre le pressioni sociali e ideologiche rendono altrettanto difficile farlo in altri Stati occidentali.

L’idea che Hamas e lo Stato Islamico siano la stessa cosa, o ali diverse della stessa ideologia islamista, è uno dei cavalli di battaglia di Israele. Ma è una sciocchezza bella e buona.

Come dovrebbe essere chiaro da quanto sopra esposto, lo Stato Islamico è il vicolo cieco ideologico e morale in cui il pensiero islamista è stato spinto da decenni di fallimenti, non solo nel creare un califfato moderno, ma anche nell’avere un impatto significativo sull’interferenza occidentale in Medio Oriente. Attraverso ripetuti fallimenti, l’islamismo era destinato prima o poi ad arrivare al nichilismo.

La domanda ora è: dopo aver toccato il fondo, quale sarà il prossimo passo dell’islamismo? Ahmed al-Sharaa, ex leader di Al Qaeda i cui seguaci hanno contribuito a rovesciare il governo di Bashar al-Assad in Siria e che è diventato presidente di transizione del Paese all’inizio del 2025, potrebbe fornire un indizio. 

L’ambasciatore degli Stati Uniti in Turchia Tom Barrack ha incontrato Ahmed al-Sharaa in Siria nel maggio 2025. (Ambasciatore Tom Barrack/ Wikimedia Commons/ Pubblico dominio)

Il tempo – e l’interferenza occidentale e israeliana in Siria – lo diranno senza dubbio.

Esistono tuttavia differenze molto evidenti tra lo Stato Islamico e Hamas che gli occidentali interpretano erroneamente solo perché siamo stati tenuti completamente all’oscuro della storia di Hamas e della sua evoluzione ideologica, principalmente per impedirci di comprendere che tipo di Stato sia Israele.

Lo Stato Islamico mira a dissolvere i confini nazionali imposti dall’Occidente al Medio Oriente per creare un impero teocratico globale e transnazionale, il califfato, governato da una rigida interpretazione della legge della Sharia.

A differenza delle posizioni massimaliste dello Stato Islamico, Hamas ha sempre avuto ambizioni molto più limitate. Infatti, i suoi obiettivi sono in contrasto con quelli dello Stato Islamico. Piuttosto che dissolvere i confini degli Stati nazionali, Hamas vuole creare proprio tali confini per il popolo palestinese, istituendo uno Stato palestinese.

Hamas è principalmente un movimento di liberazione nazionale che vuole ricostruire la società palestinese e liberarla dalla violenza strutturale insita nell’espropriazione del popolo palestinese e nell’occupazione illegale delle sue terre da parte di Israele.

Per questo motivo lo Stato Islamico considera Hamas come un gruppo di apostati. Ricordiamo che durante i due anni di genocidio a Gaza, Israele ha sostenuto e armato bande criminali, principalmente quelle guidate da Yasser Abu Shabab, che hanno legami evidenti con lo Stato Islamico.

Israele ha reclutato questi collaboratori dello Stato Islamico a Gaza per contribuire a indebolire le forze di Hamas, relativamente più moderate dal punto di vista ideologico. Cosa suggerisce questo riguardo alle vere intenzioni di Israele nei confronti di Gaza e, più in generale, del popolo palestinese?

Hamas ha un’ala politica che ha contestato e vinto le elezioni a Gaza nel 2006 e governa Gaza da quasi due decenni. Durante questo periodo non ha imposto la legge della Sharia, sebbene il suo governo sia socialmente conservatore. Hamas ha anche protetto le chiese dell’enclave, molte delle quali ora bombardate da Israele, e ha permesso alle comunità cristiane di praticare il culto e integrarsi con le comunità musulmane.

Lo Stato Islamico, al contrario, rifiuta le elezioni e le istituzioni democratiche ed è brutalmente intollerante non solo nei confronti dei non musulmani, ma anche delle comunità musulmane non sunnite, come gli sciiti, e dei sunniti non credenti.

Un’altra differenza degna di nota è che Hamas ha limitato la sua violenza militare agli obiettivi israeliani e non ha condotto operazioni al di fuori della regione. Lo Stato Islamico, invece, ha incitato alla violenza contro chi si oppone al suo programma islamista e ha scelto obiettivi occidentali da attaccare.

Come accennato in una sezione precedente, il nazionalismo di Hamas e il nazionalismo sionista di Israele si richiamano a vicenda.

Entrambi considerano l’area compresa tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo come esclusivamente loro. Entrambi hanno un programma implicito di uno Stato unico. Nonostante il sionismo sia nato come movimento laico, entrambi attingono a giustificazioni religiose per le loro rivendicazioni territoriali.

Alla fine, Hamas ha concluso che rispecchiare la violenza di Israele è l’unico modo per liberare i palestinesi da quella violenza. Deve infliggere un costo così alto a Israele che quest’ultimo sceglierà di arrendersi.

I termini della resa chiesti da Hamas a Israele sono cambiati nel corso degli anni: dalla Palestina storica alle terre occupate nel 1967. 

Gli occidentali sono stati incoraggiati a ignorare questo ammorbidimento della posizione ideologica di Hamas – la sua riluttante e implicita accettazione di una soluzione a due Stati – e a concentrarsi invece sulla sua fuga nell’ottobre 2023 dal brutale e illegale assedio di Gaza da parte di Israele, durato 17 anni.

Forse ciò che più ha colpito dopo che Hamas ha ceduto sulle sue richieste territoriali massimaliste è stata la risposta di Israele. Il Paese ha assunto una posizione ancora più dura e intransigente nella ricerca dell’espansione territoriale ebraica, al punto che ora sembra perseguire un progetto di Grande Israele che include l’occupazione del Libano meridionale e della Siria occidentale.

I sionisti religiosi nel governo israeliano, compresi gli autoproclamati fascisti ebrei Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, sembrano ora saldamente al comando. Forse è ora di concentrarsi un po’ meno su ciò che stanno facendo gli islamisti e iniziare a preoccuparsi molto di più di ciò che i governanti sionisti estremisti di Israele hanno in serbo per il mondo.

Jonathan Cook è un pluripremiato giornalista britannico. Ha vissuto a Nazareth, in Israele, per 20 anni. È tornato nel Regno Unito nel 2021. È autore di tre libri sul conflitto israelo-palestinese: Blood and Religion: The Unmasking of the Jewish State (2006), Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East(2008) e Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair (2008). Se apprezzate i suoi articoli, vi invitiamo a prendere in considerazione la possibilità di offrire il vostro sostegno finanziario.

Questo articolo è tratto dal blog dell’autore, Jonathan Cook.net.

L’apparato globalista promuove la “guerra perpetua” nel disperato tentativo di attenuare la tensione a Pokrovsk_di Simplicius

L’apparato globalista promuove la “guerra perpetua” nel disperato tentativo di attenuare la tensione a Pokrovsk

Simplicius 8 novembre
 
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I nuovi ordini sono giunti ancora una volta dal centro di comando. Tutti i burattini europei stanno nuovamente ripetendo all’unisono lo stesso messaggio coordinato: la guerra durerà ora “a tempo indeterminato” e l’Europa deve prepararsi, e, cosa ancora più inquietante, la Russia potrebbe attaccare la NATO in qualsiasi momento.

Il primo ministro svedese Ulf Kristersson ha dato il via ai lavori:

“Sono fermamente convinto che la Svezia, l’Estonia e l’intera UE debbano prepararsi a un isolamento a lungo termine della Russia. Questa guerra non porrà fine a nulla”, ha affermato il primo ministro svedese Ulf Kristersson.

Seguito da “Tutti Frutti” Rutte, che ha invocato nuovamente quell’eidolon del confronto “a lungo termine”:

A ciò ha fatto seguito il predecessore di Rutte, che ha ripetuto gli stessi argomenti triti e ritriti su una “guerra senza fine” che, guarda caso, può essere fermata solo… finanziando ulteriori interventi bellici a favore dell’Ucraina:

Infatti, un Fogh dall’aria confusa è stato sbandierato durante un’intera conferenza stampa per promuovere la guerra contro la Russia. Qui lo si vedeva esortare all’immediato dispiegamento delle truppe NATO “dietro la linea del fronte” in Ucraina.

«[La Coalizione dei volenterosi] dovrebbe schierare immediatamente le truppe».

Anders Fogh Rasmussen, segretario generale della NATO dal 2009 al 2014, sostiene che le truppe europee dovrebbero essere schierate in Ucraina.

Il nuovo disperato appello alle armi è stato completato da una serie di articoli che indicavano un presunto attacco imminente della Russia contro la NATO, perché, si sa, una nazione impantanata in una catastrofica “guerra infinita” in Ucraina vorrà logicamente solo impantanarsi ancora di più attaccando direttamente l’alleanza militare “più potente” della storia:

E naturalmente, l’intero spettacolo di panico è stato nuovamente messo in atto per un solo motivo: le forze armate ucraine stanno affrontando uno dei più disastrosi crolli in termini di pubbliche relazioni dell’intero conflitto, e persino i giornali occidentali sono costretti ad ammettere:

Questi articoli che sbandierano una “nuova importante conquista” o sconfitta per l’Ucraina vanno direttamente contro la falsa propaganda volta a indurre l’opinione pubblica a credere che i progressi “incrementali” e “minimi” della Russia fossero insignificanti.

Altri nuovi comunicati stampa occidentali raccontano una storia straziante delle perdite ucraine a Pokrovsk, che contraddice le affermazioni secondo cui sarebbe la Russia a subire il maggior numero di vittime. L’emittente canadese CBC cita un comandante ucraino secondo cui il 75% dei suoi uomini è morto solo nell’ultimo mese:

Continua fornendo statistiche sul numero di persone “passate” dall’inizio dell’assedio della città:

“Sono comandante da sette mesi ormai”, ha detto Vova. “In questo periodo, circa 2.000 ragazzi sono passati dalla mia unità. Tre quarti di loro non sono più qui.” È solo grazie al loro sacrificio che ora siamo qui, al posto dei russi.”

Non c’è da stupirsi che messaggi del genere compaiano ora sui canali ucraini:

Persino la stampa di EuroMaidan ha dovuto ammettere che l’operazione Blackhawk a Pokrovsk era stata pensata per coprire la ritirata delle brigate ucraine “decimate”:

https://euromaidanpress.com/2025/11/06/ritirata-da-pokrovsk/

L’altro aspetto interessante dell’articolo della CBC è la descrizione dei combattimenti, che coincide con quanto ho recentemente scritto nell’articolo a pagamento, questa nuova realtà di guerra a cui stiamo assistendo.

Ma anche i soldati russi, da soli o in coppia, stanno percorrendo le strade dopo essersi infiltrati nelle linee ucraine: è questa la nuova realtà di un campo di battaglia che è ormai quasi irriconoscibile rispetto alla guerra più convenzionale che era solo due anni fa.

“Non c’è più nulla che assomigli a una linea del fronte”

L’articolo descrive le truppe russe che hanno “aggirato” le difese ucraine nel settore di Dobropillya semplicemente “aggirandosi” liberamente per la città.

Allo stesso tempo, abbiamo ricevuto questa nuova affascinante descrizione dei combattimenti a Pokrovsk dal famoso analista ucraino Myroshnykov, che sottolinea ulteriormente quanto sopra:

A Pokrovsk continuano gli sbalzi infernali.

La città non è controllata né dal nemico né da noi.

Si sta combattendo per una vasta zona grigia.

Noi disponiamo di mezzi logistici, e lo stesso vale per il nemico. Ma dipende dalle posizioni specifiche.

Nel complesso, il nemico ha attualmente più di una dozzina di posizioni circondate. Non mi pronuncio sul numero delle nostre posizioni nella stessa situazione, ma sono meno.

E sto considerando solo posizioni in cui c’è un gruppo di più di 3-4 combattenti.

Non conto gli edifici privati e gli appartamenti dove si sono rifugiati 1-2 occupanti o 1-2 dei nostri fanti.

Perché è ovunque.

In generale, l’intera area a nord della ferrovia è la più difficile per il nemico. Lì sono tagliati fuori dalla logistica e i nostri combattenti stanno gradualmente avanzando.

A sud della ferrovia, la situazione è più difficile per i nostri difensori. Ma qui vale la pena sottolineare l’ottimo lavoro delle forze di assalto aereo, delle forze speciali e delle unità d’assalto, che creano costantemente corridoi e mettono sotto pressione gli occupanti dai fianchi.

Pokrovsk potrebbe diventare la seconda Bakhmut. Ma in sostanza, sicuramente no.

A Bakhmut non c’è stato alcun caos controllato da entrambe le parti. A Pokrovsk invece sì.

L’unico problema è che in tali condizioni c’è un alto rischio di fuoco amico. E il nemico, inoltre, non esita a travestirsi con abiti civili o con l’uniforme delle forze armate.

E considerando che a Pokrovsk sono rimasti ancora circa un migliaio di civili (se non di più), ciò complica ulteriormente il lavoro delle forze di difesa.

In ogni caso, il rinomato esperto dell’AFU Serhiy “Flash” Beskrestnov riferisce che sarebbe stata presa la decisione di difendere Pokrovsk a tutti i costi, poiché la caduta della città aprirebbe alla Russia una vasta distesa di pianura che le consentirebbe di aggirare facilmente Pavlograd e oltre:

Arestovich, di cui ammiro l’elevata intelligenza, ma non la doppiezza, ha appena spiegato proprio questo nella sua ultima intervista; ascoltate attentamente:

Allora, a che punto è Pokrovsk adesso?

Secondo le ultime notizie, il calderone sarebbe stato chiuso, anche se nessuno sa ancora con certezza se sia vero:

Se così fosse, sarebbe solo il secondo calderone completamente chiuso della guerra, dopo Mariupol, e quella città non conta nemmeno, dato che le forze armate ucraine avevano alle spalle l’ostacolo naturale del mare. Nessuno sa con certezza quanti ucraini rimangano a Mirnograd, ma alcune stime parlano di un numero compreso tra 300 e 1000, anche se il Ministero della Difesa russo continua a sostenere che circa 10.000 soldati in totale siano “circondati” sia a Pokrovsk che a Kupyansk.

L’assalto a Mirnograd avrà inizio quando i militanti dei distretti settentrionali di Pokrovsk saranno finalmente respinti dalle forze russe.

Le forze armate ucraine non hanno altro posto dove rifugiarsi se non Mirnograd.

Dopodiché, l’anello si chiuderà e i soldati ucraini, ai quali Zelensky ha categoricamente vietato di ritirarsi, dovranno arrendersi in massa per sopravvivere.

La possibilità di sfuggire all’accerchiamento è completamente persa.

Un’analisi molto intelligente da una fonte russa sul significato trascurato del culmine della battaglia di Pokrovsk:

La battaglia per Pokrovsk e Myrnohrad ha un significato molto più politico che militare. Una ragione importante del fallimento dei negoziati russo-americani per la risoluzione del conflitto in Ucraina è stata la capacità di Zelensky e dei suoi alleati europei di convincere l’amministrazione Trump che l’esercito russo era esausto e non più in grado di condurre operazioni offensive di successo. Alla fine, Washington ha creduto seriamente a questa versione e ha irrigidito la propria posizione, rifiutando qualsiasi compromesso con Mosca.

La crisi della difesa ucraina nell’agglomerato di Pokrovsko-Mirnograd e a Kupyansk, insieme ai crescenti problemi nei pressi di Konstantinovka, Lyman, Seversk e Guliaipole, indica esattamente il contrario. Le forze armate ucraine stanno a malapena tenendo il fronte, ed è possibile che si verifichi un accerchiamento completo nei pressi di Pokrovsk, cosa che non accadeva dai tempi di Mariupol.

Ma la vera catastrofe per la leadership politica ucraina non sarà una sconfitta militare, bensì politica: l’immagine di aver contenuto con successo l’offensiva russa sta crollando, il che potrebbe influenzare in modo significativo l’amministrazione Trump e costringerla a riconsiderare il suo approccio alla guerra in Ucraina (a proposito, i fallimenti delle forze armate ucraine non impressioneranno gli europei; la burocrazia di Bruxelles e alcuni leader europei forniranno a Kiev un sostegno fattibile in qualsiasi circostanza).

Inoltre, gli eventi vicino a Pokrovsk e Mirnograd potrebbero anche incrinare l’attuale illusione informativa della vittoria in Ucraina. Ecco perché è importante per l’esercito russo non solo vincere la battaglia, ma anche creare il necessario contesto mediatico per la vittoria. Questo non è successo a Mariupol: la leadership del reggimento “Azov” è stata sostituita e, alla fine, Kiev ha persino presentato tutto ciò che è accaduto come un proprio successo. Tuttavia, da allora molto è cambiato e, molto probabilmente, le cose saranno diverse a Pokrovsk.

Ciononostante, Kiev continuerà a cercare di creare un’immagine di successo e, a causa delle difficoltà oggettive sul fronte terrestre, farà affidamento sulla guerra aerea e sulle attività di sabotaggio. Dobbiamo solo essere preparati a questo. La droga della “vittoria” iniettata nella coscienza collettiva degli ucraini sta gradualmente smettendo di funzionare. E sarà seguita dall’inevitabile e rapida accettazione della realtà.

In un’appendice, la deputata ucraina Maryana Bezugla descrive come le tattiche russe abbiano portato alla conquista di Pokrovsk:

I progressi più impressionanti si sono verificati ancora una volta lungo il fiume Yanchur, in direzione di Gulyaipole. Le forze russe hanno finalmente conquistato il fiume Yanchur, prendendo praticamente tutto ciò che si trovava sulla sua riva occidentale e avanzando attraverso le pianure circostanti:

Una visione più ravvicinata mostra Uspenovka e l’area circostante, in particolare:

Rapporto:

️️️I GUERRIERI DEL GRUPPO MILITARE “VOSTOK” HANNO LIBERATO L’INSEDIAMENTO DI USPENOVKA NELLA REGIONE DI ZAPORIZHZHIA

I guerrieri del 218° Reggimento Carristi della Guardia della 127ª Divisione della 5ª Armata del gruppo di truppe “Vostok” hanno completato la battaglia per liberare Uspenovka, il più grande punto di difesa fortificato delle Forze Armate dell’Ucraina sulla riva sinistra del fiume Yanchur!!!

A seguito di intensi combattimenti, più di 7 chilometri quadrati sono passati sotto il controllo delle truppe di Primorye. Sono stati liberati più di 1110 edifici e sono state distrutte fino a due compagnie di personale delle forze armate ucraine della 110ª brigata meccanizzata, 7 veicoli da combattimento corazzati e 42 unità di equipaggiamento automobilistico. La parte nord-orientale dell’insediamento era coperta da una barriera naturale costituita dal fiume Yanchur, che ha complicato notevolmente il compito delle unità in avanzata del gruppo di truppe “Vostok”. Nonostante ciò, il compito è stato eroicamente portato a termine dai guerrieri di Primorye.

Uspenovka è il secondo insediamento più grande del distretto di Huliaipole e il più grande sulla testa di ponte di Uspenovka, che si estende lungo il fiume per oltre 5,3 km di lunghezza e fino a 1,5 km di larghezza.

Il gruppo di truppe “Vostok” continua la sua avanzata verso ovest, liberando le regioni di Zaporizhzhia e Dnipropetrovsk.

Congratulazioni alle truppe Primorye del 218° Reggimento Carristi della Guardia per la vittoria in questa dura battaglia!

 I combattenti del 218° Reggimento Carristi hanno sventolato le bandiere nel centro di Uspenovka, nella regione di Zaporizhzhia.

Il video è stato registrato presso il monumento commemorativo dedicato ai soldati liberatori nel centro dell’insediamento.

 Nell’ultima settimana, le unità del gruppo militare “Vostok” hanno continuato ad avanzare in profondità nelle difese nemiche e hanno completato la liberazione dell’insediamento di Uspenovka nella regione di Zaporizhzhia, secondo quanto riportato dal Ministero della Difesa nel suo resoconto.

Il ministro della Difesa A. Belousov si è congratulato con il comando e il personale del 218° Reggimento corazzato della Guardia per aver liberato con successo l’insediamento dal nemico.

RVvoenkor

Infine, il settore di Kupyansk ha registrato nuovamente forti avanzate, con le forze russe che hanno attaccato da nord sulla sponda orientale, conquistandone un ampio tratto:

Come si può vedere, della città rimane ben poco da conquistare.

Il compito più importante che resta da svolgere è chiudere questo calderone e spingere definitivamente le AFU fuori dal lato orientale del fiume Oskol:

Mentre scriviamo, un massiccio attacco con missili Kinzhal e Iskander ha nuovamente colpito i centri di potere ucraini:

Stasera è stato effettuato un massiccio attacco con missili “Kinzhal”.

Obiettivi raggiunti:

Aeroporto militare delle forze armate ucraine a Vasylkiv (regione di Kiev).
Aeroporto Antonov a Hostomel (regione di Kiev).
Centrale termica di Zmiivska.
Centrale idroelettrica di Kremenchuk.
Centrale termica di Prydniprovska.
Centrale termica di Tavriyska.
L’attacco sta attualmente proseguendo con missili da crociera e Geraniums.

Aggiornamento sulla situazione della produzione bellica dell’Ucraina:

Il portavoce ucraino Romanenko ha dichiarato ieri che tutte le fabbriche ucraine in grado di produrre missili sono state distrutte o sono in stato di abbandono.
Ad esempio, il Luch Design Bureau produceva missili da crociera: “Sapete cosa è successo alla stazione della metropolitana, vero? Non vi dirò dove si trova, ma lo sanno tutti”. Tutte le fabbriche e gli impianti in grado di produrre missili balistici sono stati completamente distrutti. Ciò include Dnepropetrovsk e Pavlograd, dove venivano prodotti missili e motori. Tutto viene distrutto, persino le rovine”.

E un aggiornamento sulla situazione energetica:

Il direttore del Centro di ricerca Energy Kharchenko esorta i residenti di Kiev a prepararsi all’evacuazione dalla città se l’elettricità dovesse essere interrotta per più di 3 giorni in inverno. Se il CHP venisse spento, con una temperatura media giornaliera di meno 10 °C e inferiore, non ci sarebbero prospettive di ripristino del sistema di riscaldamento.

Il 7 novembre è stato un anniversario passato in sordina: si trattava della famosa rivoluzione d’ottobre, o Ottobre Rosso, che in realtà avvenne il 7 novembre; la data di ottobre era basata sul vecchio calendario giuliano russo. Ecco una riflessione potente e stimolante sull’occasione da una fonte russa:

Il 7 novembre è una data che non viene più celebrata in Russia, ma che non può essere dimenticata. La Rivoluzione d’Ottobre ha creato un Paese che ancora oggi definisce il posizionamento globale della Russia. Il paradosso è che la Russia moderna vive sul capitale reputazionale dell’URSS, ma non è disposta a riconoscerlo a causa del trauma irrisolto degli anni ’80.

I partner più importanti della Russia nel mondo – da Pechino a Caracas, da Pyongyang a Luanda – sono un’eredità sovietica. I legami sono stati costruiti nel corso di decenni sulla base della solidarietà antimperialista e di una partnership autentica nell’industrializzazione. Kim, Xi, Ortega e Lula collaborano con Mosca non perché ispirati dai “valori tradizionali”, ma perché ricordano l’alternativa sovietica all’egemonia americana.

Oggi l’ideologia ufficiale parla di “valori conservatori” e “spiritualità”, che vengono esportati in misura molto limitata e, nel complesso, sono stati fatti propri da chi non è nostro amico. Uno Stato laico moderno non può diventare “più santo del Papa” o di un pastore protestante del Midwest.

Il vero modello della Russia è uno Stato sociale funzionante in stile sovietico. Assistenza sanitaria e istruzione gratuite, un sistema pensionistico, capitale maternità: l’intera infrastruttura sociale non solo è stata preservata, ma è in fase di sviluppo. L’aspettativa di vita è aumentata da 65 a 73 anni, la mortalità infantile è diminuita drasticamente e Mosca sta costruendo “il miglior sistema sanitario gratuito al mondo”, ma attribuisce questo risultato a una “gestione efficace” piuttosto che allo sviluppo dei principi sovietici di accesso universale.

Le élite preferiscono parlare della “fallimentare esperienza sovietica” e allo stesso tempo investono nelle infrastrutture sociali sovietiche. Si tratta di una dicotomia a livello di ideologia statale: all’interno del Paese, l’eredità sovietica viene ribattezzata “tradizione”, mentre all’estero si accoglie con entusiasmo il “credito di fiducia” sovietico. Riconoscere l’efficacia del modello sovietico, anche solo in parte, significa tornare allo stato traumatico in cui sembrava che l’Occidente avesse vinto in modo decisivo.

Il risultato: un paese con un modello di welfare state funzionante, con una vera alternativa allo smantellamento neoliberista dello stato sociale, non articola né “vende” questo modello.

La crisi dell’ovvietà si manifesta nella domanda ricorrente a tutti i livelli: «Perché lo stiamo facendo?». Nel progetto sovietico questa domanda era impossibile: la risposta era insita nel sistema di significati, dall’informazione politica scolastica al Politburo. Gli aiuti all’Angola erano la logica continuazione della lotta per la liberazione degli oppressi, per la giustizia globale.

La «resistenza all’Occidente» non è un fine, ma un mezzo. Per il bene di un «mondo più giusto»? Va bene, ma da dove viene questo desiderio di giustizia? Ad essere sinceri, risale al 1917, ai bolscevichi e ai 70 anni di storia sovietica. È stato il periodo sovietico a creare la logica della solidarietà globale con gli oppressi.

Ma riconoscere le origini sovietiche di questo significato è impossibile, quindi dobbiamo parlare di una “tradizione millenaria”. Così, lo stile essenzialmente sovietico ha ricevuto una nuova confezione che non gli si addiceva del tutto. Le spiegazioni sono diventate fantomatiche, come il dolore di un dente mancante. Un fastidioso “perché?”.

Di conseguenza, la rappresentanza esterna funziona come una scatola vuota con l’etichetta “Soviet”: non c’è contenuto, ma il capitale del riconoscimento tiene insieme l’intera struttura.

Il 7 novembre ricorda la rivoluzione che ha dato alla Russia una soggettività ideologica globale. L’Impero era una superpotenza, ma la vera alternativa storica agli altri progetti era ancora l’URSS. La Russia moderna non può né rifiutare questa eredità né appropriarsene. Questo è il prezzo del trauma: la difficoltà di comprendere e, di conseguenza, di confezionare in un prodotto ciò che funziona esattamente e perché è importante per il mondo.

PS. L’URSS creò un proprio orientalismo interno: ai leader dei partiti delle “repubbliche nazionali” veniva richiesto di adottare uno stile distintivo, caratterizzato da elogi esagerati nei confronti di Mosca, giuramenti di fedeltà, intensità emotiva e ornamenti artificiosi tipici dei libri di Leonid Solovyov su Hodja Nasreddin, insoliti nelle lingue vive.

I leader dell’Asia centrale di oggi stanno riproducendo con Trump lo stesso modello che i loro predecessori hanno utilizzato con Breznev. Anche il linguaggio rimane lo stesso: ieri alla Casa Bianca, la maggior parte dei partecipanti ha lodato Trump in russo.

Allo stesso tempo, domani la Russia inaugura un’interessante mostra sulla Piazza Rossa intitolata “La città delle storie viventi”:

A partire da domani e fino al 9 novembre, la Piazza Rossa presenterà “La città delle storie viventi”, dedicata all’84° anniversario della leggendaria parata militare del 1941.

Loro, almeno, non cambiano la storia: la ricordano!


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La scatola misteriosa sionista_di Morgoth

La scatola misteriosa sionista

Dove va a parare tutto questo discorso?

Morgoth5 novembre∙Pagato
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Uno dei motivi per cui preferisco commentare gli affari del mio Paese è che c’è un realismo sordido e una durezza che ho sperimentato nella vita reale. Non dubito che l’America abbia il suo equivalente del materasso sporco sopra un kebab e dell’estetica da dissuasore della diversità del nostro “Yookay”, ma sono troppo distante per apprezzarlo appieno.

Invece, la mia esperienza dell’America avviene interamente attraverso schermi di un tipo o dell’altro, il che significa che quasi tutto ciò che vedo è presentato come intrattenimento, un grande spettacolo. Lo spettacolo in corso al momento è una guerra civile all’interno del movimento conservatore incentrata sul potere sionista e sull’influenza sull’amministrazione Trump e sulla politica estera americana. Detto questo, il sionismo è stato oggetto di un continuo esame e attacco da parte di tutto lo spettro politico da quando Israele ha iniziato le sue discutibili attività a Gaza dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023.

Di recente, il cordone sanitario che circondava Nick Fuentes è stato rotto e il campo sionista ha dichiarato che ne ha abbastanza ed è sceso in campo a combattere.

Quando dico “scendete in campo a combattere”, tuttavia, intendo una serie di discorsi e podcast che si lamentano e adottano un approccio alla Hillary Clinton, criticando aspramente l’ascesa dei deplorevoli. L’intervista Tucker Carlson/Fuentes è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso; non si può permettere che lo Stato di Israele e i suoi sostenitori siano sottoposti a questo livello di controllo, e bisogna schierare formazioni di battaglia.

Tuttavia, non si può negare che le formazioni di battaglia schierate finora dal campo sionista siano state sotto-equipaggiate e, beh, un po’ imbarazzanti. Ho osservato la situazione da lontano, sotto forma di persone che parlavano, e persone che parlavano di altre persone che parlavano, e ho avuto una specie di momento di “È questo tutto ciò che riesci a evocare, Saruman?”.

Qualche settimana fa, Ana Kasparion dei Giovani Turchi ha imitato il meme del Mercante Felice attaccando duramente il miliardario ebreo e sionista Larry Ellison, con tanto di voce nasale e sarcasmo. Da quanto ho capito, né lei né i Giovani Turchi hanno subito alcuna conseguenza. In effetti, gran parte della scena geopolitica di YouTube incentra il proprio portfolio di contenuti sulla corruzione delle istituzioni politiche americane da parte di Israele, e nessuno viene censurato.

Questa nuova tendenza va contro la saggezza popolare del discorso sulla destra online, in quanto “loro” venivano solitamente ritratti come una forza oscura e quasi onnipotente, che emergeva sempre vittoriosa e aveva sempre un’altra leva da tirare.

C’è un luogo comune nei film di Hollywood quando il “sistema” è in crisi di fronte a un’insurrezione. Presenta una figura dell’establishment (si pensi al personaggio di Jack Nicholson in Codice d’onore o a Ned Beatty in Network ) che con rabbia e riluttanza inserisce la ribellione in un contesto machiavellico più ampio. Un monologo devastante in cui la ribellione infantile si rivela ignorante, ingenua e idealista. È il momento in cui “non puoi gestire la verità!”.

Mark Levin è un boomer che sembra aver modellato la sua immagine sui duri di Hollywood e sui predicatori della verità di un’epoca passata. Eppure, non riesce a giustificare o contestualizzare la servile devozione dell’America verso Israele. Ci sono stati insulti a bizzeffe, ma nessun momento drammatico di esposizione in cui Israele è stato posto come perno centrale del potere americano.

Non ci sono discorsi come:

”Il mondo è un sistema integrato, signor Carlson. Lei ricicla la sua morale da moralista nel suo piccolo podcast da formica, insulta subdolamente gli ebrei perché pensa di rivelare una grande verità, ma è un bambino. Se Israele se ne va, se ne va Suez; se se ne va Suez, se ne vanno anche il Medio Oriente e l’approvvigionamento energetico dell’Europa; se perdiamo l’Europa, siamo circondati. Le sto spiegando le cose in modo chiaro, signor Carlson?”

Ma non si arriva a nulla di questo tipo; si limitano a riproporre la moralità del dopoguerra come un dogma permanente e immutabile che non potrà mai essere messo in discussione.

In un certo senso, il potere sionista assomiglia più a una scatola misteriosa di J.J. Abrams. Un MacGuffin usato per guidare la trama, senza molto al suo interno.

Qualunque sia la verità sull’omicidio di Charlie Kirk, l’interazione piuttosto sordida tra influencer e donatori, con chiamate Zoom e riunioni di emergenza per garantire che tutti rimanessero concentrati sul messaggio, ha contribuito alla delusione e all’aura piuttosto sordida di corruzione e truffa in atto.

È davvero tutto qui? È davvero solo ricatti, tangenti e sodomia fino in fondo? Nessun rito di passaggio esoterico, nessuna grandiosa giustificazione machiavellica in nome del bene superiore?

D’altronde, si tratta semplicemente di persone che parlano nei podcast, con reazioni e controreazioni che si susseguono senza sosta. È come guardare vecchi galeoni che si sparano palle di cannone contro gli alberi e i timoni, ma in forma di podcast. Tutte queste chiacchiere non avranno impedito che una singola spedizione di armi americane venisse inviata a Israele, né il prossimo miliardo di aiuti.

Tuttavia, pur riconoscendo ciò, resta il fatto che il futuro delle relazioni tra Stati Uniti, Israele e Israele potrebbe essere in gioco. Reuters riporta che:

Mercoledì lo studio legale statunitense Gibson, Dunn & Crutcher ha dichiarato di aver collaborato con l’Anti-Defamation League per lanciare un’iniziativa coordinata volta a fornire servizi legali gratuiti alle vittime di antisemitismo.

Gibson Dunn e l’ADL hanno affermato che l’iniziativa coinvolge 39.000 avvocati in 35 stati degli Stati Uniti e che 40 studi legali hanno accettato di ricevere segnalazioni da parte dei clienti o di fungere da co-consulenti nell’ambito della rete.

Resta da vedere come verrà schierato questo vero e proprio esercito di avvocati, ma è la prova che la situazione attuale sta trascendendo il circuito dei podcast ed entrando nel regno del reale.

Questo mi riporta al punto di partenza: la natura iperreale del discorso americano e la sua astrattezza. C’è uno scenario in cui ciò a cui stiamo assistendo è una fazione disonesta che “mette le cose in ordine” in preparazione della corsa presidenziale di Tucker Carlson. Un altro scenario è che tutta questa energia venga reindirizzata verso il Partito Repubblicano e neutralizzata, e un altro in cui, letteralmente, non succede mai nulla.

Si ha la sensazione che il sipario sia stato tirato indietro e che finora non sia stato rivelato molto, e la natura del discorso è tale che non possiamo fare a meno di chiederci se non stiamo guardando solo un altro sipario.

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TODO MODO_di Massimo Morigi

Todo modo para buscar la voluntad divina: dopo un cinquantennio da Todo Modo di Leonardo Sciascia e di  Elio Petri, breve esercizio spirituale di dialettica repubblicana sulla teologia politica abscondita di Todo modo di Elio Petri, gli UFO, l’intelligenza artificiale, Fëdor Dostoevskij, il grande inquisitore, Thomas Mann, La montagna incantata, Naphta, Carl Schmitt,  il Katechon e Giuseppe Mazzini

di Massimo Morigi

La primera annotacion es: que por este nombre Exercicios espirituales se entiende todo modo de examinar la consciencia, de meditar de contemplar, de orar vocal y mental, y de otras espirituales operaciones, segun que adelante se dirá: porque asicomo el pasear, caminar, y correr son exercicios corporales, por la mesma manera todo modo de preparar, y disponer el ánima para quitar de sí todas las afecciones desordenadas, y, despues de quitadas, para buscar, y hallar la voluntad Divina en la disposicion de su vida, para la salud del anima, se llaman Exercicios espirituales.

S. Ignacio de Loyola, Ejercicios espirituales

         Accanto ai capolavori della cinematografia italiana, esiste il caso di una rimozione e dall’immaginario del pubblico e, fino non molto tempo fa, anche dalle valutazioni più intellettuali e professianali, di un film che forse (e impiego la forma dubitativa solo per non risultare arrogante verso chi dissente) è il maggiore capolavoro di tutti: mi riferisco a Todo modo di Elio Petri. Come è noto (o come dovrebbe essere noto, visto quanto appena affermato), il film, proiettato nel 1976, trae ispirazione e numerosi spunti dal Todo modo di Leonardo Sciascia pubblicato nella sua prima edizione nel 1974 e, sebbene nell’autore siciliano fosse più una riflessione generale sulla natura del potere politico mentre il film di Elio Petri  prende più concreatamente di mira il partito che da trentanni esprimeva la maggiorenza relativa del Parlamento e colui che in quel momento era il suo principale leader, Aldo Moro, Sciascia  dimostrò la sua approvazione verso la trasposizione cinematografica e questo non tanto perché la sua trama fosse  tutto sommato abbastenza fedele a quella del romanzo ma perché, quasi per assurdo, restringere l’obiettivo verso una concreta forza politica, rendeva ancora più ficcante – ed anche, ovviamente, più facilmente popolare – la critica metapolitica di Sciascia al potere politico nella sua più vasta accezione. Non avrebbe in questa sede molto senso comparare le trame dei due prodotti di fantasia se non per segnalare il fatto che nel film accanto al Don Gaetanto, direttore spirituale  sia nel Todo modo di Sciascia che in quello di Petri, viene aggiunto nel film Todo modo il suo antagonista Aldo Moro e che è proprio dallo scontro fra Don Gaetano e Aldo Moro che scaturise non solo il messaggio esplicitamente voluto da Petri, la Democrazia cristiana è un partito marcio che rappresenta ed aggrava la corruzione della vita pubblica italiana, ma anche la moralità forse nemmeno del tutto chiaramente percepita dal regista stesso (e certamente più avvertita in Sciascia) del film e cioè che il potere, qualsiasi forma di potere, si basa su due pilastri. Da una lato una sua autorappresentazione di natura teologica e dall’altro, molto più prosaicamente, su una spartizione/predazione delle risorse che si serve di questa autorappresentazione ma solo per celare la sua pratica concreta che si basa sui rapporti di forza economico-politici fra gli agenti strategici che animano la società. Come chiaramente emerge dal seguente dialogo dal tono espressionista e grottesco fra Don Gaetano e il capo riconosciuto dei notabili riuniti dal sacerdote per gli esercizi spirituali (cioè Aldo Moro, il cui nome non viene mai pronunciato nel film):

         «Moro: “Devo dire tutto quello che ho scoperto? Far crollare il castello? Ci dobbiamo consegnare al nemico? Rovesciare la piramide? I rapporti di classe? Cambiare, cambiare, cambiare cultura, cambiare tutto? Devo cambiare veramente?” Don Gaetano: “Todo modo para buscar la voluntad divina.” Moro: “E che cos’è la voluntad divina?” Don Gaetano: “Non è anima e non è mente, non è immaginazione, né opinione, né ragione, né pensiero, non è numero, ordine, grandezza, piccolezza, uguaglianza, disuguaglianza, non è viva e non è vita, non è spazio, materia, scienza, non è bontà, né verità,  non è tenebra e non è  luce, non è errore né verità.” Moro: “Io sono un politico, ho bisogno di indicazioni concrete.” Don Gaetano: “Tu sei un uomo come tutti gli altri. Ami il potere?” Moro: “Sì magmaticamente.” Don Gaetano: “Sei pronto a cederlo?” Moro: “Eh, Eh,… e a chi? Non c’è nessuno meglio di me. Sai. Io credo di avere una missione da compiere, sì.” Don Gaetanto: “Hai le stigmate? Moro.: “Beh, sì, a volte mi pare di vederle, sì, sì, sì. Sì, guarda, anche adesso, vedì?” Don Gaetano: “Io non le vedo, tu sei come gli altri, segui il loro esempio e non fingere più.” Moro: “Eh no, io non sono come gli altri, io sono diverso dagli altri, io non sono avido, io non sono arrogante, io non sono ipocrita, io sono una persona perbene, sono una persona onesta, non rubo, non manco ai patti, non rubo io. Dimmelo, dimmelo, dimmelo, dimmelo anche tu per favore che non sono come gli altri.” Don Gaetano: “Tu sei come i tuoi elettori, cinico e feroce, segui il tuo mandato fino in fondo tanto noi due cadremo insieme, tu con i tuoi ricchi impostori che ti tengono al governo solo per proteggerli dai poveri, io con il mio stupido gregge, innocente e peccatore che aspetta da me solo il viatico per l’altro mondo.” Moro :“Tu non mi ami più.” Don Gaetano: “No sei tu che non ami più. Io lo so, i preti sono ingombranti. ” Moro: “Confessami, per l’ultima volta, io ho la sensazione che non ci vedremo più.” Don Gaetano: “No, non potrei assolverti.” Moro: “No tu devi assolvermi, devi assolvermi.” Don Gaetano, strappandosi da Moro che tenta di trattenerlo: “Lasciami!”  Moro: “Pensa a ciò che rappresentiamo, non a ciò che siamo.” Don Gaetano: “Sei una beghina, piangi come una beghina!” Moro: “Io per continuare ho bisogno della tua assoluzione, cosa siamo noi senza voi, voi senza noi, loro…” Don Gaetano: “Non possumus”».

         A parte segnalare la  fenomenale interpretazione di Gian Maria Volontè nei panni di Aldo Moro così come si evidenzia dalla visione  di tutto il film ed in particolare dal dialogo citato e che non può essere minimamente restituita in tutta la sua violenta carica grottesca ed espressionista tramite la trascrizione del dialogo della sua pur più importante scena, soffermiaci su Don Gaetano. Come già accennato, Don Gaetano, interpretato magistralmente da Marcello Masroianni ma non raggiungendo le vette espressioniste del Moro di Gian Maria Volontè,  ha radunato in un hotel i notabili democristiani per sottoporli agli esercizi spirituali di S. Ignazio di Loyola. La sua frase nel dialogo con Moro, «Todo modo para buscar la voluntad divina.», Tutti i modi per arrivare alla volontà divina, è un icastico  compendio del più famoso passaggio del manuale degli esercizi spirituali di S. Ignazio di Loyola che nella sua integrità è il seguente: «La primera annotacion es: que por este nombre Exercicios espirituales se entiende todo modo de examinar la consciencia, de meditar de contemplar, de orar vocal y mental, y de otras espirituales operaciones, segun que adelante se dirá: porque asicomo el pasear, caminar, y correr son exercicios corporales, por la mesma manera todo modo de preparar, y disponer el ánima para quitar de sí todas las afecciones desordenadas, y, despues de quitadas, para buscar, y hallar la voluntad Divina en la disposicion de su vida, para la salud del anima, se llaman Exercicios espirituales.», e pur nella sua compendiosità, rispecchia fedelmente non solo il senso degli esercizi spirituali ignaziani  ma anche l’obiettivo voluto da  Don Gaetano nel radunare i politici nell’hotel per gli esercizi spirituali, e cioè instillare a tutti i costi nelle menti  dei corrotti politici una teologia politica cattolica che li redima dalle malefatte compiute nell’esercizio del potere. Ma nel dialogo fra Don Gaetano e Moro c’è un altro snodo che merita di rilevare ed è quando Don Gaetano descrivendo la volontà divina afferma che essa  «Non è anima e non è mente, non è immaginazione, né opinione, né ragione, né pensiero, non è numero, ordine, grandezza, piccolezza, uguaglianza, disuguaglianza, non è viva e non è vita, non è spazio, materia, scienza, non è bontà, né verità,  non è tenebra e non è  luce, non è errore né verità.», affermazione alla quale Moro ha buon diritto di replicare che lui, in quanto politico, ha bisogno di indicazioni più concrete. Ora questa affermazione di Don Gaetano, libera ma al tempo stesso fedele parafrasi del noto passo tratto dal De mistica theologica dello Pseudo-Dionigi Areopagita: «Poiché invero la causa buona di tutte le cose è insieme esprimibile con molte parole, con poche e anche con nessuna, in quanto di essa non vi è discorso né conoscenza, poiché tutto trascende in modo soprasostanziale, e si manifesta senza veli e veramente a coloro che trapassano tanto le cose impure che quelle pure, e in ascesa vanno oltre tutte le cime più sante, e abbandonano tutti i lumi divini e i suoni e le parole celesti, e si immergono nella caligine, dove veramente sta, come dice la Scrittura, colui che è sopra tutte le cose. E diciamo che questa causa non è né anima né mente; che essa non ha immaginazione né opinione né ragione né pensiero; non si può esprimere né pensare. Non è numero né ordine né grandezza piccolezza uguaglianza disuguaglianza somiglianza dissomiglianza. Non è immobile né in movimento; non è in riposo né ha potenza, e neppure è potenza o luce. Non vive e non ha vita: non è sostanza né evo né tempo; di lei non vi è apprendimento intellettuale. Non è scienza e non è verità, né potestà regale né sapienza; non è uno, non è divinità o bontà, non è spirito, secondo la nostra nozione di spirito. Non è filiazione né paternità né alcun’altra cosa di ciò che è noto a noi o a qualsiasi altro essere. Non è niente di ciò che appartiene al non-essere e neanche di ciò che appartiene all’essere; né gli esseri la conoscono, com’è in sé, così come essa non conosce gli esseri in quanto esseri. Di lei non si dà concetto né nome né conoscenza; non è tenebra e non è luce, non è errore e non è verità», inserendosi a pieno titolo nell’ambito della teologia negativa di cui lo Pseudo-Dionigi Aeropagita è uno dei principali rappresentanti, contraddice in pieno la metodologia e l’intima teologia degli esercizi spirituali di S. Ignazio di Loyola, basate su un serie di ossessive e ripetitive pratiche autoipnotiche  volte a conferire concretezza e una sorta di tangibile matericità e ai concetti dottrinali e teologici e, soprattutto, all’immagine umanizzata di Dio stesso. Insomma, se dal punto di vista di una teologia politica à la Carl Schmitt, gli esercizi spirituali di S. Ignazio di Loyola possono benissimo essere inquadrati nell’ambito dello svolgimento dell’azione del Kathecon, il grande frenatore che impedisce il disfacimento dell’ordine costituito terreno la cui gerarchia è garantita da un ben riconoscibile e ben definito ordine celeste, la teologia negativa di Don Gaetano non è altro che il preannuncio dell’epifania dell’Anticristo dissolutore di ogni ordine terreno e celeste. 

         A noi non  è dato sapere se Elio Petri fosse consapevole o meno della tradizione filofofico-politologica che ruota attorno al concetto di ‘teologia politica’ e non sappiamo quindi se Petri (e, a maggior ragione, anche Schiascia il cui Todo modo rispecchia la sua mentalità illuminista e che vuole quindi condannare l’esercizio di un potere autoreferenziale che per compiere le sue nefandezze si nasconte sotto i velami della pratica religiosa) ma sta di fatto che il regista per rappresentare nel modo più negativo il potere democristiano ricorre ad una Weltanschauung e ad una struttura concettuale che direttamente rinviano alla riflessione teologico-politica.

           E se possiamo porci domande in merito alla consapevolezza in Petri della problematica teologico-politica che solleva il film, atrettanto dubbi non possiamo avere in merito alla potente e pervasivo azione dialettica che all’interno del film svolge la teologia politica perché se Don Gaetano con i suoi esercizi spirituali volti a dare concreta e sensibile matericità alla divinità si presenta apparentemente come il difensore di un ordine minacciato dalla corruttela dei politici (e quindi precursori costoro dell’Anticristo in una prospettiva alla Don Gaetano), dentro di sé è assolutamente convinto che i fantasmi creati dagli esercizi spirituali non sono che vuote larve buone  a tenere solo provvisoriamente a bada le anime secolarmente astute ma teologicamente ingenue dei politici corrotti. Insomma se Ignazio de Loyola con i suoi esercizi spirituali intendeva formare una classe dirigente devota e a cui le ordinarie pratiche religiose con il loro basso impatto emotivo erano ormai  adeguate ed efficaci solo per i  praticanti meno colti e più suggestionabili ma non assolutamente più sufficienti per le sezioni della società di maggior potere e/o di cultura che ancora potentemente risentivano dell’impatto secolarizzante dell’Umanesimo e del Rinascimento, Don Gaetano non ha più fiducia in questa efficacia pedagogica degli esercizi spirituali ma questi vengono impiegati per distruggere nella mente e poi anche nel corpo  i politici corrotti  (i politici conventuti agli esercizi muoiono quasi tutti di morte violenta per mano sconosciuta, anche  Moro ma esplicitamente per mano di uno dei funzionari dello Stato apparentemente inviati per indagare sugli omicidi).

          In quanto portatore di dissoluzione dell’ordine terreno basato su una rigida gerarchia e distinzione fra governati e governanti (anche se è un ordine corrotto, come lo sono i notabili democristiani,  la funzione del Kathecon schmittiano è sempre e comunque presevare questo gerarchico ordine politico), Don Gaetano e non i politici corrotti politici è la perfetta epifania dell’Anticristo, epifania ancor più evidente non solo nel tradimento del metodo e della teologia politica di S. Ignazio di Loyola che ce lo rende la versione moderna di Giuda Iscariota che tradisce Gesù Cristo ma anche, in quanto traditore di Cristo in ragione della sua teologia negativa che implica una logica impossibilità di averne una concreta rappresentazione, con evidenti analogie al grande inquisitore di Dostoevskij che nella sua pratica e nei suoi ragionamenti contraddice e contrasta il messaggio del Salvatore, ed anche, nella sua umana cattiveria (Don Gaetano si autodefinisce un prete umanamente cattivo che proprio perché cattivo è l’architrave sui cui si regge la Chiesa),  nel suo nichilismo teologico e nei suoi sforzi agognanti una paligenesi violenta, con altrettanto evidenti analogie al  nichilista e marxista Naphta della Montagna incantata di Thomas Mann.

         Quando Todo modo fu proiettato nelle sale cinematografiche anche la critica di sinistra lo accolse freddamente (si era nel clima del compromesso storico e rappresentare in modo così grottesco e surreale la classe dirigente democristiana costituiva, dal punto di vista del PCI, una verità non proprio rivoluzionaria, giusto per richiamare un altro grande film sempre del 1976,  Cadaveri eccellenti di Francesco Rosi con protagonista Lino Ventura, sempre tratto da un romanzo Leonardo Sciascia, Il contesto del 1971) e il rapimento e poi l’uccisione di Aldo Moro non solo fecero ritirare il film dalle sale italiane e anche dal circuito internazionale ma anche segnarono la fine del cinema politico italiano, con un Elio Petri la cui ultima prova fu Buone notizie, 1979, ottima pellicola, se vogliamo, ma in cui l’uso del grottesco è diventato maniera e ripetizione di stilemi ma semza più la carica eversiva di Todo modo. Oltre a Petri, fra i vulnerati dal fallimento di botteghino e di critica di Todo Modo, ci fu  Sciascia che anche per difendersi dalle accuse di vicinanza ideale alle  Brigate Rosse scrisse L’affaire Moro (1978) ed anche Gian Maria Volontè che dopo questa sfortunata (ma artisticamente eccelsa) prova si distaccò amaraggiato da Petri e non avrebbe avuto più occasioni altrettanto importanti per far rifulgere il suo incredibile talento.

         Oggi, passati ormai cinquant’anni dalla sfortunata vicenda culturale e commerciale di Todo modo, al film la critica restituisce formalmente quanto gli era stato negato allora, sottolineando ovviamente il fatto che le sfortunnate vicende storiche che fecero da sfondo alla sua uscita fecero sì che gli intellettuali e la classe dirigente, soprattutto quella di sinistra, snobbassero pubblicamente questo lavoro di Petri (Petri affermò che però gli stessi uomini di sinistra che pubblicamente  gli negarono l’approvazione,  lo coprirono privatamente di elogi per Todo modo) e però tristamente sottolineando che in quanto la Democrazia cristiana e il PCI non sono più fra noi, Todo modo, parlando di un mondo politico defunto non è più attuale e, se proprio gli si vuole consegnare il valore di segnalatore d’incendio, rimarcando  il fatto che i nuovi conservatori sono peggio dei vecchi democristiani e la sinistra, ça va sans dire, non è più la vecchia sinistra rivoluzionaria (se mai lo è stata, mi permetto di soggiungere…) ma è diventatata, il palladio più inespugnabile dell’attuale neoliberismo rampante.

         Tutto vero ma in questa riconsiderazione di Todo modo  il momento teologico politico non viene nemmeno  sfiorato, mentre ciò che lo rende veramente non solo attuale ma assolutamente un classico che travalica la critica politica contingente del sistema politico italiano di quegli anni e la sua triste e forse peggiore trasmutazione dei nostri anni in pseudo seconda repubblica, è il contributo concreto di questo film alla riflessione di ciò che sta al cuore della crisi delle odierne democrazie rappresentative, vale a dire la crisi irreversibile della teologia politica su cui fino ad oggi si sono rette  queste c.d. democrazie. Non vale su questa crisi spendere molte parole, se non per segnalare, per l’ennesima volta, la propaganda bellicista svolta all’interno di questi sistemi che non ha alcun contenuto di razionalità politica e culturale ma fa leva, con le metodologie ossessive dell’indottrinamento religioso di cui gli esercizi spirituali ignaziani possono anche essere considerati come precursori, ad una fantomatica difesa della democrazia, una difesa di non si sa bene cosa, visto che dell’originaria teologia politica della democrazia, vale a dire la mistica credenza nell’esistenza extrastorica di un corpus di diritti sociali ed individuali che con un sistema democratico verrebbero immancabilmente e deterministicamente garantiti e troverebbero la loro definitiva epifania,  non crede più nessuno, o meglio la sinistra che apparentemente mostra ancora di credergli li ha tramutati, vista la sua inanità nel difendere i diritti sociali,  nella caricaturale versione woke che, nella pratica, si traduce in una forma rovesciata di suprematismo  delle minoranze psicologicamente e sessualmente extravaganti contro una sempre più intimorita maggioranza che si riconosce nei  modelli psicologico-comportamentali tradizionali, un suprematismo negatore nei fatti dell’originaria teologia politica che costituiva l’innervatura ideologica delle c.d. democrazie rappresentative e per la quale questi diritti sociali ed individuali attraverso la c.d. democrazia rappresentativa si sarebbero miracolosamente e armoniamente composti  nella costruzione della civitas politica e sociale; e infine per notare, vista l’inanità teologico-politica del bellicismo a difesa della democrazia e del ridicolo wokismo e dei suoi derivati, la comparsa di ancor più ridicoli sostituti teologico-politici: della riproposizione, soprattutto nei mass media dell’anglosfera, delle credenze ufologiche abbiamo già detto (cfr. Massimo Morigi, Prologo dopo quasi un decennio alla Democrazia che sognò le fate, in “L’Italia e il Mondo” 16 agosto 2025, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20251103145539/https://italiaeilmondo.com/2025/08/16/prologo-dopo-quasi-un-decennio-alla-democrazia-che-sogno-le-fate_giuseppe-germinario-massimo-morigi/) ma accenniamo qui ad un ulteriore versione tecnologico-fantascientifica di narrazione teologico-politica, vale a dire il tentativo compiuto dai grandi agenti strategici di instillare nella popolazione la bizzarra idea che la c.d. intelligenza artificiale sia analoga a quella umana e che, col passare del tempo e col suo perfezionamento, potrà sostituire quella umana con evidenti vantaggi per l’efficienza non solo produttiva ma anche politico-sociale delle società che vi si affideranno. In realtà, la c.d. intelligenza artificiale non è uno strumento per comprendere il mondo e soprattutto non ha nulla a che fare con l’intelligenza (un virus che introduce il suo DNA in una cellula è molto più intelligente) ma solo una tecnologia che attraverso algoritmi opera su base statistica sui file presenti sul Web per  generare delle frasi che abbiano probabilità di essere vere e senso compiuto. O se vogliamo ritornare a Todo modo, l’intelligenza artificiale altro non è che la traduzione tecnologica delle meditazioni ignaziane, volte non a generare una reale comprensione della dinamica religiosa ma, molto più semplicemente e pericolosamente, a fornire immagini false, stereotipate e falsamente concrete della stessa e, riferendoci alla tragica  figura di Don Gaetano, non è arduo credere che anche questa  pseudoteologia politica non godrà di molta fortuna, porterà molti lutti e disgrazie ai gonzi che vi si affideranno,  e troverà molto presto i suoi seppellitori per essere sostituita dal altrettanto fantasiose e ridicole panzane. Le quali, però, non  possono indurci nell’altrettando falsa idea che di una teologia politica, o se vogliamo dire di un’idea olistica, totalizzante e universalmente condivisa del mondo così come lo percepisce l’esperienza umana, un sistema politico e a maggior ragione un sistema politico che abbia la pretesa di definirsi democratico, non abbia bisogno. Mazzini era convinto che la Repubblica (egli preferiva l’uso di questo termine a democrazia ma per il nostro odierno discorso questo non è essenziale) doveva essere fondata sulla credenza nell’esistenza di  Dio la cui volontà  si manifesta per gradi nella storia dell’umanità, non solo il  sommo principio regolativo ma anche l’entità concretamente agente che avrebbe dovuto costiture l’imprescindibile e determinante termine di riferimento ed ispirazione di tutto  l’ordine politico, sociale ed economico non solo all’interno della futura repubblica italiana ma anche all’interno di tutte quelle nazioni che si sarebbero conformate all’ideale repubblicano (fondamentale, a questo proposito, per comprendere l’importanza di Mazzini nell’ambito dell’elaborazione filosofico-politica degli attuali caposaldi della teoria delle relazioni internazionali, Martin Wight, Four Seminal Thinkers in Internation Theory, Machiavelli, Grotius, Kant, and Mazzini, New York, Oxford University Press, 2005). Ma senza essere così mistici come l’Apostolo di Genova, è altrettanto evidente che senza conformare la Res Publica sul paradigma del mazziniano ‘Dio e popolo’ non sarà possibile andare oltre alla crisi delle c.d. odierne liberaldemocrazie rappresentative che, infatti, molto più correttamente, devono essere  oggi definite – in questa loro fase di involuzione terminale – perfette polioligarchie competitive, mentre fino a non molto tempo addietro erano sì polioligarchie ma che riuscendo ancora a garantire una certa distribuzione delle risorse riuscivano  a preservare senza troppi scossoni la vecchia teologia politica e potevano ancora definirsi, senza troppo evidenti forzature, come democrazie. E in questo ribaltamento gestaltiano della narrazione politica della nostra c.d. democrazia, anche la comprensione di Don Gaetano con i suoi terribili esercizi ignaziani e della teologia politica abscondita di Todo modo di Petri ci possone essere di non piccolo aiuto per gli  esercizi spirituali propedeutici alla nuova  dialettica della Res Publica sul solco di Giuseppe Mazzini. Ora e sempre.

Massimo Morigi, novembre 2025

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