LA NATO E’ LO STRUMENTO DEGLI USA NEL CONFLITTO STRATEGICO DELLA FASE MULTICENTRICA, di Luigi Longo

LA NATO E’ LO STRUMENTO DEGLI USA NEL CONFLITTO STRATEGICO DELLA FASE MULTICENTRICA

di Luigi Longo

 

La Nato e un’autonoma forza europea comune di difesa

non possono crescere insieme. Una sola delle due può

 emergere e la nostra volontà dovrebbe essere che questa sia la

Nato, in modo che nel nostro scontro con la Cina l’Europa rimanga

per noi una risorsa militare e non si trasformi in una passività.

Robert D. Kaplan*

La Nato, divenuta apertamente strumento dell’espansionismo

americano e non più della difesa europea, pone termine alle

 illusioni di una “autonomia europea”, costringendo l’Unione

 Europea a un nuovo allineamento, ancora più severo di quello

imposto nel passato con il pretesto della “guerra fredda”.

Samir Amin**

Non l’America che comanda il mondo, ma il mondo che diventa America.                                  

Perry Anderson***

 

 

1.Premessa

 

Avanzo l’ipotesi di una sequenza temporale (timeline) della Nato come momenti significativi di svolte e di fasi (1) che ne costruisce il ruolo e funziona, per l’essenzialità del ragionamento, da elemento sintattico della riflessione. La sequenza temporale evidenzia “momenti” storici che narrano i punti di svolta delle diverse fasi mondiali (monocentrica, multicentrica, policentrica) sia nel loro passaggio di fase, sia nel loro consolidamento. Le fasi mondiali sono viste come il conflitto strategico (2) tra le potenze mondiali per il dominio. Il dominio può essere multicentrico con la spartizione del mondo tra le potenze dominanti storicamente date (con le relative aree di influenza) in modo da evitare la guerra per la supremazia che comporterebbe la fine del pianeta terra considerato la potenza distruttrice raggiunta dall’uso delle armi nucleari (3); oppure monocentrico, cioè, dominio relativo di coordinamento mondiale di una potenza storicamente determinata scaturita dalla guerra: difficile da realizzarsi perché le condizioni storiche sono fortemente cambiate dalla seconda guerra mondiale per il falso progresso de le magnifiche sorti e progressive (4) che ci porterà al rischio della fine della vita sul pianeta terra come innanzi detto.

Evidenzio, en passant, la quasi assenza, a mia conoscenza, della ricerca (pubblica e privata) sia sulle relazioni tra basi militari Usa-Nato e sviluppo locale, regionale, nazionale e internazionale, sia sulle relazioni politiche, militari, industriali, economiche, sociali e culturali nei territori di localizzazione delle basi e delle loro proiezioni nei sistemi di valori territoriali (5).

 

 

2.La sequenza temporale della Nato

 

L’ipotesi della sequenza temporale della Nato, che propongo, è la seguente:

 

  • Dopo la seconda guerra mondiale gli USA si affermano, nel campo occidentale, come potenza egemone e coordinatrice di un modello di sviluppo economico, politico, sociale e culturale. Si avvia la fase monocentrica occidentale.

         Nasce la Nato: lo strumento contro il campo orientale e il cosiddetto          comunismo.

 

  • Dopo l’implosione dell’URSS, caduta del mondo erroneamente detto comunista, gli USA si ergono a potenza egemone di coordinamento mondiale. Si afferma la fase monocentrica mondiale.

         La Nato si trasforma e allarga le sue competenze oltre alla sfera   militare anche a quella economica, dello sviluppo dei territori, della   sicurezza territoriale, del controllo sociale, della ricerca, della   penetrazione e dell’ampliamento dell’area di influenza ad Est e nel          Medio Oriente (per esempio: la prima guerra del Golfo, la          dissoluzione della Jugoslavia, l’inglobamento dei paesi già parte           dell’ex Patto di Varsavia e dell’ex URSS).

 

  • Dopo la distruzione della Libia, il tentativo di demolire la Siria e con l’emergere in maniera definitiva delle due potenze in ascesa (Russia e Cina), gli USA temono la loro messa in discussione come unica potenza di coordinamento mondiale.

Il percorso della fase multicentrica è tracciato.

         La Nato diventa lo strumento di conflitto contro le potenze emergenti    (guerra economica alle vie dell’energia russa e alle vie della Seta      cinese, la militarizzazione dell’Est, del Medio Oriente e dell’Asia          centrale per l’accerchiamento della Russia, la militarizzazione      dell’Oceano Indiano e dell’area dell’Asia-Pacifico per          l’accerchiamento della Cina. ).

 

  • Con la configurazione del nascente polo asiatico, coordinato da Russia e Cina, gli USA avviano in maniera determinata un attacco alla Cina (via virus Sars Cov 2) e alla Russia (via Ucraina).

         La fase multicentrica entra nel vivo della sua costruzione.

         La Nato è ricalibrata come strumento del conflitto contro il nascente     polo asiatico. Il suo modello viene riproposto sia nel Mediterraneo (il Dialogo mediterraneo, DM), sia nel Medio Oriente (con gli accordi di        Abramo), sia nel Pacifico (patto Aukus, l’alleanza Quad), sia in Africa   (DM, Operazione “Active Endeavor”, Standing Maritime Group          One), sia in America latina, sia nel circolo polare Artico dove gli USA,         oltre la questione delle risorse naturali, temono, soprattutto, le nuove vie dell’Artico verso l’Atlantico che possono far saltare le loro strategie (prioritariamente militari e logistiche) nel Pacifico innervando sempre di più il coordinamento tra la Russia e la Cina.

 

 

2.Perchè la Nato

 

La fine della fase policentrica, avvenuta con la seconda guerra mondiale, ha comportato la divisione del mondo in due blocchi contrapposti e in parte alternativi: quello occidentale egemonizzato dagli USA e quello orientale egemonizzato dall’URSS.

Gli USA, per un controllo del loro campo occidentale, soprattutto dell’Europa, hanno creato sia l’Unione Europea (1947) sia la Nato (1949) (6).

Nasce la Nato: lo strumento contro il campo orientale e il cosiddetto comunismo.

L’URSS, come risposta alla strategia USA e per un controllo della sua area di influenza, ha costituito sia il Comecon (1949) sia il Patto di Varsavia (1955) che non tratterò perché non sono oggetto del presente scritto (7).

La Nato è stata costruita, secondo la retorica di basso livello degli USA-Nato, perché << […] l’Unione Sovietica era considerata come la principale minaccia alla libertà e all’indipendenza dell’Europa occidentale. L’ideologia comunista, gli obiettivi e i metodi politici e le capacità militari indicavano che, quali che fossero state le reali intenzioni dell’Unione Sovietica, nessun governo occidentale avrebbe potuto permettersi di ignorare la possibilità di un conflitto. In conseguenza di ciò, dal 1949 alla fine degli anni ’80 – periodo noto come quello della Guerra Fredda – il compito principale dell’Alleanza è stato quello di mantenere sufficienti capacità militari per difendere i suoi membri da ogni forma di aggressione da parte dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia. La stabilità fornita dalla NATO durante questo periodo ha consentito all’intera Europa occidentale di tornare alla propria prosperità dopo la Seconda Guerra mondiale, accrescendo la fiducia e la prevedibilità, che sono essenziali per lo sviluppo economico […]Alla metà degli anni ’50, una strategia cosiddetta della “risposta massiccia” enfatizzava la dissuasione basata sulla minaccia che la NATO avrebbe risposto all’aggressione contro chiunque dei suoi membri con ogni mezzo a sua disposizione, incluse in modo particolare le armi nucleari. Nel 1967, veniva poi introdotta la strategia della “risposta flessibile” (corsivo mio, LL), che mirava a scoraggiare l’aggressione creando nella mente di un potenziale aggressore incertezza riguardo a quella che poteva essere la natura della risposta della NATO, convenzionale o nucleare. Questa è rimasta la strategia della NATO sino alla fine della Guerra Fredda >> (8).

In realtà, come sostiene Mahdi Darius Nazemroaya, la Nato era nient’altro che una clausola di garanzia per gli Stati Uniti, che stabiliva gli USA quale unica superpotenza nucleare globale col compito di proteggere il resto dell’Alleanza atlantica (9) con il principale obiettivo, come racconta M. Arnaud Leclercq, di prevenire l’aggregazione dei centri di potere del “vecchio mondo” in una coalizione ostile ai loro propri interessi (10).

La strategia durante la guerra fredda è stata quella di difesa dell’Europa occidentale da una eventuale aggressione dell’URSS, così per gli USA-Nato sin << Dalla nascita della NATO, il ruolo fondamentale delle forze alleate è stato quello di garantire la sicurezza e l’integrità territoriale degli stati membri. Il compito di fornire sicurezza attraverso la dissuasione e la difesa collettiva restano un fondamentale compito […] Durante la Guerra Fredda, la pianificazione della difesa della NATO era principalmente indirizzata a mantenere le capacità necessarie per difendersi da una possibile aggressione dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia >> (11).

Ma come non ricordare, a tal proposito, tenendo conto delle condizioni storiche mutate (soprattutto con l’implosione del cosiddetto campo del comunismo egemonizzato dall’URSS) e l’uso delle categorie che le esprimono, l’ideologia reazionaria statunitense denunciata (gennaio 1953, Poscritto sull’irrazionalismo del dopoguerra) da Gyorgy Lukacs quando sosteneva che << E’ apparso chiaro a una cerchia sempre più vasta di persone ciò che gli iniziati sapevano da tempo, e cioè che la fine della guerra significa solo la preparazione di una nuova guerra contro l’Unione Sovietica, che la preparazione ideologica delle masse a questa guerra rappresenta un problema centrale del mondo imperialistico […] Poiché infatti, dopo la fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti sono apparsi sempre più come forza dirigente della reazione imperialista, e hanno preso, sotto questo aspetto, il posto della Germania, si dovrebbe scrivere obbiettivamente una storia della loro filosofia per mostrare, con la stessa minuzia, con cui qui è stato fatto per la Germania, quale è l’origine sociale e spirituale e delle odierne ideologie del <<secolo americano>> e dove se ne possono trovare le radici >> (12). Qui il senso degli USA come potenza mondiale pericolosa e reazionaria, perché non accetta un dominio mondiale condiviso con le altre potenze, è di grande attualità soprattutto per un progetto di stabilizzazione dinamica della fase multicentrica così come la trappola di Tucidide ha dimostrato storicamente in quattro casi (13).

 

3.Perchè si trasforma la Nato

 

Con la fine della guerra fredda dovuta sostanzialmente alla implosione dell’URSS (1991) e l’affermazione degli USA come unica potenza di coordinamento mondiale si apre un periodo di fase monocentrica terminata nel 2010 con l’emergere delle due potenze in ascesa: la Cina e la Russia. Si avvia sia il tracciamento del percorso della fase multicentrica, sia la costruzione della strada della fase multicentrica.

 

La fase monocentrica

 

In questa fase monocentrica (1991-2010, il periodo è relativamente indicativo perché i processi che racchiude sono di lunga durata) la Nato subisce un primo cambiamento: da strumento USA di contenimento dell’URSS durante la guerra fredda a strumento di espansione ad Est e nel Medio Oriente con un allargamento del suo campo di azione che riguarda la quasi totalità delle sfere sociali.

 

La Nato si trasforma e allarga le sue competenze oltre alla sfera militare anche a quella economica, dello sviluppo dei territori, della sicurezza territoriale, del controllo sociale, della ricerca, della penetrazione e dell’ampliamento dell’area di influenza ad Est e nel Medio Oriente (per esempio: la prima guerra del golfo, la dissoluzione della Jugoslavia, l’inglobamento dei paesi già parte dell’ex Patto di Varsavia e dell’ex URSS) (14).

 

La strategia che viene elaborata, secondo la retorica ideologica degli USA-Nato, è quella della << […] sicurezza euroatlantica [che] era divenuta più complessa e molte nuove sfide erano emerse al di fuori dell’Europa, tra cui gli stati in disfacimento, la proliferazione delle armi di distruzione di massa e dei loro vettori, e il terrorismo. Questa nuova agenda della sicurezza è divenuta evidente all’inizio degli anni ’90 con i conflitti etnici nei Balcani, dove infine le forze della NATO sono state chiamate a svolgere un ruolo a sostegno della pace e di gestione delle crisi. Più recentemente, gli attacchi terroristici del settembre 2001 e le successive operazioni in Afghanistan per sradicare al Qaida, il gruppo terrorista responsabile degli attacchi, hanno portato a un crescente interesse per le minacce poste dal terrorismo, dagli stati in disfacimento e dal diffondersi delle armi di distruzione di massa. Le forze della NATO ora contribuiscono alla difesa contro il terrorismo e svolgono un ruolo più ampio nelle missioni internazionali a sostegno della pace, che impegnano la NATO al di fuori dell’area euroatlantica per la prima volta nella sua storia (corsivo mio, LL). Così, mentre le minacce che l’Alleanza ha oggi di fronte sono potenzialmente meno apocalittiche rispetto a quelle della Guerra Fredda, sono assolutamente reali, urgenti e spesso imprevedibili >> (15).

Gli USA, quindi, non solo pongono le basi per contrastare l’affermarsi di potenze rivali, nello spazio euro-asiatico ed asiatico, in grado di mettere in discussione la loro egemonia mondiale, ma guidano le trasformazioni della Nato all’interno delle loro strategie di dominio. Infatti, come fa notare Manlio Dinucci, << la nuova strategia viene ufficialmente enunciata, sei mesi dopo la fine della Guerra del Golfo, nella National Security Strategy of the United States (Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti), pubblicata dalla Casa Bianca nell’agosto 1991. […] il documento sottolinea che “in Medio Oriente e Asia Sud-Occidentale il nostro obiettivo è quello di rimanere la potenza esterna predominante e preservare l’accesso statunitense al petrolio della regione (da usare, così come le altre risorse energetiche fossili, come strumento nel conflitto strategico tra le potenze, mia precisazione LL). Resta di fondamentale importanza impedire che una potenza egemone o una coalizione di potenze domini la regione >>. Tale strategia sarà adattata in tutte le “regioni critiche per la sicurezza degli Stati Uniti, le quali comprendono l’Europa, l’Asia orientale, il Medio Oriente, l’Asia sud-occidentale e il territorio dell’ex Unione Sovietica. Abbiamo in gioco importanti interessi anche in America latina, Oceania e Africa subsahariana”. […] il nostro obiettivo primario è impedire il riemergere di un nuovo rivale, o sul territorio dell’ex Unione Sovietica o altrove, è impedire che qualsiasi potenza ostile domini una regione le cui risorse sarebbero sufficienti, se controllate strettamente, a generare una potenza globale”. Tale strategia deve essere attuata nei confronti non solo di “qualsiasi potenza ostile”, ma anche dei “paesi industriali avanzati, per dissuaderli dallo sfidare la nostra leadership o cercare di capovolgere l’ordine politico ed economico costituito. Infine, dobbiamo mantenere i meccanismi per scoraggiare i potenziali competitori anche a un maggiore ruolo regionale o globale”. […] E’ quindi della massima urgenza per gli Stati Uniti ridefinire non solo la strategia, ma il ruolo stesso della NATO. Sotto la crescente pressione esercitata da Washington, la Nato comincia a orientarsi a un nuovo ruolo subito dopo il “crollo del muro di Berlino”, prima ancora che il Patto di Varsavia e l’Unione Sovietica si dissolvano.I1 17 novembre 1991, i capi di stato e di governo dei sedici paesi della NATO, riuniti a Roma nel Consiglio Atlantico, varano il nuovo Concetto strategico dell’Alleanza >> (16).

Questa nuova strategia ha portato nel 2010 alla elaborazione del documento Nato sul “Concetto strategico per la difesa e la sicurezza dei membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico adottato dai capi di Stato e di governo a Lisbona” dove la Cina e la Russia non sono neanche nominate (17). Dal 1991 al 2010 la fase monocentrica statunitense ha prodotto le due guerre del Golfo, la dissoluzione della Federazione Jugoslava, l’espansione a Est e l’accerchiamento della Russia, la guerra globale al terrorismo (18). Manlio Dinucci sostiene che << La guerra contro la Jugoslavia costituisce allo stesso tempo l’atto fondante da cui nasce quella che il summit, convocato a Washington il 23-25 aprile 1999, definisce “una nuova Alleanza più grande, più flessibile, capace di intraprendere nuove missioni, incluse le operazioni di risposta alla crisi”. Da alleanza che, in base all’Articolo 5 del Trattato del 4 aprile 1949, impegna i paesi membri ad assistere anche a “condurre operazioni di risposta alle crisi non previste dall’Articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza” >> (19).

Dopo la disgregazione della Jugoslavia ad opera degli USA-Nato, il sistemico Sergio Romano afferma che << i primi a trarne le conseguenze furono gli ex satelliti dell’Unione Sovietica. Per creare una nuova economia, dopo il fallimento del sistema comunista, ricorsero all’Unione Europea, di cui divennero membri troppo frettolosi. Ma per garantire la loro sicurezza, decisero che la protezione americana sarebbe stata più efficace di quella fornita da un gruppo di Stati europei ancora sprovvisti di una politica militare comune. Il risultato fu l’allargamento della Nato sino alla vecchia Urss e, dopo l’ingresso delle repubbliche baltiche, entro i suoi confini. Non bastava: per gli Stati Uniti quella era soltanto una tappa verso un’organizzazione militare che avrebbe compreso l’Ucraina e la Georgia.

E’ questo il momento in cui Vladimir Putin diventa il restauratore del grande Stato russo e della sua area d’influenza. Ed è questo il momento in cui la Russia, a Washington, comincia a essere percepita come un potenziale nemico. Nel primo documento sulla sicurezza nazionale diffuso dalla Casa Bianca dopo la elezione di Donald Trump, è scritto: “Benchè la minaccia del comunismo sovietico non esista più, nuove minacce mettono alla prova la nostra volontà. La Russia sta usando misure sovversive per indebolire la credibilità dei nostri impegni europei, scardinare l’unità transatlantica, indebolire le istituzioni dei governi europei. Con le sue invasioni della Georgia e dell’Ucraina, la Russia ha dimostrato la sua intenzione di violare la sovranità degli Stati nella regione. La Russia continua a indebolire i suoi vicini con comportamenti minacciosi e la dislocazione avanzata di forze militari”.

Il passaggio dedicato alla Cina non è troppo diverso. Anche la politica cinese, agli occhi di Washington, appare troppa ambiziosa e, quindi, potenzialmente minacciosa. “La Cina e la Russia” è scritto nel documento sulla sicurezza “sfidano la potenza degli Stati Uniti, la loro influenza e i loro interessi, e si propongono di erodere la loro sicurezza e la loro prosperità”. Agli alleati l’America chiede di essere aiutata a fronteggiare i suoi nemici. “Ci aspettiamo che i nostri alleati europei, entro il 2024, aumentino le spese per la difesa sino al 2 per cento del loro Prodotto interno lordo. Sul fronte orientale della Nato continueremo a rafforzare la deterrenza e la difesa, a catalizzare gli alleati e i partner sulla linea del fronte affinchè siano in condizioni di meglio difendere se stessi. Lavoreremo con la Nato per migliorare le sue capacità missilistiche di difesa integrata contro le minacce missilistiche provenienti soprattutto dall’Iran” >> (20).

La fase monocentrica, 1991-2010, a coordinamento USA, si è conclusa con una illusione statunitense che ha evidenziato sia il suo consolidato declino (relativo) sia l’incapacità storica (21) di pensare ad un nuovo ordine mondiale (senza l’arroganza di essere la “sola nazione indispensabile al mondo”) con l’uso quasi esclusivo della forza militare (hard power) altro che il soft power, cioè, la capacità di sedurre e persuadere le altre nazioni senza dover ricorrere alla forza o alla minaccia, come sostenuto da J.S. Nye, considerato uno dei più eminenti pensatori liberali della politica estera statunitense (22). Gianfranco La Grassa sostiene che << Ciò che si sta verificando è, almeno a partire dal 2001, dopo l’attacco “islamista” contro le Torri Gemelle, un avanzamento del multipolarismo sulla scacchiera del potere internazionale. L’unipolarismo o monocentrismo americano, che in seguito all’implosione dell’URSS si autoreferenziava come secolare (New American Century), si è scontrato, nel giro di un decennio o poco più, con le sue velleità >> (23). Diana Johnstone ricorda che << Il buon senso è antico e semplice. Prima della rovina viene l’orgoglio e prima della caduta c’è l’arroganza. Questo è un insegnamento che quasi chiunque dovrebbe essere in grado di capire >> (24).

 

Il percorso della fase multicentrica

 

Riporto due brevi riflessioni tratte da due miei scritti (25) che inquadrano il percorso della fase multicentrica in cui il conflitto USA-Nato, scatenato in Libia e in Siria, ha accelerato la partnership strategica sempre più profonda tra Mosca e Pechino (ho usato le parole del servo Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato).

La prima riflessione riguarda lo smembramento della Libia. In esso

molti studiosi hanno visto i processi economici in particolare della Francia e del Regno Unito (interessi di imprese, risorse energetiche, finanziamenti occulti, eccetera) ma non hanno visto i processi strategici della potenza imperiale USA che impongono una fase del caos mirata ad un attacco deciso alla Russia (primavera araba, Siria, Ucraina, Iran, accordo Russia-Cina-Iran, eccetera) e alla Cina (ridimensionamento della politica di penetrazione e di espansione in Africa). Insomma un attacco duro e pericoloso per indebolire quelli che potrebbero essere i punti di forza delle nuove potenze che aspirano a competere con l’egemonia USA non solo a livello di specifiche aree geografiche ma soprattutto a livello mondiale.

La seconda riflessione concerne lo smembramento non riuscito della Siria.

La guerra in Siria, al contrario delle altre guerre nel Medio Oriente (Iraq), nei Balcani (ex Jugoslavia) e nel Nord Africa (Libia), può rappresentare il punto di svolta verso il consolidamento del polo di aggregazione intorno alla Russia e alla Cina [che già collaborano nella sfera economica (risorse energetiche, via della seta, trattati di area, accordi commerciali, eccetera)] capace di approntare una strategia tutta orientale che lancia un confronto tra nazioni eguali con una visione multicentrica del mondo e un nuovo rapporto tra Oriente e Occidente [senza dimenticare né l’influenza della sedimentazione storica del rapporto tra Russia ed Europa a partire dalla metà del XV secolo con lo zar Ivan III (1440-1505), né l’attrito storico tra Russia e Cina]. Non si tratta di un confronto basato sulla forza militare ma sul dialogo e sul confronto tra storie, culture, popoli diversi. Tale confronto non esclude affatto le questioni fondamentali quali i rapporti sociali basati sul potere e sul dominio che riguardano sia le logiche interne che esterne delle nazioni e delle relazioni con le nazioni divenute potenze mondiali [si pensi, per esempio, a quanta influenza ha l’egemonia USA nel decidere lo sviluppo e la politica delle nazioni europee e dell’Unione Europea (che è bene ricordarlo non è l’Europa delle nazioni, ma un luogo istituzionale sovranazionale nato da un progetto pensato, finanziato e guidato dagli Stati Uniti e gestito da sub-agenti dominanti)].

Gli USA devono bloccare con la forza militare la possibilità di formazione del polo Russia-Cina perché sanno che l’avverarsi di tale polo, unito alla loro incapacità di fermare il proprio declino egemonico e alla convinzione che l’unica strada percorribile sia quella della guerra (è attraverso la guerra che hanno sempre affermato l’autorità globale), non sarebbe altro che l’inizio della transizione egemonica con una diversa riorganizzazione sistemica. Henry Kissinger e Zbigniew Brzezinski, due importanti protagonisti delle strategie di dominio statunitensi, hanno sempre combattuto e temuto la formazione di un polo sia euroasiatico (Europa-Russia) sia asiatico (Russia-Cina) perché vedevano in esso una seria minaccia alla egemonia mondiale statunitense.

La guerra USA, al contrario di quello che pensava Niccolò Macchiavelli (ne Il Principe) che la intendeva come portatrice di benessere, è solo distruzione di popoli, di territori e di nazioni per contenere la Russia e distruggere sul nascere il polo di formazione asiatico intorno a Russia e Cina.

Il declino egemonico mondiale degli USA sta nella perdita della capacità di un modello sociale di benessere interno ed esterno; gli Stati Uniti basano la loro resistenza egemonica solo sulla forza militare aggressiva e distruttrice senza creazione, senza consenso e senza confronto.

La stessa storia si ripete oggi, in maniera diversa, con il recente attacco USA alla Siria, dopo sette anni di tentativi di smembramento di una nazione sovrana, con morti e sofferenze inenarrabili della popolazione, insieme agli alleati ufficiali europei (Francia e Regno Unito) interessati alla sfera economica, per contrastare l’egemonia dell’area della Russia e il consolidamento di una potenza regionale come l’Iran che minerebbe il ruolo di Israele come potenza regionale vassallo USA nella politica in Medio Oriente (senza dimenticare la questione storica, politica e territoriale della Turchia) (25 bis), area nevralgica del conflitto strategico mondiale.

La strategia USA-Nato, che ha portato all’approvazione del suddetto documento Nato sul “Concetto strategico per la difesa e la sicurezza dei membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico adottato dai capi di Stato e di governo a Lisbona” nel 2010, ha tracciato delle linee generali della solita bassa retorica statunitense senza mai delineare e nominare le potenze emergenti in grado di mettere in discussione la loro egemonia mantenendosi, per dirla nel linguaggio della menzogna sistematica, su concetti come il ruolo della difesa collettiva ex art. 5 del Trattato, la gestione delle crisi su scala regionale e internazionale, il ruolo della sicurezza cooperativa mediante partnership con altre organizzazioni internazionali e Stati terzi che aderiscono ai criteri di pace e sicurezza collettiva dell’Alleanza. Voglio dire che occorre un nuovo svelamento della pratica reale della Nato come braccio armato degli USA [la forma del Trattato è un vincolo che esplicita la forma di dominio statunitense (26)] per il conflitto tra potenze per l’egemonia mondiale che nulla ha a che fare né con i suoi Trattati ufficiali né con i suoi diversi concetti strategici elaborati su una realtà sempre in continua trasformazione. I concetti strategici elaborati dagli USA-Nato non sono altro che codifiche, teoriche e pratiche, di eventi che già accadono da lungo tempo, la cui narrazione è orwelliana. Dal 2010 ad oggi i fatti accaduti hanno trasformato le relazioni internazionali (fase monocentrica, fase multicentrica) e la elaborazione del nuovo concetto strategico, uscito dal vertice Nato di Madrid (giugno 2022), non è altro che una codifica ideologica dei nuovi cambiamenti geostrategici della Cina e della Russia nello scenario mondiale.

 

Il percorso della fase multicentrica è tracciato. La Nato diventa lo strumento di conflitto contro le potenze emergenti (guerra economica alle vie dell’energia russa e alle vie della Seta cinese, la militarizzazione dell’Est, del Medio Oriente e dell’Asia centrale per l’accerchiamento della Russia, la militarizzazione dell’Oceano indiano e dell’area dell’Asia-Pacifico per l’accerchiamento della Cina.).

 

La strada della fase multicentrica

 

E’ evidente che attorno ai Centri dei Paesi potenza di Cina e Russia si stanno organizzando aggregazioni di altri Paesi, con la istituzione di associazioni, trattati, organizzazione di cooperazione, accordi, eccetera, con la ricerca di una propria moneta che rifletta il progetto, la visione di un mondo multicentrico, con il coinvolgimento dei Paesi con i relativi sviluppi territoriali, che configureranno un vero polo asiatico coordinato di grandi e piccole aree (l’Oriente) in grado di mettere in discussione l’attuale Centro del Paese potenza degli USA che configurerà il polo euroatlantico coordinato anch’esso in grandi e piccole aree (l’Occidente). Qui Occidente e Oriente sono intesi non nella logica pseudoscientifica alla Samuel P. Huntington dello scontro di civiltà (Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, 2000), ma nella logica dell’incontro, come è sempre stato nella storia, tra diverse culture, tradizioni, popoli, territori, rapporti sociali che si incontrano, si scambiano, si arricchiscono nella loro esperienza di vita. Parlo di popoli, con le loro articolazioni sociali con i loro valori di ricchezza umana, non di elitès più o meno illuminate.

Riprendendo la Trappola di Tucidide e capovolgendo la contrapposizione Sparta-Atene proposta all’interno del “the Classicizing of the America Mind” (Usa=Atene e Sparta=Urss) posso dire che gli USA sono Sparta, una potenza conservatrice incline allo status quo, all’immobilismo che non si sforza di ideare vie nuove; Cina e Russia sono Atene che sconvolge l’ordine esistente, è veloce nell’ideare vie nuove, è veloce nel realizzare ciò che ha deciso (27).

Con la configurazione del nascente polo asiatico, coordinato da Russia e Cina, gli USA-Nato avviano in maniera determinata un attacco alla Cina (via virus Sars Cov 2) e alla Russia (via Ucraina) (28).

La Nato << Alla riunione dei capi di Stato e di governo dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) tenutasi a Londra nel dicembre 2019, i leader dell’Alleanza hanno chiesto al Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg di intraprendere un processo di riflessione lungimirante per valutare le modalità per rafforzare la dimensione politica della NATO Alleanza. A tal fine, nell’aprile 2020, il Segretario generale Stoltenberg ha nominato un gruppo di riflessione indipendente co-presieduto da Thomas de Maizière e A. Wess Mitchell e composto da John Bew, Greta Bossenmaier, Anja Dalgaard-Nielsen, Marta Dassù, Anna Fotyga, Tacan Ildem , Hubert Védrine e Herna Verhagen […] Questo documento è il rapporto finale del Gruppo di Riflessione al Segretario Generale. La prima parte riassume il rapporto, delinea la visione del Gruppo per la NATO nel 2030 e fornisce una versione sintetica dei principali risultati del Gruppo. La seconda parte valuta le principali tendenze che daranno forma all’ambiente della NATO da qui al 2030. La terza parte fornisce una discussione più dettagliata delle raccomandazioni, organizzate tematicamente secondo ciascuno dei tre obiettivi forniti al Gruppo dal Segretario Generale. L’analisi e le raccomandazioni qui offerte hanno lo scopo di informare le deliberazioni del Segretario generale in vista della riunione dei leader della NATO nel 2021, quando concluderà il processo di riflessione offrendo raccomandazioni per rafforzare la politica >> (29). Il citato Rapporto raccomanda tutta una serie di interventi e mette in evidenza per la prima volta le preoccupazioni che derivano dalla Cina e dalla Russia come << Il crescente potere e assertività della Cina è l’altro grande sviluppo geopolitico che sta cambiando il calcolo strategico dell’Alleanza. Al loro incontro a Londra nel dicembre 2019, i leader della NATO hanno affermato che la crescente influenza della Cina e le politiche internazionali presentano sia opportunità che sfide che devono essere affrontate come un’Alleanza. La Cina pone un tipo di sfida molto diverso alla NATO rispetto alla Russia; a differenza di quest’ultima non rappresenta, allo stato attuale, una minaccia militare diretta all’area euro-atlantica (corsivo mio, LL). Tuttavia, la Cina ha un’agenda strategica sempre più globale, supportata dal suo peso economico e militare. Ha dimostrato la sua volontà di usare la forza contro i suoi vicini, così come la coercizione economica e la diplomazia intimidatoria ben oltre la regione indo-pacifica. Nel prossimo decennio, la Cina probabilmente sfiderà anche la capacità della NATO di costruire la resilienza collettiva, salvaguardare le infrastrutture critiche, affrontare le tecnologie nuove ed emergenti come il 5G e proteggere i settori sensibili dell’economia, comprese le catene di approvvigionamento. A lungo termine, è sempre più probabile che la Cina proietti potenza militare a livello globale, anche potenzialmente nell’area euro-atlantica >>. In particolare sulla Russia evidenziano che << Dopo la fine della Guerra Fredda, la NATO ha tentato di costruire un partenariato significativo con la Russia, basato sul dialogo e sulla cooperazione pratica in aree di interesse comune. Ma l’aggressione della Russia contro la Georgia e l’Ucraina, seguita dai continui potenziamenti militari e dall’attività assertiva nelle regioni del Baltico e del Mar Nero, nel Mediterraneo orientale, nel Baltico e nell’estremo nord, hanno portato a un forte deterioramento delle relazioni e ha avuto un impatto negativo sulla sicurezza dell’area euro-atlantica. La Russia si impegna regolarmente in operazioni militari intimidatorie nelle immediate vicinanze della NATO e ha migliorato la sua portata e le sue capacità per minacciare lo spazio aereo e la libertà di navigazione nell’Atlantico. Ha violato una serie di importanti impegni internazionali e ha sviluppato una serie di capacità convenzionali e non convenzionali che minacciano sia la sicurezza dei singoli alleati della NATO che la stabilità e la coesione dell’Alleanza nel suo insieme. La Russia ha ampiamente dimostrato la sua capacità e volontà di usare la forza militare e continua a tentare di sfruttare le fessure tra gli alleati e all’interno delle società della NATO. Ha anche impiegato armi chimiche sul suolo alleato, costando vite civili >> e raccomandano, nell’ambiguità, una grande fermezza e determinazione nel << continuare a rispondere alle minacce e alle azioni ostili russe in un’ottica politicamente unita, modo determinato e coerente, senza un ritorno al “business as usual”, salvo alterazioni del comportamento aggressivo della Russia e il suo ritorno al pieno rispetto del diritto internazionale. L’unità della NATO sulla Russia è il simbolo più profondo della coesione politica che è alla base di un’efficace deterrenza, la dimostrazione più chiara che, quando minacciata, risponde con chiarezza e forza >>. Mentre sulla Cina mettono in risalto il ruolo delle << […] infrastrutture in tutta Europa con un potenziale impatto sulle comunicazioni e sull’interoperabilità. Un certo numero di alleati ha attribuito attacchi informatici ad attori con sede in Cina, identificato furti di proprietà intellettuale con implicazioni per la difesa e sono stati oggetto di campagne di disinformazione originarie della Cina, soprattutto nel periodo dall’inizio della pandemia di COVID-19.

La portata del potere cinese e la portata globale pongono sfide acute alle società aperte e democratiche, in particolare a causa della traiettoria di quel paese verso un maggiore autoritarismo e un’espansione delle sue ambizioni territoriali. Per la maggior parte degli alleati, la Cina è sia un concorrente economico che un importante partner commerciale. La Cina è quindi meglio intesa come un rivale sistemico a tutto spettro, piuttosto che un attore puramente economico o un attore di sicurezza incentrato esclusivamente sull’Asia. Sebbene la Cina non rappresenti una minaccia militare immediata per l’area euro-atlantica sulla scala della Russia (corsivo mio, LL), sta espandendo la sua portata militare nell’Atlantico, nel Mediterraneo e nell’Artico, approfondendo i legami di difesa con la Russia (corsivo mio, LL) e sviluppando missili e aerei a lungo raggio, portaerei e sottomarini da attacco nucleare con portata globale, ampie capacità spaziali e un arsenale nucleare più ampio. Gli alleati della NATO sentono sempre di più l’influenza della Cina in ogni campo. La sua Belt and Road, Polar Silk Road e Cyber Silk Road si sono estese rapidamente e sta acquisendo infrastrutture in tutta Europa con un potenziale impatto sulle comunicazioni e sull’interoperabilità. Un certo numero di alleati ha attribuito attacchi informatici ad attori con sede in Cina, identificato furti di proprietà intellettuale con implicazioni per la difesa e sono stati oggetto di campagne di disinformazione originarie della Cina, soprattutto nel periodo dall’inizio della pandemia di COVID-19. Le politiche dichiarate dalla Cina includono l’ambizione di diventare un leader mondiale nell’intelligenza artificiale entro il 2030 ed entro il 2049 di essere la principale superpotenza tecnologica globale del mondo >> e suggeriscono che << La NATO dovrebbe rafforzare la sua capacità di coordinare la strategia e salvaguardare la sicurezza degli Alleati nei confronti della Cina. C’è un bisogno fondamentale di aumentare il coordinamento politico degli alleati presso la NATO (corsivo mio, LL) su questioni in cui l’approccio della Cina è contrario ai loro interessi di sicurezza. L’Alleanza dovrebbe continuare i suoi sforzi in corso per infondere la sfida alla Cina nelle strutture e nei comitati esistenti, compresi quelli cyber, ibrido, EDT, spazio, controllo degli armamenti e non proliferazione. L’Alleanza dovrebbe prendere in considerazione l’istituzione di un organo consultivo, a sostegno degli sforzi esistenti, per riunire gli alleati della NATO e altre istituzioni e partner se del caso, per scambiare informazioni, condividere esperienze e discutere tutti gli aspetti degli interessi di sicurezza degli alleati nei confronti della Cina. Se gli alleati sono minacciati dalla Cina, la NATO deve essere in grado di dimostrare la sua capacità di essere un attore efficace per fornire protezione >> (30). Infine mi interessa sottolineare nel suddetto Rapporto, tra le tante questioni che oscillano dalle tecnologie emergenti e dirompenti alle strutture politica, personale e risorse, la questione delle partnership (con le relative raccomandazioni) che riguardano le aree geografiche che da tempo sono oggetto di costruzioni di organizzazioni sul modello Nato. Esse, coordinate dal Pentagono (le forze armate nelle fasi multicentriche assumono un peso particolare all’interno degli agenti strategici egemonici) (31), riguardano le aree strategiche (Nord-Est Europa, Medio Oriente, Sud, Indo-Pacifico e Asiatica) di accerchiamento e di contrasto all’allargamento delle zone di influenza del nascente polo asiatico avendo come coordinamento la Cina e la Russia (32). Sono le organizzazioni modello Nato che gli USA stanno costruendo contro il polo asiatico. D’altronde il servo Jens Stoltenberg (per dirla con Giorgio Gaber, una faccia compiaciuta, vanitosa, che si auto incensa come una vecchia baldracca) non ha dichiarato che il nuovo concetto strategico della NATO è il progetto per l’Alleanza in un mondo più pericoloso e competitivo? Egli dimentica (per un processo di falsa coscienza necessaria) che gli USA e il loro strumento NATO sono i pericoli dell’uso nefasto del dominio per l’intera umanità e per questo vanno fermati.

Gli enunciati del nuovo concetto strategico, approvato al summit di Madrid del 28-30 giugno scorso, ricalcano quanto espresso nel surriportato Rapporto Nato 2030 del dicembre 2021 dove vengono delineate le strategie USA-NATO sia per l’egemonia monocentrica del mondo sia per contrastare il nascente polo asiatico ad egemonia cinese e russa.

Gli USA-NATO adoperano, per bloccare la temuta alleanza tra la Cina e la Russia, una strategia tesa a indebolire la Russia vista come una minaccia militare diretta all’area euro-atlantica; nei confronti della Cina hanno una tattica di breve-medio periodo di apertura guardinga e una strategia di medio-lungo periodo di conflitto perché la ritengono il motore del nascente polo asiatico. Una sorta di rozza applicazione del divide et impera che nulla ha a che fare con la raffinatezza spregiudicata di un Henry Kissinger nel periodo delle relazioni USA-Cina alla fine degli anni Sessanta e inizio degli anni Settanta del Novecento.

 

La strada della fase multicentrica entra nel vivo della costruzione.

La Nato è ricalibrata come strumento del conflitto contro il nascente polo asiatico. Il suo modello viene riproposto sia nel Mediterraneo (il Dialogo mediterraneo, DM), sia nel Medio Oriente (con gli accordi di Abramo), sia nel Pacifico (patto Aukus, l’alleanza Quad), sia in Africa (DM, Operazione “Active Endeavor”, Standing Maritime Group One), sia in America latina, sia nel circolo polare Artico dove gli USA, oltre la questione delle risorse naturali, temono, soprattutto, le nuove vie dell’Artico verso l’Atlantico che possono far saltare le loro strategie (prioritariamente militari e logistiche) nel Pacifico innervando sempre di più il coordinamento tra la Russia e la Cina.

 

Con lo scontro tra potenze per il dominio mondiale (monocentrico, multicentrico, policentrico), dove per la prima volta nella storia l’Europa sarà solo un campo di battaglia, si pone una prima domanda nel momento in cui bisogna andare oltre la trasformazione dentro il capitale (inteso come rapporto sociale) che le diverse fasi della storia mondiale impongono nelle loro peculiari configurazioni di potenze (la Cina non è la Russia e la Russia non sono gli Stati Uniti d’America). Cioè pensare una rivoluzione fuori il capitale. E qui si pone una seconda domanda: chi deve farla? Quali soggetti? Quali forze nuove?

Dico, per incapacità di sognare una blochiana speranza, che occorrono nuovi agenti strategici in un mondo in forte movimento per il trapasso di epoca così come sosteneva Niccolò Macchiavelli, nella Mandragola la più bella commedia italiana scritta tra il 1513 e i primi mesi del 1514, :<< […] L’espressività di Nicia, il suo sputare motti popolari a raffica diventano emblematici di un attaccamento ottuso a una fiorentinità senza prospettive, in un’epoca in cui […] la crisi politica e morale che stringe Firenze e l’Italia richiederebbe uomini nuovi, lungimiranti, tutt’altro che intenti a tenere lo sguardo fisso all’ombra del proprio campanile >> (33).

 

Le citazioni riportate in epigrafe sono tratte da:

 

  • Robert D. Kaplan, How We Would Fight China, “The Atlantic Monthly”, giugno 2005, pag. 64, citato in Giovanni Arrighi, Adam Smith a Pechino. Genealogie del ventunesimo secolo, Feltrinelli, Milano, 2008, pag.320.
  • Samir Amin, Fermare la Nato. Guerra nei Balcani e globalizzazione, Edizioni Punto Rosso, Milano, 1999, pag.34.
  • Perry Andersen, Consilium, “The New Left Review”, n.83, pag. 160 citato in Marco D’Eramo, L’eterno ritorno del declino americano, “MicroMega”, n.1/2022, pag. 6.

 

 

NOTE

 

1.Sull’uso della timeline nelle pratiche del discorso si rimanda a Daniela Brogi, Lo spazio delle donne, Einaudi, Torino, 2022, pp. 56-68.

2.Gianfranco La Grassa, Dal marxismo al conflitto strategico. Note per una revisione teorica, Undici Edizioni, Crescentino (VC), 2022.

3.Manlio Dinucci, La guerra. E’ in gioco la nostra vita, Byoblu Edizioni, Milano, 2022, pp. 7-53.

4.Cesare Luporini, Leopardi progressivo, Editori Riuniti, Roma, 1993, pp.107-123; si veda Gunthers Anders, L’uomo è antiquato. Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino, 2003.

  1. 5. Sul significato dei valori territoriali si rimanda a David Harvey, Marx e la follia del capitale, Feltrinelli, Milano, 2018, pp.131-172.

6.Luigi Longo, Il progetto dell’Unione Europea è finito, la Nato è lo strumento degli USA nel conflitto strategico della fase multicentrica, www.italiaeilmondo.com, 26/11/2018.

7.Samir Amin, Il sistema mondiale del secondo novecento. Un itinerario intellettuale, Edizioni Punto Rosso, Milano, 1997, pp. 27-54; Pasquale Paone, Comunità internazionale in Lelio Basso, a cura di, Scienze politiche 2 (relazioni internazionali), Enciclopedia Feltrinelli Fischer, Milano, 1973, pp. 88-101; Franco Soglian, Guerra fredda e distensione in Lelio Basso, a cura di, Scienze…, op.cit., pp. 242-254; Scipione Guarracino, Storia degli ultimi sessant’anni. Dalla guerra mondiale al conflitto globale, B. Mondadori, Milano, 2004, pp.16-45.

8.Nato, Una Nato trasformata, www.nato.int/nato_static/assets/pdf/pdf/_publications/20120116_nato-trans-it.pdf, 2004, pp.3 e 14.

  1. 9. Mahdi Darius Nazemroaya, La globalizzazione della Nato. Guerre imperialiste e colonizzazioni armate, Arianna Editrice, Bologna, 2014, pag.19.
  2. 10. Arnaud Leclercq, La Russie puissance d’Eurasie. Histoire geopolitique des origines à Poutine, Ellipses Editions, Paris, 2012, pag. 174, citato in Guy Mettan, Mille anni di diffidenza, Sandro Teti Editore, Roma, 2016, pag. 280.
  3. 11. Nato, Una Nato trasformata, op.cit., pag.12

12.Gyorgy Lukacs, La distruzione della ragione, Einaudi editore, Torino, 1959, pp.772-773.

13.Luigi Longo, L’Europa tra le vie della Nato, le vie della seta e le vie dell’energia, prima parte, www.italiaeilmondo.com, 19/11/2019; si legga Guy Mettan, Russofobia, op.cit., pp. 272-312.

14.La trasformazione e l’allargamento delle competenze della Nato hanno trovato la formalità (in parte) nel summit di Madrid di fine Giugno 2022. Esso è stato preceduto dal documento “Nato 2030.Uniti per una nuova era” che indica le raccomandazioni in tre aree di intervento: 1) Rafforzare l’unità, la solidarietà e la coesione alleate, anche per cementare la centralità del legame transatlantico; 2) Aumentare la consultazione politica e il coordinamento tra gli Alleati nella NATO; 3) Rafforzare il ruolo politico della NATO e gli strumenti pertinenti per affrontare le minacce attuali e future e sfide alla sicurezza dell’Alleanza provenienti da tutte le direzioni strategiche. E’ importante sottolineare le raccomandazioni per rafforzare la partnership nel Nord e nell’Est, la partnership al Sud, la partnership indo-pacifiche e asiatiche nella logica del contenimento del blocco asiatico coordinato da Cina e Russia, la lotta al terrorismo internazionale e ai cyber attacks, i nuovi strumenti per il coordinamento politico e per la maggiore decisionalità, incisività e accorciamento della filiera di comando, la capacità di gestione della pandemie e dei cambiamenti climatici, lo sviluppo delle nuove tecnologie Emerging and Disruptive Tecnologies (EDT), vale a dire l’insieme di tecnologie e conoscenze legate all’intelligenza artificiale e al cyberspace), un maggior coordinamento tra la Nato e l’UE, la difesa comune della UE all’interno delle strategie Nato, cfr,https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/2020/12/pdf/201201,-Reflection-Group-Final-Report-Uni.pdf

15.Nato, Una Nato trasformata, op. cit., pag. 12.

16.Manlio Dinucci, op. cit., pp. 65-68.

17.Il documento sulla strategia 2010 è reperibile sul sito https://www.nato.int/cps/en/natohq/official_texts_68580.htm alla voce Pubblicazioni della Nato. Per una sintesi dei documenti strategici della Nato dal 1949 al 2022 si rimanda al sito della Nato (www.nato.int/cps/en/natohq/topics_56626.html).

18.Si rimanda alle seguenti letture; Manlio Dinucci, op. cit., Mahdi Darius Nazemroaya, op.cit., AaVv, Escalation. Anatomia della guerra infinita, Derive Approdi, Roma, 2005, Gianfranco La Grassa, Considerazioni del dopoguerra. Insegnamenti dell’aggressione USA (e NATO) alla Jugoslavia, Editrice C.R.T., Pistoia, 1999, Costanzo Preve, Il bombardamento etico. Saggio sull’interventismo Umanitario, sull’Embargo Terapeutico e sulla Menzogna Evidente, Editrice C.R.T., Pistoia, 2000; Guy Mettan, op. cit., Samir Amin, op. cit., Diana Johnstone, Hillary Clinton. Regina del caos, Zambon editore, Francoforte sul Meno, 2016.

19.Manlio Dinucci, op. cit., pag. 75; Mahdi Darius Nazemroaya sostiene che << L’impegno militare della Nato al di fuori del proprio territorio di competenza non è partito con la Jugoslavia, dove divenne solamente di pubblico dominio. In pochi sono pienamente a conoscenza del fatto che l’Alleanza atlantica era stata ufficiosamente coinvolta nella Guerra del golfo nel 1991 e che la guerra in Iraq fosse un’operazione Nato né più né meno di quella contro la Jugoslavia. Mentre nel corso degli anni Novanta in Italia e nel resto d’Europa si diffondevano le notizie sugli apparati staybehind, dall’altra parte dell’Atlantico il presidente George H.W. Bush senior manteneva un silenzio inquietante su quanto veniva allo scoperto su questi gruppi, inquadrati dalla NATO e diretti dagli USA >> in Mahdi Darius Nazemroaya, op. cit., pag.98.

20.Sergio Romano, Atlante delle crisi mondiali. Dalla guerra fredda ai conflitti moderni: conoscere il passato per capire il presente, BUR Rizzoli, Milano, 2019, pp. 258-259.

21.Su questo rimando ai lavori di Raimondo Luraghi che è stato uno dei massimi esperti della storia statunitense. Indico, uno su tutti, Raimondo Luraghi, Storia della guerra civile americana, BUR Rizzoli, Milano, 2009.

22.Citato in Guy Mettan, op. cit., pp.291-293.

23.Gianfranco La Grassa, Gianni Petrosillo, Per una forza nuova, Edizioni Solfanelli, Chieti, 2021, pag. 118, si legga l’intero capitolo IV, pp. 117-149.

24.Diana Johnstone, op. cit., pag 247.

25.Luigi Longo, Le ragioni della disintegrazione della Libia da parte degli USA e Che ci fa l’Isis in Libia? Perché non lo chiediamo agli USA, www.italiaeilmondo.com, 22/3/2021; Luigi Longo, La Siria punto di svolta della fase multicentrica, www.italiaeilmondo.com, 15/4/2018.

25.bis La Turchia sta ri-costruendo, con la sua peculiare configurazione territoriale e geografica tra Occidente e Oriente, un ruolo da protagonista nell’area Mediterranea, nel Medio Oriente, nelle rinnovate relazioni con gli Stati Uniti, nella NATO (si veda l’infame accordo sottoscritto tra Turchia-Svezia-Finlandia). Cfr Andrew Korybko, L’espansione della Nato nel Nord è davvero una grande sconfitta per la Russia?, (a fine scritto è riportato il Trilaterale tra Turchia-Svezia-Finlandia), www.italiaeilmondo.com, 3/7/2022; Luigi Tedeschi, Finlandia e Svezia nella Nato: l’atlantismo armato e la russofobia ideologica avanzano, www.ariannaeditrice.it, 16/4/2022; Andrea Virga, Il nono (9°) tradimento dei Curdi da parte delle potenze occidentali, www.ariannaeditrice.it, 2/7/2022.

  1. 26. Sul concetto di vincolo che esplicita la forma di dominio e non un libero rapporto nel Trattato NATO rimando a Petr I. Stucka, La funzione rivoluzionaria del diritto e dello stato, Einaudi, Torino, 1967, capitolo VIII, pp.128-137. Petr I. Stucka è stato uno dei protagonisti della rivoluzione d’Ottobre del 1917 nonché uno degli esponenti più autorevoli della scienza giuridica sovietica.
  2. 27. Eva Cantarella, Sparta e Atene. Autoritarismo e democrazia, Einaudi, Torino, 2021, pp. 165-184; Graham Allison, Destinati alla guerra. Possono l’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide?, Fazi editore, Roma, 2018, pag. 90 e 74; Sull’ascesa della potenza di Atene si rimanda a Tucidide, La guerra del Peloponneso, Mondadori, Milano, 1976, volume primo, Libro I, pp.3-97.

28.Luigi Longo, L’Europa tra le vie della Nato, le vie della seta, le vie dell’energia, seconda parte, www.italiaeilmondo.com, 17/3/2022.

29.Nato, “Nato 2030.Uniti per una nuova era”, op.cit., pag 3.

  1. Nato, “Nato 2030.Uniti per una nuova era”, op.cit., pp. 17-25-27-58-59-60.

31.Manlio Dinucci, L’Occidente serra i ranghi per la battaglia, www.voltairenet.org, 4/7/2022.

32.Redazione Ansa, G7, Biden il piano contro la Via della Seta cinese:

“Investiremo 600 mld in infrastrutture del 26/6/2022.

33.Niccolò Macchiavelli, Mandragola, Oscar Mondadori, Milano, 2006, pag.25.

 

 

Ucraina, il conflitto 10a puntata_con Stefano Orsi e Max Bonelli

Nel caso il video non sia accessibile oppure ostacolato nella visione su You Tube, gli ascoltatori possono accedere al canale di Italia e il mondo su rumble.com , precisamente al seguente indirizzo: https://rumble.com/v1e3hsr-stefano-orsi-e-max-bonelli-ucraina-il-conflitto-10a-p.html, come in calce allo scritto.

Siamo alla decima puntata. A Max Bonelli si è aggiunto Stefano Orsi a completare il quadro e gli spunti analitici di un conflitto della cui narrazione non si riesce a intravedere quale sarà l’ultima puntata. E’ una guerra di logoramento, apparentemente statica; è una delle parti però a manifestare crescenti segni di usura. Lo stesso regime inizia a conoscere momenti di convulsione sino a sacrificare pezzi importanti dei centri decisori. L’evidenza conferma che non è Zelensky a dettare le mosse e i suoi tempi. Il regime, del resto sta esaurendo completamente le proprie risorse e dipende totalmente dal sostegno esterno e da disegni estranei agli interessi del paese. Continuerà la recita almeno sino all’arrivo del generale inverno. Nel frattempo si vedrà sino a quando e sino a quanto i suoi mentori, specie quelli europei, saranno in grado di sostenere lo sforzo e le pesantissime implicazioni del loro impegno. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v1e3hsr-stefano-orsi-e-max-bonelli-ucraina-il-conflitto-10a-p.html

LA TEMPESTA PERFETTA, di Marco Giuliani

LA TEMPESTA PERFETTA

Debito pubblico, inflazione, guerra: Draghi a casa, la parola ora passerà ai cittadini

 

Come era prevedibile, non da ora, Draghi è andato K.O. dopo una strisciante instabilità provocata da una serie di politiche improvvide, avventate, telecomandate sovente da Biden e dai falchi sparsi presso le sedi Nato e UE. Ma soprattutto, dopo aver relegato in secondo piano gli interessi di tutti quegli italiani, quelle imprese e quei soggetti più deboli (come i giovanissimi e gli anziani) che non riescono più a sopportare i contraccolpi di una crisi sistemica e di un potere d’acquisto che è crollato di almeno il 20%. La stessa percentuale dell’aumento dei beni primari, degli alimenti, dei carburanti e persino – udite udite – dei prodotti per gli animali. Una tendenza, per fortuna al momento in stand-by, che ha portato l’Italia sull’orlo dell’autoflagellazione economica. Una tempesta perfetta.

Ma qual è stata la condizione scatenante il crollo del governo dopo giorni di fibrillazioni, malumori e la spinta di un’inflazione galoppante che, come mezzo secolo fa, era il tempo della Guerra dello Yom-Kippur, sta poco a poco raggiungendo il 10% in termini percentuali? Certo la pandemia, certo la crisi internazionale, ma in primo luogo è stata la diplomazia italiana a sacrificare i bisogni della sua popolazione pur di obbedire agli ordini di Washington e di Bruxelles, le quali hanno scelto una politica iperaggressiva verso tutti quei paesi – in primis la Russia e la Cina – che ritengono estranei al loro sistema, al loro universo moralista e alla presunta superiorità ideale fondata esclusivamente su una mitologia costruita a tavolino in nome del liberismo più smaccato e globalizzante. Draghi e il suo esecutivo hanno scelto la guerra, non la pace. E lo hanno fatto all’insegna del “costi quel che costi”, spendendo miliardi e miliardi in armi, inasprendo sanzioni che agli Usa fanno il solletico e per cui l’unica vittima, ahimè, è divenuta la stessa Europa. Ne sa qualcosa la Germania, anche Lei ai limiti della crisi strutturale. Si è giunti a tanto, si suppone (ma è una supposizione più che fondata), per tutta una serie di interessi che nulla hanno a che fare con i doveri e i diritti di chi questo governo aveva l’onere di rappresentare e tutelare.

Draghi è un uomo-Nato, un uomo-Usa, e benché forte di un Parlamento sino a poche ore fa asservito tout-court e di un sistema mediatico (in buona parte di proprietà degli Agnelli-Elkann) per il 90% letteralmente prono ai capricci dell’esecutivo, non era nel modo più assoluto in grado di amministrare il soggetto Italia in un momento del genere. Perché un paese, ricordiamo ancora, fondamentalmente pacifista, ha urgente necessità di riforme che affrontino i temi sociali, l’evasione fiscale, la malasanità, i problemi della ricerca, della scuola e delle università, non soltanto i tornaconti di chi vuole mettere in un angolo le cosiddette “grandi autocrazie” planetarie per assorbirle negli ingranaggi delle proprie regole.

Il Parlamento italiano, ridotto ormai a un ufficio di ratifica e timbri, da almeno due anni a questa parte non ha rappresentato affatto la maggioranza dei cittadini e ciò per cui i partiti e i suoi delegati, dopo il 2019, NON vennero scelti. Ha preferito, Pd in testa, spendere soldi per acquistare missili Stinger da spedire agli ucraini anziché investire per risanare le strutture ospedaliere più malandate del Meridione. Ha fatto le veci NON del piccolo artigiano che rischia di fallire perché non riesce a sostenere i costi della sua impresa, dell’operaio in cassa integrazione con famiglia o dei lavoratori costretti a dimezzare la spesa al supermercato perché i prezzi lievitano, ma si è preoccupato di far tacere il dissenso, della moneta unica, dei grandi gruppi di potere, dei mezzi di produzione militare, dei diktat imposti da Bruxelles e dalla Casa Bianca. Mostrando, al cospetto della crisi, la stessa sensibilità di un elefante dentro un negozio di vetri di Murano. D’altra parte, chi proviene dalle scuole della Federal Reserve e della Goldman Sachs, come avrebbe potuto? Come sarebbe stato possibile trasformare i grandi banchieri da tecnici regolatori del capitalismo in gestori politici di crisi che loro stessi – per tenere il passo con i sistemi monetari intercontinentali – contribuirono a generare? Ma tu vagli a spiegare che non è il caso, se Dio vuole, di comprare materiali energetici da altri dittatori pagandoli il doppio, pur di fare un torto a Putin e obbedire agli ordini di nonno Biden.

Per fermare lo scempio della guerra ibrida intrapresa da Palazzo Chigi non sono bastati neanche, cosa sino a poco tempo fa impensabile, gli appelli disperati di un Papa che anzi, è stato ridicolizzato (e talvolta vilipeso) a mezzo stampa dai megafoni stonati degli atlantisti nostrani più agguerriti. Gli stessi personaggi – scrivani, portaborse e burocrati strampalati – che hanno contribuito a escludere i cittadini russi, in quanto russi, dalle manifestazioni musicali, culturali e sportive. Già, lo sport; il valore più sano (insieme allo studio) che una società liberale e moderna dovrebbe trasmettere alla sua comunità, ma che invece è stato vilmente utilizzato per creare nuovi motivi di scontro interculturale e politico. Il tutto, all’insegna del quod bellum iustum est.

Non sarebbero certo bastati (vero, Draghi?) un paio di bonus da 200 € per risolvere in modo strutturale una serie di gravissime falle di sistema provocate da quarant’anni di malagestione della cosa pubblica. Non è il caso di aggiungere altro. Ora si ricomincia, palla al centro.

 

MG

 

BIBLIOGRAFIA & SITOGRAFIA

 

Army Command and General Staff College,  Fort Leavenworth, Kansas, 1996 –

G.W. Gawrich, The 1973 Arab-Israeli War. The Albatross of Decisive Victory, Combat Studies Institute, U.S.

Sky TG24, edizione del 21/07/2022 –

Televideo Rai del 21/07/2022, pp. 120-130 –

www.manageritalia.it

www.ilpensierostorico.com

 

 

 

 

 

DIETRO L’UCRAINA/ I piani americani che hanno indotto Mosca alla guerra, di Giuseppe Gagliano

Ecco come Obama e Biden hanno provocato la trappola che ha costretto la Russia a intervenire in Ucraina, secondo Michael Brenner

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Soldati delle forze ucraine (LaPresse)

Professore emerito di affari internazionali nell’Università di Pittsburgh e membro del Center for Transatlantic Relations presso Sais/Johns Hopkins, Michael Brenner è stato direttore del programma di relazioni internazionali e studi globali presso l’Università del Texas. Ha anche lavorato presso il Foreign Service Institute, il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e Westinghouse. È autore di numerosi libri e articoli sulla politica estera americana, la teoria delle relazioni internazionali, l’economia politica internazionale e la sicurezza nazionale.

Secondo lo studioso americano per capire il conflitto attualmente in corso con la Russia è necessario tenere presenti tre aspetti.

In primo luogo, la guerra in Ucraina è il culmine di una crisi iniziata poco dopo l’insediamento dell’amministrazione Biden. Questa crisi è di per sé una ripresa del fuoco dalle braci mal spente dell’iniziale conflagrazione risalente al colpo di Stato fomentato da Washington nel marzo 2014.

In secondo luogo, le fasi successive di questa crisi devono essere intese nel contesto della crescente ostilità delle relazioni russo-americane. I suoi indicatori sono stati l’intervento di Mosca nella guerra civile siriana (2015), le decisioni delle successive amministrazioni statunitensi di terminare o ritirarsi dagli accordi sul controllo degli armamenti risalenti alla Guerra fredda – che hanno suscitato la preoccupazione di Mosca per le intenzioni militari di Washington –, il graduale allargamento della Nato verso Est, le “rivoluzioni colorate” orchestrate alla periferia della Russia, e il sentimento antirusso suscitato dall’affare manipolato “Russiagate”.

Terzo, l’Ucraina è stata l’occasione, non la causa, della rottura definitiva delle relazioni tra Mosca e Washington.

Da aprile 2021 i contorni della strategia americana nei confronti dell’Ucraina e della Russia si sono ben presto chiariti: organizzare un incidente provocatorio nel Donbass che scateni una reazione russa che potrà poi essere utilizzata per confermare le affermazioni speculative di Washington sui preesistenti piani di invasione russa.

Il significativo rafforzamento delle forze ucraine lungo la linea di contatto nel Donbass, abbondantemente rifornite di missili anticarro Javelin e antimissili Sprint, prefigurava la preparazione di azioni militari offensive. L’azione Usa stava facendo esattamente quello di cui abbiamo accusato Mosca: pianificare un attacco deliberato. Washington si aspettava che la conseguente crisi costringesse gli europei occidentali ad accettare una serie completa di sanzioni economiche, inclusa la cancellazione del Nord Stream 2 contro la Russia. Era il fulcro del piano. Il team di politica estera di Joe Biden era convinto che le sanzioni draconiane avrebbero causato il collasso dell’economia fragile e non diversificata della Russia. Il vantaggio secondario per gli Stati Uniti sarebbe una maggiore dipendenza europea dagli Usa per le risorse energetiche, e implicitamente l’allineamento europeo con le posizioni politiche di Washington. Così, la paura della Russia e la dipendenza economica perpetuerebbero indefinitamente lo status di vassallo degli Stati europei che è loro proprio da 75 anni.

Pertanto, secondo Brenner, l’obiettivo principale di Washington nella crisi ucraina era la Russia: la crescente obbedienza degli alleati europei a Washington era un guadagno collaterale. Il diffuso boicottaggio delle esportazioni russe di gas naturale e petrolio è stato visto come un modo per drenare le risorse finanziarie e l’economia del Paese mentre i proventi dalle sue esportazioni diminuivano.

Se a questo si aggiunge il piano per escludere la Russia dal meccanismo di transazione finanziaria Swift, lo shock subito dall’economia doveva portare alla sua implosione. Il rublo sarebbe crollato, l’inflazione aumentata, il tenore di vita crollato, il malcontento popolare avrebbe indebolito Putin così tanto che sarebbe stato costretto a dimettersi o sarebbe stato sostituito da una cabala di oligarchi scontenti. Il risultato sarebbe stato una Russia più debole, legata all’Occidente, o una Russia isolata e impotente.

Come ha detto il presidente Biden: “Per l’amor di Dio, quest’uomo non può rimanere al potere”.

Per comprendere appieno la tattica adottata dagli Stati Uniti, bisogna tener conto di un fatto cruciale: pochissime persone nella Washington ufficiale si preoccupavano della stabilità dell’Ucraina o del benessere del popolo ucraino. I loro occhi erano fissi su Mosca. Nella mente degli strateghi di Washington, l’Ucraina rappresentava un’opportunità unica per giustificare l’imposizione di sanzioni paralizzanti che avrebbero messo fine alle presunte ambizioni di Putin in Europa e oltre. Inoltre, i legami sempre più stretti tra la Russia e gli Stati europei sarebbero stati interrotti, probabilmente in modo irrimediabile. Una nuova cortina di ferro avrebbe diviso il continente, segnato da una linea di sangue: sangue ucraino. Questa realtà geostrategica permetterebbe all’Occidente di dedicare tutte le sue energie al confronto con la Cina. Tutto ciò che gli Stati Uniti hanno fatto con l’Ucraina nell’ultimo anno è stato guidato da questo obiettivo generale.

Questi scenari ottimistici avevano in comune la speranza che la nascente partnership sino-russa sarebbe stata fatalmente indebolita, ribaltando l’equilibrio a favore degli Stati Uniti nella prossima battaglia con la Cina per la supremazia globale.

Come è stato concepito e deciso questo piano? In verità, gli obiettivi generali erano stati definiti dall’amministrazione Obama. Lo stesso presidente ha dato la sua approvazione al colpo di Stato di EuroMaidan (2014), che è stato supervisionato direttamente dall’allora vicepresidente Joe Biden, che ha agito come pilota per l’Ucraina tra marzo 2014 e gennaio 2016. Poi, l’amministrazione americana ha adottato misure forti per bloccare l’attuazione degli accordi di Minsk II, protestando con Merkel e Macron. Ecco perché Berlino e Parigi non hanno mai fatto il minimo gesto per convincere Kiev a rispettare i propri obblighi.

L’operazione per provocare una crisi nel Donbass è stata architettata da figure influenti – in particolare Anthony Blinken, segretario di Stato, e Jake Sullivan, capo del Consiglio di sicurezza nazionale – e circoli neoconservatori durante la presidenza Trump, la cui incoerenza e disordine ha impedito la definizione di una politica calibrata nei confronti dell’Ucraina e della Russia; così il peso delle sanzioni è aumentato negli anni 2016-2020.

La strategia era quella di aumentare la pressione su Mosca per stroncare sul nascere l’aspirazione della Russia a diventare ancora una volta un attore importante in grado di privare gli Stati Uniti dei suoi privilegi di egemone mondiale e unico sovrano d’Europa. Era guidata dall’ardente Victoria Nuland e dai suoi compagni neoconservatori del Consiglio di sicurezza nazionale (Nsc), della Cia, del Pentagono, del Congresso e dei media. Poiché Blinken e Sullivan erano essi stessi sostenitori di questa strategia di confronto, l’esito del dibattito era una conclusione scontata.

Per quanto riguarda l’Ucraina, il piano era pronto e in attesa della decisione della Casa Bianca. I fautori di una nuova Guerra fredda in tutta l’amministrazione hanno potuto imporre le loro opinioni su un governo in cui non c’erano voci dissenzienti e guidato da un presidente passivo e malleabile. Così prendeva corpo il piano antirusso in Ucraina con il rafforzamento delle forze militari lungo la linea di contatto nel Donbass e discorsi bellicosi sulla necessità di imporre sanzioni economiche più pesanti a Mosca in caso di conflitto, provenienti sia da Washington e Bruxelles.

I leader del Cremlino sembrano essere stati pienamente consapevoli di quello che stava succedendo. L’obiettivo americano di riportare la Russia al suo posto subordinato era dato per scontato dal Cremlino. Ma c’era incertezza su quali iniziative aspettarsi sul campo: un grande assalto delle forze di Kiev nel Donbass o piccoli atti provocatori per provocare una reazione russa che potesse fungere da pretesto per l’imposizione di sanzioni, inclusa la chiusura del Nord Stream 2?

È probabile che gli alti funzionari di Washington non abbiano fatto loro stessi una scelta riguardo alle modalità tattiche della loro azione. Le divergenze tra i diversi attori e un presidente titubante avrebbero potuto benissimo lasciare aperte opzioni per arrivare a un consenso morbido e oscuro. L’alternanza di retorica bellicosa e parole rassicuranti in pubblico di Biden, così come le conversazioni telefoniche “non andiamo in guerra” che ha avviato con Putin e riaffermato nei comunicati stampa, ne sono un esempio, una prova tangibile.

Ma alla fine è stata presa la decisione di lanciare l’operazione contro la Russia. Prova innegabile di ciò sono gli annunci molto specifici del presidente Biden, di Anthony Blinken e del direttore della Cia William Burns sulla data dell’“offensiva” russa. Potevano essere così affermativi perché erano ben consapevoli della data fissata per l’inizio dell’operazione militare ucraina contro il Donbass e sapevano che Mosca avrebbe immediatamente reagito militarmente. Queste affermazioni non erano basate su informazioni privilegiate ottenute attraverso intercettazioni di comunicazioni russe o la presenza di una talpa al Cremlino. Washington non ha tale accesso ai centri decisionali di Mosca, come dimostra il fatto che gli Stati Uniti sono rimasti sorpresi da tutte le altre iniziative significative della Russia, compreso l’intervento militare in Siria nel 2015.

Il conto alla rovescia è stato innescato da un aumento di 30 volte dei bombardamenti ucraini nel Donbass, anche contro quartieri residenziali, tra il 16 e il 23 febbraio 2022, come riportato dagli osservatori dell’Osce. La forma e la portata esatte della reazione del Cremlino erano imprevedibili, ma questo di per sé non era un problema per Washington, dal momento che qualsiasi azione militare di Mosca serviva al suo grande scopo. Inoltre, gli americani erano convinti che l’ambizioso programma di addestramento ed equipaggiamento dell’esercito ucraino lanciato dal 2018 – e integrato dall’erezione di un’importante rete di fortificazioni che costituiscono una linea Maginot in miniatura – avrebbe impedito una disfatta delle forze di Kiev e, di conseguenza, creato le condizioni per una guerra di logoramento i cui effetti sull’economia e sull’opinione pubblica russa sarebbero stati particolarmente marcati.

Joe Biden ha richiamato indirettamente l’attenzione su questo punto durante una conferenza stampa tenutasi all’inizio di febbraio 2022. Ha affermato che una forte reazione da parte della Russia avrebbe garantito l’unità della Nato e l’accordo degli Stati membri al fine di imporre forti sanzioni. Una reazione più limitata, ha detto in quell’occasione, avrebbe provocato probabilmente un acceso dibattito tra i governi alleati sull’opportunità o meno di escludere la Russia dal sistema Swift e sospendere il progetto Nord Stream 2. Pertanto, l’attacco preventivo russo su larga scala del 24 febbraio ha permesso agli americani di vedere realizzata la loro opzione preferita, quella di sanzioni massicce.

Che dire della ripetuta affermazione di Joe Biden secondo cui Volodymyr Zelensky ha sfidato l’“avvertimento” del presidente degli Stati Uniti di un’imminente operazione militare russa? Abbiamo potuto consultare la trascrizione di questa famosa conversazione telefonica durante la quale il primo esprimeva infatti il suo scetticismo mentre il secondo insisteva a gran voce sul fatto che non c’erano dubbi. Ci sono solo due spiegazioni per questo indovinello. La prima è che Zelensky e la sua squadra di diplomatici dilettanti – tratti dalla sua ex squadra di produzione televisiva – sono rimasti sbalorditi all’avvicinarsi del fatidico giorno e, di conseguenza, hanno cercato di ottenere un certo margine di manovra. La seconda è che Zelensky potrebbe non essere stato informato della data esatta dell’offensiva dell’esercito ucraino contro il Donbass. I suoi stessi comandanti militari e alti funzionari della sicurezza avrebbero potuto venire a patti con gli americani – che erano stati a lungo presenti e attivi nel cuore dei principali centri decisionali del Paese – senza perdere la fiducia del presidente ucraino. La sua inclinazione a parlare nel modo sbagliato potrebbe essere la ragione principale di ciò, così come il fatto che è stato solo un presidente di facciata dalla sua elezione nel 2019.

Stravagante? No, solo strano. Come ci ha insegnato Sherlock Holmes: “Una volta eliminate tutte le altre possibilità, tutto ciò che resta – per quanto strano – è la verità”.

https://www.ilsussidiario.net/news/dietro-lucraina-i-piani-americani-che-hanno-indotto-mosca-alla-guerra/2376515/?fbclid=IwAR3ZEc97t35AEDe6AaBWk5Fk8JkRt1bhlJXjtZ9MyuTH_DyWr7TKPGmk8pc

Il fallito blocco di Kaliningrad da parte della Lituania è una sconfitta per gli Stati Uniti, di Andrew Korybko

16 LUGLIO 2022

Il fallito blocco di Kaliningrad da parte della Lituania è una sconfitta per gli Stati Uniti

Tuttavia, nessuno dovrebbe cadere nel falso presupposto che questo sviluppo implichi una spaccatura transatlantica tra l’UE e gli Stati Uniti poiché non si sta verificando nulla del genere. Piuttosto, ciò che è successo è che l’UE ha inaspettatamente respinto contro gli Stati Uniti dopo che questi ultimi hanno oltrepassato provocando una grave crisi tra la Russia e il blocco attraverso il suo sfruttamento della Lituania a tal fine.

Il chiarimento della Commissione europea secondo cui le sue sanzioni anti-russe non dovrebbero essere interpretate dalla Lituania come un via libera per il blocco di Kaliningrad suggerisce fortemente che il blocco è a disagio con l’influenza destabilizzante che gli Stati Uniti sono sospettati di esercitare su quel paese baltico. L’interpretazione unilaterale di Vilnius di queste restrizioni precedenti come pretesto per interrompere i collegamenti stradali e ferroviari con quell’exclave russa era più una provocazione politica orchestrata da Washington volta a manipolare le menti degli occidentali che un tentativo di peggiorare il tenore di vita della gente di quella regione come l’autore ha spiegato in quel momento qui . La sua decisioneassecondare Bruxelles in questo senso è quindi una sconfitta per quell’egemone unipolare in declino, e per di più inaspettata.

Gli Stati Uniti hanno riaffermato con successo la loro egemonia sull’UE con un pretesto anti-russo all’inizio dell’operazione militare speciale in corso di Mosca in Ucraina, convincendo persino i suoi vassalli europei a sanzionare controproducente il loro principale fornitore di risorse grezze e innescando così una crisi economica assolutamente evitabile che portato l’euro alla parità con il dollaro per la prima volta in due decenni. Se alcune aziende europee finiscono per fallire nel prossimo futuro, allora le loro americane e britanniche i concorrenti ne trarrebbero vantaggio. Tutto sommato, gli Stati Uniti hanno al momento il controllo quasi totale sull’UE, ma alla fine hanno superato convincendo la Lituania a bloccare Kaliningrad e quindi provocare una grave crisi tra la Russia e il blocco.

Questo era troppo per i “Tre Grandi” (Francia, Germania e Italia), che sono prontamente intervenuti attraverso le istituzioni europee per riaffermare la propria egemonia molto più diretta su quel paese baltico, chiarendo che le sue sanzioni non possono essere sfruttate per tagliare il transito di prodotti civili verso l’exclave russa su rotaia. Anche se la Lituania è uno stato vassallo americano, è molto più europeo quando arriva la spinta, come è successo di recente. Vilnius non ha potuto sfidare la Commissione Europea, ecco perché ha rispettato il suo chiarimento politico e quindi è andata contro la volontà di Washington. L’unico motivo per cui ciò è accaduto è perché i “Tre Grandi” hanno ritenuto inaccettabile provocare la Russia in un modo così sfacciato, il che a sua volta parla della loro posizione relativamente più pragmatica nei confronti del conflitto ucraino.

Tuttavia, nessuno dovrebbe cadere nel falso presupposto che questo sviluppo implichi una spaccatura transatlantica tra l’UE e gli Stati Uniti poiché non si sta verificando nulla del genere. Piuttosto, ciò che è successo è che l’UE ha inaspettatamente respinto contro gli Stati Uniti dopo che questi ultimi hanno oltrepassato provocando una grave crisi tra la Russia e il blocco attraverso il suo sfruttamento della Lituania a tal fine. Ciò dimostra che i più grandi vassalli europei d’America accetteranno praticamente tutto ciò che il loro signore supremo richiede loro, tranne se rischia di innescare un conflitto diretto con la Russia nel peggiore dei casi, come alcuni temevano che il blocco di Kaliningrad orchestrato dagli Stati Uniti in Lituania avesse minacciato di fare. In tali casi, i “Tre Grandi” hanno dimostrato di avere la volontà politica di intervenire con decisione contro la volontà di Washington.

Ci sono cinque considerazioni da trarre da questo incidente. In primo luogo, gli Stati Uniti sfrutteranno i suoi vassalli dell’UE più piccoli e più russofobi per provocare una crisi tra la Russia e il blocco. In secondo luogo, se i responsabili politici delle “Tre Grandi” ritengono che la crisi rischi un conflitto diretto con la Russia nello scenario peggiore, allora interverranno in modo decisivo per scongiurarlo. Terzo, questo intervento assume la forma di riaffermare la propria egemonia su qualunque vassallo statunitense sia stato sfruttato per provocare la crisi. In quarto luogo, non ci si aspetta che gli Stati Uniti facciano una faida con l’UE ogni volta che ciò accade, poiché ciò rischia di dividere l’unità del blocco e quindi di indebolire la piattaforma più ampia che è stata sfruttata per “contenere” la Russia. E infine, queste differenze inaspettate tra l’UE e gli Stati Uniti non dovrebbero essere interpretate come implicanti una spaccatura tra di loro.

https://oneworld.press/?module=articles&action=view&id=3079

La difficile strada da percorrere della NATO, di Charles A. Kupchan

Ottimismo frettoloso e vittorie di Pirro_Giuseppe Germinario

Le maggiori minacce all’Unità dell’Alleanza arriveranno dopo il vertice di Madrid

Grazie al presidente russo Vladimir Putin, il vertice della NATO a Madrid si svolge questa settimana sullo sfondo di una rinascita dell’alleanza occidentale. L’invasione dell’Ucraina da parte di Putin costringe la NATO a tornare alla sua missione fondante di fornire difesa collettiva contro la Russia. I membri dell’alleanza stanno dimostrando una notevole unità e determinazione mentre incanalano armi in Ucraina, aumentano le spese per la difesa, rafforzano il fianco orientale dell’alleanza e impongono severe sanzioni economiche contro la Russia.

L’invasione dell’Ucraina ha mostrato che la NATO è tornata, ma la realtà è che non è mai andata via. L’alleanza era effettivamente in buona forma anche prima che Putin lanciasse la sua guerra errante, che è una delle ragioni per cui è stata in grado di rispondere agli sviluppi in Ucraina con tanta alacrità e solidarietà. Dalla fine della Guerra Fredda, la NATO ha dimostrato una notevole capacità di adattamento ai tempi, intraprendendo operazioni lontane, anche in Afghanistan e nei Balcani, e aprendo le porte alle nuove democrazie europee. Come conseguenza della guerra in Ucraina, una NATO già forte si è appena rafforzata.

Ma nonostante il suo buono stato di salute e l’unità dimostrabile, la NATO deve affrontare un boschetto di questioni spinose e le discussioni a Madrid inizieranno appena ad affrontarle. La guerra in Ucrainaovviamente dominerà il vertice. La conversazione è pronta a concentrarsi sulla parte facile: portare più armi in prima linea. Ma la NATO deve anche affrontare la parte difficile: quando e come coniugare il flusso di armi con una strategia diplomatica volta a produrre un cessate il fuoco e proseguire i negoziati sul territorio. L’urgenza di fare questo perno deriva dalla necessità non solo di porre fine alla morte e alla distruzione, ma anche di limitare le ricadute economiche della guerra, che potrebbero minacciare l’alleanza atlantica dall’interno erodendo la solidarietà e indebolendo le basi democratiche dell’Occidente. Il conflitto in Ucraina pone anche nell’agenda della NATO una serie di sfide aggiuntive: gestire il futuro dell’allargamento, incanalare le crescenti aspirazioni geopolitiche dell’Europa e la costruzione di un’architettura transatlantica in grado di accogliere le questioni sempre più complesse e diverse che l’Occidente deve affrontare.

UN FINALE DIPLOMATICO

Lo sforzo transatlantico per sostenere l’Ucraina si è concentrato sul fornire al paese le armi di cui ha bisogno per difendersi. Questo è come dovrebbe essere. Kiev ha bisogno di più potenza di fuoco per resistere e persino invertire l’avanzata russa nell’est e nel sud dell’Ucraina. L’obiettivo, secondo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, è “difendere ogni metro della nostra terra”. Finora Washington non è stata disposta a mettere in guardia Kiev dal cercare l’espulsione completa delle truppe russe dalla sua terra. “Non diremo agli ucraini come negoziare, cosa negoziare e quando negoziare”, ha affermato Colin Kahl, il sottosegretario alla Difesa per la politica . “Hanno intenzione di stabilire quei termini per se stessi.”

Ma è giunto il momento che la NATO si concentri su un finale diplomatico e capitalizzi il suo sforzo di successo per rafforzare la mano dell’Ucraina facilitando un cessate il fuoco e proseguimento dei negoziati. Dai primi successi militari dell’Ucraina, lo slancio sul campo di battaglia si è spostato a vantaggio della Russia, che è uno dei motivi per cui Francia, Germania, Italia e altri alleati degli Stati Uniti stanno premendo per una svolta verso la diplomazia. Finora Washington ha resistito. Come ha affermato il presidente Joe Biden all’inizio di giugno, ” non farò pressioni sul governo ucraino, in privato o in pubblico, affinché faccia concessioni territoriali”.

Ma Washington può resistere solo per così tanto tempo. La questione non è solo il mantenimento della solidarietà transatlantica raccogliendo l’appello europeo per una strategia che includa un percorso verso una soluzione diplomatica. Anche con armi aggiuntive, l’Ucraina probabilmente non ha la potenza di combattimento per scacciare le forze russe da tutto il suo territorio o addirittura per ripristinare lo status quo territoriale di febbraio. Continuare la guerra potrebbe significare più perdite di vite umane e di territorio, non guadagni sul campo di battaglia per Kiev. E più a lungo va avanti la guerra, maggiore è il rischio di un’escalation, voluta o accidentale, e più prolungate e gravi sono le interruzioni dell’economia globale e dell’approvvigionamento alimentare .

Di particolare interesse sono gli effetti economici della guerra sugli stessi membri della NATO, compreso il potenziale impatto dell’inflazione dilagante sulla politica americana. Le basi interne della politica estera statunitense sono molto più fragili di quanto non fossero una volta. Il centrismo bipartisan che ha prevalso durante la Guerra Fredda è scomparso da tempo, lasciando il posto non solo alla polarizzazione ma a una potente tensione di sentimento neo-isolazionista. La politica estera “America first” dell’ex presidente Donald Trump è stata un sintomo più che una causa di questa svolta interiore. La “politica estera per la classe media” di Biden segnala che anche i democratici sono sensibili al desiderio dell’elettorato che Washington dedichi più tempo e risorse a risolvere i problemi in patria invece che all’estero. Il ritiro di Bidendall’Afghanistan consegnato su quel fronte. La sua ambiziosa agenda per gli investimenti interni e il rinnovamento mirava anche a migliorare la vita degli americani, a rimettere in piedi la classe media ea ricostruire il centro politico della nazione.

La guerra in Ucraina, insieme al perpetuo blocco del Congresso, ha messo da parte questo programma critico di riparazione interna. A dire il vero, la fornitura di assistenza militare ed economica all’Ucraina gode di un livello insolito di sostegno bipartisan. Tuttavia, il tempo non è dalla parte del bipartitismo, che è destinato a svanire con l’avvicinarsi del semestre di novembre. La guerra, in aggiunta alle interruzioni dell’approvvigionamento causate dalla pandemia, sta contribuendo a condizioni economiche che stanno giocando nelle mani dei repubblicani “America first”. L’inflazione è ai massimi degli ultimi 40 anni; il prezzo di benzina, cibo e altri beni essenziali continua a salire. Il mercato azionario è in svenimento tra i discorsi di una recessione imminente. La guerra in Ucraina non è certo l’unica causa di queste tribolazioni economiche, ma sta sicuramente giocando un ruolo importante. Sta inoltre assorbendo il tempo prezioso e il capitale politico dell’amministrazione Biden.

Con queste condizioni economiche sullo sfondo, il midterm è pronto a mettere la Camera e, probabilmente, il Senato in mani repubblicane. La carnagione della coorte repubblicana che chiamerebbe i colpi al Congresso è impossibile da prevedere, ma è probabile che il partito si inclini ulteriormente nella direzione “America first”. JD Vance, sostenuto dall’approvazione di Trump, ha recentemente vinto le primarie del Senato dell’Ohio molto contestate. Le sue opinioni sulla guerra in Ucraina possono essere emblematiche di ciò che verrà: “Penso sia ridicolo che ci concentriamo su questo confine in Ucraina. Devo essere onesto con te, non mi interessa cosa succede all’Ucraina in un modo o nell’altro”.

Vale la pena ricordare che Trump ha negato l’assistenza militare all’Ucraina per estrarre sporcizia politica su Biden, insultato regolarmente gli alleati della NATO ed espresso interesse a ritirare gli Stati Uniti dalla NATO. Lui, o qualche altro repubblicano “America first”, potrebbe benissimo tornare a politiche così ribelli se eletto. È anche possibile una crisi politica o costituzionale di qualche tipo. Poco prima che Putin invadesse l’Ucraina, un sondaggio ha rivelato che  il 64% degli americani  teme che la democrazia statunitense sia “in crisi e a rischio di fallimento”. Tutto questo per dire che i risultati elettorali in Ohio potrebbero avere un impatto sulla sicurezza europea e sul futuro della democrazia liberale almeno tanto quanto i risultati militari nel Donbas.

Anche l’Europa deve tenere d’occhio il fronte interno. Gli europei hanno dimostrato una notevole generosità nell’ospitare milioni di profughi ucraini , ma la calorosa accoglienza potrebbe esaurirsi e potrebbe produrre un contraccolpo politico; le precedenti ondate di immigrazione hanno rafforzato la mano dei populisti illiberali. Nel frattempo, la carenza di cibo in Africa, aggravata dalla guerra in Ucraina, potrebbe innescare una crisi umanitaria e mettere gli europei di fronte all’ennesimo afflusso di migranti disperati. L’inflazione persistente e la prospettiva di una penuria di energia il prossimo inverno potrebbero anche indebolire l’impressionante determinazione dell’Europa nel tenere testa alla Russia. Come ha avvertito Robert Habeck, ministro dell’Economia tedescoall’inizio di questo mese, “Siamo in una crisi del gas. Il gas è una merce rara d’ora in poi. . . . Ciò influirà sulla produzione industriale e diventerà un grosso onere per molti consumatori”.

Il governo italiano sta già vacillando a causa di controversie interne sulla fornitura di armi all’Ucraina e i leader tedeschi continuano a litigare sulla consegna di armi pesanti. Emmanuel Macron potrebbe essere stato rieletto in Francia ad aprile, ma circa il 40 per cento dell’elettorato ha votato per Marine Le Pen, la candidata di estrema destra che è una fan di Putin e si è impegnata a ritirare il suo paese dal comando militare della NATO. Che Macron abbia perso la maggioranza assoluta alla camera bassa del parlamento è un ulteriore segno di malcontento popolare. Il partito di Le Pen, il National Rally, è passato da otto a 89 seggi.

Le sanzioni dell’Occidente contro Mosca, anche se hanno un impatto negativo sull’economia globale , finora non hanno avuto l’effetto sperato in Russia. A causa dell’impennata del prezzo del greggio, la Russia continua a godere di ampi ricavi petroliferi. E anche se il valore del rublo è precipitato quando la Russia ha lanciato la sua invasione a febbraio, è rimbalzato e recentemente ha toccato il massimo degli ultimi sette anni rispetto al dollaro. Gli Stati Uniti e i loro partner del G-7 hanno concordato all’inizio di questa settimana di perseguire ulteriori misure per restringere il commercio con la Russia e hanno anche discusso di fissare un tetto massimo agli acquisti di petrolio russo per alleviare le pressioni inflazionistiche e ridurre le entrate della Russia. Il potenziale impatto di questi prossimi passi rimane incerto.

Sì, l’Occidente deve sostenere l’Ucraina, punire l’ espansionismo russo e difendersi da ulteriori atti di aggressione. Ma deve anche soppesare queste priorità rispetto all’imperativo di impedire ai populisti illiberali di prendere il potere su entrambe le sponde dell’Atlantico. Il prezzo del gas in Ohio o in Baviera sembra di importanza irrilevante sullo sfondo della valorosa lotta dell’Ucraina per la sua libertà. Ma gestire la guerra in Ucraina significa anche navigare nei pericolosi banchi della politica americana ed europea. L’Ucraina non sarebbe certamente la beneficiaria se i repubblicani “America first” salissero al potere negli Stati Uniti o se i populisti filo-Mosca guadagnassero terreno in Europa.

Sarebbe davvero una crudele ironia se la NATO riuscisse ad aiutare Kiev a contrastare l’ambizione predatoria di Putin solo per vedere le democrazie atlantiche cadere preda di minacce dall’interno. Anche se inviano più obici e droni in Ucraina, i leader della NATO devono prestare molta attenzione al contraccolpo economico e politico della guerra sulle loro stesse società. Quando lo faranno, apprezzeranno meglio la necessità di facilitare un cessate il fuoco e di sostenere la causa dell’Ucraina al tavolo dei negoziati.

Il passaggio dalla guerra ai negoziati, ovviamente, non offre una soluzione rapida alle dislocazioni economiche prodotte dal conflitto; le sanzioni contro la Russia potrebbero rimanere in vigore per un bel po’ di tempo. Ma la diplomazia in definitiva offre l’unico percorso per allentare le tensioni geopolitiche che continuano a interrompere le forniture di energia e cibo e contribuiscono alle pressioni inflazionistiche.

LA ZONA GRIGIA DELL’EUROPA

I membri della NATO si occuperanno della guerra in Ucraina, gestendo relazioni difficili con la Russia, rafforzando il fianco orientale dell’alleanza e, dopo la fine dei combattimenti, partecipando alla ricostruzione postbellica . Ma devono anche cominciare a guardare oltre la guerra e le sue conseguenze immediate per trarre lezioni più ampie.

Il conflitto in Ucraina ha chiarito la necessità di ripensare in modo nuovo al progresso della sicurezza nella “zona grigia” dell’Europa, le terre tra la NATO e la Russia. Anche se la guerra va avanti, sta emergendo una conversazione costruttiva sul potenziale status geopolitico dell’Ucraina che va avanti. L’evoluzione di questa questione potrebbe fornire un modello per Georgia, Moldova e altri paesi che hanno guardato all’Occidente ma potrebbero non essere destinati all’adesione alla NATO ora che la Russia ha lanciato la sfida in Ucraina.

Tre approcci intrecciati stanno prendendo forma per far avanzare le esigenze di sicurezza dei paesi nella zona grigia dell’Europa. In primo luogo, la neutralità permanente offre a questi stati un mezzo per rafforzare la loro sovranità e indipendenza, tenendo conto delle obiezioni della Russia all’ulteriore allargamento della NATO verso est. L’Ucraina ha abbracciato la neutralità dopo essersi separata dall’Unione Sovietica nel 1991. È stato solo nel 2019, in risposta all’accaparramento di terre della Russia del 2014 in Crimea e nel Donbas, che l’Ucraina ha sancito nella sua costituzione la sua intenzione di aderire alla NATO. Secondo Putin, la prospettiva dell’adesione dell’Ucraina all’alleanza ha giocato un ruolo nella sua decisione di invadere di nuovo. Nel suo discorso del 24 febbraio alla nazione per giustificare la “operazione militare speciale”, Putin ha sottolineato “le minacce fondamentali che i politici occidentali irresponsabili hanno creato per la Russia. . . . Mi riferisco all’espansione verso est della NATO, che sta spostando le sue infrastrutture militari sempre più vicino al confine russo. Durante le prime settimane di guerra, Kiev sembrava pronta ad abbracciare un ritorno alla neutralità. Se tale risultato dovesse emergere come parte di una soluzione negoziata alla guerra, la neutralità dell’Ucraina potrebbe servire da modello per la regione.

In secondo luogo, la neutralità sarebbe accompagnata da garanzie di sicurezza da parte di una coalizione di paesi volenterosi. Tali assicurazioni non sarebbero all’altezza delle garanzie formali di difesa che accompagnerebbero l’adesione alla NATO, ma impegnerebbero i firmatari ad aiutare a mantenere la sicurezza e lo status di non allineamento dei paesi nella zona grigia dell’Europa. Questi accordi andrebbero oltre i precedenti livelli di supporto occidentale, comportando probabilmente un ulteriore addestramento militare e trasferimenti di armi durante il tempo di pace e un solido supporto militare nel caso in cui gli stati che beneficiano di tali assicurazioni dovessero affrontare un attacco. L’Ucraina è di nuovo un buon modello. I membri della NATO non stanno inviando truppe in Ucraina per unirsi alla lotta, ma stanno fornendo all’Ucraina i mezzi per difendersi. Quando la guerra finisce, l’Ucraina potrebbe trovarsi in uno stato di neutralità armata, con il continuo sostegno economico e militare dei membri della NATO che rafforza la sua mano nei negoziati sul territorio che potrebbero seguire un cessate il fuoco.

Il terzo livello di sicurezza nella zona grigia sarebbe l’adesione all’UE. Bruxelles ha già concesso lo status di candidato all’Ucraina e alla Moldova, mentre la Georgia è in sala d’attesa. Sebbene i negoziati di adesione possano durare un decennio o forse più, lo status di candidato fornisce agli aspiranti un colpo politico nel braccio e offre ai loro governi la leva di cui hanno bisogno per combattere la corruzione e attuare onerose riforme economiche e politiche, passi chiave che l’Ucraina deve intraprendere per autoestrarsi dall’eredità oligarchica del suo passato. L’adesione all’UE alla fine segnerebbe l’inclusione istituzionale formale nella comunità delle democrazie atlantiche, evitando al contempo la provocazione della Russia che deriverebbe dall’adesione alla NATO. Come ha affermato Putin di recente di fronte alla prospettiva dell’ingresso dell’Ucraina nell’UE,“Non abbiamo nulla contro. È la loro decisione sovrana di aderire o meno ai sindacati economici. . . . Sono affari loro, affari del popolo ucraino”.

In questo scenario, la NATO prenderebbe Finlandia e Svezia e l’alleanza alla fine integrerebbe aspiranti nei Balcani. Ma non andrebbe oltre. Fissare un limite trasparente all’allargamento verso est della NATO e guardare invece all’UE per estendere la sua portata nella zona grigia dell’Europa potrebbe finalmente consentire all’Occidente e alla Russia di mettere da parte una questione che ha infastidito le loro relazioni da quando l’allargamento della NATO è iniziato subito dopo la fine del freddo Guerra. Anche se Putin ha usato l’espansione della NATO come pretesto per il suo accaparramento di terre, una maggiore chiarezza sul futuro della NATO potrebbe contribuire a smorzare la rivalità tra Russia e Occidente.

IL PILASTRO EUROPEO

La guerra in Ucraina è stata un campanello d’allarme geopolitico per l’ Europa—e la NATO dovrebbe trarre vantaggio da questo momento. L’Europa ha fatto numerose false partenze nel corso degli anni per acquisire maggiore forza e responsabilità geopolitiche, ma questa volta, grazie alla Russia, lo sforzo potrebbe produrre risultati più impressionanti. L’aggressione russa ha già spinto gli europei a fare nuovi e sostanziali investimenti in capacità militari. La Germania ha stanziato 100 miliardi di euro per potenziare il suo esercito fatiscente e ha accettato di soddisfare il parametro di riferimento della NATO di spendere il 2% del PIL per la difesa. Altre nazioni europee hanno annunciato aumenti considerevoli dei loro budget per la difesa. La traduzione di questi investimenti in capacità di combattimento richiederà tempo e richiederà un coordinamento oltre i confini nazionali e tra la NATO e l’UE. Ma questi investimenti e la svolta della Germaniain particolare, hanno il potenziale per essere un punto di svolta, dotando finalmente l’Europa del maggiore peso geopolitico di cui ha bisogno in un mondo in cui è tornata la rivalità tra grandi potenze. Gli Stati Uniti dovrebbero mantenere la pressione sui loro alleati e collaborare con loro per sfruttare appieno la loro nuova disponibilità ad assumersi maggiori oneri di difesa.

Un’Europa più capace creerà un partenariato atlantico più forte. Democratici e repubblicani allo stesso modo si lamentano da tempo che la NATO ha bisogno di un pilastro europeo più robusto. Qualunque partito sia al potere a Washington, il collegamento atlantico sarà in condizioni migliori se l’Europa porterà sul tavolo più peso geopolitico. Con la Russia che ora minaccia il fianco orientale della NATO e le tensioni nel Pacifico occidentale che pongono anche nuove richieste alle risorse statunitensi, Washington apprezzerà di avere più capacità europee. E anche se una rinnovata minaccia russa manterrà le forze statunitensi in Europa per il prossimo futuro, l’Europa deve essere in grado di agire da sola quando necessario.

ISTITUZIONI IDONEE ALLO SCOPO

Sebbene l’invasione russa dell’Ucraina costituisca un tradizionale atto di aggressione territoriale , rivela anche quanto sia diventata complicata l’agenda per la sicurezza. Le implicazioni del conflitto attraversano un’ampia varietà di questioni. Gli affari militari e l’intelligence sono al centro, ma lo è anche la sicurezza energetica. Abbandonare la dipendenza dai combustibili fossili russi può essere una necessità strategica, ma ha anche effetti negativi sui cambiamenti climatici poiché l’Europa riapre centrali elettriche a carbone chiuse e poiché i produttori di energia pompano più petrolio e gas. Sicurezza informatica, sicurezza alimentare, catene di approvvigionamento, migrazione, relazioni con la Cina , sistema dei pagamenti internazionali: la guerra ha lasciato intatte poche questioni.

Le istituzioni transatlantiche devono adattarsi di conseguenza. La NATO può gestire alcune, ma certamente non tutte, di queste questioni trasversali. È stata abbastanza abile nell’integrare la sicurezza informatica nella sua agenda e l’alleanza ha avviato una conversazione costruttiva sulle conseguenze geopolitiche dell’ascesa della Cina. In particolare, Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud partecipano al Vertice di Madrid in qualità di osservatori. Ma per quanto riguarda la sicurezza energetica, le sanzioni economiche, la governance digitale, le linee di approvvigionamento tecnologico, il clima e una miriade di altre questioni, l’ UE è l’interlocutore più appropriato. Il Regno Unito, tuttavia, non ha più un posto al tavolo dell’UE a Bruxelles, complicando ulteriormente il compito di creare istituzioni transatlantiche adatte all’interdipendenza globale.

I legami più profondi tra la NATO e l’UE offrono una via per una migliore integrazione geopolitica e geoeconomica. Un’altra opzione sarebbe quella di istituire un nuovo consiglio transatlantico incaricato di affrontare le questioni politiche in un modo che trascenda e abbatta le barriere istituzionali e burocratiche. Questo organismo potrebbe includere rappresentanti della NATO e dell’UE, nonché Stati membri selezionati, fornendo la supervisione di un’agenda transatlantica dinamica e diversificata. Il Consiglio per il commercio e la tecnologia USA-UE, istituito di recente, fornisce un buon esempio di innovazione istituzionale volta a consentire alle politiche di stare al passo con il cambiamento tecnologico. Le ricadute della guerra rendono ampiamente chiaro quanto profondamente la globalizzazione e l’interdipendenza stiano creando la necessità di nuove forme di governance e cooperazione transatlantica. Di pari importanza, ogni nuovo organismo di controllo deve monitorare da vicino le connessioni sempre più intime tra politica estera e politica interna. Se i leader di una delle due sponde dell’Atlantico trascurano tali collegamenti, lo fanno a proprio rischio e pericolo e quello della solidarietà transatlantica.

La NATO rimane un pilastro essenziale di una comunità transatlantica duratura di interessi e valori condivisi. Ha ampiamente dimostrato la sua rilevanza, efficacia e unità nell’organizzare una risposta risoluta all’aggressione della Russia contro l’Ucraina. È giunto il momento che la NATO inizi a muoversi verso un cessate il fuoco e un finale diplomatico in Ucraina, in gran parte per mantenere la solidarietà transatlantica e difendersi dalle minacce interne alla democrazia liberale che potrebbero rappresentare una minaccia ancora maggiore per la comunità atlantica di Putin. Questo perno deve essere parte di uno sforzo più ampio per costruire un’architettura transatlantica adatta allo scopo nell’interdipendenza del ventunesimo secolo.

https://www.foreignaffairs.com/articles/ukraine/2022-06-29/natos-hard-road-ahead?utm_medium=newsletters&utm_source=fatoday&utm_campaign=NATO%E2%80%99s%20Hard%20Road%20Ahead&utm_content=20220629&utm_term=FA%20Today%20-%20112017

GET INSIDE, STAY INSIDE, STAY TUNED, di Pierluigi Fagan

GET INSIDE, STAY INSIDE, STAY TUNED. Questi i tre consigli di un simpatico video rilasciato dal Dipartimento per le emergenze di New York, in caso di attacco nucleare: andate dentro, state dentro, state collegati alle fonti di informazione. Lo useremo come metafora per ripetere il senso di cosa sta succedendo dal 24 febbraio scorso.
Come ricorderà, forse, chi frequenta questa pagina da tempo, reagii immediatamente con molta inquietudine a quello che si stava manifestando come reazione europea ed occidentale all’attacco russo all’Ucraina. Il motivo era l’incredibile prontezza e coordinazione della reazione, la perfetta coincidenza con la narrazione subito imposta che verteva su uno sconosciuto commediante di uno sconosciuto stato della periferia d’Europa, già a lungo noto -per chi si occupava di relazioni internazionali e geopolitica- per esser nodo di lunga trama del braccio di ferro tra le due superpotenze nucleari, condita con il potente ricorso ai “valori” etico-morali che rendevano necessaria la mobilitazione a qualunque costo contro il nemico. Tutto questo prima ancora di capire cosa stesse succedendo e perché. In particolare, il “perché”, non c’era alcun perché da domandarsi, era tutto chiarissimo, c’era un aggredito ed un aggressore.
Fino a lì, che ci fosse un aggredito ed un aggressore ci arrivavamo tutti, era abbastanza evidente. Tuttavia, per coloro che cascando dal pero si accorgevano per la prima volta dell’esistenza sia di una cosa strana chiamata “geopolitica”, sia di una cosa ancora più esotica chiamata Ucraina, era forse necessario capire un po’ meglio come si era arrivati alla fatidica questione. Ma d’improvviso era vietato farsi domande, anche perché il ricatto dei valori etico-morali coinvolti serviti a condimento della lievitazione emotiva imponeva l’azione e la allineata e convinta reazione unitaria. Il mondo di prima era fatto di confuse spinte alternative, di grovigli, di conflitti di interessi, di bilanciamenti un po’ di qui ed un po’ di lì, di amorale opportunismo utilitarista, di sostanziale cinismo realista quando si trattava di fare affari con monarchie assolute, dittatori di varia risma, usurpatori di altrui territori e negatori dei diritti dei popoli. Ma d’improvviso, da un giorno all’altro, tutto ciò non valeva più e tutto ciò perché dovevamo difendere l’inderogabile diritto di questo Paese mezzo fallito e neanche democratico o stato di diritto, dedito al traffico d’armi, prostituzione e droga, di entrare nella NATO. In più colpiva l’improvviso, immediato e inderogabile allineamento ad una sola voce, come nei b-movie di fanta-distopia. Possibile?
Nel post del primo giorno, quello proprio del 24 febbraio, riportavo il virgolettato del discorso di Putin di poche ore prima che, in riferimento alle possibili prese di posizione europee, minacciava: …è molto probabile ci saranno contro-ritorsioni sulle forniture del gas in Europa “… la risposta della Russia sarà immediata e vi porterà a conseguenze che non avete mai sperimentato nella vostra storia”. Aggiungevo in analisi “Il contenzioso profondo è tra gli USA che vogliono stringere a sé i propri alleati in via esclusiva, contro Cina e Russia, per resistere il più a lungo possibile all’esito multipolare dell’ordine mondiale, un esito di cui ormai non si può più discutere il “se”, ma il “come e quando”.
Tutto ciò che s’è verificato in seguito è andato in accordo con questa analisi. Biden ha sfoderato il suo format “democrazie vs autocrazie” per giustificare il dovere di allineamento strategico, si è tentato per due volte di isolare la Russia alle Nazioni Unite (con esiti modesti), si è e si sta preparando l’allineamento asiatico anti-cinese, il G7 ha fatto finta di deliberare una presunta strategia concorrenziale alla Belt and Road Initiative. Biden e Blinken hanno provato a raggruppare i paesi amici del Centro e Sud America, scoprendo di avere davvero pochi amici, il pupazzo di Kiev ha provato a blandire e minacciare di sanzione morale l’Unione Africana che ha sfoggiato assoluta indifferenza. Hanno provato a far scattare l’ostracismo ai russi per il G20 in Indonesia e per irritazione verso il sabotaggio, il locale Ministro degli Esteri ha candidamente spifferato che in realtà Blinken s’è appartato qualche ora con Lavrov alla recente riunione dei ministri degli esteri del formato, alla faccia del “col nemico etico-morale non si parla”. Ora Biden sta provando a rinsaldare il trumpiano Patto di Abramo tra Israele ed il saudita affettatore di giornalisti scomodi e promotore dell’Isis, dopo aver dato i curdi in pasto al dittatore necessario di Ankara per rimuovere il suo veto alla cooptazione dei due paesi scandinavi che torneranno utili nei prossimi tempi del conflitto per l’Artico.
Insomma, fino ad ora il disegno di Washington conta, nella rete calata nei turbolenti mari del futuro geopolitico, il solo pescione europeo. Non male come risultato, nonostante il resto.
Come altri hanno notato, ieri l’euro è andato a pari del dollaro per la prima volta dopo venti anni. Ha anche perso il 18% sullo yuan dall’agosto di due anni fa. Quindi il gas che dovremo comprare dagli USA, che già costava più di ogni altro, ci costerà ancora di più e le merci cinesi saranno meno convenienti per noi di quasi un quinto. Il tutto dopo aver perso il mercato russo del tutto e con esso, una buona parte delle forniture energetiche. Il che porta a prezzi del gas alle stelle, mancanza reale di alternative viabili nel breve-medio termine, materie prime più costose (si pagano in dollari, di solito), inflazione, razionamenti già pianificati nell’indifferenza comprensibile dei più che sognano solo la loro ristorante vacanzina, alternando il residuo di attenzione distratta tra le polemiche sul corsivo ed il divorzio dei VIP. La Germania si prepara alla “grande crisi” della sua industria mentre non si sa se noi stiamo facendo altrettanto visto che siamo parte della loro catena del valore. E tutto ciò aspettando si dipani appieno quelle “conseguenze che non avete mai sperimentato nella vostra storia” minacciate dal russo che evidentemente non era pazzo come alcuni psicanalisti da operetta hanno diagnosticato nel marasma mediatico iniziale ed i calcoli li sa fare bene, nel breve, nel medio e nel lungo periodo.
Proprio ieri, Biden si appropriava per scopi pubblicitari della cooperazione tecno-scientifica euro-canadese-americana del nuovo telescopio Webb, ricordando quanto gli USA siano l’unica, vera, potenza tecno-scientifica del pianeta, seguito a poche ore dall’annuncio della rottura della rilevante collaborazione tra l’ente europeo ESA ed il corrispettivo russo Roscosmos. La cattura egemonica dell’Europa procede a grandi falcate ed è ormai irreversibile. Ma manca ancora un pezzo, forse. Dopo tre giorni dall’inizio del conflitto, scrissi un altro post in cui avanzai la previsione che si sarebbe, prima o poi, rispolverata la vecchia idea del TTIP, l’accordo di libero scambio privilegiato transatlantico. Oramai siamo del tutto assorbiti dalla NATO e dalle strategie di riarmo e preparazione di sciami di conflitti tra “democrazie” ed “autocrazie”, non tutte, solo quelle davvero antipatiche al gusto di Washington. Siamo però anche la prima potenza commerciale del mondo pur essendo un aggregato statistico e non un soggetto economico-politico unitario. Non ci sarà vera cattura egemonica fino a che non verremo riquadrati in uno specifico recinto di sub-globalizzazione atlantica, sottraendoci al sistema cinese, nemico ultimo della nostra nuova stella madre.
Loro, col dollaro forte ci compreranno meglio e noi compreremo meno bene dai cinesi, si chiama “nudge”, spintarella gentile.
Quindi, eccoci alla metafora di apertura: entriamo tutti alla svelta nel sistema occidentale a guida americana, stiamo tutti dentro e togliamoci ogni velleità di relazioni esterne autonome, attacchiamoci allo streaming continuo di informazioni distorte ed opinioni falsate, previsioni senza senso e minacce inventate di sana pianta che ci daranno ottimi motivi, più emotivi che razionali, per credere a questo incredibile colpo di stato contro la nostra capacità di sovraintendere al nostro minimo interesse.

Ritorno al futuro con la NATO, di Antonia Colibasanu

Un articolo significativo di Antonia Colibasanu la cui considerazione implicita sottende il crescente ruolo politico a tutto campo della NATO, non più solo politico-militare. Una tesi sostenuta con enfasi già nel consesso dell’anno precedente. Manca una sottolineatura sul ruolo dell’Unione Europea, ormai sempre più subordinata ed integrata agli indirizzi della NATO, sino a porre l’interrogativo sulla sua stessa utilità e ragione di esistenza se non per la sua funzione di aggregazione dei pochi paesi europei esterni all’alleanza militare. Resta la constatazione della progressiva sussunzione delle dinamiche e ragioni economiche, costitutive della UE a quelle politiche e geopolitiche generali. Altro aspetto apparentemente ingannevole rimane la nuova enfasi dell’ostilità esclusiva verso la Russia. A ben guardare, però, la Cina rimane il convitato di pietra. L’obbiettivo degli Stati Uniti rimane al meglio quello di ripristinare il dominio egemonico unipolario; quello subordinato, più realistico, di semplificare il confronto riducendolo ad una logica bipolare. Entrambe le ipotesi, però, appaiono con tutta probabilità ormai fuori tempo massimo. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Molto è stato detto su come la guerra russa in Ucraina abbia cambiato la NATO. Il numero dei suoi membri è certamente destinato a crescere man mano che Svezia e Finlandia iniziano il processo di adesione . Ma altrettanto importante è il suo nuovo Concetto strategico, pubblicato la scorsa settimana in un vertice a Madrid, che mostra cosa c’è in serbo per l’alleanza nel prossimo decennio. In una parola, il concetto è: riallineamento.

Da partner a minaccia

Il testo del Concetto strategico è pubblico, anche se il testo della strategia militare di accompagnamento, che descrive in dettaglio come gli Stati membri possono sostenere gli obiettivi dell’alleanza, è classificato. Tuttavia, ciò che è disponibile suggerisce che il prossimo decennio si concentrerà sulla deterrenza e sulla difesa, sottolineando lo scopo originale della NATO come organizzazione militare. (Può sembrare ovvio, ma ricorda il Concetto strategico della NATO del 2010, che metteva in evidenza il ruolo politico che l’alleanza potrebbe svolgere negli affari europei.) Mentre il concetto precedente si riferiva alla Russia come partner strategico per la stabilità euro-atlantica, il nuovo concetto esplicitamente descrive la Russia come una minaccia strategica.

Questo non è particolarmente sorprendente dato che il testo è stato pubblicato in tempo di guerra. Altri documenti rilasciati durante la guerra del Kosovo nel 1999 e la guerra di Corea parlavano in termini simili. In effetti, quest’ultimo è considerato un punto di svolta nella storia della NATO perché ha portato a una maggiore assistenza degli Stati Uniti per combattere l’Unione Sovietica e alla riorganizzazione di un’alleanza in rapida espansione sotto il comando centralizzato, che sarebbero tutti pilastri per il resto della Guerra Fredda con l’Unione Sovietica.

Allo stesso modo, il Concetto strategico 2022 propone un quadro più ampio per l’alleanza che ristabilisce il suo ruolo militare, pur mantenendo il suo ruolo politico e adottando un approccio più globale, integrando la Cina e discutendo questioni di sicurezza pertinenti al dominio economico. Ancora più importante, propone un nuovo modello di forza che porterà probabilmente alla riorganizzazione militare dell’alleanza, proprio come fece quello proposto nel 1952. Il documento discute l’istituzione della struttura di comando della NATO per l’era dell’informazione e le modalità con cui la NATO intende espandere le proprie capacità e cooperazione militari. La formulazione indica un ulteriore potenziamento militare, alludendo anche alla formazione di una piattaforma in grado di supportare operazioni globali in ambito militare, politico ed economico.

In effetti, il nuovo modello di forza è al centro del Concetto strategico, che significa “rafforzare in modo significativo la deterrenza e la difesa per tutti gli alleati … [e] rafforzare la nostra resilienza contro la coercizione russa”. A tal fine, le informazioni pubblicamente disponibili, compreso il contenuto di un discorso pronunciato dal Segretario generale Jens Stoltenberg la scorsa settimana, suggeriscono piani della NATO per aumentare la sua presenza nella sua parte orientale, il che potrebbe comportare l’espansione e il rebranding della Forza di risposta della NATO, composta da 40.000 uomini. Allo stesso tempo, il nuovo modello di forza per i fianchi orientale e sudorientale della NATO, che ospiterà il Corpo alleato di reazione rapida, prevede un futuro in cui migliaia di altre truppe con base nei loro paesi d’origine sono pronte a schierarsi se necessario.

Stoltenberg ha anche affermato che la Forza di risposta della NATO di circa 40.000 soldati sarà trasformata in una forza futura di circa 300.000 soldati mantenuti in allerta, con 44.000 mantenuti in alta prontezza. Sebbene non sia chiaro come i membri dell’alleanza pianifichino di raggiungere quel numero, significherebbe che, per la prima volta, tutte le forze di reazione rapida sotto il comando della NATO saranno impegnate in un ruolo di deterrenza e difesa e che tutte queste forze saranno consolidate sotto una unica struttura di comando. Sulla base delle spiegazioni offerte pubblicamente, il nuovo modello di forza vuole che questa nuova forza sia trattenuta con 24 ore di “preavviso per agire”, mentre la maggior parte della struttura della forza NATO si manterrà con 15 giorni di “preavviso per muoversi”. Si tratta di uno straordinario miglioramento dell’attuale struttura, dove alcune forze armate hanno un preavviso di 180 giorni per trasferirsi, essenzialmente rendendo l’alleanza più flessibile e più dinamica. La nuova strategia vedrà anche equipaggiamenti pesanti preposizionati vicino ai confini della NATO. Tutto ciò indica che gli Stati membri sono maggiormente impegnati a rendere nuovamente la NATO una forza militare più forte.

Raggiungere le dimensioni e la portata di una tale forza sarà costoso per gli alleati della NATO. Ecco perché Stoltenberg ha affermato che l’impegno di investimento della difesa della NATO del 2% del prodotto interno lordo per alleato è ora “più un minimo che un tetto”. Diversi membri europei della NATO, tra cui Germania, Regno Unito e Paesi Bassi, si sono già impegnati ad aumentare di conseguenza i rispettivi budget per la difesa. Ma, soprattutto, quasi tutta l’Europa ha a che fare con un’inflazione elevata e economie post-COVID, quindi il successo di questi impegni dipende dai vincoli economici futuri.

Leadership americana

In una certa misura, dipendono anche dalla leadership americana e non è chiaro se gli Stati Uniti condividano interamente le preoccupazioni dell’Europa. Una versione riservata della strategia di difesa nazionale degli Stati Uniti è stata resa disponibile al Congresso alla fine di marzo e sembra dare alla Cina e alla regione indo-pacifica una priorità maggiore rispetto a Russia ed Europa. (Questo è probabilmente il motivo per cui il Concetto strategico della NATO si concentra sui collegamenti tra Russia e Cina e afferma che tali collegamenti minacciano la sicurezza europea.) L’NDS offre informazioni su come gli Stati Uniti considereranno il nuovo modello di forza della NATO e la sua forza futura. Secondo i dettagli disponibili pubblicamente disponibili sulla strategia, la futura forza americana sarà costruita su tre principi: “deterrenza integrata” e poteri di combattimento credibili, campagne efficaci nella zona grigia e “costruzione di un vantaggio duraturo” sfruttando nuove, emergenti e dirompenti tecnologie. E per la prima volta, l’NDS implica un ruolo più importante per gli alleati nell’aiutare gli Stati Uniti a raggiungere i propri obiettivi strategici e le sfide, in particolare all’interno e intorno al teatro europeo. Tutto ciò indica la sfida di mantenere l’interoperabilità tra la futura forza statunitense e le forze alleate.

Il messaggio di Washington è chiaro: l’Europa dovrà iniziare a condividere la responsabilità di garantire la sicurezza europea. Ciò significa una NATO più robusta e forte. Mentre gli Stati Uniti hanno chiesto all’Europa di farlo in diverse occasioni in passato, l’attuale scenario bellico gioca a favore degli Stati Uniti poiché gli alleati della NATO sono fortemente incentivati ​​dalle operazioni militari russe a mantenere l’integrità della NATO e migliorare le capacità di difesa nazionale.

Washington a parte, la base per il futuro della NATO è disporre di forze sufficienti per scoraggiare e impegnarsi nelle crisi, per rispondere quindi rapidamente a qualsiasi crisi dentro e intorno all’area euro-atlantica. Il nuovo Concetto strategico riafferma l’impegno della NATO per la difesa collettiva, con un approccio a 360 gradi basato su tre compiti fondamentali di deterrenza e difesa, prevenzione e gestione delle crisi e sicurezza cooperativa. Tutto ciò indica la complessità dell’ambiente in cui la NATO sta attualmente lavorando.

Il Concetto strategico è un tacito riconoscimento della guerra economica globale in cui è impegnato il mondo, motivo per cui invita anche la NATO a lavorare ulteriormente per sviluppare il suo ruolo politico e perché menziona la conservazione del vantaggio tecnico della NATO, una trasformazione digitale che migliora le tecnologie informatiche ed emergenti e dirompenti e il mantenimento dell’ordine basato su regole, che vanno tutte oltre l’ambito di un allineamento puramente militare. In parole povere, il mondo è più complicato ora di quanto non fosse negli anni ’50, quindi se l’alleanza vuole mantenere il suo vantaggio, dovrà farlo in una varietà di domini. Questo è esattamente ciò che richiede il nuovo concetto.

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La Turchia, l’Italia e il realismo_di Giuseppe Gagliano

Articolo come sempre ben centrato nella sua consueta essenzialità. Il focus è incentrato su uno Stato, la Turchia e un capo di governo, Erdogan, destinati ad assumere, nella veste di una potenza di media grandezza, un ruolo di primo piano in un ampio, se non addirittura sovradimensionato, in assenza di supporto e placet da parte dei grandi, spazio che va dall’area turcomanna, ai Balcani, all’Europa Orientale, al vicino oriente, al Mediterraneo Centro-Orientale, all’Africa Sahariana e Sub-sahariana. Offre altresì uno spunto interessante sulle miserie domestiche per caratterizzare ulteriormente, a seconda dei casi, la postura rispettivamente di plenipotenziario, di luogotenente e di cerbero di Mario Draghi, sotto le mentite spoglie di Capo di Governo. Non so se avete notato l’apparente discrasia tra l’annuncio trionfalistico e denso di aspettative per il prestigio del paese che ha accompagnato l’investitura a Presidente del Consiglio di Mario Draghi e il tono dimesso che ha accompagnato le particolari e specifiche prestazioni del nostro nell’agone internazionale. Un po’ c’entra la goffaggine con la quale il nostro si è avventurato nelle sue scorribande, specie esterne e prospicienti al suo territorio di elezione e di coltura, l’Europa; una sorta di ripetitore automatico, spesso gracchiante ed approssimativo. Tantissimo c’entra il merito della sua missione e la natura dell’esercizio delle sue funzioni.

Mario Draghi, ammantato dell’aura di supertecnocrate, è stato invocato per sistemare la farraginosa macchina amministrativa quel tanto che bastasse per avviare e mettere in atto il PNRR. Al di là delle aspettative illusorie affidate al piano e al netto dei suoi aspetti compromettenti e vincolanti, il nostro sta deludendo nell’ambito riformatore, sta ampiamente conseguendo altresì l’obbiettivo di vincolare ulteriormente le future politiche economiche e, conseguentemente, le dinamiche geopolitiche del nostro paese al carro NATO-UE ormai sempre più simbiotico. La missione ormai nemmeno tanto più occulta ed imprescindibile è un’altra: condurre con mano i paesi europei dell’area mediterranea all’interno delle spericolate strategie dell’attuale leadership americana. Con poco sforzo Spagna, Portogallo e Grecia hanno seguito il buon pastore in ordine ed allineati. Vigilare sui comportamenti di Macron in Francia e Scholz in Germania. I due conoscono sin troppo bene la propensione gregaria e la fonte primaria della sua affiliazione. E’ evidente lo scarso gradimento riguardo alla sua ossessiva presenza; hanno il serio problema, a prescindere dalla loro indole e propensione politica, di dover fronteggiare i forti impulsi di autonomia presenti all’interno dei rispettivi paesi. Che sia questa la funzione essenziale da svolgere lo si deduce dalla irrilevanza dei risultati ottenuti in ambito UE da Mario Draghi in materia di calmieramento e compensazione dei danni seguiti alla pedissequa attuazione delle sanzioni nominalmente ai danni della Russia. L’aspetto più pernicioso, che rivela per altro definitivamente lo spessore umano della persona e dell’uomo di governo, si è manifestato nella postura assunta di recente nei confronti della Turchia. A fronte di qualche risultato raggiunto nel campo degli scambi commerciali e delle commesse industriali, in settori nei quali per altro l’Italia ha mantenuto parzialmente la capacità produttiva ma perso significativamente il controllo strategico, risalta l’accettazione acritica della superiore postura strategica assunta dalla Turchia in aree di interesse vitale dell’Italia, a cominciare dal controllo degli hub energetici del Mediterraneo Orientale per finire con la gestione della crisi libica. Il tutto ovviamente in linea con l’accettazione pedissequa dei nuovi orientamenti statunitensi nei confronti della Turchia, ma particolarmente onerosi per il nostro paese. Dal punto di vista simbolico la irridente anticamera imposta a Draghi e a mezzo governo italiano in attesa del vertice è stata una significativa illustrazione della reale condizione geopolitica del nostro paese della quale il nostro luogotenente non fa che prendere atto e perseguire, perfezionandola. Questo commento non è una gratuita e sterile manifestazione di livore nei confronti di un personaggio tanto estraneo quanto influente nell’agone politico italiano. Vuole stigmatizzare la tragica e grave condizione nella quale sta trascinando il paese grazie alla sua pedissequa e solerte esecuzione dei dictat statunitensi. Non è demerito suo esclusivo. Ad esso contribuiscono la grettezza della quasi totalità della nostra classe dirigente e, con la parziale eccezione di parte degli ambienti vaticani, la condizione inebetita dell’intero ceto politico. Quest’ultima è ancora una volta patrimonio comune delle compagini che sostengono il governo e della forza di opposizione: la prima a partire dalla veste assunta dal Partito Democratico, il quale per esplicita ed ostentata ammissione, ha scelto una postura “discreta” e riservata proprio per non ostacolare il cammino di Draghi; la seconda, Fratelli d’Italia, assumendo una posizione ostentatamente più realista del re tale da farla apparire pienamente corresponsabile dei prossimi disastri annunciati. Sulla base degli antefatti, molto probabilmente Mario Draghi riuscirà a sgattaiolare senza particolari danni in tempo utile per sfuggire al prossimo redde rationem; addirittura con qualche benemerenza e lascito aggiuntivo. Il cerino acceso rimarrà in mano ai suoi improbabili epigoni. In quel momento, ormai prossimo, il paese dovrà seguire necessariamente una delle due vie obbligate: una opzione autonoma ed indipendente, dai costi comunque pesanti, tale da tirarsi fuori dalla trappola costruita dall’avventurismo disperato dell’attuale leadership statunitense; la continuità nelle attuali per così dire “scelte” che avranno per epilogo l’individuazione definitiva nella Russia del capro espiatorio responsabile del disastro autolesionistico economico-sociale prossimo a venire e relativo corollario di una politica apertamente bellicista, del tutto autolesionistica per l’intero continente europeo. Il compimento tragico di un percorso avviato con la 1a guerra mondiale e proseguito con la 2a. Un paese come l’Italia, il quale quattro anni fa, ha ostentatamente rifiutato di giocare nel Mediterraneo le carte che le sono state offerte, non merita alcuna considerazione, almeno sino a quando non vorrà liberarsi delle proprie nullità al comando. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Come le democrazie liberali a volte si piegano alla ragion di Stato. Il caso della Turchia e dell’Egitto. Il corsivo di Giuseppe Gagliano

Numerosi sono i cantori dei supremi valori della democrazia liberale. Valori, questi, che tuttavia – almeno nel contesto della politica estera – vengono profondamente ridimensionati di fronte alla ragion di Stato. Per non dire vanificati. Ieri con l’Egitto. Oggi con la Turchia.

Questa discrasia tra la realtà effettuale e i nostri ideali è pienamente giustificabile e comprensibile all’interno di una determinata cornice teorica quale quella del realismo ma diventa priva di legittimità e di giustificazione se si abbraccia un approccio di tipo liberale alla politica internazionale. Cosa ha indotto il nostro paese a consolidare i propri legami con la Turchia dopo le dichiarazioni di Mario Draghi fatte lo scorso anno a proposito del premier Erdogan definito un dittatore ? Vediamole in breve.

In primo luogo la necessità di contenere i flussi migratori proventi della Libia, sulla quale ormai la Turchia esercita una politica di influenza sempre più rilevante che ha in breve tempo marginalizzato quella italiana; in secondo luogo, grazie al gasdotto Tap l’Italia avrà sempre più bisogno della Turchia. E avrà sempre più bisogno della Turchia come delle nazioni africane e di quelle mediorientali perché l’Italia ha da molto tempo rinunciato ad avere una politica energetica autonoma.

Quanto alle sinergie strette tra Italia e Turchia nel settore degli armamenti queste non fanno altro che consolidare quelle che già esistono da molto tempo, come abbiamo avuto modo di indicare in un articolo precedente. Se poi guardiamo alle scelte poste in essere dal premier turco sia in relazione al vertice di Madrid della Nato – dove è riuscito a ottenere, senza troppo clamore, che in cambio di un suo ‘sì’, in relazione all’ingresso di Helsinki e Stoccolma nella Nato, la Finlandia e la Svezia promettessero di non prestare più sostegno ai leader curdi che Ankara considera ‘terroristi’ -, sia a indurre gli USA a rivedere la loro decisione di non vendere i 40 caccia F16 il vero vincitore del vertice di Madrid è certamente il premier turco.

Forse sulla carta e sui preziosi volumi di diritto internazionale e di filosofia della politica i valori della democrazia sono sacri e puri – come l’amore narrato nei film hollywoodiani – ma nel contesto della realtà conflittuale, quale è quella della politica internazionale, questi valori vengono profondamente ridimensionati e relativizzati. Ecco che allora la realtà concreta nella quale viviamo assomiglia a una via di mezzo fra un dramma e una tragica farsa.

https://www.startmag.it/mondo/turchia-egitto-italia-ragion-di-stato/?fbclid=IwAR01QO-5qz7R_tQLpoOGDb3c83f-DfpOfnKyd9vufBZmVgoMqtKPKi9CTq8

QUANTO COSTA LA BONTA’?_di Roberto Buffagni

QUANTO COSTA LA BONTA’?

Non so se noi italiani abbiamo capito che la strategia americana sull’Ucraina (prolungare la guerra, dissanguare la Russia, provocarne la destabilizzazione e la frammentazione politica in vista del contenimento della Cina) ha un effetto collaterale garantito, per noi: rapida fine del welfare, per quel che ne resta, che non è poco (sanità e istruzione pubbliche anzitutto).

Sono molto ignorante in economia, se qualcuno che se ne intende correggerà gli errori che certo commetterò gliene sarò grato. In logica però me la cavo. La logica che propongo è la seguente.

La strategia americana implica questi presupposti:

  1. Finanziare a tempo indeterminato l’Ucraina, uno Stato in guerra con una grande potenza dotata di risorse strategiche di molto superiori; uno Stato la cui economia è già devastata, e lo sarà progressivamente sempre di più. Dunque non solo finanziare le FFAA ucraine, ma un intero paese grande il doppio dell’Italia che già ora non è in grado di provvedere autonomamente ai bisogni elementari della sua popolazione e delle sue istituzioni, e lo sarà sempre meno.
  2. L’Europa mediterranea non conta più nulla, conta soltanto l’Europa Orientale e Scandinava, che deve diventare l’hub logistico della guerra contro la Russia, fornire truppe, prendere posizioni politiche utili (es., adesione alla NATO di Finlandia e Svezia).
  3. Qualcuno deve pagare i conti al punto 1 e 2 + tutti i conti accessori, ad es. quel che chiede e chiederà la Turchia, un elemento chiave nella strategia USA. C’è un limite anche alle possibilità americane di erogare denaro con la bacchetta magica della FED. Chi paga il resto? Secondo me paga l’Europa mediterranea, e in prima fila l’Italia, il Bel Paese dove il sì suona ancor prima che gli americani pongano le domande.

Morale: non solo perdiamo mercati per noi molto importanti come il mercato russo, ma dobbiamo pagare il conto stratosferico della strategia che ce li fa perdere. Da dove usciranno questi soldi? Qualcosa mi suggerisce che usciranno dal risparmio degli italiani + dalle casse dello Stato italiano. Il quale non ha la bacchetta magica della FED, non può erogare a debito neanche un euro senza il permesso della UE che ormai coincide con la NATO, e dunque taglierà progressivamente il welfare, obiettivo: welfare zero.

Le classi dirigenti italiane cercheranno di indorare la pillola con cantafavole sulla battaglia della democrazia contro le autocrazie, con la promessa che domani si farà credito, con provvedimenti assistenziali tipo cerottino sulle ferite da mitragliatrice, con la difesa dei diritti inalienabili dell’individuo tipo il suicidio assistito. Quando il confronto tra realtà della vita quotidiana e cantafavole le polverizzerà, si verificheranno vari disordini e proteste che però, non trovando organizzazione e direzione politica adeguate, saranno spente con il vecchio sistema del bastone (manganellate in piazza, denunce e processi a raffica, accertamenti fiscali ai riottosi, etc.).

Sintesi: se vogliamo evitare il peggio, c’è un cambiamento preliminare che noi italiani dovremmo tentare. Il cambiamento è: smettere di identificarci con gli americani, perché almeno oggi, identificarci con gli americani = identificarci con l’aggressore (così funziona la sindrome di Stoccolma).

La subalternità dell’Italia agli USA è un fatto incontestabile, perché l’Italia è stata sconfitta nella IIGM, e assegnata, a Yalta, alla zona d’influenza statunitense. Sino all’implosione dell’URSS, questa subalternità è stata gestita in modo sostanzialmente favorevole, o almeno tollerabile, per l’Italia: per gli USA l’Italia era strategicamente importante, e le classi dirigenti italiane si ritagliavano un margine di autonomia politica per realizzare, nei limiti del possibile, l’interesse nazionale.

Oggi, l’Italia non ha importanza strategica, per gli Stati Uniti. Ce l’avrebbe solo in negativo, ossia se manifestasse serie intenzioni di rompere il fronte NATO – UE e quindi di intralciare o compromettere la strategia antirussa e anticinese americana. Dunque l’Italia passa dalla condizione di Stato satellite alla condizione di colonia vera e propria, da cui estrarre valore politico (adesione perinde ac cadaver alla politica estera USA) e valore economico (pagare il conto della strategia USA), e basta. Se le condizioni sociali della colonia Italia vanno in malora, agli Stati Uniti interessa il giusto: cioè molto, molto poco.

Come si reagisce a queste condizioni poco simpatiche? Anzitutto, fare un esame di realtà e rendersi conto che non possiamo MAI PIU’ ragionare come se l’interesse statunitense e l’interesse italiano coincidessero. Può avvenire, ma sarà sempre una rara eccezione, mai la regola. Poi, imparare a contrattare, e a giocare su più tavoli: come hanno imparato a fare i paesi africani, le ex colonie occidentali che l’esame di realtà, e molto severo, l’hanno dovuto fare prima di noi.

Bisogna anche smettere di identificarsi emotivamente e culturalmente con gli americani. Non è facile, perché il soft power statunitense ha lavorato a lungo e a fondo, e siccome per la cultura eccezionalista americana gli americani sono sempre i Buoni, identificandoci psicologicamente con loro ci sentiamo anche noi Quasi Buoni, sulla via di diventare – domani, quando il Progresso farà credito – Buoni del tutto, Buoni d.o.c..

È bello, sentirsi buoni. Però il presupposto di ogni esame di realtà è riconoscere che anche noi, e non solo gli altri, abbiamo qualcosa che non va: che anche una parte di noi è cattiva, meschina, ignobile. È difficile, è umiliante, lo so. Ma la Bontà, purtroppo, la Bontà non ce la possiamo più permettere. That’s all, folks.

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