Italia e il mondo

Il Pentagono ordina forze di reazione rapida a livello nazionale per “operazioni di disturbo civile”_ di Veronika Kyrylenko

Tre articoli di grande importanza che rappresentano la prima attuazione pratica della nuova strategia militare statunitense, per ora adombrata dall’autorevole E. Colby, ma che sarà sistematizzata e formalmente approvata, presumibilmente, nei prossimi mesi, a partire dagli otto punti già illustrati, qualche settimana fa, su questo sito. Importanti sotto vari aspetti:

  1. Lo sfilacciamento del corpo politico demo-neocon sta producendo il passaggio progressivo ad uno scontro politico sempre più interno alla amministrazione trumpiana, con tutti gli ondeggiamenti, le contraddizioni stridenti e le ambiguità che ne conseguono e ne conseguiranno
  2. Il confronto politico sta assumendo sempre più le caratteristiche di uno scontro frontale man mano che l’amministrazione Trump sta assumendo progressivamente il controllo di numerose leve dello stato centrale e/o che numerosi centri decisori e di potere si stanno spostando nella sua compagine
  3. Grazie al progressivo sfilacciamento delle connessioni organiche tra centri di potere di orientamento demo-neocon, più visibile e marcato all’interno degli Stati Uniti, il confronto sta assumendo sempre più l’aspetto di un conflitto e di una sovrapposizione potenzialmente violenta tra competenze dello stato centrale, paradossalmente sempre più detenuta dalle componenti federaliste e decentraliste, e competenze di buona parte degli stati federati, alcuni dei quali di particolare importanza e peso politico
  4. è evidente che l’attenzione e la priorità assoluta dell’azione della amministrazione è rivolta alla situazione interna, sia nelle politiche economico-sociali che di ordine pubblico, in previsione di disordini interni facilmente fomentabili in una situazione di “anarchia sociale” e di attuazione delle politiche antiimmigratorie in un contesto nel quale sarà difficile distinguere un conflitto sociale “genuino” dalle pesanti strumentalizzazioni, per altro già verificatesi nel recente passato. Tanto più che le previsioni economiche lasciano presagire, in questa fase di transizione, condizioni di instabilità e di crisi acuta.
  5. Quasi ogni atto ed evento in politica estera, sia esso riconducibile alla ispirazione demo-neoconservatrice che a quella più affine al nuovo corso, vedi la presenza assertiva nei Caraibi e la minaccia al Venezuela, ma anche alla Colombia, è perpetrato e attuato in funzione dello scontro politico interno agli Stati Uniti. Da questo, però, non scaturisce una sufficiente consapevolezza della impossibilità di scindere la politica interna dalle dinamiche geopolitiche e una maggiore coerenza ed interazione tra di essa, vista la vitale necessità di arrivare ad una regolazione accettabile del confronto geopolitico almeno con i principali attori dell’agone

Stiamo assistendo, di fatto, alla costruzione strisciante di uno “stato di eccezione” i cui strumenti, finalizzati in prospettiva alle nuove politiche e al nuovo corso, potrebbero, secondo le alterne vicende, però ritorcersi nel corso del loro utilizzo. La storia offre innumerevoli esempi in proposito. Tutto dipenderà dal successo dell’almeno parziale rinnovamento dei centri di potere e dalla solidità e genuinità della loro adesione al nuovo corso. Il “Gattopardo” alligna dappertutto, non solo in Sicilia. Mai come adesso il movimento isolazionista, ma che isolazionista in senso letterale non è, ha assunto, negli Stati Uniti, un peso politico ed una chiarezza politica così rilevante; è anche vero che, storicamente, questa area politica è stata alla fine regolarmente sconfitta o relegata ad una condizione di testimonianza. Si vedrà. I segnali inquietanti non mancano; all’interno di MAGA, però, vi è una crescente consapevolezza della situazione e della necessità di costruire un ceto politico dirigenziale ed una classe dirigente in grado di sostenere il confronto e di gestire la costruzione di un nuovo assetto._Giuseppe Germinario

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Il Pentagono ordina forze di reazione rapida a livello nazionale per “operazioni di disturbo civile”

 di Veronika Kyrylenko 31 ottobre 2025    

Pentagon Orders Nationwide Quick Reaction Forces for “Civil Disturbance Operations”
AP Images

Audio dell’articolo sponsorizzato da The John Birch Society

Il National Guard Bureau (NGB), un organo del Dipartimento della Guerra, ha ordinato a tutti gli Stati e territori degli Stati Uniti di creare una “forza di reazione rapida” (QRF) composta da truppe pronte a essere dispiegate entro il 1° gennaio 2026.

Secondo una nota riservata trapelata e visionata da Task & Purpose, ogni Stato schiererà circa 500 soldati. Secondo il rapporto,

Tutti i 50 stati, Porto Rico e Guam avranno una propria forza di reazione rapida, o QRF. I promemoria del National Guard Bureau mostrano che la maggior parte degli stati avrà 500 soldati assegnati a queste unità, ad eccezione di quelli con una popolazione più ridotta come il Delaware, che avrà 250 soldati nella sua QRF, l’Alaska con 350 e Guam con 100 soldati. La Guardia Nazionale di Washington, D.C. ha ricevuto l’ordine di mantenere un battaglione di polizia militare “specializzato” con 50 soldati della Guardia Nazionale in servizio attivo.

Lo sviluppo fa seguito a un ordine esecutivo firmato dal presidente Trump il 25 agosto, intitolato “Misure aggiuntive per affrontare l’emergenza criminalità nel Distretto di Columbia”. L’ordine ha disposto la creazione di nuove “unità specializzate” federali e militari per un rapido dispiegamento in tutto il territorio nazionale. Trump lo ha definito una necessità per garantire la sicurezza pubblica a Washington, D.C. e oltre.

Come funzionerà

Secondo gli screenshot del promemoria pubblicato da The Guardian, la nuova Forza di reazione rapida della Guardia Nazionale (NGQRF) sarà integrata nell’Elemento di supporto e assistenza CBRN (CASE), una sottounità della Forza di risposta interna (HRF) di ogni Stato.

Nel linguaggio militare, CBRN sta per “Chemical, Biological, Radiological, and Nuclear” (chimico, biologico, radiologico e nucleare), ovvero la gamma di disastri che queste squadre erano state originariamente create per contenere. Il memorandum designa la nuova QRF come una “serie di missioni aggiuntive” composta da 200 membri “addestrati in operazioni di gestione dei disordini civili”.

In effetti, le nuove unità all’interno di una struttura un tempo progettata per gestire fuoriuscite di sostanze chimiche e fughe radioattive ora si prepareranno a gestire le folle.

L’NGB fornirà a ogni Stato 100 set di equipaggiamento antisommossa e assegnerà due soldati a tempo pieno per supervisionare il personale, l’addestramento e le attrezzature. Ogni unità dovrà presentare mensilmente dei “rapporti di prontezza”. Ciò dovrà essere fatto tramite il Defense Readiness Reporting System-Strategic (DRRS). Si tratta di un database riservato del Pentagono utilizzato per monitorare lo stato operativo delle forze militari statunitensi, ora ampliato per includere controlli digitali per la preparazione alle rivolte civili.

Sulla base delle assegnazioni statali, la forza totale potrebbe superare i 23.000 soldati a livello nazionale. Il promemoria stabilisce tempi di risposta rapidi. Un quarto di ogni squadra dovrebbe essere dispiegato entro otto ore, metà entro 12 ore e l’intera unità entro 24 ore.

Il promemoria è stato firmato l’8 ottobre dal maggiore generale Ronald Burkett, direttore delle operazioni dell’NGB.

Forza contro il “dissenso”

Task & Purpose descrive come le QRF saranno unità “completamente nuove” all’interno della Guardia, citando un membro della Guardia che ha familiarità con il piano.

Tradizionalmente, le truppe della Guardia Nazionale vengono mobilitate per assistere le forze dell’ordine o rispondere a calamità naturali. Al contrario, le QRF saranno pronte per “attività civili”, ha affermato il membro della Guardia Nazionale:

Questo è diverso perché stiamo essenzialmente creando un’unità per lo spazio che risponda alle attività civili… Siamo pronti a intervenire quando ci viene richiesto. Non ci viene chiesto di mettere in piedi un’intera unità pronta a sedare il dissenso in qualsiasi momento.

Citando il promemoria, il giornale descrive inoltre come verrà gestita la “dissidenza”:

Gli Stati sono tenuti a utilizzare il “Corso interservizi per istruttori di armi individuali non letali”. Forniranno inoltre una formazione di “Livello I” e “Livello II” in materia di disordini civili, che comprende corsi sulle tecniche di de-escalation della forza, controllo della folla, comunicazioni radio portatili, uso corretto di scudi protettivi, manganelli e taser, spray al peperoncino e sicurezza pubblica, secondo quanto riportato nelle note.

Il Guardsman ha affermato che le nuove attrezzature e le nuove istruzioni “portano [l’addestramento normale] a un livello superiore”, precisando che includerebbe

Ciò che occorre per i posti di blocco improvvisati e per le operazioni relative ai detenuti[,] nonché l’addestramento che riceveranno, è molto più approfondito rispetto a quello che facciamo generalmente quando addestriamo il personale per assistere le autorità civili.

I corsi di formazione si svolgeranno in cicli di cinque giorni, nei mesi di ottobre, novembre e dicembre.

Supervisione e ambiguità

Il memorandum non definisce le condizioni che determinerebbero il dispiegamento, lasciando incerta la linea di demarcazione tra il controllo statale e quello federale. Storicamente, le truppe della Guardia Nazionale operano sotto l’autorità del Titolo 32. Tale quadro normativo consente ai governatori di dispiegare le proprie forze in caso di emergenza, mentre Washington si fa carico dei costi. Quando le truppe vengono “federalizzate” ai sensi del Titolo 10, passano sotto il pieno controllo federale e diventano, a fini legali, parte dell’esercito degli Stati Uniti. La distinzione è importante perché alle forze del Titolo 10 è generalmente vietato svolgere funzioni di polizia interna ai sensi del Posse Comitatus Act. Il memorandum non specifica quale autorità governerà le nuove unità. Ha anche lasciato aperta la questione se i futuri dispiegamenti risponderanno ai governatori o al Pentagono.

Gli obblighi di rendicontazione offrono una supervisione limitata. I comandanti devono aggiornare mensilmente i dati relativi alla prontezza operativa, ma il sistema tiene traccia principalmente dei numeri, non degli standard relativi all’uso della forza o della giustificazione delle missioni.

Anche la definizione di “mobilitazione rapida” rimane vaga. La maggior parte degli Stati dispone già di forze di reazione rapida o forze di risposta rapida (RRF). Si tratta di piccoli contingenti composti da circa 50-125 soldati addestrati a intervenire entro quattro-otto ore in caso di emergenze quali calamità naturali o incidenti di sicurezza localizzati. Il nuovo piano sembra semplicemente ampliare tale modello, dotandolo di una struttura permanente e di una nuova attenzione ai disordini civili.

Tali ambiguità potrebbero mettere alla prova sia i limiti costituzionali che quelli politici. I governatori potrebbero opporsi agli ordini che ritengono eccessivi da parte del governo federale. Le forze di polizia locali potrebbero mettere in discussione il modo in cui la Guardia Nazionale si integrerà nelle operazioni di controllo della folla già regolate dalla legge statale.

Contesto politico

L’iniziativa fa seguito a una serie di interventi interni di alto profilo sotto l’amministrazione Trump. Negli ultimi mesi, le truppe della Guardia Nazionale sono apparse a Los Angeles, Washington, Chicago, Memphis e Portland, spesso nel mezzo di controversie tra funzionari federali e locali su chi dovesse controllare la risposta a eventi che andavano dalle proteste legittime alle rivolte.

I critici sostengono che il nuovo programma QRF crei un meccanismo permanente per un rapido dispiegamento interno che si presta ad abusi. Janessa Goldbeck, ex capitano del Corpo dei Marines, ha dichiarato al The Guardian che

L’ordine rappresentava “un tentativo da parte del presidente di normalizzare una forza di polizia nazionale militarizzata”.

La Casa Bianca ha respinto tale interpretazione. Abigail Jackson, portavoce, ha dichiarato:

Il presidente ha legittimamente dispiegato la Guardia Nazionale in diverse città, sia in risposta a violente rivolte che i leader locali si sono rifiutati di sedare, sia su invito delle forze dell’ordine locali per fornire assistenza, ove opportuno.

Il modello è difficile da ignorare. I disordini, spontanei o orchestrati che siano, sono seguiti da un aumento della sicurezza federale.

Il momento è particolarmente critico in vista del ciclo elettorale del 2026. L’espansione della preparazione militare per le “operazioni di disturbo civile” rischia di accentuare la normalizzazione del coinvolgimento militare nella vita politica, in particolare perché i malintenzionati potrebbero cercare di incanalare la legittima frustrazione dell’opinione pubblica in manifestazioni distruttive e illegali. Tuttavia, l’interazione tra i campi del “caos” e dell'”ordine” funziona meno come un conflitto che come una coreografia, un meccanismo ricorrente attraverso il quale entrambe le parti promuovono il consolidamento del potere statale.

“Invasione dall’interno”: il piano di Trump di usare l’esercito nelle città degli Stati Uniti

 di Veronika Kyrylenko 1 ottobre 2025    

“Invasion From Within”: Trump’s Plan to Use the Military in U.S. Cities
AP Images

Audio dell’articolo sponsorizzato da The John Birch Society

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Martedì, il presidente Trump si è rivolto ai capi di Stato Maggiore congiunti, al suo segretario alla guerra e agli alti comandanti (la trascrizione è disponibile qui) presso la base dei Marine Corps di Quantico, in Virginia. La sessione è stata convocata per esaminare la prontezza militare, le priorità di bilancio e le iniziative imminenti. L’ordine del giorno comprendeva nuovi programmi di armamento, l’ampliamento della struttura delle forze armate e il cambiamento di dottrina dell’amministrazione sotto il nome ripristinato di “Dipartimento della Guerra“. Si è trattato sia di un briefing politico che di una direttiva, che ha delineato le missioni che Trump si aspetta che le forze armate intraprendano nel prossimo anno.

Tuttavia, l’elemento più sorprendente del discorso non sono state le cifre del bilancio o gli annunci relativi alle attrezzature, ma il linguaggio utilizzato da Trump per descrivere la situazione interna della nazione. Egli ha avvertito che l’America è sotto attacco, non dall’estero ma dall’interno:

Siamo sotto invasione dall’interno, non diversamente da un nemico straniero, ma in molti modi è ancora più difficile…

L’esercito, ha sottolineato, dovrebbe difendere non solo i confini della nazione, ma anche le sue strade, trattando i disordini interni come un teatro di guerra.

Washington D.C. come caso di studio

Trump ha indicato Washington, D.C., come prova della validità della sua visione di un intervento militare nelle città americane. L’11 agosto ha firmato l’Ordine Esecutivo 14333 che pone il Dipartimento di Polizia Metropolitana (MPD) sotto il controllo federale. L’ordine ha anche mobilitato la Guardia Nazionale di Washington sotto il comando federale e ha chiamato unità della Guardia da altri stati per “rafforzare la missione“. Trump ha giustificato la presa di potere citando una “emergenza criminale”, anche se sia i dati indipendenti che quelli ufficiali (vedi qui e qui) mostravano che i crimini violenti nella capitale erano già ai minimi storici degli ultimi 30 anni o quasi.

Davanti ai generali, ha descritto l’operazione come un successo travolgente:

Washington D.C. era la città più insicura e pericolosa degli Stati Uniti d’America… E ora… dopo 12 giorni di grande, grande intensità, abbiamo arrestato 1.700 criminali recidivi… Ci sono passato in macchina due giorni fa, era bellissima… Washington D.C. ora è una città sicura.

Ma questa affermazione contiene una contraddizione. Se Washington è ora “la nostra città più sicura”, perché mantenere la polizia federale e la Guardia Nazionale militarizzata nelle strade? Trump presenta la repressione come un successo compiuto e una necessità continua. Secondo lui, 1.700 criminali sono stati eliminati, ma l’emergenza rimane, per ora prorogata fino a dicembre. La capitale diventa non solo la prova del “ripristino dell’ordine”, ma anche una giustificazione permanente per esportare il modello altrove.

Le “zone di guerra” dei democratici

Partendo dall’esempio di Washington, Trump è passato a un quadro urbano più ampio. Ha criticato aspramente il governo democratico:

I democratici governano la maggior parte delle città che versano in cattive condizioni… Ma sembra che quelle governate dai democratici di sinistra radicale, come hanno fatto a San Francisco, Chicago, New York, Los Angeles, siano luoghi molto insicuri e noi le rimetteremo in sesto una per una.

Ha reso esplicita la sua visione militarizzata:

E questo sarà un aspetto importante per alcune delle persone presenti in questa sala. Anche questa è una guerra. È una guerra dall’interno.

Da quel momento in poi, il discorso è degenerato in ripetizioni e improvvisazioni. Trump ha mescolato avvertimenti sulla criminalità urbana con un discorso sull’immigrazione:

Ne sono arrivati milioni, a fiumi. 25 milioni in tutto… Molti di loro non dovrebbero nemmeno trovarsi nel nostro Paese. Prendono le persone peggiori… Le mettono su un camion e le fanno arrivare.

Poi arrivò la proposta sorprendente:

Ho detto al [Segretario alla Difesa] Pete [Hegseth] che dovremmo usare alcune di queste città pericolose come campi di addestramento per la nostra Guardia Nazionale militare, ma militare, perché molto presto entreremo a Chicago.

Chicago

Chicago era l’esempio principale di Trump. Ha ridicolizzato la leadership dello Stato con parole crude:

È una grande città, con un governatore incompetente, uno stupido governatore… La settimana scorsa ci sono stati 11 omicidi e 44 persone ferite da arma da fuoco… Ogni fine settimana ne perdono cinque, sei. Se ne perdono cinque, considerano che sia stata una settimana fantastica. Non dovrebbero perderne nessuna.

Il linguaggio era stato studiato per dipingere l’immagine di una città in totale collasso, un campo di battaglia che invocava l’intervento delle truppe federali. Ma i fatti raccontano una storia più complessa. Nella prima metà del 2025, le sparatorie e gli omicidi a Chicago erano diminuiti di oltre il 30% rispetto all’anno precedente. I funzionari della città hanno celebrato quell’estate come la più sicura dal 1965.

Ciò non significa che Chicago sia immune da tragedie. La città continua a vivere weekend violenti: durante il Labor Day, 58 persone sono state colpite da arma da fuoco, otto delle quali mortalmente. A luglio, una sparatoria di massa durante una festa per il lancio di un album ha causato quattro morti e 14 feriti. La violenza nei quartieri, concentrata in poche zone, rimane persistente e devastante.

Ma questo non significa che la città sia “fuori controllo”. Eppure Trump propone di inviare l’esercito in una città dove, a quanto pare, la criminalità violenta è gestibile, solo perché ritiene che il governatore sia “stupido”. Trattare una delle più grandi città americane come una “zona di guerra” serve soprattutto a dimostrare chi, secondo lui, è “il capo”.

Portland

Trump ha poi preso di mira Portland:

Portland, Oregon, dove sembra una zona di guerra… A meno che non stiano trasmettendo registrazioni false, sembrava la Seconda Guerra Mondiale. Il tuo posto sta andando a fuoco… Questo posto è un incubo.

Trump lo ha collegato direttamente all’opposizione all’applicazione delle leggi sull’immigrazione:

Se la prendono con i nostri agenti dell’ICE, che sono grandi patrioti.

Le proteste si sono concentrate fuori dalla struttura dell’ICE in Macadam Avenue, a partire dai primi di giugno. I manifestanti hanno organizzato sit-in e marce, accusando l’agenzia di pratiche di detenzione abusive e chiedendo la chiusura della struttura. Il 12 giugno, la polizia ha arrestato 10 manifestanti. Allo stesso tempo, è stato riferito che agenti federali hanno sparato palline al pepe e altri proiettili dal tetto dell’edificio contro i manifestanti che bloccavano il vialetto. La città ha registrato diversi casi di utilizzo di proiettili chimici nei quartieri vicini, sollevando preoccupazioni in materia di salute pubblica, sicurezza e costituzionalità.

Dal punto di vista legale, la linea è chiara: interrompere o ostacolare il lavoro delle forze dell’ordine federali è un reato federale. Alcuni manifestanti a Portland sono stati arrestati proprio per questo motivo. Tuttavia, gran parte delle attività sono rimaste legittime forme di dissenso ai sensi del Primo Emendamento.

Trump ha cancellato questa distinzione. Un movimento di protesta – caotico, controverso e talvolta al limite dell’illegalità – è diventato, secondo lui, un campo di battaglia degno di un’occupazione militare.

“Loro sputano, noi colpiamo”

Trump ha trasformato il controllo della folla in una dottrina di combattimento. Ha descritto i manifestanti che sputavano in faccia ai soldati e ha annunciato una nuova regola: “Loro sputano, noi colpiamo”.

Ha poi descritto pietre e mattoni che distruggevano veicoli federali e ha dichiarato:

Esci da quella macchina e fai quello che ti pare.

Ovviamente, sputare addosso a un ufficiale è un gesto spregevole e a volte criminale, ma non è un permesso per “colpire”. Allo stesso modo, ordini vaghi come “fai quello che cavolo ti pare” in situazioni percepite come pericolose per la vita invitano all’eccesso, alla responsabilità civile e all’abuso politico. Il pericolo non è solo quello che i civili potrebbero fare per strada, ma anche quello che i soldati potrebbero arrivare a credere di poter fare in risposta.

Matematica elastica

Va brevemente sottolineato con quanta disinvoltura Trump manipoli i numeri per giustificare l’intervento militare nella vita interna, specialmente in materia di immigrazione. Durante la campagna elettorale, il suo team ha avvertito gli anziani della presenza di “10 milioni di clandestini” che avrebbero avuto diritto alla previdenza sociale. Quel numero proveniva dai controlli alle frontiere, una misura che include i passaggi ripetuti e le espulsioni.

Persino alleati come il rappresentante Chip Roy (R-Texas) hanno utilizzato cifre inferiori. Il suo rapporto del 2024 citava 8,5 milioni di attraversamenti, con 5,6 milioni di persone rilasciate e due milioni di “fuggitivi”.

Tornato in carica, Trump ora sostiene che siano “25 milioni in totale”. La cifra cresce ogni volta che viene ripetuta.

Non c’è dubbio che l’immigrazione clandestina comporti dei costi, dai bilanci locali alla droga e al traffico illegale. Ma la distorsione di Trump non riguarda la precisione. È studiata per trasformare un problema legittimo in un pretesto per trattare le città statunitensi come campi di battaglia militari.

Una nuova unità domestica

Trump ha ricordato al suo pubblico che il meccanismo è già in moto:

Il mese scorso ho firmato un ordine esecutivo per fornire addestramento a una forza di reazione rapida in grado di aiutare a sedare i disordini civili.

L’ordine impone al segretario alla guerra di creare un nuovo corpo di polizia all’interno della Guardia Nazionale di Washington, “dedicato a garantire la sicurezza pubblica e l’ordine nella capitale della nazione”, “in altre città” e persino “a livello nazionale”. I membri possono essere delegati dal procuratore generale, dal segretario degli interni o dal segretario della sicurezza interna per far rispettare la legge federale: una combinazione di ruoli che cancella il confine tra soldati e polizia.

Trump ha citato i presidenti del passato che hanno utilizzato le truppe per mantenere l’ordine interno. Richiamandosi al giuramento contro “tutti i nemici, stranieri e interni”, ha chiarito che ora anche il “interno” fa parte della missione militare.

Campi di allenamento

I commentatori spesso liquidano la retorica di Trump come semplice spacconata. Ma quando il comandante in capo dice ai generali che le città americane dovrebbero fungere da “campi di addestramento”, non si può ignorare la cosa.

Nella pratica militare, i campi di addestramento sono spazi controllati con regole di sicurezza e supervisione legale. Trump li ha ridefiniti come città reali, trattando le comunità come campi di battaglia piuttosto che luoghi in cui vivono milioni di persone.

Questo cambiamento non è simbolico. Pronunciato dalla massima autorità militare della nazione, sembra più un ordine che una metafora. Il divario tra retorica e politica è pericolosamente sottile quando chi parla può impartire ordini. Quello che Trump ha definito “prontezza” è, in effetti, un invito a militarizzare la vita civile.

Legge e Costituzione

Il fondamento giuridico dell’approccio di Trump è instabile. Il Posse Comitatus Act vieta alle truppe federali di svolgere attività di polizia civile. L’Insurrection Act consente delle eccezioni, ma solo in casi di emergenza specifici, come insurrezioni o il collasso dell’autorità statale. Utilizzare le città come “campi di addestramento” significherebbe estendere la portata della legge oltre ogni limite riconoscibile.

La Guardia Nazionale è il perno. Sotto l’autorità dello Stato, i membri della Guardia possono far rispettare la legge. Una volta federalizzati, non possono più farlo. Una “forza di reazione rapida” controllata a livello federale per sorvegliare le proteste offusca questo confine e invita all’abuso.

È difficile sopravvalutare la gravità delle mosse di Trump. Esse rischiano di trasformare l’esercito da scudo contro gli attacchi stranieri a strumento di controllo interno, erodendo proprio quei limiti che dovrebbero preservare una repubblica libera e creando un precedente che i futuri presidenti potrebbero sfruttare.

Abbiamo messo in sicurezza il confine, ma “non abbiamo ancora finito”

Rodney Scott, commissario dell’agenzia doganale e di protezione delle frontieresi è seduto con Il conservatore americanoper discutere dei recenti successi e dei piani a lungo termine per proteggere gli americani.

Rodney Scott Testifies In His Senate Nomination Hearing To Be Customs And Border Protection Commissioner

(Foto di Chip Somodevilla/Getty Images News)

Joseph Addington Headshot

Joseph Addington

26 ottobre 202512:05

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Poche agenzie governative sono state coinvolte così profondamente nelle priorità dell’amministrazione Trump come la U.S. Customs and Border Protection (CBP), che si occupa non solo della sicurezza delle frontiere, ma anche delle tariffe doganali e delle normative commerciali. Il commissario della CBP Rodney Scott ha incontrato The American Conservative per discutere di come l’agenzia sta affrontando queste priorità e di ciò che gli americani dovrebbero sapere sulle frontiere del nostro Paese.

Una delle cose che abbiamo visto dall’amministrazione Trump è stato un aumento piuttosto drastico dell’importo dei dazi doganali applicati. L’Ufficio doganale e di protezione delle frontiere degli Stati Uniti (CBP) ha un ruolo piuttosto importante nella gestione e nell’applicazione di tali dazi. In che modo ciò ha influito sulle operazioni qui al CBP?

Penso che l’aspetto più importante che le persone devono comprendere è che la sicurezza economica degli Stati Uniti è fondamentale per la sicurezza nazionale tanto quanto gli aspetti più tradizionali a cui si pensa, come la sicurezza delle frontiere o l’esercito. Il compito dell’Ufficio doganale e di protezione delle frontiere degli Stati Uniti è semplicemente quello di sapere chi e cosa entra nel Paese. Ci occupiamo già delle attività doganali relative alla riscossione e all’imposizione dei dazi. 

All’interno del CBP abbiamo due uffici dedicati a questo compito. L’Ufficio Commercio si occupa degli aspetti normativi. L’Ufficio Relazioni Commerciali collabora con gli intermediari, ovvero con il settore, per garantire che la comunicazione sia fluida e che i processi funzionino senza intoppi. Entrambi questi uffici collaborano con l’Ufficio Operazioni sul Campo, dove si svolge il lavoro visibile: gli addetti con le uniformi blu che ispezionano le merci in arrivo e verificano che corrispondano a quanto dichiarato.

C’erano molte persone che gridavano che il cielo stava cadendo, che tutto sarebbe crollato, che non avremmo ricevuto la posta, che l’economia sarebbe crollata. Niente di tutto ciò è successo, perché dietro le quinte ci sono molti professionisti che si assicurano che queste cose vadano avanti e funzionino senza intoppi. E la Customs and Border Protection è uno degli ingranaggi più importanti di quella macchina. Collaboriamo con il Dipartimento del Commercio e con la Casa Bianca per garantire che tutto funzioni correttamente. E penso che stiamo facendo un ottimo lavoro.

In effetti, stavo proprio guardando i numeri poco fa, e c’è un aumento delle entrate pari a 174 miliardi di dollari per gli Stati Uniti grazie ai dazi. Ma penso che anche questo non colga il punto. Non era quello l’intento. L’intento è ricostruire l’America e assicurarci di poter sostenere l’America, l’America in cui siamo cresciuti, e riportare l’industria e la produzione in America. Durante la pandemia di Covid e la crisi dei chip abbiamo capito che avevamo esportato troppo della nostra capacità produttiva al di fuori degli Stati Uniti. Dobbiamo riportarla indietro. Dobbiamo ristabilire la nostra capacità intrinseca di produrre beni, in modo che se dovessimo entrare in guerra o subire un attacco da parte di un avversario, non dovremmo dipendere da terzi per ottenere gli strumenti di cui abbiamo bisogno.

Ci sono state particolari preoccupazioni in materia di sicurezza nazionale per il CBP per quanto riguarda le dogane? Abbiamo visto, ad esempio, la Cina spedire merci illecite sotto mentite spoglie o effettuare operazioni di transito per eludere i dazi doganali.

Una delle missioni principali della CBP è proprio quella di sapere chi e cosa entra negli Stati Uniti. E io sostengo che, al di fuori di un contesto accademico, politico o mediatico, non è possibile separare le minacce. Per la CBP, che si tratti di uno Stato che cerca di introdurre clandestinamente merci o persone negli Stati Uniti, o di un’azienda che cerca di eludere i dazi doganali effettuando trasbordi o etichettando in modo falso merci diverse, dobbiamo occuparci di tutto questo.

Uno dei motivi principali per cui abbiamo eliminato l’esenzione de minimis è stata l’identificazione di minacce in arrivo negli Stati Uniti che non potevamo controllare efficacemente senza modificare l’intera infrastruttura e il processo. L’e-commerce ha creato un enorme volume di importazioni al di sotto della soglia de minimis, che non avevamo realmente la possibilità di ispezionare. Eravamo in ritardo su questo fronte, il che aumentava drasticamente il rischio per la sicurezza nazionale, e abbiamo affrontato il problema eliminando l’esenzione de minimis. Ora disponiamo di molte più informazioni che ci consentono di prendere decisioni informate su quali pacchi aprire in base alle minacce che abbiamo individuato, che in molti casi sono minacce alla sicurezza nazionale.

Tra un’amministrazione e l’altra abbiamo assistito a cambiamenti piuttosto drastici al confine sud-occidentale: durante l’amministrazione Biden abbiamo registrato un numero record di incontri al confine, mentre ora stiamo registrando un numero record di incontri. Quali sono stati i cambiamenti più importanti tra le due amministrazioni e in che modo hanno influito sulle operazioni della CBP?

Le questioni politiche sono importanti. L’amministrazione Trump crede nello Stato di diritto e nelle conseguenze che derivano dalla violazione della legge, indipendentemente dal contesto: immigrazione, dogane o commercio, come abbiamo appena discusso. Crediamo nelle leggi approvate dal Congresso. Crediamo nella loro applicazione.

L’amministrazione Biden era concentrata al 100% sull’obiettivo di far entrare nel Paese il maggior numero possibile di persone, senza curarsi delle conseguenze. Non abbiamo parlato di sicurezza nazionale. Non ci era permesso farlo. L’amministrazione Trump mette l’America al primo posto, garantendo prima di tutto la sicurezza dell’America. 

E tutto ciò significa semplicemente che si dà ai funzionari delle forze dell’ordine il potere di fare il loro lavoro. Da un giorno all’altro, non appena sono state introdotte delle conseguenze per l’ingresso illegale negli Stati Uniti e non ci siamo più limitati a rilasciare le persone, quel flusso si è ridotto. 

Quasi dall’oggi al domani siamo riusciti a sottrarre 400 funzionari della CBP dalle attività amministrative relative all’immigrazione e a reinserirli nel loro ruolo originario, ovvero quello di controllare le persone e le merci che entrano negli Stati Uniti, in modo da poter identificare tutte le altre minacce. Questi effetti a cascata derivanti dalla semplice applicazione della legge e dalla garanzia che vi siano conseguenze in caso di violazione della stessa scoraggiano una quantità enorme di attività illegali. 

Ora abbiamo più tempo per concentrarci su ciò che entra legalmente, identificare il fentanil, identificare i trasbordi, identificare tutte le minacce che incombono sul Paese e rispondere in modo molto più appropriato. E non abbiamo ancora finito. 

Negli ultimi nove mesi abbiamo apportato miglioramenti significativi, ma la sicurezza delle frontiere migliorerà ulteriormente con la costruzione del muro di confine intelligente, l’introduzione di apparecchiature di ispezione non invasive e l’aggiornamento di alcuni dei nostri sistemi di individuazione all’interno del CBP, per garantire che quando un agente o un funzionario individua una minaccia, questa possa essere rapidamente neutralizzata.

Uno dei grandi cambiamenti che abbiamo visto per il CBP nell’ambito di questa amministrazione è stato un notevole aumento dei finanziamenti e del sostegno attraverso il One Big Beautiful Bill. Quali sono i cambiamenti più importanti che il CBP intende attuare in risposta a ciò?

Personale e infrastrutture a lungo termine. 

C’è stato un aumento significativo sia per la polizia di frontiera che per le operazioni sul campo e il personale, perché alla fine dei conti la “tecnologia” si limita a indirizzare un essere umano verso qualcosa. La tecnologia non trova il fentanil, la tecnologia non interroga un individuo per scoprire se ha intenzioni terroristiche o se è venuto negli Stati Uniti come turista. Ci vuole un essere umano per farlo. Quindi abbiamo dovuto aumentare il personale. Ma gran parte delle infrastrutture e dei fondi sono destinati anche al sistema di muri di confine intelligenti, a nuovi aerei e ad alcune tecnologie aggiuntive nei porti di ingresso.

Lasciatemi spiegare perché anche questo è così importante. Credo che spesso si trascuri il fatto che il muro è un vero e proprio investimento progettato dagli agenti di frontiera in prima linea per uno scopo specifico. Abbiamo dimostrato la validità di questo concetto a San Diego negli anni ’90 e da allora è stato notevolmente migliorato. Nel tratto di 12 miglia in cui l’abbiamo testato e dimostrato, ci ha permesso di migliorare notevolmente, notevolmente la sicurezza delle frontiere, passando da una situazione in cui credevamo di non avere alcun controllo e non sapevamo nemmeno quante persone attraversassero il confine, a una situazione in cui abbiamo raggiunto un’efficacia del 96-98%. Abbiamo visto tutto e abbiamo intercettato il 98% dei casi (oggi direi che intercettiamo circa il 99% dei casi di attraversamento del confine). 

Ma, cosa ancora più importante, siamo riusciti a ritirare 150 agenti da quella zona e a riassegnarli ad altre aree dove non disponevamo delle infrastrutture necessarie per condurre interrogatori, per sequestrare le imbarcazioni che approdavano sulla costa o per svolgere altre attività che la tecnologia non era in grado di svolgere. Ciò ha comportato un ritorno sull’investimento di 28 milioni di dollari all’anno, anno dopo anno, per tutto il ciclo di vita di quella sezione del muro di confine.

E quello che stiamo costruendo ora è in realtà più tecnologico e migliore di quello che abbiamo costruito finora. Man mano che lo espandiamo, i contribuenti americani ottengono un ritorno diretto e immediato sul loro investimento, poiché la risorsa più costosa che abbiamo, ovvero gli esseri umani, viene impiegata per concentrarsi su cose che solo gli esseri umani possono fare. Uno o due agenti possono coprire una porzione di confine significativamente più ampia rispetto a prima. Possiamo anche destinare una parte maggiore dei nostri fondi ai porti di ingresso, dove disponiamo di tecnologie di ispezione non invasive, che consentono agli agenti di svolgere solo le attività che solo loro possono svolgere. Stiamo utilizzando la tecnologia per filtrare il disordine, per così dire, e accelerare il flusso del commercio e dei viaggi legali, in modo che la nostra economia continui a riprendersi.

So che in passato il CBP ha avuto alcuni problemi di reclutamento e fidelizzazione. Come vede cambiare questi parametri? Immagino che l’effettivo sostegno dell’amministrazione Trump all’applicazione delle leggi alle frontiere abbia fatto miracoli per il morale qui all’agenzia.

È incredibile l’effetto che hanno i messaggi. Quando vieni costantemente criticato, insultato e umiliato in pubblico, il reclutamento cala. Ma in questo momento abbiamo più reclute in arrivo che posti disponibili nell’accademia. Tutti i posti della nostra accademia sono occupati. Stiamo ampliando la nostra accademia. Stiamo andando alla grande, e gran parte del merito va all’amministrazione che ha detto alle forze dell’ordine: “Vi copriamo le spalle. Se fate il vostro lavoro, se fate rispettare le leggi che il Congresso vi ha chiesto di far rispettare, noi vi copriamo le spalle”.

Questo semplice messaggio ha avuto grande risonanza in tutto il Paese, perché ora la nostra sfida più grande è convincere le persone a entrare nella CBP invece che nell’ICE, nell’FBI o nella DEA, perché le persone vogliono una missione. La missione della CBP è fantastica. È incredibile. Quindi al momento non abbiamo alcun problema di reclutamento.

Tornando alla situazione al confine, gli attraversamenti sono diminuiti drasticamente e la sicurezza è aumentata notevolmente. Ci sono tendenze significative di cui il pubblico dovrebbe essere a conoscenza? Esistono rischi particolari o tendenze interessanti nelle statistiche, come il paese di origine delle persone fermate al confine, che vale la pena sottolineare?

Me ne vengono in mente diversi, ma vorrei partire dall’inizio, perché credo che la gente non capisca quanto sia importante questo aspetto. I cartelli hanno bisogno dell’immigrazione clandestina per ridurre i costi e i rischi legati al contrabbando di merci di alto valore negli Stati Uniti. Quando parlo di merci di alto valore, la gente pensa immediatamente alla droga, e non ha torto. Il fentanil, la droga, sono cose che perderanno quando le sequestreremo. Li bruciamo e li distruggiamo, e scompaiono. Ma con l’immigrazione clandestina, la persona viene espulsa e il cartello può creare un mercato per cercare di riaverla. Considerano gli esseri umani una sorta di risorsa rinnovabile.

Quello che abbiamo visto nell’amministrazione Biden è che molte persone hanno attraversato il confine e sono rimaste lì ad aspettare di essere arrestate, perché l’amministrazione Biden ha creato questo processo in cui venivano catturate e poi rilasciate. Ciò ha ridotto la necessità dei cartelli di spendere soldi in marketing. L’amministrazione Biden ha fatto marketing per conto dei cartelli. 

Perché i cartelli hanno bisogno degli immigrati clandestini? Non è per i soldi che pagano. Decidono in modo molto strategico quante persone attraversano il confine alla volta e dove, in modo da esaurire le risorse delle forze dell’ordine nella zona, così che chiunque sia disposto a pagare di più per non essere identificato e fotografato, per non essere catturato, o qualsiasi merce di alto valore – ancora una volta, narcotici, ma anche animali selvatici in via di estinzione (abbiamo sequestrato cuccioli di tigre e scimmie, tutti tipi di specie in via di estinzione contrabbandate), qualsiasi cosa per cui la gente sia disposta a pagare molto denaro per contrabbandare, il cartello la trattiene fino a quando non fa passare tutti i clandestini. A quel punto noi siamo occupati e loro possono portare le cose di maggior valore che non vogliono rischiare di essere catturate. Riducendo drasticamente il flusso di immigrazione clandestina, abbiamo tolto loro questa possibilità. Ora devono uscire e spendere soldi per fare marketing e cercare di convincere le persone ad attraversare illegalmente il confine per creare quella distrazione.

Questo messaggio è stato diffuso a livello globale. Quindi ora siamo tornati a quelle che definirei le norme tradizionali alla frontiera, dove la maggior parte delle persone che arrestiamo proviene dal Messico. I paesi esotici, quelli con un rischio molto elevato di terrorismo in tutto il mondo, sono tutti scomparsi. Non compaiono quasi più nei miei rapporti. La situazione è cambiata radicalmente: durante l’amministrazione Biden, ogni giorno c’erano persone provenienti da circa 150 paesi diversi che attraversavano il confine sud-occidentale. In questo momento provengono solo da tre o quattro paesi e i nostri agenti sono lì per catturarli.

Come hanno reagito i cartelli a queste nuove tendenze nella sicurezza delle frontiere? Le frontiere sicure devono essere molto più difficili da attraversare per loro, ma sono sicuro che hanno dei modi per aggirarle. Quali sono i modi più evidenti con cui ha visto reagire la criminalità organizzata e cosa ha fatto la CBP per contrastare queste operazioni?

Non è la prima volta che ci capita. Stiamo vedendo ciò che avevamo previsto. 

Abbiamo fatto alcune previsioni informate basandoci sulla nostra esperienza precedente. Nel corso della storia, ci sono stati periodi in cui abbiamo effettivamente migliorato la sicurezza dei confini e abbiamo assistito a dei cambiamenti. Trump 45 ne è un buon esempio. Abbiamo ridotto l’immigrazione clandestina come mai prima d’ora. Abbiamo iniziato a costruire il muro di confine. Abbiamo visto cambiare le cose. 

Prima di tutto, vi sfido a ripensare agli ultimi quattro anni dell’amministrazione Biden e a trovare un solo caso in cui avete visto o sentito parlare della scoperta di un tunnel sofisticato lungo il confine. Il cartello non ha dovuto spendere tutti quei soldi né fare tutti quegli sforzi. Ha semplicemente attraversato il confine a piedi. Crediamo quindi che torneranno indietro e proveranno altre tecniche collaudate in passato, come i tunnel sofisticati. Noi siamo pronti. Abbiamo task force molto preparate e ben informate in luoghi specifici. Abbiamo a disposizione tecnologie che non avevamo in passato, ma affronteremo questa minaccia. Non mi addentrerò troppo nei dettagli, ma ci stiamo lavorando attivamente.

Sappiamo che si spingeranno nell’ambiente marittimo e inizieranno a risalire la costa della California e del Golfo. In questo momento, abbiamo collaborato con la Guardia Costiera degli Stati Uniti e il Dipartimento della Guerra per dispiegare navi e risorse marittime in un modo che non abbiamo mai fatto prima. Quindi quello che state vedendo al confine terrestre è una cosa importante, ma non ci siamo fermati qui. Stiamo già mettendo a frutto tutte le lezioni apprese in passato e stiamo apportando le opportune modifiche.

Abbiamo assistito a un aumento dell’attività dei droni, non solo per sorvegliare le nostre attività, ma anche per trasportare droga. Stiamo anche osservando ciò che accade in Messico, che non viene riportato molto pubblicamente. I cartelli messicani hanno armato i droni e li stanno letteralmente usando gli uni contro gli altri, contro la polizia messicana e contro l’esercito messicano. Il loro uso della violenza per commettere crimini è aumentato a dismisura, soprattutto in Messico, ma anche a sud di alcune delle nostre stazioni, in particolare in Texas, a Laredo e nella valle del Rio Grande, dove gli agenti sentono effettivamente gli spari. Gli scontri a fuoco sono continui. Abbiamo avuto proiettili vaganti calibro .50 che sono arrivati a nord, negli Stati Uniti. 

Quindi ora stiamo tenendo riunioni di pianificazione chiedendoci: come affrontiamo la questione? Perché sappiamo che la violenza aumenterà. Non se ne andranno semplicemente a casa. Vogliono continuare a fare soldi. Stiamo intaccando i loro profitti e loro si sentiranno frustrati. Ma noi siamo preparati. Questo è uno dei motivi principali per cui abbiamo impiegato molte risorse del Dipartimento della Guerra per aiutarci, non solo per quanto riguarda lo schieramento e le operazioni di alto profilo, ma anche per la pianificazione, per determinare quali strumenti e quali tecniche dobbiamo mettere in atto al confine per garantire la sicurezza dell’America in futuro.

A proposito del Messico, che tipo di collaborazione ha la CBP con questo Paese? Il governo messicano è collaborativo? Che tipo di collaborazione con il governo messicano vorresti vedere in futuro?

Per stare sul sicuro, potresti sostituire il Messico con qualsiasi altro Paese e io vorrei sempre che la cooperazione fosse migliore, che la condivisione delle informazioni fosse migliore e che le operazioni integrate fossero migliori. Con il Messico, ora sono dieci volte migliori rispetto agli ultimi quattro anni. Il Messico sta effettivamente intensificando i propri sforzi e ci sta aiutando. Sta effettuando pattugliamenti congiunti con noi, in cui le forze dell’ordine statunitensi operano sul lato americano del confine e quelle messicane sul lato sud, lavorando in tandem. Condividiamo informazioni e collaboriamo molto meglio che in passato.

Non dirò che è perfetto, non dirò che vorrei di più; riserverò queste conversazioni per i colloqui individuali con il Dipartimento di Stato e con il Messico. Ma penso che anche questo sia un aspetto importante. Queste conversazioni sono in corso. Finché siamo nella stessa stanza a discutere e a lavorare per migliorare le cose, penso che stiamo andando nella direzione giusta, ed è così.

A proposito di cooperazione, un altro sviluppo che abbiamo visto negli sforzi dell’amministrazione Trump in materia di frontiere è la dichiarazione di aree di difesa nazionale lungo il confine, che consente l’uso delle risorse del Dipartimento della Guerra nella protezione delle frontiere. Pensa che sia stata una misura efficace? È qualcosa che vorrebbe vedere più spesso? O pensa che ci sia un approccio diverso che possa utilizzare in modo più efficace le risorse del Dipartimento della Guerra per la sicurezza delle frontiere?

Penso che sia molto, molto efficace. Tutti gli altri paesi considerano una forza invasiva proveniente dall’esterno come un rischio per la sicurezza nazionale, ma per qualche motivo, in questo paese abbiamo deciso che si trattava esclusivamente di una questione di applicazione della legge. Le aree di difesa nazionale ci offrono un’area mista. Sono tutte collegate a una base militare, ma consentono alle forze armate di fare sostanzialmente ciò che farebbero in qualsiasi base militare degli Stati Uniti, ovvero contribuire a proteggere il perimetro. Per noi è stato un enorme moltiplicatore di forza.

Ma vorrei anche sottolineare che durante la mia carriera come agente di pattuglia di frontiera, prima di diventare commissario, poco più di 29 anni, non c’è mai stato un momento in cui non abbiamo collaborato con l’esercito al confine in modi diversi. Le diverse amministrazioni hanno consentito diversi livelli di cooperazione e dispiegamenti. Direi che ora la situazione è migliore che mai. In parte ciò è dovuto al fatto che, senza entrare troppo nei dettagli, sei giorni alla settimana ho una telefonata in cui parlo con i miei omologhi del Dipartimento della Guerra e di molte altre organizzazioni. Sono telefonate in cui ci chiediamo: come vanno le cose? Cosa funziona? Cosa non funziona e come possiamo migliorare? 

Questo tipo di chiamate integrate sono state promosse dalla Casa Bianca e, sebbene abbiamo sempre parlato in precedenza, non lo abbiamo mai fatto in questa misura.

Vorrei anche porre una domanda più attuale. Quest’estate abbiamo assistito all’arresto di due ricercatori cinesi che trasportavano un fungo che avrebbe potuto causare danni significativi all’industria agricola americana. Esiste un rischio particolare di ulteriori atti di agroterrorismo cinese o altre minacce simili? Qual è l’approccio della CBP per contrastarli?

Sono davvero contento che tu abbia sollevato questo argomento, perché è una delle altre questioni di cui parliamo che non riceve molta attenzione. 

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Abbiamo una capacità di ispezione agricola completa. All’interno di questa organizzazione, abbiamo specialisti agricoli che si occupano specificamente di questo tipo di cose. Abbiamo un altro componente chiamato Laboratorio dei Servizi Scientifici. Pensatelo come una sorta di CSI per questo tipo di cose. Lavoriamo direttamente con il Dipartimento dell’Agricoltura e cerchiamo specie invasive, determinati semi, persino i pallet su cui arrivano altre merci vengono ispezionati alla ricerca di insetti, tarli o persino ragni che non appartengono agli Stati Uniti.

È una cosa che succede ogni giorno. Mentre cerchiamo il fentanil, mentre cerchiamo i terroristi cinesi che entrano negli Stati Uniti, o gli iraniani, o qualunque altra minaccia ci sia quel giorno, è un’operazione continua. Grazie per averlo sottolineato, perché molte persone, me compreso, a volte dimenticano di metterlo in evidenza. Ma è un aspetto fondamentale, che riguarda la sicurezza economica degli Stati Uniti. Riuscite a immaginare la scomparsa dell’industria del grano? È una parte importante del nostro lavoro che spesso passa inosservata.

Questa intervista è stata modificata per motivi di concisione e chiarezza.

Informazioni sull’autore

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Joseph Addington

Joseph Addington è redattore associato presso The American Conservative. Si è laureato alla Brigham Young University. Potete seguirlo su Twitter all’indirizzo @JosephAddington.

Cinque punti chiave dall’accerchiamento dell’Ucraina_di Andrew Korybko

Cinque punti chiave dall’accerchiamento dell’Ucraina

Andrew Korybko1 novembre
 
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Putin sta nuovamente tendendo una mano a Zelensky e Trump con il suo ultimo gesto di buona volontà, perché non vuole davvero che il conflitto si protragga né che si espandano le rivendicazioni territoriali della Russia, come probabilmente accadrebbe in tal caso.

Putin ha annunciato che più di diecimila soldati ucraini sono stati circondati a Kupyansk e Krasnoarmeisk (Pokrovsk), con il suo Ministero della Difesa che ha presto aggiunto Dimitrov (Mirnograd) vicino a quest’ultima alla lista. Il leader russo ha anche proposto di interrompere i combattimenti in modo che i giornalisti stranieri, compresi quelli ucraini, possano recarsi al fronte per riferire sulla situazione. Putin ha suggerito una resa di massa proprio come nella situazione di stallo di Azovstal all’inizio del 2022, ma Zelensky sembra disinteressato, almeno per ora. Ecco cosa significa tutto questo:

———-

1. La Russia continua a guadagnare terreno nonostante i miliardi di aiuti occidentali all’Ucraina

The Economist ha recentemente pubblicato un articolo in cui sollecita l’Europa a finanziare l’Ucraina nei prossimi quattro anni, con un costo per i contribuenti che secondo loro ammonterebbe ad almeno 390 miliardi di dollari. L’articolo riporta inoltre che quest’anno sono stati spesi 100-110 miliardi di dollari, “la somma più alta mai raggiunta”, per un totale di 360 miliardi di dollari dal 2022 (probabilmente una stima al ribasso). È abbastanza chiaro che gli aiuti occidentali non sono riusciti a respingere la Russia, ma solo a rallentarne l’avanzata. L’accerchiamento dell’Ucraina dimostra quindi che nessuna somma di denaro potrà infliggere una sconfitta strategica alla Russia.

2. Il treno della fortuna potrebbe finire se l’Ucraina riconoscesse questo accerchiamento

Sulla base di quanto sopra, Zelensky e il comandante in capo Alexander Syrsky hanno negato questi accerchiamenti, molto probabilmente perché temono che il suddetto treno della fortuna possa finire o almeno rallentare se ordinano alle loro forze di arrendersi. Dopo tutto, la perdita di migliaia di soldati in tre accerchiamenti nel corso di tre anni e mezzo di conflitto non è cosa da poco, e potrebbe indurre alcuni funzionari occidentali a riconsiderare il finanziamento all’Ucraina, dato che la vittoria che era stata loro promessa non è più in vista.

3. La conquista di questi tre insediamenti da parte della Russia sarebbe un evento piuttosto importante.

Che le forze ucraine vengano eliminate o si arrendano, la conquista di questi tre insediamenti da parte della Russia sarebbe un evento piuttosto importante, specialmente quello di Krasnoarmeisk/Pokrovsk, poiché è la porta d’accesso alla regione di Dnipropetrovsk dove le forze russe sono già entrate all’inizio dell’estate. Qualsiasi ulteriore avanzata lungo le pianure non presidiate oltre il suddetto insediamento potrebbe costringere l’Ucraina a soddisfare le richieste di pace della Russia o spingere gli Stati Uniti a “intensificare per allentare la tensione”.

4. Putin preferisce una rapida soluzione politica piuttosto che una lunga guerra di logoramento

Contrariamente a quanto alcuni hanno valutato, Putin non vuole che il conflitto si protragga né vuole espandere le rivendicazioni territoriali della Russia, motivo per cui ha invitato le truppe ucraine circondate ad arrendersi. Egli spera che questo gesto di buona volontà possa portare al ritiro dell’Ucraina dal resto del Donbass e quindi a una rapida soluzione politica che soddisfi gli altri obiettivi della Russia. Zelensky vuole continuare a combattere per i motivi egoistici citati in precedenza, quindi alla fine tutto dipenderà da ciò che vuole Trump.

5. Trump deve decidere presto se vuole fare sua questa guerra

Trump considera il conflitto ucraino come “la guerra di Biden” e insiste sul fatto che non sarebbe scoppiato se lui avesse vinto le elezioni del 2020, eppure presto dovrà decidere se vuole davvero la pace, come sostiene, o se è disposto a fare sua questa guerra, perpetuandola a tempo indeterminato. Putin gli sta offrendo una via d’uscita invitando le truppe ucraine circondate ad arrendersi come mezzo per rilanciare i negoziati di pace congelati, quindi spetta a Trump decidere se fare pressione su Zelensky affinché accetti o se accettare la sua sfida con tutto ciò che ne consegue.

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Il recente accerchiamento delle forze ucraine in questi tre insediamenti è quindi molto più importante di quanto possa sembrare a prima vista, alla luce delle informazioni appena condivise. Putin sta nuovamente tendendo una mano a Zelensky e Trump con il suo ultimo gesto di buona volontà, perché non vuole davvero che il conflitto si protragga né che si espandano le rivendicazioni territoriali della Russia, come probabilmente accadrebbe in tal caso. Questo momento sarà quindi visto come una pietra miliare col senno di poi, indipendentemente da ciò che Trump deciderà di fare.

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La personalità da uomo forte di Trump porta inevitabilmente a bugie e guerra_di Glenn Diesen

La personalità da uomo forte di Trump porta inevitabilmente a bugie e guerra

Prof. Glenn Diesen

Glenn Diesen17 ottobre
 
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L’affermazione di Trump secondo cui il primo ministro Modi avrebbe promesso di porre fine all’acquisto di petrolio russo era ovviamente falsa; in realtà, sembra che non ci sia stata alcuna telefonata tra i due leader. Queste invenzioni, che descrivono i leader mondiali come deferenti nei suoi confronti e pronti a lodare la sua grandezza, costituiscono un modello ricorrente, parallelo al suo approccio militaristico alla pace.

In qualità di presidente di una potenza egemone in declino, Trump è convinto che la debolezza dei suoi predecessori sia stata la causa di tale declino. Trump ha quindi concluso che mostrare forza possa invertire l’erosione del potere americano. Costruendo la propria immagine di uomo forte per eccellenza, presumibilmente rispettato da tutti, si posiziona come l’unico salvatore degli Stati Uniti. L’immagine di un leader potente, deciso e rispettato, in grado di ripristinare il dominio degli Stati Uniti, funziona anche a livello interno per consolidare il sostegno politico e proiettare stabilità durante la difficile transizione del Paese da un ordine internazionale unipolare a uno multipolare. L’opinione pubblica americana sembra disposta a chiudere un occhio o a giustificare la disonestà e le deviazioni morali come il prezzo da pagare per un ritorno alla grandezza.

Il problema principale dell’immagine dell’uomo forte è che alimenta aspettative irrealistiche di un ritorno alla supremazia degli Stati Uniti, invece di adattarsi alle realtà di un mondo multipolare. Il risultato è un modello di inganno e conflitto che alla fine indebolisce, anziché rafforzare, gli Stati Uniti.

Quando l’uomo forte non riesce a costringere i suoi omologhi alla sottomissione, l’unica risorsa è rifugiarsi nella fantasia. In questo mondo immaginario, gli altri leader si pentono delle loro decisioni di non essersi allineati, tremano quando Trump agita il dito, lo ricoprono di complimenti, rendono omaggio agli Stati Uniti e, secondo le parole dello stesso Trump, fanno la fila per “baciargli il culo”. All’interno della bolla trumpiana del cosplay da superpotenza, queste scene di deferenza sono celebrate come segni di un ritorno alla grandezza, ma nel mondo reale la credibilità americana declina e la decadenza si approfondisce. Man mano che il divario tra fantasia e realtà si allarga, Trump diventa sempre più spericolato. Un esempio calzante è rappresentato dalle minacce contro l’India di recidere i legami con la Russia e l’India, che hanno avuto un effetto boomerang spettacolare, poiché il primo ministro Modi si è invece recato in Cina per consolidare le relazioni dell’India con la Russia, la Cina e la SCO.

Le grandi potenze e gli Stati indipendenti non possono semplicemente allinearsi, perché farlo porterebbe inevitabilmente alla loro distruzione o sottomissione. L’obiettivo finale di un aspirante egemone non è quello di conciliare le differenze nel perseguimento di una coesistenza pacifica, ma di sconfiggere le potenze rivali e conquistare gli Stati indipendenti. L’obiettivo del confronto economico con la Cina non è quello di rinegoziare gli accordi commerciali, ma di minare la capacità tecnologica della Cina e contenerla militarmente per ripristinare la supremazia degli Stati Uniti. Lo scopo della guerra per procura contro la Russia non è la pace in termini di ricerca di un nuovo status quo pacifico, ma piuttosto quello di usare gli ucraini e, sempre più, gli europei per dissanguare e indebolire la Russia fino a quando non sarà più in grado di mantenere il suo status di grande potenza. Allo stesso modo, l’obiettivo del confronto con l’Iran non è quello di raggiungere un nuovo accordo nucleare – Teheran ha già accettato tali condizioni in passato – ma di ottenere la capitolazione e il disarmo dell’Iran collegando la questione nucleare alle restrizioni sui missili e alle alleanze regionali. Qualsiasi potenza che ceda anche solo marginalmente alle pressioni degli Stati Uniti si ritrova alla fine in una posizione più debole e vulnerabile, che l’aspirante egemone inevitabilmente sfrutterà. Qualsiasi accordo di pace è quindi, nella migliore delle ipotesi, temporaneo, in quanto rappresenta un’opportunità per riorganizzarsi.

L’India rappresenta un caso interessante, poiché non è una potenza antagonista. Il suo impegno nei confronti del non allineamento rende auspicabili relazioni solide con gli Stati Uniti, ma proprio questo non allineamento richiede una diversificazione strategica per ridurre l’eccessiva dipendenza da Washington. Se l’India fosse persuasa a recidere i legami con altre grandi potenze come la Cina e la Russia, rischierebbe di diventare troppo dipendente dagli Stati Uniti e di essere assorbita in un sistema geopolitico basato sui blocchi. La subordinazione a un impero in declino sarebbe pericolosa, poiché gli Stati Uniti utilizzerebbero prevedibilmente l’India come prima linea contro la Cina e, contemporaneamente, esigerebbero tributi economici e cannibalizzerebbero le industrie indiane nel perseguimento di un rinnovato dominio. In sostanza, l’India deve evitare di diventare un’altra Europa.

L’atteggiamento da uomo forte è più efficace con gli Stati più deboli e dipendenti, come quelli europei, che sono disposti a subordinarsi completamente per preservare l’impegno americano nel continente. Gli Stati europei non hanno la capacità economica, l’autonomia in materia di sicurezza e l’immaginazione politica necessarie per immaginare un mondo multipolare in cui gli Stati Uniti esercitano meno influenza e hanno altre priorità rispetto a una stretta partnership con l’Europa. Di conseguenza, i leader europei sembrano disposti a sacrificare gli interessi nazionali fondamentali per preservare l’unità dell'”Occidente politico” ancora per un po’ di tempo. In privato, possono esprimere disprezzo per Trump; in pubblico, rendono omaggio a “papà” e si mettono diligentemente in fila davanti alla sua scrivania per ricevere elogi o scherni. Tuttavia, questa sottomissione è intrinsecamente temporanea: i leader che ignorano gli interessi nazionali fondamentali vengono, col tempo, spazzati via proprio dalle forze che cercano di sopprimere.

Il mantra della “pace attraverso la forza” può essere tradotto in pace attraverso l’escalation, con il presupposto che l’avversario si siederà al tavolo delle trattative e si sottometterà alle richieste degli Stati Uniti. Tuttavia, le grandi potenze rivali che non hanno alcuna via di fuga risponderanno all’escalation con una reazione reciproca. Le illusioni dell’uomo forte in declino egemonico scateneranno quindi inevitabilmente grandi guerre.

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La coda e il cane_di WS

Chi ha visto il film  “wag  the  dog”   capisce   subito    di  quale   relazione   geopolitica parlerò qui

Ora  questo intervento di Morigi  è stimolante  per parlarne , anzi     meriterebbe pure una  critica   articolata anche  su altri spunti  qui contenuti.

Innanzitutto  però mi si perdoni una  critica formale, perché questo pur eccellente contributo è  poco  leggibile sia per la sua grafia ( il neretto)   che per la sua  stesura senza  stacchi e  per l’ affastellamento di tanti interessanti spunti i quali   tutti  meriterebbero una trattazione più estesa.

 Ragion per cui, premettendo  che  forse    potrei  aver  frainteso   quanto  in esso  volesse  essere  scritto   dall’autore,   di   questi  spunti ne commento brevemente solo quello che mi pare  dovrebbe rappresentare l’essenza di questo articolo,  laddove  cioè solleva      la   relazione  U$A -Israele  con una  similitudine “tripla”:

Biden: netanyau= Alessadro V : Cesare Borgia= Trump: Giulio II 

 La trovo  molto stimolante ma errata .

Innanzitutto perché la vera similitudine dovrebbe essere semplicemente

  Democratici: Sionisti globalisti = Repubblicani : Sionisti israeliani 

 In quanto sia i Democratici e Repubblicani che le due branche del Sionismo sono  rispettiva espressione di due ” partiti unici” : l “americanismo” e il “sionismo” appunto.

E poi perché    nemmeno i termini mi sembrano  esatti.

 Infatti  se Biden e Trump possono essere considerati due papi della ” chiesa americana”, almeno i loro frontmen, Netaniahu è solo un “braccio” del Sionismo , paragonabile   ad un Cesare Borgia, ma  solo in quanto   anch’esso  un “avventurista” , in questo caso  mosso  però anche   dalla visione  “messianica” che pervade da sempre “la destra” del Sionismo.

  E  qui posso garantire che, al contrario   del Borgia, non ci sarà nessuna “rovina personale” per Bibi; semplicemente  “ a tempo debito” sarà “posato” ( per usare, non a  caso ,un termine mafioso) cosa che era già calcolata fin da l’ inizio della “operazione Gaza” .

C’ è  appunto nel sionismo una “cupola”  più efficiente che in quella “americana” e che evita che la “dialettica interna” sfoci mai in qualcosa di realmente  e platealmente “punitivo” per i  membri  perdenti della    tribù; pure per  quelli dannosi.

La “  carità”  interna   alla  “ nota etnia”  è  non solo  molto  forte   ma anche profondamente   astuta nell’ assunto che per   consolidare   la propria tenuta    ed  estendere  il proprio potere   non devono  essere  né  abbandonati,   né  esemplarmente puniti  non solo  gli “incapaci” ma pure i “transfughi”  e perfino  anche i “rinnegati”.

Ad  esempio dopo il 1945  nessuno   dei  nazisti   di  “sangue  ebreo”  fu    realmente punito, nemmeno  chi fu   sempre leale    ad “ Herr H “   e  il “nazismo”  non lo abiurò mai.

  Poi perdipiù  le  due entità : U$A e Israele sono ormai così tanto simbiotiche da mostrarsi sempre di più come una sola entità : U$rael. 

Di questa  si può certamente  definire chi  per stazza  sia “il cane ” e chi ” la coda”, ma mi sembra incontestabile che sia quest’ultima a far ” scodinzolare il cane “.

Trump non è un Giulio II che è andato a “punire” un borgia- netaniahu . Trump è stato solo chiamato a tirare fuori Netaniahu dai pasticci in cui si era cacciato.

 E qui si può discutere solo se “l’ ordine ” sia stato impartito direttamente dalla ” destra sionista” americana che sostiene  sia Netaniahu  che  Trump o dalla cupola sionista tramite la cupola americana in cui essa è  comunque pesantemente presente, e dalla quale comunque Trump è dipendente.

La ” pace di trump” serviva solo   a questo, pur  condito  con un  teatrino in  cui si è cercato di narrare che U$rael ha vinto.

Ma non è una “pace “, è  solo una pausa tra un “round” e il successivo ed è pure discutibile che U$real   questo  round lo abbia realmente vinto.

Certo parecchi “punti”  U$rael li ha segnati, ma al prezzo di  aver  smascherato al mondo  la  complicità  che esso riceve  da lunga  data  da  pressoché tutti   gli  stati   arabi  e sunniti .

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LA PACE DI TRUMP – Campa & GERMINARIO

LA PACE DI TRUMP – Campa & GERMINARIO_Al momento della pubblicazione di questa conversazione è in corso a Sharm el-Sheikh la firma di un memorandum tra oltre venti paesi a garanzia della cessazione delle ostilità e del processo di ricostruzione di Gaza. Non sono presenti, significativamente, i due contendenti del conflitto: Israele e Hamas. Dal numero e dalla qualità dei garanti, difficilmente i due contendenti, a cominciare da Nethanyahu, potranno sfuggire alla morsa di un accordo che potrà cambiare gli equilibri e il peso dei vari paesi di quell’area. Difficile, ma non impossibile. Difficile per il peso politico dei garanti, per la stanchezza dell’esercito israeliano e la relativa vulnerabilità del suo sistema di difesa; non impossibile per l’incertezza dell’esito dello scontro politico negli Stati Uniti e per i tempi stretti di cui dispone l’attuale presidenza statunitense. Un accordo che non tarderà a mettere a nudo la natura e l’evoluzione dei rapporti tra le varie élites del mondo occidentale, i centri di Israele e quelli del Medio Oriente- Un tassello della grande complessità e ambiguità entro la quale si trova ad agire Trump e il suo composito schieramento. Un dato certo permane: l’assenza di una adeguata rappresentanza politica dei palestinesi. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Skyler Adleta: la base di Trump sta perdendo la pazienza?

Dove sta andando il mondo del lavoro organizzato nell’era Trump e nel contesto di radicali cambiamenti tecnologici? Sean M. O’Brien, presidente generale dell’International Brotherhood of Teamsters, si unisce a Oren Cass nell’ultimo episodio di The American Compass Podcast.


Skyler Adleta: la base di Trump sta perdendo la pazienza?

La Nuova Destra rischia di perdere la sua alleanza con la classe operaia.

Skyler Adleta25 settembre∙Post di un ospite
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“Voglio credere nella nuova spinta dei conservatori a rappresentare la classe operaia”, mi ha detto il mio amico Luke verso la fine di una conversazione qualche giorno fa. “Ma”, ha aggiunto, “temo che i conservatori faranno solo quello che i politici hanno fatto alla classe operaia americana per decenni”.

E cos’è?, chiesi.

“Presentano un sacco di mezze misure, si annoiano di noi e alla fine ci fregano tutti”, ha detto.

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Questa conversazione è nata dopo aver detto a Luke che sarei andato a Washington DC alla fine di questo mese. Luke è un artigiano qualificato e abilitato che lavora nel settore edile. Ha votato per Trump nel 2016, Biden nel 2020 e di nuovo per Trump nel 2024. La nostra conversazione riguardava il tentativo di Luke di capire se crede che l’amministrazione Trump porterà cambiamenti significativi per la classe operaia americana.

“A me e a te è sempre stato detto che l’America è il posto più bello del mondo. Che una bella vita è possibile se lavori duro e persegui le cose giuste. Se sei disciplinato e attento, e chissà cosa…” smise di parlare per un attimo e sospirò, “ma non sembra così. E ho la sensazione che tutti questi idioti a Washington e al potere nelle aziende possano fare storie per qualcosa e che gli ingranaggi del potere girino per rispondere alle loro storie. Non sembra che quegli ingranaggi si muovano allo stesso modo, o per niente, per persone come noi. L’accesso diffuso dei colletti blu al Sogno Americano sembra solo un unicorno. Una specie di cosa mitologica. Ma amico, anche solo dire ad alta voce che non credo che il Sogno Americano sia ampiamente raggiungibile per i colletti blu americani mi fa sentire una stronza. E, di solito, gli idioti a Washington e la nobiltà aziendale saranno i primi a dirci che ci stiamo solo lamentando. Che probabilmente stiamo facendo qualcosa di stupido che rende difficile trovare conforto. Ma non è vero.”

Luke ha continuato spiegando che la chiave per qualsiasi partito politico che intenda mantenere un sostegno costante da parte della classe operaia sarà dimostrare di sapere come funziona “la macchina” e di essere disposto a usarla per incoraggiare la mobilità della classe operaia americana “perennemente stagnante”.

“Tu ed io non siamo andati all’università”, ha continuato. “Ogni adulto nella nostra vita ci ha praticamente detto che saremmo morti se non fossimo andati all’università. Ma, a prescindere da qualsiasi motivo, io non ci sono andato. Ma non ho nemmeno bighellonato, né fatto festa, né mi sono comportato come un bambino per un decennio in più. Ho lavorato. Mi sono sposato giovane. Ho messo su famiglia. Ma mi sento come se non mi muovessi.”

Luke e sua moglie hanno due figli e vorrebbero averne un altro, ma sono oberati dai costi dell’assistenza all’infanzia. Vogliono lasciare la loro prima casa, ma i tassi di interesse e i costi degli alloggi sono troppo alti. Ha anche detto che i costi dell’assistenza all’infanzia ostacolerebbero comunque un trasloco, anche se le condizioni del mercato immobiliare fossero favorevoli. Lui e sua moglie vorrebbero anche che lei potesse stare a casa con i bambini, ma hanno sostanzialmente rinunciato a questa prospettiva. Vuole vedere un partito politico che si impegni concretamente per creare un ambiente economico favorevole alla mobilità della classe operaia. Mi ha detto che questo è stato l’unico motivo per cui ha votato per Trump nel 2024. Riteneva che Trump avesse le carte in regola per provare a cambiare lo status quo.

Gli ho chiesto se, in definitiva, le sue frustrazioni derivano dalla sensazione di non essere in grado di fare scelte significative.

“Sì”, disse esitante, continuando a procedere con cautela per paura di sembrare lagnoso o ingrato. “Ho la sensazione che appartenere alla classe operaia nel nostro Paese significhi che al massimo si può vivere in un piccolo ranch con due o, se si è fortunati, tre camere da letto. Tu e tua moglie lavorerete entrambi a tempo pieno e potrete permettervi di avere due figli. Avrete cibo da mangiare e la TV per guardare cazzate. Ma i soldi sono sempre pochi.”

Luke non è insoddisfatto o insoddisfatto di ciò che ha. Ama la sua vita e ama la sua famiglia. Ma vuole offrire alle persone a lui più vicine più opportunità e scelte migliori. Luke teme che l’attuale amministrazione possa essere un po’ ingenua, o miope, nel suo disperato tentativo di creare condizioni di mercato adeguate per la crescita industriale, senza avere un piano per affrontare e potenziare la forza lavoro sottovalutata e impreparata necessaria per capitalizzare su tale crescita. “Sappiamo tutti degli accordi commerciali e dei dazi doganali che stanno arrivando. Ma cosa succederà dopo?”, chiede Luke. “Se si avvicina un'”età dell’oro”, abbiamo bisogno di una leadership politica che comunichi la propria visione per la classe operaia americana. Semplicemente non sembra esserci un piano per preparare i lavoratori americani alla crescita che questi accordi commerciali e i cambiamenti politici sperano di portare”.

Gli ho detto che ero d’accordo, ma che al momento non sembra esserci un piano chiaro sul tavolo. Non che non lo creda possibile , ma che non credo che venga comunicata alla forza lavoro americana una visione coerente per colmare la realtà di un’America deindustrializzata e raggiungere un futuro di reindustrializzazione. Qual è il piano per formare e mobilitare l’enorme forza lavoro necessaria per aumentare drasticamente la capacità industriale americana? Qual è il piano per migliorare la mobilità, affrontare l’alto costo della vita e incoraggiare la crescita familiare per la classe operaia? Certamente una forza lavoro industriale pronta e disponibile è qualcosa che le aziende manifatturiere che aprono un’attività in America desiderano vedere. Non sono preoccupato solo per la mancanza di una visione chiara su come formare la forza lavoro di cui abbiamo bisogno. Temo che stiamo faticando anche solo a costruire i luoghi in cui manderemmo quella forza lavoro, se esistessero. Ad esempio, Luke e io abbiamo discusso dello stato di caos dello stabilimento Intel in costruzione non lontano da dove viviamo. Inizialmente il progetto prometteva di raggiungere un certo livello di operatività entro il 2025. Ora la sua entrata in funzione è stata posticipata al 2030 o forse al 2031 .

“Come diavolo fanno lo Stato e il governo federale a non impazzire per questo?” chiese Luke, menzionando gli ingenti sussidi pubblici di Intel. La prospettiva di posti di lavoro come quelli che sviluppi come la fabbrica Intel offrono a persone come Luke è incredibilmente allettante.

“Se quel progetto fosse completato e aprissero le porte all’assunzione di artigiani come me per diversi dollari in più all’ora di quanto guadagno ora, mi cambierebbe la vita. Qual è il piano per rimettere in carreggiata i tempi di costruzione della fabbrica? E l’attuale fiasco nel tentativo di costruire la struttura in Ohio scoraggerà altri produttori dallo sviluppare qui? Quante illusioni c’erano quando Intel ha firmato quell’accordo con il nostro governo?”, si è lamentato Luke. Politici e burocrati, che potrebbero non comprendere nemmeno i vincoli della costruzione o le sfide amministrative dello sviluppo, stanno liberando miliardi di dollari dei contribuenti e stanno mancando l’obiettivo operativo di sei anni.

Ho detto a Luke che non dovremmo disperare del tutto a questo proposito. Ho accennato al fatto che ci sono esempi di sviluppo manifatturiero attraverso i percorsi del CHIPS Act che stanno dando i loro frutti – come la fabbrica di TSMC in Arizona, ora operativa – ma il fiasco di Intel è un aspetto importante da osservare. Solo perché la politica sta creando l’ambiente per lo sviluppo della produzione in America non significa che dovremmo aspettarci una rinascita manifatturiera improvvisa o graduale. Faremo fatica a costruire strutture e a formare la nostra forza lavoro per un po’. Quindi dovremmo stare attenti a non aspettarci troppa fretta nel realizzare la seconda “età dell’oro” della produzione manifatturiera americana voluta da Trump. Questa realtà potrebbe far sì che la classe operaia come Luke abbia la sensazione che Trump abbia deluso le aspettative quando ha promesso un posto migliore al tavolo delle trattative per i lavoratori americani.

“‘Aspetta solo dieci anni e vedrai’ non era ciò che Trump aveva promesso durante la campagna elettorale”, ha detto Luke, “e guarda, se sarò io quello che finirà per essere stressato nei prossimi dieci o vent’anni affinché i miei figli abbiano una vita più flessibile e prospera una volta che questi cambiamenti daranno i loro frutti, allora così sia. Ma sono stanco dei politici che promettono immediatezza solo per farci sentire degli sciocchi creduloni e troppo ansiosi quando le cose non vanno come dovrebbero”.

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Luke ha anche affermato di essere un grande sostenitore di leggi e programmi che offrano reali e concrete opportunità di scelta alle famiglie lavoratrici. Quando gli ho chiesto esempi di politiche che offrano queste concrete opportunità, ha tirato in ballo la scelta della scuola. Programmi come EdChoice qui in Ohio hanno offerto l’opportunità a persone che altrimenti sarebbero escluse dai distretti scolastici privati ​​o pubblici di qualità, a causa del livello di reddito o del codice postale, di mandare i propri figli in quelle scuole, se lo desiderano. Ma EdChoice è minacciato dalla sentenza di un giudice della contea di Franklin, che ha dichiarato il programma ” incostituzionale “. EdChoice rimarrà attivo in Ohio durante il processo di appello, ma se la sentenza verrà confermata, potrebbe costringere i bambini a tornare in sistemi scolastici che migliaia di genitori ritengono non rappresentino i migliori interessi, la cultura o i desideri delle famiglie locali.

“EdChoice è stata la prima politica pubblica che, secondo me, ha dato a me e alla mia famiglia una libertà immediatamente godibile”, ha detto Luke. “So che è più una questione statale, ma è un esempio del tipo di scelte che il governo può concedere alle famiglie, che rafforzano l’idea che tutto questo sia a nostro favore, e non contro di noi”.

Per Luke e milioni di persone come lui, la preoccupazione è che l’attuale amministrazione si concentri pesantemente sui necessari cambiamenti a livello macroeconomico, necessari per preparare il terreno alla crescita industriale, trascurando invece i necessari cambiamenti a livello micro. Cambiamenti che offrirebbero un miglioramento socioeconomico alla classe di persone a cui continuano a chiedere ulteriore pazienza e che, alla fine, sperano possano stimolare nuove ambizioni industriali negli Stati Uniti. Luke non è certo l’unico tra gli elettori della classe operaia che conosco, sempre più frustrati da quella che percepiscono come parte di un gruppo demografico “truccato”. A cui è stato promesso il mondo se solo si fossero recati alle urne e avessero votato. La maggior parte è consapevole di sé e autoironica; esita a incolpare chiunque tranne se stessa. Ma vogliono anche credere che l’America sia il posto che gli è sempre stato detto che fosse. Un posto dove, se lavori sodo, ami le cose giuste e adotti un certo grado di frugalità nelle tue pratiche finanziarie, allora avrai una reale possibilità di vivere una vita felice e prospera.

A mio avviso, ci sono molte strade politiche che l’amministrazione Trump può intraprendere per risollevare significativamente la classe operaia americana. Un’idea che aiuterebbe direttamente americani come Luke è un sussidio in denaro per le famiglie lavoratrici, come il Family Income Supplemental Credit (o Fisc). A differenza di altri programmi di sussidi in denaro, il Fisc richiede alle famiglie di lavorare per poterne beneficiare. Include una struttura a livelli (800 dollari al mese per figlio a partire dal quinto mese di gravidanza, che scende a 400 dollari al mese dalla nascita ai 6 anni e poi a 250 dollari al mese dai 6 ai 18 anni), un tetto massimo al sussidio non superiore a un dodicesimo del reddito totale dell’anno precedente e una graduale eliminazione man mano che il reddito familiare aumenta. Questo potrebbe aiutare una persona come Luke a permettersi l’asilo nido, a risparmiare per un acconto per una casa e a far crescere la famiglia senza preoccuparsi dell’indigenza.

L’amministrazione Trump potrebbe anche fare di più per affrontare la crisi immobiliare. Trump sta già flirtando con questo concetto dichiarando un’emergenza abitativa nazionale, in seguito alle segnalazioni di una carenza di circa 4 milioni di case negli Stati Uniti. Le rate medie dei mutui sono aumentate del 59% tra il 2020 e il 2023 , poi i tassi di interesse sono schizzati alle stelle e ora molte famiglie della classe operaia americana sentono di non poter reggere il confronto con l’attuale situazione economica. Una legislazione che impedisca alle aziende di accaparrarsi le case come immobili “da investimento” sarebbe un primo passo importante, e probabilmente bipartisan. Anche l’aumento delle agevolazioni fiscali o dei sussidi per chi acquista una prima casa, esenzioni tariffarie temporanee sui materiali da costruzione e normative urbanistiche più flessibili sarebbero d’aiuto. Un altro concetto toccato da Trump è la liberazione di terreni federali per lo sviluppo edilizio. Ci sono molte altre strade creative che possono essere intraprese per affrontare la questione della disponibilità e dell’accessibilità economica delle case, ma resta da vedere cosa faranno l’amministrazione Trump e il Congresso.

In fin dei conti, persone come Luke non sono nichiliste, arrabbiate o antipatriottiche nelle loro lamentele. Sono solo alla disperata ricerca di condizioni che consentano loro di godere appieno delle comodità che derivano dal realizzare il Sogno Americano attraverso il duro lavoro e la partecipazione produttiva agli obiettivi della nostra società e della nostra economia. Se i Repubblicani vogliono essere il partito che garantisce queste condizioni alla classe operaia, devono impegnarsi con altrettanta dedizione nell’affrontare le preoccupazioni reali, a livello di tavola, così come nel creare condizioni di mercato che riportino l’industria sul suolo americano.

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Un post ospite diSkyler AdletaCattolico / Scritti su politica, cultura, industria, ecc. / Elettricista / Responsabile di progetti edili / Marito e padre

Stati Uniti: il fondo sovrano di Trump Con Chiara Nalli e Marco Pugliese

Su Italia e il Mondo: Si Parla del fondo sovrano istituito da Trump. Una tappa importante del tentativo avviato da Trump di ricostruzione dell’economia industriale statunitense.
Se ne parla sulla base di un articolo apparso su www.italiaeilmondo.com: https://italiaeilmondo.com/2025/08/24/come-un-fondo-sovrano-potrebbe-reindustrializzare-lamerica-di-julius-krein/_Giuseppe Germinario

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Charlie Kirk e la violenza politica: negli Usa è iniziata una guerra civile a bassa intensità_di Federico Sangalli

Charlie Kirk e la violenza politica: negli Usa è iniziata una guerra civile a bassa intensità

L’uccisione di Charlie Kirk alimenta una violenza politica che non accenna a placarsi. Per l’America il fronte interno resta la sfida più insidiosa

Federico Sangalli

11 Set, 2025

In questo report:

  • La dinamica dell’attentato
  • L’America è sempre più divisa
  • Una guerra civile a “bassa intensità”

Ascolta questo articolo

10 min

L’articolo, pur con qualche inesattezza, centra l’obbiettivo, ma a grana grossa. L’assassinio di Kirk ha obbiettivi più mirati e selettivi. Non è uno degli episodi di una guerra civile a bassa intensità. E’ una provocazione, una pesante istigazione a scatenare la guerra civile prossima ventura, esattamente come avvenuto in Ucraina e in Siria; è il tentativo di bloccare la possibilità di intaccare quel fondamentale serbatoio di consenso e di formazione di idee e trame, il brodo di coltura, proprio dell’ambiente accademico e studentesco, in particolare universitario, vero e proprio bacino di coltura di quadri, attivisti di stampo sorosiano, wokista e radical-progressista. L’ultima roccaforte rimasta ancora intatta di quell’arcipelago esclusivo, una volta costituito dalle minoranze etniche, sottoproletariato e ceto medio “riflessivo”. Un colpo diretto a Trump e a quella componente dell’amministrazione e del movimento che più sta cercando di divincolarsi dalle lusinghe neocon; un modo per trattenere Trump nell’ambiguità che rischia sempre più di perderlo. Le vicende in Medio Oriente, l’ultimo attentato a Doha, rischiano di essere il suo punto di perdizione irreversibile. Giuseppe Germinario

L’assassinio di Charlie Kirkavvenuto lo scorso 10 settembre a Salt Lake City, nei pressi del campus dell’Università dello Utah, ha riacceso negli Stati Uniti l’incubo della violenza politica. Il gesto brutale – il cui autore rimane al momento a piede libero – ha infatti nuovamente posto l’America di fronte alla guerra che più di tutte rischia di perdere, quella per il fronte interno.

Kirk, 31 anni, era da tempo un popolare influencer attivista politico conservatore, oltre che una stella nascente della cosiddetta Magasfera, cioè il movimento mediatico dei sostenitori del presidente Donald Trump. Sebbene il movente del suo assassino sia ancora ignoto, è verosimile che questo sia legato a ragioni politiche.

Non solo. Da ciò che è emerso finora, è presumibile che si sia trattato di un atto di violenza ben organizzato e compiuto da un attentatore esperto. Il colpo è stato sparato da grande distanza – probabilmente almeno 150 metri – con un fucile adatto allo scopo e ha colpito il bersaglio mentre questi si trovava seduto dietro un tavolino, sotto un gazebo e circondato da centinaia di persone. È probabile che un tiro di questo tipo richieda una certa esperienza, frutto di background militari o di esercizio da autodidatta.

Dopo il colpo, l’attentatore è riuscito ad allontanarsi dal campus indisturbato, avendo scelto come luogo per colpire il tetto di un edificio chiuso per ristrutturazione. Il fatto denota non solo la scarsa professionalità delle forze dell’ordine americane (che per due volte – una delle quali per bocca del direttore dell’Fbi Kash Patel in persona – hanno annunciato la cattura dell’assassino salvo poi doversi smentire) ma anche come l’omicida si fosse accuratamente preparato una via di fuga dopo un attento studio del terreno.

Non si tratterebbe, dunque, di qualcosa di simile a una delle molte stragi per armi da fuoco tipiche degli Stati Uniti, ma di un gesto pensato e studiato. Ne consegue, logicamente, che Kirk non sia stato scelto a caso ma individuato appositamente, un elemento che rafforza la pista politica.

Il luogo dell’omicidio, all’interno del campus dell’Università dello Utah, a Salt Lake City.

Il giovane attivista era divenuto famoso per il suo format incentrato sul libero dibattito: seduto su una semplice sedia, compiva tour nei campus universitari americani per dibattere liberalmente con chiunque volesse contestare le sue idee conservatrici. Lo stile apertamente provocatorio e il suo orientamento nazionalista lo avevano trasformato in un idolo per la destra americana e in una nemesi dei progressisti.

L’intento dichiarato delle iniziative di Kirk era quello di reclamare lo spazio della discussione pubblica negli atenei, a suo dire egemonizzato dagli studenti e dagli accademici di sinistra, e di stimolare il dibattito di idee. Le ripetute contestazioni contro le sue apparizioni, specie dopo il suo avvicinamento a Trump e alle sue posizioni, lo avevano reso un simbolo della lotta conservatrice per la libertà di parola contro la “censura” del politicamente corretto progressista.

Nel suo messaggio di cordoglio alla nazione, il presidente statunitense Donald Trump ha sostenuto di condividere i valori di Kirk (prontamente assurto a martire del mondo conservatore) per quanto riguarda la libertà di parola, l’apertura al confronto, il rispetto per lo stato di diritto e la legalità. Parole forse poco consone a un leader che della provocazione retorica ha fatto la propria cifra.

La minaccia del “nemico autoritario” alimenta la spirale violenta

Trump ha anche puntato il dito contro «la sinistra radicale», evocando una serie di azioni violente riconducibili a questo schieramento: il ferimento del capogruppo repubblicano alla Camera Steve Scalise da parte di un sostenitore di Bernie Sanders nel 2017; il fallito omicidio dello stesso Trump nel luglio 2024 a Butler, in Pennsylvania; l’uccisione – sempre nel 2024 – di un importante Ceo newyorkese da parte dell’italo-americano Luigi Mangione.

Ma la lista potrebbe continuare, per esempio con il fallito complotto per assassinare il giudice conservatore della Corte suprema Brett Kavanaugh da parte di un attivista pro-aborto nel 2022 o il secondo fallito attentato alla vita di Trump nel settembre 2024. Gesta che vengono ricondotte dai conservatori non a una banale fase di violenza, bensì al desiderio degli attivisti progressisti di annientare i propri avversari di destra.

L’intensificarsi di atti di violenza contro esponenti conservatori ha rafforzato la convinzione in molti americani che esista una fazione di violenti disposta all’eliminazione fisica dell’avversario per poter imporre il proprio modello di vita all’americano medio. Le istituzioni, in questa visione, sarebbero complici o comunque negligenti nell’affrontare la minaccia.

Le violente proteste di piazza che accompagnarono il movimento Black Lives Matter (Blm), con città come Portland in mano agli attivisti antagonisti per settimane, e i cittadini di molti quartieri costretti a formare spontanee ronde urbane per difendere le proprie attività dai facinorosi hanno sedimentato il senso di abbandono (il libro “La tempesta è qui“, del reporter di guerra Luke Mogelson, offre una buona panoramica di questo sentimento). Terreno fertile su cui Trump ha coltivato l’ostilità verso le istituzioni tradizionali.

Da sinistra, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump insieme a Charlie Kirk, assassinato lo scorso 10 settembre a Salt Lake City, nello Utah

Dall’altra parte, tuttavia, lo schieramento liberal-progressista osserva una realtà completamente rovesciata. Dalla fine delle proteste degli Anni Settanta, con il loro carico di attivismo violento afferente soprattutto alla sinistra extra-parlamentare, tradizionalmente è infatti stata l’estrema destra anti-sistema a commettere ripetuti atti di terrore nei confronti della popolazione americana. L’episodio più grave fu l’attentato del 1995 a Oklahoma City, quando un’autobomba distrusse la sede dell’Fbi causando 168 vittime.

Altro casi significativi in tal senso includono l’uccisione di una parlamentare democratica e del marito e il ferimento di un altro deputato in Minnesota lo scorso luglio; l’aggressione a martellate di Paul Pelosi, anziano marito della Speaker della Camera democratica Nancy Pelosi, vero bersaglio del raid; l’uccisione di una contro-manifestante progressista durante un raduno di estrema destra Charlottesville, Virginia, nel 2017undici persone assassinate in una sinagoga Pittsburgh, Pennsylvania, nel 2018, da un terrorista neofascista.

In questa prospettiva, l’ascesa di Donald Trump, con la sua retorica divisiva, i legami con ambienti della destra radicale e il sostegno di settori della grande borghesia americana, ha rafforzato l’idea che una corrente di stampo autoritario stia prendendo il controllo della repubblica americana. Le istituzioni tradizionali – dalla magistratura al congresso passando per la polizia e i militari – sarebbero inermi di fronte a questo stravolgimento e, anzi, starebbero venendo strumentalizzate per consolidare l’autoritarismo del tycoon e dei suoi complici.

L’assalto al Campidoglio, la militarizzazione dell’ordine pubblico, l’impiego del personale paramilitare dell’Ice (l’agenzia anti-immigrazione americana) per realizzare l’espulsione di migliaia di famiglie di immigrati irregolari vengono letti, in questo contesto, come tappe di una deriva autoritaria. Per la galassia anti-trumpista, quindi, le crescenti azioni violente non sono altro che una risposta legittima a quella che percepiscono come una minaccia esistenziale.

La violenza americana e la “guerra civile a bassa intensità”

Gli Stati Uniti sono sempre stati una nazione la cui cultura ha conferito alla violenza un posto preminente nel proprio pantheon nazionale.  Ciò vale tanto per la capacità di esercitarla (contro altri popoli e tra americani stessi) quanto per l’attitudine a tollerarla senza prendere particolari provvedimenti (si pensi sulla sostanziale accettazione dei costanti school shootings). È un atteggiamento che sembra afferire a quello che lo storico Richard Hofstadter definiva «The Paranoid Style in American Politics», un modo di fare politica naturalmente incline alla demagogia e dunque alla violenza politica.

Un trend a cui lentamente l’America si sta abituando. Il fenomeno, a lungo latente con fasi di diffusione anche molto intense, è nuovamente esploso dopo il 2020, quando si sovrapposero tre eventi particolarmente significativi: l’epidemia di Covid-19, le proteste Black Lives Matter che sconvolsero tutto il Paese e le contestate elezioni presidenziali, con il mancato riconoscimento dei risultati da parte dello stesso Trump.

L’occupazione del Campidoglio, sede del Congresso americano, il 6 gennaio 2021, da parte dei sostenitori di Donald Trump.

Nell’agosto dello stesso anno, un 17enne dell’Illinois – Kyle Rittenhouse – aprì il fuoco con un fucile d’assalto AR-15 a Kenosha, Wisconsin, durante un tumulto di piazza generato da una protesta Blm, uccidendo due persone. La sua successiva assoluzione da parte della giuria mostrò come una fetta importante di americani fosse ormai disposta ad assecondare il ricorso alla violenza politica come mezzo di imposizione del proprio punto di vista o come strumento di auto-difesa contro i propri nemici politici. Il pericolo che questo sentimento si manifesti nella formazione di gruppi armati più o meno irregolari è già realtà.

La discussione su una ipotetica seconda guerra civile domina i media alimentata da una retorica ansiogena. Gli Stati Uniti non sono arrivati al punto da poter prospettare una tale frantumazione interna, ma questo non significa che non sia possibile una situazione di conflitto, sebbene diversa da come tradizionalmente viene rappresentata.

In un certo senso, infatti, la guerra civile (cioè uno stato di ostilità in cui paramilitari civili si combattono fra loro senza riconoscere le istituzioni governative) è già iniziata, ma a bassa intensità. In maniera similare a certi trend sperimentati in Europa durante gli Anni Settanta, in Italia con la lotta al terrorismo neofascista e brigatista oppure in Irlanda del Nord con cosiddetti Troubles.

L’assalto al Campidoglio americano da parte dei sostenitori di Donald Trump il 6 gennaio 2021 è stato verosimilmente il punto di svolta di questo processo. Per il mondo Maga è stato sia un successo sia una sconfitta, una cause célèbre dietro cui radunarsi dopo la perdita del potere, ma anche la dimostrazione di poter agire quasi indisturbati. Per molti progressisti è invece stata la conferma delle aspirazioni golpiste dei loro avversari e dell’incapacità delle istituzioni di contenerle (Trump ha ricevuto l’immunità dalla Corte suprema e ha potuto ritornare alla Casa Bianca senza problemi).

Simbolicamente, l’occupazione della sede del parlamento ha rappresentato qualcosa di più ampio per entrambi gli schieramenti: l’idea che la sede del potere istituzionale americano potesse essere occupata da una fazione politica considerata nemica. Una presa di coscienza che ha spinto vari individui, sia a destra che a sinistra, a rafforzare il proprio impegno, talvolta anche con metodi violenti, e a organizzarsi in maniera più strutturata. L’attentato a Charlie Kirk, con le sue modalità, sembra inserirsi in questa direzione.

Immagine in evidenza: https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=134982611; Immagini presenti nell’articolo: “Charlie Kirk shooting scene from front” by KSL News Utah; “Donald Trump & Charlie Kirk (51335308796)” by Gage Skidmore from Surprise, AZ, United States of America; “2021 storming of the United States Capitol 16” by Tyler Merbler

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Modi-Trump, e le Quattro Chiamate Fantasma, di Cesare Semovigo

Modi-Trump, e le Quattro Chiamate Fantasma 

Il Circo Multipolare a Scuola dal Mainstream

Il Paradiso delle aspettative va pazzo per il fascino irresistibile delle voci di corridoio geopolitiche da social, quelle che si diffondono come un virus glamour in un party esclusivo, promettendo scandali succosi e rivelazioni epiche, ma lasciando solo hangover di disinformazione. 

Sembra che quel brivido effimero che fa impazzire le masse digitali sia più di moda delle orride ballerine che vestivano le ragazze qualche anno fa , sinonimo azzeccato per tutti coloro che scambiano il dramma per amore crepuscolare  per il trash-grottesco del mille non più mille al plutonio . 

In questo teatrino multipolare dove tutti fingono di ballare la rumba sul palco – ma in quello quello vero, però, c’è poco del movimento virtuale, solo coreografie goffe e sincopate – e tutti finiscono per pestarsi i piedi in un caos di alleanze precarie e egoismi nazionali e ricatti del vorrei ma non posso . 

Come da pronostici, spunta la chicca della settimana enigmistica multipolare (quella poco sopra ai lividi sulle mani di Trump, sì, quel new sangue di cervo di Putin che macchia le pagine della diplomazia):

 Narendra Modi, il leone indiano con la criniera di saggezza orientale ( scherzo ) , avrebbe snobbato quattro chiamate dal bulldozer atlantico Donald Trump, in mezzo a una tempesta di tariffe e insulti sull’economia “morta”.

Una narrazione succulenta un po’ Bollywood e un po’ serie tratta da Asimov su Apple TV ( ma scritta da un team di sceneggiatori Lgbt woke ) , amplificata da media indiani come India Today e WION, con un tocco internazionale dal Daily Express britannico( lo avreste mai detto? ) , tutti a citare il solido Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ) come se fosse il Vangelo secondo Adenauer . 

Peccato che una verifica OSINT su faz.net riveli un vuoto cosmico: nessun articolo originale, solo un echo chamber semi-artificiale, gonfiato per clickbait anti-Modi, con un retrogusto pro-Pakistan o anti-BRICS che puzza di calcolo predatorio. 

Modi “offeso”? Trump il persuasore seriale? O forse è frizione tattica in un partenariato strategico che resiste da 25 anni, dove l’India bilancia autonomia energetica senza isolarsi come un eremita in Himalaya. In un quadro multipolare moderato, evitiamo le favole BRICS-friendly: qui si gioca a scacchi, non a Monopoli con quel gioco che sembra domino al quale il maschio medio cinese sputtana gli stipendi in un ora . 

Verifica e l’Effetto Echo Chamber: Un Circo di Specchi Deformanti

La bufala parte da resoconti secondari che invocano FAZ come un totem sacro, ma ricerche mirate su faz.net – con query tipo “Trump Modi Anrufe abgelehnt” – producono solo echi di nulla, deviando su festival cinematografici o altre amenità frivole, come se il mondo della diplomazia fosse un sideshow al carnevale di Venezia. Invece, il web pullula di cloni: The Telegraph India, Tasnim News Agency, tutti a rimbalzare la palla senza un link diretto, come in una partita di ping-pong truccata dove la pallina è invisibile e il punteggio truccato. 

Su X, la viralità è da manuale: post sensazionali con immagini di Modi e Trump, condivisi da Deccan Chronicle e affini, creano un loop di feedback che amplifica il nulla, un vortice digitale che succhia credulità come un buco nero di fake news. Bias evidenti? Pro-Pakistan, con enfasi sulle cene ovali di Trump con generali pakistani, o anti-BRICS, dipingendo l’India alla deriva verso la Cina per “provocazioni” yankee.

 È l’economia del clickbait al suo meglio: sfrutta frizioni indo-americane per minare Modi, il decisore che non si piega ai capricci atlantici. In un’era multipolare, dove l’informazione è guerra ibrida – un cocktail letale di propaganda e pixel – queste voci erodono fiducia come acido su un’armatura arrugginita – senza un briciolo di fatti, lasciando solo residui di sospetto e manipolazione.

Distorsioni e Frizione Commerciale: Le Tariffe sono Vere ma gli Insulti sono Fantasma

Le chiamate ignorate? Pura fantasia, un’illusione evanescente come un miraggio nel deserto del Rajasthan. Gli insulti trumpiani sull’“economia morta”? Fantasie effimere , volatili come un tweet cancellato all’alba sostenendo di avere subito un attacco hacker .

E le tariffe ? Quelle sì sono reali , assestate come un pugno nello stomaco: 25% per surplus commerciale, più 25% per petrolio russo, totalizzando 50% su tessili e auto parts, effettive dal 27 agosto 2025. 

L’amministrazione Trump le vede come punizione per chi finanzia la “macchina da guerra di Putin”, ma Nuova Delhi ribatte: “Ingiuste, ingiustificate, irragionevoli”, difendendo una diversificazione energetica che è linfa vitale in un mondo volatile, un balletto di forniture che evita la dipendenza da un solo ballerino. 

Quindi qual’è l’ultimo contatto confermato? 

È la chiamata del 17 giugno 2025, con Modi a chiarire: nessuna mediazione USA post-Operation Sindoor tra India e Pakistan. Frizione tattica, non frattura: surplus da 30 miliardi annui, un quinto delle esportazioni indiane verso USA – interdipendenza che resiste, come un matrimonio di convenienza dove si litiga ma non si divorzia, rafforzando i vincoli attraverso le tempeste vere o media-virtuali che siano . 

La Complessità: Multipolare ma senza Illusioni sui BRICS

Per non ridurci a spettatori rumorosi e impotenti come l’UE di Ursula la disgregatrice – quella maestra di divisioni eleganti, che trasforma unioni in frammenti con un sorriso burocratico – aggiungiamo strati di complessità, come veli su un antico manoscritto indiano. 

Post-Cipro (giugno 2025, Modi insignito della Grand Cross Makarios III, un “collare blu”( Grand Cross Makarios III, un “collare blu” per legami UE-Medio Oriente), l’India flirta con venture UK nella City of London: 6 miliardi di sterline in tech verdi, allineandosi a neocon USA e globalisti dem, lontana da una “mentalità BRICS completa” che sa di trappola cinese, un labirinto di promesse che celano catene. Spaccature Cina-India: Galwan 2020 evolve in dialoghi sussurrati, ma CPEC pakistano – con progetti idrici e militari in Kashmir – è una spina nel fianco, come un vicino che ti ruba l’acqua dal rubinetto, prosciugando risorse con un ghigno diplomatico. 

Trump e big tech? Apple sposta fabbriche anti-Cina in India, decoupling che attira Nuova Delhi senza rompere con Mosca – energia low-cost contro sanzioni atlantiche, un equilibrio che profuma di pragmatismo orientale.

 Modi multi-allineato ( cosa altro potrebbe fare ): evita binari ideologici, usa frizioni per diversificare, in un multipolarismo moderato che non è egemonia “zen” cinese né caos yankee, ma un mosaico di opportunità intrecciate con cautele antiche.

Prospettive Macro Predittive: Pivot Fluido e nessun Eldorado

Avanti, con realismo kissingeriano – quel genio degli equilibri precari, che orchestrava superpotenze come un direttore d’orchestra in un concerto di tuoni –: 60% status quo, bilancia BRICS-Occidente per autonomia, un ponte sospeso tra Oriente e Occidente; 30% escalation trade war, crescita al 5,5% con perdite export, un rallentamento che morde ma non azzoppa; 10% breakthrough via dialoghi Cina-USA, un’alba di compromessi che dissolve nubi. Non un Eldorado BRICS – che puzza di foto di famiglia male assortita, con sorrisi forzati e coltelli nascosti – ma equilibrio precario: rischi polarizzazione vs opportunità tech, un giardino di possibilità dove i fiori sbocciano tra le spine.

 Disseminiamo complessità, schivando semplificazioni propagandistiche che riducono la geopolitica a un dramma da social media o scuola media ( analista rappresentate istituto con Kefia ), un palcoscenico di dove i fili sono tirati da burattinai invisibili che giocano tutti allo stesso gioco .

Quello che conviene alla Ragion di Stato . 

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La guerra in Iran di Trump, di Andrew Day…e altro

La guerra in Iran di Trump

Il Presidente avrà presto un’altra possibilità di evitare la trappola di sabbia di una guerra in Medio Oriente.

A giugno, il presidente Donald Trump ha esaudito un desiderio di lunga data del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu;

Per decenni Netanyahu ha fatto pressione ai presidenti americani affinché bombardassero l’Iran. Ognuno di loro ha resistito, compreso Trump nel suo primo mandato, quando ha grippato che il premier israeliano era “disposto a combattere l’Iran fino all’ultimo soldato americano”. Ma nel secondo mandato di Trump, Bibi ha finalmente ottenuto ciò che voleva. Due mesi fa, mentre infuriava la guerra tra Israele e Iran, il presidente ha autorizzato attacchi aerei e navali contro gli impianti nucleari di Teheran.

Ora Netanyahu vuole che Trump attacchi di nuovo l’Iran, e questa volta in modo massiccio. Se il presidente intende ancora tenersi fuori dalle guerre per sempre in Medio Oriente – come ha promesso di fare – allora deve tenere a freno Netanyahu e segnalare preventivamente il rifiuto di combattere i nemici di uno Stato cliente fuori controllo, che è quello che Israele è palesemente diventato. A giugno, Trump è riuscito a evitare di rimanere invischiato in un conflitto prolungato e in escalation. La prossima volta potrebbe non essere così fortunato.

Trita Parsi, analista veterana delle relazioni tra Stati Uniti e Iran, ha previsto che Israele probabilmente lancerà un’altra guerra quest’anno, forse prima di settembre. A differenza dell’ultima volta, scrive Parsi in Foreign Policy, l’Iran risponderà subito con forza per dimostrare la sua resistenza;

Di conseguenza, la prossima guerra sarà probabilmente molto più sanguinosa della prima. Se il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump cederà di nuovo alle pressioni israeliane e si unirà alla lotta, gli Stati Uniti potrebbero trovarsi di fronte a una guerra totale con l’Iran che, al confronto, farà sembrare l’Iraq facile.

Ovviamente, una guerra in Iraq 2.0 comporterebbe notevoli rischi per gli Stati Uniti e per Trump, che è uscito dalla “guerra dei 12 giorni” per lo più indenne. Solo un’esigua maggioranza di americani si è opposta agli attacchi statunitensi di giugno, anche se una supermaggioranza – il 78% – ha espresso la preoccupazione che l’America possa essere trascinata in una guerra diretta con l’Iran, secondo il sondaggio di Quinnipiac. Un altro sondaggio ha rilevato che gli americani erano più favorevoli agli attacchi dopo che gli era stato detto che erano limitati alle strutture nucleari dell’Iran. Questi risultati suggeriscono che molti americani sono contrari alla guerra con l’Iran, ma hanno tollerato il bombardamento discreto e mirato di Trump.

Gli elettori, in sostanza, hanno dato a Trump un lasciapassare, una ripetizione o, in termini da golfista, un mulligan. Presto il presidente avrà un’altra occasione per evitare la trappola di sabbia di una guerra in Medio Oriente. Questa volta non potrà permettersi di sbagliare e avrà meno spazio di manovra.

Sia i funzionari israeliani che quelli iraniani sembrano considerare l’attuale momento come una sorta di intervallo, una tregua nei combattimenti, piuttosto che un periodo stabile post-bellico. “Non siamo in una tregua, ma in una fase di guerra”, ha dichiarato la scorsa settimana un alto consigliere della Guida suprema iraniana Ali Khamanei. “Nessun protocollo, regolamento o accordo è stato scritto tra noi e gli Stati Uniti o Israele”.

In Israele, l’ex ufficiale dei servizi segreti Jacques Neriah ha avvertito questa settimana di un incombente “secondo round” della guerra dei 12 giorni. “C’è la sensazione che una guerra stia arrivando, che la vendetta iraniana sia in atto”, ha detto Neriah in un programma radiofonico israeliano. “Gli iraniani non potranno convivere a lungo con questa umiliazione”. L'”umiliazione” di Teheran non deriva solo dai danni subiti durante la guerra di giugno, ma anche dai più ampi guadagni geopolitici ottenuti da Israele negli ultimi due anni. Questi potrebbero presto includere un riavvicinamento con la Siria, un tempo partner iraniano e avversario di Israele fino al rovesciamento di Bashar al-Assad lo scorso dicembre.

Con Teheran in agitazione e la percezione della minaccia aumentata, “Israele deve lanciare un attacco preventivo contro l’Iran nel suo stato attuale, poiché gran parte delle sue capacità militari sono paralizzate”, ha aggiunto Neriah e. Gli alti funzionari israeliani sono d’accordo. Il ministro della Difesa Israel Katz ha avvertito i leader iraniani di un’imminente offensiva israeliana. Katz ha persino suggerito che questa volta Israele assassinerà Khamenei, consigliando al leader iraniano di “alzare gli occhi al cielo e ascoltare attentamente ogni ronzio”. Anche altri funzionari israeliani, tra cui il ministro degli Esteri Gideon Saar e il capo di Stato Maggiore Eyal Zamir, hanno accennato a ulteriori attacchi per neutralizzare la minaccia percepita dall’Iran.

Israele non solo sta preparando piani per un’altra guerra preventiva, ma sta anche sollecitando l’amministrazione Trump a partecipare, secondo Asharq Al-Awsat, un quotidiano panarabo, che ha citato fonti di sicurezza israeliane senza nome. Il giornale ha affermato che se Trump rifiuterà, Israele cercherà il via libera del Presidente per andare avanti da solo.

Il problema è che Israele non può andare in guerra da solo contro l’Iran. Come minimo, ha bisogno che gli Stati Uniti estendano il loro scudo di superpotenza sul piccolo Paese, intercettando missili e droni lanciati dall’Iran. E poiché Trump ha già dimostrato la volontà di bombardare l’Iran per conto di Israele quando scoppierà la guerra tra i due Paesi, il governo Netanyahu si aspetta un’azione offensiva. Netanyahu gioca a fare il duro, ed è piuttosto bravo ad architettare crisi geopolitiche che generano pressioni su Washington affinché intervenga a favore di Israele.

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Netanyahu potrebbe presto mettere alla prova queste capacità, perché sa che il tempo sta per scadere per assicurarsi l’egemonia nella regione – un obiettivo ovvio degli integralisti israeliani – con il sostegno popolare per Israele che sta crollando in Occidente. All’inizio di quest’anno, Netanyahu ha detto a un comitato israeliano per gli affari esteri che il Paese dovrà “svezzarsi” dagli aiuti militari statunitensi. Mentre Washington gli copre ancora le spalle, Israele vuole decapitare la Repubblica islamica e trasformare l’Iran in uno Stato fallito, e ha bisogno che gli Stati Uniti si uniscano alla guerra per il cambio di regime. “L’impegno limitato probabilmente non è più un’opzione”, scrive Parsi. “Trump dovrà unirsi completamente alla guerra o starne fuori”.

Il Presidente dovrebbe fare quest’ultima cosa. Dovrebbe infatti comunicare ora, senza mezzi termini, che gli Stati Uniti, con le loro scorte di missili intercettori allarmantemente esaurite, non solo si asterranno dall’unirsi agli attacchi israeliani contro l’Iran, ma addirittura rinunceranno alla difesa aerea. Un simile avvertimento indurrebbe Netanyahu a pensarci due volte prima di attaccare l’Iran.

Gli interessi americani e israeliani sono diversi: Washington vuole un accordo per limitare il programma nucleare di Teheran e Gerusalemme vuole dare un colpo di grazia al suo regime. Forse Trump non può impedire a Israele di lanciare una guerra contro l’Iran. Ma può almeno chiarire che sarebbe una guerra di Israele, non dell’America e certamente non sua.

L’autore

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Andrew Day

Andrew Day è redattore senior di The American Conservative. Ha conseguito un dottorato di ricerca in scienze politiche presso la Northwestern University. Può essere seguito su X @AKDay89.

Il controllo dell’Amministrazione della Pace

Il signor Pace è delirante quasi quanto il signor Guerra.

European Leaders Join Ukrainian President Zelensky For White House Meeting With Trump

jude

Jude Russo

27 agosto 202512:03

https://elevenlabs.io/player/index.html?publicUserId=cb0d9922301244fcc1aeafd0610a8e90a36a320754121ee126557a7416405662

Uno dei motivi ricorrenti della retorica del Presidente Donald Trump in questi giorni è che lui è Mr. Peace, che risolve guerre a destra e a manca in tutto il mondo. Certamente è meglio che presentarsi come Mr. War, un personaggio che negli ultimi decenni si è rivelato insoddisfacente e la cui uscita di scena non è stata molto compianta.

Certo, c’è un po’ di slittamento tra stile e sostanza. Sì, le guerre sono state risolte, anche se il contributo americano è oggetto di dibattito. (L’India nega categoricamente il coinvolgimento americano nella risoluzione della sua breve guerra con il Pakistan, e l’accordo tra Azerbaigian e Armenia è poco più che un semplice riconoscimento della vittoria dell’Azerbaigian). E, mentre le gloriose dispute di confine tra Cambogia e Thailandia o tra Congo e Ruanda sono senza dubbio episodi deplorevoli da deplorare, il contribuente americano può essere perdonato per essersi chiesto cosa abbiano a che fare con gli Stati Uniti e perché il nostro Presidente ne pubblicizzi gli esiti come trionfi della politica statunitense. Possiamo essere contenti che siano finiti, ma anche dubitare che siano la sostanza di un’eredità. Fa ridere anche vedere chi candida Trump al Premio Nobel per la Pace, che è già di per sé una battuta. Chi dubita della bona fides pacifica del regime azero di Aliyev, di Benjamin Netanyahu e del governo del Pakistan?

D’altra parte, nei primi otto mesi della seconda amministrazione Trump, gli Stati Uniti hanno bombardato a tappeto gli Houthi dello Yemen (in modo inefficace) e sono stati indotti da un partner junior a bombardare a tappeto l’Iran (anch’esso in modo inefficace, per quanto se ne possa dire); stiamo ancora finanziando e armando gli ucraini e gli israeliani, e ora stiamo minacciando direttamente vari potentati sudamericani con navi da guerra e piani d’attacco. (Per non parlare del business as usual all’AFRICOM, che è forse più disfunzionale persino del CENTCOM). Tutte le aspirazioni umane superano la realtà, certo, ma si tratta comunque di cose piuttosto sorprendenti per il signor Pace;

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Ma c’è un problema più grande nell’essere Bizarro Bush (come Mr. Peace è conosciuto dai suoi amici). I negoziati per la guerra in Ucraina sono esemplificativi. I due protagonisti stanno combattendo una guerra perché ritengono che sia nei loro rispettivi interessi nazionali farlo. Senza un cambiamento fondamentale delle condizioni di fondo – ad esempio, il crollo dell’economia russa o la rottura della linea difensiva ucraina – sembra che continueranno ad andare avanti. Gli Stati Uniti non possono fare nulla di particolare, se non urlare a squarciagola da bordo campo. (A quanto pare, staccare la spina agli armamenti americani per l’Ucraina, che ora vengono riciclati con denaro europeo, è considerato un’opzione politica non praticabile). Allo stesso modo, non è chiaro se gli Stati Uniti possano fare molto per concludere la guerra tra Israele e Gaza, anche se certamente potremmo smettere di alimentarla attivamente. Il signor Pace è un grande personaggio televisivo, ma in realtà le sue pretese di dare ordini al resto del mondo sono quasi altrettanto deliranti di quelle del signor Guerra. In effetti, il signor Pace è solo l’inversione amichevole del signor Guerra: non il poliziotto del mondo, ma il terapeuta del mondo.

Tutto questo per dire che il quadro non è così completo come sembra. I due testi classici per comprendere l’America di questo secolo sono la Guerra Giugurtina di Sallustio e l’Ercole Furenti di Seneca. Inutile dire che nessuno dei due è molto letto. (“Il pensiero di come sarebbe l’America / Se i classici avessero un’ampia diffusione…”). / Oh, bene! / Mi turba il sonno”). Il primo riguarda un’apparente nota a piè di pagina della storia militare romana, una guerra nel deserto del Nord Africa, in cui Sallustio trova sia i sintomi che le ulteriori cause della decadenza repubblicana. Nel secondo, un eroe apparentemente invincibile, all’apice della sua carriera, è reso folle da poteri che sfuggono al suo controllo e distrugge la sua stessa casa. Se dovessimo declinare queste opere in piccole lezioni, la prima è che l’impero ha conseguenze indesiderate; la seconda è che nessuna entità umana è onnipotente e che il peggior tipo di danno è autoinflitto. Queste condizioni non sono cambiate. Mettere un sorriso invece di un cipiglio sul volto dell’imperialismo americano non lo rende più efficace.

L’orientamento dell’America non dovrebbe essere quello di gestire affari che non riguardano il nostro interesse nazionale. Non è che non abbiamo problemi a casa nostra. Risolvere i problemi del mondo è costoso e distrae, certo, ma peggio ancora non funziona. L’obiettivo di portare la pace sulla terra e la buona volontà verso gli uomini è meno macabro di molte alternative, ma forse non meno fuorviante. Questo è particolarmente vero se lungo la strada ci assumiamo obblighi non compensati – garanzie di sicurezza in regioni periferiche, per citare un esempio. Il presidente non dovrebbe essere Mr. Peace o Mr. War, ma Mr. America.

L’autore

jude

Jude Russo

Jude Russo è redattore capo di The American Conservative e collaboratore del The New York Sun. È un James Madison Fellow 2024-25 presso l’Hillsdale College ed è stato nominato uno dei Top 20 Under 30 dell’ISI per il 2024.

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