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La decisione dell’amministrazione Trump di sganciare bombe sui siti nucleari iraniani sembra essere un esercizio per cercare di avere la botte piena e la moglie ubriaca, un atteggiamento che in generale sostengo di cuore, purché non porti ad assurdità palesemente insostenibili. Spero che l’analisi dell’amministrazione, secondo la quale questo può essere un episodio isolato e gli iraniani torneranno al tavolo dei negoziati, sia corretta, anche se ho delle riserve, come documentato. Il cessate il fuoco annunciato da Trump lunedì sera è promettente, ma è stato un anno negativo per i cessate il fuoco.
Esaminiamo i possibili aspetti negativi senza l’istrionismo che alcuni dei miei compagni di viaggio si sono concessi. In primo luogo, i danni effettivi al programma nucleare iraniano restano poco chiari; una delle difficoltà che abbiamo incontrato fin dall’inizio è stata quella di non poter confermare la distruzione di questi siti senza che qualcuno sul posto potesse verificarlo. Come fare è una bella domanda, dato che le nostre capacità HUMINT, come quelle di molti Paesi occidentali (Israele è un po’ un’eccezione, ma non del tutto), sono in grave declino da decenni. Lo stesso vicepresidente afferma che non sappiamo dove si trovi l’uranio arricchito degli iraniani;
Quindi, ulteriori attacchi o una sorta di operazioni di terra limitate non sono ancora fuori discussione, anche sulla base della premessa che tutto questo riguardi solo la fine del programma nucleare. Gli stessi rischi che hanno accompagnato gli attacchi iniziali saranno presenti nelle nuove azioni, e con maggiore forza, dato che il regime iraniano è costretto a dare l’impressione di fare qualcosa in risposta. I risultati dell’attacco una tantum potrebbero di per sé offrire il tipo di giustificazione aperta per un maggiore coinvolgimento che sarebbe bello evitare. Ciò fornirà molto materiale per il mulino di coloro che sono ideologicamente inclini a ulteriori azioni, una folla che è stata presente in forze.
Il secondo motivo di preoccupazione è l’effetto che l’attacco avrà sulla credibilità diplomatica degli Stati Uniti, che significa “nessuno prenderà sul serio quello che diciamo”. Se si accetta l’affermazione dell’amministrazione che era d’accordo con gli attacchi iniziali israeliani anche mentre stava organizzando un incontro con i negoziatori iraniani il fine settimana successivo, nessuna potenza straniera crederà che gli Stati Uniti si stiano impegnando nella diplomazia in buona fede. Se si pensa che queste affermazioni siano state un’operazione di CYA, come questo autore è propenso a fare, significa che gli Stati Uniti non sono in grado di controllare i loro clienti indisciplinati e i loro alleati minori. (Tanto più che ci sono stati due episodi del genere in altrettanti mesi: l’attacco ucraino alla flotta di bombardieri strategici della Russia ha esposto gli Stati Uniti a critiche simili). Gli Stati Uniti cominciano a sembrare inaffidabili e inaffidabili come partner negoziale. In un periodo di sovraestensione militare, si sperava che si potesse ottenere di più con la diplomazia che con il potere duro.
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Queste due preoccupazioni alimentano la terza: Qual è il piano del giorno dopo? Il bombardamento di Osirak da parte di Israele nel 1981 non ha di fatto messo fine ai programmi di armi di distruzione di massa di Saddam Hussein; lo smantellamento è avvenuto solo con la Guerra del Golfo e il programma di monitoraggio delle Nazioni Unite attuato in seguito. Una sorta di programma di monitoraggio sarà necessario, con le buone o con le cattive. Non è scontato che gli iraniani siano ora più disponibili a tale monitoraggio; sembra anche più probabile che cercheranno di imbrogliare su tale programma. (Una delle lezioni alle potenze piccole e medie di questa settimana: Se pensate di avere una possibilità di avere una bomba, prendetela). Se si pensa che gli iraniani tradiranno comunque qualsiasi accordo stipulato, questo potrebbe non essere un argomento convincente, ma ciò solleva la questione del motivo per cui stavamo cercando di stipulare un accordo, e se esiste una soluzione stabile a meno di un cambio di regime con la forza, che la maggior parte delle persone a questo punto non vuole. Dividere la differenza con un approccio a medio termine di “taglio dell’erba” ha i suoi rischi e smentisce l’argomentazione secondo cui si è trattato di un caso isolato.
Non c’è da stupirsi che la retorica dell’amministrazione sia stata un po’ ovunque. I commenti del Presidente sul “CAMBIAMENTO DI REGIME” e sulla “MIGA” sono senza dubbio un colpo di coda diretto ai più importanti critici dell’attentato, ma non sono comunque molto confortanti. La portavoce del Dipartimento di Stato che dice che gli Stati Uniti sono la seconda nazione più grande sulla terra dopo Israele può essere uno sforzo per imbruttire gli israeliani e farli andare avanti da soli, ma non è una bella frase per l’amministrazione “America First”. Il commento di Vance a Meet the Press della NBC: “Non siamo in guerra con l’Iran. Siamo in guerra con il programma nucleare iraniano” – è una divertente casistica di cui seguiremo i progressi con grande interesse. “Non siamo in guerra con l’Iran, siamo in guerra con il suo esercito”; “non stiamo sganciando una bomba atomica sull’Iran, la stiamo sganciando sul suo governo a Teheran”; “non ti sto pugnalando con una bottiglia di birra rotta, sto pugnalando la tua milza”; questa linea retorica si presta a interessanti ma poco convincenti espansioni future.
Mi sbilancio e dico che questa è cattiva politica. Un messaggio poco chiaro su ciò che stiamo facendo – anzi, un messaggio poco chiaro sul fatto che siamo in guerra o meno – non tende a piacere all’opinione pubblica. I sondaggi su questi temi sono difficili, ma sembra che il Paese sia ampiamente positivo sugli scioperi e negativo sul futuro coinvolgimento. Sia per ridurre gli inviti a futuri coinvolgimenti all’estero, sia per consolidare il capitale politico in patria, sembra che la strada migliore sia quella di dichiarare la vittoria e ridurre la nostra esposizione nella regione. Il lato positivo è che abbiamo di fatto frenato il programma nucleare iraniano; cerchiamo di evitare i lati negativi.
L’autore
Jude Russo
Jude Russo è redattore capo di The American Conservative e collaboratore del The New York Sun. È un James Madison Fellow 2024-25 presso l’Hillsdale College ed è stato nominato uno dei Top 20 Under 30 dell’ISI per il 2024.
La guerra non è finita
Israele e Iran hanno concordato un cessate il fuoco. Non durerà.
Ieri sera il Presidente Donald Trump ha annunciato un “CEASEFIRE completo e totale” tra Israele e Iran. Trump sembrava esuberante. “Questa è la fine della guerra”, ha detto a Barak Ravid di Axios. “È una cosa grande e meravigliosa per Israele e per il mondo”. Alla domanda su quanto durerà il cessate il fuoco, Trump ha detto a NBC News: “Penso che il cessate il fuoco sia illimitato. Andrà avanti per sempre”.
L’eternità è un tempo molto lungo, ma il cessate il fuoco, dopo un inizio difficile, sembra stia prendendo piede alle 7 del mattino, ora di New York.
Sempre lunedì, Washington e Teheran hanno assicurato l’un l’altro che il loro recente scambio di titoli non sarebbe proseguito in un secondo round. Gli Stati Uniti hanno attaccato tre siti nucleari iraniani sabato sera e l’Iran ha risposto lunedì con missili balistici che hanno colpito un’installazione militare statunitense in Qatar. Nessun americano è stato ferito e Trump sembrava contento di lasciar perdere.
Tutto questo rappresenta una svolta positiva. Ma non fatevi illusioni: Questa guerra non è finita.
A maggio avevo previsto che gli Stati Uniti avrebbero attaccato l’Iran, piuttosto che trovare un accordo che limitasse l’arricchimento dell’uranio per il combustibile nucleare. Sebbene Trump sembrasse sinceramente intenzionato a raggiungere un accordo di questo tipo, ho pensato che Israele avrebbe fatto di tutto per sabotare la diplomazia;
“Quello che immagino è che Israele conduca degli attacchi e poi noi veniamo trascinati in guerra a loro sostegno”, ho detto in un episodio di TAC Right Now. “Loro [Israele] non possono abbattere questi reattori nucleari sotterranei da soli; hanno bisogno di bunker busters per questo, bunker busters da 30.000 libbre che richiedono bombardieri stealth B-2 Spirit”. Gli Stati Uniti, e non Israele, possiedono quei bunker-busters e i B-2 Spirit, e mi aspettavo che gli Stati Uniti li usassero a favore di Israele.
Questo fine settimana, quella previsione si è avverata. Sebbene l’intervento dell’America sembri ormai un caso isolato e Israele e l’Iran abbiano concordato un cessate il fuoco, le stesse dinamiche che il mese scorso mi avevano reso così pessimista sono ancora in gioco.
Uno dei motivi per cui un accordo con l’Iran sembra impraticabile – e il conflitto inevitabile – è che l’amministrazione Trump ha inasprito le sue richieste sul nucleare, insistendo su un divieto totale, piuttosto che su limiti, all’arricchimento interno dell’uranio da parte dell’Iran. Questo non è un punto di partenza per Teheran, che sostiene di avere il diritto sovrano, ai sensi del Trattato di non proliferazione, di arricchire l’uranio per scopi pacifici;
Il mancato raggiungimento di un accordo nucleare con l’Iran non deve essere un casus belli, ma Trump ha ripetutamente affermato che l’alternativa a un accordo è la guerra. Dal momento che l’atto di guerra dell’America di questo fine settimana non ha effettivamente “cancellato” il programma nucleare iraniano, come sostenuto, e dal momento che un accordo non sembra imminente, non possiamo certo essere certi che la pace durerà.
Un’altra dinamica chiave è ancora più importante: Israele vede Teheran come il boss finale nella sua ricerca di egemonia regionale, e il suo sforzo bellico nelle ultime due settimane non è riuscito a disinnescare completamente l’esercito iraniano o a decapitare la sua leadership civile. Israele esercita una profonda influenza negli Stati Uniti, anche sull’amministrazione Trump, e cercherà opportunità per spingere Washington alla guerra per eliminare la Repubblica Islamica.
Per ora, Israele sembra accontentarsi di una pausa, se non altro per rifornirsi di intercettori di difesa aerea in grado di abbattere i missili balistici iraniani. Ma la profonda ostilità di Israele nei confronti dell’Iran rimane;
Considerate come i più importanti sostenitori di Israele in America hanno reagito ieri sera all’annuncio di Trump. “Non esistono cessate il fuoco infiniti”, ha detto Mark Dubowitz della Foundation for Defense of Democracies. “Solo una pace permanente con l’Iran quando la Repubblica islamica non ci sarà più”. Il conduttore di Fox News Mark Levin ha aggiunto altro colore: “Odio questa parola ‘cessate il fuoco’… Ad Adolf Hitler non è stata lanciata un’ancora di salvezza”.
Oltre a queste dinamiche preesistenti, c’è un motivo in più per aspettarsi un nuovo scoppio di una guerra calda: Teheran semplicemente non può fidarsi degli Stati Uniti (o di Israele) dopo gli eventi delle ultime due settimane. Giorni prima dei previsti colloqui tra Washington e Teheran, Trump sembra aver dato il via libera all’attacco israeliano a sorpresa contro l’Iran che ha dato il via alla guerra all’inizio del mese. Alcuni rapporti hanno persino affermato che la diplomazia statunitense con l’Iran è stata uno stratagemma, una campagna di inganni creata per cullare Teheran in un falso senso di sicurezza.
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Con l’intensificarsi della guerra tra Israele e Iran, Trump ha compiuto una serie di mosse provocatorie che hanno indubbiamente infiammato l’antipatia di Teheran nei confronti degli Stati Uniti. Il presidente ha minacciato di uccidere il leader supremo iraniano; ha invitato tutti i residenti di Teheran (più popolosa di New York) a “evacuare immediatamente”; ha usato la parola “noi” quando ha descritto le operazioni militari israeliane in Iran; e ha appoggiato il cambio di regime in Iran.
Trump potrebbe davvero ancora sperare di raggiungere un accordo sul nucleare iraniano. Teheran, da parte sua, ha accettato di tornare a negoziare con Washington se Israele avesse cessato il fuoco. Ma in futuro, le aperture diplomatiche di Trump verso l’Iran incontreranno un estremo scetticismo. Per quanto riguarda la visione di Teheran su Israele: La Repubblica islamica, nel prossimo futuro, considererà Israele come un’urgente minaccia esistenziale.
Ogni americano amante della pace dovrebbe accogliere con favore il cessate il fuoco, ma a meno che le dinamiche sottostanti non cambino, nessuno dovrebbe presumere che sia stato raggiunto un equilibrio stabile. Restate sintonizzati.
L’autore
Andrew Day
Andrew Day è redattore senior di The American Conservative. Ha conseguito un dottorato di ricerca in scienze politiche presso la Northwestern University. È possibile seguirlo su X @AKDay89.
Gli Stati Uniti si stanno dirigendo verso una guerra su larga scala con l’Iran.
La decisione di Trump di unirsi alla guerra di Israele contro l’Iran colpendo gli impianti nucleari iraniani di Natanz, Fordow e Isfahan rischia di far deragliare ogni possibilità di risoluzione diplomatica del programma nucleare iraniano e di dare inizio a una guerra su scala regionale, con gli Stati Uniti in testa. È probabile che le pressioni su Trump per ulteriori attacchi aumentino a causa delle ritorsioni iraniane e degli sforzi dei falchi a Washington e in Israele per spingere il presidente ad abbracciare un cambio di regime a Teheran;
Un’ulteriore escalation dovrebbe essere evitata a tutti i costi.
Continuare su questa strada non è l’America prima di tutto. È l’America ultima. L’attuale strategia di Trump si distacca dagli obiettivi politici che si prefigge. Mette gli Stati Uniti sulla strada della guerra, non della pace. Per evitare un’altra catastrofe in Medio Oriente, Trump dovrebbe prepararsi a una ritorsione iraniana, rinunciando a un’ulteriore azione militare statunitense, porre fine al sostegno americano all’offensiva a tempo indeterminato di Israele contro l’Iran e orientarsi immediatamente verso il tentativo di rilanciare i negoziati con Teheran.
Prima che Israele iniziasse questa guerra, gli Stati Uniti e l’Iran erano impegnati in negoziati per cercare di risolvere la questione nucleare attraverso la diplomazia. Trump ha resistito alle pressioni israeliane per un attacco militare all’Iran, procedendo invece con i negoziati. Ma Trump ha ceduto alle pressioni di Israele e dei falchi di Washington, prima dando il via libera agli attacchi israeliani contro l’Iran e poi unendosi alla guerra autorizzando gli attacchi contro tre impianti nucleari iraniani.
Prima degli attacchi, Trump ha ripetutamente insistito sul fatto che l’Iran fosse a poche settimane – al massimo mesi – dall’avere un’arma nucleare. Questo nonostante la conferma da parte dell’intelligence statunitense che l’Iran non sta attualmente sviluppando un’arma nucleare e il rifiuto delle affermazioni israeliane che hanno preceduto gli attacchi di Israele. Trump ha affermato che gli attacchi americani hanno “completamente e totalmente cancellato” i siti di arricchimento primario dell’Iran. Ha anche affermato che questi attacchi sono stati un’operazione unica e non mirano a un cambio di regime, ma poi ha abbinato a questo un post sui social media dicendo: “Se l’attuale regime iraniano non è in grado di rendere l’Iran di nuovo grande, perché non ci dovrebbe essere un cambio di regime?”. Trump ha minacciato altri attacchi se l’Iran non “farà la pace”.
Ma è improbabile che il piano di Trump raggiunga gli obiettivi dichiarati;
Sebbene l’entità dei danni alle strutture prese di mira sia ancora in fase di valutazione, sembra che gli attacchi non abbiano danneggiato in modo significativo né elementi significativi dei materiali nucleari iraniani né le sue infrastrutture di produzione. Paralizzare in modo permanente le strutture nucleari iraniane non è un’operazione unica: distruggerle richiederebbe molte ondate di attacchi, il che significa un’operazione militare statunitense a tempo indeterminato sullo spazio aereo iraniano. Sebbene gli attacchi a singole strutture possano rallentare il programma, non possono eliminarlo in modo permanente; il programma è ampiamente disperso in una pletora di strutture note e probabilmente sconosciute. In effetti, diversi rapporti suggeriscono che Trump abbia dato all’Iran un preavviso e che la maggior parte dell’uranio arricchito stoccato in queste strutture sia stato evacuato prima degli attacchi. I funzionari americani hanno ammesso dopo gli attacchi di non sapere dove si trovino le scorte di uranio dell’Iran. Inoltre, i progressi in termini di ricerca e sviluppo che l’Iran ha compiuto da quando Trump ha eliminato il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) non possono essere bombardati. Se l’obiettivo di Trump era quello di distruggere il programma nucleare iraniano al punto da non poter essere ricostruito, questi attacchi non hanno raggiunto lo scopo;
Non è nemmeno probabile che questi attacchi costringano l’Iran a tornare al tavolo dei negoziati o a capitolare su richieste fondamentali come l’arricchimento interno. Anche se una via d’uscita diplomatica esiste ancora e può essere colta, l’Iran quasi certamente non indietreggerà dalle sue richieste nei negoziati. L’aumento della pressione da parte degli Stati Uniti ha storicamente indurito la posizione di Teheran, minando le voci più moderate. Avvertendo che un cambio di regime potrebbe essere all’orizzonte, Teheran potrebbe infatti considerare un’arma nucleare come un deterrente necessario. Se l’obiettivo di Trump era quello di indurre l’Iran a cedere ai negoziati, i suoi attacchi lo hanno probabilmente reso più difficile;
Altri due fattori saranno determinanti per lo sviluppo del conflitto: la risposta dell’Iran e il comportamento di Israele;
Nel migliore dei casi, Teheran risponde con un’azione militare simbolica, simile a quella che ha seguito l’assassinio di Qasem Soleimani da parte degli Stati Uniti nel 2020. L’Iran non ha rifiutato apertamente un ritorno ai negoziati. Nel peggiore dei casi, l’Iran risponde con la forza contro gli interessi americani, provocando a sua volta una risposta energica da parte degli Stati Uniti. L’Iran e i suoi partner potrebbero prendere di mira le truppe americane attualmente sparse in 63 basi in tutto il Medio Oriente, o l’Iran potrebbe vendicarsi prendendo di mira il traffico marittimo attraverso lo Stretto di Hormuz – scenari che potrebbero rapidamente andare fuori controllo. Un’escalation di questo tipo aumenterebbe la pressione su Trump per una risposta militare e probabilmente sarebbe una campana a morto per la diplomazia;
Washington cedendo l’iniziativa a Netanyahu rischia anche di indirizzare Trump in una direzione anatema per gli interessi statunitensi. Gli attacchi di Israele non hanno avuto lo scopo di prevenire una minaccia imminente, ma piuttosto un tentativo deliberato di sabotare la diplomazia americana in corso con l’Iran. Per Netanyahu, il problema principale è il regime iraniano. Per lui, qualsiasi accordo nucleare con Teheran è visto come una forma di appeasement e deve essere contrastato perché bloccherebbe la strada verso il cambio di regime.
Netanyahu ha lanciato il suo attacco con il dubbio pretesto di impedire all’Iran di sviluppare un’arma nucleare, una narrativa che Trump ha ora abbracciato per giustificare gli attacchi. Ma l’ampiezza dell’attacco di Israele dimostra che questo si estende ben oltre la questione nucleare. Si è trattato invece di una salva di apertura di un conflitto che Netanyahu spera possa sfociare in un cambio di regime guidato dagli Stati Uniti, cosa che il primo ministro ha promesso a Washington di perseguire per quasi tre decenni. L’attuale strategia di Trump trascura l’incentivo di Netanyahu a intensificare ulteriormente la guerra e ad attirare gli Stati Uniti più a fondo nel conflitto. Convincere Trump a colpire gli impianti nucleari iraniani è stato il suo modo di trascinare gli Stati Uniti nella guerra come parte attiva;
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Gli Stati Uniti non hanno alcun interesse strategico a facilitare la guerra di Israele contro l’Iran o a entrare in guerra con la Repubblica islamica. Sebbene l’esercito americano stia già assistendo Israele nell’intercettare i droni e i missili lanciati dall’Iran, più a lungo la campagna militare di Israele continuerà, più è probabile che un espansione della guerra o l’aumento dei costi per Israele costringeranno gli Stati Uniti ad aumentare il loro coinvolgimento. Una guerra tra Stati Uniti e Iran sarebbe disastrosa per gli interessi americani e per il Medio Oriente. La dottrina di difesa iraniana è centrata sull’impantanamento degli aspiranti invasori in una prolungata guerra di logoramento. Ciò comporterebbe pesanti perdite statunitensi e drenerebbe gli Stati Uniti di risorse critiche in un momento in cui sono sempre più estesi all’estero. Per il Medio Oriente, una guerra del genere divorerebbe la regione, destabilizzandola politicamente, economicamente e militarmente. I profondi costi umani e materiali affliggerebbero il Medio Oriente per le generazioni a venire.
Non deve essere così. La posizione in cui si trovano gli Stati Uniti è il frutto di una politica mediorientale americana fuori controllo. Decenni di profondo impegno americano nella regione e di pensiero dello status quo hanno prodotto un disastro dopo l’altro. Il problema inizia a Washington: in particolare, l’incapacità bipartisan di riconoscere che i problemi che dobbiamo affrontare in Medio Oriente sono il prodotto della nostra presenza, dei nostri partner e delle nostre politiche nella regione;
Washington è sulla strada per ripetere ancora una volta questi fallimenti;
Informazioni sull’autore
Jon Hoffman
Jon Hoffman è ricercatore in difesa e politica estera presso il Cato Institute. I suoi interessi di ricerca includono la politica estera degli Stati Uniti in Medio Oriente, la geopolitica mediorientale e l’Islam politico.
Da ieri, tutti gli analisti militari seri si sono posti la domanda: il Pentagono ha davvero inviato dei bombardieri B2 per colpire il sito nucleare di Fordow? In effetti, un’indagine approfondita ha rivelato che è proprio così! Si è trattato di un attacco “simbolico”, di cui gli iraniani conoscevano in anticipo i dettagli. Ma per capire cosa è successo, bisogna ripercorrere tutta la storia dell’operazione, dal via libera di Donald Trump alla sua realizzazione, con una gigantesca operazione di messa in scena su scala globale. La domanda è però se la guerra possa essere organizzata come un incontro di wrestling.
Ieri vi ho espresso la mia opinione su una teatralizzazione degli attacchi di Donald Trump all’Iran.
Oggi sappiamo di più sulle condizioni in cui sono avvenuti gli attacchi. La redazione ve lo ha detto stamattina: gli iraniani erano stati avvertiti degli attacchi e della loro posizione!
Ora che le immagini sono emerse, credo che la mia opinione di ieri sera sia confermata: i danni osservati finora non sono compatibili con bombe “bunker-buster” di dimensioni enormi, ma con armi a distanza più leggere che hanno causato solo danni superficiali. Anche gli iraniani erano chiaramente stati ampiamente preavvisati.
Contrariamente a chiunque affermi che non sappiamo come sarà o dovrebbe essere l’impatto di un Massive Ordnance Penetrator, abbiamo in realtà un’idea abbastanza precisa degli effetti che un’arma del genere produce al suolo, perché durante la Seconda Guerra Mondiale furono impiegate armi molto simili: la bomba Grand Slam e la Tallboy (figura 1). La Grand Slam era una bomba penetrante da 10.000 kg con 4.300 kg di esplosivo, mentre la Tallboy era una bomba da 5.400 kg con 2.400 kg di esplosivo. La GBU-57A/B Massive Ordnance Penetrator, invece, è una bomba da 12.300 kg con circa 2.400 kg di esplosivo; si dice pubblicamente che il MOP abbia una penetrazione circa il 50% migliore rispetto alla Grand Slam (60 m contro 40 m di terra), combinata con un esplosivo quasi identico a quello della Tallboy. I suoi effetti al suolo dovrebbero essere abbastanza simili a quelli di entrambe queste armi.
Che effetto hanno avuto sul terreno queste bombe sismiche della Seconda Guerra Mondiale? Beh, hanno lasciato crateri GIGANTESCHI, larghi fino a 40 metri e profondi fino a 25 metri (vedi figura 2, le conseguenze di un attacco con queste armi – certamente nel terreno, ma i loro effetti sul cemento armato sono stati altrettanto spettacolari). Se le MOP fossero state usate in Iran la scorsa notte – in particolare più colpi sparati nello stesso buco – ci aspetteremmo di vedere enormi crateri, i fianchi delle montagne esplosi e frane. Queste non sono armi subdole.
Cosa abbiamo visto in realtà quando il sole è sorto e i soliti satelliti brOSINT-IMINT hanno effettuato i loro sorvoli stamattina? Beh, permettetemi di rimandarvi alla figura 3, che mostra le cicatrici di una bomba di sei metri con un po’ di polvere sollevata sulla cresta sopra Fordow, esattamente quello che ci si aspetterebbe, per esempio, dalla testata da mille libbre di un Tomahawk o di un JASSM. È sufficiente, tuttavia, perché Trump dichiari vittoria e se ne vada.
Inoltre, sembra che gli iraniani fossero stati così ampiamente avvertiti di un attacco imminente – forse tramite canali ufficiali o semi-ufficiali – che non solo hanno evacuato le attrezzature da Fordow (figura 4, che mostra un grosso convoglio di camion avvistato sulla strada esterna prima dell’attacco), ma hanno anche interrato gli ingressi della struttura per mitigare gli effetti di un attacco contro i tunnel di accesso. Per inciso, se gli iraniani avessero effettivamente evacuato centrifughe e altri macchinari critici o persino uranio arricchito da Fordow, gli israeliani avrebbero avuto l’opportunità di colpirli durante il trasporto – un’opportunità che non sembrano essere stati in grado di chiudere, pur essendo probabilmente a conoscenza della situazione, data la portata dell’operazione e il livello di sorveglianza a Fordow. In sintesi, la mia teoria di ieri sera è, credo, confermata. Penso che si sia trattato di un attacco a basso rischio e basso impatto con munizioni autonome che ha avuto un effetto minimo sulle capacità nucleari iraniane, ma che potrebbe aprire un po’ di spazio politico per una de-escalation del conflitto o almeno ridurre la pressione politica su Trump da parte della lobby israeliana affinché faccia qualcosa per salvare Netanyahu.
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Armchair Warlord è lo pseudonimo di un ex ufficiale di artiglieria americano. È uno dei migliori analisti della guerra ucraina! Naturalmente ha seguito la guerra in Iran fin dall’inizio.
Per lui non c’è dubbio, se leggete il suo post, che i buchi lasciati dagli impatti degli attacchi americani a Fordow o negli altri siti colpiti (Natanz, Isfahan) non corrispondono agli impatti delle bombe anti-bunker di cui tutti parlavano da diversi giorni.
Di conseguenza, alcuni analisti stanno addirittura mettendo in dubbio la presenza di bombardieri B2 (in grado di trasportare bombe MOP) sul territorio iraniano nella notte di sabato.
Sabato, tutti coloro che seguono le notizie su Internet e sui social network hanno sentito parlare di bombardieri B2 che attraversavano il Pacifico, si rifornivano regolarmente e si dirigevano verso Guam, Diego Garcia e poi….. l’Iran, secondo persone ben informate (le persone che hanno visto l’uomo che ha visto il caccia che ha visto l’orso….). Nel frattempo, nessuno parlava di bombardieri americani provenienti da ovest e di sottomarini che si mettevano in posizione per sparare i Tomahawk.
Dobbiamo credere che alla fine non c’erano B2 che sorvolavano l’Iran? Ecco la risposta di Simplicius:
La grande domanda è cosa sia realmente accaduto: si è trattato di un attacco interamente simulato, come alcuni suggeriscono? Ricordiamo che non ci sono prove che i B-2 abbiano sorvolato l’Iran, mentre decine di missili Tomahawk sono stati lanciati da un sottomarino della classe Ohio a 400 miglia di distanza. Molti parlano ora della parola d’ordine del giorno, “subsidenza”, causata dalle bombe che distruggono i bunker. Ma non tutti gli esperti (…)
È possibile che i crateri provengano semplicemente dai Tomahawk lanciati dai sottomarini, anche se sembrano abbastanza grandi da provenire da un’arma molto più potente.
La mia opinione personale, tuttavia, è che molto probabilmente è stato raggiunto un accordo segreto affinché i B-2 potessero passare in sicurezza ed effettuare un “attacco dimostrativo” limitato.
Le prove?
In primo luogo, il fatto che si è trattato di un attacco su piccola scala che, anche secondo gli esperti, ha richiesto un numero di MOP (Mass Ordnance Penetrators) molto inferiore al necessario. Il problema è che, poiché metà della flotta operativa di B-2 è stata utilizzata come “diversivo”, l’altra metà (7 B-2) poteva trasportare solo 14 penetratori in totale, che dovevano essere suddivisi tra diverse strutture, tra cui Natanz, oltre a Fordow. Ciò significa che Fordow ha ricevuto solo sei attacchi, molto meno del necessario. Per riceverne di più, i B-2 avrebbero dovuto effettuare numerosi voli o prolungare la campagna, il che avrebbe potuto portare a circostanze impreviste. Annunciando un attacco “simbolico”, Trump ha probabilmente placato l’Iran in modo che non reagisse.
Donald Trump ha ritrovato i riflessi del wrestling
Tutti conosciamo il wrestling, i cui risultati sono tanto più truccati quanto più dimostrano i lottatori. In una vita precedente, Donald Trump organizzava o faceva organizzare incontri tra lottatori. In questo caso, ha chiaramente truccato gli attacchi aerei:
Circolano varie notizie secondo cui, attraverso i soliti canali segreti in Svizzera, l’amministrazione Trump avrebbe sostanzialmente informato l’Iran degli attacchi, lasciando intendere che, fintanto che l’Iran non risponderà, si tratterà di un attacco “una tantum”. Se ciò fosse vero, sarebbe una chiara indicazione che l’accordo segreto proposto richiederebbe all’Iran di lasciare passare gli attacchi statunitensi senza ostacoli e di offrire agli Stati Uniti una via d’uscita onorevole dal conflitto. Questa era una delle possibilità che avevamo previsto qualche giorno fa nel nostro articolo premium, e ora sembra sempre più probabile.
Non è la prima volta che Trump si comporta così: ricordiamo il famigerato attacco Tomahawk del 2017 alla base siriana di Shayrat, annunciato come un colpo mortale “devastante”, che si è rivelato un attacco simbolico di nessuna conseguenza, che ha lasciato qualche buca nel percorso e non ha causato danni reali. Questo è il modo di Trump di alleggerire la pressione dei neoconservatori, una sorta di test di purezza per i suoi consiglieri israeliani.
Questo è molto importante, dal momento che gli iraniani hanno avuto tre giorni di tempo, secondo Simplicius, per puntellare gli accessi ai siti che dovevano essere colpiti e proteggerli relativamente da futuri attacchi.
Aggiungo che gli analisti militari come me sono sempre più convinti che l’Iran stesse spostando l’uranio arricchito in un luogo segreto da diversi mesi.
Si tratta quindi di un’operazione truccata dall’inizio alla fine. E Simplicius conclude
Sono convinto che l’Iran abbia deciso di accettare l’offerta degli Stati Uniti e abbia lasciato passare senza ostacoli il contingente di armi per consentire qualche insignificante attacco “simbolico” a Fordow, sapendo che questo era il prezzo da pagare perché gli Stati Uniti si ritirassero dal conflitto.
Oggi circolano voci secondo cui Israele potrebbe usare questa “porta d’uscita” come pretesto per concludere un nuovo accordo e porre fine alle ostilità, visto che si è esaurito e sta perdendo una guerra di logoramento contro l’Iran.
La guerra non è un incontro di wrestling!
Non ho dubbi che Donald Trump non si sia sentito abbastanza forte contro il governo israeliano e i sostenitori di Israele negli Stati Uniti per rifiutarsi di colpire l’Iran. Dovremo tornare su cosa questo significhi per la situazione americana.
Credo che gli iraniani siano abbastanza strategici da stare al gioco degli americani! D’altra parte, non credo che questo significhi che la guerra tra Iran e Israele possa facilmente diminuire di intensità. Gli iraniani non possono accettare i discorsi di Israele sul cambio di regime, discorsi che sono stati ripresi dallo stesso Donald Trump domenica sera:
Questo lunedì mattina, gli israeliani hanno colpito Fordow, fornendo una smentita a Trump: quindi il lavoro dei bombardieri americani non sarebbe finito? Ma anche in questo caso si tratta di un’esca, in parte, poiché tutti concordano sul fatto che l’uranio arricchito è ora conservato altrove.
Lunedì la guerra tra Israele e Iran è proseguita senza sosta. Tornerò su questo argomento in un prossimo articolo.
Una frase dal grande significato: l’Occidente ha perso ogni credito con il resto del mondo!
Quando dico che l’Occidente ha perso ogni credito nei confronti del resto del mondo, non sto giocando con le parole. Sto descrivendo l’implacabile meccanismo attualmente all’opera. I primi mesi del mandato di Donald Trump hanno finalmente convinto il “Sud globale” che non possiamo più avere fiducia negli attuali detentori del potere in Nord America o in Europa occidentale. Ovviamente, questo preannuncia grandi crisi, e non solo nell’ambito del credito finanziario per un Occidente sovraindebitato. Essere consapevoli della portata della crisi che stiamo attraversando significa anche riscoprire il senso delle “fondamenta”. I popoli del mondo chiedono leader che facciano quello che dicono, ma che dicano anche quello che fanno. Per molto tempo, l’Europa e gli Stati Uniti hanno potuto vantarsi di essere dei punti di riferimento, la fonte stessa di principi con influenza universale. Ora tutto deve essere ricostruito.
Nei miei due precedenti articoli, ho parlato della teatralizzazione degli attacchi all’Iran da parte di Donald Trump e di un ” incontro di wrestling “, quindi truccato. Avrò modo di tornare sul complesso comportamento del presidente americano, che vacilla, non riuscendo a distruggere rapidamente il campo globalista. Ma qui vorrei considerare l’effetto che ha avuto in tutto il mondo il fatto che Donald Trump abbia apparentemente mancato alla parola data due volte: permettendo a Israele di attaccare l’Iran mentre i negoziati di Washington con Teheran erano ancora in corso; e poi, questo fine settimana, colpendo l’Iran anche se aveva detto che si sarebbe dato fino a due settimane per prendere una decisione.
C’è una semplice espressione francese: Un tel a perdu tout crédit! Etimologicamente, il credito è fiducia. Il significato economico del credito viene solo dopo: è perché abbiamo fiducia nella nostra capacità di rimborso che prestiamo denaro. Naturalmente, un creditore può perdere la fiducia nella capacità di rimborso del suo debitore e smettere di prestare.
Se diamo un semplice sguardo al futuro, cosa vediamo? Vediamo Stati Uniti ed Europa occidentale che hanno perso ogni credibilità nelle relazioni internazionali. Mi riferivo a Donald Trump. Ma pensiamo al nostro presidente, Emmanuel Macron, che ha invitato Pavel Durov, fondatore e CEO di Telegram, a cena all’Eliseo, per poi farlo arrestare appena sceso dall’aereo e tenerlo sotto custodia della polizia per diversi giorni. Pensate a uno dei predecessori di Donald Trump, Bill Clinton, che non ha mantenuto la promessa fatta a Mikhail Gorbaciov di non espandere la NATO verso est. Pensate ai pretesti fallaci che hanno portato allo scoppio di ogni guerra americana e della NATO dal 1991.
Qualcuno potrebbe dire: ma l’astuzia fa parte della politica; Machiavelli ce l’ha spiegata. Machiavelli è proprio l’inizio del problema. Mentre l’Europa medievale era stata costruita sulla filosofia politica dell’antichità e sulla sua distinzione tra buon e cattivo governo, Machiavelli spezzò consapevolmente il legame tra politica ed etica – pochi decenni dopo di lui, Lutero spezzò il legame tra fede e ragione. Questo, va sottolineato, spiega perché un Paese di origine protestante come gli Stati Uniti sia così “machiavellico”. Lutero ha dato potere alla ragione e ha reso possibile una “ragion di Stato”, indipendente dal rispetto dei principi fondanti dell’etica universale. Gli americani vivono secondo una dicotomia in cui ” nel Regno di Dio ” -lo stato di diritto è rispettato, ma altrove, nel “Regno di Satana”, tutto è permesso.
Ovviamente, la storia degli ultimi quattro secoli è più complessa del solo momento machiavellico come matrice di ciò che è seguito. Ci sono state potenti controinfluenze. Si pensi, ad esempio, allo straordinario lavoro della Scuola Universitaria di Salamanca, che ha formulato tutte le libertà moderne in un ambiente cattolico. Francisco Suarez ha ripreso e sviluppato il vecchio adagio romano “pacta sunt servanda”: gli accordi presi devono essere rispettati.
Allo stesso modo, guardiamo allo straordinario periodo, dagli anni ’60 agli anni ’80, in cui l’Europa ha agito da moderatore per gli Stati Uniti nella Guerra Fredda e ha creato una fiducia con l’URSS che è stata molto utile per contribuire alla fine della Guerra Fredda.
Siamo perfettamente in grado di riscoprire questi principi fondanti. Ho l’impressione, ad esempio, che l’indignazione negli Stati Uniti, in parte del movimento MAGA, dopo gli attacchi contro l’Iran, derivi dalla sensazione che non abbiamo più il diritto di fare il doppio gioco. I popoli occidentali vogliono leader che dicano ciò che fanno e facciano ciò che dicono.
Ciò di cui stiamo parlando è assolutamente essenziale. La buona fede ha risolto molti conflitti in passato. Nel 1782-83, il governo britannico negoziò e firmò la fine della guerra americana perché tutti in Europa si fidavano della parola del re di Francia, Luigi XVI! Si fidavano di lui! Fu perché mantenne la parola data nelle relazioni internazionali che il generale de Gaulle poté ospitare a Parigi i primi negoziati tra americani e vietnamiti nel 1968.
La questione è fondamentale: non solo perché chi “perde ogni credito” si condanna a non poter più finanziare il proprio debito, ma anche perché non c’è altro modo per ricostruire le nostre democrazie che tornare ai principi fondamentali del diritto romano. In questo caso, ripetiamo: PACTA SUNT SERVANDA!
La Terza Guerra Mondiale si fará : garantisce Alex Karp di Palantir
Il guru di Palantir, che non si limita a prevedere un conflitto globale, fa di più lo spacchetta in pratica con l’accuratezza di chi, nei corridoi del Pentagono, si muove come nel salotto di casa. America contro Russia, Cina e Iran, tutti insieme appassionatamente. Altro che Risiko: chiude l’epoca degli ideali, largo al software che promette la vittoria e pure la pace, se restano abbastanza nemici stesi sul campo.
Karp, con il suo tono da generale-filosofo della Silicon Valley, ci mette davanti all’evidenza: l’Occidente si è fatto sorprendere con le braghe calate, troppo impegnato a chiedersi se la guerra sia una brutta parola, mentre le potenze rivali hanno già acceso i motori dell’intelligenza artificiale e dei droni assassini. Bisogna scrollarsi di dosso i complessi: qui non è più tempo di mani pulite, serve il dito pronto sul mouse. L’AI non serve a scrivere email più in fretta, ma a schiacciare interi eserciti pixel per pixel.
Chi osa evocare la diplomazia viene archiviato tra i “buonisti da brunch”: nel nuovo romanzo geopolitico secondo Palantir, la Silicon Valley deve smettere di fare yoga e iniziare a sfornare armi a ciclo continuo. Etica? Un fastidio vintage. “La nostra software porta morte ai nemici della civiltà,” sussurra Karp con la tranquillità di chi sa che, tanto, la storia la scrivono i vincitori e i suoi sono quelli con più RAM e meno scrupoli.
Morale della favola: mentre le democrazie occidentali si interrogano su consenso, privacy e altre tenerezze, Karp è già all’ultimo capitolo. La pace? Solo dopo un aggiornamento di sistema. Il futuro, quello vero, è una Repubblica Tecnologica dove ogni cittadino è un byte nell’infinita guerra per la supremazia. Altro che ONU, benvenuti nel Nuovo Ordine Mondiale formato cloud. Così la prossima volta impareranno cosa vuol dire essere scortesi con una signora come la Master Of CIA Tulsi Gabbard .
Scopri come il ritiro degli Stati Uniti sta ridisegnando le alleanze, rafforzando i rivali e costringendo Turchia, Arabia Saudita e Israele a un nuovo e volatile ordine di realpolitik.
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La strategia di Washington in Medio Oriente è passata dal predominio diretto al controllo delegato, conferendo a Turchia e Arabia Saudita il ruolo di esecutori per procura, pur mantenendo la supervisione strategica.
L’esaurimento interno dovuto agli interventi e il calo dei ritorni militari spingono gli Stati Uniti verso una posizione più snella, sostituendo la presenza persistente con un’influenza mirata e una condivisione degli oneri.
Turchia e Arabia Saudita formano un fragile asse tattico in Siria: interdipendenti dal punto di vista militare e finanziario, ma frammentati da capacità asimmetriche, eredità rivali e tempi divergenti.
L’ordine regionale è frammentato: l’Iran resiste grazie a interlocutori delegati e alleanze esterne, mentre Israele si evolve in un attore preventivo, che opera con il sostegno degli Stati Uniti ma con una crescente autonomia.
Gli interventi ricalibrati di Trump favoriscono azioni rapide e limitate, evitando coinvolgimenti su larga scala e preservando al contempo un’influenza critica sulle rotte petrolifere, sulle alleanze e sugli equilibri geopolitici.
Sta emergendo una nuova architettura di volatilità gestita: l’America come broker strategico, le potenze regionali come assorbitori di rischio e la stabilità che nasce non dal controllo, ma dalla concorrenza limitata.
Arretramento strutturale e ascesa dei proxy regionali
Il principio guida della strategia mediorientale del secondo mandato dell’amministrazione Trump è un passaggio dalla gestione americana diretta della sicurezza regionale a un modello di dominio delegato. Questa ricalibrazione non rappresenta una rinuncia all’influenza, ma una ridistribuzione strategica delle responsabilità. Washington cerca di preservare il suo primato non attraverso una presenza persistente, ma attraverso un rafforzamento selettivo degli alleati regionali, in particolare Turchia e Arabia Saudita.
Questo cambiamento strategico si basa su due vincoli strutturali duraturi:
Stanchezza politica interna per l’interventismo : dopo i prolungati conflitti in Iraq e Afghanistan, gli elettori americani di tutto lo spettro politico sono diventati ostili a impegni militari costosi e senza limiti di tempo. L’amministrazione Trump riconosce che il capitale politico non è più disponibile per schieramenti su larga scala.
Eccesso di potere operativo e rendimenti decrescenti : la posizione militare globale degli Stati Uniti ha raggiunto la saturazione negli anni 2010. L’onere di mantenere un impegno costante in più teatri ha spinto a un riorientamento strategico verso un approccio economicamente più sostenibile, che ridistribuisce l’onere dell’applicazione della legge senza rinunciare ai benefici dell’influenza.
La Turchia e l’Arabia Saudita sono strumenti strutturalmente differenziati dell’architettura strategica americana:
La Turchia , che vanta il secondo più grande accesso militare e geografico della NATO alla Siria e all’Iraq, fornisce una piattaforma per la proiezione di hard power e il contenimento delle minacce irregolari.
L’Arabia Saudita , custode della liquidità energetica e degli strumenti finanziari, esercita la sua influenza attraverso il capitale, in particolare nella ricostruzione, nell’assorbimento del debito estero e nelle reti di clientela.
La loro cooperazione è più frutto di una necessità reciproca che di un’affinità strategica. Nessuno dei due Paesi possiede la capacità completa di imporre l’ordine regionale in modo indipendente. Questo li intrappola in un allineamento tattico fragile e temporaneo, guidato da imperativi esterni.
Il conflitto siriano, ormai nella sua fase di transizione post-Assad, è diventato l’asse centrale attorno al quale ruotano gli interessi turchi e sauditi. Il loro reciproco impegno nel plasmare la ricostruzione e il futuro politico della Siria ha reso necessaria una forma di allineamento pragmatico. Tuttavia, questa cooperazione si inserisce in un quadro di tensione strutturale, rivalità storica e divergenza strategica.
Tre asimmetrie fondamentali definiscono l’asse turco-saudita:
Portfolio di potere asimmetrico : la forza della Turchia risiede nella sua capacità di proiettare la forza e proteggere il territorio, mentre la sua base economica è fragile e volatile . Al contrario, l’Arabia Saudita non possiede capacità militari interne, ma controlla vaste riserve finanziarie e un peso economico internazionale.
Narrazioni storiche incompatibili : la soppressione della prima statualità saudita da parte dell’Impero Ottomano nei secoli XVIII e XIX ha lasciato cicatrici durature. Queste rivalità non sono semplici note a margine storiche; plasmano la percezione contemporanea della leadership regionale e della legittimità sunnita.
Diversi orizzonti temporali politici : l’Arabia Saudita, nell’ambito dell’iniziativa di modernizzazione dall’alto di Mohammed bin Salman , cerca prevedibilità all’estero per stabilizzare la trasformazione economica interna. La Turchia, al contrario, sta entrando in un periodo di incertezza politica interna , con l’era Erdogan ormai prossima alla fine e senza un chiaro piano di successione.
Nel teatro siriano, entrambe le potenze condividono l’interesse strategico di contenere la rinascita iraniana e di moderare la crescente influenza di Israele sulla sicurezza. Tuttavia, la loro cooperazione si basa su un calcolo rigorosamente vincolato delle reciproche necessità. Il finanziamento saudita è essenziale per la ricostruzione siriana; le forze turche sul campo sono indispensabili per il mantenimento dell’ordine. Questa interdipendenza è reale ma superficiale, e rimane suscettibile di rotture quando gli interessi divergono.
Israele, Iran e i vincoli all’ordinamento regionale
Il Medio Oriente contemporaneo non si adatta a un dominio unipolare. È un contesto di sicurezza frammentato, caratterizzato da egemoni specifici per ogni ambito, ognuno potente nel proprio ambito ma incapace di imporre un ordine sistemico. La posizione strategica dell’amministrazione Trump riconosce questo fatto e opera di conseguenza.
L’Iran , sebbene estromesso dalla Siria , mantiene un’influenza duratura in Iraq, dove le sue milizie e i suoi rappresentanti politici formano un ecosistema di potere consolidato. Le sue alleanze esterne con Russia e Cina forniscono risorse finanziarie e tecnologiche che diluiscono l’efficacia delle sanzioni occidentali.
Israele , un tempo soddisfatto della deterrenza strategica, si è evoluto in un attore preventivo. Ora conduce operazioni militari in profondità in Siria e oltre, con l’obiettivo non solo di dissuadere, ma anche di indebolire le infrastrutture avversarie prima che diventino operative. Questa dottrina estesa richiede un supporto costante da parte degli Stati Uniti in ambito logistico, diplomatico e tecnologico.
Tuttavia, l’amministrazione Trump ha deliberatamente imposto restrizioni a tale sostegno. Pur sostenendo le prerogative di sicurezza di Israele, è sempre più riluttante a farsi carico dei costi internazionali dell’escalation israeliana. Il risultato è una ricalibrazione delle aspettative. Israele mantiene la libertà operativa; tuttavia, ci si aspetta che gestisca in modo indipendente il contraccolpo politico ed economico. Viene riposizionato non come un soggetto sottoposto alla strategia statunitense, ma come una potenza autoassicurativa che deve calcolare i costi con maggiore precisione.
Proiezione della potenza degli Stati Uniti in una modalità vincolata
Gli Stati Uniti non hanno abbandonato il Medio Oriente. Piuttosto, hanno adattato il loro metodo di intervento. L’era degli interventi massimalisti, segnata dall’invasione dell’Iraq del 2003 e dalla campagna in Libia del 2011, ha lasciato il posto a interventi tatticamente calibrati e politicamente moderati. Le azioni militari dell’amministrazione Trump seguono uno schema coerente: rapida escalation, obiettivi limitati e rapido ritiro.
Tre casi emblematici illustrano questa modalità vincolata:
Yemen : gli attacchi mirati alle infrastrutture degli Houthi hanno dimostrato la determinazione americana, evitando al contempo il pantano di un coinvolgimento a lungo termine.
Iran : la campagna di “massima pressione” si basa sulla coercizione economica, utilizzando sanzioni per indebolire il calcolo strategico di Teheran senza scatenare una guerra vera e propria.
Gaza : gli Stati Uniti evitano un coinvolgimento diretto, consentendo a Israele di proseguire la sua campagna senza tuttavia garantire loro il tipo di protezione diplomatica a tutto campo di cui un tempo godevano.
Questo modello riflette dure verità strutturali. Gli Stati Uniti non possono permettersi il costo finanziario o politico di rimodellare le società mediorientali. Eppure, i loro interessi duraturi (il transito del petrolio, le rotte commerciali globali e le rivalità tra grandi potenze) impongono loro di rimanere un arbitro decisivo. Pertanto, gli Stati Uniti si sono riposizionati non come un esecutore permanente, ma come un regolatore strategico, intervenendo episodicamente per preservare l’equilibrio senza incorrere nel peso dell’occupazione.
Il ritiro parziale della tutela militare statunitense ha creato un contesto di autonomia condizionata per le potenze regionali. Questa nuova libertà d’azione consente a stati come Turchia, Arabia Saudita e Israele di perseguire programmi indipendenti, sebbene sempre all’interno di una rete di vincoli economici, tecnologici e diplomatici imposti da Washington.
Questi vincoli si manifestano attraverso molteplici strumenti:
Dipendenza monetaria : l’integrazione dell’Arabia Saudita nel sistema energetico basato sul dollaro statunitense la rende sensibile alla politica fiscale americana e ai regimi di sanzioni globali.
Vulnerabilità commerciali : l’esposizione della Turchia ai dazi statunitensi, unita alla sua dipendenza dall’accesso ai mercati finanziari occidentali, limita la sua capacità di operare al di fuori dell’influenza economica americana.
Dipendenza dalla difesa : gli armamenti avanzati, i sistemi di sorveglianza e le capacità informatiche di Israele dipendono in larga misura da componenti e contratti di manutenzione americani.
L’approccio transazionale di Trump, che offre sicurezza in cambio dell’allineamento politico, amplifica questa struttura. Di fatto, Washington ha privatizzato la protezione. Gli attori regionali devono ora pagare, con concessioni politiche o integrazione economica, per lo scudo che un tempo ricevevano incondizionatamente. Ciò rafforza la loro responsabilità strategica, ampliando al contempo la loro libertà operativa.
La ridistribuzione del rischio e della responsabilità
Il quadro di sicurezza post-americano in Medio Oriente non è un vuoto; è un’architettura di spostamento, in cui gli oneri dell’applicazione della legge e del rischio vengono ridistribuiti tra una serie di attori regionali, tutti vagamente allineati sotto la supervisione strategica degli Stati Uniti.
Questa struttura emergente è caratterizzata dalla specializzazione dei ruoli:
Israele attua una difesa avanzata ma assorbe la reazione internazionale.
L’Arabia Saudita finanzia la stabilizzazione ma non ha capacità di proiezione.
La Turchia proietta la forza a livello locale, ma non riesce a sostenere un’espansione strategica eccessiva.
L’Iran resta geograficamente intrappolato, ma sopravvive grazie a una guerra asimmetrica e alleanze con potenze extraregionali.
In questo sistema, gli Stati Uniti rimangono indispensabili, non come potenza egemone, ma come meccanismo di bilanciamento. Intervengono non per riconfigurare la regione, ma per ricalibrarne le frizioni interne. L’approccio di Trump affina la logica del potere americano. Gli Stati Uniti si trasformano così da manager imperiale a mediatore strategico.
Il risultato è una volatilità gestita, in cui la vera stabilità emerge non dal predominio, ma dal delicato equilibrio delle ambizioni competitive. Il Medio Oriente, un tempo plasmato da imperi esterni, ora evolve attraverso ricalibrazioni interne. L’architettura della realpolitik si è trasformata in un’impalcatura distribuita di potere reciprocamente vincolato.
Se c’è qualcosa che può destare particolare inquietudine è proprio l’assenza; il silenzio di personaggi essenziali davanti a fatti clamorosi.
L’insolito riserbo con il quale Trump ha reagito al recente attacco ucraino alla rete viaria e, soprattutto, ad alcune basi strategiche nucleari russe deve suscitare allarme, più ancora della sua dirompente e abituale loquacità.
Potrebbe essere la conseguenza di una scelta attendista tesa a far scoprire la pletora di forze malefiche, presenti soprattutto, ma non solo, nel campo occidentale, tutte impegnate a distruggere l’intenzione o la velleità di una transizione pilotata verso un mondo multipolare.
L’insostenibilità politica e di coesione delle formazioni sociali innescata da questo tipo di globalizzazione, presuntuosamente unipolare, che si è ritorta paradossalmente sulle società occidentali promotrici, in particolare gli Stati Uniti, ha prodotto due risultati impensabili solo venti anni fa: il lancio di un vero e proprio guanto di sfida della Russia di Putin; il fenomeno erosivo di un gruppo sempre più numeroso di stati che decidono di andare semplicemente per la propria strada.
È proprio questa insostenibilità che ha creato le condizioni del ritorno clamoroso di Trump alla presidenza.
Solo condizioni, appunto, sfruttate da un movimento, MAGA, molto più maturo e strutturato, più esteso, ma ancora minoritario, imbevuto, nella sua ambiguità, dell’ambizione e dell’ottimismo di grandezza del proprio paese.
America First ha, appunto, una valenza tesa allo sviluppo di energie interne al paese, ma anche una valenza espansiva esterna che può offrire accoglienza a quelle forze demo-neoconservatrici, attualmente ancora ben radicate nei centri di potere ed istituzionali, ma temporaneamente prive di veste politica quanto meno presentabile.
Il paradosso nel quale si sta dibattendo Trump, con tutta la forza e la fragilità del personaggio, è, quindi, che deve la ragione della propria esistenza, anche fisica, a MAGA; la possibilità, invece, di proseguire la propria azione grazie ad un compromesso dinamico con le forze neocon rassegnate all’assenza di un proprio soggetto politico autonomo e ad una rottura, auspicabile e definitiva, della componente liberal-progressista. Il passaggio di R. Kennedy e Gabbard, come pure l’inedito sostegno di importanti settori del mondo sindacale, sono solo incrinature di quel secolare assetto politico che ha portato ad una odierna sintesi perniciosa di individualismo assoluto dei diritti e solidarismo compassionevole e lobbistico.
L’avvento di Trump ha sicuramente destabilizzato e rotto la coerenza, per altro già ampiamente corrosa, degli assetti istituzionali e dei centri decisori interni agli Stati Uniti.
Il proposito di disgregare gli attuali apparati ha trovato alimento dall’onda di entusiasmo e dal disorientamento provocato dall’esito elettorale e dalla maggiore consapevolezza, rispetto al 2016, della necessità di una azione di destrutturazione ed occupazione dei centri di potere resa possibile anche da una rottura interna al fronte degli apparati.
Le conseguenze di questa dinamica non sono lineari.
Il maggiore successo, al momento unico, di Trump va registrato sul fronte interno, laddove è ancora evidente la disarticolazione e la postura difensiva del vecchio blocco politico, corroborata dalla inesistenza di veri leader politici; come pure confermata l’aspettativa in risultati positivi della politica economica e geoeconomica condotta dalla presidenza.
È sul fronte esterno che l’esito dello scontro interno alle fazioni politiche statunitensi si riverbera ed appare da subito incerto, soprattutto per l’incapacità sicuramente oggettiva, probabilmente soggettiva, della compagine trumpiana di cogliere appieno le ragioni esistenziali, quindi irrinunciabili, della posizione russa, per altro rafforzate dalla precarietà e imprevedibilità dell’assetto politico statunitense.
Sia in Europa che in Medio Oriente le forze ostili all’amministrazione di Trump, per meglio dire ai suoi propositi originari dichiarati, per quanto ostinatamente arroccate e in ordine sparso nei due scacchieri, mantengono dinamicità ed assertività. In Europa con una postura esplicitamente frontale, segno della presenza in essa di un nocciolo duro decisore, rappresentato da figure politiche ormai patetiche e ottuse, ma parte integrante dello schieramento nativo negli USA; in Medio Oriente con una postura più surrettizia che può contare anche sul risentimento anti iraniano presente in settori delle forze armate statunitensi sostenitrici del nuovo corso trumpiano.
Il rischio inquietante è che le forze ostili dei due fronti esterni tra loro e quello interno riescano a trovare un compromesso, a coordinarsi e ad agire con maggiore coerenza ed efficacia.
Ancora una volta l’Ucraina si sta rivelando il punto di fusione di una dinamica destinata a farla diventare in futuro solo uno, nemmeno il più importante, dei punti di attrito con la Russia.
La complessa operazione, militare e terroristica, perpetrata in Russia, per altro uno sviluppo di altre operazioni simili precedenti, sta rivelando complicità, supervisioni e direzioni di più centri, ormai coordinati, di intelligence statunitensi, britannici, europei e israeliani.
Il viaggio di Graham, Blumental e Pompeo, ovvero la fronda antitrumpiana, a Kiev e poi a Bruxelles, il soggiorno prolungato di Soros e Obama in Polonia, durante la campagna elettorale, la grande azione di influenza di questi, in buona compagnia per altro, in Romania, soprattutto l’esito delle elezioni in Germania con Merz, sono la vera chiave di svolta, almeno momentanea, la conferma di questa ripresa di iniziativa. Lasciano presagire la riproposizione di un sodalizio subordinato tra le ambizioni paraegemoniche di una Germania ostile alla Russia e le trame di rivincita della vecchia leadership statunitense, particolarmente nefasto per i destini dell’Europa.
La probabile acquisizione di una maggioranza al Congresso Statunitense intenzionata a confermare e appesantire le sanzioni alla Russia conferma il processo di ricomposizione del blocco politico. Le ventilate minacce di tirare fuori dagli armadi gli scheletri di questa compagine non saranno sufficienti, senza una definizione della politica più netta, a scongiurare questi passi.
L’odierno pesante attacco al ponte di Crimea, di fatto respinto.
Simili operazioni presuppongono e favoriscono cointeressenze necessarie a coltivare ulteriori propositi contestuali di aggressione alla Russia e all’Iran, consolidate le quali basterà scatenare una scintilla, una “false flag”, che so, la trasformazione sacrificale in martire “dell’eroe, paladino ucraino” da attribuire a Putin, sufficiente a innescare il tentativo di soluzione definitiva.
Molto dipenderà dal peso e dalla coerenza, ritengo dubbia, che assumeranno i tatticismi della Cina, soprattutto, ma anche dell’India, nei confronti dei paesi europei e dell’Unione Europea rispetto alla solidità del sodalizio di queste con la Russia e alle possibilità di una transizione controllata al multipolarismo e ad una fase di equilibrio dinamico dei rapporti di forza.
Di fatto, la postura di Trump in queste dinamiche appare sempre più passiva e oscillante, disorientata, sballottata. Le recenti dimissioni di Musk, pur prevedibili, dal suo incarico temporaneo, ma apertamente polemiche verso il Congresso Statunitense, non tarderanno a rivelare le vere ragioni di questo passo.
Di certo, una possibile, eventuale operazione trasformistica di Trump provocherà l’abbandono di MAGA, con esiti verosimilmente drammatici nello scenario politico-sociale statunitense; la riduzione del personaggio politico ad ostaggio dei suoi avversari lo renderebbe rapidamente inutile e, probabilmente, scomodo nella sua stessa esistenza.
Il passaggio da una postura attendista a una debacle può risucchiare impercettibilmente dalle azioni di rottura nel solito conformismo anche un personaggio così coriaceo.
Prima di trarre conclusioni affrettate occorre comunque porsi una domanda: come mai l’improvviso silenzio, da giorni, di Trump, Vance, Gabbard ed Hegseth, l’allarmismo di Flynn e il protagonismo di Graham, Blumental e Pompeo?
TRUMP COME ROOSEVELT: SARÀ RICONDOTTO ALL’OVILE DI LONDRA?
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Correva l’anno 1932. Gli Stati Uniti erano ancòra intenti a leccarsi le ferite della great depression, la grande depressione che aveva fatto crollare il mercato azionario, demolito l’agricoltura, ridotto della metà la produzione industriale.
Il Presidente (repubblicano) Herbert Hoover aveva affrontato la crisi con le ricette della destra conservatrice, quelle del liberismo, del laissez faire, del lasciate fare, nella certezza che “i mercati” avrebbero risolto tutto. Risultato: gli agricoltori espulsi dalle loro proprietá, pignorate dalle banche, i risparmiatori strangolati dal crollo dei titoli azionari, la classe media gettata sul lastrico, e i ceti meno abbienti ridotti letteralmente alla fame, con 12 milioni di nuovi disoccupati.
Unica oasi di relativa serenità era lo Stato di New York, dove il governatore (democratico) Franklin Delano Roosevelt aveva attuato una politica che era l’esatto contrario di quella del presidente Hoover: non soltanto aveva soccorso e assistito le fasce più deboli della popolazione, ma aveva anche attuato una massiccia campagna di lavori pubblici – finanziati anche in deficit – in modo da contrastare efficacemente la disoccupazione. Erano le ricette che giungevano dagli “eretici” europei: dall’ex liberale inglese John Maynard Keynes, dai teorici italiani dell’economia corporativa, dai kemalisti turchi, eccetera.
E con queste ricette, nel novembre 1932, Franklin Delano Roosevelt trionfava alle elezioni presidenziali americane: nazionalismo economico, interventismo statale, economia mista. Così l’America imboccava la strada del new deal, il “nuovo corso” che l’avrebbe strappata ad una crisi epocale.
Nuovo corso anche in politica estera: Roosevelt non apprezzava il legame totalizzante con l’Inghilterra (che aveva accolto con disappunto la sua vittoria) e si dava da fare per stabilire nuovi rapporti, nuove intese. Nuove intese che avevano un indirizzo preciso: l’Italia fascista, le cui soluzioni sociali, economiche e finanziarie, peraltro, erano oggetto di studio e di attenta considerazione da parte del brain trust, il “trust dei cervelli” rooseveltiano. E l’Italia, non per caso, era stata praticamente l’unica nazione europea ad aver superato indenne la terribile crisi economica mondiale che era stata generata dalla grande depressione americana.
La prima iniziativa diplomatica del nuovo Presidente era – il 14 aprile 1933 – l’invio al Capo del Governo italiano di una lettera ufficiale, con la quale si sollecitava uno scambio di vedute sulle principali questioni che in quel momento agitavano lo scenario mondiale. Il Duce rispondeva a stretto giro, auspicando una forte collaborazione fra Italia ed USA, e preannunziando la visita a Washington del ministro delle Finanze, Guido Jung, in qualitá di suo personale rappresentante: «Egli vi dirá – recitava la missiva – con quanto grande interesse io stia seguendo il lavoro del governo degli Stati Uniti per la soluzione delle attuali difficoltà del mondo…»
La missione Jung si svolgeva già due settimane dopo, ed era un successo clamoroso. Veniva così ufficializzato il reciproco interesse a stabilire una forte intesa bilaterale. Intesa innanzitutto “ideologica” – per così dire – ma tale anche da porre le premesse per una vera e propria alleanza politica (e militare). In quel momento storico, infatti, Franklin Delano Roosevelt pensava seriamente alla possibilitá che gli USA archiviassero la tradizionale alleanza che li legava a Londra, sostituendola con un asse strategico con l’Italia fascista. FDR sembra credere che gli Stati Uniti non avessero alcun interesse a seguíre le regole finanziarie dettate dalla City londinese; e, con queste, anche le linee-guida della politica diplomatica e militare, in particolare nei teatri europeo e mediterraneo.
Mussolini, dal canto suo, era certamente attratto da una tale prospettiva. Dal 1928, infatti, l’Inghilterra aveva gettato alle ortiche i buoni rapporti con l’Italia, scegliendo di aderire al fronte antirevisionista (e antitaliano) guidato dalla Francia. Quanto a Roosevelt, in quel periodo (ma solo in quel periodo) non sembrava amare in modo particolare i cugini britannici, apertamente ostili alla politica monetaria ed alle riforme antiliberiste della nuova amministrazione americana. Il governo di Sua Maestá aveva vissuto come un affronto i primi provvedimenti adottati da FDR all’indomani del suo insediamento: a cominciare da un Ordine Esecutivo che aveva, di fatto, escluso gli Stati Uniti dal sistema monetario del “gold standard” caro alla finanza britannica.
Pochi mesi dopo, in luglio, si registrava un evento apparentemente solo “di colore”, ma in realtá carico di una forte valenza politico-diplomatica. Era l’accoglienza trionfale – nel senso letterale del termine – che gli Stati Uniti riservavano ad un altro ministro fascista, Italo Balbo, ed ai suoi “trasvolatori atlantici”. Le grandiose sfilate di Chicago e di New York, le folle strabocchevoli che facevano ala, il genuino entusiasmo popolare, le tante dichiarazioni laudatorie formulate da esponenti politici e governativi all’indirizzo dell’Italia fascista, erano tutti segnali che testimoniavano inequivocabilmente un clima che certo andava al di lá di una semplice seppur marcata sympathy.
Questo clima idilliaco perdurava fino a tutto il 1934. Roosvelt sembrava sempre piú convinto della prospettiva di una stretta collaborazione col Duce («Mussolini ed io potremo fare insieme molte buone cose») e, in ottobre, inviava a Roma il piú autorevole dei suoi consiglieri, l’economista Rexford Tugwell, per una prima diretta ricognizione della realtá italiana.
Tugwell aveva numerosi colloqui ai piú alti livelli, e veniva anche ricevuto da Mussolini. Era fortemente colpito dall’incontro col Duce e, in genere, da tutto ció che aveva visto durante la sua missione italiana, come chiaramente traspare dalle notazioni del suo diario: «La sua forza e l’intelligenza sono evidenti, come anche l’efficienza dell’amministrazione italiana. É il piú pulito, il piú lineare, il piú efficiente campione di macchina sociale che abbia mai visto. Mi rende invidioso.»
Ma l’Inghilterra non stava a guardare, e già dall’inizio di quello stesso 1934 aveva messo in opera tutta una serie di manovre che miravano a scongiurare il pericolo che prendesse forma un’alleanza USA-Italia, favorendo invece il ritorno al totale allineamento di Washington con la politica britannica.
Manovra tutta inglese, rassegnazione tutta americana. Nessuna responsabilità italiana nel naufragio dell’alleanza con Washington. Non è minimamente credibile, infatti, una certa vulgata “moderata” che ascrive a Benito Mussolini la responsabilitá di aver sacrificato l’amicizia degli Stati Uniti, scegliendo invece di legarsi alla Germania hitleriana e adottando una linea politica antisemita. In realtá, in quegli anni l’Italia non era affatto legata alla Germania, né Mussolini era in qualche modo ostile agli ebrei.
Era semplicemente accaduto che la cosiddetta “Anglosfera” (e cioè USA, Inghilterra, Canada, Australia e altri Dominions britannici) aveva regolarizzato una situazione divenuta insostenibile. Gli equilibri anglosassoni erano stati messi in discussione dall’anomalo risultato elettorale del novembre 1932, ma in un tempo relativamente breve chi deteneva il potere reale nell’intera Anglosfera – e cioè i grandi potentati economici della City ed i loro ausiliari di Wall Street – erano riusciti a ricondurre all’ovile il presidente “eretico”, riportando l’America ribelle agli ordini di Londra.
Fin qui, in rapidissima sintesi, una pagina (censuratissima) della storia diplomatica occidentale. Ma come resistere alla tentazione di tracciare un parallelo tra quegli eventi e quanto sta avvenendo in questi giorni in America?
Dunque, vediamo: nel novembre 2024 un risultato anomalo delle elezioni presidenziali americane vede la vittoria dell’eretico Donald John Trump. Appena eletto, Trump mette sùbito in discussione la monoliticità dell’Anglosfera: sia arginando la guerra strisciante contro la Russia, da secoli oggetto di una politica d’accerchiamento made in London; sia dichiarando di voler annettere il Canada, membro del Commonwealth e con Capo di Stato il medesimo sovrano dell’Inghilterra.
Londra reagisce: sia promuovendo una coalizione di “volenterosi” pro-Kiev e smorzando gli ardori russofili di Trump; sia “offrendo” al Canada come Primo Ministro l’ex governatore della Banca d’Inghilterra, Mark Carney, legato a filo doppio anche con gli ambienti di Wall Street e dei “mercati” statunitensi (fra le altre cose è stato un alto papavero della Goldman Sachs); sia – è una mia malignità – manovrando sotto sotto perché i soliti “mercati” affossino la pur rodomontesca politica daziaria del neo Presidente.
Gli avvenimenti delle prossime settimane diranno se questa nuova guerra interna al mondo anglosassone si risolverà come la precedente: se Trump – cioè – sarà “normalizzato” come a suo tempo Roosevelt, o se l’Anglosfera andrà definitivamente in pezzi. Con immensi benefìci per il mondo intero.
A Riyadh, la retorica pacifista del Presidente e le sue politiche sembrano finalmente allineate.
(BRENDAN SMIALOWSKI/AFP via Getty Images)
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Il Presidente Donald Trump è sembrato pronto a dare un taglio netto ai falchi più riflessivi del suo partito nel primo grande discorso pronunciato all’estero durante il suo secondo mandato.
“I cosiddetti costruttori di nazioni hanno distrutto molte più nazioni di quante ne abbiano costruite, e gli interventisti sono intervenuti in società complesse che non comprendevano nemmeno loro stessi”, ha detto martedì a Riyadh.
Le azioni di Trump potrebbero essere in linea con le sue parole. Di recente ha annunciato la sospensione dei bombardamenti contro gli Houthi nello Yemen, la fine delle sanzioni sulla Siria, la rimozione di un consigliere per la sicurezza nazionale considerato non del tutto d’accordo con i suoi colloqui con l’Iran e sta cercando di evitare un’altra guerra regionale in Medio Oriente.
“Le scintillanti meraviglie di Riyadh e Abu Dhabi non sono state create dai cosiddetti ‘costruttori di nazioni’, dai neocon o da organizzazioni non profit liberali come quelle che hanno speso trilioni e trilioni di dollari per non sviluppare Baghdad e tante altre città”, ha proseguito Trump.
“La pace, la prosperità e il progresso alla fine non sono venuti da un rifiuto radicale della vostra eredità, ma piuttosto dall’abbracciare le vostre tradizioni nazionali e abbracciare quella stessa eredità che amate così tanto”, ha detto. “Avete realizzato un miracolo moderno alla maniera araba”.
È chiaro da un decennio che, a differenza di gran parte dell’establishment conservatore di politica estera che un tempo dirigeva il Partito Repubblicano, Trump crede che quelle che sono state chiamate le guerre per sempre abbiano distrutto molto più di quanto abbiano conservato. Nel suo secondo mandato ha fatto più progressi che nel primo nel rimuovere quell’establishment.
Ma non è stato perfetto. Questa Casa Bianca non parla con una sola voce in politica estera. E Trump si è già allineato verbalmente con i pacifisti per poi piegarsi ai falchi su posizioni politiche sostanziali. Come Barack Obama prima di lui, anche Trump si trova di fronte a un elettorato stanco della guerra, ma non sicuro di essere pronto a correre i rischi di una riduzione.
Da parte sua, l’establishment della politica estera di Beltway condannerà più facilmente gli errori di omissione percepiti che gli interventi mal concepiti;
Anche ora, le guerre a Gaza e in Ucraina si sono dimostrate più difficili da chiudere, per ragioni difficilmente limitabili a considerazioni di politica interna.
Ma è possibile che Trump si renda conto di non poter raggiungere gli obiettivi desiderati giocando a fare il poliziotto del mondo in quartieri lontani che non conosciamo bene.
“La nascita di un Medio Oriente moderno è stata portata avanti dagli stessi abitanti della regione, le persone che sono proprio qui, le persone che hanno vissuto qui per tutta la vita, sviluppando i propri Paesi sovrani, perseguendo le proprie visioni uniche e tracciando i propri destini a modo loro”, ha detto Trump della regione in cui i sogni dei costruttori di nazioni sono andati più spesso a morire negli ultimi anni.
Trump punta su governi estremamente imperfetti per rendere possibile la sua visione di pace in Medio Oriente, una scommessa che ha frustrato molti dei suoi predecessori;
Tuttavia, Trump comprende anche i limiti della moral suasion nel trattare o motivare questi governanti, e critica gli esperti occidentali che “vi danno lezioni su come vivere o come governare i vostri affari”.
“Negli ultimi anni, troppi presidenti americani sono stati afflitti dall’idea che sia nostro compito guardare nell’anima dei leader stranieri e usare la politica statunitense per dispensare giustizia per i loro peccati”, ha detto Trump. “Io credo che il compito di Dio sia quello di giudicare, mentre il mio compito è quello di difendere l’America e di promuovere gli interessi fondamentali della stabilità, della prosperità e della pace”.
Ha incluso l’Iran in questo discorso, anche se ha ribadito che Teheran non acquisirà armi nucleari. “Oggi sono qui non solo per condannare il caos passato dei leader iraniani, ma per offrire loro un nuovo percorso e un percorso migliore verso un futuro molto migliore e pieno di speranza”, ha detto Trump.
Sarà un compito arduo. Trump potrebbe essere pronto a tracciare un percorso diverso, ma la pacificazione comporta una serie di sfide.
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Il mese scorso Trump ha fatto un confronto rivelatore tra il suo primo e il suo secondo mandato.
“La prima volta avevo due cose da fare: gestire il Paese e sopravvivere; avevo tutti questi disonesti”, ha detto Trump alla rivista Atlantic in un’intervista pubblicata il 28 aprile. “E la seconda volta, gestisco il Paese e il mondo”.
Governare il mondo è un compito difficile, forse impossibile, anche per l’uomo più potente;
L’autore
W. James Antle III
W. James Antle III è direttore esecutivo della rivista Washington Examiner e collaboratore di The American Conservative.
Dobbiamo unirci contro i pochi agenti del caos e del terrore rimasti”, ha detto il presidente ai suoi ospiti sauditi, e “la più distruttiva di queste forze è il regime iraniano”.
Oggi, 2:24
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Il presidente Donald Trump interviene al Forum sugli investimenti sauditi e statunitensi presso il King Abdulaziz International Conference Center di Riyadh, in Arabia Saudita, martedì 13 maggio 2025. (Foto AP/Alex Brandon)
Testo integrale del discorso del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump al Saudi-US Investment Forum presso il King Abdulaziz International Conference Center di Riyadh, Arabia Saudita, 13 maggio 2025.
Beh, grazie mille. È un onore essere qui. Che posto fantastico. Che posto fantastico. Ma soprattutto, che persone fantastiche. Voglio ringraziare Sua Altezza Reale, il Principe Ereditario, per l’incredibile introduzione. È un uomo incredibile. Lo conosco da molto tempo. Non c’è nessuno come lui. Grazie mille. Lo apprezzo molto, amico mio.
È un grande onore tornare in questo bellissimo regno ed essere accolti con una generosità e un calore così straordinari. Non ho mai dimenticato l’eccezionale ospitalità mostrataci da Re Salman. Parliamo di un grande uomo. Un grande uomo, un grande uomo, una grande famiglia. Quella visita è avvenuta esattamente otto anni fa. La gentilezza della famiglia reale e del popolo saudita è davvero insuperabile, ovunque si vada.
Permettetemi di ringraziare anche gli innumerevoli ministri, funzionari governativi, dirigenti d’azienda e ospiti illustri per la calorosa accoglienza, molto calorosa. Conosco molti di voi. Vorrei fare i nomi di tutti voi, ma avremmo molti problemi. Resteremmo qui per molto tempo. Non lo vogliamo. Quindi non siate arrabbiati.
Con questa storica visita di Stato, celebriamo più di 80 anni di stretta collaborazione tra gli Stati Uniti e il Regno dell’Arabia Saudita. Da quando il presidente Franklin Roosevelt incontrò il padre di re Salman, re Abdulaziz, a bordo della USS Quincy nel 1945, le relazioni tra Stati Uniti e Arabia Saudita sono state un fondamento di sicurezza e prosperità.
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Oggi riaffermiamo questo importante legame e compiamo i passi successivi per rendere il nostro rapporto più stretto, più forte e più potente che mai. È più potente che mai. E, tra l’altro, rimarrà tale. Non entriamo e usciamo come gli altri. E così rimarrà.
Sono venuto questo pomeriggio per parlare del brillante futuro del Medio Oriente, ma prima lasciatemi iniziare condividendo l’abbondanza di buone notizie provenienti da un luogo chiamato America.
In meno di quattro mesi, la nostra nuova amministrazione ha ottenuto più di quanto la maggior parte delle altre amministrazioni realizzi in quattro anni o addirittura in otto anni. In realtà abbiamo fatto, per la maggior parte, di più. Il giorno in cui sono entrato in carica, abbiamo ereditato… Grazie. Grazie a voi.
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Il giorno in cui mi sono insediato, abbiamo ereditato una colossale invasione del nostro confine meridionale, un’invasione che non avreste mai voluto vedere qui, nessuno dovrebbe mai volerla vedere. Ma nel giro di poche settimane abbiamo ridotto gli attraversamenti illegali del confine ai minimi storici, con una diminuzione del 99,999%. È un buon risultato anche per questo grande signore che sta di fronte a me. È un buon numero. Abbiamo avuto centinaia di migliaia di persone. L’anno scorso sono arrivate nello stesso periodo e il mese scorso, in questo confine enorme, sono entrate tre persone. È una bella differenza.
E non abbiamo avuto altra scelta se non quella di prendere molte delle persone che sono arrivate perché non erano le migliori. In molti casi erano persone molto cattive. Li stiamo facendo uscire. Li stiamo facendo uscire molto velocemente. Li stiamo riportando da dove sono venuti. Non abbiamo scelta.
Dopo anni di carenza di reclutamento militare, gli arruolamenti nelle forze armate statunitensi sono ora i più alti degli ultimi 30 anni, perché c’è uno spirito incredibile negli Stati Uniti d’America. Abbiamo di nuovo uno spirito straordinario.
Circa un anno fa, era una grande notizia, in prima pagina su tutti i giornali del mondo, che nessuno voleva arruolarsi nelle nostre forze armate, il che significa che eravamo molto sotto arruolati. E proprio la settimana scorsa è emerso che abbiamo il più forte arruolamento. Dicono 30 anni, ma forse è la prima volta. Non vanno così indietro nel tempo. È il migliore. E questo include gli agenti di polizia, i vigili del fuoco e tutto il resto.
C’è un grande spirito negli Stati Uniti in questo momento. Un nuovissimo sondaggio di Rasmussen ha appena mostrato che il numero di americani che credono che la nazione sia sulla strada giusta – si parla di strada giusta e strada sbagliata – è ora il più alto in oltre 20 anni. E non è mai stato così, perché per molti anni è stata la strada sbagliata. E posso dire che negli ultimi quattro anni è stata sicuramente la strada sbagliata, ma è la più alta da molti, molti anni a questa parte.
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Abbiamo trasformato il Golfo del Messico in Golfo d’America: è stato molto apprezzato, a parte forse il Messico. E, cosa più importante per i presenti in questa sala, i giorni di miseria economica dell’ultima amministrazione stanno rapidamente lasciando il posto alla più grande economia della storia del mondo. Siamo in pieno fermento.
Gli Stati Uniti sono il paese più caldo – con l’eccezione del vostro paese, devo dire, giusto?
Gli Stati Uniti sono il paese più caldo – ad eccezione del vostro paese, devo dire, giusto? Non ho intenzione di affrontare la questione. No, Mohammed, non me ne farò carico. Non sarebbe una cosa terribile se facessi questa dichiarazione completa? Ma non lo farò. Sei più sexy. Almeno finché sono quassù, siete più caldi.
Ma i prezzi dei generi alimentari, della benzina, dell’energia e di tutti gli altri prodotti sono scesi, senza inflazione. Non c’è inflazione. In poche settimane abbiamo creato 464.000 nuovi posti di lavoro. Pensateci. Si tratta di quasi mezzo milione di posti di lavoro creati in poche settimane.
Abbiamo appena raggiunto uno storico accordo commerciale con il Regno Unito e nel fine settimana abbiamo raggiunto un accordo rivoluzionario con la Cina, entrambi accordi eccezionali. La Cina è d’accordo – dobbiamo metterlo nero su bianco. Dobbiamo definire i piccoli dettagli. E Scott, lei ci lavorerà molto duramente. Ma la Cina ha accettato di aprirsi agli Stati Uniti per il commercio e tutto il resto. Ma devono farlo. Vedremo cosa succederà. Ma abbiamo avuto un incontro molto, molto positivo con entrambi i Paesi.
Stiamo tagliando 10 vecchi regolamenti per ogni nuovo regolamento. Ci stiamo sbarazzando di tutta la burocrazia che… Molti Paesi, francamente, invecchiando sviluppano molta burocrazia, e noi ce ne stiamo sbarazzando. Ce ne stiamo liberando a livelli record.
E sono lieto di riferire che il Congresso degli Stati Uniti è sul punto di approvare il più grande taglio alle tasse e alle normative della storia americana. Pensiamo di essere in buone condizioni per ottenerlo. E se lo otterremo, sarà come un razzo per il nostro Paese.
Nel primo trimestre dell’anno, gli investimenti in America sono aumentati di un sorprendente 22%. Solo dopo le elezioni del 5 novembre sono stati annunciati o sono in arrivo nuovi investimenti per oltre 10.000 miliardi di dollari. Pensate a questo. In un periodo di tempo molto breve, abbiamo superato i 10.000 miliardi di dollari, e la cifra potrebbe essere molto più alta.
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Non tutti vengono alla Casa Bianca a fare una conferenza stampa per dire che apriranno in America, ma tutti arrivano a cifre mai viste prima. Se si guarda alle altre presidenze, non avrebbero fatto 1.000 miliardi di dollari in anni. Noi lo abbiamo fatto essenzialmente in due mesi. Perché bisogna dire che siamo entrati in carica e mi hanno dato circa un mese per ripulire e sistemare lo Studio Ovale, dopodiché abbiamo iniziato a lavorare e i soldi stanno arrivando, i posti di lavoro stanno arrivando, le aziende si stanno riversando nel nostro Paese come non abbiamo mai visto prima. Non c’è mai stata una cosa del genere.
Abbiamo lasciato che altri ci imponessero tariffe per perdere molti soldi e molti posti di lavoro, e ora stiamo imponendo tariffe a loro, a un livello che nessuno ha mai visto. È un livello che ci sta rendendo un Paese molto diverso e un Partito Repubblicano molto diverso.
Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman parla al Saudi-US Investment Forum a Riyadh, Arabia Saudita, 13 maggio 2025. (AP/Alex Brandon)
A novembre abbiamo ottenuto una vittoria straordinaria. Abbiamo vinto tutti e sette gli Stati in bilico, il voto popolare con milioni e milioni di voti. Nel collegio elettorale abbiamo vinto con 312 voti contro 226. Ricordate, avevano detto: “Beh, potremmo arrivare a 270”, e noi siamo arrivati a 312. È una grande differenza. E, cosa molto importante, abbiamo conquistato contee in tutti gli Stati Uniti, 2.660 a 451. Ecco perché quando si guarda una mappa, sono tutte rosse. L’intero Paese è rosso. Rosso sta per repubblicano.
Dal momento in cui abbiamo iniziato, abbiamo visto che la ricchezza si è riversata e si sta riversando in America. Apple sta investendo 500 miliardi di dollari. Nvidia sta investendo. E vedo che il mio amico è qui, Jensen, molto bene. Ovunque tu sia, ti ringrazio molto, perché sta investendo 500 miliardi di dollari. TSMC sta investendo. A proposito, dov’è Jensen? Dov’è? È qui in piedi. Dov’è? Ho appena visto Beth. Grazie mille, Jensen.
Voglio dire, Tim Cook non è qui, ma tu sì. Che lavoro hai fatto. Ha detto di avere il 99% del mercato dei chip. Non lo so. Non è facile da battere. Ma che lavoro avete fatto. Grazie. Siamo orgogliosi di avervi nel nostro Paese. Lo sapete. Grazie per l’investimento. TSMC sta investendo 200 miliardi di dollari. Con questo viaggio, aggiungeremo oltre 1.000 miliardi di dollari in termini di investimenti nel nostro Paese e di acquisto dei nostri prodotti.
Nessuno produce attrezzature militari come noi. Abbiamo il miglior equipaggiamento militare, i migliori missili, i migliori razzi, il miglior tutto. I migliori sottomarini, tra l’altro. L’arma più letale al mondo. Oltre all’acquisto di 142 miliardi di dollari di equipaggiamenti militari di fabbricazione americana da parte dei nostri grandi partner sauditi, il più grande di sempre questa settimana. Ci sono accordi commerciali multimiliardari con Amazon, Oracle, AMD. Sono tutti qui. Uber, Qualcomm, Johnson and Johnson e molti altri.
Voglio quindi congratularmi con tutti. Tanti grandi dirigenti d’azienda, molti di voi, molti di voi li conosco. Venivano qui circa un mese fa. Non erano molto contenti quando mi hanno visto, e ora dicono: “Signore, sta facendo un ottimo lavoro. Grazie mille”. È incredibile cosa possa fare un mercato in crescita. Il mercato salirà ancora di molto. Infatti, cinque settimane fa ho detto alla gente: “Questo è un ottimo momento per comprare”. Sono stato criticato per questo. Ora non mi criticano più. La gente avrebbe dovuto ascoltare.
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Ma la cifra salirà molto di più. Vedrete. Non è mai successo nulla di simile. È un’esplosione di investimenti e di posti di lavoro, e stanno arrivando grandi aziende. Non si è mai vista una cosa del genere. Non c’è posto migliore per costruirsi un futuro o fare fortuna o fare qualsiasi cosa, francamente, di quello che abbiamo negli Stati Uniti d’America sotto un certo Presidente, Donald J. Trump. Ho l’atteggiamento giusto.
Ho lo stesso atteggiamento che hanno le persone in prima, seconda e terza fila. Man mano che si torna indietro, forse iniziano a perdere un po’ di vista, ma capiscono e noi stiamo facendo quello che molte persone intelligenti farebbero. E non siamo necessariamente politicamente corretti.
Avete visto cosa abbiamo fatto ieri con la sanità. Abbiamo tagliato l’assistenza sanitaria del 50-90%. Vedrete i farmaci e le medicine scendere a cifre mai viste prima. Pensiamo che i farmaci scenderanno e che ci sarà una ridistribuzione dei costi con altre nazioni, che hanno davvero approfittato di un gruppo di persone molto simpatiche che gestivano il nostro Paese.
Ma questo non è solo un periodo di incredibile eccitazione negli Stati Uniti. È un periodo esaltante anche qui nella penisola arabica. Un posto bellissimo, tra l’altro, un posto bellissimo. Esattamente… Grazie.
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump parla durante il forum sugli investimenti sauditi e statunitensi presso il King Abdul Aziz International Conference Center di Riyadh il 13 maggio 2025. (Brendan SMIALOWSKI / AFP)
Esattamente otto anni fa, questo mese, mi trovavo in questa stessa sala e guardavo a un futuro in cui le nazioni di questa regione avrebbero sconfitto le forze del terrorismo e dell’estremismo, eliminandole dall’esistenza, e avrebbero preso il vostro posto tra le nazioni più orgogliose, prospere e di successo del mondo come leader di un Medio Oriente moderno e in ascesa. È così eccitante. Così emozionante.
Mohammed, dormi di notte? Come dormi? Eh? Stavo pensando. Che lavoro. Si gira e rigira come alcuni di noi, si gira e rigira tutta la notte, come dire, tutta la notte. Quelli che non si rigirano sono quelli che non ti porteranno mai nella terra promessa. Non è così? Ma lei ha fatto un buon lavoro. Vero.
L’Arabia Saudita ha dimostrato che i critici si sbagliavano completamente. La trasformazione… è stata davvero straordinaria
Ma i critici dubitavano che fosse possibile quello che avete fatto. Ma negli ultimi otto anni, l’Arabia Saudita ha dimostrato che i critici si sbagliavano completamente. La trasformazione che si è verificata – anche da parte di questi incredibili leader del mondo degli affari, voglio dire che ci sono i più grandi leader del mondo degli affari davanti a noi – ma la trasformazione che si è verificata sotto la guida del re Salman e del principe ereditario Mohammed è stata davvero straordinaria. Una cosa del genere non credo sia mai accaduta prima. Non ho mai visto accadere nulla di tale portata prima d’ora.
E forse si potrebbe dire che anche gli Stati Uniti stanno andando piuttosto bene, ma non credo che molte persone abbiano mai visto una cosa del genere prima d’ora. I grattacieli maestosi, le torri che vedo, la differenza tra oggi e otto anni fa. Otto anni fa era davvero impressionante. Ma le torri che vedo sorgere, alcuni dei reperti che mi sono stati mostrati da Mohammed, quello che ho visto è un processo incredibile, un genio incredibile di così tante persone, l’architettura. Ma ho la sensazione di sapere da dove sono venute molte di quelle idee, che si dà il caso siano sedute proprio in questa stanza, proprio davanti a me.
Ma le torri e tutte le diverse… Ho visto molte torri diverse. Non credo che esista una versione di una torre che non abbia visto in una forma o nell’altra. Ho appena superato quattro mostre. Non ho mai visto nulla di simile. Quindi sarà molto emozionante. E si trovano tra le antiche meraviglie di una città in crescita ed eccitante. È davvero sorprendente.
Il presidente Donald Trump e Sua Altezza Reale Mohammed bin Salman al Saud, principe ereditario e primo ministro del Regno dell’Arabia Saudita, visitano il sito del patrimonio mondiale dell’UNESCO Diriyah/At-Turaif, il 13 maggio 2025, a Riyadh. (Foto AP/Alex Brandon)
Riyadh sta diventando non solo una sede del governo, ma una delle principali capitali commerciali, culturali e high-tech del mondo intero. La Coppa del Mondo è arrivata. Gianni, alzati, Gianni. Gianni. Grazie, Gianni. Ottimo lavoro, Gianni. Ottimo lavoro. Ma la Coppa del Mondo e l’Esposizione Universale arriveranno presto qui, proprio come la Coppa del Mondo sta arrivando negli Stati Uniti. L’anno prossimo sarà davvero emozionante.
I motori delle corse di Formula 1 ora rombano per le strade di Gedda. In una pietra miliare storica, altre industrie hanno recentemente superato il petrolio. Pensate, tutte le altre industrie hanno superato il petrolio. Non so se molte persone capiranno cosa significhi, è una cosa così grande. Per la prima volta in assoluto, il settore petrolifero rappresenta la maggioranza dell’economia saudita. Altre industrie sono ora più grandi persino del petrolio, che sarà sempre un grande mostro. È un grande mostro. Ma questo è un grande tributo a voi e allo sviluppo economico usato correttamente.
In altre città della penisola, come Dubai e Abu Dhabi, Doha, Muscat, le trasformazioni sono state incredibilmente notevoli. Davanti ai nostri occhi una nuova generazione di leader sta trascendendo gli antichi conflitti delle stanche divisioni del passato e sta forgiando un futuro in cui il Medio Oriente è definito dal commercio, non dal caos; in cui esporta tecnologia, non terrorismo; e in cui persone di nazioni, religioni e credi diversi costruiscono città insieme, non si bombardano a vicenda. Noi non vogliamo questo.
Ed è fondamentale per il mondo intero notare che questa grande trasformazione non è avvenuta grazie agli interventisti occidentali o a persone volanti su splendidi aerei che vi danno lezioni su come vivere e come governare i vostri affari. No, le scintillanti meraviglie di Riyadh e Abu Dhabi non sono state create dai cosiddetti costruttori di nazioni, dai neoconservatori o da organizzazioni non profit liberali come quelle che hanno speso trilioni e trilioni di dollari per non sviluppare Kabul, Baghdad e tante altre città.
La nascita di un Medio Oriente moderno è stata portata avanti dagli stessi abitanti della regione, le persone che si trovano proprio qui.
Invece, la nascita di un Medio Oriente moderno è stata portata avanti dagli stessi abitanti della regione, le persone che sono qui, le persone che hanno vissuto qui per tutta la vita, sviluppando i propri Paesi sovrani, perseguendo le proprie visioni uniche e tracciando i propri destini a modo loro. È davvero incredibile quello che avete fatto.
Alla fine i cosiddetti costruttori di nazioni hanno distrutto molte più nazioni di quante ne abbiano costruite, e gli interventisti intervenivano in società complesse che non capivano nemmeno loro. Vi dicevano come fare, ma non avevano idea di come farlo loro stessi.
La pace, la prosperità e il progresso, in ultima analisi, non derivano da un radicale rifiuto del vostro patrimonio, ma piuttosto dall’abbracciare le vostre tradizioni nazionali e abbracciare quello stesso patrimonio che amate così tanto.
La pace, la prosperità e il progresso non sono venuti da un radicale rifiuto del vostro patrimonio, ma piuttosto dall’abbraccio delle vostre tradizioni nazionali e da quello stesso patrimonio che amate così tanto, ed è qualcosa che solo voi potevate fare.
Avete realizzato un miracolo moderno alla maniera araba. È un buon modo.
Oggi, le Nazioni del Golfo hanno mostrato all’intera regione un percorso verso società sicure e ordinate, con una migliore qualità della vita, una fiorente crescita economica, l’espansione delle libertà personali e una crescente responsabilità sulla scena mondiale. Dopo tanti decenni di conflitti, finalmente siamo in grado di raggiungere il futuro che le generazioni precedenti hanno potuto solo sognare: una terra di pace, sicurezza, armonia, opportunità, innovazione e successo, proprio qui in Medio Oriente.
Il presidente Donald Trump, quinto a sinistra, partecipa a una foto di gruppo con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, quarto a destra, con il principe ereditario degli Emirati Arabi Uniti Sheikh Khaled bin Mohamed bin Zayed Al Nahyan, secondo a destra, il principe ereditario del Bahrain e il primo ministro Salman bin Hamad Al Khalifa, sinistra, l’emiro del Qatar Sheikh Tamim bin Hamad Al Thani, terzo a sinistra, il principe ereditario del Kuwait Mishal Al-Ahmad Al-Jaber Al-Sabah, secondo a sinistra, il segretario generale del Consiglio di cooperazione del Golfo Jasem Mohamed Albudaiwi, a destra, durante il vertice del CCG a Riyadh, in Arabia Saudita, mercoledì 14 maggio 2025. (Foto AP/Alex Brandon)
È così bello. È una cosa così bella che sta accadendo. Credo che le persone che sono qui non riescano ad apprezzarla perché la vedono accadere, e quando si arriva in un posto che non si vedeva da cinque anni o da 10 anni o da 20 anni, è ancora più incredibile.
Quando ho lasciato l’incarico poco più di quattro anni fa, quel futuro sembrava quasi impossibile, come avete fatto voi. Insieme, abbiamo annientato gli assassini dell’ISIS. Li abbiamo spazzati via e abbiamo messo fine al suo fondatore e leader, al-Baghdadi. Abbiamo sanato la frattura nel Consiglio di Cooperazione del Golfo. È una cosa molto importante e ha unito le nazioni della regione per opporsi ai nemici di tutta la civiltà.
Avevamo imposto sanzioni senza precedenti all’Iran, privando il regime delle risorse per finanziare il terrorismo. Non erano in grado di finanziare nulla perché non avevano più soldi. Non avevano soldi, ma la nuova amministrazione è arrivata e ha lasciato loro un sacco di soldi, e avete visto cosa è successo. Non sono stati soldi ben spesi.
È mia fervida speranza, desiderio e persino sogno che l’Arabia Saudita, un luogo per il quale nutro un grande rispetto… si unisca presto agli Accordi di Abramo.
Con gli storici Accordi di Abramo, di cui siamo così orgogliosi, tutto lo slancio è stato rivolto alla pace, e con grande successo. Gli Accordi di Abramo sono stati una cosa straordinaria. Ed è mia fervida speranza, desiderio e persino sogno che l’Arabia Saudita – un luogo per il quale nutro un grande rispetto, soprattutto nell’ultimo brevissimo periodo di tempo, per ciò che siete stati in grado di fare – si unisca presto agli Accordi di Abraham. Penso che sarà un enorme tributo al vostro Paese e sarà qualcosa di molto importante per il futuro del Medio Oriente.
Ho corso un rischio nel farli, e sono stati una vera e propria fortuna per i Paesi che vi hanno aderito. L’amministrazione Biden non ha fatto nulla per quattro anni. L’avremmo fatto compilare. Ma sarà un giorno speciale in Medio Oriente, con tutto il mondo a guardare, quando l’Arabia Saudita si unirà a noi. Onorerete me e tutte le persone che hanno lottato così duramente per il Medio Oriente, e credo proprio che sarà qualcosa di speciale. Ma lo farete con i vostri tempi, ed è quello che voglio io, e quello che volete voi, ed è così che sarà.
Quando ho lasciato il mio incarico, l’unica cosa che ancora si frapponeva tra questa regione e il suo incredibile potenziale era un piccolo gruppo di attori disonesti e di delinquenti violenti che cercavano costantemente di trascinare il Medio Oriente all’indietro, verso il caos, lo scompiglio e persino la guerra. Purtroppo, invece di affrontare queste forze distruttive, l’ultima amministrazione statunitense ha scelto di arricchirle, potenziarle e dare loro miliardi e miliardi di dollari.
L’amministrazione Biden, la peggiore amministrazione nella storia del nostro Paese, tra l’altro, ha rifiutato i nostri partner del Golfo più fidati e di lunga data. E posso dire partner a livello mondiale. Uno dei nostri grandi, grandi partner, a prescindere da chi guardiamo, e abbiamo grandi partner nel mondo, ma non abbiamo nessuno più forte e nessuno come il signore che è qui davanti a me. È il vostro più grande rappresentante, il più grande rappresentante.
E se non mi piacesse, me ne andrei subito da qui. Lo sa, vero? Mi conosce bene. È vero, mi piace molto. Mi piace troppo. Per questo diamo tanto, troppo. Mi piaci troppo. Un grande uomo.
Hanno tolto le sanzioni all’Iran in cambio di nulla e hanno inviato al regime decine di miliardi di dollari per finanziare il terrore e la morte in tutto il mondo, e hanno riso di lui. Hanno riso del nostro leader e stanno ancora ridendo del nostro leader. Lo consideravano un pazzo e da allora non hanno fatto altro che creare problemi, compreso il finanziamento del 7 ottobre, uno dei giorni peggiori della storia del Medio Oriente, un giorno orribile.
Biden ha rimosso gli Houthi dall’elenco delle organizzazioni terroristiche straniere anche mentre missili e droni venivano lanciati proprio qui, nella vostra bella città di Riyadh, e lanciati contro le navi se per caso navigavano nella posizione sbagliata. L’estrema debolezza e la grossolana incompetenza dell’amministrazione Biden hanno fatto deragliare i progressi verso la pace, destabilizzato la regione e messo a rischio tutto ciò che avevamo costruito con tanta fatica insieme.
E quando si pensa alle grandi conquiste che avete fatto, alla luce di un’amministrazione piuttosto ostile, un’amministrazione che non era credente, rende le vostre conquiste ancora più grandi. Li rende ancora più grandi. Lo sapete.
Lavorando con la stragrande maggioranza delle persone in questa regione che cercano la stabilità e la calma, il nostro compito è quello di unirci contro i pochi agenti del caos e del terrore che sono rimasti e che tengono in ostaggio i sogni di milioni e milioni di grandi persone. La più grande e distruttiva di queste forze è il regime iraniano.
Ma in pochi mesi dall’insediamento, abbiamo ottenuto il rapido ritorno della forza americana in patria e all’estero. Ora, lavorando con la stragrande maggioranza delle persone in questa regione che cercano stabilità e calma, il nostro compito è quello di unirci contro i pochi agenti del caos e del terrore che sono rimasti e che tengono in ostaggio i sogni di milioni e milioni di grandi persone.
La più grande e distruttiva di queste forze è il regime iraniano, che ha causato sofferenze inimmaginabili in Siria, Libano, Gaza, Iraq, Yemen e oltre.
Non potrebbe esserci contrasto più netto con il percorso che avete seguito nella Penisola arabica rispetto al disastro che si sta verificando proprio di fronte al Golfo dell’Iran. Pensate a questo. Volevano chiamarlo così e io dissi: “Non glielo permetteranno. Vi dispiace se lo fermo?”. L’ho fermato. Non permetteremo che ciò accada.
Mentre voi costruite i grattacieli più alti del mondo a Gedda e Dubai, i monumenti di Teheran del 1979 crollano in macerie e polvere. Loro sono andati avanti per un po’ con un sistema molto diverso, ma quegli edifici stanno in gran parte cadendo a pezzi, mentre voi state costruendo alcuni dei più grandi e incredibili progetti infrastrutturali del mondo, edifici, ogni sorta di cose che state costruendo e che nessuno ha mai visto prima. I decenni di incuria e cattiva gestione dell’Iran hanno lasciato il Paese afflitto da blackout a rotazione, che durano per ore al giorno. Se ne sente sempre parlare.
Mentre la vostra abilità ha trasformato i deserti aridi in fertili terreni agricoli, i leader iraniani sono riusciti a trasformare i verdi terreni agricoli in deserti aridi, poiché la loro corrotta mafia dell’acqua, chiamiamola così, provoca siccità e svuotamenti dei letti dei fiumi. Si arricchiscono, ma non lasciano che il popolo ne abbia neanche un po’.
E poi, naturalmente, c’è la differenza fondamentale alla base di tutto: Mentre gli Stati arabi si sono concentrati sul diventare pilastri della stabilità regionale e del commercio mondiale, i leader iraniani si sono concentrati sul furto delle ricchezze del loro popolo per finanziare il terrore e lo spargimento di sangue all’estero. La cosa più tragica è che hanno trascinato con sé un’intera regione.
Innumerevoli vite sono state perse nello sforzo iraniano di mantenere un regime in disfacimento in Siria. Guardate cosa è successo con la Siria.
In Libano, i loro proxy Hezbollah hanno saccheggiato le speranze di una nazione la cui capitale Beirut era un tempo chiamata la Parigi del Medio Oriente. Riuscite a immaginarlo? Tutta questa miseria e molto altro era assolutamente evitabile, assolutamente evitabile. E Maometto lo sapeva. Lo sapeva. Le persone intelligenti lo sapevano. Se solo il regime iraniano si fosse concentrato sulla costruzione della propria nazione invece di distruggere la regione.
Tuttavia, oggi sono qui non solo per condannare il caos passato dei leader iraniani, ma per offrire loro un nuovo percorso e un cammino molto migliore verso un futuro di gran lunga migliore e pieno di speranza. Come ho dimostrato più volte, sono disposto a porre fine ai conflitti del passato e a creare nuove partnership per un mondo migliore e più stabile, anche se le nostre differenze possono essere molto profonde, come ovviamente sono nel caso dell’Iran.
Non ho mai creduto di avere nemici permanenti. Sono diverso da come molti pensano. Non mi piacciono i nemici permanenti, ma a volte hai bisogno di nemici per fare il lavoro e devi farlo bene. I nemici ti motivano. Infatti, alcuni dei più stretti amici degli Stati Uniti d’America sono nazioni contro cui abbiamo combattuto guerre nelle generazioni passate, e ora sono nostri amici e alleati.
Se la leadership iraniana rifiuta questo ramoscello d’ulivo e continua ad attaccare i suoi vicini, non avremo altra scelta se non quella di infliggere una massiccia pressione massima.
Voglio fare un accordo con l’Iran. Se riuscirò a fare un accordo con l’Iran, sarò molto felice se riusciremo a rendere la vostra regione e il mondo un posto più sicuro. Ma se la leadership iraniana rifiuta questo ramoscello d’ulivo e continua ad attaccare i suoi vicini, allora non avremo altra scelta che infliggere una massiccia pressione massima, portando a zero le esportazioni di petrolio iraniano, come ho fatto in passato.
Lo sapevate che – grazie a ciò che ho fatto – erano un Paese praticamente in bancarotta. Non avevano soldi per il terrorismo, non avevano soldi per Hamas o Hezbollah… E intraprendere tutte le azioni necessarie per impedire al regime di avere un’arma nucleare. L’Iran non avrà mai un’arma nucleare.
Vogliamo che sia un Paese meraviglioso, sicuro e grande, ma non può avere un’arma nucleare.
Detto questo, l’Iran può avere un futuro molto più luminoso, ma non permetteremo mai che l’America e i suoi alleati siano minacciati dal terrorismo o da un attacco nucleare. La scelta spetta a loro. Vogliamo davvero che siano un Paese di successo. Vogliamo che siano un Paese meraviglioso, sicuro e grande, ma non possono avere un’arma nucleare.
Si tratta di un’offerta che non durerà per sempre. È il momento di scegliere. Adesso. Non abbiamo molto tempo per aspettare. Le cose stanno accadendo a un ritmo molto veloce, stanno accadendo proprio qui. Stanno accadendo a un ritmo molto veloce. Quindi devono muoversi subito, in un modo o nell’altro. Fare la propria mossa.
Bandiere saudite e statunitensi sventolano davanti a un edificio in costruzione su una strada principale di Riyadh il 12 maggio 2025, in vista della visita del presidente statunitense Donald Trump (Fayez Nureldine / AFP)
Come ho detto nel mio discorso inaugurale, la mia più grande speranza è quella di essere un costruttore di pace e di essere unificatore. Non mi piace la guerra.
Abbiamo il più grande esercito della storia del mondo. Ho ricostruito le nostre forze armate nei miei primi quattro anni e le ho trasformate nelle forze armate più potenti che ci siano, e lo avete visto quando ho messo fuori gioco l’ISIS in tre settimane. La gente diceva che ci sarebbero voluti quattro o cinque anni. Io l’ho fatto, l’abbiamo fatto, in tre settimane.
Pochi giorni fa, la mia amministrazione ha mediato con successo uno storico cessate il fuoco per fermare l’escalation di violenza tra India e Pakistan, e per farlo ho usato in larga misura il commercio. Ho detto, ragazzi, “Forza. Facciamo un accordo. Facciamo qualche scambio. Non scambiamo missili nucleari. Scambiamo le cose che fate in modo così bello”.
Entrambi hanno leader molto potenti, leader molto forti, leader bravi, leader intelligenti, e tutto si è fermato. Speriamo che rimanga così, ma tutto si è fermato. Sono stato molto orgoglioso di Marco Rubio e di tutte le persone che hanno lavorato così duramente. Marco, alzati. Hai fatto un ottimo lavoro. Grazie. JD Vance, Marco, tutto il gruppo ha lavorato con te, ma è stato un ottimo lavoro.
E credo che vadano davvero d’accordo. Forse possiamo anche farli incontrare un po’, Marco, e farli uscire a cena insieme. Non sarebbe bello?
Ma abbiamo fatto molta strada e potrebbero essere morte milioni di persone a causa di quel conflitto che era iniziato in modo piccolo e che diventava di giorno in giorno sempre più grande.
Ho anche lavorato senza sosta per porre fine al terribile spargimento di sangue tra la Russia e l’Ucraina e, cosa molto importante, alla fine di questa settimana, probabilmente giovedì, si terranno dei colloqui in Turchia che potrebbero produrre dei risultati piuttosto buoni. I nostri collaboratori si recheranno lì. Marco ci andrà, altri ci andranno e vedremo se riusciremo a farlo.
5.000 persone, per la maggior parte giovani, soldati dell’Ucraina, soldati della Russia – non sono di qui e non sono degli Stati Uniti, ma sono anime. Sono anime. Penso che di solito, per lo più, siano anime giovani e belle che hanno lasciato i genitori salutando, hanno lasciato i fratelli e le sorelle dicendo “Arrivederci. Ci vediamo presto”. E sono stati fatti a pezzi. Ne muoiono in media 5.000 alla settimana.
Anche in altre parti della regione si muore, ma sono numeri enormi, come non si vedevano dalla Seconda Guerra Mondiale, e io voglio fermarli. Voglio fermarla. È una guerra orribile. Non sarebbe mai accaduta se io fossi stato presidente. È una guerra che non sarebbe mai avvenuta.
Il 7 ottobre non sarebbe mai accaduto se io fossi stato presidente, perché l’Iran non aveva soldi per pagare Hamas o chiunque altro. Non avevano soldi. Non cercavano di prendersi cura di loro, dovevano prendersi cura di loro stessi. Non avevano soldi. Abbiamo bloccato il loro petrolio con l’embargo e le sanzioni.
Ma permettetemi di cogliere l’occasione per ringraziare il Regno dell’Arabia Saudita per il ruolo costruttivo che ha svolto nel facilitare i colloqui in Ucraina, e lo è davvero. Siete stati straordinari. Avete messo tutto a nostra disposizione. Vi ringrazio molto. Grazie a voi. E se riusciremo a sistemare la cosa, renderemo un tributo speciale a ciò che avete fatto. Avete davvero gettato delle ottime basi. La ringrazio molto. Lo apprezzo molto.
L’Occidente non dovrebbe trascinarsi indietro in un’altra guerra infinita in Europa, l’ennesima guerra infinita. Dovremmo smettere di uccidere e lavorare insieme per affrontare le più grandi minacce a lungo termine come una squadra imbattibile. Pensate a noi come a una squadra imbattibile.
Voglio dire, se si guarda a ciò che avete fatto qui, è molto più difficile che fermare la stupidità. Pensateci, è stupidità. Quello che avete fatto è molto più difficile e lo avete fatto meglio di chiunque altro.
Come Presidente degli Stati Uniti, la mia preferenza sarà sempre per la pace e la collaborazione, ogni volta che sarà possibile raggiungere questi risultati. Sempre, sarà sempre così. Solo un pazzo potrebbe pensare il contrario
Come Presidente degli Stati Uniti, la mia preferenza sarà sempre per la pace e il partenariato, ogni volta che sarà possibile raggiungere questi risultati. Sempre, sarà sempre così. Solo un pazzo potrebbe pensare il contrario.
Negli ultimi anni, troppi presidenti americani sono stati afflitti dall’idea che sia nostro compito guardare nell’anima dei leader stranieri e usare la politica statunitense per dispensare giustizia per i loro peccati. Amavano usare il nostro potentissimo esercito. E ora è davvero il più potente che sia mai stato. Abbiamo appena approvato un bilancio di 1.000 miliardi di dollari, il più alto mai avuto nella storia per le forze armate, 1.000 miliardi di dollari, e stiamo ottenendo i più grandi missili, le più grandi armi, e sapete che odio farlo, ma dovete farlo perché crediamo nella pace attraverso la forza. Bisogna avere la forza, altrimenti potrebbero accadere cose brutte.
Credo che il compito di Dio sia quello di giudicare; il mio compito è quello di difendere l’America e di promuovere l’interesse fondamentale della stabilità, della prosperità e della pace. Questo è ciò che voglio fare davvero
Ma si spera che non dovremo mai usare nessuna di queste armi. Sembra un enorme spreco di denaro se non le useremo mai, ma speriamo di non doverle usare mai, perché il potere distruttivo di alcune di queste armi non è mai stato visto prima. Credo che il compito di Dio sia quello di giudicare; il mio compito è quello di difendere l’America e di promuovere l’interesse fondamentale della stabilità, della prosperità e della pace. Questo è ciò che voglio fare davvero.
Non esiterò mai a esercitare il potere americano se sarà necessario per difendere gli Stati Uniti o per aiutare a difendere i nostri alleati. E non ci sarà pietà per nessun nemico che cerchi di fare del male a noi o a loro. Non avremo pietà. Loro lo capiscono. Per questo sono stato abbastanza fortunato. Molte persone pensano: “Vuole combattere. Vuole combattere” e le cose si sistemano. È una cosa incredibile quando pensano che tu faccia sul serio, ma noi lo facciamo. Abbiamo il più grande esercito, il più forte, più forte di tutti. Nessuno ci si avvicina.
Abbiamo le migliori armi del mondo, ma non vogliamo usarle. Se però minacciate l’America o i nostri partner, vi troverete di fronte a una forza schiacciante e devastante. Abbiamo cose di cui non si sa nulla, di cui non si sente parlare, e se lo si sapesse, si direbbe: “Wow”.
Nelle ultime settimane, a seguito di ripetuti attacchi alle navi americane e alla libertà di navigazione nel Mar Rosso, l’esercito degli Stati Uniti ha lanciato più di 1.100 attacchi contro gli Houthi nello Yemen. Di conseguenza, gli Houthi hanno accettato di fermarsi. Hanno detto: “Non vogliamo più questo”. È la prima volta che lo sentite dire anche da loro. Sono duri, sono combattenti. Ma pochi giorni fa ci è stato chiesto di smettere di prendere di mira le navi commerciali… Non avrebbero preso di mira le navi commerciali in alcun modo, forma o forma, o qualsiasi cosa americana, e sono stati molto contenti che abbiamo smesso, ma abbiamo avuto 52 giorni di tuoni e fulmini come non ne hanno mai visti prima.
Si è trattato di un uso rapido, feroce, decisivo ed estremamente efficace della forza militare. Non che volessimo farlo, ma stavano abbattendo le navi. Sparavano a voi. Sparavano all’Arabia Saudita. Non vogliamo che sparino in Arabia Saudita, se va bene. Quindi li abbiamo colpiti duramente. Abbiamo ottenuto ciò per cui siamo venuti, e poi ce ne siamo andati.
Dal 20 gennaio, le forze armate statunitensi hanno eliminato 83 leader terroristici che operavano in Iraq, Siria e Somalia, tra cui il leader globale numero due dell’ISIS. Lo avete letto di recente. Con l’aiuto del Pakistan, abbiamo arrestato i terroristi dell’ISIS responsabili dell’attacco a 13 membri del servizio americano ad Abbey Gate. Quell’orribile, orribile disastro. Durante il ritiro dall’Afghanistan, questa è un’altra cosa a cui non pensiamo più tanto. Sono morti in 13, ma 42 sono stati orribilmente feriti, ma centinaia di persone sono morte complessivamente, perché conto le persone dall’altra parte. Centinaia di persone, solo grossolanamente incompetenti.
Probabilmente è per questo che Putin ha deciso di entrare in Ucraina, cosa che non avrebbe mai fatto se io fossi stato presidente. Ma non avremmo avuto i problemi del 7 ottobre se fossi stato presidente. Non avremmo avuto l’Ucraina, la Russia, se fossi stato presidente. Non avremmo avuto Abbey Gate perché non ci sarebbe stato alcun motivo. Stavamo uscendo, ma stavamo uscendo con dignità e con forza e potenza, ma il modo in cui sono usciti non era buono. Credo che sia stato il momento più imbarazzante nella storia del nostro Paese.
Tutte le persone civili devono condannare le atrocità del 7 ottobre contro Israele.
E abbiamo lavorato instancabilmente per riportare indietro tutti gli ostaggi detenuti da Hamas. Ne abbiamo già riportati molti, ma ne stiamo riportando altri. Questo fine settimana abbiamo negoziato con successo il rilascio dell’ultimo ostaggio americano. Edan Alexander è uscito poche ore fa e continuiamo a lavorare per porre fine a questa guerra il più rapidamente possibile. È una cosa orribile quella che sta accadendo.
La popolazione di Gaza merita un futuro migliore, ma questo non potrà avvenire finché i suoi leader sceglieranno di rapire, torturare e colpire uomini, donne e bambini innocenti per fini politici.
Tutte le persone civilizzate devono condannare le atrocità del 7 ottobre contro Israele, che non sarebbero mai accadute, ancora una volta, se aveste avuto, probabilmente, un altro presidente, ma sicuramente se aveste avuto me come presidente. Gli abitanti di Gaza meritano un futuro migliore, ma questo non potrà avvenire finché i loro leader sceglieranno di rapire, torturare e colpire uomini, donne e bambini innocenti per fini politici.
Il modo in cui queste persone sono trattate a Gaza, non c’è posto al mondo in cui le persone siano trattate così male. È orribile.
Dopo anni di sofferenza, due delle nazioni più devastate dal terrore stanno finalmente iniziando a porre fine ai loro lunghi incubi sotto la nuova generazione di leader in Libano, dove un mio amico è appena diventato ambasciatore. Sarà un grande.
Gli ho detto: “Sai, potrebbe essere un lavoro molto pericoloso”. Lui ha risposto: “Sono nato lì. Sono libanese. Amo quel Paese”.
Ho detto: “Ma è molto pericoloso”. Questo è un mio amico di New York. Gli ho detto: “Ma è molto pericoloso. Sei sicuro di volerlo fare?”.
Non ho mai pensato che fosse un guerriero, ma è un guerriero. Ama il suo Paese.
Ha detto: “Se sarò ferito o morirò, morirò per il Paese che amo”. È cresciuto lì. È orribile quello che è successo in Libano, ma voi avete un grande ambasciatore, ve lo posso dire.
E il Libano, che è stato vittima infinita degli Hezbollah e del loro sponsor, l’Iran, con un nuovo presidente e un nuovo primo ministro ha avuto la prima vera possibilità da decenni a questa parte di instaurare una partnership più produttiva con gli Stati Uniti, e noi lavoreremo con il loro nuovo ambasciatore e con tutti gli altri, Marco, per vedere se possiamo davvero aiutarli e permettere loro di superare la barriera molto alta che dovranno superare.
La mia amministrazione è pronta ad aiutare il Libano a creare un futuro di sviluppo economico e di pace con i suoi vicini. In Libano ci sono persone straordinarie, medici, avvocati, grandi professionisti. Lo sento dire tante volte.
Un’immagine ritagliata fornita dal Palazzo reale saudita mostra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump (R) mentre stringe la mano al presidente ad interim della Siria Ahmed al-Sharaa (L) a Riyadh il 14 maggio 2025. (Bandar AL-JALOUD / Palazzo reale saudita / AFP)
Allo stesso modo, in Siria, che ha visto tanta miseria e morte, c’è un nuovo governo che si spera riesca a stabilizzare il Paese e a mantenere la pace. Questo è ciò che vogliamo vedere in Siria. Hanno avuto la loro parte di tragedie, guerre, uccisioni, per molti anni. Per questo la mia amministrazione ha già compiuto i primi passi verso il ripristino di relazioni normali tra gli Stati Uniti e la Siria per la prima volta in oltre un decennio.
Ordinerò la cessazione delle sanzioni contro la Siria per darle la possibilità di diventare grande.
E sono molto lieto di annunciare che il Segretario Marco Rubio incontrerà il nuovo Ministro degli Esteri siriano in Turchia alla fine di questa settimana. E, cosa molto importante, dopo aver discusso della situazione in Siria con il Principe ereditario, il vostro Principe ereditario, e anche con il Presidente turco Erdogan, che mi ha chiamato l’altro giorno per chiedermi una cosa molto simile, tra gli altri e i miei amici, persone per cui ho molto rispetto in Medio Oriente, ordinerò la cessazione delle sanzioni contro la Siria per darle una possibilità di diventare grande.
Oh, cosa farei per il principe ereditario. Le sanzioni sono state brutali e paralizzanti e hanno svolto una funzione importante, davvero importante, in quel momento, ma ora è il loro momento di brillare. È il loro momento di brillare. Li stiamo togliendo tutti e penso che lo faranno, in base alla gente, allo spirito e a tutto il resto di cui sento parlare, quindi dico buona fortuna, Siria. Mostraci qualcosa di molto speciale come hanno fatto francamente in Arabia Saudita. Ok? Ci mostreranno qualcosa di speciale. Persone molto brave.
Siamo ancora all’alba del nuovo giorno luminoso che attende i popoli del Medio Oriente.
Ovunque sia possibile, la mia amministrazione sta perseguendo un impegno pacifico, offrendo una mano forte e ferma di amicizia a tutti coloro che la accetteranno in buona fede. Insieme abbiamo fatto passi avanti senza precedenti e progressi enormi, e siamo ancora solo all’alba del nuovo giorno luminoso che attende il popolo del Medio Oriente, il grande, grande popolo del Medio Oriente.
Se le nazioni responsabili di questa regione coglieranno questo momento, metteranno da parte le differenze e si concentreranno sugli interessi che vi uniscono, allora l’intera umanità sarà presto stupita da ciò che vedrà proprio qui, in questo centro geografico del mondo. Lo è davvero. È come un centro del mondo e il cuore spirituale delle sue più grandi fedi.
Per la prima volta in mille anni, il mondo guarderà a questa regione non come a un luogo di disordini e lotte, guerre e morte, ma come a una terra di opportunità e speranza.
Per la prima volta in mille anni, il mondo guarderà a questa regione non come a un luogo di tumulti e conflitti, guerre e morte, ma come a una terra di opportunità e speranza, proprio come avete fatto voi qui – un crocevia culturale e commerciale del pianeta. La sicurezza e la stabilità porteranno milioni di persone a vivere in condizioni di sicurezza e di successo, e le nazioni di questa regione saranno libere di realizzare i loro più alti destini, di onorare le loro orgogliose storie, di sfruttare nuove incredibili opportunità e di portare un’incredibile gloria a Dio Onnipotente.
Le persone verranno da tutto il mondo per essere ispirate dalle città che costruite, dalle imprese che create, dalle tecnologie che inventate e dalla bellezza, dal talento e dal potenziale che sprigionate nei cuori dei vostri cittadini. Ognuno di voi potrà essere estremamente orgoglioso dell’eredità che lascerà ai propri figli, perché avrà dato loro la benedizione definitiva della prosperità e della pace. È così importante.
Negli Stati Uniti abbiamo inaugurato l’età dell’oro dell’America. È l’età dell’oro. La vediamo. Lo vediamo con tutti quei soldi, trilioni e trilioni di dollari in entrata, centinaia di migliaia di posti di lavoro in arrivo. E con l’aiuto dei popoli del Medio Oriente e delle persone presenti in questa sala, partner in tutta la regione, l’età dell’oro del Medio Oriente può procedere proprio accanto a noi.
Lavoreremo insieme, saremo insieme, avremo successo insieme, vinceremo insieme e saremo sempre amici. Grazie.
Quindi, Mohammed, voglio ringraziarti ancora una volta per avermi invitato. Come rappresentante di quella che ritengo sia la più grande nazione del mondo, siamo con te per tutto il percorso e hai un futuro straordinario.
La ringrazio molto e la prego di porgere i miei omaggi a suo padre. Grazie mille. Grazie a voi.
Un intervento che va certamente interpretato con giudizio e cautela. I vecchi stereotipi interpretativi necessari a dividere il mondo in buoni e cattivi, di sicuro non servono più. Giuseppe Germinario
“È fondamentale che il mondo intero sappia che questa grande trasformazione non è avvenuta grazie agli interventisti occidentali o a persone che volano su bellissimi aerei per darvi lezioni su come vivere e come governare i vostri affari”.
“Alla fine, i cosiddetti costruttori di nazioni hanno distrutto molte più nazioni di quante ne abbiano costruite e gli interventisti sono intervenuti in società complesse che non comprendevano nemmeno loro stessi”.
No, le scintillanti meraviglie di Riyadh e Abu Dhabi non sono state create dai cosiddetti “costruttori di nazioni”, dai neocon o da organizzazioni no-profit liberali come quelle che hanno speso trilioni e trilioni di dollari per non sviluppare Baghdad e tante altre città”.
“Invece, la nascita di un Medio Oriente moderno è stata portata avanti dagli stessi abitanti della regione, le persone che sono proprio qui, le persone che hanno vissuto qui per tutta la vita, sviluppando i vostri Paesi sovrani, perseguendo le vostre visioni uniche e tracciando i vostri destini a modo vostro”.
“Vi hanno detto come fare, ma non avevano idea di come farlo loro stessi. La pace, la prosperità e il progresso alla fine non sono venuti da un rifiuto radicale della vostra eredità, ma piuttosto dall’abbracciare le vostre tradizioni nazionali e da quella stessa eredità che amate così tanto”.
“Avete realizzato un miracolo moderno alla maniera araba”.
Per la traduzione andare su impostazioni, sottotitoli, traduzione, italiano
Gianfranco Campa per https://italiaeilmondo.com sugli attacchi al ministro della difesa Usa . Il Dollaro ha un rapporto tossico con molti paesi Brics. La strategia del presidente a riguardo della questione geopolitica dell’america first.
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Si discuteva di piani sensibili per il bombardamento dello Yemen.
Dopo la pubblicazione della notizia, l’attenzione maggiore è stata rivolta al modo in cui Goldberg, una giornalista, avrebbe potuto essere inclusa in questa chat. I media tradizionali e i notiziari di sinistra si sono concentrati su questo aspetto, desiderosi di sottolineare la presunta incompetenza dell’amministrazione Trump. Pochi o nessuno si sono concentrati sulla saggezza di attaccare gli Houthi, cosa che Vance ha messo in discussione nella chat.
Ma la stampa ha avuto ragione sull’incompetenza, anche se non era quella che intendeva. Come ha fatto la nota “odiatrice anti-Trump” Goldberg a entrare in questa conversazione?
Perché i neoconservatori stanno insieme. Lavorano insieme. Complottano insieme.
I neoconservatori lavorano costantemente contro il desiderio dichiarato del Presidente Trump di essere un pacificatore quando e dove possono.
Mike Waltz, che aveva Goldberg tra i suoi contatti telefonici e lo conosceva nonostante le sue smentite, e che questa settimana è stato sollevato dalle sue funzioni di consigliere per la sicurezza nazionale e nominato ambasciatore alle Nazioni Unite, è certamente uno di questi neocon.
Così come Goldberg, che scrisse pochi mesi prima che gli Stati Uniti invadessero l’Iraq nel 2003 che “il rapporto tra il regime di Saddam e Al-Qaeda è molto più stretto di quanto si pensasse”, una bugia spudorata che i neocon erano disposti a dire all’epoca per spingere gli americani a sostenere probabilmente il peggior errore di politica estera della storia degli Stati Uniti.
Goldberg è da tempo un affidabile divulgatore di narrazioni neocon. Non solo è stato disposto a mentire sulla relazione immaginaria tra Al Qaeda e l’Iraq, ma ha anche spacciato la fantasia secondo cui Trump era un “agente” di Putin e l’affermazione non documentata secondo cui il presidente avrebbe chiamato i veterani militari “perdenti” durante la visita a un monumento commemorativo della Prima Guerra Mondiale.
Waltz e Goldberg appartengono al campo che vorrebbe che l’amministrazione Trump bombardasse l’Iran e che gli Stati Uniti fossero coinvolti in una guerra di tipo iracheno, l’esatto opposto di ciò su cui Trump ha fatto campagna elettorale.
Sebbene sia più accorto di Waltz, anche il Segretario di Stato Marco Rubio è più vicino a questo campo neoconservatore.
A metà aprile, Axios ha riferito sulle due forze di politica estera opposte e notevolmente diverse all’interno del Team Trump: “Uno schieramento, guidato ufficiosamente dal vicepresidente Vance, ritiene che una soluzione diplomatica sia preferibile e possibile e che gli Stati Uniti debbano essere pronti a scendere a compromessi per realizzarla. Vance è molto coinvolto nelle discussioni sulla politica iraniana, ha detto un altro funzionario statunitense”.
“Questo campo comprende anche l’inviato di Trump Steve Witkoff, che ha rappresentato gli Stati Uniti al primo round di colloqui con l’Iran sabato, e il Segretario alla Difesa Pete Hegseth”, ha osservato Axios. “Riceve anche il sostegno esterno dell’influencer MAGA e sussurratore di Trump Tucker Carlson”.
Il rapporto prosegue,
L’altro campo, che comprende il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz e il Segretario di Stato Marco Rubio, è molto sospettoso nei confronti dell’Iran ed estremamente scettico sulle possibilità di un accordo che riduca significativamente il programma nucleare iraniano, dicono i funzionari statunitensi.
Anche senatori vicini a Trump come Lindsey Graham (R.C.) e Tom Cotton (R.Ark.) sono di questo parere”, ha osservato Axios. Questo campo ritiene che l’Iran sia più debole che mai e che quindi gli Stati Uniti non debbano scendere a compromessi, ma insistere che Teheran smantelli completamente il suo programma nucleare – e che debbano colpire direttamente l’Iran o sostenere un attacco israeliano se non lo fanno”. I falchi dell’Iran come Mark Dubowitz, amministratore delegato della Fondazione per la Difesa delle Democrazie, stanno esercitando una forte pressione a favore di questo approccio.
Il 3 aprile, non molto tempo dopo il “Signalgate” e due settimane prima del rapporto di Axios, il commentatore conservatore Charlie Kirk ha condiviso su X: “Sta passando inosservato perché stanno accadendo tante altre notizie, ma i tamburi di guerra stanno battendo di nuovo a Washington. I guerrafondai temono che questa sia la loro ultima possibilità di ottenere la balena bianca che inseguono da trent’anni, una guerra totale per il cambio di regime contro l’Iran”.
È quasi come se i politici desiderosi di guerra non avessero imparato nulla dalle ultime guerre per il cambio di regime dell’America. Kirk aggiunge: “Una nuova guerra in Medio Oriente sarebbe un errore catastrofico”.
Una nuova guerra in Medio Oriente è esattamente ciò che i neoconservatori vogliono, vogliono da tempo e cercano di far iniziare a Trump.
Trump non solo non dovrebbe dargliela. Dovrebbe sbarazzarsi di loro.
Nel suo primo mandato, Trump ha capito che il suo consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton, rappresentava l’antitesi dei suoi obiettivi di politica estera “America First”. A soli tre mesi dal suo secondo mandato, Waltz, insieme al suo vice Alex Wong, sono fuori, si spera dopo una realizzazione analoga all’interno dell’amministrazione.
Nel suo ruolo, Rubio dovrebbe avere due opzioni: Eseguire il desiderio di diplomazia e di pacificazione del Presidente per quanto riguarda l’Iran, come il Segretario ha fatto finora doverosamente per quanto riguarda il conflitto Ucraina-Russia, oppure essere licenziato.
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Non ci sono vie di mezzo.
Una vera politica estera “America First” e il neoconservatorismo sono incompatibili. Trump ha detto che nel suo primo mandato non si è reso conto abbastanza presto di chi, all’interno del suo staff, avrebbe potuto lavorare contro di lui.
A soli 100 giorni dall’inizio, che possa imparare ancora prima nel suo secondo mandato.
L’autore
Jack Hunter
Jack Hunter è l’ex redattore politico di Rare.us. Jack ha scritto regolarmente per il Washington Examiner, The Daily Caller, Spectator USA, Responsible Statecraft ed è apparso su Politico Magazine e The Daily Beast. Hunter è coautore del libro The Tea Party Goes to Washington del senatore Rand Paul.