L’UE dopo l’Ucraina di Wolfgang Streeck

Illuminante! Buona lettura, Giuseppe Germinario

La guerra è padre di tutti e re di tutti.

Supponendo che la storia dell’Unione Europea inizi con la Comunità Economica Europea (CEE), costituita nel 1958, essa è durata ormai quasi due terzi di secolo. È iniziata come un’alleanza di sei paesi che amministrava congiuntamente due settori chiave dell’economia del dopoguerra, il carbone e l’acciaio, rendendo superfluo per la Francia ripetere l’occupazione della valle della Ruhr, che aveva contribuito all’ascesa del revanscismo tedesco dopo la prima guerra mondiale Sulla scia della guerra industriale della fine degli anni ’60, e in seguito all’ingresso di altri tre paesi, Regno Unito, Irlanda e Danimarca, la CEE si è trasformata nella Comunità Europea (CE). Dedicata alla politica industriale e alla riforma socialdemocratica, la CE doveva aggiungere una “dimensione sociale” a quello che stava per diventare un mercato comune. Dopo, dopo la rivoluzione neoliberista e il crollo del comunismo, quella che ora è stata ribattezzata Unione Europea (UE) è diventata sia un contenitore per i nuovi stati-nazione indipendenti dell’Est desiderosi di unirsi al mondo capitalista, sia un motore di riforma neoliberista, fornitura- side economics e New Labourism in ventotto paesi europei. È anche diventato saldamente radicato nell’ordine globale unipolare dominato dagli americani dopo la “fine della storia”.

L’Unione Europea degli ultimi tre decenni è stata un microcosmo regionale di quella che è stata chiamata iperglobalizzazione. 1 In effetti, era in modo significativo un modello continentale di dimensioni ridotte per il capitalismo globale integrato che era l’obiettivo finale di coloro che all’epoca sottoscrivevano il Washington Consensus. L’UE ha offerto un mercato interno senza confini per beni, servizi, lavoro e capitali; la governance economica basata su regole è stata sostenuta da un’onnipotente corte internazionale, la Corte di giustizia europea (CGCE); e una moneta comune, l’euro, era gestita da una banca centrale altrettanto onnipotente, la BCE. L’accordo corrispondeva da vicino all’idea hayekiana di una federazione internazionale progettata per limitare la politica economica discrezionale: anapprossimazione quasi perfetta di ciò che Hayek chiamava isonomia: identiche leggi liberali del mercato in tutti gli stati inclusi nel sistema. 2 Questa economia non più politica era governata da una combinazione politicamente sterilizzata di tecnocrazia – la BCE e lo pseudo-esecutivo dell’UE, la Commissione europea – e quella che potrebbe essere chiamata nomocrazia – la Corte di giustizia europea – in base a una costituzione di fatto immutabile in pratica. Quest’ultimo consisteva in due trattati, 3 illeggibili per il cittadino normale, tra ventotto paesi, ciascuno dei quali aveva diritto a porre il veto a qualsiasi modifica. 4Ancorando l’intero progetto all’interno del sistema finanziario globale dominato dagli Stati Uniti, i trattati prevedevano una mobilità illimitata dei capitali, vietando ogni tipo di controllo sui capitali non solo all’interno dell’Unione ma anche oltre i suoi confini. 5

Che questa costruzione soffrisse di quello che venne eufemisticamente chiamato “deficit democratico” non passò inosservato. In effetti, tra gli addetti ai lavori a Bruxelles, si sente spesso la battuta che, con la sua attuale costituzione, l’Unione europea non sarebbe mai autorizzata a unirsi a se stessa. Negli ultimi anni, la Commissione Europea e, in particolare, il cosiddetto Parlamento Europeo si sono adoperati per colmare il divario democratico con una politica dei “valori” che l’UE deve imporre ai suoi Stati membri. I diritti umani, secondo le interpretazioni occidentali contemporanee, servirebbero come sostituti dei dibattiti sull’economia politica che erano stati esclusi dal sistema politico dell’Unione. Ciò ha comportato soprattutto interventi educativi nei paesi dell’ex impero sovietico per convertire governi, partiti, e popoli al liberalismo dell’Europa occidentale, economico ma anche sociale, se necessario trattenendo parte degli aiuti fiscali destinati a sostenere la trasformazione di questi paesi in economie di mercato in buona fede più democrazie capitaliste. Programmi educativi sempre più verticistici di questo tipo, il cui mandato derivava da interpretazioni sempre più ampie e anzi invadenti delle sezioni dichiarative dei trattati dell’UE, culminarono in una crociata contro i cosiddetti antieuropei, individuati dagli scienziati sociali e spin doctor politici come “populisti”.6

Con il tempo, la centralizzazione e la depoliticizzazione di fatto dell’economia politica dell’Unione ha inserito nell’Unione una dimensione gerarchica centro-periferia. Lo “stato di diritto” istituito come regola di un tribunale onnipotente; la politica economica formalmente basata su regole ma in pratica sempre più discrezionale della Banca centrale europea politicamente indipendente; e la rieducazione ai “valori” europei sanzionata ha portato l’UE ad assomigliare sempre più a un impero liberale , sia in senso economico che culturale, il secondo come legittimazione del primo.

Prima dell’Ucraina:
linee di faglia critiche, guasto prevedibile

Gli imperi corrono un rischio congenito di sovraestensione, in termini territoriali, economici, politici, culturali e di altro tipo. Più diventano grandi, più costa tenerli insieme, poiché le forze centrifughe crescono e il centro ha bisogno di mobilitare sempre più risorse per contenerle. Dopo la crisi finanziaria globale del 2008 e la sua diffusione in Europa dopo il 2009, l’UE e l’UEM hanno iniziato a fratturarsi lungo diverse dimensioni, le loro capacità economiche, ideologiche e coercitive di integrazione sono diventate sempre più sovraccaricate. Sul versante occidentale dell’UELa Brexit è stato il primo caso di uscita di uno Stato membro da un’Unione che ideologicamente si considera permanente. Ci sono stati molti fattori coinvolti che hanno contribuito all’esito del referendum sulla Brexit, che è stato ampiamente dibattuto per quasi un decennio. Uno dei motivi principali (meno spettacolare ma sicuramente più fondamentale di molti altri) per cui l’adesione britannica si è rivelata insostenibile è stata una profonda incompatibilità della costituzione britannica de facto, e del suo assolutismo parlamentare, con il governo in stile Bruxelles di giudici e tecnocrati. Un altro motivo, ovviamente, è stata l’incapacità e, in effetti, la riluttanza di Bruxelles a fare qualcosa per l’abbandono a lungo termine da parte dei governi britannici della disintegrazione del tessuto sociale del paese.

Volgendosi al sud , le radicate modalità nazionali di fare capitalismo si sono rivelate incompatibili con le prescrizioni dell’UEM e del mercato interno, portando l’Italia in particolare su un sentiero di declino economico prolungato e, a tutti gli effetti, irreversibile. I tentativi di invertire la tendenza o attraverso le “riforme strutturali”, secondo le prescrizioni neoliberiste, o attraverso la BCE e la Commissione europea piegando le regole anti-interventiste che regolano l’Unione monetaria, silenziosamente tollerate dai governi francese e tedesco, sono falliti miseramente. Ormai è diventato chiaro che nemmeno il Corona Recovery and Resilience Facility (RRF) dell’Unione Europea, e i sussidi che fornirà all’Italia, non fermeranno il declino italiano. 7Tra l’altro, il caso italiano mostra che un’efficace politica regionale finalizzata alla convergenza economica è ancor meno praticabile tra, rispetto all’interno, degli Stati-nazione.

Inoltre, alla periferia orientale dell’Unione , i paesi portano un’eredità storica di tradizionalismo culturale, autoritarismo politico e resistenza nazionalista contro l’intervento internazionale nella loro vita interna, quest’ultima rafforzata dalla loro esperienza sotto l’impero sovietico. Gli sforzi per imporre i costumi e i gusti dell’Europa occidentale a queste società, soprattutto se accompagnati da minacce di sanzioni economiche (come nel caso delle cosiddette politiche dell’Unione di “stato di diritto”), hanno causato opposizione e risentimento “populisti” contro ciò che è stato percepito da molti come un tentativo di privarli della loro sovranità nazionale appena recuperata. 8I conflitti in seno al Consiglio europeo su questioni culturali si sono spinti fino al punto che i capi di governo occidentali hanno esortato più o meno esplicitamente i loro colleghi orientali, in particolare quelli ungheresi e polacchi, ad uscire dall’Unione se non fossero stati disposti a condividerne i “valori”. 9 Insieme alla minaccia di sanzioni economiche, questo in effetti non è stato altro che un tentativo di realizzare un cambio di regime negli altri Stati membri.

Infine, nel nord , gli sforzi dell’Unione Europea per preservare un ricordo della sua antica ambizione di sviluppare una “dimensione sociale” sono regolarmente contrastati, tra tutti i paesi, dagli Stati membri scandinavi, che insistono sulla loro tradizione di regolamentazione del mercato del lavoro, compresa la regolamentazione salariale, dalla contrattazione collettiva piuttosto che dalla legge statale. Di recente, ciò ha portato alcuni sindacati scandinavi a minacciare di uscire dalla confederazione sindacale europea, lamentando di non aver sufficientemente rispettato la loro prassi nazionale consolidata.

Ulteriori linee di faglia, sia vecchie che nuove, esistono all’interno del centro dell’impero liberale, a causa del fatto che l’Unione Europea non ha uno Stato membro abbastanza potente da essere il suo unico egemone. Ci sono invece due paesi leader, Germania e Francia, nessuno dei quali può da solo dominare l’Unione. Sebbene l’uno abbia bisogno dell’altro, non sono in grado di concordare strutture centrali, interessi e politiche di un’Europa integrata. Tradizionalmente, le differenze franco-tedesche sono viste come derivanti dalle differenze tra le loro varietà nazionali di capitalismo, con la Francia che coltiva una tradizione di dirigismo statalista e la Germania che insiste sulla sua invenzione del dopoguerra di una “economia sociale di mercato”. Di conseguenza, Francia e Germania tendono ad essere in contrasto nella politica dell’Unione Europea e dell’Unione Monetaria Europea, con la Francia, tra le altre cose, a favore di una politica fiscale e monetaria più espansiva e politicamente discrezionale.

Più recentemente, soprattutto dopo la Brexit, sono emerse anche differenze nella politica estera e di sicurezza. Sebbene esistessero già negli anni ’60, sono stati messi in rilievo, prima dalla fine del mondo bipolare dopo il 1989 e poi dal fatto che, dopo la Brexit, la Francia è l’unico Stato membro dell’Unione Europea con armi nucleari e una sede permanente sul Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Poiché nemmeno la Francia è disposta a condividere, la dipendenza nucleare della Germania dagli Stati Uniti, che mantiene circa quarantamila soldati sul suolo tedesco, insieme a un numero incalcolabile di testate nucleari, ostacola di fatto la “sovranità strategica europea”, poiché i francesi chiamalo : atrasferimento della sovranità strategica all’“Europa” che è accettabile per la dottrina della sicurezza nazionale francese solo sotto la guida francese. Inoltre, mentre la Francia ha forti interessi in Africa e in Medio Oriente, gli interessi nazionali tedeschi, in relazione all’Europa, si concentrano sull’Europa orientale e sui Balcani. Di conseguenza, il disaccordo, se accuratamente nascosto, è endemico tra i due aspiranti piloti di quello che a volte viene chiamato eufemisticamente il tandem europeo franco-tedesco.

Più unità attraverso meno unità?

Prima della guerra in Ucraina, c’erano due progetti radicalmente diversi nell’aria, o almeno concepibili, su come prevenire l’imminente disintegrazione dell’Unione Europea, a causa della sovraestensione e sovraintegrazione. Uno può essere riassunto come una strategia di maggiore unità attraverso una minore unità , o di ridimensionamento, se non territoriale, quindi funzionalmente, annullando alcuni elementi principali della “sempre più stretta unione dei popoli d’Europa” dell’UE. Tra gli altri, è stato il sociologo americano Amitai Etzioni a sostenere da tempo il ridimensionamento come mezzo per sbloccare l’integrazione europea. 10Per molti versi, la sua proposta ricordava i concetti più antichi di un sistema statale integrato dell’Europa occidentale come un’Europa à la carte, o anche come “l’Europa delle patrie” di de Gaulle. 11 Ciò che queste nozioni avevano in comune era una visione di un sistema statale regionale sul modello di una cooperativa piuttosto che di un impero, come ha recentemente delineato da Hans Joas in un importante libro su “L’Europa come progetto di pace”. 12In esso, Joas fa riferimento a un dibattito sulle possibilità di pace internazionale tra Carl Schmitt e lo storico tedesco Otto Hintze negli anni ’20 e ’30. Schmitt credeva che la pace in una regione globale potesse essere assicurata solo da una potenza imperiale centrale libera di imporre l’ordine alla sua periferia, ai suoi stati dipendenti, essenzialmente come riteneva opportuno. Il suo modello reale di un ordine internazionale praticabile, per inciso, era l’emisfero americano sotto la Dottrina Monroe. Argomentando contro di lui, Hintze, che aveva studiato la tradizione tedesca delle associazioni cooperative ( Genossenschaften), ha insistito sulla possibilità di un ordine sociale basato sulla cooperazione volontaria in un quadro che obbligasse i paesi partecipanti a riconoscersi reciprocamente l’indipendenza o la sovranità. In vari modi, questo modello si avvicinò a quello della Pace di Westfalia del 1648, dopo la Guerra dei Trent’anni, con la creazione di quello che in seguito sarebbe stato chiamato lo “Stato di Westfalia”.

Che aspetto avrebbe un’Unione Europea à la carte, se mai fosse diventata realtà? In generale, avrebbe previsto un’autonomia più locale, nel senso di nazionale, invece di insistere sull’uniformità politico-economica tra gli Stati membri, con istituzioni meno centralizzate e gerarchiche e più spazio per la sovranità nazionale. 13La Commissione Europea sarebbe stata trasformata in qualcosa come una piattaforma per la cooperazione volontaria tra gli stati membri, abbandonando la sua aspirazione a diventare un esecutivo paneuropeo; lo stesso, mutatis mutandis, si sarebbe applicato al Parlamento Ue. Anche il ruolo della Corte di giustizia europea dovrebbe essere sensibilmente ridotto: essa non sarebbe più un legislatore costituzionale dissimulato, incaricato di tutto ciò che sceglie di farsi carico e di intervenire a suo piacimento negli Stati nazionali, nel diritto nazionale, e politica nazionale. In un certo senso, un’Unione europea di questo tipo sarebbe stata simile al Consiglio nordico formato dagli stati scandinavi negli anni ’50. I membri sono Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia, Isole Faroe, Groenlandia e Åland. Il blocco non conosce equivalenti alla Corte Europea, al Parlamento Europeo, o la Commissione Europea. Mentre gli Stati membri mantengono i confini aperti tra di loro, continuano ad avere le proprie politiche economiche e sociali.14

Per molti versi, ripristinare l’integrazione per preservarla è stato fin dall’inizio un progetto irrealistico, se si potesse definire un progetto. Molto probabilmente, per avere qualche possibilità, avrebbe dovuto essere preceduto da un massiccio crollo dell’Unione Europea, dovuto all’intensificarsi delle interruzioni lungo le sue linee di faglia e, molto probabilmente, da un fallimento statale dell’Italia. Niente di tutto questo avrebbe potuto essere escluso, e più unità attraverso meno unitàavrebbe potuto essere realistico come progetto di ricostruzione dopo un collasso istituzionale, piuttosto che come politica di riforma per prevenire tale collasso. Secondo le regole esistenti, avrebbe richiesto un’ampia revisione del trattato concordata da tutti i ventisette stati membri post-Brexit, alcuni dei quali necessitavano dell’approvazione del voto popolare. L’impossibilità pratica di una revisione significativa dei Trattati di governo può essere considerata una caratteristica essenziale di un progetto di integrazione europea destinato ad essere irreversibile (sminuendo così involontariamente la sua legittimità democratica).

Integrazione per militarizzazione?

Un’altra potenziale via d’uscita dal malessere da sovraestensione è stata suggerita da un gruppo di politici tedeschi in pensione, di entrambi i principali partiti, guidati e ispirati dal filosofo Jürgen Habermas. Tra i suoi membri c’era Friedrich Merz, allora presidente del consiglio di BlackRock Germany, un rivale di lunga data emarginato di Angela Merkel. (Sorprendentemente, Merz è stato recentemente resuscitato per essere il successore della Merkel come leader di quello che oggi è il principale partito di opposizione tedesco, cdu/csu .) Nell’ottobre 2018, il gruppo ha lanciato un appello pubblico intitolato “Per un’Europa basata sulla solidarietà: facciamo sul serio sulla volontà della nostra Costituzione, ora!” 15Tra l’altro, il gruppo ha sollecitato la creazione di un esercito europeo (“Noi chiediamo un esercito europeo”), dato che “Trump, Russia e Cina” stavano “testando sempre più duramente. . . L’unità dell’Europa, la nostra volontà di difendere insieme i nostri valori, di difendere il nostro modo di vivere”. A questo potrebbe esserci “una sola risposta: la solidarietà e la lotta contro il nazionalismo e l’egoismo internamente, e l’unità e la sovranità comune all’esterno”. La creazione di un esercito europeo doveva essere il primo passo verso una “profonda integrazione della politica estera e di sicurezza basata su decisioni a maggioranza” del Consiglio europeo. Il gruppo ha affermato che un esercito europeo non richiedeva “più soldi” poiché “i membri europei della NATO insieme spendono circa il triplo della Russia per la difesa”; 16tutto ciò che serviva era porre fine alla frammentazione nazionale, che avrebbe creato “molto più potere difensivo senza denaro aggiuntivo”. (Non è stato fornito alcun motivo per cui ciò fosse necessario, dato che i paesi in questione stavano già spendendo tre volte di più per le loro forze armate rispetto al loro nemico designato.) Inoltre, “poiché le difese dell’Europa non sono dirette contro nessuno, la creazione di un l’esercito dovrebbe essere collegato al controllo degli armamenti e alle iniziative di disarmo”, uno sforzo in cui Germania e Francia, “gli stati fondatori dell’Europa”, dovrebbero prendere l’iniziativa.

Come più unità attraverso meno unità , la costruzione dello stato europeo attraverso la militarizzazione, che in qualche modo ricorda il modello prussiano, 17 non ha mai avuto una possibilità. Questo nonostante il fatto che in superficie, quando i suoi sostenitori hanno chiesto una “sovranità comune” per l’Europa, si sono ovviamente accontentati del gusto francese, come espresso nel discorso alla Sorbona del 2017 di Macron, tenuto il giorno dopo l’ultima rielezione di Angela Merkel . 18Inoltre, lasciando scoperto chi fosse il nemico da cui l’Europa doveva essere difesa, non precludeva qualcosa come l’equidistanza europea verso Russia e Cina, da un lato, e “Trump” dall’altro, che in linea di principio sarebbe stato il benvenuto in Francia. Inoltre, la NATO non è mai stata menzionata, e certamente non la sua dottrina rivista, adottata nel 1992, estendendo la sua missione a livello mondiale per includere operazioni “fuori area” come, presumibilmente, interventi umanitari in adempimento di un presunto “dovere di proteggere”. Inoltre, sostenendo che il nuovo esercito europeo non avrebbe bisogno di maggiori spese per la difesa, l’appello ha implicitamente respinto la richiesta americana che i membri europei della NATO, in particolare la Germania, aumentino le loro spese militari al 2% del PIL, il cheper la Germania nel 2018 avrebbe significato un aumento non inferiore al 50 per cento. 19 Si noti che la prima volta che la NATO, a seguito delle pressioni americane, ha discusso l’obiettivo del 2 per cento è stato in un vertice a Praga nel 2002. Questo è stato lo stesso incontro in cui l’alleanza ha aperto i colloqui di adesione con Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia, e ha confermato una politica delle porte aperte per l’Europa orientale, comprese Georgia e Ucraina, contro le forti obiezioni pubbliche del governo russo.

Ancora più importante, il documento non è riuscito ad affrontare la questione delle armi nucleari, non ultimo, si è portati a credere, per consentire ai Verdi tedeschi di unirsi alla causa. Tuttavia, se il progetto fosse mai diventato reale, per la Germania, impegnata a non avere armi nucleari, e anzi vietata di averle ai sensi del Trattato di non proliferazione nucleare del 1968, un esercito europeo comportava il rischio di dover sostituire la protezione nucleare americana con quella francese. Quel rischio sarebbe sembrato inaccettabile in Germania come lo era l’idea in Francia di condividere la sua forza nucleare con “l’Europa”, il che significa che la Germania batteva bandiera europea. In fondo c’era la questione fondamentale della misura in cui un esercito europeo sarebbe, o avrebbe dovuto essere, integrato nella struttura di comando della NATO, in effetti, la sua “interoperabilità” con l’esercito degli Stati Uniti. Dal riarmo della Germania negli anni ’50, la Bundeswehr è stata completamente integrata nella NATO e gli Stati Uniti avrebbero probabilmente insistito sul fatto che qualsiasi esercito europeo, in particolare il suo contingente tedesco, sarebbe stato integrato anche nella NATO.

Se l’appello di Habermas avesse toccato la questione nucleare, sarebbe diventato ovvio che, nonostante le somiglianze superficiali, era incompatibile con gli elementi centrali del progetto di sicurezza europeo francese. Come gli Stati Uniti, la Francia voleva (e vuole) che la Germania spendesse di più per la difesa. Piuttosto che rafforzare la potenza americana transatlantica, tuttavia, la spesa aggiuntiva della Germania è stata quella di colmare il divario convenzionale nell’esercito francese causato dagli alti costi della sua forza nucleare, in modo da consentire all'”Europa” di servire meglio le ambizioni francesi in Africa e Medio Oriente . Per una “sovranità strategica europea” di questo tipo, sarebbe utile una qualche forma di distensione con la Russia. Un insediamento eurasiatico, tuttavia, sarebbe in contrasto con l’espansione americana attraverso la NATO alla periferia russa. Per gli Stati Uniti, l’obiettivo era quello di integrare gli ex paesi comunisti dell’Europa orientale in un “Occidente” guidato dagli americani. Far assumere all’Europa attraverso la NATO una posizione antagonista nei confronti della Russia garantirebbe la dipendenza europea da un’alleanza con gli Stati Uniti nel mondo bipolare che nasce dal “Nuovo Ordine Mondiale” di George HW Bush. Per la Francia, al contrario, un esercito europeo interessava proprio nella misura in cui avrebbe strappato l’Europa dallo stretto abbraccio in cui la tenevano gli Stati Uniti, tra l’altro mantenendo la Germania non nucleare dipendente dalla protezione nucleare americana.

Dopo l’Ucraina

La guerra è l’ultima fonte stocastica della storia e, una volta iniziata, non c’è limite alle sorprese che può portare. Tuttavia, anche se la guerra in Ucraina sembra tutt’altro che finita al momento in cui scriviamo, ci si può sentire giustificati osservando che ha posto fine, almeno per il prossimo futuro, a qualsiasi visione di uno stato indipendente, non imperiale e cooperativo sistema in Europa. La guerra sembra anche aver inferto un colpo mortale al sogno francese di trasformare l’impero liberale dell’Unione Europea in una forza globale strategicamente sovrana, rivaleggiando credibilmente sia con una Cina in ascesa che con gli Stati Uniti in declino. L’invasione russa dell’Ucraina sembra aver risposto alla domanda sull’ordine europeo ripristinando il modello, a lungo ritenuto storia, della Guerra Fredda: un’Europa unita sotto la guida americana come testa di ponte transatlantica per gli Stati Uniti in un’alleanza contro un nemico comune, prima l’Unione Sovietica e ora la Russia. L’inclusione e la subordinazione a un “Occidente” risorto e rimilitarizzato, come sottodipartimento europeo della NATO, sembra aver salvato, per il momento, l’Unione Europea dalle sue forze centrifughe distruttive, senza tuttavia eliminarle. Ripristinando l’Occidente, la guerra ha neutralizzato le varie faglie lungo le quali l’UE si stava sgretolando, chi più e chi meno, catapultando gli Stati Uniti in una posizione di rinnovata egemonia sull’Europa occidentale, compresa la sua organizzazione regionale, l’Unione Europea. ” Come sottodipartimento europeo della NATO, sembra aver salvato, per il momento, l’Unione Europea dalle sue distruttive forze centrifughe, senza però eliminarle.

Soprattutto, il reinserimento dell’Occidente sotto la guida americana ha risolto la vecchia questione dei rapporti tra Nato e Ue a favore di una divisione dei compiti che ha stabilito il primato della prima sulla seconda. In modo interessante, questo sembra aver sanato la divisione tra l’Europa continentale e il Regno Unito che si era aperta nel corso della Brexit. Quando la NATO è salita alla supremazia, il fatto che includa il Regno Unito insieme ai principali Stati membri dell’UE ripristina un ruolo europeo di primo piano per la Gran Bretagna attraverso le sue relazioni speciali con gli Stati Uniti. Come questo influisca sullo status internazionale di un paese come la Francia è stato recentemente illustrato da un accordo strategico – il cosiddetto patto aukus – tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia. Sotto aukus , l’Australia ha annullato un accordo del 2016 con la Francia sui sottomarini diesel francesi, impegnandosi invece a sviluppare sottomarini a propulsione nucleare insieme agli Stati Uniti e al Regno Unito, un evento che ha mostrato alla Francia i limiti di un’UE a guida francese come una potenza globale.

Per quanto riguarda l’UE, l’ascesa della NATO ha comportato il suo declino allo status di ausiliario civile della NATO, asservito agli obiettivi strategici americani, principalmente ma non esclusivamente in Europa. Gli Stati Uniti avevano a lungo pensato all’UE come a una sorta di sala d’attesa o di una scuola di preparazione per i futuri membri della NATO, in particolare quelli vicini alla Russia, come Georgia e Ucraina, ma anche i Balcani occidentali. 20L’UE, da parte sua, aveva insistito sulle proprie procedure di ammissione che includevano lunghi negoziati sulle condizioni istituzionali ed economiche nazionali che dovevano essere soddisfatte prima dell’adesione formale. Questo per ridurre l’onere che i nuovi paesi avrebbero imposto al bilancio dell’UE e per garantire che le loro élite politiche fossero sufficientemente “pro-europee” in modo da non scuotere la barca comune. Agli Stati Uniti, con i loro obiettivi geostrategici, questo in genere appariva come eccessivamente pedante se non ostruzionistico. In effetti, la Francia in particolare aveva resistito e resiste tuttora all’eccessivo “allargamento” dell’Unione, temendo che potesse ostacolare il suo “approfondimento”. Dal punto di vista americano, la condivisione degli oneri con i paesi europei significava che questi ultimi erano responsabili della fornitura di incentivi economici per l’adesione di nuovi stati all’Occidente, e per averli aiutati a costruire la base economica dell’occidentalizzazione, ad esempio attraverso sussidi finanziari che aiutano gli aspiranti Stati membri a raggiungere la stabilità sociale in senso occidentale, liberale e democratico.

Con la guerra in Ucraina, la visione americana dell’UE come dimora temporanea per i futuri membri della NATO sta rapidamente diventando realtà. Qualsiasi soluzione negoziata della guerra precluderà probabilmente l’adesione dell’Ucraina alla NATO nel prossimo futuro e non così vicino. L’ammissione accelerata all’Unione Europea potrebbe essere offerta a titolo di risarcimento, anche perché assicurerebbe i fondi per riparare i danni causati dalla guerra. 21Sembra anche probabile che alla Francia non sarà più consentito bloccare l’adesione di paesi come Albania, Bosnia ed Erzegovina (un paese), Macedonia del Nord, Montenegro, Kosovo e Serbia (a condizione che i sussidi europei possano far cambiare idea alla sua élite politica e diventare “pro-europeo”). A seconda di come si svilupperà la guerra, potrebbe anche esserci una sorta di affiliazione simile all’adesione in serbo per Georgia e Armenia, che probabilmente richiederanno tutte richieste significative al bilancio dell’UE senza rendere l’UE più facile da governare.

Inoltre, durante la guerra la Commissione europea era e continua ad essere molto richiesta come agenzia per la pianificazione, il coordinamento e il monitoraggio delle sanzioni economiche europee contro la Russia e, prevedibilmente, la Cina. In definitiva, le sanzioni implicano una profonda riorganizzazione delle catene di approvvigionamento estese dell’era neoliberista e del Nuovo Ordine Mondiale, in risposta al mondo multipolare che sta per emergere, con la sua rinnovata enfasi sulla sicurezza economica e sull’autonomia. Quella che da tempo è stata un’agenzia che promuove la globalizzazione si trasformerà quindi, sotto importanti aspetti, in un’agenzia dedita alla de-globalizzazione: la qual cosa fino a poche settimane fa ritenuta nient’altro che un’assurdità di sinistra (o forse populista). L’accorciamento delle catene di approvvigionamento è una funzione meno del governo che delle competenze tecnocratiche, già abbastanza difficile dato l’alto livello di interdipendenza economica ereditato dall’iperglobalizzazione. Politicamente, quali sanzioni devono essere imposte e quali catene di approvvigionamento internazionali devono ancora essere considerate sicure, spetta ai governi nazionali essere determinata; o più precisamente, per la loro organizzazione ora principale, la NATO, controllata dal suo stato-nazione più forte, gli Stati Uniti, da determinare. Un esempio è la disputa sugli acquisti tedeschi di gas naturale russo e la loro sostituzione con gas naturale liquefatto americano. Poiché la NATO non ha le competenze necessarie in materia economica per valutare gli effetti delle sanzioni sulla Russia, da un lato, e sull’Europa occidentale, dall’altro, l’UE continuerà ad essere necessaria come fornitore di servizi amministrativi nella gestione di un’economia europea di recente politicizzazione.

Infine, da non sottovalutare, è probabile che l’UE svolga un ruolo importante nella generazione di denaro pubblico per la ricostruzione dell’Ucraina una volta terminata la guerra. Lo stesso vale per la fornitura di sostegno finanziario ad altri paesi della periferia europea che saranno candidati all’Unione Europea e, in ultima analisi, all’adesione alla NATO. È probabile che la capacità dell’UE di fungere da ricettacolo per il debito pubblico politicamente meno evidente, come nel caso del Corona Recovery and Resilience Fund, la prima manifestazione della Next Generation EU (NGEU) della Commissione, sia permanente e ampiamente utilizzato per mobilitare i contributi europei verso i costi non militari a lungo termine della guerra, compreso ad esempio il reinsediamento dei rifugiati ucraini. 22(L’esperienza suggerisce che il contributo americano si limiterà e si concluderà con le ostilità militari. 23 ) Per questo saranno necessari anche servizi speciali della BCE, come nella lotta contro la “stagnazione secolare” e, successivamente, la pandemia . Il debito NGEU non compare nei bilanci nazionali ed è per questo meno controverso dal punto di vista politico. Ciò è simile agli acquisti di debito pubblico da parte della BCE come forma di finanziamento indiretto dello Stato, nel contesto del quantitative easing, in elusione dei trattati europei.

Passività Vecchie e Nuove

Le nuove funzioni assunte dall’UE a seguito della guerra in Ucraina, e in particolare nel corso della sua subordinazione alla NATO, sono lontane dal risolvere i suoi vecchi problemi; a lungo termine, infatti, possono aggiungersi ed esacerbarsi. Sul fianco occidentale dell’UE, il Regno Unito, attraverso la sua stretta alleanza con gli Stati Uniti sotto la NATO, è tornato al gregge europeo con una vendetta, sebbene più come un tenente che come un soldato di fanteria tra gli altri. Al sud, non c’è motivo di ritenere che la supremazia della NATO contribuirà a migliorare la performance economica italiana; al contrario, sanzioni e filiere accorciate rischiano di imporre costi aggiuntivi alle economie mediterranee. Questi sicuramente richiederanno un risarcimento, non dagli Stati Uniti ma dall’UE. I suoi Stati membri ricchi, tuttavia, saranno preoccupati di aumentare le proprie spese per la difesa per soddisfare le richieste della NATO, per non parlare del finanziamento dell’adesione di altri Stati membri dell’UE nel loro cammino verso la NATO. La concorrenza per i sussidi dell’UE, in particolare per il “Fondo di coesione” dell’UE 24aumenterà ulteriormente a causa delle nuove esigenze legate alla guerra degli Stati membri orientali, ad esempio l’accoglienza dei rifugiati ucraini e, se le sanzioni occidentali inizieranno a mordere, russi. I piani del Parlamento Europeo e della Commissione per tagliare l’assistenza finanziaria a paesi come la Polonia o l’Ungheria per le carenze dello “stato di diritto” diventeranno sempre più obsoleti poiché i conflitti culturali tra democrazia “liberale” e “illiberale” saranno eclissati dagli obiettivi geostrategici della NATO e degli Stati Uniti. 25

Con l’aumento dei costi della “coesione”, potrebbe essere imminente uno spostamento del potere politico all’interno dell’UE a favore degli Stati del fronte orientale dell’Unione, con conseguenti maggiori obblighi finanziari per i paesi del ricco nord-ovest. Mentre gli esercizi di educazione culturale dell’Europa occidentale hanno cominciato ad apparire meschini di fronte a milioni di rifugiati ucraini che arrivano in un paese come la Polonia, gli Stati Uniti hanno poche ragioni per costringere i loro alleati orientali a soddisfare le sensibilità liberali tedesche o olandesi. Gli sforzi per subordinare il sostegno finanziario ai paesi post-comunisti alla loro adesione ai “valori democratici” saranno vani fintanto che gli Stati Uniti saranno soddisfatti della loro adesione alla NATO e della loro volontà di combattere la buona battaglia filo-occidentale. Siccome gli Stati Uniti, nelle stesse parole della sua amministrazione al momento della scrittura,si preparano a una guerra che durerà diversi anni – il che è logico solo se l’obiettivo è un cambio di regime in Russia – la volontà di un paese di ospitare truppe, aerei e missili americani deve avere la precedenza sulla condizionalità democratica dei trattati dell’UE (o della Corte di giustizia). Con l’Unione Europea che deve affrontare una guerra che durerà un numero incerto di anni, è probabile che i suoi stati del fronte orientale domineranno l’agenda politica comune. In questo saranno supportati dagli Stati Uniti, con il loro interesse geostrategico a tenere sotto controllo la Russia politicamente, economicamente e militarmente. In definitiva, ciò potrebbe portare gli Stati Uniti, agendo attraverso i loro alleati dell’Europa orientale e la NATO, a prendere il posto della doppia leadership troppo spesso divisa dell’UE, il tandem franco-tedesco.

Sogni americani

Uno dei tanti sviluppi notevoli intorno alla guerra ucraina è come il triste record dei recenti interventi militari americani sia quasi completamente scomparso dalla memoria pubblica europea. Fino a pochi mesi fa, la fine disastrosa della costruzione della nazione americana in Afghanistan era un tema frequente per il commentariato europeo. Presente, se più in secondo piano, anche la Siria, con le “linee rosse” di Obama prima tracciate e poi dimenticate; la Libia, abbandonata dopo essere stata trasformata in un inferno vivente; e l’Iraq con una stima prudente di duecentomila civili morti dall’invasione americana. Niente di tutto ciò è menzionato in questi giorni nella buona società europea; se viene menzionato al di fuori di essa, viene immediatamente bollato come un diversivo antiamericano dai mali commessi da Putin e dal suo esercito.

Con l’aumentare delle tensioni intorno all’Ucraina, visibili nell’ammassamento di truppe russe ai confini ucraini, i paesi dell’Europa occidentale, a quanto pare, hanno conferito una procura agli Stati Uniti, consentendogli attraverso la NATO di agire in loro nome e per loro conto. Ora, con il trascinarsi della guerra, l’Europa, organizzata in un’Unione Europea subordinata alla NATO, si troverà a dipendere dalle bizzarrie della politica interna degli Stati Uniti, una grande potenza in declino che si prepara al conflitto globale con una grande potenza emergente, la Cina. Iraq, Libia, Siria e Afghanistan avrebbero dovuto documentare ampiamente la propensione americana ad uscire se i loro sforzi, sempre e per definizione ben intenzionati, in altre parti del mondo fallissero per qualsiasi motivo, lasciando dietro di sé un pasticcio letale che altri devono ripulire se aspirano a un minimo di ordine internazionale alle loro porte. Sorprendentemente, da nessuna parte nell’Europa occidentale viene posta la domanda su cosa accadrà nel caso, nel 2024, Trump dovesse essere rieletto – il che non sembra affatto impossibile – o al suo posto venisse eletto qualche surrogato di Trump. Ma anche con Biden o qualche repubblicano moderato, il notoriamente breve intervallo di attenzione della politica imperiale americana dovrebbe, ma non sembra, entrare nei calcoli strategici, se ce ne sono, dei governi europei.

Una spiegazione troppo raramente invocata per l’incoscienza con cui gli Stati Uniti entrano ed escono troppo spesso da avventure militari lontane è la loro posizione su un’isola delle dimensioni di un continente, lontano da quei luoghi in cui potrebbero sentire il bisogno di fornire impegno per quella che considera stabilità politica. Qualunque cosa gli Stati Uniti facciano o non facciano all’estero ha poche o nessuna conseguenza per i suoi cittadini in patria. (Le truppe irachene non marceranno mai a Washington, DC, e non arresteranno George Bush per consegnarlo alla Corte penale internazionale dell’Aia.) Quando le cose vanno male, gli americani possono ritirarsi da dove sono venuti, dove nessuno può seguirli. C’è, se non altro per questo motivo, una tentazione duratura nella politica estera americana di lasciarsi guidare da pio desiderio, intelligenza carente, pianificazione sciatta, e un volubile adattamento delle politiche internazionali ai sentimenti pubblici interni. Ciò rende ancora più sorprendente il fatto che i paesi europei, apparentemente senza alcun dibattito, abbiano lasciato così completamente la gestione dell’Ucraina agli Stati Uniti. In effetti, questo rappresenta un responsabile che affida la gestione dei suoi interessi vitali a un agente con un recente record pubblico di incompetenza e irresponsabilità.

Quali saranno gli obiettivi di guerra degli Stati Uniti, agendo per e con l’Europa attraverso la NATO? Avendo lasciato a Biden la decisione in suo nome, il destino dell’Europa dipenderà dal destino di Biden, cioè dalle decisioni, o non decisioni, del governo degli Stati Uniti. A parte quello che i tedeschi nella prima guerra mondiale chiamavano un Siegfrieden – una pace vittoriosa imposta a un nemico sconfitto, come probabilmente sognato negli Stati Uniti sia dai neocon che dagli imperialisti liberali della scuola di Hillary Clinton – Biden può andare per, o addirittura preferire, una lunga situazione di stallo, una guerra di logoramento che tiene impegnati sia la Russia che l’Europa occidentale, in particolare la Germania. Uno scontro duraturo tra gli eserciti russo e ucraino, o “occidentale”, sul suolo ucraino unirebbe l’Europa sotto la NATO e obbligherebbe convenientemente i paesi europei a mantenere alti livelli di spesa militare. Inoltre, costringerebbe l’Europa a continuare ad applicare sanzioni economiche ad ampio raggio, anzi paralizzanti, nei confronti della Russia, come effetto collaterale rafforzando la posizione degli Stati Uniti come fornitore di energia e materie prime di vario genere per l’Europa. Inoltre, una guerra in corso, o quasi, ostacolerebbe l’Europa nello sviluppo di una propria architettura di sicurezza eurasiatica, inclusa la Russia. Consoliderebbe il controllo americano sull’Europa occidentale ed escluderebbe le idee francesi di “sovranità strategica europea” così come le speranze tedesche di distensione, presupponendo entrambi una sorta di accordo russo. E non meno importante, la Russia sarebbe occupata dai preparativi per gli interventi militari occidentali, al di sotto della soglia nucleare, sulla sua estesa periferia.

Molto probabilmente, uno scontro prolungato sull’Ucraina costringerebbe la Russia a uno stretto rapporto di dipendenza dalla Cina, assicurando alla Cina un alleato eurasiatico prigioniero e dandole un accesso assicurato alle risorse russe, a prezzi stracciati poiché l’Occidente non sarebbe più in competizione per loro. La Russia, a sua volta, potrebbe beneficiare della tecnologia cinese, nella misura in cui sarebbe resa disponibile. A prima vista, un’alleanza come questa potrebbe sembrare contraria agli interessi degli Stati Uniti. Tuttavia, verrebbe con un’alleanza ugualmente stretta e ugualmente asimmetrica, dominata dagli americani tra gli Stati Uniti e l’Europa occidentale, in cui ciò che l’Europa può offrire agli Stati Uniti supererebbe chiaramente ciò che la Russia può fornire alla Cina.

Questo articolo è apparso originariamente in American Affairs Volume VI, Numero 2 (estate 2022): 107–24.

Appunti

1 Questo concetto è tratto da Dani Rodrik, The Globalization Paradox (New York: WW Norton, 2011).2 FA Hayek, La Costituzione della Libertà (Chicago: University of Chicago Press, 1960).

3 I due trattati sono il Trattato sull’Unione europea (TUE) e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), il primo chiamato anche Trattato di Maastricht, in vigore dal 1993, il secondo Trattato di Roma, in vigore dal 1958, entrambi modificato più volte, ad esempio dal Trattato di Lisbona del 2009. Inoltre, secondo Wikipedia, “vi sono 37 protocolli, 2 allegati e 65 dichiarazioni che vengono allegati ai trattati per elaborare dettagli, spesso in connessione con un solo Paese, senza essere nel testo legale completo”.

4 Nel maggio 2005, una proposta di “Costituzione dell’Unione Europea” è fallita in un referendum francese, dopo che il 55 per cento degli elettori l’ha respinta. L’affluenza è stata del 69 per cento. Il rifiuto è stato in parte attribuito al governo francese per aver commesso l’errore di distribuire una copia della bozza di costituzione, lunga centinaia di pagine e impossibile da capire per i non specialisti, a ogni famiglia francese.

5 Ai sensi dell’articolo 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), “sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri e tra Stati membri e paesi terzi”, lo stesso vale per “tutte le restrizioni pagamenti”, sempre “tra Stati membri e paesi terzi”.

6L’articolo 4, comma 1, del TUE recita: “A norma dell’articolo 5, le competenze non attribuite all’Unione nei Trattati restano agli Stati membri”. Ai sensi dell’articolo 5, comma 1, “I limiti delle competenze dell’Unione sono disciplinati dal principio di attribuzione. L’uso delle competenze dell’Unione è disciplinato dai principi di sussidiarietà e proporzionalità. La Commissione europea e la Corte di giustizia stanno da tempo cercando di aggirare restrizioni di questo tipo dei Trattati, traendo competenze specifiche per se stesse da clausole generali come, ad esempio, l’articolo 2 TUE: “L’Unione si fonda sui valori del rispetto dell’uomo dignità, libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto e rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze.

7La RRF è stata istituita nel luglio 2020 per erogare 750 miliardi di euro ai paesi membri, in proporzione alle perdite che la Commissione europea ha ritenuto che abbiano subito a causa della pandemia di corona. L’Italia è il primo beneficiario, con 192 miliardi di euro (69 miliardi di euro in sovvenzioni, il resto in prestiti). La RRF è la prima volta che l’UE è stata autorizzata dai suoi Stati membri a contrarre debiti; il fondo è interamente finanziato tramite debito. Per avere un’idea della sua portata effettiva, si noti che la Germania, rispondendo alle lamentele americane per non aver speso abbastanza per la difesa, ha accantonato all’inizio del 2022, nel giro di pochi giorni, un fondo finanziato da debito di 100 miliardi di euro per potenziando il suo esercito, da spendere immediatamente. Questo è più della metà di quanto l’intero Paese d’Italia è stato stanziato dall’Unione Europea,

8 Sulla politica della controversia sullo “stato di diritto” si veda Wolfgang Streeck, “ Ultra Vires ”, New Left Review Sidecar , 7 gennaio 2022; Wolfgang Streeck, ” Rusty Charley “, New Left Review Sidecar , 2 novembre 2021.

9 In un vertice dell’UE nel giugno 2021, il primo ministro olandese, Mark Rutte, sotto pressione in patria a causa di uno scandalo sulle misure punitive illegali adottate dal suo governo contro i beneficiari del welfare, ha detto al suo omologo ungherese, Viktor Orbán, che l’Ungheria doveva lasciare l’UE a meno che il suo governo non abbia ritirato una legge che vieti alle scuole di utilizzare materiali ritenuti promuovere l’omosessualità. Da un rapporto Reuters:

Diversi partecipanti al vertice dell’UE hanno parlato dello scontro personale tra i leader del blocco più intenso degli ultimi anni. . . . “Era davvero forte, una profonda sensazione che questo non potesse essere. Riguardava i nostri valori; questo è ciò che rappresentiamo”, ha detto Rutte ai giornalisti venerdì. “Ho detto ‘Smettila, devi ritirare la legge e, se non ti piace e dici davvero che i valori europei non sono i tuoi valori, allora devi pensare se rimanere nell’Unione Europea’”.

10 Cfr. Amitai Etzioni, Reclaiming Patriotism (Charlottesville: University of Virginia Press, 2019), 142 ss.

11 In questa categoria rientra anche l’idea dell’“Europa delle diverse velocità”, che è stata fortemente e con successo osteggiata dai paesi dell’Europa orientale dell’UE.

12 Hans Joas, Friedensprojekt Europa (Monaco: Kösel, 2020). Ho tratto grande beneficio da Joas; vedi Wolfgang Streeck, Zwischen Globalismus und Demokratie: Politische Ökonomie im ausgehenden Neoliberalismus (Berlino: Suhrkamp, ​​2020). Una traduzione in inglese è in arrivo da Verso.

13 Cfr. Streeck, Zwischen Globalismus und Demokratie .

14 Secondo il suo sito web, “Il Consiglio dei ministri nordico è l’organismo ufficiale per la cooperazione intergovernativa nella regione nordica. Cerca soluzioni nordiche ovunque e ogni volta che i paesi possono ottenere di più insieme che lavorando da soli”.

15 Hans Eichel et al., “ Für ein solidarisches Europa—Machen wir Ernst mit dem Willen unseres Grundgesetzes, jetzt! ”, Handelsblatt , 21 ottobre 2018.

16 Sipri , l’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma, riporta che la spesa militare russa nel 2018 è stata di 62,4 miliardi di dollari. Regno Unito, Francia, Germania e Italia, i quattro maggiori membri europei della NATO, nel 2018 hanno speso insieme 175,2 miliardi di dollari, 2,8 volte di più della Russia.

17 Come avrebbe affermato lo statista francese Conte Mirabeau nel 1786, anno della morte di Federico II di Prussia: “Altri stati possiedono un esercito; La Prussia è un esercito che possiede uno stato.

18 “In Europa assistiamo a un duplice movimento: un graduale e inevitabile disimpegno da parte degli Stati Uniti e una minaccia terroristica a lungo termine con l’obiettivo dichiarato di dividere le nostre società libere. . . . Nell’area della difesa, il nostro obiettivo deve essere quello di garantire le capacità operative autonome dell’Europa, a complemento della NATO”. Emmanuel Macron, ” Discorso alla Sorbona “, 26 settembre 2017.

19 Secondo Statista, la Germania nel 2018 ha speso l’1,2% del suo PIL per le sue forze armate, pari a 44,7 miliardi di dollari. Puntare al 2%, come richiesto dalla NATO, sarebbe stato equivalente a 74,5 miliardi di dollari, ovvero 12,1 miliardi di dollari in più rispetto alla Russia.

20 Dopo l’adesione della Croazia nel 2013 e del Montenegro nel 2017, Serbia, Macedonia del Nord e Albania sono attualmente candidati ufficiali all’adesione. Bosnia ed Erzegovina e Kosovo aspettano dietro le quinte.

21 In passato, le richieste di ammissione ucraine non hanno portato a nulla poiché Bruxelles sentiva chiaramente che il paese non era idoneo per l’adesione. Forti dubbi sono stati espressi sulla natura democratica dello Stato ucraino, sul ruolo dei suoi oligarchi e del loro potere politico e sul trattamento delle minoranze, compresa quella di lingua russa nelle province orientali; c’è anche una percezione di corruzione dilagante. In parte questa potrebbe essere stata una finzione, tuttavia, e la vera ragione del rifiuto molti sono stati la povertà del paese, che avrebbe imposto un enorme onere aggiuntivo alle finanze interne dell’UE, in particolare ai suoi vari fondi di assistenza. La guerra ora può ignorare tali preoccupazioni rendendole meno presentabili pubblicamente.

22 Le proiezioni del governo ucraino sui costi di riparazione dei danni causati dalla guerra al momento raggiungono i 2 miliardi di dollari.

23 Ad esempio, nel febbraio 2022, l’amministrazione Biden ha confiscato metà dei beni congelati della banca centrale dell’Afghanistan, depositati presso la filiale della Federal Reserve di New York City, da destinare ai sopravvissuti all’11 settembre e ai loro avvocati. I fondi sequestrati ammontavano a $ 3,5 miliardi. Poche settimane dopo, una conferenza internazionale dei donatori organizzata dalle Nazioni Unite, insieme a Germania, Regno Unito e Qatar, ha cercato di raccogliere 4,4 miliardi di dollari per aiutare a porre fine alla fame di massa in Afghanistan, dove i talebani erano tornati al potere dopo la partenza degli americani. Solo 2,44 miliardi di dollari sono stati donati dalle quarantuno nazioni che erano presenti (virtuali).

24 Il “Fondo di coesione” dell’UE sostiene gli Stati membri con un PIL pro capite inferiore al 90 per cento della media dell’UE, “per rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale dell’UE”.

25Le politiche dello “stato di diritto” europeo sono complicate. Dall’inizio della guerra la Commissione sembra aver rinviato, se non silenziosamente annullato, i procedimenti legali contro la Polonia per la sua politicizzazione della magistratura e la corruzione della spesa dell’UE. La situazione è stata diversa con l’Ungheria, il cui leader semi-dittatoriale, Viktor Orbán, è stato rieletto per la terza volta il 3 aprile di quest’anno, con una maggioranza popolare del 53 per cento, maggiore rispetto a qualsiasi delle sue precedenti elezioni. A differenza della Polonia, l’Ungheria sotto Orbán è rimasta in una relazione orale con il presidente russo, Vladimir Putin, forse anche a causa della discriminazione in Ucraina nei confronti di una consistente minoranza filo-russa di lingua ungherese. Immediatamente dopo la vittoria elettorale di Orbán, la Commissione ha avviato un procedimento contro l’Ungheria, anche se solo sulla meno grave delle due presunte infrazioni, sostanzialmente accuse di corruzione ufficiale. La natura politicizzata della questione è palese in quanto la Commissione e il Parlamento dell’UE non sono particolarmente preoccupati per la corruzione in Stati membri come Malta, Cipro, Bulgaria, Romania, Slovenia e Slovacchia, che differiscono da Ungheria e Polonia non per la loro natura legale o illegale. , pratiche ma in quanto i loro governi votano sempre “pro-europei” a Bruxelles, come stabilito dalla Commissione. Per inciso, rispetto al probabile prossimo membro, l’Ucraina, un paese come l’Ungheria potrebbe essere pulito come, ad esempio, la Svezia o la Danimarca. che differiscono da Ungheria e Polonia non per le loro pratiche legali o illegali, ma per il fatto che i loro governi votano sempre “pro-europei” a Bruxelles, come stabilito dalla Commissione. Per inciso, rispetto al probabile prossimo membro, l’Ucraina, un paese come l’Ungheria potrebbe essere pulito come, ad esempio, la Svezia o la Danimarca. che differiscono da Ungheria e Polonia non per le loro pratiche legali o illegali, ma per il fatto che i loro governi votano sempre “pro-europei” a Bruxelles, come stabilito dalla Commissione. Per inciso, rispetto al probabile prossimo membro, l’Ucraina, un paese come l’Ungheria potrebbe essere pulito come, ad esempio, la Svezia o la Danimarca.

https://americanaffairsjournal.org/2022/05/the-eu-after-ukraine/#notes

 

La nuda verità sulle transizioni energetiche, Di Jeanne Donovan

Un morbo contagioso_Giuseppe Germinario

Storicamente, le fonti di energia hanno impiegato decenni per passare dai vecchi metodi alle nuove tecnologie. I cambiamenti sono stati guidati da imprenditori visionari insieme all’evoluzione della domanda pubblica.

Il passaggio da cavalli e passeggini alle automobili è durato 50 anni. Anche in quel lungo arco di tempo, l’evoluzione non è stata sempre benefica per gli individui o le comunità. C’erano pro e contro da entrambe le parti. “Prima che gli abitanti delle città si lamentassero delle auto, dello smog, della congestione e della perdita di spazio pubblico, inveivano contro le ca..te di cavallo puzzolenti e cavalcate dalle mosche “.

La differenza tra il 19° secolo e il 21° secolo è che la nuova tecnologia energetica è cresciuta lentamente in popolarità mentre il capitalismo alimentava il desiderio di una vita migliore. Ora gli americani stanno soffrendo durante il mandato presidenziale di Biden e le ferite sono autoinflitte. I politici e i burocrati di regolamentazione stanno distruggendo di proposito la nostra indipendenza energetica mentre fingono che le loro politiche non abbiano nulla a che fare con problemi di inflazione, carenza e possibile razionamento. Stanno indirizzando erroneamente la colpa a Putin e al COVID-19, ma lo sanno meglio. Biden e le sue coorti stanno deliberatamente indebolendo il nostro paese per quella che sembra una miscela di ideologia marxista-verde. Pensano persino che il nostro dolore sia divertente .

I commercianti di clima di oggi, guidati da ideologi come Joe Biden, Nancy Pelosi, Chuck Schumer, Jennifer Granholm, Elizabeth Warren e Alexandria Ocasio-Cortez, solo per citarne alcuni, sono così sconsideratamente miopi che apparentemente non riescono a pensare oltre i suggerimenti dei loro nasi. Chiedono di rinunciare ai combustibili fossili e di sostituirli con energie rinnovabili, e lo vogliono proprio ora! Accidenti alle conseguenze per te, per me e per il nostro paese durante la transizione. Sanno che saranno tutti morti tra cinquant’anni, quindi non sono disposti a lasciare che il cambiamento avvenga in modo incrementale, inoltre hanno solo due anni e mezzo di presidenza di Joe per completare la loro strategia di ricostruzione peggiore, e se alcuni di questi ideologi sono fedeli alla loro convinzione dichiarata, saremo tutti morti nei prossimi nove anni a causa del riscaldamento globale. Pertanto, dobbiamo assolutamente accettare le loro scritture e cambiare il nostro modo di peccare per salvare il pianeta. A maggior ragione ci spingono verso il presunto nirvana energetico prima che si verifichi la nostra estinzione. Queste persone non sono pazienti o logiche, quindi non pensano mai al futuro per immaginare cosa potrebbe andare storto se riuscissero con la loro missione di ricablare il mondo a loro immagine.

Attualmente, vogliono che tutti noi, compresi i poveri, restiamo a casa o compriamo auto elettriche così non dovremo fare affidamento sui combustibili fossili. Ah! Sono davvero così stupidi o pensano che siamo stupidi? Tanto per cominciare, non sanno che la maggior parte dell’elettricità è prodotta con il carbone? Credono davvero che saranno in grado di alimentare le loro Tesla usando l’energia eolica o solare inaffidabile? L’energia fornita dal vento e dal sole è un dono gratuito di Dio al mondo, ma per sfruttare quell’energia per scopi rinnovabili richiede anche una fonte di energia, oltre ai sottoprodotti del petrolio, per non parlare delle terre rare che sono per lo più di proprietà della Cina. Costruiranno questi stessi mulini a vento e pannelli solari utilizzando solo energia rinnovabile? Non credo.

Quelle nuove ed eleganti Tesla, con tutti i loro equipaggiamenti di plastica, avranno anche bisogno di pneumatici.  Il 60% di tutti i pneumatici nel mondo sono realizzati in gomma sintetica, che è un sottoprodotto degli idrocarburi. Se ci sbarazziamo del petrolio, le gomme diventeranno una reliquia del passato.

“Tentare di sostituire tutti i componenti dei pneumatici a combustibili fossili con biomateriali sarà impossibile nel breve termine ed estremamente difficile nel lungo termine[.]” Come faranno i movimento terra senza mega-pneumatici a trasportare i materiali utilizzati per costruire le infrastrutture del nostro paese o costruire grattacieli? In che modo i caricatori pesanti trasporteranno anche una singola pala di una turbina eolica del peso di 12 tonnellate attraverso il paese? Come trasporteremo cibo e merci in diversi stati senza pneumatici? Immagino che avremo bisogno di più treni, ma oops, hanno anche bisogno di combustibili fossili per funzionare. Come faranno John Kerry, Nancy Pelosi e le star di Hollywood a far atterrare i loro jet privati ​​in giro per il mondo senza pneumatici?

Ma allora perché preoccuparsi degli pneumatici poiché gli aerei sono costruiti utilizzando prodotti realizzati con sottoprodotti del petrolio? La produzione di aerei deve cessare. Come potranno i nostri veicoli militari difendere il nostro Paese e i nostri alleati senza pneumatici? Come potremo fornire armi da guerra all’Ucraina? Senza i sottoprodotti del petrolio per la produzione di pneumatici e altre materie plastiche, il trasporto sarebbe irriconoscibile, se esistesse. Potremmo dover ricorrere a veicoli che somigliano all’auto di Barney Rubble .

Ognuno di noi potrebbe porre migliaia di domande simili e logiche su come sarebbe la vita dopo la perdita dei sottoprodotti del petrolio. I verdi non avrebbero risposte valide.

Un ultimo pensiero, e non carino. Immagina un giorno in cui tutti i prodotti petroliferi saranno stati cancellati. Di conseguenza, i suoi sottoprodottinon sono più disponibili. Ora immagina il tuo pazzo greenie meno preferito che ti insegna da un podio sul riscaldamento globale e sulla fine dei tempi. Imbarazzante, perché tutte le fibre sintetiche di idrocarburi utilizzate in precedenza per realizzare quasi tutto ciò che adornava il nostro corpo sono state vietate, e perché non ci sono più pneumatici per supportare i trattori per arare i campi per fibre naturali come cotone e lino, e perché PETA si oppone a chiunque usi pelliccia di animale o pelle per vestirsi, il pazzo verde è lasciato in piedi davanti a te, nudo come il giorno in cui è nato. L’imperatrice non ha vestiti. Né può distrarre i tuoi occhi dalla sua nudità applicando un rossetto rosso brillante, o gesticolando le sue unghie acriliche lucidate di rosso, o saltellando sui suoi scintillanti tacchi Louboutin. Sono scomparsi tutti quando il petrolio è stato bandito.

Quello non è progresso. È un salto indietro nel tempo. Purtroppo, ora che il deodorante, il sapone e lo shampoo sono scomparsi, la nostra imperatrice verde odora di merda di cavallo.

È ora di rimandare questi pazzi marxisti verdi e saccenti, e tutti i loro simili, nella caverna a cui appartengono.

https://www.americanthinker.com/articles/2022/06/the_naked_truth_about_energy_transitions.html

TUTTI I DEMONI (PAN-DEMONIO), di Pierluigi Fagan

TUTTI I DEMONI (PAN-DEMONIO). “Meglio regnare all’Inferno, che servire in paradiso” scriveva Milton nel 1667 cioè a metà strada tra la Guerra civile e la Gloriosa rivoluzione inglese, la transizione alla società politica moderna. Negli ultimi venti anni ci siamo trovati a metà strada tra la fine del periodo moderno e qualcosa che ancora non ha forma, quindi nome e concetto.
La fenomenologia della transizione storica inizia giusto all’inizio del millennio dove scoppia la bolla finanziaria delle dot-com. O almeno così diciamo per non farla troppo complicata qui su un post. Una enorme massa di liquidità fittizia aveva gonfiato una bolla speculativa nei listini tecnologici che avevano segnato, in pochi anni, un +400%. Veloce l’ascesa, rovinosa la caduta. Il tutto, riferito ad un fatto economico del tutto insignificante (la nascita delle nuove compagnie digitali) che però era stato scambiato, negli Stati Uniti, per evento cataclismatico e vivificatore di una economia se non spenta, troppo piatta.
Ai tempi, tempi che provenivano dagli anni ’90, il decennio della fine dell’URSS, la nascita del WTO e di Maastricht, tutti presi dal trionfo del modo economico moderno e relativi sistemi liberali occidentali, c’eravamo convinti la storia fosse finita. La storia non la prese bene e decise di falsificare l’errata convinzione, presentandosi sulle ali di tre aviogetti picchiati in testa ad altrettanti, simbolici palazzi americani. Il tutto a nome di genti a noi ignote, circa 1,8 miliardi di credenti nell’islam, circa un quarto del mondo, circa il doppio degli “occidentali” (Europa unita più anglosfera). Genti ignote prima dell’evento, ma anche dopo visto che l’evento lo rubricammo alla cartella “terrorismo salafita”, senza capire bene da quel complesso stato di sistema provenisse.
Passano sette anni e di nuovo scoppia una bolla finanziaria, di nuovo in America, Paese-sistema che evidentemente ri-bolle. La bolla viene soffiata e scoppiata negli USA, ma la catena delle conseguenze nell’economia e società reale è tutta europea.
Pochi anni e l’intero mondo arabo prende le convulsioni, iniziando da una rivolta per il pane occorsa per una siccità in Ucraina e Russia. Ma l’accensione del fremito è una cosa, il disordine socio-politico sottostante un’altra. La fiammata viene presto spenta tranne che in un Paese, la Siria, dove l’incendio si innesta su una guerra civile che con l’allegra partecipazione di potenze geopolitiche, regionali e non, diventa conflitto bellico. Bilancio: 570mila morti, 2,8 milioni di feriti, 6milioni di rifugiati, altri 6milioni di sfollati. A parte i siriani, dal 2015 ad oggi arriveranno in Europa circa 2 milioni di migranti, una inezia statistica, ma un serio problema data l’approssimazione logistico-sociale delle nazioni più esposte.
Nel mentre, la Cina che era solo il 12% del Pil USA al 2000, entra nel WTO e continua la sua crescita mossa da gatti del cui colore i pragmatici cinesi decidono di non curarsi. la Cina arriverà al 70% del Pil Usa dopo venti anni, promettendo di pareggiarlo al 2028. Ma occhio anche all’India, il 32% dell’economia britannica al 2000, il 105% oggi.
Sebbene molti allarmati studiosi abbiano invano cercato di far notare l’impressionante aumento di ogni parametro ecologico-climatico sin dagli anni ’70, per decenni i loro avvisi sono stati rubricati come paranoie di “abbracciatori di alberi”. Poi gli alberi hanno cominciato a bruciare e tra il quarto (2007) ed il quinto (2014) rapporto dell’IPCC, ci si è stupefatti del minaccioso incremento del calore. Il quinto rapporto (2021) la butta sul drammatico, ma tranquilli, è una invenzione della cricca di Davos, il clima è sempre cambiato, noi non c’entriamo nulla è una questione solare. Nessuno pare interessato alla ben più vasta problematica delle molteplici corruzioni delle ecologie mentre i negazionisti climatici, spesso finanziati dal complesso petro-carbonifero statunitense più una pattuglia di stupidi naturali, non s’avvedono che negli ultimi settanta anni: a) l’umanità si è triplicata; b) ormai tutta l’umanità usa il modo economico moderno nato in una isoletta del Mar del Nord con, ai tempi, cinque milioni di abitanti. In effetti, poiché la Storia è finita, perché perdere tempo a leggere cosa è successo nel tempo?
Scontri di civiltà? Collassi a ripetizione del sistema economico-finanziario? Crescita stentata occidentale e poderosa orientale? Conflitti e migrazioni? Febbre climatica e vistosi disequilibri ambientali? Probabilmente bias percettivo della mente catastrofista, eccesso di clamore dell’infosfera, false cause per alimentare la distruzione creatrice necessaria a creare “valore” sempre nuovo.
Arriva così una pandemia, neanche l’1% di morti nel mondo, eppure un bel casino multidimensionale con impatti diretti ed indiretti sulle nostre vite, prima psico-sociali, poi economici. Quando poi l’economia tenta la ripresa, travolge la logistica ed i mercati e scopre che il mondo è organizzato a standard che mal sopportano gli eventi fuori standard, non importa se in negativo o in positivo. È un fatto di incompatibilità tra logica lineare ed oscillatoria, ordine e complessità a volte tendente al caos.
Vabbè dai, arriva il PNRR e ci riprenderemo almeno economicamente, il resto lo vedremo con calma e per piacere. Ma per dispiacere, quel manigoldo pazzo russo con il cancro, invade lo stato vicino con una forza armata, lui prima potenza nucleare contro un Paese un po’ disgraziato ma con dietro l’altra prima potenza nucleare. Dopo qualche settimana, appena, è tutto un fiorire di minacce di reciproca nuclearizzazione, spuntano armi dappertutto, l’Europa fa guerra al suo fornitore di energia senza in realtà poterne fare a meno sul serio e così incendiando i prezzi quindi aumentando i soldi che sempre più gli dà. S’infiamma l’inflazione, manca il grano, le materie prime schizzano nell’iperspazio, la globalizzazione è ripudiata, ora il titolo in cartello recita “democrazie vs autocrazie”. L’altro giorno mi pare che la NATO abbia anche dichiarato anche guerra al PKK, ci sta.
Poiché la nostra mentalità ha le dimensioni di spazio e tempo della formica operaia, talvolta soldato, non importa che la questione del grano e delle materie prime s’era già detta tre mesi fa, così non importa che JP Morgan a nome di tanti altri analisti avvisi l’arrivo della fatidica “tempesta perfetta” economico-finanziaria entro tre-cinque mesi. Oggi è il tempo di più warfare e meno welfare! Come la civetta di Minerva, “noi” arriviamo sempre “dopo”, lì dove “dopo è tardi”.
Scriveva l’altro giorno un mio contatto che la complessità “è quella cosa che poi ti fa dire che avresti dovuto pensarci prima”. Ecco forse chiarito il mistero del nome e del concetto dell’era verso cui stiamo transitando, l’era complessa. Che vogliate regnare nell’inferno e rispristinare l’innocenza del paradiso che tale non è mai stato ma rispetto ad oggi ci piace pensarlo così nel ricordo (sindrome del “paradiso perduto” per restare il tema miltoniano), dovete solo tener conto che una nuova era comporta nuove mentalità e nuovi modi di organizzare la vita associata. Questi secondi non li potremo costruire e prima immaginare se non cambiamo o almeno cominciamo a cambiare prima la mentalità.
Gli artigiani della mentalità sono gli intellettuali, i chierici si definivano una volta. Speriamo ce ne siano all’altezza della fase storica, altrimenti saranno guai molto seri. Diceva quello della civetta tardiva che il vero è l’intero, ma chi mai più è in grado di mettere assieme le cose del mondo? Diceva quell’altro che il pensiero non si può limitare a comprendere il mondo, deve cambiarlo, ma forse doveva anche aggiungere che per cambiarlo, prima bisogna comprenderlo.
Il pandemonio è dato sempre dai demoni che scappano dai circoli che non siamo in grado di chiudere, per tempo.
> La citazione è tratta da #Giancarlo Manfredi, Disaster Manager ovvero uno a cui il lavoro non mancherà…
NB_tratto da facebook

Le catastrofi della guerra fredda che gli Stati Uniti possono evitare questa volta, di Anatol Lieven

Un articolo molto interessante nel rivelare le molteplici sfaccettature di un dibattito e confronto acceso, spesso al limite del punto di rottura negli Stati Uniti. Accanto al tema strategico dell’approccio nei confronti della Russia e del rischio di compattare la posizione di due avversari, vi è quello tattico necessario a collocare nella esatta dimensione i particolari conflitti locali. Una ulteriore evidenza che la partita, non ostante le apparenze, è ancora aperta specie se dall’Europa dovesse partire una qualche spinta. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Contenere la Russia è una buona idea. La crociata contro di essa non lo è.

Informazioni sull’autore: Anatol Lieven è ricercatore presso il Quincy Institute for Responsible Statecraft e autore di Ukraine and Russia: A Fraternal Rivalry and Climate Change and the Nation State .

Qualunque cosa accada in Ucraina, America e Russia sono ora destinate a un lungo periodo di intenso confronto. Il sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina contro l’invasione della Russia era del tutto giustificato. Ma mentre i combattimenti continuano, il crescente coinvolgimento dell’America nello sforzo bellico dell’Ucraina, inclusi enormi aiuti finanziari ed economici, nonché armi più pesanti e più sofisticate, potrebbe evolversi in un conflitto più ampio e diretto tra le due grandi potenze. Questa nuova guerra fredda potrebbe costringere gli Stati Uniti a impegnarsi incondizionatamente, come hanno avvertito Henry Kissinger e altri, verso obiettivi terribilmente pericolosi e contrari agli interessi nazionali.

Un altro sguardo ai primi anni della Guerra Fredda originale, quando gli Stati Uniti si trovarono coinvolti in molti di questi impegni in tutto il mondo, potrebbe essere una guida utile per evitare nuove versioni dei disastri che a volte ne derivavano. La politica statunitense di contenimento nei confronti dell’Unione Sovietica dopo la seconda guerra mondiale era assolutamente necessaria, ma ciò che divenne un’impostazione eccessivamente zelante di quella strategia portò a conflitti inutili e terribili sofferenze in molte parti del mondo. Anche se la Guerra Fredda si è conclusa con una vittoria finale per l’Occidente, il lungo confronto ha inflitto danni agli stessi Stati Uniti, dai quali non si è mai ripreso.

I parallelismi tra la situazione odierna e l’inizio della Guerra Fredda non sono perfetti. Il comunismo stalinista era una forza maligna, con vere ambizioni di realizzare la rivoluzione mondiale e distruggere tutti i sistemi capitalisti democratici. L’Unione Sovietica, che aveva svolto di gran lunga il ruolo più importante nella sconfitta della Germania nazista, era senza dubbio una superpotenza militare. I battaglioni dell’Armata Rossa erano dislocati nel cuore della Germania. L’URSS e il comunismo sovietico rappresentavano una vera minaccia per gli alleati statunitensi e gli interessi economici nell’Europa occidentale.

Lungi dall’essere la potente forza militare dell’Unione Sovietica dell’era di Stalin, le truppe di terra russe oggi sembrano poco meglio dei briganti pesantemente armati: brutali, persino criminali, e un disastro per l’Ucraina e gli ucraini, ma non un serio pericolo per l’Occidente. Sebbene la guerra in Ucraina sia iniziata come un tentativo russo di trasformare tutta l’Ucraina in uno stato cliente, le sconfitte e i fallimenti dell’esercito russo hanno ridotto la sua portata a un conflitto postcoloniale su territori limitati nell’est e nel sud del paese.

Per quanto brutto sia lo spettacolo, questi limiti di scala consentono un approccio più calmo ed equilibrato alla risposta degli Stati Uniti di quanto sembrava richiesto all’inizio, nei primi scioccanti giorni dell’invasione. Ma non sono motivo di compiacimento. Una caratteristica cruciale del conflitto odierno è che non viene, come durante la Guerra Fredda, sublimato o esportato in qualche parte lontana del globo: gli aiuti militari statunitensi all’Ucraina si stanno svolgendo in una guerra all’interno dell’Europa, giusto al confine con la Russia. Un tale teatro europeo era qualcosa che ogni presidente degli Stati Uniti del dopoguerra era attento a evitare, perché tutti capivano che una guerra calda nell’Europa orientale avrebbe aumentato drasticamente il rischio di un’escalation che si sarebbe conclusa con una catastrofe nucleare.

Alla luce di ciò, la transizione avvenuta durante la seconda amministrazione Truman, dall’approccio di George Kennan al contenimento dell’Unione Sovietica a quello di Paul Nitze, dovrebbe essere un ammonimento per gli Stati Uniti e i loro alleati odierni. La strategia di Kennan di contenimento limitato e difensivo in Europa si basava su una profonda comprensione delle debolezze intrinseche del sistema sovietico; se l’espansione sovietica fosse stata contenuta, si sperava, quel sistema alla fine sarebbe crollato da solo.

Questo è, ovviamente, ciò che è finalmente accaduto, ma non prima che Nitze fosse intervenuto per rendere il contenimento una politica più aggressiva, di portata globale e pesantemente militarizzata, portando le controversie locali in tutto il mondo sotto l’ombrello della Guerra Fredda, a effetto terribilmente distruttivo. Nelle parole dello storico ufficiale del Dipartimento di Stato:

Nel 1950, il concetto di contenimento di Nitze prevalse su quello di Kennan. NSC 68 … ha chiesto una drastica espansione del budget militare statunitense. Il documento ha anche ampliato la portata del contenimento oltre la difesa dei principali centri del potere industriale per comprendere il mondo intero. “Nel contesto dell’attuale polarizzazione del potere”, si legge, “una sconfitta delle libere istituzioni ovunque è una sconfitta ovunque”.

Quel documento del Consiglio di sicurezza nazionale, NSC-68 , ha portato all’interpretazione statunitense dell’invasione nordcoreana della Corea del Sud nello stesso anno come parte di un piano per il dominio del mondo ordinato da Mosca, piuttosto che una guerra civile peninsulare. Un decennio dopo, lo stesso malinteso, unito alla ” teoria del domino “, che considerava qualsiasi successo comunista ovunque come un passo minaccioso verso il trionfo sovietico universale, condusse l’America alla catastrofe del Vietnam del tutto inutile. Il pensiero alla base dell’NSC-68 è stato responsabile di una serie di altri disastrosi errori statunitensi, come il rovesciamento nel 1953 del governo nazionalista liberale sotto Mohammad Mosaddegh in Iran, colpi di stato e massacri assortiti in America centrale e il sostegno a diversi nominalisti anticomunisti ma forze spregevoli nelle guerre civili africane.

Sebbene l’approccio di Nitze abbia peggiorato la carneficina, alcune responsabilità risiedono in un difetto originario della dottrina Kennan; come ha sottolineato all’inizio Walter Lippmann, non è riuscito a distinguere adeguatamente tra interessi nazionali vitali e quelli periferici (sebbene l’URSS fosse suscettibile di rendere stesso errore). Tuttavia, gli Stati Uniti hanno osservato la distinzione nei momenti di forte stress astenendosi sia in Corea che in Vietnam dal ricorrere alle armi nucleari. E la paura del cataclisma nucleare, insieme al consiglio di Kennan, ha influenzato la decisione di Dwight Eisenhower di respingere l’idea di John Foster Dulles di “arretrare” il potere sovietico nell’Europa orientale incoraggiando rivolte nazionali sostenute dalle forze armate statunitensi. Questa moderazione era radicata nel riconoscimento che l’influenza comunista sull’Europa orientale toccava interessi sovietici vitali, che Mosca avrebbe rischiato una guerra nucleare per difendere.

La politica statunitense oggi rischia di commettere alcuni degli stessi errori dei primi anni della Guerra Fredda. Il palcoscenico è molto più piccolo, ma il pericolo è, per certi versi, maggiore perché la guerra per procura viene condotta su un territorio che la Russia considera assolutamente vitale per il suo interesse nazionale e che confina anche con il territorio dei membri della NATO. Se gli Stati Uniti dovessero inciampare nell’adozione di una nuova versione di “rollback” – con la Russia, che sostituisce l’URSS, non solo contenuta nell’Ucraina orientale ma completamente sconfitta, provocando disordini interni e possibilmente un cambio di regime – ciò avrebbe un effetto molto più grande di rischio di escalation nucleare.

Il ricordo della Guerra Fredda dovrebbe essere un monito contro il pericolo oggi di una dottrina neo-Nitze di vedere ogni disputa che coinvolge la Russia come una lotta a somma zero contro un nemico esistenziale, indipendentemente dagli effettivi interessi statunitensi e dalle realtà locali. A volte, infatti, sarebbe opportuno notare che gli interessi americani e russi possono ancora coincidere. Per quanto malvagio sia il regime di Assad in Siria, per esempio, non dobbiamo dimenticare che le forze americane e russe in quel paese sono, in effetti, alleate contro lo Stato islamico, che vuole distruggere sia Mosca che Washington. In altre parole, la Russia sostiene Bashar al-Assad per ragioni simili per cui gli Stati Uniti sostengono il presidente Abdel Fattah al-Sisi in Egitto. La stessa logica pragmatica si applica agli schieramenti militari russi nel Sahel. Dovremmo anche riconoscere

Infine, una nuova Guerra Fredda rischia di trovare nemici sia interni che stranieri. Lo spettro del maccartismo percorre ancora la terra in uno spirito di paranoia e odio che perseguita la cultura politica americana. Proprio come il senatore Joseph McCarthy ha grottescamente esagerato una trascurabile minaccia comunista all’interno dell’America, così le accuse di condotta traditrice contro gli americani in linea con la posizione pro-Putin di Donald Trump sono state esagerate. Attaccare gli oppositori politici come traditori non è una tattica che ha funzionato bene per la democrazia. In ogni caso, l’estremismo di destra è autoctono in America come lo è in Brasile, Polonia, India e in effetti in Russia.

Nessuna di queste lezioni storiche argomenta contro il sostegno degli Stati Uniti alla difesa dell’Ucraina di fronte all’invasione russa. Si oppongono fermamente, tuttavia, contro l’esclusione di una pace di compromesso a favore di una vittoria completa per l’Ucraina. Peggio ancora sarebbe trasformare la guerra in Ucraina nell’inizio di un’altra crociata globale militarizzata.

Anatol Lieven è ricercatore presso il Quincy Institute for Responsible Statecraft e autore di Ukraine and Russia: A Fraternal Rivalry and Climate Change and the Nation State .

Terrorismo in Pakistan, un “imprevisto” per la Via della Seta di Pechino, di Giuseppe Gagliano

Un articolo che evidenzia opportunamente che la dinamica multipolare prosegue per vie incerte e problematiche non solo per la competizione tra i soggetti più importanti e potenzialmente egemoni, ma anche per le contraddizioni e le dinamiche politiche interne ai territori oggetto di penetrazione. L’articolo parla di Pakistan e accenna alle Filippine e all’Indonesia; ma anche in Africa emergono ormai situazioni simili. Sino ad ora la Cina, sulla base delle sue stesse radici culturali e di cultura politica e dell’assenza di un apparato militare e in parte diplomatico capace di proiezione esterna, ha privilegiato il rapporto diretto con le autorità locali sino a ritrarsi in situazioni di estrema precarietà politica ed istituzionale. Per il futuro, molto dipenderà dalla dinamica di competizione con gli Stati Uniti. Non a caso la diplomazia cinese è ancorata ad una visione delle relazioni internazionali ancora esente, almeno formalmente, da un sistema di alleanze stabili, così come propugnata dal mondo occidentale.

Del resto le fortune e il grande successo della Cina è dovuto, sino ad appena pochi anni fa, alla capacità della sua classe dirigente di sfruttare gli spazi offerti dalla globalizzazione così come disegnata dalle élites statunitensi. I problemi di competizione ostile esplicita si sono manifestati negli ultimi sette anni e disegneranno la conformazione multipolare con tratti inediti rispetto ad analoghe fasi nel passato, vista la profonda compenetrazione economica tra Cina e Stati Uniti, dalla quale sarà particolarmente problematico districarsi. Vero è che la compenetrazione economica non è necessariamente sinonimo di coesistenza geopolitica relativamente pacifica; certamente condizionerà gli aspetti conflittuali di essa, anche i più estremi. E’ altresì sempre più evidente che non solo conta l’azione e l’influenza esterna nelle dinamiche di un paese, ma che sono le classi dirigenti e i centri politici locali che sfruttano gli apporti esterni nei loro conflitti e rapporti cooperativi interni. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Per sviluppare il suo progetto della Nuova via della Seta, la Cina ha stretto un accordo col Pakistan che calpesta e impoverisce la regione del Belucistan

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Autobomba (LaPresse)

Davvero la sinergia tra la Cina e i Paesi dell’Asia meridionale non presenta difficoltà di alcun genere? Se è vero che la collaborazione tra Cina e Pakistan nel contesto del China-Pakistan Economic Corridor (Cpec) è un progetto di punta della Bri (Nuova Via della Seta) che collega la Cina al porto di Gwadar sull’Oceano Indiano, guardando con attenzione la cartina  geografica non dobbiamo dimenticare che Gwadar si trova nel Belucistan, la più grande provincia del Pakistan e sede di violente insurrezioni.

Ci sono un totale di 42 progetti in Cpec in più settori. Finora ne sono stati completati solo nove, tutti nel settore energetico. È vero certamente che le relazioni bilaterali sono positive, considerando che l’oligarchia militare pachistana controlla la politica estera del proprio Paese e quindi non ci possono essere mutamenti tali da inficiarne  l’autorevolezza e i privilegi. Ma è anche vero che a causa dell’inettitudine del regime di Imran Khan in Pakistan, del disaccordo sulla tabella di marcia tra i due Paesi e della fragilità politica, il Cpec ha dovuto affrontare rallentamenti significativi negli ultimi quattro anni.

Ma esiste anche un’altra minaccia forse ancora più significativa: il 26 aprile infatti sono stati uccisi tre docenti cinesi durante un attacco suicida vicino all’Istituto Confucio che si trova all’Università di Karachi. Questo attacco terroristico è stato rivendicato da un gruppo separatista e terrorista noto come Baloch Liberation Army. Un attacco sporadico? Al contrario. Infatti questo drammatico incidente non è altro che uno degli svariati attacchi contro i lavoratori cinesi da parte di questo gruppo di separatisti.

Non dobbiamo dimenticare che il Belucistan condivide un onere sproporzionato dei progetti Cpec, fornendo il 62% della terra, compresa la costa di Gwadar, ma riceve i minori benefici dall’impresa. Dei progetti da 62 miliardi di dollari, il Belucistan ottiene solo il 4,5% del budget. Al contrario, il confine orientale del Paese, relativamente sviluppato, le province del Sindh e del Punjab, ottengono le autostrade e i progetti più redditizi attraverso il Cpec.

Cosa ha a che fare tutto ciò con i separatisti? L’esistenza di una iniqua distribuzione dei benefici non sta facendo altro che alimentare disordini sociali proprio tra la popolazione del Belucistan. Questo infatti ha posto in essere una vera e propria campagna di protesta contro le politiche di sfruttamento da parte del  governo federale. Accuse infondate? Per nulla. Sui 21 miliardi di dollari di “progetti energetici prioritari”, c’è solo un progetto in Khyber Pakhtunkhwa del valore di 1,8 miliardi di dollari e due in Belucistan (del valore di 1,3 miliardi di dollari). I partiti politici del Belucistan e del Khyber-Pakhtunkhwa affermano che mentre le loro risorse vengono utilizzate, i benefici maturati vanno principalmente alle altre due province.

Nel 2018 l’Assemblea del Belucistan ha approvato una risoluzione in cui esortava il governo federale a costituire una commissione nazionale per definire “l’ingiusta distribuzione di progetti e fondi nell’ambito del Cpec”. Tuttavia questo non è servito a cambiare le  scelte del  governo federale. Ma esistono altri problemi: quando la Cina ha affittato il porto di Gwadar a una società statale cinese per 40 anni, aveva promesso che questa città portuale sarebbe diventata un’altra Singapore, cioè una Singapore del Pakistan, ma in realtà la popolazione del Belucistan accusa i cinesi di scarsità di cibo, di acqua, elettricità e questo ha indotto migliaia di persone a organizzare proteste. Ma queste proteste sono anche legate alla presenza di pescherecci illegali cinesi nelle acque vicine, che vengono visti dalle popolazioni come una minaccia per la sussistenza locale.

I problemi non sono certamente finiti: noi sappiamo che gli investimenti cinesi sono secretati e che le operazioni finanziarie cinesi sono nella maggior parte dei casi opache, escludendo di fatto i funzionari  provinciali del Belucistan dal processo decisionale. Cosa hanno fatto le autorità federali per risolvere queste problematiche? Hanno attuato una dura repressione non facendo altro che esasperare l’etnia baloch del Belucistan. A questo riguardo non sorprendono le denunce fatte da Amnesty International sul fatto che il governo federale pachistano abbia non solo represso i legittimi dissensi sociali, ma abbia addirittura attuato sparizioni forzate nei confronti di studenti, attivisti e giornalisti e più in generale difensori dei diritti umani.

Insomma  i gruppi ribelli beluci vedono il Cpec come un’impresa imperialista, vogliono cacciare gli investitori cinesi e proprio per questo i gruppi terroristici stanno aumentando gli attacchi ai lavoratori cinesi per spingerli a lasciare il Belucistan.

Queste problematiche non sono localizzate solo in Pakistan. Lo dimostra ad esempio il progetto Chico River Pump Irrigation Project (Crpip) della Bri, che si trova nella provincia di Kalinga nelle Filippine e presenta gli stessi problemi.

Un altro caso è l’Indonesia Morowali Industrial Park (Imip) che ha sfruttato le divisioni etniche tra la forza lavoro indonesiana. Insomma la Bri ha esacerbato le divisioni etniche esistenti nei Paesi ospitanti, grazie alla preferenza della Cina a trattare esclusivamente con coloro che detengono posizioni di potere. Quando si prende in considerazione la Bri bisogna  allora considerare attentamente l’impatto che questo progetto ha sull’aspetto etnico e in generale sulla società civile.

https://www.ilsussidiario.net/news/scenari-terrorismo-in-pakistan-un-imprevisto-per-la-via-della-seta-di-pechino/2352287/?fbclid=IwAR0bwYzgIWHnglzmQx4mJNGmUUcIUx4iLGjsfBaJcZspHpLutwYJYvsg0ww

Come finirà la guerra…  di gilbertdoctorow 

Come finirà la guerra…

È stata mia regola non unirmi alla stragrande maggioranza dei miei colleghi commentatori politici sulla linea di mischia in sterili dibattiti sull’unico argomento del giorno, settimana, mese che ha attirato la loro piena attenzione. I loro dibattiti sono sterili perché ignorano del tutto alcuni parametri della realtà in Russia e in Ucraina. Per loro, l’ignoranza è beatitudine. Non si muovono dalle loro poltrone né cambiano canale per ottenere informazioni dall’altra parte delle barricate, cioè dalla Russia.

Violerò questa regola fondamentale e solo per questa volta mi unirò al dibattito su come finirà l'”operazione militare speciale” della Russia. Quasi tutti i miei colleghi dei media e del mondo accademico occidentali forniscono letture basate sulla loro certezza condivisa sull’ambizione militare e politica della Russia dall’inizio dell'”operazione”, su come la Russia abbia fallito sottovalutando la resilienza e la professionalità dell’Ucraina, su come Putin deve ora salvare la faccia catturando e trattenendo una parte dell’Ucraina. L’argomento del disaccordo è se alla fine della campagna i confini torneranno allo status quo prima del 24 febbraio in cambio della neutralità ucraina o se i russi dovranno rinunciare completamente alle pretese sul Donbas e forse anche sulla Crimea.

Per quanto riguarda i commentatori nell’Unione Europea, c’è un’esagerata indignazione per la presunta aggressione russa, per ogni possibile revisione dei confini europei sanciti dall’Helsinki Act del 1975 e il successivo impegno di tutte le parti all’inviolabilità territoriale degli Stati firmatari. C’è puzza di ipocrisia da questa folla nello stesso momento in cui trascura ciò che ha fatto nella decostruzione della Jugoslavia e, in particolare, nel distacco del Kosovo dallo stato della Serbia.

Cito tutto quanto sopra come sfondo di ciò che vedo ora in corso nella vita politica russa, vale a dire una discussione aperta e vivace sull’opportunità di annettere i territori dell’Ucraina appena “liberata” dalle forze delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk con la decisiva assistenza dell’esercito russo. Per ammissione del presidente Zelensky ieri, questi territori ora rappresentano il 20% dello stato ucraino come era configurato nel 2014.

Nelle ultime settimane, quando la Russia ha concentrato i suoi uomini e il suo materiale sul Donbas e ha iniziato a ottenere vittorie decisive, in particolare in seguito alla presa di Mariupol e alla capitolazione dei combattenti nazionalisti nel complesso dell’Azovstal, importanti funzionari pubblici della DPR, la LPR e l’oblast di Kherson hanno chiesto una rapida adesione delle loro terre alla Federazione Russa con o senza referendum. A Mosca, i politici, compresi i membri della Duma, hanno chiesto lo stesso, sostenendo che il fatto compiuto potrebbe essere raggiunto già a luglio.

Tuttavia, come vedo e sento nei talk show politici e persino nei semplici reportage politici sulle radio tradizionali russe come Business FM, è emersa una controargomentazione. Quelli da questa parte si chiedono se è probabile che le popolazioni delle potenziali nuove parti costituenti della RF siano fedeli alla Russia. Chiedono se c’è davvero una maggioranza filo-russa nella popolazione in caso di organizzazione di un referendum.

Tutto questo è molto interessante. È sicuramente una continuazione del dibattito interno a Mosca nel 2014, quando fu presa la decisione di concedere alla Crimea l’ingresso immediato nella RF negando le richieste di un trattamento simile da parte dei leader politici delle oblast di Donbas.

Tuttavia, ci sono sicuramente altre considerazioni che pesano sul Cremlino che non ho visto finora andare in onda. Si possono paragonare alle considerazioni della Francia dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, quando si parlava della possibile riunificazione della Germania. Osservatori arguti dissero all’epoca che al presidente Mitterand piaceva così tanto la Germania da voler continuare a vederne due. Oggi Vladimir Putin potrebbe piacere così tanto all’Ucraina e ai suoi fratelli slavi da volerne vedere tre o quattro.

Per essere precisi, fin dall’inizio la questione numero uno per Mosca all’inizio della sua avventura militare in Ucraina è stata geopolitica: garantire che l’Ucraina non venga mai più utilizzata come piattaforma per minacciare la sicurezza dello Stato russo, che l’Ucraina non diventi mai un Membro della NATO. Possiamo tranquillamente presumere che la neutralità dell’Ucraina, garantita e controllata a livello internazionale, farà parte di qualsiasi accordo di pace. Sarebbe ben supportato da una nuova realtà sul campo; vale a dire ritagliandosi diversi mini-stati amici della Russia e dipendenti dalla Russia nell’ex territorio dell’Ucraina orientale e meridionale.

Se Kiev è obbligata a riconoscere l’indipendenza di queste due, tre o più ex oblast come richiesto dalle loro popolazioni, questa è una situazione pienamente compatibile con la Carta delle Nazioni Unite. In una parola, la decisione del Cremlino di non annettere parti dell’Ucraina al di là della Crimea, da tempo tranquillamente accettata da molti in Europa, preparerebbe la strada per un graduale ritorno delle relazioni civili all’interno dell’Europa e anche, eventualmente, con la Stati Uniti

©Gilbert Doctorow, 2022

https://gilbertdoctorow.com/2022/06/03/how-the-war-will-end/

Kissinger e la lotta per la Russia, di Timofei Bordachev

Il recente discorso di Kissinger a Davos continua ad alimentare un importante dibattito, ancora una volta per lo più negletto in Italia. Il conflitto in Ucraina viene indicato ormai un punto di svolta delle dinamiche geopolitiche successive all’implosione della Unione Sovietica. In realtà è uno dei punti di precipitazione di un processo conclamato con il discorso di Putin alla conferenza di Monaco del 2007, in realtà avviato, anche nel suo significato profondamente simbolico, con il ritorno a mezza strada in volo a Mosca dell’allora Primo Ministro di Russia Primakov al momento dello scoppio della guerra della NATO alla Serbia. Contestualmente ai numerosi tentativi di recupero di un sistema accettabile di relazioni con gli Stati Uniti e l’Europa, Putin da almeno dieci anni ha cercato alternative sino a pervenire ad una scelta ormai definitiva. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Nel caso in cui la fase acuta del conflitto in Ucraina si riveli davvero molto lunga, come pare sia il caso, allora le elementari necessità di sopravvivenza costringeranno la Russia a liberarsi di ciò che la lega all’Europa. Valdai Club Program Direttore Timofei Bordachev .

Nel caso in cui il conflitto crescente dentro e intorno all’Ucraina non porti a conseguenze irreparabili su scala globale nel prossimo futuro, il suo risultato più importante sarà una demarcazione fondamentale tra Russia ed Europa, che renderà impossibile mantenere una neutralità anche in zone insignificanti e comporterà una sostanziale riduzione dei legami commerciali ed economici. Il ripristino del controllo sul territorio dell’Ucraina, che, molto probabilmente, dovrebbe diventare un obiettivo a lungo termine della politica estera russa, risolverà il principale problema della sicurezza regionale: la presenza di una “zona grigia”, la cui gestione diventa inevitabilmente l’oggetto di un confronto pericoloso dal punto di vista della progressiva tensione. In questo senso possiamo contare su una certa stabilizzazione nel lungo periodo, anche se non si baserà sulla cooperazione tra le principali potenze regionali. Tuttavia, è già evidente che la strada per la pace sarà abbastanza lunga e sarà accompagnata da situazioni estremamente pericolose.

Nel suo discorso ai partecipanti al forum di Davos, Henry Kissinger, il patriarca della politica internazionale, ha indicato proprio tale prospettiva come la meno desiderabile dal suo punto di vista, dal momento che la Russia allora “potrebbe alienarsi completamente dall’Europa e cercare una stabile alleanza altrove”, che porterebbe all’emergere di distanze diplomatiche sulla scala conosciuta nella Guerra Fredda. A suo avviso, i colloqui di pace tra le parti sarebbe il modo più conveniente per impedirlo; ciò comporterebbe la presa in considerazione degli interessi russi. Per Kissinger, questo significa che per certi aspetti la partecipazione della Russia al “concerto” europeo è un valore incondizionato, e la perdita di questo deve essere prevenuta finché rimane qualche possibilità.

Tuttavia, con tutto il massimo apprezzamento dei meriti e della saggezza di questo statista e studioso, la logica impeccabile di Henry Kissinger deve affrontare un solo ostacolo: funziona quando l’equilibrio di potere è determinato e le relazioni tra gli stati hanno già superato la fase del conflitto militare. In questo senso, segue certamente le orme dei suoi grandi predecessori: il Cancelliere dell’Impero Austriaco Klemens von Metternich e il Segretario agli Esteri britannico visconte Castlereagh, le cui conquiste diplomatiche furono oggetto della dissertazione di dottorato di Kissinger nel 1956. Entrambi passarono alla storia proprio come gli artefici del nuovo ordine europeo, instauratosi dopo la fine dell’era napoleonica in Francia e che persistette, con piccoli aggiustamenti, per quasi un secolo nella politica internazionale.

Come i suoi grandi predecessori, Kissinger appare sulla scena mondiale in un’era in cui l’equilibrio di potere tra i giocatori più importanti è già determinato da “ferro e sangue”. Il momento del suo più grande successo è stata la prima metà degli anni ’70, un periodo di relativa stabilità. Tuttavia, non si può ignorare il fatto che la capacità degli stati di comportarsi in quel modo non era dovuta alla loro saggezza o responsabilità nei confronti delle generazioni future, ma a fattori molto più prosaici. Il primo fattore fu il completamento del “restringimento” dell’ordine che assunse le sue caratteristiche approssimative a seguito della seconda guerra mondiale. Nei successivi 25 anni (1945 – 1970), questo ordine fu “finalizzato” durante la guerra in Corea, l’intervento degli Stati Uniti in Vietnam, le azioni militari dell’URSS in Ungheria e Cecoslovacchia, diverse guerre indirette tra l’URSS e gli Stati Uniti in Medio Oriente, il completamento del processo di disintegrazione degli imperi coloniali europei, nonché un numero significativo di eventi minori, ma anche drammatici. Quindi ora sarebbe difficile aspettarsi che la diplomazia riesca a prendere il primo posto negli affari mondiali nella fase iniziale del processo, che si preannuncia molto lungo e, molto probabilmente, piuttosto sanguinoso.

La base materiale di quell’ordine, a cui la diplomazia di Kissinger, la politica di “distensione” con l’URSS e la riconciliazione del 1972 con la Cina hanno dato il suo definitivo slancio, è stata la sconfitta strategica dell’Europa a seguito di due guerre mondiali nella prima metà del 20° secolo. Il crollo degli imperi coloniali europei e la storica sconfitta della Germania nel suo tentativo di essere al centro degli affari mondiali hanno portato in primo piano gli Stati Uniti; ciò che ha permesso di rendere la politica veramente globale. Come risultato dell’autodistruzione dell’URSS, questo ordine si rivelò di breve durata. Vediamo ora che questa è stata una grande tragedia, poiché ha portato alla scomparsa dell’equilibrio di potere a favore del predominio di un solo potere.

Ora possiamo presumere che la massiccia emancipazione dell’umanità dal controllo occidentale sia di fondamentale importanza, il fattore del quale più importante è la crescita del potere economico e politico cinese. Se la stessa Cina, così come l’India e altri grandi stati al di fuori dell’Occidente, faranno fronte al compito loro affidato dalla storia, nei prossimi decenni il sistema internazionale acquisirà caratteristiche sino ad ora del tutto inusuali.

La maggior parte degli eventi significativi che si stanno verificando ora, sia a livello globale che regionale, sono legati al processo oggettivo di crescita dell’importanza della Cina e, a seguire, di altri grandi paesi asiatici. La determinazione che la Russia ha mostrato negli ultimi anni, e soprattutto mesi, è anche associata ai cambiamenti globali. Il fatto che Mosca si sia alzata così intenzionalmente per proteggere i suoi interessi e valori non era dovuto solo a ragioni interne russe, sebbene siano di grande importanza. Né si basavano sulle aspettative di assistenza materiale diretta dalla Cina, che potesse compensare le perdite durante la fase acuta del conflitto con l’Occidente.

La principale fonte esterna della fiducia in se stessi della Russia è stata una valutazione obiettiva dello stato dell’ambiente politico ed economico internazionale, in cui anche una rottura completa con l’Occidente non sarebbe mortalmente pericolosa per la Russia dal punto di vista della risoluzione dei suoi principali compiti di sviluppo. Inoltre, proprio la necessità di un riavvicinamento più attivo con altri partner, che la Russia non ha sperimentato fino a poco tempo fa, potrebbe rivelarsi un modo molto più affidabile per sopravvivere in un ambiente in evoluzione.

Questo è ciò che viene compreso negli Stati Uniti e in Europa con la massima preoccupazione. Nel caso in cui la Russia, durante gli anni dell’emergente disimpegno dall’Europa, crei un sistema comparabile di legami commerciali, economici, politici, culturali e umani nel sud e nell’est, il ritorno di questo paese nell’area occidentale diventerà tecnicamente difficile, se mai realizzabile. Finora, un tale sviluppo di eventi è ostacolato da un numero colossale di fattori, tra i quali in primo luogo c’è l’inerzia della stretta interazione con l’Europa e la presenza reciproca attiva accumulata negli ultimi 300 anni. Inoltre, è stata l’Europa l’unico partner costante della Russia dopo l’apparizione di questa potenza nell’arena della cooperazione internazionale. Tuttavia, nel caso in cui la fase acuta del conflitto in Ucraina si riveli davvero molto lunga, come, a quanto pare, è il caso, allora le esigenze elementari di sopravvivenza costringeranno la Russia a liberarsi di ciò che la lega all’Europa. Questo è esattamente ciò che chiedono quegli studiosi e personaggi pubblici russi, che in tutti i modi sottolineano la natura esistenziale dello scontro in corso ai nostri confini occidentali.

Pertanto, è la comprensione da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati che il movimento verso un nuovo ordine mondiale ha basi oggettive che sono la fonte più importante della loro lotta con la Russia.

L’inevitabile ridistribuzione di risorse e potere su scala globale non può avvenire in maniera del tutto pacifica, sebbene l’irrazionalità di una guerra offensiva tra le grandi potenze, dato il fattore di deterrenza nucleare, ci fornisca qualche speranza per la conservazione dell’umanità. Nel mezzo della lotta che sta prendendo slancio, la Russia, come l’Europa, è, nonostante le sue capacità militari, un partecipante inferiore in forza alle principali parti in guerra: Cina e Stati Uniti. Pertanto, c’è una lotta per la Russia e c’è una possibilità in diminuzione per l’Occidente di vincere, che ora Henry Kissinger sta cercando di spiegare.

https://valdaiclub.com/a/highlights/kissinger-and-the-fight-for-russia/?fbclid=IwAR3AFHvRP_rLtO6HSHEOUsoYwrN2Bpox6FuYvboTZv1GSHd4IkLY342bHzE

La voce e il ventriloquo_a cura di Giuseppe Geminario

Sarebbe un po’ improprio accostare un ventriloquo ad una “voce”, specie se la modalità di trasmissione del pensiero dovesse incappare in qualche corto circuito. Sarebbe come mettere a confronto il ronzio e il raggio operativo di un insetto fastidioso con la visione maestosa di un’aquila. Tant’è, nel baraccone mediatico del nostro “pauvre pays”, in nome del contrasto alle “fake” trovano sempre più collocazione autorevole saltimbanchi e giullari e si cerca di relegare al ruolo di giocolieri e commiserevoli le poche voci autorevoli che riescono comunque ad esprimersi. E’ altrettanto improprio associare un tweet a un testo articolato. Tant’è, il primo non ha molto di più significativo da offrire sull’argomento. Si tratta tutt’al più di cercare di ripristinare quantomeno il circuito corretto tra la voce e il ventriloquo. Buona lettura, Giuseppe Germinario

La7
@La7tv
#ottoemezzo Beppe Severgnini: “Gli Stati Uniti? Non hanno interessi nella guerra in Ucraina”

Gli interessi americani in Ucraina

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Quasi ogni volta che la Russia è stata invasa, è stata salvata dalla sua profondità strategica. La Russia non può essere veramente sconfitta senza prima aver preso Mosca, ed è una lunga strada per Mosca. Da Napoleone a Hitler, gli invasori dall’ovest dovettero cercare di raggiungere la capitale prima che arrivasse il brutale inverno, anzi, aiutò ad arrivare prima che le piogge autunnali soffocassero le strade di fango. La Russia deve quindi mantenere il punto di partenza di un attacco il più lontano possibile e utilizzare il suo esercito per ritardare il più possibile la sua avanzata.

Così è il valore strategico dell’Ucraina per la Russia. Se l’Ucraina rimane intatta e se entra a far parte della NATO, Mosca si troverebbe a meno di 480 chilometri dagli attaccanti. Molti sostengono che la NATO non abbia intenzione di invadere. Io sostengo che niente è meno affidabile delle intenzioni. I pianificatori di guerra devono pianificare le capacità, che cambiano molto più lentamente delle intenzioni. Considerazioni come i diritti delle nazioni sovrane hanno storicamente sempre passato in secondo piano rispetto alla necessità di garantire la sicurezza di una nazione.

Alcuni hanno affermato che gli Stati Uniti non hanno alcun interesse per l’Ucraina, o se lo hanno, è un interesse morale. L’argomento morale non è sufficiente nelle dure realtà della geopolitica. Penso che gli Stati Uniti abbiano un interesse nazionale fondamentale nella guerra. Gli Stati Uniti sono al sicuro dall’invasione terrestre, quindi le uniche minacce che possono sorgere provengono dagli oceani. La protezione dei mari è stata quindi la base della sicurezza nazionale degli Stati Uniti dal 1900.

La storia lo conferma. Entrò nella prima guerra mondiale dopo l’affondamento del Lusitania. L’attacco non era la base per entrare in guerra, ovviamente, ma ha portato a casa il punto che il conflitto sarebbe stato anche una guerra navale e che una guerra navale avrebbe potuto minacciare gli interessi fondamentali degli Stati Uniti. Se la Germania avesse vinto, avrebbe controllato l’Atlantico, mettendo a rischio gli Stati Uniti orientali.

La seconda guerra mondiale ha risollevato il problema. Gli Stati Uniti erano sufficientemente allarmati da accettare il Lend-Lease Act, in base al quale Washington avrebbe prestato al Regno Unito le forniture tanto necessarie in cambio dell’affitto della maggior parte delle basi britanniche vicino al Nord America a Washington. Ma in un addendum segreto, Londra concordò che se fosse stata costretta ad arrendersi alla Germania (non un’idea inverosimile all’epoca) la Marina britannica sarebbe salpata per il Nord America. Detto diversamente, l’America avrebbe aiutato, ma il suo aiuto era subordinato all’allontanamento della potenza britannica dal Nord America, nonché all’impegno, nel peggiore dei casi, a consegnare la marina britannica agli Stati Uniti.

La Guerra Fredda aveva anche una componente navale importante, anche se trascurata. Tutti i conflitti di terra che hanno avuto luogo hanno richiesto l’infusione di rifornimenti alle forze locali. I rifornimenti della NATO, ad esempio, erano stati promessi dagli Stati Uniti e l’Unione Sovietica aveva un interesse schiacciante a fermarli. In una guerra, i sottomarini sovietici sarebbero passati attraverso il varco GIUK (Groenlandia, Islanda e Regno Unito) e i bombardieri sovietici sarebbero usciti dalla penisola di Kola, colpendo basi aeree in Norvegia, mentre sparavano anche attraverso il GIUK verso convogli contenenti portaerei e enormi capacità antiaeree e antimissilistiche. Per gli Stati Uniti, la Guerra Fredda è stata tanto una guerra navale quanto una guerra di terra.

Per Washington, l’espansione sovietica in Europa era la stessa dell’espansione sovietica nell’Atlantico. Se la penisola europea fosse mai dominata da un’unica potenza in grado di consolidare le sue risorse umane e materiali, potrebbe costruire una forza navale che potrebbe minacciare il Nord America.

Per gli Stati Uniti, impedire il dominio della penisola europea da parte di una singola potenza ferma una minaccia prima che si realizzi. E questo è il punto cruciale del suo interesse in Ucraina. Tra le altre ragioni, la Russia ha invaso per limitare la minaccia rappresentata dalla NATO. Anche se la Russia soggioga l’Ucraina, c’è ancora un altro alleato della NATO a ovest. Una rapida vittoria in Ucraina ha quindi sollevato la possibilità di ulteriori movimenti militari più a ovest. La gestione della guerra da parte della Russia ha reso questo risultato più improbabile, ovviamente, ma improbabile non è la stessa cosa di impossibile.

Questo perché per un paese come la Russia c’è sicurezza a distanza. È ragionevole presumere che Mosca si spingerà il più a ovest possibile, ragionevolmente e in sicurezza. E questa è davvero una minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Fermare la Russia in Ucraina, con le truppe ucraine che combattono e gli Stati Uniti che forniscono armi mentre conducono una guerra economica parallela, è un efficace controllo dell’ambizione russa.

https://geopoliticalfutures.com/americas-interests-in-ukraine/?tpa=NmE3MWM3ODA4ZmRiMmU1MjU1YTFiMDE2NTQ3ODg5MjU5OTFkNDc&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=https://geopoliticalfutures.com/americas-interests-in-ukraine/?tpa=NmE3MWM3ODA4ZmRiMmU1MjU1YTFiMDE2NTQ3ODg5MjU5OTFkNDc&utm_content&utm_campaign=PAID%20-%20Everything%20as%20it%27s%20published

Note sulla guerra russo-ucraina, di Andrea Zhok

Note sulla guerra russo-ucraina
1) All’indomani dell’invasione, l’Europa aveva due opzioni.
Poteva accompagnare le necessarie sanzioni con una richiesta a Zelensky e Putin di avviare immediate trattative sulla base delle due istanze fondamentali del contenzioso: la neutralità dell’Ucraina e il rispetto degli accordi di Minsk. Se Zelensky non si fosse sentito coperto e garantito nella prosecuzione della guerra probabilmente la pace si poteva ottenere in una settimana.
Oppure, e questa è stata la scelta fatta, l’Europa poteva mettersi a dire che Putin era il nuovo Hitler, un pazzo, un animale, poteva mettersi a rifornire di soldi, istruttori e armamenti pesanti l’Ucraina, poteva scatenare un’ondata di russofobia imbarazzante e poteva perseverare in questa linea fino a dire (Borrell) che la guerra doveva risolversi sul campo (diplomatici che si improvvisano guerrieri con il culo degli altri).
2) Fornendo una caterva di armi all’Ucraina e senza alcuna garanzia di dove esse andassero a finire, l’Europa ha creato alle porte di casa un bacino bellico pazzesco, cui partecipa non solo l’esercito regolare, non solo milizie mercenarie, ma anche gruppi e gruppuscoli paramilitari, incontrollabili, che agiscono in modo autonomo, spesso con intenti più terroristici che militari (come il bombardamento di ieri su una scuola a Donetsk), e che non obbediranno mai ad un’eventuale pace firmata da Zelensky. Si prospetta (e questo è stato dall’inizio un desideratum americano) un conflitto duraturo, magari dopo una dichiarazione di tregua un conflitto ad intensità ridotta, che impegnerà l’esercito russo a lungo e che condurrà alla distruzione totale dell’Ucraina – almeno di quella ad oriente del Dnepr.
3) Come sempre accade, più il conflitto dura, più lutti avvengono, più gli animi si caricano di un odio irrevocabile, e più spazio ci sarà per un abbandono delle ultime remore nel condurre la guerra (la Russia ha progressivamente aumentato il peso del tipo di armamento utilizzato, l’Ucraina ha iniziato a bersagliare il territorio russo nella provincia di Belgorod). Quale sarà il limite dell’escalation lo vedremo.
4) Nel frattempo abbiamo tutti bellamente rimosso che in Ucraina, oltre a gasdotti e centrali nucleari, ci sono alcuni dei maggiori depositi di plutonio e uranio arricchito al mondo. Insomma stiamo giocando alla guerra, in progressiva escalation, in una delle aree più pericolose del pianeta quanto a possibili ripercussioni generali. E’ utile ricordare che la distanza tra l’Italia e l’Ucraina è di 1.500 km in linea d’aria, quella tra l’Ucraina e gli USA è di 7.500 km (con in mezzo un oceano).
5) Sul piano economico l’Europa si è giocata in questo modo l’accesso a fonti energetiche abbondanti e a prezzi moderati. Essendo l’Europa l’area al mondo maggiormente dedicata alla trasformazione industriale e meno dotata di risorse naturali, questo equivale ad essersi confezionati un cappio e averci messo il collo dentro. L’Europa sta supportando e alimentando una guerra alle porte di casa propria, non solo, sta facendo di tutto per farla durare a lungo e per troncare definitivamente tutti i rapporti con il resto dell’Eurasia. In sostanza, ci stiamo tagliando i ponti con quella parte del mondo rispetto a cui siamo economicamente complementari (Russia per le risorse, Cina per la manifattura di base, tutti i BRICS come il più grande mercato al mondo). Al tempo stesso ci stiamo subordinando di nuovo e senza alternative ad un competitore primario con cui siamo in diretta concorrenza sul piano industriale, ma che, a differenza dell’Europa, è energeticamente autonomo.
6) Arrivati a questo punto, la Russia non ha più un interesse primario a pervenire ad una pace rapida. Sul piano economico sta sì pagando un costo, ma sul piano strategico sta diventando il punto di riferimento mondiale per una “rivincita” di quella maggioritaria parte del mondo che si sente da decenni bullizzata dallo strapotere americano. Questa vittoria strategica consente alla Russia di coltivare una sostanziale alleanza con la Cina, un’alleanza assolutamente invincibile e inscalfibile da qualunque punto di vista: territoriale, demografico, economico e militare.
7) L’Europa, invece, si è scavata la fossa. Se i governi europei non riescono in qualche modo (e a questo punto comunque con gravi costi) a riallacciare i rapporti con la rimanente parte dell’Eurasia, il suo destino è segnato.
I due secoli di ascesa sul piano mondiale avviati all’inizio del XIX secolo si avviano ad un’ingloriosa conclusione. Già a partire dall’autunno cominceremo ad avere la prime avvisaglie di quella che si prospetta come una nuova durevole contrazione economica, una contrazione che, coinvolgendo en bloc i paesi europei, avrà caratteristiche finora inaudite, molto più pesanti della crisi del 2008, perché qui non ci saranno “garanzie di affidabilità finanziaria” che tengano.
Guardando in faccia oggi i Draghi, i Macron, gli Scholz, e i loro puntelli parlamentari (in Italia quasi l’intero arco parlamentare), l’unica domanda che rimane è: qualcuno pagherà?
Chi pagherà per l’operazione più autodistruttiva sul continente europeo dalla seconda guerra mondiale? Pagheranno i giornalisti a gettone che hanno fomentato la narrativa propagandistica funzionale ad alimentare la guerra? Pagheranno i politici che hanno sostenuto attivamente la guerra o che si sono genuflessi ai diktat del presidente del Consiglio?
Oppure di fronte ai nuovi disoccupati e ai nuovi working poors riusciranno ancora una volta nel gioco di prestigio di spiegare che non c’era alternativa?
NB_Tratto da facebook

Il Kazakistan mantiene le sue opzioni aperte, ma non troppo_di Ekaterina Zolotova

Oggi presentiamo due articoli, rispettivamente di oneworld.press nel testo precedente e di geopoliticalfutures, qui sotto, incentrati praticamente sulla stessa area geografica. Uno spazio strategico a suo tempo pienamente integrato nella ex Unione Sovietica ed ora rimasto sotto la sfera di influenza russa, non più però in maniera univoca. Il Kazakistan fa parte di questa area in una posizione privilegiata; è un immenso paese, poco popolato, strategicamente importante come crocevia nelle comunicazioni, come detentore di importanti materie prime, come punto di incontro delle dinamiche geopolitiche della Russia, della Cina, dell’area turcomanna, quindi della Turchia. Dispone di una classe dirigente in grado di districarsi con una certa autonomia all’interno di queste dinamiche. Koribko parla di una “grande strategia” della Russia tesa alla creazione di un ordine internazionale genuino basato sul rispetto della Carta dell’ONU. La realtà è invece più modesta e circoscritta, tesa a recuperare almeno in parte il sistema di relazioni vigente ai tempi dell’URSS. Le novità sono piuttosto altre: è un progetto che si interseca con altri a carattere sia economico che politico-militare in una sorta di cerchi concentrici ed intersecantisi; gli attori protagonisti sono almeno tre (Russia, Turchia e Cina) con il quarto (Stati Uniti) appena defilato; si può parlare di sistema di relazioni ancora relativamente instabili, tipiche di una fase multipolare ancora in divenire; le dinamiche geoeconomiche assumono un ruolo peculiare e ancora relativamente autonomo rispetto a quelle geopolitiche. Il testo di Geopolitical Futures mantiene certamente un tono più prudente e attendista. Buona Lettura, Giuseppe Germinario

Il Kazakistan mantiene le sue opzioni aperte, ma non troppo

Mosca non è poi così preoccupata per un fondamentale riorientamento politico rispetto al suo vicino.

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L’invasione russa dell’Ucraina ha mostrato al mondo fino a che punto Mosca si sarebbe spinta per proteggere i suoi interessi. E mentre la guerra infuria, molti si chiedono se altri punti importanti lungo la periferia della Russia, tra cui Georgia, Bielorussia o il Caucaso meridionale, potrebbero essere i prossimi. Forse nessun luogo è più preoccupante dell’Asia centrale, che separa la Russia dalla Cina e dall’Iran e la isola dall’instabilità proveniente dall’Afghanistan. Questi paesi sono inondati di risorse naturali che la Russia può sfruttare, si trovano lungo importanti rotte commerciali verso il Medio Oriente e l’Europa e sono una fonte affidabile di lavoro per i posti di lavoro russi.

Il Kazakistan è il paese più importante dell’Asia centrale. Vanta l’economia più sviluppata e più grande della regione, già strettamente integrata con quella russa attraverso la Comunità degli Stati Indipendenti e l’Unione Economica Eurasiatica. Ha un unico spazio doganale con la Russia, è membro dell’Organizzazione del Trattato sulla sicurezza collettiva e in generale dipende più dalla Russia come partner commerciale e di investimento rispetto ad altri paesi. Il Kazakistan condivide il confine terrestre più lungo con la Russia e ospita quindi un’ampia minoranza di etnia russa, che costituisce quasi il 20% della popolazione.

Per questi motivi, il Kazakistan è stato storicamente considerato un partner russo affidabile. Ma ultimamente non è stato così. Il governo di Nur-Sultan si è espresso nella migliore delle ipotesi in modo ambiguo su questioni su cui il Cremlino si aspettava una sorta di sostegno se non addirittura unità. Ad esempio, il Kazakistan ha dichiarato la sua neutralità sulla guerra in Ucraina e ha consentito proteste a sostegno dell’Ucraina. Ha iniziato a considerare la rotta di trasporto transcaspica, che aggira la Russia, per le merci dalla Cina all’Europa. Funzionari del governo stanno tenendo colloqui economici con i rappresentanti occidentali e stanno dialogando con le forze statunitensi che promettono protezione dalle sanzioni anti-russe (anche se il Kazakistan ha affermato che non aiuterebbe Mosca a bypassare quelle stesse sanzioni per paura di scontrarsi con loro).

Ciò solleva una domanda importante: questa è solo un’assicurazione a breve termine o il Kazakistan si sta allontanando dalla Russia?

Mezzo pivot

In particolare, il perno dalla Russia è iniziato molto prima dell’invasione dell’Ucraina. Il Kazakistan ha privilegiato la neutralità e una politica estera multiforme sin da quando ha ottenuto l’indipendenza dall’Unione Sovietica, anche se, come tutti gli ex satelliti sovietici, aveva legami economici, politici e culturali esistenti che non poteva permettersi di tagliare. Ma negli ultimi decenni, il Kazakistan ha compiuto progressi significativi nella ricostruzione della sua economia, nell’accelerazione della crescita del prodotto interno lordo e nella diversificazione dei legami commerciali ed economici con partner in tutto il mondo, anche aderendo a organizzazioni come l’Organizzazione mondiale del commercio. Si sta anche allontanando dalla cultura politica del suo fondatore: Nursultan Nazarbayev, che fino a poco tempo fa era l’unico presidente che il paese avesse mai avuto, era in gran parte un prodotto del sistema sovietico ed esercitava il controllo dall’alto dello stato – in un certo senso che promuove l’indipendenza e sottolinea l’identità nazionale.

L’economia del Kazakistan è ancora strettamente integrata con quella russa, ovviamente, quindi Mosca la vede ancora come un’entità instabile e dipendente. Ma pochi altri condividono questo punto di vista. La maggior parte dei paesi vede il Kazakistan come un attore indipendente e partecipante al commercio internazionale, un paese in via di sviluppo dinamico con notevoli risorse naturali che tuttavia rimane nella sfera di influenza della Russia. Ma con l’economia russa allo sbando, i paesi ora vedono il Kazakistan come qualcosa che potrebbe essere strappato dalle grinfie della Russia.

I migliori partner commerciali del Kazakistan | 2021
(clicca per ingrandire)

Le sanzioni russe aiutano anche il Kazakistan in questo senso. La pandemia di COVID-19 ha contratto l’economia kazaka, che è alla ricerca di modi per mantenere la stabilità, favorire la crescita economica e limitare la sua esposizione alla Russia. A tal fine, le società kazake che in precedenza spedivano merci in Europa attraverso la Russia stanno cercando corridoi alternativi come la suddetta rotta commerciale transcaspica. E l’attenzione al Kazakistan prestata da altri paesi , in particolare quelli occidentali abbastanza ricchi da aiutare il Kazakistan a diversificare, sta mettendo pressione anche sulla Russia.

Opzioni di pesatura

Se è vero che l’invasione russa dell’Ucraina ha reso il Kazakistan particolarmente nervoso, data la sua numerosa popolazione russa e i rischi punitivi degli scambi commerciali con la Russia, ci sono molte ragioni per cui Nur-Sultan vuole tenere Mosca vicina, almeno a breve termine .

Per quanto riguarda la sicurezza, ha ancora bisogno di buoni legami con il suo vicino molto più forte. Nonostante il relativo successo economico, il Kazakistan è stato a lungo un paese politicamente instabile. I disordini di gennaio , ad esempio, sono stati tenuti a bada in gran parte grazie alla CSTO filorussa. Inoltre, condivide un confine con paesi molto più instabili la cui volatilità potrebbe diffondersi in Kazakistan e condivide un enorme confine con la Russia. A differenza dell’Ucraina, la NATO non ha una presenza reale nelle vicinanze e sarebbe più difficile sostenere il Kazakistan e reagire ai problemi lì.

Opinioni kazake sul conflitto ucraino
(clicca per ingrandire)

Economicamente, il Kazakistan è molto più dipendente dal commercio e dagli investimenti russi di quanto non lo sia l’Ucraina e fa affidamento su di esso per beni come il grano a buon mercato. Questo grazie alla sua vicinanza geografica e alla sua appartenenza all’Unione economica eurasiatica, dalla quale non ha fretta di andarsene. E sebbene il Kazakistan stia cercando di ridurre la sua dipendenza dal commercio russo, non è particolarmente interessato ad andare all-in con un paese come la Cina che potrebbe essere il suo principale acquirente di materie prime e potrebbe quindi dettare i prezzi. I paesi più lontani sono semplicemente una scommessa più sicura.

Tuttavia, la geografia e la distanza sono in alcuni casi ostacoli da superare, esacerbati dall’incapacità del Kazakistan di gestire i processi di trasporto. Qui è dove la Russia ha il vantaggio. Non solo la Russia confina con il Kazakistan, ma l’EAEU è la via principale per l’esportazione di merci kazake, in particolare petrolio, attraverso ferrovie e oleodotti in territorio russo che collegano il Kazakistan con il Mar Nero e l’Unione Europea. La diversificazione non è solo una questione di denaro; il conflitto tra Armenia e Azerbaigian e il fatto che Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan utilizzino tutti i propri standard, rendono difficile lo svolgimento del commercio in Asia centrale.

Demograficamente, i russi etnici in Kazakistan di solito non si considerano kazaki. E con più russi che fuggono dalla Russia, è probabile che le enclavi di espatriati russi crescano. In effetti, gli ex satelliti sovietici sono considerati buoni posti in cui vivere per molti russi a causa delle loro somiglianze linguistiche e culturali, con il Kazakistan che sta diventando una delle destinazioni più popolari per coloro che lavorano con aziende straniere. I russi portano con sé competenze e servizi e, cosa importante, la domanda di beni e servizi locali kazaki.

Dal punto di vista di Mosca, il recente comportamento del Kazakistan non è la minaccia dell’Ucraina semplicemente perché la diversificazione economica non significa necessariamente che si stia avvicinando all’Occidente. Tutti gli incontri nel mondo non cambiano il fatto che le opportunità di finanziamento e di investimento da USA e UE sono limitate; ci sono altri candidati redditizi, e nessuno dei due è troppo desideroso di ripristinare le infrastrutture di trasporto in un luogo in cui la Russia è ancora attiva e influente. Invece, il Kazakistan è ansioso di stabilire legami più stretti con Cina, Turchia e Iran e di espandersi ulteriormente nel mercato asiatico, il che potrebbe effettivamente avvantaggiare Mosca se il Kazakistan fosse un hub di transito neutrale con buone relazioni con la maggior parte delle potenze mondiali. Anche così, la Russia comprende che ha bisogno di mantenere l’economia kazaka in fermento in modo che non abbia un governo instabile al suo confine.

I funzionari in Kazakistan stanno valutando le loro opzioni, ma alla fine si rendono conto che non possono rimproverare del tutto la Russia. Il suo comportamento recente è semplicemente una tattica a breve termine intesa a mantenere l’economia sul punto. Il Kazakistan continuerà a cercare di essere amico di chiunque potrà, per quanto con cautela.

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