Italia e il mondo

Tre nuove risposte_di WS

Giorni fa l’ amico Fernando ha commentato alla mie “ tre risposte” con altre 3 domande che ho visto solo oggi e che richiedono altre 3 articolate risposte che darò qui.

Quesito 1)

Sarebbe secondo te lecito pensare che le attività da ovest via europa/ e da sud via Israele ( mettiamoci pure le crisi isteriche delle zitelle scandinave a nord), messe in opera dagli anglosassoni, siano propedeutiche ad un affondo da attuarsi a tempo debito (contando come dici tu sul fatto che la “fascinazione” in Russia potrebbe rocambolescamente ritornare presto e divenire irresistibile come il canto delle sirene) allorché verrà meno “l’ insostituibile”?

Risposta:

Che la Nato -€uropa cerchi sempre più lo scontro DIRETTO è evidente e le motivazioni possono essere varie dalla “ disperazione strategica “ ad un “bluff” per tenere legati gli U$A ad una guerra ormai posta da Trump tutta sulle €urospalle.

Ma non si può escludere anche una abile strategia U$A per frantumare una Russia che LORO sanno essere ancora frantumabile , magari dopo una mirata eliminazione di Putin-

Io però tenderei ad escludere questa evenienza perché non credo che LORO abbiano un completo controllo della realtà russa , cioè non possano controllare come la cosa evolverebbe e chi poi prendesse in mano la “valigetta nucleare”.

Ma nemmeno mi sento di escluderlo completamente perché nessuno conosce il LORO livello di “ disperazione strategica “


Quesito 2)

è possibile che anche Putin sia nella posizione di colui che sta cercando di recuperare ad un errore, nella fattispecie un certo ritardo di “preparazione” e di ambizione nel gran gioco delle grandi potenze, che ora avrebbe esposto la Russia ad un forte rischio di “dissipatio” a favore dell’uno o dell’ altro pesce grosso?

Rosposta :

Certo , anche i “piani” di Putin sono falliti perché le cose stanno andando esattamente come aveva detto il “profeta” Zirinovski e la Russia non è in una condizione strategica “buona”.

La Nato-ucraina “ regge”, la Nato-€uropa si sta “ ucrainizzando” a tappe forzate e lo scontro DIRETTO e sempre più inevitabile e vicino.

Ha sbagliato Putin? Avrebbe dovuto essere da subito più assertivo come diceva Zirinovski in TV ?

Tutto questo è troppo semplicistico , governare è molto più complesso che discettare di geopolitica e anche Putin aveva solide ragioni per fare quello che ha fatto.

Ed io , considerando l’ ampiezza e la profondità de l’ attacco “ occidentale” sviluppato contro la Russia , non credo che potesse essere risolto alla “Zirinovski”. Anzi è proprio la formazione mentale da “ judoka” di Putin che gli ha evitato di cadere in “ sgambetti” così tanto ben preparati.


Quesito 3 : al momento del passaggio dallo stato “Put-in” allo stato “Put-out”, quale potrebbe essere, se c’e, il vantaggio degli occidentali rispetto alla Cina (quale potrebbe essere un lato vulnerabile della Cina, che la confinerebbe all’inazione?)?

Risposta:

Non c’ è nessun vantaggio occidentale se non nella tecnologia della raccolta e manipolazione delle informazioni . E anche questo è un vantaggio che sta scemando : Gli U$A sono in “ disperazione strategica” esattamente come lo era la GB nel 1914 è ha la sola speranza in un “incendio mondiale” da cui rimanere “ separato da due oceani”.

E la Cina è il “convitato di pietra” di questa WW come lo erano gli USA nel 1914.

La differenza però è negli scopi. Al contrario dalla elite USA del 1914 l’ elite cinese non ha alcuna voglia di “partecipare alla festa” , e l’ elite cinese sa benissimo dove LORO vogliono andare “passando per la Russia”, e quindi farà di tutto affinché questo stallo prosegua perché la Cina non ha alcun interesse a che le cose precipitino ne verso la guerra totale che invocano gli €uroburattini , ne verso “l’ appeasement” con “l’ occidente” che sostanzialmente ancora la Russia ricerca.

Daltronde , come ho già spiegato, “l’ appeasement” non ci potrà mai essere senza una rivolta ne l’ €urogregge inviato comunque al “macello”, ma questa “ rivolta” è praticamente impossibile ; le “nostre” elites ci “ucraizzeranno” e lo faranno in tempi molto più corti di quanto anchio potevo sperare ancora un anno fa.

Quindi si tratta solo di prolungare lo stallo più a lungo possibile in attesa di un qualche “evento miracoloso”.

Lo sa Putin , lo sa Xi e dobbiamo saperlo anche noi che stiamo “ come d’ autunno sugli alberi le foglie”.

Ma rispondendo al senso ultimo della tua domanda io credo che la Cina tenterà di smorzare sempre ogni provocazione ( vedi l’ affare Tiktok ) e quindi non farà nulla per essere coinvolta nel conflitto , ma reagirà con violenza quando riterrà la minaccia non aggirabile diversamente.

Il grande panico europeo e il sinistro accumulo di attacchi venezuelani da parte degli Stati Uniti+Trump sconvolge il mondo sull’Ucraina, di Simplicius

Il grande panico europeo dei droni, + il sinistro accumulo di attacchi venezuelani da parte degli Stati UnitiSimplicius 24 settembre 
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Sembra che l’Euro-cabala abbia puntato tutto sulla Grande Paura dei Droni come unica speranza attuale per catturare l’attenzione dei media e attutire il colpo delle incessanti avanzate russe sul fronte. Come se la smentita incursione polacca non fosse abbastanza grave, ora gli sventurati europei sono stati sottoposti a una simultanea paura dei droni su diverse città europee, tra cui Copenaghen in Danimarca, Malmö e Lund in Svezia, e persino Oslo in Norvegia.

https://www.nytimes.com/2025/09/22/world/europe/copenhagen-oslo-airport-closed-drone.html

Un rapporto separato tenta di attribuire la colpa alle petroliere russe della temuta “flotta ombra”:

Si sospetta che tre imbarcazioni collegate alla Russia abbiano lanciato droni verso l’aeroporto di Copenaghen, riporta il canale statale danese TV 2.

▪️La nave cargo russa sanzionata ASTROL-1 ha attraversato lo stretto di Øresund lunedì e ha effettuato diverse manovre irregolari.

▪️La petroliera PUSHRA, battente bandiera del Benin e sanzionata per il trasporto di petrolio russo, è stata monitorata per 4 ore da una nave tedesca della NATO e i suoi movimenti sono stati considerati sospetti.

▪️La nave cargo norvegese OSLO CARRIER 3 si trovava a 7 km dall’aeroporto di Copenaghen quando i droni erano in volo. L’equipaggio della nave è russo e il proprietario ha uffici a Kaliningrad.

Ufficialmente, le autorità danesi dichiarano di non avere ancora informazioni su chi avrebbe potuto controllare i droni.

Informatore militare

A proposito, va anche notato quanto sia diventata clamorosa la bufala della flotta ombra, con nuove affermazioni che suggeriscono che la temuta “flotta ombra” russa crescerà, a quanto pare, fino a comprendere l’intera marina mercantile mondiale:

Direttamente dall’ultimo articolo del NYT :

Fornisce una visione affascinante del funzionamento della macchina della propaganda, coordinata e senza soluzione di continuità.

Per prima cosa viene messa in atto la falsa provocazione, raramente supportata da prove, poi vengono chiamati in causa i leader dei paesi NATO più compromessi per rilasciare dichiarazioni minacciose, allo scopo di alzare la temperatura e provocare ulteriormente dichiarazioni o risposte russe che possono essere interpretate come “minacciose”.

Infine, ai media mainstream viene dato l’ordine di forzare ulteriori dichiarazioni provocatorie attraverso domande-esca formulate con cura; l’ultimo esempio di ciò si è verificato alla riunione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, dove i fanatici dei media mainstream hanno continuato la loro operazione psicologica tempestando Trump di domande come: “Sosterrai l’abbattimento degli aerei russi da parte della NATO?”. Tra tutti i possibili problemi sociali ed economici che attualmente devastano gli Stati Uniti, i giornalisti “comprati e pagati” si preoccupano solo di intrappolare Trump con una retorica carica e asinina solo per estorcergli il loro piccolo e necessario trafiletto propagandistico, che può essere sbattuto su tutti i titoli di domani come spunto per un altro giorno di agitprop che semina paura. È una propaganda ben oliata, a questo punto quasi autonoma, un trasportatore di propaganda in cui ogni piccolo ingranaggio conosce il proprio preciso ruolo e lo svolge senza pensarci due volte, senza il minimo accenno di consapevolezza o obiezione.

Ma mentre Trump stesso usa il palcoscenico delle Nazioni Unite per fare da scenografo e moralizzatore contro la Russia, sta segretamente creando una forza allarmante al largo delle coste venezuelane, di cui vale la pena parlare.

Ciò che è iniziato come un apparente attacco contro “terroristi e trafficanti di droga venezuelani” si è lentamente trasformato in quella che sembra un’operazione di decapitazione pianificata contro Maduro.

Trump ha inviato 10 NAVI DA GUERRA vicino al Venezuela, quasi il 13% della flotta schierata

Un cacciatorpediniere della classe Arleigh Burke della Marina statunitense, l’USS Stockdale (DDG-106), ha attraversato il Canale di Panama.

Si tratta del quarto cacciatorpediniere della sua classe schierato nei Caraibi nelle ultime settimane.

Allo stesso tempo, Washington sta attivamente restaurando la sua vecchia base a Porto Rico e ha portato con sé unità del Corpo dei Marines, droni, mezzi navali e persino una nave collegata alle forze delle operazioni speciali.

Trump non solo sta spostando importanti risorse navali a Porto Rico e nelle aree limitrofe, ma ci sono anche inquietanti notizie secondo cui è arrivata una rara nave delle forze speciali, specializzata proprio nel tipo di incursioni che potrebbero cercare di destabilizzare o rovesciare il governo Maduro.

Da Slavyangrad:

Esiste una nave madre segreta delle forze speciali statunitensi che opera nei Caraibi?

Le nuove immagini satellitari sollevano interrogativi.

L’analisi delle immagini di Sentinel 2 del 20 settembre 2025 mostra una nave con una sovrastruttura anteriore e posteriore molto particolare, quasi identica alla MV Ocean Trader, una nave dello US Special Operations Command che opera a sud-ovest di St. Kitts.

La MV Ocean Trader è una risorsa affascinante. Trasformata da una nave commerciale Ro-Ro, funge da base operativa avanzata clandestina, in grado di varare piccole imbarcazioni e supportare squadre delle forze speciali, mimetizzandosi nel traffico marittimo commerciale.

La MV Ocean Trader è una nave unica nel suo genere, progettata per nascondersi in bella vista (spesso operando in modalità AIS in incognito e sotto copertura commerciale, a volte battendo false bandiere) e in grado di lanciare droni, elicotteri, imbarcazioni e SEAL.

Questo avvistamento, se confermato, rappresenta un passo significativo. L’ultima volta che ho avvistato la MV Ocean Trader è stato in Medio Oriente (NSA Bahrain, 23 maggio 2025).

Si adatterebbe al modus operandi di Trump: ha un’elevata tolleranza al rischio e dà il via libera a ogni operazione delle forze speciali che gli viene sottoposta. Nel frattempo, abbiamo la Polonia che fa impazzire i droni esca economici e i Paesi baltici che si lamentano dei jet russi che sorvolano lo spazio aereo internazionale. Nel frattempo, gli Stati Uniti giustiziano persone in acque internazionali e probabilmente conducono operazioni in Venezuela, poi c’è Israele che bombarda un alleato degli Stati Uniti e altri 5 Paesi.

Altri rapporti non confermati affermano che gli Stati Uniti hanno addirittura trasportato sistemi Patriot dal Qatar a Porto Rico:

Se fosse vero, ciò sarebbe significativo, poiché le varie navi da guerra del regime dispongono di potenti sistemi di difesa aerea AEGIS per contrastare la maggior parte delle minacce. La potenziale necessità di ulteriori batterie di Patriot potrebbe indicare che i pianificatori militari statunitensi temono gravi ritorsioni da parte del Venezuela per qualsiasi piano che stanno tramando in modo subdolo.

Anche il New York Times, nel suo ultimo articolo, ha dichiarato che l’aumento delle pressioni da parte degli Stati Uniti segnala chiaramente una “campagna più ampia” contro Maduro, un eufemismo neocon per “cambio di regime cinetico”:

https://archive.ph/KDeCK

Il NYT conferma l’impiego delle forze speciali che potrebbero essere utilizzate in un’operazione segreta per deporre Maduro:

La forza di 4.500 uomini attualmente a bordo di otto navi da guerra è troppo piccola per invadere il Venezuela o qualsiasi altro paese che offra rifugio ai trafficanti. E non sta operando nel principale specchio d’acqua per condurre una massiccia campagna di interdizione della droga. Questo sarebbe l’Oceano Pacifico orientale, affermano gli esperti regionali. Il dispiegamento clandestino di forze speciali d’élite suggerisce che potrebbero essere in programma attacchi o incursioni di commando all’interno del Venezuela stesso, osservano gli esperti.

L’ammiraglio Stavridis ha ulteriormente spiegato questa realtà:

“L’imponente flottiglia navale al largo delle coste del Venezuela e lo spostamento dei caccia F-35 di quinta generazione verso Porto Rico hanno poco a che fare con l’effettiva lotta alla droga : rappresentano un eccesso operativo”, ha affermato l’ammiraglio James G. Stavridis, ex capo del Comando meridionale del Pentagono.

“Piuttosto, sono un chiaro segnale a Nicolás Maduro che questa amministrazione sta seriamente prendendo in considerazione l’idea di ottenere un cambiamento di regime o di comportamento da Caracas”, ha affermato l’ammiraglio Stavridis. “La diplomazia delle cannoniere è tornata, e potrebbe funzionare”.

Dopo aver fatto un resoconto della grande flotta che sta navigando nella regione, il NYT conclude con il seguente promemoria:

Gli storici militari sottolineano altre condizioni provocatorie che precedettero importanti episodi militari americani nella seconda metà del XX secolo.

Nel dicembre 1989, l’amministrazione del presidente George H.W. Bush inviò più di 20.000 soldati americani a invadere Panama e ad arrestare il suo leader, Manuel Noriega, incriminato negli Stati Uniti per traffico di droga. Noriega fu condannato nel 1992 e morì a Panama City nel 2017.

Da parte sua, Trump sembra aver preso in giro il Venezuela dopo aver distrutto diverse imbarcazioni civili in omicidi extragiudiziali con droni:

Ascoltate attentamente ciò che dice, poiché sembra offrire un indizio sulla sua strategia: “Non troverete più nemmeno pescherecci o navi da crociera nelle acque venezuelane”, si vanta Trump. Invece di deporre direttamente Maduro, Trump potrebbe cercare di destabilizzare e far crollare la sua economia, il tutto seminando paura nella popolazione per fomentare tensioni che potrebbero essere sfruttate per deporre Maduro dall’interno attraverso altri “meccanismi” pianificati in modo più sottile.

Inoltre, la speranza più probabile e immediata è quella di provocare il Venezuela, inducendolo in qualche modo a fornire all’esercito statunitense una “ragione” per lanciare attacchi che potrebbero essere spacciati per giustificati. Dopotutto, se si schiera un’armata al largo delle coste di una nazione sovrana, si massacrano i suoi pescherecci civili con i droni Reaper, si distrugge la sua economia dove “nessuna nave da pesca o nave da crociera” osa operare – come si è vantato Trump – allora non si lascia altra scelta alla nazione in difesa se non quella di tentare di difendersi, che è esattamente la trappola che gli Stati Uniti vogliono tendere. Il Venezuela potrebbe inviare navi o altri aerei come forza deterrente e verrà progettato un “incidente” che darà al cane rabbioso Hegseth e soci tutte le giustificazioni di cui hanno bisogno.

Per un presidente così amante della pace, le ultime aperture di Trump alla guerra nei confronti sia del Venezuela che dell’Afghanistan sollevano certamente alcuni importanti interrogativi.

Da parte sua, Maduro ha lanciato diverse esercitazioni militari e di milizia come dimostrazione di forza e deterrenza:

Il venezuelano Maduro lancia esercitazioni militari nei Caraibi, in risposta alle azioni “OSTILI” di Trump. 2.500 soldati e 12 navi schierate nell’operazione “Sovereign Caribbean 200”. Raffiche di fuoco antiaereo e paracadutisti lanciati sull’isola di La Orchila, sede di una base militare.

Ma questo, ovviamente, fa tutto parte del piano. Come affermato in precedenza, i falchi della guerra degli Stati Uniti stanno cercando il Venezuela per “dare loro una ragione”, e questo rumore di sciabole non farà che aumentare le probabilità di un “incidente” che diventerà un casus belli per gli Stati Uniti, che sono in preda alla rabbia.

Altri Paesi al posto del Venezuela non possono far altro che armarsi e prepararsi per “il loro turno”. L’Iran sta facendo proprio questo. Una recente dichiarazione dell’alto parlamentare iraniano Abolfazl Zohrevand, che si dice sia anche membro della Commissione per la Sicurezza Nazionale dell’Iran, ci fornisce finalmente un po’ di chiarezza sul tema, ampiamente offuscato, delle spedizioni di armi russe all’Iran. Per tutto quest’anno, i siti di informazione sono stati inondati da vari resoconti fasulli sulla questione, ora per una volta abbiamo qualcosa di ufficiale:

I MiG-29 sono arrivati ​​in Iran, i Su-35 sono in arrivo in numero significativo, gli HQ-9 stanno arrivando in grandi quantità e gli S-400 sono già stati consegnati, annuncia Abolfazl Zohrevand, membro della Commissione per la sicurezza nazionale dell’Iran.

I nemici capiscono solo il linguaggio del potere: ora lasciali fare quello che vogliono

Abolfazl Zohrevand, membro della Commissione per la sicurezza nazionale dell’Iran, in un’intervista rilasciata questa settimana al Tahririeh Studies Institute.

La traduzione AI del video sopra è approssimativa, ma qui TASS conferma le sue affermazioni :

TEHERAN, 23 settembre. /TASS/. Un lotto di caccia MiG-29 di fabbricazione russa è arrivato in Iran, e anche i caccia Su-35 stanno gradualmente arrivando, ha affermato Abolfazl Zohravand, membro della Commissione per la sicurezza nazionale e la politica estera del parlamento iraniano.

“I MiG-29 di fabbricazione russa sono arrivati ​​in Iran come soluzione a breve termine e attualmente si trovano a Shiraz. I caccia Su-35 stanno gradualmente arrivando per una soluzione a lungo termine”, ha affermato il portale Didban Iran.

Per quanto riguarda l’S-400, la situazione rimane vaga. Alcune interpretazioni ritengono che abbia detto che è già stato consegnato, mentre altre affermano che è in “procinto” di essere consegnato, il che potrebbe essere solo un modo contorto per dire che non è ancora pronto, come accade ormai da oltre un decennio.


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Trump sconvolge il mondo con la radicale inversione di tendenza ucraina (…o ci ha ingannati tutti?)

Simplicio24 settembre∙Pagato
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Mentre scrivevo il precedente articolo, Trump aveva twittato qualcosa che aveva quasi “spaccato internet”, almeno per quanto riguarda la parte politica russo-ucraina. Ho pensato che sarebbe stato più opportuno scrivere un breve articolo separato sulla questione, dato che mi era sembrato subito ovvio cosa stesse succedendo e non richiedeva ulteriori riflessioni.

Sì, il vecchio Don Devious ha scioccato il mondo con una nuova “inversione di rotta” sull’Ucraina, come espresso nella sua ultima diatriba sotto forma di tweet. In essa, Donald cambia improvvisamente rotta per sostenere pienamente l’Ucraina che combatte e riprende tutto il suo territorio dalla Russia ai confini del 1991 e anche oltre , lasciando intendere che l’Ucraina potrebbe persino marciare su Mosca , forse prendendo spunto dall’ultimomomento di illuminazione di Yushchenko .

Alcuni vedono addirittura questo come una sorta di importante dichiarazione di guerra contro la Russia e la prova che gli Stati Uniti ora canalizzeranno ogni arma immaginabile e faranno tutto ciò che è in loro potere per “sconfiggere” la Russia in questa madre di tutte le guerre per procura.

Senza ulteriori indugi, ecco la scandalosa tirata in questione:

Ha scatenato una valanga di digrignanti “te l’avevo detto”, esborsi di premi “ci sono cascato di nuovo” e altre critiche “ti ho beccato” dall’angolo dei pessimisti che considerano il tweet decisivo come la trionfale rivendicazione della loro narrativa di lunga data secondo cui Trump avrebbe finito per intensificare le sue azioni e dichiarare guerra alla Russia.

Ma, essendo sempre un bastian contrario, non posso che dissentire da questa opinione, poiché se si legge tra le righe ci sono chiari segnali che sta succedendo qualcosa di completamente diverso.

I miei pensieri:

Lo sfogo di Trump mostra chiari segni di un leggero trolling, mescolato a esasperazione e a una sorta di recitazione che cerca essenzialmente di scaricare la guerra sull’Europa e sulla NATO in un modo che lo fa apparire nobilmente come un giocatore di squadra e un fervente sostenitore. Se si legge attentamente tra le righe, si inizia a percepire l’odore del sarcasmo sdolcinato: “Sì, avevate proprio ragione! Come ho potuto non accorgermene? L’Ucraina è molto più forte di quanto pensassi, e non solo può riprendersi TUTTO il suo territorio, ma può persino arrivare fino a Mosca!”

Questa sembra essere una forma avanzata di trolling. E il fatto che Trump affermi categoricamente “con il sostegno dell’Europa e della NATO” – anziché degli Stati Uniti – significa che se ne sta lavando le mani del conflitto. Le piccole frecciatine contro la Russia sono solo il suo modo di esprimere la sua delusione nei confronti di Putin per non averlo adulato e non avergli consegnato quel facile Premio Nobel per la Pace su un piatto d’oro.

Abbiamo visto di recente che Trump aveva già superato in astuzia l’Europa costringendola a un approccio “o si fa avanti o si zittisce”: questa non è altro che la logica continuazione e conclusione di quella commedia. Qui si tira fuori dalla guerra esagerando la sua lealtà alle direttive dell’establishment: è una performance, e anche buona, considerando quante persone ci sono cadute.

Un indizio importante per il teatro è stata la sua piccola foto con Macron sui media, in cui Trump ha raccontato il suo tweet di successo aggiungendo un po’ di brio beffardo nel suo stile caratteristico, quando ha detto a Macron non solo che “Ho sentito che la Francia sta andando molto bene”, ma anche che “siamo andati d’accordo su quasi tutto l’immaginabile”:

Chiunque non riconosca il classico gioco di provocazione di Trump, probabilmente non ha ben compreso il suo caratteristico “stile”. Il rapporto tra Trump e Macron è praticamente famoso per i suoi disaccordi, quindi questa affermazione fornisce una sorta di “chiave” o “leggenda” per comprendere gli eccentrici giochi mentali di Trump quando si tratta dell’ultima inversione di rotta.

Ciò che ha fatto in realtà è stato riconoscere che i media e i suoi oppositori non gli avrebbero concesso tregua – cosa a cui il suo ego è estremamente sensibile – a meno che non esagerasse le sue lodi e il suo impegno per la “causa” dell’establishment. Così ha ribaltato la situazione: “Vogliono un tifo isterico? Bene, glielo concedo”.

Dopo aver parlato del suo personaggio, dice: “Ah sì, ora ho visto la luce. L’Ucraina può vincere la guerra e conquistare Mosca, buona fortuna a tutti i soggetti coinvolti, buon divertimento!”

Purtroppo, Zelensky è caduto di nuovo nella trappola. Era completamente sgranato dalla gioia e dal sollievo infantili durante il suo incontro con Trump oggi, tragicamente ignaro del fatto che era stato nuovamente incastrato e gettato in pasto ai lupi da “Papà”.

È vivido come il giorno:

E con questo, se ne è lavato le mani, mentre incassava con orgoglio i profitti derivanti dall'”omicidio” da lui così apertamente denunciato, come si legge in una precedente dichiarazione:

Ma affermo che questa potrebbe essere un’opinione molto controversa, visto quante persone sono infuriate e giustamente infuriate sui social media. Forse mi sbaglierò su quest’ultima svolta di Trump. Una cosa è certa: non è il solito modo di affrontare la situazione in stile “5D” di Qanon ad aver portato a questa conclusione, ma piuttosto i tasselli che si incastrano in una logica “strategia di uscita” per Trump, con il suo solito tocco teatrale.

Per quanto Trump ami dipingere il ruolo del duro, in realtà è piuttosto accomodante, quando si tratta di compiacere amici, partner e persino critici. L’ultima performance si conclude con un volutamente trasandato “congedo” verso sinistra, lasciando il pubblico, abbindolato, raggiante di entusiasmo con sguardi spenti di finto trionfo.

Ma fatemi sapere cosa ne pensate.

SONDAGGIOL’ultimo “shock” di inversione di tendenza di Trump è…Performance ovvia da ritirareAutentico, segna l’escalation su RFSemplice confusione folle

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“Fermate la von der Leyen!”_di German Foreign Policy

“Fermate la von der Leyen!”

Germania: opposizione ferma alle sanzioni contro Israele proposte dalla Commissione UE. A Gaza, il bilancio delle vittime sale a oltre 65.000 e il numero dei morti per fame a 435. La Commissione ONU classifica gli eventi come genocidio.

19 Settembre 2025

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BERLINO/TEL AVIV (Rapporto proprio) – In Germania sta emergendo una forte opposizione alle sanzioni proposte dalla Commissione europea contro Israele. È “scioccante” che la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen stia “facendo passare la sua idea malriuscita di sanzioni commerciali…”, ha dichiarato Armin Laschet (CDU), Presidente della Commissione Affari Esteri del Bundestag; deve essere fermata. La Commissione aveva precedentemente proposto di imporre sanzioni contro i ministri di estrema destra e di sospendere l’accordo di associazione dell’UE con Israele nel settore del commercio. Un no della Germania potrebbe far fallire entrambe le misure. Questa minaccia è in atto anche se la situazione nella Striscia di Gaza è devastante e le forze armate israeliane continuano la loro nuova offensiva di terra. Ufficialmente, sono morte più di 65.000 persone, di cui oltre l’80% civili; il numero di morti per fame è salito ad almeno 435. Martedì scorso, una commissione indipendente delle Nazioni Unite ha concluso in un rapporto che Israele sta commettendo un genocidio; chiunque non si opponga è colpevole di “complicità”. Le organizzazioni umanitarie chiedono un intervento nella Striscia di Gaza.

Morte e distruzione

Lunedì, quando le forze armate israeliane hanno iniziato l’offensiva di terra su Gaza, la distruzione della città era già estesa. Solo nella settimana precedente, secondo l’Autorità Palestinese, erano stati distrutti oltre 600 edifici residenziali, più di 600 tende, dieci scuole e cinque moschee; le foto che mostravano la distruzione mirata di grattacieli avevano fatto il giro del mondo. Solo un terzo del milione di abitanti della città era già fuggito – in parte perché la presunta zona sicura nel sud della Striscia di Gaza, dove il governo israeliano sta cercando di cacciare la gente da Gaza, è stata ripetutamente attaccata, con conseguenze mortali.[1] La distruzione si è ulteriormente intensificata negli ultimi giorni; ad esempio, le forze armate israeliane hanno attaccato più volte l’unico ospedale pediatrico di Gaza. Secondo le autorità sanitarie di Gaza, il numero di vittime documentate ha superato i 65.000, e l’83% di tutte le vittime sono civili, secondo i dati interni dell’esercito israeliano (german-foreign-policy.com ha riportato [2]). Gli scienziati ipotizzano che un gran numero di morti non sia stato scoperto sotto le macerie e che quindi il numero delle vittime sia ancora più alto. Giovedì il numero di morti per fame è salito a 435, di cui 147 bambini[3].

Complicità

Con l’intensificarsi della morte e della distruzione, aumenta il numero di risoluzioni delle organizzazioni internazionali che esprimono dure critiche e chiedono conseguenze. Martedì scorso, ad esempio, una commissione indipendente delle Nazioni Unite ha presentato un rapporto in cui conclude che i crimini israeliani nella Striscia di Gaza costituiscono chiaramente un genocidio. La “responsabilità” è delle massime autorità statali israeliane, che “da due anni stanno orchestrando una campagna genocida con l’intento specifico” di “distruggere la popolazione palestinese di Gaza”[4]. “La comunità internazionale” non deve rimanere inattiva, ha chiesto la presidente della commissione, Navi Pillay; non fare nulla equivarrebbe a “complicità”. Pillay ha fatto riferimento all’obbligo di tutti gli Stati, in base al diritto internazionale, di usare “tutti i mezzi disponibili” per “fermare il genocidio a Gaza”. Mercoledì scorso, i principali rappresentanti di oltre due dozzine di importanti organizzazioni umanitarie attive a Gaza hanno pubblicato un appello in cui chiedevano a tutti gli Stati di “utilizzare ogni strumento politico, economico e legale disponibile per intervenire”[5] Chi non lo fa non solo è complice, ma contribuisce a creare un pericoloso precedente.

Nulla può giustificarlo

Nel frattempo, anche in Europa cresce il numero di governi e parlamentari che chiedono misure concrete. L’11 settembre, ad esempio, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione in cui dichiara che “l’azione militare indiscriminata” delle forze armate israeliane nella Striscia di Gaza e l’affamamento mirato della popolazione non possono essere giustificati da nulla”.[6] Con una maggioranza di 305 contro 151 deputati e 122 astensioni, il Parlamento ha chiesto un’indagine completa su tutti i crimini di guerra; i responsabili devono essere chiamati a risponderne. Oltre alle sanzioni contro i ministri di estrema destra Bezalel Smotrich (Finanze) e Itamar Ben-Gvir (Sicurezza nazionale) e contro gli attivisti violenti dei coloni, dovrebbero essere sospese le disposizioni commerciali dell’Accordo di associazione dell’UE con Israele. Il Parlamento si è anche espresso a favore della soluzione dei due Stati. Anche l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha spinto per la sua attuazione in una risoluzione del 12 settembre, approvata con 142 voti favorevoli, 10 contrari e 12 astensioni. Il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, a cui il governo israeliano ha vietato l’ingresso nel Paese nell’ottobre 2024, ha dichiarato che l’attuazione della soluzione dei due Stati è “cruciale” per l’intera regione[7].

Sanzioni UE

Il dibattito sulle sanzioni contro Israele continua a infiammarsi nell’UE, soprattutto da quando la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha dichiarato, nel suo discorso sullo Stato dell’Unione di mercoledì scorso, di essere favorevole alle sanzioni contro i ministri israeliani di estrema destra e alla sospensione dell’Accordo di associazione con Israele nel settore del commercio.[8] La Commissione ha presentato ufficialmente mercoledì delle proposte in tal senso. Le sanzioni personalizzate devono essere sostenute da tutti gli Stati membri; è sufficiente che vengano bloccate se, ad esempio, l’Ungheria pone il suo veto. La sospensione dell’Accordo di associazione per il commercio, invece, può essere impedita solo se gli Stati membri con il 35% della popolazione dell’UE sono contrari. Questo sarebbe possibile se la Germania, l’Italia e alcuni Stati più piccoli lo bloccassero. Il governo tedesco non si è ancora impegnato ufficialmente. All’interno dell’SPD, le voci che chiedono sanzioni si fanno sempre più forti. I partiti della CDU/CSU si oppongono strenuamente. È “scioccante che la Presidente della Commissione stia portando avanti la sua mezza idea di sanzioni commerciali contro l’unica democrazia del Medio Oriente”, ha dichiarato Armin Laschet (CDU), Presidente della Commissione Affari Esteri del Bundestag; deve essere fermata[9].

Il giorno del mai-mai

Anche il governo tedesco sta frenando sulla questione se gli Stati europei debbano unirsi alla grande maggioranza dei Paesi del mondo e riconoscere la Palestina come Stato. La Francia ha annunciato l’intenzione di riconoscere la Palestina la prossima settimana a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Ha preparato l’iniziativa insieme all’Arabia Saudita. Il Canada vuole unirsi a questa iniziativa; anche il Regno Unito e l’Australia la stanno valutando. Sebbene la Germania abbia appoggiato la risoluzione delle Nazioni Unite di venerdì scorso, che prepara il terreno politico per la misura, ha chiarito che non riconoscerà lo Stato palestinese in sé; ciò potrà avvenire solo alla fine di un processo di pace, afferma.[10] Tuttavia, poiché un processo di pace non è in vista e potrebbe non aver luogo dopo l’espulsione armata dei palestinesi da Gaza, la posizione tedesca equivale a un rifiuto de facto di uno Stato palestinese.

[1] Christian Meier: Guerra ai grattacieli. Frankfurter Allgemeine Zeitung 16 settembre 2025.

[2] Vedi Cooperazione con le armi ad ogni costo.

[3] Faisal Ali, Stephen Quillen: L’invasione di terra di Israele intrappola centinaia di migliaia di persone nella città di Gaza. aljazeera.com 18.09.2025.

[4] Israele ha commesso un genocidio nella Striscia di Gaza, secondo la Commissione delle Nazioni Unite. ohchr.org 16.09.2025.

[5] Gaza: I leader dei principali gruppi di aiuto chiedono ai leader mondiali di intervenire dopo le conclusioni del genocidio delle Nazioni Unite. msf.org 17.09.2025.

[6] Il Parlamento spinge per gli aiuti a Gaza, il rilascio degli ostaggi e la giustizia. europarl.europa.eu 11.09.2025.

[7] L’Assemblea generale approva la Dichiarazione di New York sulla soluzione dei due Stati tra Israele e Palestina. news.un.org 12.09.2025.

[8] Vedi Terrorismo di Stato.

[9] Thomas Gutschker, Matthias Wyssuwa: Proposta con conseguenze moderate. Frankfurter Allgemeine Zeitung 18/09/2025.

[Michaela Wiegel: Macron non vuole essere intimidito. Frankfurter Allgemeine Zeitung 16/09/2025.

Guerra contro la Cina

In Europa esiste un riflesso che è dannoso per la Cina. È il rovescio della medaglia del rispetto reverenziale che suscitano la vastità, le dimensioni, la cultura e la statualità della Cina. Al confronto, l’Europa appare minuscola. Il confronto mitiga l’errore di essere incomparabili.

La Cina è più grande.

“Tenere a bada la Cina” è sempre stato vano. Per “tenere a bada la Cina” è necessaria la violenza e, se necessario, la guerra contro la Cina. Quasi ogni atto di violenza, almeno a Berlino, era stato considerato moralmente giustificato per umiliare la Cina.

L’Impero tedesco inviò le sue truppe per schiacciare i “pugni della giustizia e dell’armonia”, un movimento di resistenza cinese. L’imperatore Guglielmo, personalmente, qui davanti ai soldati tedeschi in partenza per la Cina, invocò il massacro.

“Non sarà concessa alcuna pietà! Non saranno fatti prigionieri! Proprio come mille anni fa gli Unni (…) si sono fatti un nome (…) possa il nome tedesco in Cina essere affermato da voi in modo tale che per mille anni nessun cinese oserà guardare storto un tedesco”.

Gli eroi tedeschi di questa carneficina furono onorati dallo Stato di Weimar … eroizzati durante il fascismo tedesco … e sono immortalati nei nomi delle strade della Repubblica Federale Tedesca. La capitale Berlino commemora questi criminali e i loro cannoni nella parte sud della città; a Colonia c’è un “quartiere cinese”, dove non vengono commemorati nomi cinesi, ma piuttosto quelli dei loro assassini tedeschi. La commemorazione onora i carnefici della politica globale tedesca e storicizza la proiezione di potere tedesca, che cercava di “tenere a bada la Cina”.

Questa proiezione di potere è attualmente di nuovo in discussione, in occasione dell’allineamento annuale della politica militare globale a Monaco di Baviera nel 2018.

“La Cina sta sviluppando un sistema alternativo completo all’economia occidentale”, ha lamentato il ministro degli Esteri tedesco, chiedendo ‘coraggio’ nella “proiezione di potere”:

“L’Europa ha bisogno di una proiezione di potere globale comune. Non dovrebbe mai concentrarsi esclusivamente sull’aspetto militare, né rinunciarvi completamente”.

L’Europa non ha mai rinunciato al potere militare ai confini della Cina. L’esercito è stato chiamato senza pietà durante la guerra di Corea e la guerra del Vietnam. La Repubblica Federale Tedesca ha partecipato tecnicamente, mentre il napalm e il fosforo devastavano il Vietnam. L’agitazione giornalistica era rivolta contro i “Vietcong”, i soldati scalzi, una sorta di diavoli rossi. Il “Drago”, la vicina Cina, attraverso le cui rotte e i cui porti i rifornimenti bellici contribuivano a frenare le guerre occidentali in Asia, era considerato non meno diabolico.

Le rappresentazioni razziste del popolo durante la guerra del Vietnam e quella di Corea stanno tornando oggi.

Le masse asiatiche che divorano le risorse globali, come suggerito qui in una rivista di Berlino, capovolgendo la verità su Berlino e l’Europa, che si nutrono del sangue delle vittime del loro dominio coloniale… Questa rappresentazione razzista viene illustrata ogni volta in modo diverso, ad esempio come la Cina che sta per mettere il mondo in bocca con le bacchette. Siamo divorati e dobbiamo difenderci.

Queste isteriche facilitano la violenza. Nelle riviste economiche, parlare di guerra è diventata routine: guerra doganale, guerra delle sanzioni e guerra dei sistemi. …

Pertanto, prendere le armi sembra logico. Ai confini indo-pacifici della Cina si è formato un anello di violenza che potenzialmente minaccia l’annientamento nucleare.

La Germania rimarrà neutrale? Guiderà l’attacco dell’Europa contro la Cina, nell’alleanza transatlantica? La Germania sta potenziando il proprio armamento con un crescendo di miliardi.

Le aziende tedesche produttrici di armi stavano già spingendo per avere una quota nel circolo armato intorno alla Cina, per “tenere a bada la Cina” dal mare. Nell’alleanza occidentale, la Germania sta rafforzando quel circolo, come faceva la Germania Ovest in passato, quando condivideva logistica e tecnologia, ma soprattutto un sacco di soldi e la rappresentazione razzista che ha portato al massacro in Vietnam.

La Germania non è neutrale. Sta per unirsi al fronte.

Tuttavia, a differenza di prima, le armi di oggi possono raggiungere Berlino direttamente dal campo di battaglia asiatico. … Non fatevi ingannare.

L’Europa è minuscola in confronto. La Cina è più grande.

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Auf Rechtskurs alla Trump

Il corso di estrema destra di Trump sta portando a effetti di imitazione nell’UE: diversi Paesi e l’AfD vogliono classificare gli “Antifa” come “terroristi”. L’AfD è attualmente il partito più forte e potrebbe entrare a far parte di una coalizione di governo.

22

Settembre

2025

WASHINGTON/BERLINO (Own report) – Il drammatico corso politico di destra degli Stati Uniti sotto il presidente Donald Trump sta portando ai primi effetti di imitazione in due Stati e in vari partiti dell’Unione europea. Dopo che giovedì Trump ha dichiarato di voler classificare le organizzazioni antifasciste (“Antifa”) come “organizzazioni terroristiche”, il Parlamento olandese ha invitato il governo del Paese a fare lo stesso. Venerdì, il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha annunciato la sua intenzione di unirsi al presidente statunitense. Anche il presidente del partito di governo belga Mouvement réformateur (MR) e l’AfD stanno avanzando richieste identiche. L’AfD è diventato il partito più forte della Germania davanti alla CDU e alla CSU in due sondaggi. All’interno dei partiti CDU/CSU si dice che se la SPD nel governo federale continuerà a rifiutare i tagli sociali estremi desiderati, sono ipotizzabili anche altre coalizioni di governo – un’allusione a una coalizione con l’AfD. Questa potrebbe quindi diventare necessaria per realizzare i drastici piani di riarmo di Berlino. Nel frattempo, l’amministrazione Trump mostra segni di fascistizzazione.

Formazione autoritaria

Negli Stati Uniti, l’amministrazione Trump sta portando avanti con tutte le sue forze la creazione di strutture autoritarie, la formazione della società e, nel medio-lungo termine, la fascistizzazione del Paese. Uno degli esempi più recenti è il tentativo di impedire qualsiasi critica a Charlie Kirk, un agitatore di estrema destra assassinato il 10 settembre, che definiva le donne nere “intellettualmente inferiori” e classificava esplicitamente gli aborti come “peggiori dell’Olocausto”. Trump deve molti voti di giovani elettori alla propaganda di Kirk. Ora ha fatto licenziare un presentatore televisivo liberale che aveva fatto commenti indecorosi sull’omicidio di Kirk, dando un esempio che costringerà altri liberali ad abbandonare i media.[1] Trump sta sottoponendo un numero crescente di organi di informazione – compresi quelli influenti come il Wall Street Journal e il New York Times – a cause legali miliardarie per aver pubblicato articoli critici e vuole vietare la pubblicazione di tutte le ricerche sul Pentagono che non siano state approvate dal governo.[2] Questo renderà impossibile la pubblicazione di articoli critici sulle forze armate statunitensi. I principali oppositori del presidente ipotizzano da tempo che Trump non permetterà più libere elezioni. Pertanto non potrà più essere rimosso dal suo incarico con mezzi democratici[3].

L’antifascismo come “terrore”

La scorsa settimana, due Stati dell’UE hanno adottato esplicitamente per la prima volta una delle proposte di Trump e hanno annunciato l’intenzione di integrarla nella propria legislazione. Si tratta del piano per classificare le organizzazioni antifasciste – stiamo parlando di “Antifa” come movimento – come terroristiche. Il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha dichiarato venerdì di essere “felice” del piano annunciato da Trump: “Anche in Ungheria è arrivato il momento di classificare organizzazioni come Antifa come organizzazioni terroristiche”, “seguendo il modello americano”.[4] Nella capitale ungherese Budapest, ad esempio, le organizzazioni antifasciste manifestano contro una marcia commemorativa annuale organizzata dai fascisti in memoria di una battaglia combattuta dalla Wehrmacht e dalle Waffen SS contro le forze armate dell’Unione Sovietica. [Giovedì, su richiesta del politico di estrema destra Geert Wilders (Partij voor de Vrijheid, PVV), il Parlamento olandese ha chiesto al governo di classificare anche “Antifa” come organizzazione terroristica[6], tra l’altro con i voti del partito di governo VVD (Volkspartij voor Vrijheid en Democratie), da cui proviene anche il Segretario generale della NATO Mark Rutte.

“Procedure fasciste”

Anche in altri Paesi dell’Unione europea sono stati lanciati inviti a vietare le organizzazioni antifasciste o almeno a ostacolarne le attività. In Austria, ad esempio, il “portavoce per la sicurezza” dell’FPÖ, Gernot Darmann, chiede che “questa palude di sinistra” – “gli Antifa” – “venga prosciugata”[7]. In Belgio, il presidente del partito di governo Mouvement réformateur (MR), Georges-Louis Bouchez, vuole che “la struttura Antifa” venga “sciolta” dalle autorità, seguendo l’esempio di Trump. Il suo partito lavorerà per questo “a livello governativo e parlamentare”, spiega Bouchez, che accusa esplicitamente “Antifa” di essere “una struttura con metodi fascisti”.[8] In Germania, i politici dell’AfD chiedono che il movimento antifascista sia classificato come “terrorista”. I membri dell’AfD al Parlamento europeo lo avevano già proposto anni fa nell’ambito delle loro attività parlamentari. Ora, ad esempio, il deputato AfD del Bundestag Alexander Wolf ha dichiarato sui social media: “Donald Trump vuole agire contro Antifa. … Molto bene!”. Anche il collega parlamentare di Wolf, Dario Seifert, ha dichiarato sui social media che il piano di Trump dovrebbe “essere un modello anche in Germania e in Europa”: “Categorizzare Antifa come gruppo terroristico!”.

Il partito più forte

L’AfD avanza questa richiesta in un momento in cui sta ottenendo cifre record nei sondaggi ed è anche sempre più oggetto di considerazioni di coalizione. In un sondaggio YouGov pubblicato il 17 settembre, l’AfD ha superato per la prima volta i partiti della CDU/CSU, piazzandosi al primo posto con il 27% (CDU/CSU: 26%). Anche un sondaggio INSA pubblicato il 20 settembre vede l’AfD (26%) davanti alla CDU e alla CSU (25%),[9] mentre la SPD è molto indietro con il 15%. Nello Stato federale della Sassonia-Anhalt, l’AfD è attualmente al 39%; il suo candidato principale Ulrich Siegmund punta a un governo unico dopo le elezioni statali del settembre dell’anno prossimo.[10] In tre grandi città del popoloso Stato tedesco occidentale della Renania Settentrionale-Vestfalia – Duisburg, Gelsenkirchen e Hagen – i candidati dell’AfD alle elezioni locali di poco più di una settimana fa sono arrivati al ballottaggio per la carica di sindaco questa domenica.

“Altre maggioranze possibili”

Allo stesso tempo, il dibattito sull’inclusione dell’AfD in una coalizione di governo – eventualmente anche a livello federale – si sta intensificando. La conservatrice Frankfurter Allgemeine Zeitung, vicina ai partiti CDU/CSU, riferisce che ci sono politici della CDU e della CSU – “anche di primo piano” – che “esprimono l’opinione a porte chiuse” che, a lungo termine, l’AfD “almeno” non può essere trascurato nelle questioni organizzative, come “l’assegnazione di posti di presidente di commissione”. [Due settimane fa, Carina Hermann, co-presidente dell’esecutivo federale della CDU, ha dichiarato in una riunione del consiglio direttivo che se l’SPD non avesse sostenuto i tagli sociali desiderati, allora “altre maggioranze” sarebbero state possibili al Bundestag. 12] In risposta, Karl-Josef Laumann, ministro degli Affari sociali del NRW e vicepresidente federale, non ha pronunciato freddamente la solita frase secondo cui una maggioranza con il ricorso a un partito di estrema destra era impensabile nei partiti della CDU/CSU. Al contrario, Laumann ha avvertito, non escludendo ovviamente questo scenario: “Molti se ne andrebbero e anch’io”[13].

La violenza

Il corso della destra in Europa non è solo il risultato di effetti di imitazione; l’amministrazione Trump e il suo ambiente politico lo stanno portando avanti attivamente (german-foreign-policy.com ha riportato [14]). Ciò non esclude nemmeno interventi che possono essere intesi come un invito alla violenza. Ad esempio, l’ex collaboratore di Trump Elon Musk ha alimentato la marcia di circa 150.000 estremisti di destra a Londra il 13 settembre con un discorso video in cui non solo ha chiesto lo scioglimento del Parlamento e un cambio di governo nel Regno Unito, ma ha anche affermato che con l’aumento dell’immigrazione “la violenza sta arrivando da voi”[15] Musk ha continuato: “Che ricorriate alla violenza o meno, la violenza sta arrivando da voi. O ti opponi o muori, questa è la verità”. Tra i 150.000 manifestanti c’erano anche persone note per le loro tendenze violente.

[Natalie Andrews, Aaron Zitner: In Kimmel Suspension, Trump Campaign Against Critics Escalates. wsj.com 18.09.2025.

[2] Ken Bensinger: Il Pentagono espande le sue restrizioni all’accesso dei giornalisti. nytimes.com 20.09.2025.

[3] Melanie Mason, Dustin Gardiner: Gavin Newsom: “Non credo che Donald Trump voglia un’altra elezione”. politico.com 27.08.2025.

[Gábor Tanács, Gavin Blackburn: Il premier Viktor Orbán segue Trump e dice che l’Ungheria designerà l’antifa come organizzazione terroristica. euronews.com 19.09.2025.

[5] Si veda La punta di un iceberg marrone.

[6] Carlos Robles: Il Parlamento olandese adotta una mozione per classificare l’antifa come organizzazione terroristica. bnonews.com 18.09.2025.

[7] FPÖ – Darmann: “La negazione della realtà da parte del Ministro della Giustizia è una protezione per l’estremismo di sinistra!” ots.at 21/09/2025.

[8] Caroline Vandenabeele: Georges-Louis Bouchez minaccia di “sciogliere Antifa”: perché non è così semplice. rtbf.be 19.09.2025.

[9] Salto a livello record – AfD supera la CDU/CSU per la prima volta nel sondaggio YouGov. welt.de 17/09/2025.

[10] L’AfD punta a un governo unico. deutschlandfunk.de 07/09/2025.

[11] Eckart Lohse: La Fondazione Adenauer mette in guardia la CDU dalla cooperazione con l’AfD. Frankfurter Allgemeine Zeitung 19.09.2025.

[12], [13] Florian Kain: il ministro della CDU minaccia di lasciare il partito. bild.de 10/09/2025.

[14] Si veda L’estrema destra transatlantica (III) e “Imparare dal tornado Trump”.

[Haroon Siddique: Che cosa ha detto Elon Musk alla manifestazione di estrema destra nel Regno Unito e le sue osservazioni hanno violato la legge? theguardian.com 15.09.2025.

L’ODIO E IL NEMICO, di Teodoro Klitsche de la Grange

L’ODIO E IL NEMICO

Nel prologo del dramma di Montherlant “La guerre civile”, questa, presentandosi, dice “Sono la guerra della piazza inferocita, la guerra delle prigioni e delle strade, del vicino contro il vicino, del rivale contro il rivale, dell’amico contro l’amico. Io sono la Guerra civile, io sono la buona guerra, quella dove si sa perché si uccide e chi si uccide: il lupo divora l’agnello, ma non lo odia; ma il lupo odia il lupo”. Già Clausewitz, col Vom Kriege aveva individuato, anche nella guerra tra Stati lo spazio  per l’odio nel sentimento ostile che s’accompagna, ma non sempre, a molte guerre internazionali, mentre ad ogni guerra è connaturale l’intenzione ostile.

Nel dibattito sull’assassinio di Charlie Kirk l’odio ha avuto un posto rilevante: e non pare che l’abbia occupato abusivamente, almeno a seguire la tesi di Montherlant. Quel che consegue da questa e dall’opinione di Clausewitz è che non è un elemento necessario in tutte le guerre onde ve ne sono state condotte senza odio: nel libro (postumo) che raccoglie scritti di Rommel, il titolo era Guerra senza odio, riferendosi a quella praticata dal generale tedesco.

Ma non è così per le guerre civili: la coesione in un gruppo sociale, e così in un popolo, presuppone una certo tasso d’amicizia che valga a co-fondare l’unità politica con l’idem sentire de re-publica; se questo non c’è o è carente, i contrasti d’interesse, volontà, opinioni diventano determinanti e corrodono l’unità politica, fino (talvolta) a sfociare nelle guerre civili.

Il carburante principale delle quali è l’odio, come ritenuto da Montherlant.

Una delle caratteristiche di quello contemporaneo è che divide le comunità in senso orizzontale: da una parte le élite e il loro seguito, dall’altra  la  parte maggioritaria o comunque in crescita dei governati.

Resta il fatto che, almeno in unità politiche con popolazione omogenea, quindi tale per lingua, religione, costumi, storia (e gli altri “fattori” indicati da Renan) occorre (creare, o) aumentare divisioni esistenti in grado di detronizzare quella principale a fondamento dell’unità politica. Ove non si può contare su differenze reali o almeno decisive, occorre lievitarle di guisa da creare un (nuovo) nemico che abbia la conseguenza, naturale in ogni conflitto, di rinsaldare la coesione del gruppo sociale che a quello si oppone. A portata di mano, per realizzare tale operazione, c’è l’intensificare l’odio al nemico scelto. In mancanza di differenze reali si corre così il rischio di crearne di immaginarie.

Una variante delle quali è di identificare il nemico quale nemico dell’umanità o di caratteristiche umane (vedi i “diritti umani”) come sottolineato già un  secolo fa da Carl Schmitt; a cui non erano estranei neppure i nazisti quando consideravano i popoli dell’Unione Sovietica degli untermenschen, cioè sotto-uomini, destinati a estingursi o a servire quello tedesco. Molto meglio per assicurare la pace e l’intesa tra popoli la concezione (e la prassi) romana che gli stranieri non erano così diversi (alienigeni) dai romani  da non potersi accordare in una pace e una coesistenza concorde e nel comune interesse.

Per cui l’odio è un moltiplicatore dei conflitti, se rivolto a creare nemici all’interno dell’unità politica, inversamente proporzionale alla coesione e potenza della stessa, nei conflitti internazionali, può diventare un elemento di coesione, ma non (o poco) controllabile.

Teodoro Klitsche de la Grange

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La Russia e l’Occidente collettivo: la politica globale della Guerra Fredda 1.0/2.0_di Vladislav Sotirovic

La Russia e l’Occidente collettivo: la politica globale della Guerra Fredda 1.0/2.0

La Russia come fenice nella politica globale

Dopo la fine dell’Unione Sovietica nel 1991, la Russia è diventata un’area di studio e di interesse meno popolare rispetto a prima della fine della Guerra Fredda (1949-1991). In Occidente si credeva che dopo il 1991 la Russia fosse semplicemente “finita”, poiché Mosca non era più la capitale di una grande potenza (l’URSS) che aveva avuto un’influenza importante nella politica globale e nelle relazioni internazionali dopo la seconda guerra mondiale. In altre parole, i politici occidentali pensavano che dopo il 1991 la Russia sarebbe rimasta irrilevante sia come potenza economica che politica nella politica globale e, quindi, ad esempio, molti programmi di studio universitari sulla Russia negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale furono cancellati o ridimensionati con la motivazione che lo studio della Russia non era più importante per le relazioni internazionali (IR) e la sicurezza globale.

Tuttavia, tutti coloro che condividevano l’opinione che la Russia fosse “irrilevante” nella politica globale e nelle relazioni internazionali dalla fine della Guerra Fredda si sono resi conto, almeno a partire dalla guerra russo-georgiana del 2008[1], del loro fatale errore di valutazione. La Russia è “tornata” e, di conseguenza, Washington e Bruxelles hanno dichiarato una nuova guerra fredda (2.0) alla Russia nel 2008[2], poiché hanno chiaramente compreso che la Russia è tornata ad essere una grande potenza militare, economica e politica. In altre parole, l’Occidente collettivo, in particolare (e guidato dagli) Stati Uniti, ha compiuto un esperimento critico provocando la Russia sulla scena internazionale e ha ricevuto una risposta molto chiara. Il secondo fatale esperimento di sfida alla Russia è stato compiuto sul suolo dell’Ucraina (sovietica) Ucraina dal 2014 al 2022, quando la Russia rinata dopo la Guerra Fredda 1.0 ha accettato il “guanto bianco” lanciatole nel febbraio 2022, avviando un’operazione militare speciale (SMO) contro il regime politico neonazista russofobico di Kiev, sostenuto direttamente a livello politico, logistico, finanziario e militare dal Collettivo Occidentale sin dalla coppa EuroMaidan del 2014.

La Russia, in quanto paese dotato di enormi risorse energetiche, energia nucleare, persone istruite e di talento, non può semplicemente essere ignorata nella politica globale dal Collettivo Occidentale, come è stato fatto negli anni dal 1991 al 2008. Ciò è diventato vero soprattutto dal momento che dal 2008 la Russia persegue attivamente i propri interessi nazionali e la propria politica di sicurezza vicino ai propri confini (all’interno dello spazio dell’ex Unione Sovietica). Tuttavia, era del tutto errato credere che la Russia del dopoguerra fredda sarebbe stata un avversario del “Nuovo Ordine Mondiale” americano, poiché la Russia rinata dopo il 2000 dimostra chiaramente di essere una potenza globale eurasiatica rispettosa, con interessi nazionali e aspirazioni proprie che devono essere riconosciuti e rispettati. Ciò è stato finalmente dimostrato dall’inizio dell’operazione militare speciale russa nel territorio dell’Ucraina orientale (sovietica) popolato da russofoni nel febbraio 2022. Questa operazione, allo stesso tempo, ha chiaramente dimostrato all’Occidente globale che la Russia è tornata (dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica) a essere una delle principali potenze globali nella politica mondiale e, quindi, la sua influenza nelle relazioni internazionali non può più essere ignorata.

La trasformazione della Russia post-sovietica in una grande potenza

È una legge storica che ogni Stato cambi con il tempo. Tuttavia, solo pochi Stati hanno vissuto un cambiamento così drammatico in un breve periodo di tempo come quello che ha vissuto la Russia negli ultimi 30 anni. In altre parole, la Russia è cambiata come Stato, nazione e potenza militare, seguita dalla sua posizione fluttuante nella politica globale e nelle relazioni internazionali. Dal 1991 ad oggi, la Russia ha trasformato pacificamente e rapidamente il suo intero sistema politico ed economico, il che è un esempio relativamente raro nella storia. Quando l’URSS si è dissolta nel 1991, la Russia è rimasta una delle sue 15 repubbliche costituenti, che hanno proclamato l’indipendenza e sono state costrette a ridefinire sostanzialmente il loro ruolo nella politica globale. Gli anni ’90 sono stati molto dolorosi per la posizione della Russia nelle relazioni internazionali, poiché la politica estera del Paese era, di fatto, supervisionata e diretta da Washington e Bruxelles, come ha chiaramente dimostrato, ad esempio, l’aggressione della NATO alla Serbia e al Montenegro nel 1999, ma dal 2008 la politica estera della Russia è tornata ad essere indipendente, riportando gradualmente il Paese nel club delle grandi potenze.

L’importanza dell’influenza della Russia nel mondo nell’arena della politica globale si basa sul fatto fondamentale che la Russia è uno degli attori internazionali più forti che determinano l’agenda politica globale. Ciò significa che la Russia è tornata a far parte del club delle grandi potenze, poiché «uno Stato grande potenza è uno Stato considerato tra i più potenti in un sistema statale gerarchico». [3] La Russia, a questo proposito, soddisfa sicuramente i criteri accademici convenzionalmente accettati che definiscono una grande potenza:

1. Uno Stato grande potenza è al primo posto per capacità militare.

2. Uno Stato grande potenza ha la capacità di mantenere la propria sicurezza e di influenzare il comportamento degli altri Stati.

3. Una grande potenza è economicamente potente, anche se questa è una condizione necessaria ma non sufficiente per far parte del club delle grandi potenze (i casi del Giappone o della Germania sono la migliore illustrazione di questa affermazione).

4. Una grande potenza ha sfere di interesse e di azione nazionali globali e non solo regionali.

5. Uno Stato grande potenza attua una politica estera “proattiva” e, pertanto, ha un’influenza reale, ma non solo potenziale, sulle relazioni internazionali e sulla politica globale (mondiale).[4]

6. Una grande potenza è uno Stato (almeno secondo il concetto del XVIII secolo) che non potrebbe essere conquistato nemmeno dalla forza combinata di altre grandi potenze. [5]

La Russia appartiene sicuramente oggi al club delle potenze globali chiave che dispongono di potenti armi nucleari, di un’economia in crescita e di capacità economiche prospettiche, essendo uno dei membri leader dei BRICS. Tuttavia, ciò che è più importante e che la differenzia dagli altri è che la Russia possiede risorse naturali quasi infinite (molte delle quali probabilmente non sono ancora state scoperte). Ad esempio, nel settembre 2025, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che la Russia dispone di riserve di carbone per i prossimi mille anni. Da un punto di vista geopolitico, la Russia occupa il segmento cruciale dell’Heartland, la parte geopolitica focale del mondo.[6] La Russia, con la sua ricca storia e le sue tradizioni nazionali, è oggi in procinto di definire il suo nuovo ruolo politico nel secolo attuale. Dietro le politiche della Russia c’è una strategia comprensibile basata su una visione solida del mondo contemporaneo e sulla protezione degli interessi nazionali russi.

I sei fattori del potere russo nelle relazioni internazionali

La storia contemporanea della Russia inizia dopo lo scioglimento dell’URSS da parte di Mikhail Gorbachev (in base all’accordo con Ronald Reagan a Reykjavík nell’ottobre 1986), [7] che ha segnato allo stesso tempo l’inizio del tumulto politico ed economico degli anni ’90, quando la Russia sotto Boris Eltsin e i suoi liberali filo-occidentali era uno Stato fantoccio dell’Occidente collettivo. Tuttavia, il Paese è gradualmente uscito dal periodo di instabilità a partire dal 2000, principalmente grazie alla combinazione di sei fattori, che la nuova amministrazione del presidente Vladimir Putin ha sapientemente sfruttato al massimo:

1. Risorse minerarie sostanziali, in particolare petrolio, gas e carbone.

2. Significativo potere militare, basato sul secondo potenziale nucleare più grande al mondo.

3. Segmento della popolazione relativamente istruito e produttivo.

4. Una base scientifica e tecnologica di alta qualità che è sopravvissuta in diversi settori industriali.

5. Membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, del G8 e del G20.

6. Importante influenza politica ed economica sul territorio dell’ex Unione Sovietica.

Si prevede che la Russia rimarrà in futuro uno degli attori internazionali più importanti e influenti, insieme agli Stati Uniti, all’Unione Europea, alla Cina e alle culture islamiche in ascesa, in particolare l’Iran e la Turchia. Le risorse naturali e le capacità della Russia potrebbero consentirle di seguire una linea indipendente in materia di politica estera e interessi nazionali di sicurezza, sia nelle regioni post-sovietiche che in alcune aree chiave del mondo: Europa orientale, Asia centrale e Medio Oriente. È prevedibile, tuttavia, che gli interessi di Mosca entreranno inevitabilmente in conflitto con quelli di altri attori importanti, in particolare gli Stati Uniti e i loro clienti europei. È certo che l’ordine mondiale nelle relazioni internazionali continuerà a funzionare secondo la Teoria dei Sistemi Mondiali: una variante dello strutturalismo che concettualizza l’ordine mondiale come strutturato in 1) un nucleo ricco e sviluppato, 2) una periferia povera e sottosviluppata e 3) una serie di Stati intermedi o semi-periferici. La Russia migliorerà la propria posizione all’interno del primo gruppo (quello dominante), che comprende tutte le grandi potenze che, si spera (dopo la riunione del 2025 dell’Organizzazione di cooperazione di Shanghai, SCO), governeranno le relazioni internazionali e la politica globale secondo il principio dell’equilibrio di potere, che si riferisce a un meccanismo in base al quale le grandi potenze collaborano tra loro per mantenere i propri interessi contro le minacce di coloro che cercano il dominio sistemico.

Perché studiare e rispettare la Russia?

Ci sono almeno quattro ragioni fondamentali e importantissime per studiare e rispettare l’importanza della Russia nella politica globale e nelle relazioni internazionali odierne:

1. Posizione geopolitica e dimensioni del Paese: la Russia è il Paese più grande del mondo, con una superficie di oltre 17 milioni di km² e 11 fusi orari. La Russia confina con il Mar Baltico a ovest, il Mar Nero e il Mar Caspio (in realtà un lago) a sud, l’Oceano Artico a nord e l’Oceano Pacifico a est. La Russia è un Paese sia europeo che asiatico, che di fatto occupa una posizione geopolitica cruciale nel mondo: il cuore del Heartland. La Russia confina con sei Stati membri della NATO (Polonia, Norvegia, Lituania, Estonia, Finlandia e Lettonia), si affaccia su un settimo Stato attraverso il Mar Nero (Turchia) ed è separata geograficamente dagli Stati Uniti (anch’essi membri della NATO) solo dallo stretto di Bering, largo 85,30 km. La Russia confina con 16 Stati riconosciuti a livello internazionale, il numero più alto di vicini che un Paese possa avere al mondo. Il fattore geopolitico della Russia può essere compreso in breve se si considera che tutto ciò che accade sul territorio dell’Eurasia, dall’Europa centrale al Giappone, influisce in una certa misura sulla Russia e, quindi, Mosca deve reagire in qualche modo.[8]

2. Potenza regionale: la Russia è sicuramente una potenza regionale all’interno del perimetro dell’Heartland, che si sforza di realizzare i propri interessi politici, economici, nazionali e di sicurezza. Dopo il 2000, la Russia è riuscita a sviluppare politiche indipendenti nei confronti di altri Stati, compresi i membri della NATO e dell’UE. I “problemi” con la Russia nella politica globale e nelle relazioni internazionali sono iniziati quando, a partire dal 2008, la politica estera russa non ha più corrisposto, in molti segmenti, agli interessi strategici degli Stati Uniti e dei suoi clienti europei e di altri clienti della NATO e dell’UE. Con grande insoddisfazione di Washington e Bruxelles, la Russia mantiene relazioni amichevoli con i tre principali nemici e concorrenti degli Stati Uniti: Corea del Nord, Cina e Iran. La questione più “problematica” della politica estera russa nella regione per Washington è il fatto che Mosca continui i suoi sforzi per costruire coalizioni economiche e politiche multistatali con i paesi vicini, tra cui la superpotenza cinese, seguita dalle potenze emergenti dell’Iran e dell’India. Russia, Cina e India sono già membri del blocco internazionale BRICS, insieme al Brasile e al Sudafrica come fondatori, seguiti dai nuovi Stati membri.[9] Nel 2008 l’Occidente collettivo ha finalmente riconosciuto la rivendicazione della Russia di avere “interessi privilegiati” nei territori post-sovietici, ad eccezione dei paesi che avevano già aderito all’UE e alla NATO (gli Stati baltici).[10]

3. Potere militare: nonostante la totale insoddisfazione del Pentagono e di Bruxelles, la Russia, anche durante le pesanti sanzioni economiche, finanziarie e di altro tipo introdotte dal Collettivo occidentale dal 2022, rimane uno Stato militare molto forte con una crescita economica stabile, una capacità militare e nucleare rispettabile e un potenziale in via di sviluppo che la mantiene come una delle grandi potenze (anzi, una superpotenza) nella politica globale. È abbastanza comprensibile che anche dopo la Guerra Fredda 1.0, quando il puro imperialismo americano ha trovato la sua piena espressione almeno fino al 2008, Mosca continui con la sua politica di sicurezza basata sulla priorità di avere forti capacità militari. Storicamente, per le autorità russe è abbastanza chiaro che dopo la fondazione della NATO nel 1949, la sopravvivenza, l’indipendenza e la sovranità della Russia dipendevano solo dalla sua potenza militare, in particolare da quella nucleare. [11] La Russia (all’epoca URSS) ha iniziato a produrre armi nucleari nel 1949, quando gli Stati Uniti hanno creato il loro blocco militare imperialista di Stati fantoccio occidentali, e ha raggiunto la parità nucleare con gli Stati Uniti all’inizio degli anni ’70. Oggi la Russia mantiene un arsenale nucleare e sistemi di lancio paragonabili a quelli degli Stati Uniti.[12] Purtroppo, a causa della politica di aperto gangsterismo degli Stati Uniti nelle relazioni internazionali dopo la fine della Guerra Fredda 1.0, le cosiddette democrazie liberali occidentali (l’UE e la NATO) sono ancora nemiche sia della sicurezza della Russia che di quella globale e, pertanto, uno dei compiti più importanti per il prossimo futuro nella politica globale deve essere la creazione di nuove politiche affidabili di sicurezza comune basate sulla giustizia, la democrazia e l’amicizia – una sorta di politica globale multilaterale o almeno relazioni internazionali fondate sulla forma dell’equilibrio di potere tra le grandi potenze.

4. Potere economico: la Russia rimane una potenza economica globale con un indice di crescita economica superiore a quello di molti paesi occidentali, con una popolazione di circa 142 milioni di abitanti, che la rende uno dei dieci Stati più popolosi al mondo. Il suo PIL annuo colloca la Russia tra le prime dieci economie mondiali. Nel 2007, il settore privato, con 5 milioni di imprese private, ha contribuito per il 65% al PIL russo. Sebbene sia possibile un rallentamento economico, è molto probabile che la Russia continui la sua crescita economica nel prossimo futuro, indipendentemente dalle dure sanzioni economiche e di altro tipo imposte dall’Occidente collettivo dal 2022 in poi. La principale fonte di reddito (80%) è lo sfruttamento delle risorse naturali (e la loro vendita sul mercato mondiale), seguito da una vasta gamma di industrie diverse. Le esportazioni russe più importanti di risorse naturali sono petrolio, gas, carbone, legname e metalli. Dobbiamo tenere presente che, ad esempio, la Russia possiede il 23% della superficie forestale totale mondiale[13] ed è all’ottavo posto al mondo per riserve di petrolio (il primo è il Venezuela). Dopo il 2000, la Russia è diventata anche uno dei maggiori fornitori mondiali di energia e uno dei primi tre esportatori di armi. Il potenziale potere economico della Russia deriva dal fatto che questo paese possiede vaste riserve di risorse naturali sul suo territorio, ad esempio il 30% delle riserve mondiali di gas. Il paese è abbastanza vicino alle riserve di gas e petrolio dell’Artico, una fonte di energia grande ma ancora inesplorata, che probabilmente in futuro sarà sfruttata principalmente dalla Russia. Non è così difficile affermare che le risorse energetiche saranno la causa principale dei conflitti nelle relazioni internazionali.

Realtà attuale delle relazioni russo-occidentali nelle relazioni internazionali

Le questioni relative alla natura dei sistemi politici ed economici della Russia e alla politica russa dopo il 2000 sono di fondamentale importanza per comprendere il suo ruolo sia in Eurasia che nel mondo (BRICS+) e per valutare le prospettive di affrontare alcune delle sfide centrali per la sicurezza regionale e globale. I responsabili politici dell’Occidente collettivo hanno compreso questa verità solo dopo l’intervento militare della Russia nel Caucaso nell’agosto 2008, che aveva lo scopo di dimostrare chiaramente che l’ulteriore incorporazione di aree di particolare interesse per Mosca nella zona di influenza occidentale era del tutto inaccettabile. Ciò che gli stessi responsabili politici occidentali hanno anche compreso è che questo intervento era una chiara risposta alla proclamazione di “indipendenza” del Kosovo, sostenuta dall’Occidente, nel febbraio dello stesso anno.

La Russia è un soggetto politico di primo piano, una forte potenza economica e militare, un ricco produttore e fornitore di energia, un attore estremamente importante nella politica globale, che sta ancora costruendo la sua posizione nell’era post-guerra fredda 1.0 (che, in realtà, è già l’era della guerra fredda 2.0). La Russia è e continuerà ad essere per un lungo periodo di tempo uno degli attori cruciali nelle relazioni internazionali e uno dei più importanti decisori nella politica globale. Tuttavia, fino al 2022, la geopolitica post-guerra fredda 1.0 della Russia è stata costretta ad adeguarsi al comportamento della NATO. [14] Tuttavia, dal febbraio 2022, quando è iniziata l’operazione militare speciale della Russia contro l’imperialismo collettivo russofobico occidentale sul territorio dell’Ucraina sovietica (grande), la NATO e il resto dell’Occidente collettivo sono costretti ad adeguare la loro politica sulla scena globale al comportamento russo.

Dichiarazione di non responsabilità personale: L’autore scrive per questa pubblicazione a titolo personale, senza rappresentare alcuna persona o organizzazione se non le proprie opinioni personali. Nulla di quanto scritto dall’autore deve essere confuso con le opinioni editoriali o le posizioni ufficiali di qualsiasi altro mezzo di comunicazione o istituzione.

Dr. Vladislav B. Sotirovic

Ex professore universitario

Ricercatore presso il Centro Studi Geostrategici

Belgrado, Serbia

© Vladislav B. Sotirovic 2025

www.geostrategy.rs

sotirovic1967@gmail.com

Note finali:

[1] Su questa guerra, almeno dal punto di vista occidentale, si veda [Roger E. Kanet (ed.), Russian Foreign Policy in the 21st Century, New York: Palgrave Macmillan, 2011, 101−178].

[2] Edward Lucas, The New Cold War: Putin’s Russia and the Threat to the West, Londra‒New York: Palgrave Macmillan, 2008.

[3] Andrew Heywood, Global Politics, New York: Palgrave Macmillan, 2011, 7.

[4] Sulla politica mondiale, cfr. [Jeffrey Haynes et al, World Politics, New York: Routledge, 2013].

[5] Richard W. Mansbach, Karsten L. Taylor, Introduction to Global Politics, Second Edition, Londra-New York: Routledge, 2012, 578.

[6] Per quanto riguarda la geografia e la storia, si veda [Halford John Mackinder, “The Geographical Pivot of History”, The Geographical Journal, 23, 1904, 421−437; Pascal Venier, „The Geographical Pivot of History and Early 20th Century Geopolitical Culture“, Geographical Journal, 170 (4), 2004, 330−336].

[7] Per quanto riguarda le relazioni tra R. Reagan e M. Gorbaciov, si veda [Jack F. Matlock Jr., Reagan and Gorbachev: How the Cold War Ended, New York, Random House, 2005].

[8] Per quanto riguarda l’Eurasia e le grandi potenze, si veda [Roger E. Kanet, Maria Raquel Freire (a cura di), Key Players and Regional Dynamics in Eurasia: The Return of the Great Game, Basingstoke, Regno Unito: Palgrave Macmillan, 2010].

[9] BRICS è un acronimo utilizzato per la prima volta dalla società di investimento Goldman Sachs nel 2003 (come BRIC). Considerando il loro rapido sviluppo economico, Goldman Sachs ha previsto che entro il 2050 queste economie saranno più ricche delle attuali potenze economiche mondiali.

[10] Per quanto riguarda la politica estera della Russia nel XXI secolo dal punto di vista occidentale, si veda [Robert Legvold (a cura di), Russian Foreign Policy in the 21st Century and the Shadow of the Past, New York: Columbia University Press, 2007; Roger E. Kanet (a cura di), Russian Foreign Policy in the 21st Century, New York: Palgrave Macmillan, 2011].

[11] Su questo tema, si veda [Richard Pipes, Survival is not Enough: Soviet Realities and America’s Future, New York: Simon & Schuster, 1984].

[12] Robert Legvold, “The Russian File: How to Move Toward a Strategic Partnership”, Foreign Affairs, luglio/agosto 2009, 78−93.

[13] World Resource Institute: www.globalforestwatch.org/english/russia (2009).

[14] Sulla geopolitica della Russia dopo la Guerra Fredda 1.0, si veda [Срђан Перишић, Нова геополитика Русије, Београд: Медија центар „Одбрана“, 2015]. Sulla nuova Guerra Fredda 2.0, si veda [Robert Legvold, Return to Cold War, Cambridge, Regno Unito−Malden, MA: Polity Press, 2016].

Russia and the Collective West: The Global Politics of the Cold War 1.0/2.0

Russia as the phoenix in global politics

After the end of the Soviet Union in 1991, Russia became a less popular area of study and dealing with in comparison to before the end of the Cold War (1949‒1991). In the West, it was believed that after 1991, Russia was simply “finished” as Moscow was no longer the capital of a great power state (of the USSR) which had an important influence in global politics and international relations after WWII. In other words, the Western policymakers thought that after 1991, Russia would remain irrelevant as both economic and political power in global politics, and, therefore, for instance, many universities’ studies programs on Russia in the USA and Western Europe were either canceled or downsized under the explanation that studying Russia was no longer important for international relations (IR) and global security.   

However, all of those who shared an opinion that Russia was “irrelevant” in global politics and international relations since the end of the Cold War realized at least from the 2008 Russo-Georgian War[1] onward their fatal mistake of judgment. Russia is “back,” and subsequently, Washington and Brussels declared a new Cold War (2.0) on Russia in 2008[2] as they clearly understood that Russia is back as a military, economic, and political great power. In other words, the Collective West, especially (and led by) the USA, made a critical experiment of provoking Russia on the international stage, and they received a very clear answer. The second fatal experiment of challenging Russia was on the soil of the (Soviet) Ukraine from 2014 to 2022, when reborn post-Cold War 1.0 Russia accepted the thrown “white glove” in February 2022 by launching a Special Military Operation (SMO) against the Russofrenic neo-Nazi political regime in Kiev, directly politically, logistically, financially, and militarily supported by the Collective West since the 2014 EuroMaidan’s cup.   

Russia, as a country with tremendous energy resources, nuclear power, educated and talented people, simply cannot be ignored in global politics by the Collective West, as was the practice in the years from 1991 to 2008. It became true especially from the very point of fact that Russia has been actively since 2008 pursuing its own national interests and security policy near its borders (within the space of the ex-USSR). Nevertheless, it became totally wrong to believe that the post-Cold War Russia was going to be an adversary to the American “New World Order”, as reborn Russia after 2000 clearly shows to be a respectful Eurasian global power with national interests and aspirations of her own to be both acknowledged and respected. It was finally proven by the start of the Russian Special Military Operation on the territory of Eastern (Soviet) Ukraine populated by the Russian speakers in February 2022. This operation, at the same time, clearly showed the Global West that Russia once again (after the dissolution of the Soviet Union) became a member of the top global powers in global politics and, therefore, its influence in IR cannot be ignored anymore.      

Transformation of post-Soviet Russia into a Great Power

It is a historical law that each state changes with time. However, only a few states experience such dramatic change during the short period of time as Russia has over the last 30+ years. In other words, Russia has changed as a state, nation, and military power, followed by its fluctuating position in global politics and international relations. From 1991 to today, Russia has transformed peacefully and rapidly its entire political and economic system, which is a relatively rare example in history. When the USSR dissolved in 1991, Russia was left to be one of its 15 constituent republics, which proclaimed independence forced to substantially redefine its role in global politics. The 1990s were very painful for Russia’s position in international relations as the country’s foreign policy was, in fact, supervised and directed by Washington and Brussels as the case of NATO aggression on Serbia and Montenegro in 1999, for instance, clearly showed but since 2008 Russia’s foreign policy once again became an independent and gradually returning the country to the club of the Great Powers.  

The importance of Russia´s influence in the world in the arena of global politics is based on the fundamental fact that Russia is one of the strongest international actors that is determining the global political agenda. It means that Russia is once again a member of the Great Power club as „a great power state is a state deemed to rank amongst the most powerful in a hierarchical state-system“.[3] Russia, in this respect, surely fits the conventionally accepted academic criteria that define a Great Power:

  1. A Great Power state is in the first rank of military capacity.
  2. A Great Power state has the capacity to maintain its own security and to influence other states on how to behave.
  3. A Great Power state is economically powerful, although this is a necessary but not a sufficient condition for membership in the Great Power club (the cases of Japan or Germany are the best illustrations of this claim).
  4. A Great Power state has global but not only regional spheres of national interest and action.
  5. A Great Power state is running a „forward“ foreign policy and, therefore, it has a real but not only potential influence on international relations and global (world) politics.[4]
  6. A Great Power is a state (at least according to the 18th-century concept) that could not be conquered even by the combined might of other Great Powers.[5]

Russia surely belongs today to the club of key global powers having powerful nuclear weapons, a growing economy, and prospective economic capacities, being one of the leading BRICS members. However, what is most important and different to others, Russia possesses almost endless natural resources (many of them are probably still even not discovered). For instance, in September 2025, the Russian President Vladimir Putin stated that Russia has reserves of coal for the next one thousand years. From a geopolitical viewpoint, Russia is occupying the crucial segment of the Heartland – the focal geopolitical part of the world.[6] Russia, with its rich history and national traditions, is today in the process of defining its new political role in the current century. Behind Russia’s policies, there is a comprehensible strategy based on a firm vision of the contemporary world and the protection of the Russian national interests.  

The six factors of Russian power in IR

A contemporary history of Russia starts after the dissolution of the USSR by Mikhail Gorbachev (according to the agreement with Ronald Reagan in Reykjavík in October 1986),[7] which marked at the same time the beginning of the political and economic turmoil in the 1990s, when Russia under Boris Yeltsin and his pro-Western liberals was a puppet state of the Collective West. However, the country gradually emerged from the period of instability since 2000 mainly due to the well-combined six factors, which a new administration of President Vladimir Putin skilfully exploited to the full extent:

  1. Substantial mineral resources, particularly of oil, gas, and coal.
  2. Significant military power, based on the second greatest nuclear potential in the world.
  3. Relatively well-educated, productive segment of the population.
  4. A high-quality scientific and technological base that survived in several industries.
  5. Permanent membership in the UNSC, the G8, and the G20.
  6. Important political and economic influence on the territory of the former Soviet Union.                                

It is predicted that Russia will remain in the future as one of the focal and strongest international actors on the same or above level of influence, together with the US, EU, China, and rising Islamic cultures, especially Iran and Turkey. Russia’s natural resources and capabilities may allow it to follow an independent line in foreign policy and security national interests, both in the post-Soviet regions and in some key areas of the world: Eastern Europe, Central Asia, and the Middle East. Predictably, however, Moscow’s interests will inevitably clash with those of other major actors – especially the US and its European clients. That is for sure that world order in international relations is going to continue to function according to World Systems Theory: a variant of structuralism that conceptualizes world order as being structured into 1) A rich and developed core, 2) Poor and underdeveloped periphery, and 3) A number of intermediary or semi-peripheral states. Russia is going to improve its own position within the first (leading) group, which includes all Great Powers who are hopefully (after the 2025 meeting of the Shangai Cooperation Organization-SCO) going to govern international relations and global politics according to the principle of Balance of Power which refers to a mechanism whereby Great Power’s states collaborate with each other in order to maintain their interests against threats from those who would seek systemic dominance.

Why study and respect Russia?

There are at least four focal and most important reasons for both studying and respecting Russia’s importance in global politics and international relations today:

  1. Geopolitical position and the size of the country: Russia is the largest country in the world, stretching over 17 million sq. km and covering 11 time zones. Russia borders the Baltic Sea in the west, the Black Sea and Caspian Sea (in fact, the lake) in the south, the Arctic Ocean in the north, and the Pacific Ocean in the east. Russia is both a European and Asian country, which, in fact, occupies the crucial geopolitical position in the world – the core of the Heartland. Russia shares borders with six NATO member states (Poland, Norway, Lithuania, Estonia, Finland, and Latvia), faces a seventh one across the Black Sea (Turkey), and is geographically separated by only 85,30 km wide Bering Strait from the USA (also a member of NATO). Russia borders 16 internationally recognized states, which is the largest number of neighbors that one country has in the world. A geopolitical factor of Russia can be shortly understood if we know that anything that is happening on the territory of Eurasia from Central Europe to Japan is affecting to a certain extent Russia and, therefore, Moscow has to react by some means to that.[8]
  2. Regional power: Russia is surely a regional power within the perimeter of Heartland, which is striving to realize its own political, economic, national, and security interests. Russia, after 2000, succeeded in developing its own independent policies toward other states, including NATO and the EU’s members. The “problems” with Russia in global politics and international relations started when, since 2008, Russia’s foreign policy did not in many segments correspond with the strategic interests of the USA and its European and other clients of NATO and the EU. To the full level of dissatisfaction by Washington and Brussels, Russia maintains friendly relations with the three main American enemies and competitors – North Korea, China, and Iran. The most “problematic” issue of Russian foreign policy in the region for Washington is the fact that Moscow is continuing its efforts to build multi-state economic and political coalitions with neighboring countries, including super-powerful China, followed by rising powers of Iran and India. Russia, China, and India are already members of the international bloc, the BRICS, together with Brazil and South Africa as founders, followed by newly accepted member states.[9] The Collective West finally 2008 recognized Russia’s claim to have “privileged interests” within the post-Soviet territories, except in those countries that joined the EU and NATO before (the Baltic States).[10]       
  3. Military power: With the total dissatisfaction by the Pentagon and Brussels, Russia still even during overwhelming economic, financial, and other sanctions by the Collective West introduced since 2022, remains a very strong military state with stable economic growth, respectful military and nuclear capacity, and developing potentials which are keeping it as one of the Great Powers (even a Super Power) in global politics. It is quite understandable that even after Cold War 1.0, when bare American imperialism received its full expression at least till 2008, Moscow continues with its security policy based on the priority of having strong military capacities. Historically, for the Russian authorities is quite clear that after NATO’s establishment in 1949, Russia’s survival, independence, and sovereignty depended only on its military power, especially the nuclear one.[11] Russia (at that time the USSR) started to produce nuclear weapons in 1949 when the US created its imperialistic military bloc of Western puppet states and reached nuclear parity with the US at the beginning of the 1970s. Russia is today maintaining a nuclear arsenal and delivery systems that are comparable to the arsenal of the US.[12] Unfortunately, due to the US’ policy of open gangsterism in international relations after the end of the Cold War 1.0, the so-called Western liberal democracies (the EU and NATO) are still an enemy to both Russia’s and global security and, therefore, one of the most important tasks for the near future in global politics has to be the creation of new reliable policies of common security based on justice, democracy, and friendship – a kind of multilateral global politics or at least the international relations founded on the form of the balancing power among the Great Powers.  
  4. Economic power: Russia remains a global economic power with a growing economy index higher than many Western countries, having a population of some 142 million, which makes it one of the ten most populous states in the world. Her GDP per annum is selecting Russia among the world’s top 10 economies. In 2007, the private sector, with 5 million private enterprises, contributed 65% of Russia’s GDP. Although an economic slowdown is possible, Russia is most likely to continue with its economic growth in the near future, regardless of the harsh economic and other sanctions imposed by the Collective West since 2022 onward. The main source of revenue (80%) is the exploitation of natural resources (and selling them to the world market), followed by a wide range of different industries. The most important Russian export of natural resources is oil, gas, coal, timber, and metals. We have to keep in mind that, for instance, Russia has 23% of the total world’s forested land[13] and is in the 8th place in the world according to the oil reserves (the first is Venezuela). After 2000, Russia became as well as one of the biggest world’s energy suppliers and the exporter of weapons (among the top 3). The potential economic power of Russia comes from the fact that this country possesses vast reserves of natural resources on its territory, for example, 30% of global gas reserves. The country is quite near to the Arctic’s gas and oil reserves, a large but still unexplored source of energy, which is probably going to be mainly under Russian exploitation in the future. It is not so difficult to claim that energy resources are going to be the focal reason for the conflicts in international relations.        

Current reality of Russo-Western relations in IR

Questions about the nature of Russia’s political and economic systems and Russia’s policy after 2000 are of crucial importance in understanding its place in both Eurasia and the world (BRICS+), and assessing the prospects for dealing with some of the focal challenges to regional and global security. The policymakers of the Collective West understood this truth only after Russia’s military intervention in the Caucasus in August 2008, which was intended to clearly demonstrate that further incorporation of areas of special interest to Moscow into the Western client zone was totally unacceptable. What the same Western policymakers also understood was that this intervention was a clear counterpunch to Western-sponsored Kosovo’s proclamation of “independence” in February of the same year. 

Russia is a leading political subject, a strong economic and military power, a rich energy producer and supplier, an extremely important player in global politics, which is still building its position in the post-Cold War 1.0 era (that, in fact, is already the era of the Cold War 2.0). Russia is and is going to be for a long period of time in the future both one of the crucial players in international relations and one of the most important decision-makers in global politics. However, up to 2022, Russia’s post-Cold War 1.0 geopolitics was forced to be accommodated to the behavior of NATO.[14] Nevertheless, since February 2022, when the SMO of Russia started, in fact, against the Collective Western Russofrenic imperialism, on the territory of the Soviet (Greater) Ukraine, NATO and the rest of the Collective West are forced to accommodate their politics on the global arena to the Russian behaviour.

Personal disclaimer: The author writes for this publication in a private capacity, which is unrepresentative of anyone or any organization except for his own personal views. Nothing written by the author should ever be conflated with the editorial views or official positions of any other media outlet or institution. 

Dr. Vladislav B. Sotirovic

Ex-University Professor

Research Fellow at Centre for Geostrategic Studies

Belgrade, Serbia

© Vladislav B. Sotirovic 2025

www.geostrategy.rs

sotirovic1967@gmail.com


Endnotes:

[1] On this war, at least from the Western perspective, see in [Roger E. Kanet (ed.), Russian Foreign Policy in the 21st Century, New York: Palgrave Macmillan, 2011, 101−178].

[2] Edward Lucas, The New Cold War: Putin’s Russia and the Threat to the West, London‒New York: Palgrave Macmillan, 2008.

[3] Andrew Heywood, Global Politics, New York: Palgrave Macmillan, 2011, 7.

[4] About world politics, see in [Jeffrey Haynes et al, World Politics, New York: Routledge, 2013].

[5] Richard W. Mansbach, Karsten L. Taylor, Introduction to Global Politics, Second Edition, London−New York: Routledge, 2012, 578.

[6] About geography and history, see in [Halford John Mackinder, “The Geographical Pivot of History”, The Geographical Journal, 23, 1904, 421−437; Pascal Venier, „The Geographical Pivot of History and Early 20th Century Geopolitical Culture“, Geographical Journal, 170 (4), 2004, 330−336].

[7] About R. Reagan and M. Gorbachev’s relations, see in [Jack F. Matlock Jr., Reagan and Gorbachev: How the Cold War Ended, New York, Random House, 2005].

[8] On Eurasia and Great Powers, see in [Roger E. Kanet, Maria Raquel Freire (eds.), Key Players and Regional Dynamics in Eurasia: The Return of the Great Game, Basingstoke, UK: Palgrave Macmillan, 2010].

[9] The BRICS is an acronym first used by the investment firm Goldman Sachs in 2003 (as the BRIC). Taking their rapid economic development, Goldman Sachs predicted that these economies are going to be wealthier by 2050 than the world’s current economic powers.

[10] About the foreign policy of Russia in the 21st century from the Western perspective, see in [Robert Legvold (ed.), Russian Foreign Policy in the 21st Century and the Shadow of the Past, New York: Columbia University Press, 2007; Roger E. Kanet (ed.), Russian Foreign Policy in the 21st Century, New York: Palgrave Macmillan, 2011].

[11] About this issue, see in [Richard Pipes, Survival is not Enough: Soviet Realities and America’s Future, New York: Simon & Schuster, 1984].

[12] Robert Legvold, “The Russian File: How to Move Toward a Strategic Partnership”, Foreign Affairs, July/August 2009, 78−93.

[13] World Resource Institute: www.globalforestwatch.org/english/russia (2009).

[14] About the post-Cold War 1.0 geopolitics of Russia, see in [Срђан Перишић, Нова геополитика Русије, Београд: Медија центар „Одбрана“, 2015]. About the new Cold War 2.0, see in [Robert Legvold, Return to Cold War, Cambridge, UK−Malden, MA: Polity Press, 2016].

Il miraggio del trattato, di Big Serge

Il miraggio del trattato

Storia della guerra navale, parte 13

Big Serge

17 settembre 2025

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Una grafica britannica del 1939 che mostra le navi da guerra in primo piano

Nel 1939 era ancora possibile per un cittadino della Gran Bretagna intraprendere un viaggio globale ed essere orgoglioso degli orpelli facilmente visibili del potere globale della Gran Bretagna. Imbarcandosi su un piroscafo a Bombay, avrebbe potuto fare un lungo viaggio passando per una serie di punti critici e basi globali – attraversando l’Oceano Indiano fino ad Aden, risalendo il Mar Rosso attraverso il Canale di Suez, facendo scalo a Malta nel Mediterraneo prima di passare per Gibilterra, per poi raggiungere casa a Southampton – e lungo il percorso non avrebbe visto altro che basi britanniche, navi britanniche e potere britannico.

Si trattava di un sistema secolare di proiezione del potere geopolitico, conservato con estrema cura per dare l’impressione di un mondo stabile e prevedibile. L’essenza di questo sistema era molto semplice: si trattava di un sistema mondiale eurocentrico (e uso questa parola senza una connotazione peggiorativa) in cui il potere marittimo era il mezzo di influenza globale, e il modo principale per misurare tale influenza era rappresentato dalle navi da guerra e dalle basi che consentivano loro di operare a grandi distanze. In altri mondi, le scene che attendevano il nostro passeggero erano in gran parte immutate rispetto al XVIII secolo. Le navi di linea a vela avevano ovviamente lasciato il posto all’acciaio delle navi da battaglia a cannone, ma l’asse del potere globale era ancora una rete di basi navali britanniche occupate da navi capitali britanniche. Le altre potenze marittime del mondo avevano la capacità di proiettare la forza a livello regionale (il Giappone in Asia orientale, l’Italia e la Francia nel Mediterraneo, e così via), ma solo la Gran Bretagna era ovunque, tutta insieme, con grandi cannoni.

Nel 1950, questo mondo si sarebbe disfatto praticamente a tutti i livelli. Enumerare le molte ramificazioni della Seconda guerra mondiale è un compito monumentale, ma per quanto riguarda il potere marittimo il risultato della guerra fu abbastanza semplice: dopo generazioni di supremazia britannica in mare, la Seconda guerra mondiale distrusse (completamente o praticamente) praticamente tutte le forze navali di rilievo nel mondo, con l’eccezione della Marina americana, che crebbe esponenzialmente e arrivò a predominare in modo assoluto. Alla vigilia della guerra, nel 1938, la Gran Bretagna era ancora ampiamente riconosciuta come la più grande potenza marittima del mondo, ma c’erano non meno di sei marine militari con conseguenze reali o potenziali a livello regionale. Nel 1945, tuttavia, lo scacchiere era stato talmente ripulito dai concorrenti che la Marina americana non solo era più potente di qualsiasi rivale, ma anche di tutte le altre marine del mondo messe insieme. Avendo perso la posizione all’apice della struttura del potere navale, il declino dell’infrastruttura imperiale britannica era certo.

In breve, il nostro passeggero immaginario che viaggiava dall’India all’Inghilterra attraversava un mondo che dava l’impressione di continuità e stabilità attraverso i secoli, ma che in realtà era sull’orlo del collasso totale. L’esperienza fisica di navigare dall’India, attraverso Suez, passando per Malta e Gibilterra, e poi verso l’Inghilterra, il Canada o i Caraibi – transitando per migliaia di miglia e vedendo solo navi da guerra britanniche in porti britannici – rifletteva presupposti impliciti sul mondo: una gerarchia di potere statale basata sul potere marittimo, in cui l’Inghilterra era all’apice e lo status si misurava in gran parte in navi da guerra con grandi cannoni. Tutti questi presupposti furono stracciati dalla Seconda guerra mondiale. Non solo la Gran Bretagna perse il suo posto in cima alla gerarchia, ma la gerarchia stessa cessò in gran parte di esistere; l’America non si limitò a superare i suoi rivali, ma arrivò a sopraffare l’idea di avere rivali in mare. Dal 1945 in poi, una realtà fondamentale degli affari mondiali fu il fatto che solo gli Stati Uniti potevano proiettare la loro forza via mare e via aria ovunque nel mondo, quasi impunemente. La Marina degli Stati Uniti non era solo la forza più forte del mondo, ma la forza navale più forte ovunque, nello stesso momento. È stata la distruzione di tutti i potenziali rivali nella Seconda guerra mondiale a rendere l’America, nella seconda metà del secolo, il singolo Stato più potente mai esistito. Inoltre, la vecchia moneta del potere marittimo – navi da guerra corazzate che combattevano con cannoni navali a lunga gittata – venne radicalmente oscurata da nuove piattaforme che avevano finalmente raggiunto la maturità tecnica e tattica, come i sottomarini e l’aviazione navale.

Ciò che rendeva strano il periodo tra le due guerre non era semplicemente il fatto che presentasse un falso miraggio di stabilità, ma anche che vi fosse uno sforzo consapevole da parte dei responsabili della politica navale e degli uomini di Stato per sospendere la situazione e mantenerla in stasi. La costruzione navale era regolata da trattati che miravano non solo a preservare lo status relativo della gerarchia delle potenze marittime – assegnando quote specifiche di tonnellaggio di navi da guerra per creare un equilibrio navale attentamente calibrato – ma anche a valutare e regolare esplicitamente la potenza marittima in termini di navi da guerra.

Alla vigilia della guerra del 1939, quindi, la potenza marittima assomigliava a una reliquia vivente di un passato morente: un fossile di un’epoca passata, in attesa di essere distrutto a livello tecnico, tattico e geostrategico. Finché le bombe non cominciarono a cadere, tuttavia, diedero una continua impressione di vita. Pochi sospettavano che le grandi navi da guerra, a lungo moneta corrente della proiezione di potenza globale, fossero sull’orlo dell’obsolescenza tattica, e ancora meno avrebbero potuto prevedere che la rete globale di basi navali europee – posizioni chiave come Singapore, Dakar, Malta, Saigon e Aden – stesse per essere spazzata via. In tempo reale, è sorprendentemente difficile capire quando un’era sta finendo e un’altra sta iniziando.

Congelare le flotte

La Seconda guerra mondiale ha l’insolita particolarità di contenere al suo interno due guerre distinte di diversa natura, che furono entrambe i più grandi conflitti della storia nei loro rispettivi tipi. In Europa, la guerra nazi-sovietica fu di gran lunga il più grande e distruttivo conflitto terrestre della storia, mentre la Grande Guerra del Pacifico, combattuta dalle marine imperiali giapponese e americana, fu il più grande conflitto navale mai visto, sia per le dimensioni e la potenza distruttiva delle flotte che per le colossali distanze coinvolte. C’è, tuttavia, uno scollamento relativamente curioso nell’intensità dei preparativi. La guerra nazi-sovietica fu anticipata da intensi programmi di riarmo sia da parte della Germania che dell’Unione Sovietica: sia Hitler che Stalin si affannarono ad armarsi fino ai denti con armi moderne. Nel Pacifico, tuttavia, non ci fu nulla che possa essere considerato una vera e propria corsa agli armamenti. Anzi, era vero piuttosto il contrario e nel periodo tra le due guerre le marine del mondo erano regolate da un programma globale e deliberato di controllo degli armamenti navali.

È forse un po’ controintuitivo e ironico che il più grande conflitto navale-anfibio della storia sia stato preceduto da un lungo periodo di controllo negoziale degli armamenti e di limitazione delle costruzioni navali, ma il programma aveva una logica abbastanza lineare. La costruzione navale si prestava a un tentativo di controllo negoziato, perché i totem – in particolare le navi da guerra – erano molto costosi, avevano tempi di costruzione lunghi ed erano relativamente facili da contare ai fini della verifica della conformità. La limitazione della costruzione di navi capitali aveva quindi un forte appeal come metodo di controllo dei costi – e questo era molto interessante per i governi che erano a corto di liquidità a causa della Grande Guerra – e la relativa facilità di contare le navi e di verificare i limiti di stazza significava che gli accordi potevano essere stipulati con un certo grado di sicurezza che sarebbero stati rispettati.

Un ulteriore elemento curioso della costruzione navale tra le due guerre era il fatto che tutte le marine militari di rilievo, a livello globale o regionale, appartenevano a Stati che erano stati alleati nella Grande Guerra. Nel periodo tra le due guerre c’erano esattamente cinque marine da prendere in considerazione, appartenenti a Gran Bretagna, Stati Uniti, Giappone, Francia e Italia. A questo club estremamente limitato ed esclusivo, si dovevano aggiungere la Germania e la neonata Unione Sovietica, Stati teoricamente in grado di schierare flotte da battaglia, ma che nel periodo tra le due guerre non furono in grado di farlo a causa del crollo generale della loro potenza all’indomani della Prima Guerra Mondiale. Con solo cinque potenti flotte in circolazione e due potenziali aggiunte in un momento successivo, si rivelò relativamente semplice codificare l’equilibrio relativo delle potenze sui mari.

Il risultato che emerse da questo ambiente, in cui sia l’avversione dell’opinione pubblica al militarismo che la necessità dei governi di contenere le spese, fu un accordo del tutto inedito di contenimento negoziale noto semplicemente come “sistema di controllo”. Sistema di Washington, dopo il Trattato navale di Washington, firmato dall’Impero britannico, dagli Stati Uniti, dall’Impero giapponese, dalla Francia e dall’Italia il 6 febbraio 1922 a Washington DC. I redattori e i firmatari erano giustamente orgogliosi di ciò che avevano realizzato, che fu accuratamente salutato come il trattato di controllo degli armamenti più completo e ambizioso mai concepito.

Ciò che risalta del Trattato navale di Washington non è semplicemente il fatto che le cinque potenze navali rimaste al mondo si accordarono per limitare i loro programmi di costruzione, ma lo fecero in modo diseguale, con l’obiettivo di sancire esplicitamente un particolare equilibrio di potere nel mondo. L’essenza del trattato era una triplice restrizione alla costruzione di navi capitali, che stabiliva limiti sia al tonnellaggio totale delle flotte di navi capitali sia al tonnellaggio delle singole classi di navi, stabilendo al contempo una “vacanza navale” di dieci anni in cui non si potevano sostituire le navi capitali esistenti. La vacanza fu poi estesa di cinque anni alla Conferenza navale di Londra del 1930, cosicché per la maggior parte del periodo tra le due guerre non furono varate nuove classi di navi capitali. L’effetto netto fu quello di limitare sia le dimensioni aggregate delle flotte da battaglia sia le dimensioni delle navi che le componevano, bloccando temporaneamente la modernizzazione e ritardando il lancio di nuove classi.

Parti firmatarie della Conferenza navale di Washington

Tuttavia, le parti che si riunirono a Washington concordarono una ripartizione sproporzionata del potere navale che creò esplicitamente qualcosa di simile a un sistema geopolitico formale di potere marittimo. In base al sistema di Washington, in sostanza, la Marina statunitense e la Royal Navy ricevettero ciascuna circa il 30% del tonnellaggio mondiale di navi da guerra (e di conseguenza della potenza di fuoco), mentre i giapponesi ottennero il 20% e gli italiani e i francesi il 10% ciascuno.

L’assegnazione del tonnellaggio totale, combinata con i limiti sul tonnellaggio massimo delle singole navi da guerra, sinergizzava per creare un’aritmetica estremamente trasparente che regolava il numero di navi da guerra nella flotta in questione. Poiché il dislocamento delle navi da guerra era limitato a 35.000 tonnellate, le 525.000 tonnellate totali assegnate alla Marina statunitense e a quella reale significavano che potevano possedere quindici grandi navi da guerra ciascuna, mentre le 315.000 tonnellate totali del Giappone ne consentivano nove. Per rispettare i limiti di stazza, sia i britannici che gli americani furono costretti a demolire molte delle loro vecchie corazzate dreadnought e pre-dreadnought, mentre i britannici dovettero procedere a una riprogettazione delle loro nuove navi da guerra. Nelson-per snellirla.

L’assegnazione del tonnellaggio fu un tentativo di riconoscere formalmente le variegate esigenze strategiche delle parti del trattato, accettando al contempo la realtà dell’equilibrio di potenza esistente. Gli Stati Uniti e i britannici ricevettero assegnazioni di tonnellaggio sproporzionate, essendo le due potenze con impegni veramente globali: la Marina statunitense con i suoi due oceani e i britannici con la loro catena globale di basi. Il Giappone, in quanto “singola potenza oceanica”, ricevette una buona allocazione, mentre i francesi e gli italiani furono bilanciati l’uno contro l’altro in quanto rivali regionali con pari tonnellaggio. Il Sistema di Washington presentava quindi una comprensione concreta degli affari mondiali con il seguente quadro: due grandi marine anglo-americane globali, sostanzialmente uguali, una potenza del Pacifico in Giappone che non era così lontana dalle potenze mondiali, un paio di marine mediterranee di medie dimensioni in Francia e in Italia, e una ex potenza navale umiliata in Germania.

Giudicato esclusivamente come uno strumento per porre un necessario freno alla crescita delle flotte da battaglia mondiali, il sistema di Washington fu un successo sfrenato. Dopo decenni in cui le navi da battaglia erano state continuamente costruite e sempre più grandi, l’era dei trattati bloccò la costruzione navale in una fase di stasi, come se le marine dei partiti fossero state congelate. Trascorse più di un decennio tra la progettazione della nave da guerra britannica del 1922 e la costruzione di una nave da battaglia. Nelson(l’ultima delle classi pre-trattato) e un’ondata di classi post-trattato progettate alla fine degli anni ’30, tra cui le britanniche Re Giorgio V, il francese Richelieu, la famosa Germania Bismarcke i giapponesi Yamatosupercorazzate.

In generale, il punto di arrivo è che l’era dei trattati ha funzionato per preservare temporaneamente l’impressione di una supremazia britannica globale, permettendo al nostro viaggiatore immaginario di sperimentare il mondo dei suoi nonni, girando per il mondo e vedendo solo navi da guerra britanniche in basi britanniche. La posizione della Gran Bretagna in cima al mondo fu preservata non solo grazie agli espliciti rapporti di stazza del sistema dei trattati, ma anche grazie alla disposizione geostrategica delle altre parti. Agli Stati Uniti, ad esempio, era stato concesso un tonnellaggio uguale a quello della Royal Navy, ma il ritorno dell’America a un atteggiamento insulare dopo la Prima Guerra Mondiale ha giocato a sfavore di una robusta costruzione americana. Di conseguenza, allo scadere del sistema dei trattati, la Marina statunitense era di fatto al di sotto del tonnellaggio assegnato.

Forza della flotta, 1939

Gli interessi geostrategici in tutto il mondo si intrecciavano per creare l’impressione di una supremazia britannica. Il Giappone era chiaramente una potenza ambiziosa e revisionista, ma per il momento era confinato in Asia orientale e stava investendo risorse sempre maggiori in una strategia continentale basata sul continente asiatico. Il ritorno volontario dell’America a una politica estera solitaria la lasciava sottopeso. Più vicino a noi, la marina francese e quella italiana pensavano quasi esclusivamente in riferimento l’una all’altra – in effetti, la marina italiana era di gran lunga il braccio più moderno e professionale dell’esercito italiano, ed era stata progettata specificamente per uno scenario in cui l’Italia avrebbe combattuto contro la Francia per il controllo del Mediterraneo occidentale senza il coinvolgimento della Royal Navy. Così, sebbene la proiezione di potenza britannica si affievolisse a est di Singapore, non c’era alcuna ragione discernibile per credere che i nodi centrali del sistema imperiale fossero minacciati.

I progettisti di tutte le grandi marine militari del mondo commisero errori di calcolo con diversi livelli di conseguenza e di gravità. Praticamente tutti, ad eccezione del Giappone, si sarebbero lamentati del fatto che i loro progetti di navi da battaglia post-trattato non erano tutti pronti per l’azione nel 1939. L’ammiraglio Raeder, a Berlino, si fidò della parola di Hitler che la guerra non sarebbe arrivata così presto e fu spinto ad entrare in azione con una mezza flotta. Gli inglesi, da parte loro, furono colti di sorpresa dalla rapida caduta della Francia, che diede alla flotta sottomarina tedesca un facile accesso all’Atlantico, che era mancato nella guerra precedente. Per quanto riguarda gli errori di calcolo americani e giapponesi, sono ben noti e non hanno bisogno di essere enumerati.

Il punto non è che l’era dei trattati sia riuscita a prevenire la guerra, perché è evidente che non l’ha fatto e non poteva farlo. Tuttavia, i trattati hanno svolto un ruolo importante nel contesto interbellico. A livello nazionale, i governi dovettero far fronte sia alle pressioni finanziarie per controllare i bilanci degli armamenti, sia alle pressioni di un’opinione pubblica che in molti casi si era ribellata, in modo netto, al militarismo. Il Trattato navale di Washington e il suo addendum di Londra crearono una risposta esplicita a queste pressioni, offrendo al contempo un equilibrio accettabile che teneva conto delle esigenze relative di generazione di forze delle potenze. La Gran Bretagna e gli Stati Uniti, con i loro impegni in più oceani, potevano trarre conforto dalla superiorità garantita loro dai trattati. Per quanto riguarda il Giappone, la sua flotta poteva raccogliere forse il 70% della forza delle flotte anglo-americane, ma si trattava di un numero che poteva essere sopportato per un certo periodo, sulla base del fatto che non ci si poteva aspettare che né la Royal Navy né la US Navy concentrassero tutte le loro forze nel teatro dell’Asia orientale.

Le corazzate britanniche nel Porto Grande di Malta: fossili viventi di un mondo morente

Questo creava l’illusione di una almeno tenue stabilità, ma soprattutto permetteva di inventariare e valutare la forza materiale in modo relativamente trasparente e uniforme. La valuta di base erano le navi da guerra, ma altri tipi di navi – come cacciatorpediniere, incrociatori e sottomarini – erano ben compresi, ricoprivano ruoli discreti e potevano essere contati con relativa facilità. Ciò che risalta maggiormente del sistema dei trattati è che creava un bilancio della potenza di combattimento apparentemente molto facile da capire.

Ciò che non si capiva bene era che non solo questo tenue equilibrio di potere stava per essere distrutto dagli Stati revisionisti – Germania e Giappone, soprattutto – ma anche che il sistema di misurazione su cui poggiava questo equilibrio stava per essere ridotto alla totale obsolescenza. La pianificazione interbellica si basava sugli inventari di navi capitali e sulla forza prevista della linea di battaglia principale. In Giappone e negli Stati Uniti si parlava di combattere un “secondo Jutland” nel Pacifico: un titanico duello di artiglieria navale, nella tradizione di Tsushima e Trafalgar. Gli ammiragli avrebbero ottenuto qualcosa di simile a ciò che si aspettavano e l’incombente guerra del Pacifico sarebbe stata intensamente incentrata sulla battaglia, ma sarebbero state le portaerei a deciderne l’esito.

Il Sol Levante: Il Giappone e la rivoluzione dei vettori

È banalmente ovvio che le portaerei siano diventate sistemi d’arma fondamentali e determinanti nell’eventuale guerra del Pacifico tra l’Impero giapponese e gli Stati Uniti. La loro potenza fu sottolineata fin dall’inizio dall’attacco giapponese a Pearl Harbor, che dimostrò la potenza d’urto senza precedenti dell’aviazione navale, e negli anni successivi la portaerei è diventata il sistema d’arma americano fondamentale: La supremazia navale dell’America è stata raggiunta vincendo la prima e unica grande guerra delle portaerei, e la proiezione di potenza americana trova oggi la sua forma più imponente e famigerata nei gruppi di portaerei, che danno alla US Navy la capacità unica di portare una colossale potenza cinetica quasi ovunque nel mondo.

In effetti, la portaerei è una piattaforma talmente potente, costosa e unica per la proiezione della forza che a noi sembra banale che l’aviazione navale abbia creato una rivoluzione totale nel combattimento navale, ma questo non era affatto ovvio per le ammiraglie nel periodo tra le due guerre. Era ovviamente ovvio che l’aviazione navale avrebbe giocato un ruolo importante nei conflitti futuri, ma l’idea che le portaerei avrebbero quasi immediatamente spinto le corazzate di grosso calibro verso l’obsolescenza totale era ampiamente considerata assurda. La progettazione delle portaerei, le teorie sulle operazioni delle portaerei e le tattiche delle operazioni navali seguirono invece un’evoluzione incrementale durante il periodo tra le due guerre, avanzata in gran parte dalle marine giapponesi e americane, che videro la portaerei fare il salto da un tipo di nave ausiliaria a una piattaforma cinetica fondamentale.

Alla fine della Grande Guerra l’aviazione navale era ancora in uno stato decisamente rudimentale: le marine alleate – in primo luogo quella britannica – operavano con una manciata di portaerei e tender per idrovolanti improvvisati, che servivano principalmente come sistemi di ricognizione. Le portaerei cominciarono a proliferare solo durante l’era dei trattati, grazie alle disposizioni che consentivano di convertire in portaerei gli scafi delle navi da battaglia allora in costruzione. Il Giappone Akagi eKaga e la Marina Militare degli Stati Uniti LexingtonSaratogafurono tra le portaerei della flotta ad essere costruite nell’area del trattato su scafi destinati alle navi da battaglia. Gli aerei, tuttavia, non avevano ancora dimostrato di essere in grado di fornire una potenza di fuoco anche solo lontanamente paragonabile a quella delle potenti artiglierie navali delle navi capitali dell’epoca, per cui le prime teorie sulle operazioni delle portaerei si concentrarono sul potenziale degli aerei di amplificare la potenza di fuoco della linea di battaglia principale. A causa del ridotto numero di portaerei allora in servizio, queste teorie furono elaborate principalmente in giochi da tavolo piuttosto che attraverso esercitazioni di flotta.

Negli anni Venti, durante l’era dei trattati, il pensiero giapponese cominciò a convergere sull’aspettativa di una “battaglia aerea” sulla zona di combattimento delle flotte di superficie in duello. Questa linea di pensiero prevedeva che, in un futuro scontro tra flotte di navi da guerra, gli aerei avrebbero svolto un ruolo cruciale come piattaforme di avvistamento, fornendo un occhio nel cielo per regolare la precisione dei grandi cannoni della flotta. Poiché l’artiglieria navale era ormai progettata per operare a distanze estreme che mettevano a dura prova anche le più moderne ottiche di bordo, il vantaggio di mantenere uno schermo di aerei di avvistamento sulla zona di battaglia era ovvio. Secondo il pensiero giapponese, quindi, la parte che riusciva a controllare il cielo sopra la battaglia di superficie avrebbe goduto di un’armamento significativamente migliore e quindi avrebbe dovuto prevalere nel duello di artiglieria. Se aveste chiesto a un ammiraglio giapponese a metà degli anni Venti quale potesse essere il ruolo della portaerei in un futuro impegno di flotta, vi avrebbe suggerito di lanciare i caccia per scacciare gli aerei di avvistamento nemici e proteggere quelli amici, prevedendo che la parte che avesse ottenuto il controllo dello spazio aereo avrebbe goduto di un cannoneggiamento più preciso e quindi più letale come ricompensa.

IJN Akagi nel 1929: Costruita a partire da uno scafo di un incrociatore da battaglia convertito, inizialmente aveva tre ponti di volo e nessuna isola.

La teoria secondo cui il controllo dello spazio aereo al di sopra della battaglia di tiro avrebbe fornito un vantaggio potenzialmente decisivo lasciò naturalmente spazio alla fase successiva della riflessione sull’aviazione navale, in cui poteva rivelarsi decisivo attaccare le portaerei del nemico all’inizio della battaglia, ottenendo così il controllo dell’aria fin dall’inizio. L’elemento cardine era la relativa vulnerabilità delle portaerei agli attacchi aerei. All’inizio degli anni Trenta non ci si aspettava che gli aerei fossero in grado di affondare o neutralizzare facilmente navi da battaglia pesantemente corazzate. Le portaerei, invece, non avevano bisogno di essere affondate per essere neutralizzate come mezzi da combattimento: bastava danneggiare il ponte di volo e le strutture degli hangar per impedire alla portaerei nemica di lanciare i suoi aerei. In questo schema operativo, le portaerei giapponesi avrebbero lanciato un attacco alle portaerei nemiche all’inizio della battaglia, colpendo i loro ponti di volo per ritardare il lancio del nemico o impedirlo del tutto. Avendo acquisito il controllo dello spazio aereo fin dall’inizio, i caccia e gli osservatori giapponesi sarebbero stati liberi di sorvolare la battaglia a cannone e di fare fuoco sulla linea di combattimento giapponese.

I giapponesi non erano certo i soli a giungere a questa conclusione. Già nel 1921, il Naval War College degli Stati Uniti aveva stabilito che l’affondamento o la neutralizzazione delle portaerei nemiche all’inizio della battaglia era il modo migliore per ottenere il controllo aereo dello spazio di battaglia; come nel caso giapponese, tuttavia, ciò era considerato auspicabile come mezzo per fornire un avvistamento per le cannoniere di superficie. Mentre gli appassionati di navi da guerra continuavano a dominare in entrambe le marine (il cosiddetto “club dei cannoni”), è degno di nota il fatto che nel 1930 i teorici delle flotte giapponesi e americane erano giunti, con livelli diversi di impegno, a credere che gli attacchi preventivi alle portaerei nemiche sarebbero stati un elemento decisivo della battaglia.

La domanda diventa quindi, piuttosto chiaramente, perché furono i giapponesi – una potenza molto più povera e meno industrializzata – a sviluppare per primi e in modo più completo i pacchetti di portaerei di massa che si sarebbero rivelati così decisivi nel Pacifico? La realtà – e il punto paradossale su cui stiamo conducendo l’intera discussione – è che lo sviluppo dell’aviazione navale di massa giapponese ha completamente stravolto i calcoli interbellici sulla potenza navale. Il Sistema di Washington dell’epoca dei trattati era stato concepito per calcificare una gerarchia percepita della potenza navale che poneva gli anglo-americani all’apice, ma questa gerarchia era esplicitamente misurata in termini di tonnellaggio delle navi da guerra. In base ai pesi e agli inventari delle flotte da battaglia, la Royal Navy si auto-percepiva come la forza navale più potente del mondo. In realtà, però, nel 1941 l’Armata Aerea Navale Giapponese costituiva la singola risorsa offensiva più potente messa in campo da una qualsiasi delle grandi marine del mondo.

Il percorso del Giappone verso lo sviluppo della più formidabile forza d’urto navale del mondo è stato caratterizzato, non a caso, da una miscela unica di teoria, opportunismo materiale ed esperienza di combattimento, che in questo caso si è svolta in Cina. In questo caso, il problema era particolarmente multivariato, perché richiedeva non solo lo sviluppo di una flotta di portaerei e di sistemi tattici appropriati, ma anche degli aerei e dei piloti necessari per farli funzionare.

Le portaerei giapponesi della Grande Guerra del Pacifico erano prevalentemente un’arma offensiva, in grado di proiettare un’enorme potenza d’urto su lunghe distanze. Tuttavia, l’aviazione navale giapponese fu inizialmente animata da problemi di natura difensiva. La questione, molto semplicemente, era come il Giappone potesse impedire a un avversario di portare le proprie corazzate e portaerei fino al litorale delle isole. All’inizio del 1930, il commodoro Toshio Matsunaga (all’epoca ufficiale su una delle prime portaerei giapponesi, la Akagi) ha scritto un articolo sulla rivista navale Yushuche sosteneva che i bombardieri terrestri a lungo raggio avrebbero potuto svolgere un ruolo difensivo essenziale, consentendo all’aviazione terrestre giapponese di attaccare, distruggere una flotta nemica in arrivo mentre questa era ancora in mare. Egli sosteneva – in modo iperbolico, ma comunque in una direzione generalmente corretta – che un’adeguata forza di bombardieri a lungo raggio che operasse dalle isole britanniche, integrata da una manciata di portaerei, avrebbe reso il Giappone quasi impossibile da invadere.

Ciò coincideva con la sensibilità dell’ufficiale di marina forse più famoso e famigerato del Giappone. Nel 1930, il contrammiraglio Isoroku Yamamoto era a capo dell’Ufficio Tecnologia del Dipartimento dell’Aviazione Navale. Anche lui, come Matsunaga, vedeva nei bombardieri a lungo raggio un espediente difensivo fondamentale, ma prevedeva anche il giorno in cui il Giappone avrebbe iniziato a militarizzare le sue isole in Micronesia trasformandole in una catena di basi aeree. In questo scenario, Yamamoto vedeva i bombardieri terrestri a lungo raggio, operanti dalla catena di isole più esterna, come un sistema per proiettare il potere d’attacco lontano nel Pacifico. In caso di guerra con gli Stati Uniti, un tale sistema di attacco a largo raggio avrebbe permesso al Giappone di contenere o addirittura attaccare preventivamente la ben più grande flotta americana. A differenza di Matsunaga, tuttavia, Yamamoto aveva una posizione che gli consentiva di convogliare aggressivamente risorse ed energie nello sviluppo di un bombardiere a lungo raggio adatto ai compiti previsti.

Yamamoto

Possiamo segnare lo sviluppo della sensibilità tattica del Giappone e la sua deriva verso l’ultranazionalismo con alcuni momenti chiave a metà degli anni Trenta. Nel 1934, il Giappone si ritirò dalla Società delle Nazioni e abrogò gli obblighi previsti dai trattati, compresi i limiti di stazza delle navi da guerra del Sistema di Washington. Poco dopo, si verificarono due sviluppi tecnici cruciali. Nel 1935, la Marina iniziò a sollecitare progetti per una nuova classe di navi da battaglia che avrebbe superato in modo esorbitante i limiti convenzionali di dimensioni, corazzatura e armamenti. Le navi che emersero da questo concorso di progettazione divennero le famose supercorazzate giapponesi. YamatoMusashi: le navi da battaglia più grandi e più armate mai costruite. Nello stesso anno, l’azienda Mitsubishi condusse con successo i voli di prova del nuovo aereo d’attacco terrestre G3M Type 96, noto agli americani con il nome di battaglia “Nell”.

Il Yamatoera una nave che meritava ogni singolo appellativo di enormità: colosso, gargantuesca, mostruosa, scegliete voi. Era grande. Con oltre 70.000 tonnellate di dislocamento, era quasi il 40% più grande di qualsiasi altra nave ancora in servizio. Rispetto al programma della super nave da guerra, il bombardiere G3M appariva certamente più piccolo, con un peso relativamente contenuto di 17.000 libbre. Eppure “Nell” era molto più rivoluzionaria e avrebbe generato un valore incommensurabilmente maggiore in combattimento rispetto all’enorme Yamato. Il nuovo bombardiere offriva un’allettante coppia di capacità, con un raggio d’azione di circa 2.700 miglia e un carico utile di 1.800 libbre di bombe o di un siluro sganciato dall’aria. Il G3M1 non solo era in grado di colpire più lontano e più forte di qualsiasi altra cosa presente nelle scorte giapponesi, ma era anche più veloce dei caccia esistenti. In effetti, il G3M spinse alcuni ufficiali giapponesi a sostenere che i caccia erano ormai obsoleti, poiché non avevano la velocità e il raggio d’azione necessari per intercettare i bombardieri nemici o per scortare gli amici.

Per quanto possa sembrare strano, sia Yamamoto – che guidò personalmente lo sviluppo del programma di bombardieri a lungo raggio – sia gli ufficiali del “club dei cannoni”, che bramavano le pesanti super-battaglie, stavano cercando di risolvere lo stesso problema: come il Giappone potesse pareggiare le probabilità contro una flotta americana numericamente superiore. Una serie di giochi di guerra condotti nel decennio precedente aveva confermato ciò che i giapponesi già temevano: in una battaglia tra navi da guerra armate di qualità approssimativamente simile, la flotta più grande vincerà essenzialmente sempre. Nessuno era in grado di escogitare una soluzione tattica che potesse annullare i vantaggi dell’America, così i giapponesi cercarono soluzioni altrove. Per gli ufficiali del “club delle armi”, la risposta risiedeva nel vantaggio qualitativo delle super-navi da guerra, che sarebbero state in grado di superare il nemico. Per i sostenitori del potere aereo come Yamamoto, invece, la soluzione consisteva nel cambiare la composizione delle forze navali giapponesi aumentandole con la potenza d’urto dei bombardieri a lungo raggio.

IJN Yamato: Una super arma o un costoso ornamento?

Alcuni dei sostenitori del potere aereo tendevano a esagerare con la retorica. In un certo senso questo era naturale: molti dei sostenitori dell’aviazione erano ufficiali più giovani che si sentivano soffocati dall’ortodossia corazzata dell’alto comando. Uno di questi giovani ufficiali, Minoru Genda, arrivò a scrivere un saggio in cui sosteneva che la marina avrebbe dovuto essere costruita intorno all’aviazione, con l’intera flotta di navi da battaglia demolita o demolita come moli. Questa affermazione era un po’ troppo dura e naturalmente provocò una raffica di critiche che non giovarono alla causa dei sostenitori dell’aviazione. Yamamoto, parlando nel 1934 a una classe di nuovi piloti, lanciò un insulto più sottile, ma comunque sprezzante, al club delle armi:

È consuetudine delle famiglie benestanti esporre splendidi oggetti d’arte nei loro salotti. Tali oggetti non hanno alcun valore pratico, eppure queste famiglie ne traggono un certo prestigio. Allo stesso modo, il valore pratico delle navi da guerra è diminuito, ma le marine militari di tutto il mondo continuano a tenerle in grande considerazione e mantengono il loro simbolismo come indicatore della potenza navale. Voi giovani aviatori non dovreste insistere per l’abolizione della nave da guerra, ma piuttosto dovreste considerarla come una decorazione per il nostro salotto.

Si trattava, ovviamente, di speculazioni. Nel 1934, il Giappone non aveva né i modelli di aerei necessari, né i metodi tattici, né gli aviatori esperti per eclissare totalmente la nave da guerra come arma d’attacco preferita. Tuttavia, erano ormai in corso eventi che spingevano in quella direzione. Lo sviluppo del bombardiere G3M fu un passo importante, non tanto perché il “Nell” sarebbe stato un’arma importante (il G3M era prossimo all’obsolescenza quando iniziò la guerra del Pacifico nel 1941), ma perché cambiò completamente i requisiti di progettazione degli aerei giapponesi, in particolare dei caccia.

In precedenza, la missione dei caccia doveva essere limitata a uno spazio di battaglia immediato, orientato alla superficie. Il compito del caccia, in particolare, doveva essere quello di inseguire gli aerei di avvistamento nemici lontano dalla battaglia navale, il che significava che non erano necessarie gittate esorbitanti. Ma se bombardieri a lungo raggio come NellSe il raggio d’azione dell’aviazione navale fosse stato spostato di un migliaio di miglia o più, è chiaro che i caccia avrebbero dovuto essere in grado di tenere il passo se volevano mantenere un ruolo.

Nel 1937, il Dipartimento dell’Aviazione Navale iniziò a cercare un progetto di una complessità senza precedenti. Serviva un caccia con la velocità e la potenza di fuoco necessarie per abbattere i bombardieri nemici, la resistenza necessaria per scortare il G3M nelle missioni a lungo raggio e la manovrabilità necessaria per sconfiggere i caccia nemici che avrebbe potuto incontrare durante lo svolgimento di questi compiti, il tutto in un aereo in grado di operare da una portaerei. I requisiti specifici di progettazione (una velocità massima di 270 nodi, una velocità di atterraggio inferiore a 58 nodi, una distanza di decollo di soli 230 piedi, oltre a varie specifiche di autonomia, armamento e manovrabilità) misero a dura prova gli ingegneri, ma il risultato fu uno dei grandi aerei della storia: il G3M. A6M Zero.

Il Zeroè un aereo che ha attraversato cicli di affetto e repulsione nella storiografia, il che riflette gli enormi compromessi che il team di progettazione Mitsubishi dovette fare per raggiungere le specifiche del progetto. Il problema di base era che i requisiti di progettazione erano fondamentalmente contraddittori: l’autonomia e l’armamento richiesti richiedevano un aereo grande e pesante, mentre le specifiche di manovrabilità e velocità indicavano un veicolo piccolo e leggero. Per conciliare queste esigenze, il team di progettazione fu costretto a cercare di ridurre il peso dell’aereo in modo spietato. Questo obiettivo fu parzialmente raggiunto grazie a innovazioni aerodinamiche come la rivettatura a filo e il carrello d’atterraggio retrattile, a leghe innovative di zinco-alluminio e a un serbatoio ausiliario di carburante sganciabile, ma anche a un’armatura sostanzialmente totale dello Zero, compresa la protezione per il pilota e il serbatoio del carburante.

Il risultato fu un’iconica miscela di manovrabilità, autonomia, potenza ed estrema fragilità. Lo Zero era l’incarnazione del “cannone di vetro”: aveva una manovrabilità e un raggio d’azione senza precedenti e vantava una potente coppia di cannoni da 20 mm montati sulle ali, ma era coperto da singoli punti di guasto, dove un singolo colpo avrebbe fatto precipitare l’intero aereo. Lo stereotipo generale degli aerei nella guerra del Pacifico – quello di velivoli giapponesi altamente manovrabili che si incendiano al primo contatto con le bestie americane più lente ma robuste – è certamente valido per quanto riguarda lo Zero. Il progetto presentava anche altri inconvenienti: per ironia della sorte, il peso ridotto dello Zero significava che aveva una velocità di picchiata relativamente bassa, il che lo poneva di fronte al grave svantaggio di non riuscire a fuggire quando i caccia americani lo superavano.

Il Mitsubishi A6M Zero: un velivolo controverso ma rivoluzionario che ha spinto i compromessi progettuali al limite

Lo Zero tende a suscitare ammirazione o condanna, segno che si trattava di un progetto innovativo e all’avanguardia. I critici hanno ragione quando sottolineano che si trattava di un aereo estremamente fragile che ha contribuito al logoramento degli aviatori giapponesi, ma questo era più o meno inevitabile. La progettazione di un aereo comporta sempre una serie di compromessi tra prestazioni e protezione, e le specifiche di progetto stabilite dal team di Yamamoto al Dipartimento dell’Aviazione Navale garantivano praticamente un cannone di vetro. Il nostro scopo non è quello di fare un’autopsia dello Zero, ma di dimostrare che lo sviluppo del bombardiere a lungo raggio G3M diede il via a un’ondata di nuovi progetti, tra cui lo Zero, che fornirono ai giapponesi una serie impressionante di mezzi d’attacco a lungo raggio e basati su portaerei. Questi aerei, tra cui il bombardiere da trasporto D3A (“Val”) e l’aerosilurante B5N (“Kate”), entrarono tutti in servizio nel 1937 e nel 1938, mentre gli ufficiali del club dei cannoni festeggiavano la costruzione dell’aerosilurante G3M. Yamato.

Gli enormi passi avanti compiuti dai progettisti giapponesi diedero alla marina il nucleo di una formidabile potenza d’attacco, ma gli sviluppi tattici furono altrettanto significativi. I giapponesi furono la prima potenza navale a giungere alla conclusione di pacchetti d’attacco misti e massificati: vale a dire, pacchetti d’attacco composti da un gran numero di velivoli di tipo misto (aerosiluranti, bombardieri convenzionali e in picchiata e caccia di scorta) lanciati simultaneamente in un attacco consolidato, se possibile da più portaerei. L’orientamento tattico verso gruppi d’attacco massicci e consolidati di portaerei, piuttosto che verso divisioni di portaerei disperse, fu un passo cruciale che diede alle forze navali giapponesi la loro forza offensiva all’inizio della Guerra del Pacifico, e derivò in gran parte dall’esperienza giapponese in Cina.

La guerra del Giappone in Cina è spesso dimenticata dai ricordi popolari della Seconda guerra mondiale, anche se per l’esercito imperiale giapponese la Cina fu il primo e più importante teatro di guerra. Fino all’estate del 1945, quando caddero le bombe atomiche, c’erano milioni di giapponesi e un grande apparato di occupazione attivi in Cina. Nella misura in cui gli occidentali conoscono il teatro cinese, la conoscenza tende a limitarsi alle vignette delle atrocità giapponesi, come i massacri di Nanchino.

Affrontare la strategia continentale del Giappone e le guerre sino-giapponesi va ovviamente ben oltre il nostro scopo in questa sede. Si trattò di un conflitto di otto anni in uno spazio continentale che causò decine di milioni di vittime. Per i nostri scopi, tuttavia, i primi anni di quella guerra (1937-1940) sono immensamente importanti perché hanno funzionato come un laboratorio per il potere aereo giapponese.

Due fattori, in particolare, resero la guerra aerea giapponese sulla Cina particolarmente istruttiva per la marina. Innanzitutto, sebbene i cinesi possedessero una modesta forza aerea (equipaggiata principalmente con velivoli americani dei primi anni ’30, tra cui i Curtiss Hawk e gli adorabili Boeing P-26 Peashooter), i giapponesi non temevano la capacità della Cina di attaccare le loro navi in mare. Questo permise ai giapponesi di stazionare diverse portaerei in mare aperto, tra cui la KagaRyujo, e Hosho. Operando in un ambiente essenzialmente “sicuro”, questi complementi aerei giapponesi furono in grado di acquisire una preziosa esperienza nell’attaccare obiettivi terrestri. Tuttavia, le portaerei allora in servizio avevano un raggio d’azione limitato e avevano difficoltà a colpire a profondità significative. Ciò rendeva particolarmente importante il secondo fattore, ovvero la vicinanza del teatro cinese alle basi terrestri giapponesi. Per colpire in profondità, la Marina poté ricorrere a gruppi aerei terrestri che operavano dalle isole nipponiche, dalle basi nella penisola coreana e da Taiwan. A differenza delle portaerei esistenti, con le loro gambe corte, questi gruppi aerei terrestri operavano con i nuovissimi bombardieri G3M a lungo raggio ed erano in grado di spaziare in profondità nello spazio cinese.

La guerra in Cina permise quindi alla Marina giapponese di sperimentare sia le operazioni basate sulle portaerei sia i bombardamenti strategici a più lungo raggio effettuati dai gruppi di terra. I risultati sarebbero stati molto istruttivi, non perché la campagna aerea giapponese funzionò, ma perché subì perdite enormi. Nei primi quattro mesi della guerra aerea giapponese (estate 1937) i giapponesi persero ben 229 aerei sulla Cina. La capacità dei bombardieri giapponesi di spingersi in profondità nelle retrovie cinesi, conducendo quella che era essenzialmente la prima campagna di bombardamento strategico al mondo, fu una rivelazione per il mondo, ma dietro le quinte la Marina era preoccupata per l’inaspettato alto tasso di perdite tra gli equipaggi dei bombardieri.

Le elevate perdite dei bombardieri G3M in Cina convinsero i giapponesi della necessità di un caccia di scorta a lungo raggio e di voli massicci di bombardieri.

Le ragioni di queste perdite allarmanti sono molteplici. Gli ufficiali giapponesi avevano drasticamente sovrastimato il potenziale distruttivo dei bombardieri e all’inizio della guerra tendevano a inviarli in pacchetti d’attacco molto piccoli, spesso anche solo tre bombardieri alla volta. Questi piccoli voli, uniti alla mancanza di disciplina nella formazione, rendevano i bombardieri estremamente vulnerabili agli intercettori cinesi. I piloti giapponesi non avevano esperienza di volo in formazioni più grandi e coese che forniscono protezione reciproca e massimizzano la potenza di fuoco difensiva dei bombardieri. Inoltre, la pratica di inviare piccoli pacchetti d’attacco uno dopo l’altro non era semplicemente efficace e non riusciva a mettere fuori uso le basi aeree cinesi come ci si aspettava; di conseguenza, gli intercettori cinesi continuavano ad alzarsi per affrontare gli aerei giapponesi in arrivo.

La ragione più importante dell’alto tasso di perdite del Giappone all’inizio della guerra, tuttavia, fu la totale assenza di caccia di scorta. Si trattava in parte di un fallimento della pianificazione: la Marina aveva ipotizzato che i veloci bombardieri G3M potessero superare gli intercettori cinesi e quindi non avessero bisogno di scorte. Il problema più grande, tuttavia, era che i giapponesi nel 1937 semplicemente non avevano un caccia con la resistenza necessaria per fornire una scorta nelle missioni a lungo raggio. Sebbene alla fine del 1937 fosse disponibile un caccia provvisorio, l’A5M, per fornire una scorta a medio raggio, era appena entrato in servizio prima che la Marina cominciasse a sollecitare progetti per una soluzione più completa, che divenne lo Zero.

I giapponesi furono i primi tra le forze aeree mondiali a scoprire che i bombardieri senza scorta sono intrinsecamente vulnerabili agli intercettori. La Royal Air Force imparò la stessa lezione nel 1939, quando più della metà di un volo di bombardieri Wellington fu abbattuto dai caccia della Luftwaffe sulla baia di Helgoland. Quella disastrosa battaglia aerea fu talmente segnata che la RAF rinunciò del tutto ai bombardamenti diurni e iniziò a operare solo di notte. Nel 1940, i ruoli si sarebbero scambiati e i tedeschi avrebbero perso gran parte del loro inventario di bombardieri contro gli Spitfire e gli Hurricane britannici nella Battaglia d’Inghilterra. Le perdite dei bombardieri americani furono altrettanto atroci nelle prime fasi della campagna aerea sulla Germania.

Il Giappone imparò presto questa lezione, nei cieli sopra la Cina, e ne trasse diversi importanti elementi d’azione. In primo luogo, era assolutamente chiaro che una campagna aerea di successo richiedeva un caccia con una resistenza tale da poter contrastare i bombardieri. L’introduzione dell’A5M contribuì a ridurre quasi immediatamente le perdite dei bombardieri, ma i giapponesi avrebbero atteso con impazienza il lancio dello Zero per avere un caccia in grado di operare alla massima profondità. In secondo luogo, era ovvio che la scala dei pacchetti d’attacco dovesse aumentare. Questo sia per aumentare la coesione difensiva dei bombardieri, creando formazioni dense e di supporto reciproco, sia perché le prime esperienze in Cina dimostrarono che i piccoli voli di bombardieri non erano in grado di fare i danni sperati.

Sommando il tutto, si scopre che l’aviazione navale giapponese divenne rapidamente più sofisticata e in grado di operare su larga scala. Il Giappone entrò in Cina lanciando piccoli voli di bombardieri senza scorta contro obiettivi lontani nelle retrovie cinesi. La portata era impressionante, ma le perdite erano elevate e i risultati deludenti. Nel 1940, questi piccoli gruppi aerei avevano lasciato il posto a gruppi aerei combinati, che a loro volta si erano trasformati in flotte aeree, ammassando grandi pacchetti d’attacco con scorte organiche di caccia. Questo, a sua volta, comportò l’adozione sistematica di disposizioni tattiche standardizzate, in gran parte incentrate su una sequenza di triangoli scaleni annidati che garantivano flessibilità e supporto reciproco.

Le interviste con i piloti della Marina giapponese catturati hanno rivelato un tema comune e inaspettato: i piloti veterani hanno insistito sul fatto che avevano sviluppato una forma di telepatia mentale che permetteva loro di anticipare le azioni dei loro compagni di volo in combattimento. Si dice che questo fenomeno fosse particolarmente pronunciato nei 3 caccia. ShotaiMolti piloti insistevano sul fatto che potevano coordinarsi con i loro due compagni senza parlare. La spiegazione di ciò (e i piloti giapponesi sembravano crederci davvero) è abbastanza ovvia: il rigoroso addestramento e l’ampia esperienza nella guerra aerea sulla Cina avevano condizionato gli aviatori giapponesi a vedere le situazioni tattiche allo stesso modo, mentre le lunghe ore di volo insieme avevano instillato un impressionante livello di coesione dell’unità.

Nel 1939, la Marina imperiale giapponese aveva sviluppato la base materiale per il suo principale pugno offensivo. Le pesanti perdite subite dalla flotta di bombardieri a lungo raggio all’inizio della campagna aerea in Cina avevano dato il via allo sviluppo del caccia Zero, capace e dalle lunghe gambe, e il basso livello di danni dei piccoli e dispersi raid dei bombardieri aveva convinto la Marina che solo pacchetti d’attacco massicci di tipi di velivoli misti avrebbero potuto ottenere in modo affidabile un effetto decisivo. La dottrina giapponese puntava su un attacco concentrato e graduale da parte di tutti i tipi di velivoli interessati, preferibilmente in un attacco preventivo all’inizio della battaglia, per vincere la battaglia aerea decisiva prima che iniziasse. Non appena l’obiettivo veniva avvistato, il pacchetto d’attacco si disperdeva. I caccia avrebbero spazzato via le pattuglie aeree da combattimento del nemico e avrebbero bombardato il ponte e il ponte di volo delle portaerei nemiche per ritardare il contro-lancio. Nel frattempo, i bombardieri orizzontali sarebbero scesi sopra l’obiettivo per fornire copertura ai bombardieri in picchiata, che avrebbero iniziato le loro picchiate da 10.000 piedi, sganciando le bombe a soli 1.600 piedi sopra l’obiettivo. Contemporaneamente, un’ondata di siluri sarebbe stata lanciata da più angolazioni.

I giapponesi arrivarono all’attacco di massa per due motivi: uno tattico e uno operativo. A livello tattico, le esercitazioni avevano dimostrato che le navi potevano eludere gli attacchi di minore intensità se gestiti con abilità, in particolare quando si trattava di attacchi con siluri. Sottoponendo il nemico a un’ondata di siluri, bombardamenti in picchiata, bombardamenti orizzontali e strafing, tutti da angolazioni diverse, si poteva sopraffare sia la manovra che il fuoco difensivo del nemico. Si trattava di un metodo di attacco incredibilmente disorientante che tendeva a paralizzare il processo decisionale del nemico. Dal punto di vista operativo, si riteneva che valesse la pena di “gettare l’acqua sporca” sulle portaerei nemiche, in particolare, perché l’aviazione navale si era ormai impegnata a fondo nell’idea della battaglia aerea decisiva, in cui la neutralizzazione delle portaerei nemiche al primo colpo era l’asse portante della vittoria. Se, senza un pizzico di iperbole e di esagerazione, il destino dell’impero si basava sulla capacità di sferrare colpi da ko alle portaerei nemiche, allora non c’era motivo di non inviare il più grande pacchetto d’attacco possibile.

C’era ancora un ostacolo. La trasformazione delle forze aeree navali giapponesi tra il 1937 e il 1941 fu incredibile, con l’introduzione di nuovi velivoli a lungo raggio, l’emergere di un metodo di pacchetti d’attacco massicci e l’impegno ad attaccare in massa e preventivamente i gruppi di portaerei del nemico. Il problema era che questi sviluppi erano essenzialmente guidati dall’aviazione navale, piuttosto che dal comando della flotta. L’aviazione navale, in un certo senso, aveva anticipato la marina in generale, tanto che il braccio aereo aveva ambizioni e capacità che si discostavano dai principi formali della teoria navale giapponese. L’Accademia di Stato Maggiore della Marina e lo Stato Maggiore cercarono di tenere il passo, emanando “Istruzioni di battaglia” formali. È evidente, tuttavia, che la forza aerea navale non poteva operare indipendentemente dalla marina in quanto tale.

Più precisamente, l’aeronautica voleva concentrare le risorse aeree in pacchetti d’attacco massicci, mentre la marina voleva disperdere le portaerei per la propria protezione. C’erano teorie interessanti da entrambe le parti. I fautori della dispersione sostenevano che i vantaggi dell’ammassamento della potenza d’attacco erano compensati dalla minaccia per le portaerei: se il nemico fosse riuscito a catturarle, l’intera flotta di portaerei sarebbe stata a rischio. Altri sostenevano che la dispersione delle portaerei le rendeva in realtà più vulnerabili, perché una portaerei che operava in modo indipendente poteva essere catturata e attaccata da una flotta aerea nemica numericamente superiore.

Quando la guerra in Cina iniziò nel 1937, le conclusioni dei giochi di guerra e delle esercitazioni della flotta sostenevano la dispersione, ma l’ineluttabile conclusione che i bombardieri dovevano essere ammassati per poter infliggere danni decisivi spinse inesorabilmente la Marina verso la concentrazione. Un potenziale compromesso era quello di mantenere le portaerei ragionevolmente disperse, ma far sì che i loro pacchetti d’attacco si riunissero e si ammassassero per attaccare. Tuttavia, le esercitazioni della flotta condotte nel 1939-40 dimostrarono che era estremamente difficile coordinare attacchi in massa da portaerei disperse, mentre le comunicazioni radio a lungo raggio tra le portaerei sparse rischiavano di allertare il nemico della loro presenza. Inoltre, il lancio da portaerei molto disperse riduceva la portata dell’attacco, perché gli aerei erano costretti a sprecare carburante per assemblarsi.

La IJN Akagi nel 1941, dopo il suo riallestimento, con un unico ponte di volo e la familiare torre di controllo dell’isola.

I giapponesi si stavano lentamente ma inesorabilmente orientando verso una dottrina di concentrazione delle portaerei, con alcuni compromessi. Le portaerei erano organizzate in “divisioni” di due portaerei ciascuna e nel 1940 la Marina era orientata verso una soluzione in cui le portaerei all’interno delle divisioni sarebbero state concentrate (cioè due portaerei che navigavano vicine), ma le divisioni erano ampiamente separate l’una dall’altra. La teoria – mai attuata – prevedeva che tre divisioni (quindi sei portaerei in totale) si muovessero in una forma approssimativamente triangolare, con l’obiettivo di catturare la flotta nemica al centro e di attaccare concentricamente con pacchetti di attacco da diverse angolazioni. Tuttavia, la guerra iniziò prima che ci fosse l’opportunità di implementare o praticare formalmente questa formazione, così la formazione idealizzata per le portaerei giapponesi quando si concentravano per l’azione divenne la molto più semplice “scatola”, che disponeva le portaerei in un rettangolo con spazi di circa 7.000 metri (poco più di quattro miglia) tra di loro.

Nel giugno 1940, tuttavia, più o meno nello stesso periodo in cui i panzer tedeschi stavano tagliando la Francia, il contrammiraglio Jisaburō Ozawa scrisse una lettera al ministro della Marina per esortarlo a formare una flotta aerea unificata che mettesse tutte le forze aeree della Marina, comprese tutte le portaerei, sotto un unico comando. La mossa aveva lo scopo di scavalcare l’ammiraglio Yamamoto (promosso comandante in capo della flotta combinata nel 1939) e di forzare la mano. Yamamoto, per ovvie ragioni, fu contrariato dalla manovra di Ozawa, ma nel dicembre 1940 autorizzò il concetto di flotta aerea e pose definitivamente fine al persistente dibattito tra concentratori e distributori.

La riorganizzazione comportò una serie di modifiche alle flottiglie aeree terrestri della Marina, ma il cambiamento più importante avvenne nell’aprile 1941, con la formazione della Prima flotta aerea. Inizialmente composta da tre divisioni di portaerei (a cui se ne aggiunse una quarta in settembre con l’entrata in servizio della ShokakuZuikaku), la Prima Flotta Aerea costituì, fin dal momento della sua creazione, la più potente concentrazione di potenza aerea navale sulla terra. Comprendeva tutte e sette le portaerei della flotta giapponese (più tre portaerei leggere di scorta), con un inventario combinato di 137 caccia, 144 bombardieri in picchiata e 183 aerosiluranti. Nemmeno la Flotta del Pacifico degli Stati Uniti poteva vantare una simile concentrazione di potenza aerea.

Nel 1941, con la creazione della Prima Flotta Aerea, la Marina Imperiale Giapponese aveva completato una serie di sviluppi rivoluzionari che le avevano conferito una concentrazione di potenza d’attacco senza pari. Tra questi, ma non solo, la determinazione a schierare un caccia a lungo raggio per fornire scorte in profondità, la necessità di ammassare bombardieri e creare pacchetti d’attacco misti su scala, sistemi tattici per attaccare le navi nemiche da una varietà di piattaforme (bombardamento orizzontale, bombardamento in picchiata e attacchi con siluri simultanei) e infine la concentrazione delle portaerei della flotta sotto un unico comando. Tutto ciò indicava un principio che a noi sembra semplice, ma che nel 1941 era davvero rivoluzionario e non replicato: un sistema di combattimento basato su centinaia di aerei lanciati dalle portaerei che sciamavano su obiettivi di alto valore in un attacco massiccio, coordinato ed estremamente violento. Questo è ciò che i marinai americani sperimentarono in una altrimenti sonnolenta domenica di dicembre a Pearl Harbor.

Conclusione: La seconda svolta

I cambiamenti epocali nella tecnologia militare e nei metodi tattici sono raramente così evidenti in tempo reale come lo sono per coloro che li leggono secoli dopo con il senno di poi. I cambiamenti spesso avvengono in modo lento e incrementale e spesso i cambiamenti tecnologici vengono adottati con successo da quegli Stati che sono già all’apice della struttura di potere, in modo che le gerarchie esistenti vengano rafforzate, piuttosto che sconvolte.

Ciò è avvenuto soprattutto in mare. Quando nel 1922 fu firmato il Trattato navale di Washington, l’umanità faceva la guerra in mare da migliaia di anni. In tutto questo tempo, c’era stato un solo cambiamento tecnologico nella guerra navale che poteva essere considerato veramente rivoluzionario: il passaggio dalla guerra di galea, che utilizzava le navi da guerra come mezzi d’assalto armati per la fanteria, alle grandi navi a vela e a tiro della Marina inglese, che erano progettate e utilizzate come batterie d’artiglieria galleggianti. Fu il pieno impegno dell’Inghilterra nella logica dell’artiglieria navale che le valse il controllo dei mari del mondo in una serie di vittorie su nemici come gli spagnoli, che volevano ancora combattere combattimenti ravvicinati di abbordaggio del tipo usato nel Mediterraneo fin dall’antichità, e gli olandesi, che tentarono senza successo di portare navi mercantili armate in combattimenti contro navi da guerra inglesi appositamente costruite.

La prima grande svolta nella storia della guerra in mare fu la “Great Ship” inglese, che abbracciò pienamente la logica della nave da guerra come piattaforma di tiro. Nei secoli che seguirono la sconfitta dell’Armada spagnola, le navi da guerra si evolsero drammaticamente. Le navi da guerra a vela divennero sempre più grandi e dotate di cannoni sempre più grandi, i sistemi tattici e di comando e controllo divennero sempre più sofisticati e, naturalmente, la nave alla fine abbandonò il legno, le vele e i proiettili rotondi a favore dell’acciaio, delle turbine a vapore e dei mastodontici pezzi d’artiglieria che potevano infliggere la morte da distanze misurate in miglia. Nessuno di questi cambiamenti, tuttavia, fu veramente “rivoluzionario”, nel senso che lo schema generale rimase lo stesso. Il combattimento navale rimase incentrato su flotte massicce di navi capitali che si scambiavano colpi d’arma da fuoco e gli inglesi rimasero all’apice della struttura del potere navale. Un suddito britannico che viaggiava dall’India al Canada avrebbe visto un sistema essenzialmente coerente che comprendeva: una catena di basi britanniche piene di navi da guerra britanniche, sostenute dalla capacità della Royal Navy di portare il fuoco più concentrato nel punto decisivo degli oceani del mondo.

Il periodo dei trattati tra le due guerre portava come firma il congelamento di questo sistema consolidato. Congelò la costruzione navale e creò un’esplicita gerarchia della forza delle flotte, con gli anglo-americani all’apice, una flotta giapponese in ascesa al terzo posto e un’equilibrata rivalità franco-italiana molto indietro. Inoltre, questa gerarchia era valutata in modo piuttosto esplicito in base alla forza delle navi da guerra, una premessa che praticamente tutte le parti accettarono.

I britannici patriottici potevano convincersi che il sistema dei trattati aveva preservato la supremazia della Royal Navy. Certo, il trattato faceva concessioni ai cugini americani concedendo loro parità di tonnellaggio, ma la Gran Bretagna aveva da tempo fatto pace con l’idea della potenza americana, riducendo le proprie forze nell’emisfero occidentale. In ogni caso, l’America difficilmente sarebbe stata un avversario, aveva impegni lontani nel Pacifico e la Marina statunitense non aveva nemmeno esaurito il suo tonnellaggio consentito. Solo la Royal Navy aveva la necessaria catena di basi e porti, il controllo dei grandi punti di strozzatura di Gibilterra, Suez, Aden e Singapore (le “Chiavi che chiudono il mondo”, come si diceva) e la spina dorsale della più grande flotta da battaglia del mondo.

Infatti, dal momento in cui Yamamoto costituì la Prima Flotta Aerea nel 1941, i giapponesi possedevano la più potente forza d’attacco navale del mondo. L’impegno precoce del Giappone nella particolare combinazione di attacchi aerei massicci, preventivi e a lungo raggio riecheggia in modo inquietante l’adozione pionieristica della cannoniera navale da parte della Gran Bretagna. Anche la US Navy e la Royal Navy si stavano dilettando con le portaerei, naturalmente, ma i giapponesi – spinti dall’esperienza in Cina – furono i primi a impegnarsi nell’aviazione navale di massa come sistema di attacco devastante per infliggere potenti colpi preventivi all’inizio della battaglia. Il Giappone, che se ne rendesse conto o meno, aveva inaugurato la seconda svolta: un nuovo sistema tattico che avrebbe completamente stravolto sia lo schema consolidato del tiro navale in massa sia la gerarchia del potere navale guidata dagli inglesi. Ancora più sorprendente è il fatto che apparentemente lo fecero senza nemmeno capire che tipo di arma avessero creato.

Stranamente, nonostante l’enorme potenza di combattimento concentrata nella Prima Flotta Aerea, i giapponesi non avevano ancora accettato pienamente la forza delle portaerei come elemento centrale di combattimento della flotta. La Prima Flotta Aerea era intesa essenzialmente come una forza concentrata di portaerei, progettata per sferrare un attacco preventivo e potente contro le portaerei nemiche, per vincere la “battaglia aerea decisiva” prima dell’impegno in superficie. Fino alla Battaglia delle Midway del 1942, il coefficiente di combattimento principale era ancora inteso come la forza corazzata organizzata intorno alla gigantesca nave ammiraglia di Yamamoto, la super nave da guerra Yamato. È innegabile che, allo scoppio della Guerra del Pacifico, la Prima Flotta Aerea fosse la più potente forza offensiva posseduta da qualsiasi marina del mondo, eppure il richiamo delle navi da battaglia rimase così forte che persino i giapponesi continuarono a considerare la forza delle portaerei come un sistema d’attacco ausiliario che poteva creare le condizioni ottimali per i grandi cannoni.

Ciò ha posto le basi per il dramma a tre giocatori sugli oceani del mondo che sarebbe scoppiato nel momento in cui il primo aereo giapponese si fosse levato all’orizzonte a Pearl Harbor. La percezione generale era che la Royal Navy fosse ancora la più potente del mondo, sulla base delle sue navi capitali e della sua catena di basi e punti critici di accesso al globo. In realtà, però, la Marina imperiale giapponese possedeva l’arma offensiva più potente e rivoluzionaria nella sua Prima flotta aerea, che offriva una piattaforma davvero unica per lanciare attacchi aerei massicci e a lungo raggio. Tuttavia, fu il terzo giocatore – la Marina statunitense – a spazzare via gli altri e ad aggiudicarsi entrambi i premi. Pur essendo arrivati in ritardo, gli americani avrebbero presto adottato il loro sistema di attacco massiccio alle portaerei – il Carrier Task Group – e avrebbero spazzato via i giapponesi dal gioco che avevano inventato.

Il periodo tra le due guerre, quindi, vide uno sforzo concertato da parte degli inglesi per congelare la gerarchia delle potenze navali attraverso un sistema di trattati che creava il miraggio di un mondo stabile caratterizzato dalla potenza britannica, riconoscibile nei suoi fondamenti per un viaggiatore del tempo dai tempi di Nelson. Allo stesso tempo, i giapponesi furono i pionieri del sistema di attacchi massicci delle portaerei che avrebbero fatto crollare quel sistema e fatto evaporare il miraggio. Ironia della sorte, però, né lo sforzo britannico di preservare il mondo nella stasi né il progetto giapponese di stravolgerlo funzionarono, e i frutti di entrambi – la catena di basi che si estendeva su tutto il globo e la potenza d’urto del gruppo di portaerei – sarebbero stati sistematicamente inghiottiti dalla Marina statunitense, che il 6 dicembre 1941 rimaneva un gigante assopito.

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La lista di lettura di Big Serge

  • Le navi da guerra dopo Washington: Lo sviluppo delle cinque flotte principali, 1922-1930, di John Jordan
  • Vittoria in mare: Il potere navale e la trasformazione dell’ordine globale nella seconda guerra mondiale, di Paul M. Kennedy
  • L’impero giapponese: La grande strategia dalla Restaurazione Meiji alla Guerra del Pacifico, di S. C. M. Paine
  • La Royal Navy e la nave capitale nel periodo interbellico: Una prospettiva operativa, di Joseph Moretz
  • Kaigun: Strategia, tattica e tecnologia nella Marina imperiale giapponese, 1887-1941, di David C. Evans e David Peattie
  • Sunburst: L’ascesa del potere aereo navale giapponese, 1909-1941, di Mark Peattie
  • La Marina imperiale giapponese nella guerra del Pacifico, di Mark Stille
  • La guerra di Hirohito: la guerra del Pacifico, 1941-1945, di Francis Pike

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“Gli uomini devono essere trattati bene o schiacciati, perché possono vendicarsi di ferite più leggere, ma di quelle più gravi no”. Nicollo Machiavelli.

Le conseguenze dell’assassinio di Charlie Kirk hanno spinto l’amministrazione Trump a dare un duro giro di vite ai suoi avversari, anche se resta da vedere quanto duro. Si dice che migliaia di persone di sinistra siano state licenziate dai loro posti di lavoro, e il vicepresidente JD Vance ha incoraggiato attivamente la base a denunciare chiunque celebri l’omicidio di Kirk o sia semplicemente troppo ripugnante per la sinistra in generale. Piattaforme tecnologiche di social media di sinistra come Stream, Reddit, Twitch e Discord sono state chiamate a comparire davanti al Congresso per dare spiegazioni. È opinione comune che queste piattaforme siano essenzialmente fabbriche di pazzi di sinistra con ideologie folli e una visione nichilista che è un cancro per la società.

Il giorno in cui scriviamo, Jimmy Kimmel è stato licenziato dal suo show comico per aver diffuso la falsa notizia che sono state le persone di destra a uccidere Charlie Kirk. Lo scrittore di horror Stephen King è stato costretto a scusarsi per aver diffuso bugie sulle opinioni di Kirk. Il messaggio è sempre più chiaro e rinfrescante: piegate le ginocchia o altrimenti!

A livello legislativo, sembra che si stiano gradualmente mettendo in moto gli ingranaggi che porteranno le reti di sinistra a essere dichiarate organizzazioni terroristiche, con Antifa che sarà la prima a essere messa sul banco degli imputati. In tutto l’Occidente, nel mondo successivo all’11 settembre, essere chiamati o dire di essere associati al terrorismo è sinonimo di essere un nemico dello Stato.

Come persona che ha visto la destra online epurata per anni e che alla fine si è aggrappata a Telegram come ultima ridotta, non ho ovviamente alcuna simpatia per la sinistra o per il fatto che le cose siano finalmente cambiate. Anzi, vedere alcuni dei più schifosi cagasotto della terra ridotti a strillare “Che fine ha fatto la destra tollerante?” è piacevolmente catartico.

Ora apprendiamo che, mentre la destra ha dovuto adottare un intero lessico di “linguaggio sicuro”, gli influencer di sinistra hanno apertamente e orgogliosamente invitato a uccidere i conservatori e incitato alla violenza senza uno straccio di responsabilità o censura.

Ci sono, naturalmente, alcune questioni fastidiose legate a questa svolta degli eventi. È infatti molto probabile che la “cultura della cancellazione di destra” sia il casus belli che darà il via alla griglia di sorveglianza Palantir di Peter Thiel. Non è da escludere che, a prescindere dalle teorie sull’omicidio di Kirk, Israele abbia legami con Palantir e tragga vantaggio dal fatto che la sinistra, principalmente pro-Palestina, venga distrutta.

Tuttavia, mettendo da parte la prospettiva più ampia e concentrandosi sulla narrazione, ovvero che il MAGA e l’amministrazione Trump si stanno muovendo duramente contro le forze e le reti del Partito Democratico, è opportuno tagliare la “nebbia rossa” della frenesia da nebbia rossa indotta dagli algoritmi. In qualche modo l’America rimane una democrazia funzionante, anche se, è vero, molti troverebbero l’idea ridicola. Il fatto è che Donald Trump ha 79 anni e tra qualche anno ci sarà un’altra elezione. Ci sarà inevitabilmente un’era post-Trump, e la base MAGA deve iniziare a pianificare e strategizzare per questo ora, piuttosto che dopo.

Il fatto è che, avendo oltrepassato la soglia e reagito censurando e, con ogni probabilità, proscrivendo i loro nemici, possono aspettarsi di ricevere di più in cambio. Questo, naturalmente, ci porta ai dettami di Machiavelli sulla vendetta politica.

Per Machiavelli, schiacciare i propri avversari richiedeva che il “Principe” si muovesse con rapidità e durezza, non per trascinare il dolore e la punizione, ma per farla finita il prima possibile, in modo da neutralizzare la questione. In questo caso si tratta di ridurre i nemici in uno stato di innocuità, per evitare che si ripresentino in seguito in una forma ancora più pericolosa.

In Discorsi su Livio, ha scritto:

“Gli uomini vanno accarezzati o annientati, perché si vendicano per le ferite lievi – ma non possono farlo per quelle gravi; quindi il danno che facciamo a un uomo deve essere tale da non dover temere la sua vendetta”.

La violenza politica non era una ricerca emotiva, ma un calcolo razionale. Si trattava di una questione strettamente commerciale. Da questo punto di vista, la Germania dopo la prima guerra mondiale avrebbe dovuto essere smembrata come una grande nazione o trattata con magnanimità e rispetto. Napoleone avrebbe dovuto essere giustiziato anziché esiliato all’Elba. Cartagine avrebbe dovuto diventare un’alleata di Roma o essere distrutta; invece, la pace instabile portò Annibale a scatenarsi in Italia e a Cannae, consegnando a Roma una delle sue sconfitte più dolorose.

In termini di cultura pop, viene in mente il film gangster del 1993 Carlito’s Way. In questo film, l’anziano duro di Al Pacino deve vedersela con l’emergente teppista Benny Blanco. Carlito lo maltratta e lo butta giù da una rampa di scale, rompendogli alcune ossa. Gli scagnozzi di Carlito gli consigliano di giustiziare Blanco e farla finita, ma lui si rifiuta. Blanco ritorna alla fine del film e spara a Carlito, pronunciando la frase “Ti ricordi di me? Benny Blanco del Bronx”. L’indulgenza a breve termine di Carlito ha avuto conseguenze letali a lungo termine.

Si potrebbe dire che la natura falsa delle democrazie liberali deriva proprio dal fatto che le questioni esistenziali, una vera politica, devono essere evitate per evitare che la sovrastruttura più ampia si disfi. Uno scenario in cui Donald Trump avesse davvero rinchiuso Hillary Clinton avrebbe inevitabilmente portato alla sua incarcerazione dopo il suo mandato. In effetti, è proprio l’incapacità dei Democratici di incarcerare Trump o di impedirgli di ricandidarsi che ha portato alla situazione attuale. La politica del Big Show, o Kayfabe, impedisce che i termini del carcere emergano o che le ferite siano troppo profonde.

Nonostante ciò, siamo entrati in un’epoca in cui le persone vengono assassinate e il sangue e la morte sono molto reali. Inoltre, le grida isteriche e i cinguettii della sinistra che celebrano la morte di Kirk significano che lo show si sta rompendo, che gli attori dimenticano le battute e che la kayfabe si è rotta. Anche se Donald Trump si assicurerà la presidenza, la sua base MAGA non si illude che una futura amministrazione sarà felice di vederli morti. È del tutto razionale che la destra americana, tutta, chieda o l’annientamento totale della sinistra americana o uno sforzo concertato di avvicinamento e reciprocità.

La prima opzione equivale alla fine della Vecchia Repubblica; la seconda è grossolanamente ottimistica nella sua fattibilità.

Naturalmente, a Trump potrebbe succedere JD Vance, o qualche altro luminare del MAGA, ma aspettarsi che metà dell’America aderisca a un sistema in cui persone che li vogliono morti possono governare su di loro perché uno Stato in bilico si è spostato in questo o in quell’altro modo è abbastanza assurdo. Perché rischiare?

Una proposta ”Charlie Kirk Act” aprirebbe la strada alla censura dei media liberali sulla base del fatto che si tratta di propaganda che mina i valori americani. Questo è abbastanza giusto, ma sicuramente chi lo sostiene può solo aspettarsi di ritrovarsi in un database di individui problematici non appena i Democratici torneranno in carica.

Come spesso accade, la destra sta assaporando le sue vittorie in senso reattivo. È una rivincita per il precedente decennio di pregiudizi e censure liberali, piuttosto che un approccio strategico per assicurarsi la vittoria una volta per tutte, perché infrangerebbe le regole. Se Trump può dichiarare Antifa un’organizzazione terroristica, perché una futura amministrazione di sinistra non dovrebbe dichiarare il MAGA un’organizzazione terroristica?

Anche in questo caso, una potenziale via di fuga dall’escalation potrebbe essere una serie di consigli o comitati dedicati a una nuova politica più conciliante. Ma è improbabile che abbia successo. In alternativa, la distruzione incostituzionale del Partito Democratico e della sua intera rete e dei suoi nodi di potere.

Il peggior risultato possibile è quello in cui la bestia è ferita ma ancora in libertà per schiavizzare e mordere un altro giorno.

Lo scenario funesto è quello in cui, tra qualche anno, le persone peggiori della terra posteranno vittoriosamente “Ehi, ti ricordi di me?” con un ghigno psicotico e di piacere.

Il sostegno incondizionato a Israele non farà che aggravare i problemi dell’America in Medio Oriente 

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Il sostegno incondizionato a Israele non farà che aggravare i problemi dell’America in Medio Oriente 

Trita Parsi e Marcus Stanley

Inviato su11 settembre 2025

Panoramica

Gli Stati Uniti rischiano di essere ulteriormente catturati dall’agenda di politica estera di Israele. Continuare a sostenere militarmente Israele senza esercitare un’influenza che ne limiti le azioni, trascinerà gli Stati Uniti in un impegno militare e politico sempre maggiore in Medio Oriente, con un costo elevato per le risorse, il prestigio e gli interessi americani;

L’assistenza statunitense a Israele è il fattore determinante per la sua aggressiva posizione militare. Gli aiuti militari statunitensi a Israele sono almeno triplicati dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023. Secondo il Congressional Research Service, nel 2024 gli Stati Uniti hanno fornito direttamente un terzo del bilancio della difesa di Israele. Le operazioni militari statunitensi nella regione dall’inizio della guerra di Gaza hanno indirettamente aggiunto miliardi di dollari all’importo che gli Stati Uniti hanno speso per conto di Israele;

Tuttavia, la dottrina di sicurezza di Israele minaccia direttamente l’interesse americano a lungo termine di stabilire un ordine di sicurezza stabile e autosufficiente in Medio Oriente, che consentirebbe di ridurre significativamente la presenza militare e il livello di coinvolgimento degli Stati Uniti nella regione. L’attuale corso dei conflitti di Israele richiederà più impegno militare degli Stati Uniti, non meno, senza una chiara fine in vista. 

Le intenzioni israeliane sembrano includere la distruzione dell’attuale regime iraniano, il disarmo permanente di Hezbollah in Libano, l’occupazione del territorio siriano, l’espulsione forzata di massa dei milioni di civili rimasti a Gaza e l’annessione della Cisgiordania. Ma nessuno di questi obiettivi, per non parlare di tutti, può essere raggiunto senza un considerevole aumento del sostegno militare e politico degli Stati Uniti a lungo termine.

A meno che e fino a quando gli Stati Uniti non dimostreranno di poter negare il sostegno militare alle azioni israeliane non in linea con gli interessi statunitensi, Israele non avrà alcun chiaro incentivo a cambiare le proprie politiche. La storia del Medio Oriente dimostra che anche le vittorie militari, come la Guerra dei Sei Giorni del 1967 o la Guerra del Golfo del 1990-91, non creano pace e stabilità se non sono accompagnate da una diplomazia creativa e dalla reciproca moderazione. Israele deve partecipare a tale diplomazia. Ma è altamente improbabile che Israele mostri la necessaria moderazione finché il sostegno degli Stati Uniti sarà incondizionato.

Discussione

Dagli attacchi di Hamas del 7 ottobre, Israele si è impegnato in continue rappresaglie contro Gaza e ha lanciato una guerra regionale più ampia che ha registrato successi militari tattici contro l'”Asse della Resistenza” in Iran e in Libano, ma senza una capacità discernibile di tradurre questi successi in vittorie strategiche permanenti;

  • Mentre la guerra di Gaza si avvicina a due anni, gli alti dirigenti di Hamas coinvolti nella decisione di lanciare l’attacco del 7 ottobre sono stati tutti uccisi e Gaza è stata devastata, con quasi l’80% dei suoi edifici distrutti. Eppure Hamas rimane a Gaza e il desiderio di resistenza palestinese contro l’occupazione israeliana è cresciuto.
  • Dopo aver attaccato Israele dopo il 7 ottobre, Hezbollah ha perso i suoi vertici e migliaia di combattenti, fino a un milione di civili sono stati sfollati dalle aree controllate da Hezbollah nel sud del Libano e il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu afferma che Israele li ha “respinti decenni indietro”. Eppure Hezbollah rimane una forza armata e ostile.
  • Gli attacchi combinati di Israele e Stati Uniti contro l’Iran hanno segnalato una battuta d’arresto del programma nucleare iraniano, hanno ucciso molti alti comandanti militari e scienziati nucleari iraniani (compresi scienziati nucleari civili) e sembrano aver temporaneamente spazzato via le difese aeree iraniane. Tuttavia, Israele non è riuscito a raggiungere il suo obiettivo principale, il collasso del regime, e sia i funzionari israeliani che il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump hanno indicato che la guerra continuerà.

Sebbene gran parte di questi interventi siano stati effettuati dall’esercito israeliano, l’aumento dell’assistenza militare statunitense è stato fondamentale. La figura sottostante si basa sulle figure del Congressional Research Service, o CRS, relative agli aiuti militari diretti degli Stati Uniti a Israele, che mostrano che gli aiuti diretti degli Stati Uniti sono più che triplicati dal 2023 al 2024. Se si includono i costi indiretti delle operazioni militari statunitensi in Medio Oriente a sostegno di Israele nel 2023 e nel 2024, i ricercatori della Brown University calcolano che l’assistenza statunitense a Israele nell’anno successivo agli attentati del 7 ottobre abbia raggiunto i 22,8 miliardi di dollari. Secondo l’analisi del CRS, l’assistenza militare statunitense ha rappresentato un terzo della spesa militare israeliana del 2024. Sebbene non siano ancora disponibili i dati completi del 2025, le operazioni militari dirette degli Stati Uniti a sostegno di Israele sono state ancora più estese nel 2025.

Figura 1

Come dimostra la figura precedente, non c’è dubbio che l’assistenza statunitense sia stata una componente critica e indispensabile delle operazioni militari israeliane. Non solo gli Stati Uniti hanno finanziato direttamente una componente sostanziale delle forze militari israeliane, ma sono anche intervenuti direttamente con le proprie forze per operazioni come il bombardamento degli impianti di raffinazione dell’uranio iraniani a Fordow con bombardieri B-2. Gli Stati Uniti hanno anche svuotato gran parte delle proprie scorte di intercettori missilistici per proteggere Israele dalle ritorsioni iraniane agli attacchi di Israele. Il Wall Street Journal ha riportato che fino a un quarto di tutti gli intercettori missilistici di fascia alta mai acquistati dal Pentagono sono stati lanciati per proteggere Israele durante il conflitto di 12 giorni con l’Iran;

In questo contesto, la distinzione tra assistenza “difensiva” e “offensiva” perde di significato. Anche l’assistenza statunitense che è nominalmente difensiva permette ad Israele di compiere azioni offensive. Ciò è forse più evidente negli attacchi israeliani all’Iran del giugno 2025, dove Israele ha potuto colpire l’Iran in modo offensivo in parte perché ha fatto affidamento sulla fornitura di intercettori missilistici da parte degli Stati Uniti per difendersi dalle ritorsioni iraniane. Ma l’entità dell’assistenza militare statunitense a Israele significa che tale assistenza libera le risorse israeliane per le azioni offensive.

Nonostante il successo militare a breve termine di Israele, le sfide strategiche che deve affrontare sono probabilmente diventate più profonde. Ad esempio, Israele è molto più lontano di prima dal raggiungere l’obiettivo strategico di normalizzare le relazioni con l’Arabia Saudita. È possibile vincere battaglie e perdere guerre, e ci sono molti esempi di questo nella storia di Israele. C’è il rischio che sia gli Stati Uniti che il governo Netanyahu sacrifichino la sicurezza e la legittimità a lungo termine di Israele sull’altare di un falso senso di ciò che la forza militare, per quanto devastante, può ottenere.

In assenza di un chiaro percorso diplomatico di riconciliazione con i suoi nemici, una strategia di sottomissione puramente militare dei nemici di Israele richiederà un livello di sostegno militare e politico che può provenire solo dagli Stati Uniti, il che non è in linea con l’interesse americano di evitare impegni coercitivi permanenti in Medio Oriente.

Il bombardamento di Gaza da parte di Israele continua, con un punteggio brutale sui civili, la creazione di una fame artificiale, crimini di guerra diffusi e nessuna indicazione che la situazione stia migliorando. Questi eventi orribili, insieme ai piani di Israele di espandere la guerra occupando Gaza City, stanno attirando una crescente condanna internazionale. Meno di un terzo dell’opinione pubblica americana ora sostiene le azioni di Israele a Gaza. Oltre a essere in conflitto con le opinioni degli elettori americani, il continuo coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto danneggia la loro posizione nel mondo. Nonostante ciò, Israele sta apparentemente facendo affidamento sull’assistenza degli Stati Uniti per la pulizia etnica della popolazione di Gaza in una località straniera non ancora specificata, così come per l’assistenza alla ricostruzione di Gaza.

In Libano, Hezbollah è stato danneggiato ma non distrutto e il cessate il fuoco è fragile. Gli sforzi per disarmare completamente Hezbollah sono falliti fino ad ora, lasciando in piedi una sfida militare e strategica sostanziale. Israele sembra ancora una volta fare affidamento sull’assistenza degli Stati Uniti nel caso in cui fosse necessario un intervento militare esterno per ottenere il disarmo completo.

Gli attacchi di giugno di Israele contro l’Iran non hanno raggiunto pienamente gli obiettivi bellici di Israele. L’apparente obiettivo di Israele di far crollare il regime non si è verificato e, nonostante l’esercito iraniano sia stato indebolito, rimane una forza. L’Iran mantiene ancora il suo programma di missili balistici e, anche se il programma nucleare civile iraniano ha subito una significativa battuta d’arresto, continua a mantenere una quantità sconosciuta di uranio arricchito, che potrebbe costituire la base per un programma di armi clandestine in futuro.

Alla luce di ciò, sembra probabile che Israele rinnovi i suoi attacchi all’Iran, forse entro la fine di quest’anno. Lo stesso esercito israeliano ha dichiarato che l’attacco di giugno è stato solo la prima fase di una campagna estesa.

Qualsiasi campagna di questo tipo richiederà quasi certamente una maggiore assistenza da parte degli Stati Uniti. La popolazione limitata di Israele, che conta 7,5 milioni di cittadini ebrei (contro i 90 milioni di abitanti dell’Iran), e la mancanza di un confine terrestre con l’Iran, fanno sì che Israele richieda un coinvolgimento militare statunitense più ampio, che potrebbe includere truppe di terra, per ottenere un cambio di regime duraturo in Iran o per distruggere completamente la sua capacità militare. Tale coinvolgimento sarebbe superiore alle richieste della guerra in Iraq del 2003. L’Iran ha più del triplo della popolazione che aveva l’Iraq nel 2003 (90 milioni contro 25 milioni) e quasi quattro volte la superficie del territorio;

Non risulta che Israele abbia alcun piano o intenzione di cercare un partner per la pace in questi continui conflitti, e la possibilità di contare su grandi quantità di assistenza statunitense senza restrizioni riduce notevolmente qualsiasi incentivo a farlo. Rimane aperta la questione di come lasciare che sia Israele a stabilire la direzione di questi conflitti contribuisca agli interessi americani di evitare una presenza militare a lungo termine in Medio Oriente e di essere visti come un’influenza politica indipendente nella regione, piuttosto che come semplici facilitatori di un’agenda israeliana.

La storia del Medio Oriente dimostra che la vittoria militare da sola non porta alla pace. Dopo la schiacciante vittoria nella guerra del 1967, Israele ha assorbito la Cisgiordania e Gaza e le relative popolazioni di rifugiati palestinesi, un problema che affligge la regione ancora oggi. L’Egitto, umiliato nel 1967, attaccò Israele con effetti devastanti nel 1973. Israele richiese un massiccio ponte aereo di emergenza di aiuti militari statunitensi per sopravvivere a quella guerra. Solo dopo la mediazione degli Stati Uniti per un accordo diplomatico tra Israele ed Egitto a Camp David, nel 1978, è stata raggiunta una pace duratura. Allo stesso modo, la sconfitta militare di Saddam Hussein nella Guerra del Golfo del 1990-91 non ha portato a una pace duratura con l’Iraq, e in seguito ha portato all’agonizzante, lunga, costosa e distruttiva invasione e occupazione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti a partire dal 2003;

Conclusione

Una pace regionale stabile e duratura è il modo migliore per eliminare la minaccia che gli Stati Uniti vengano trascinati in un conflitto allargato in Medio Oriente. Tale pace richiede una diplomazia creativa e la moderazione di tutte le parti, compresi gli Stati Uniti e Israele. È improbabile che tale moderazione si verifichi finché gli Stati Uniti non mostreranno la volontà di porre condizioni all’assistenza militare a Israele e di chiedere che Israele passi dall’aggressione militare alla ricerca di una soluzione pacifica.

Il percorso più efficace per raggiungere una pace stabile sarebbe che Washington sostenesse gli sforzi regionali per creare un’architettura e un organismo di sicurezza per la regione che includa Israele. La regione non ha un equivalente dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico o di qualsiasi altro organismo di sicurezza permanente e inclusivo;

L’assenza di un organismo di questo tipo non solo ha contribuito alla perpetua instabilità della regione, ma rende anche difficile per gli Stati Uniti impegnarsi nel trasferimento degli oneri, poiché non esiste un’infrastruttura indipendente a cui trasferire l’onere della sicurezza. Un organismo inclusivo di questo tipo potrebbe anche offrire a Israele le più forti garanzie di sicurezza finora ottenute, andando ben oltre il riconoscimento reciproco offerto dal Piano di pace arabo del 2002 o gli accordi di normalizzazione proposti dagli Accordi di Abraham. Soprattutto, aiuterebbe gli Stati Uniti a liberarsi finalmente dalla prospettiva di una guerra infinita in Medio Oriente.

A che punto siamo_di WS

L’ analisi   dei fatti,  sempre ben riportata  da Simplicius,    ci sollecita sempre  la domanda :   dove stiamo andando?

Ho già spiegato ad iosa  il mio punto  di vista:   i banksters   ci stanno portando   in una WW3   che  avrà come sempre  l’epicentro  in Europa.   Quindi  ogni  volta  si tratta  solo   di chiederci:   a  che punto  siamo?

 A questo ho  risposto  in altra occasione   che   siamo  in uno “  stallo”; nel momento in cui  i “piani A”   dei due contendenti, NATO  e Russia,   sono sostanzialmente  falliti  ma   esiste ancora, in realtà esisteva   fino a due  settimane fa,   una     “finestra”   per  una “  transazione”  che, fosse  anche  solo  un “pastrocchio”, comportasse  quantomeno  la “ deescalation”    da “  guerra  esistenziale”   a semplice  “conflitto”.

Bisogna però qui precisare        la  differenza   tra “tregua”  e  “armistizio”,    tra  quel trucchetto   che la NATO vuole  imporre  alla  Russia   per      fermare  l’usurante  pressione russa  sulla NATO-Ucraina  e  così  guadagnare  tempo  onde   rinforzare il proprio  “baluardo” ,  e  l’ “  armistizio” , cioè  un    qualunque tipo di   accordo scritto  e vincolante   a    certe reciproche  condizioni  immediatamente  concesse, condizione  richiesta dai russi  per  cessare  il fuoco.

La differenza è enorme: le “tregue” infatti non risolvono nulla  e hanno una valenza meramente  tattica; gli “armistizi” invece  “deescalano “   il conflitto   e  possono definire  le condizioni   della  eventuale pace  successiva   che  comunque non potrà   essere  quella  di una “resa incondizionata”.

Ricordiamo infatti  che mentre  nel 1918  gli  “imperi  centrali”   firmarono un armistizio,   nel   1945   a Germania e Giappone  fu  imposta  una “resa incondizionata”,  mentre  l’ Italia , che è  fuuurba, invece  firmò un  armistizio…con clausole  da  resa   incodizionata!

E anche      l’ URSS  nel 1989  firmò una specie   di  “ armistizio”,  esattamente  come  quello  che nel 1944 la Finlandia  firmò  con L’ URSS.

Quale è  quindi la differenza  tra “ resa incondizionata” è un “armistizio” ?  Che nella prima  il vincitore  si prende tutto  quello che  vuole occupando l’ intero  territorio nemico! 

Senza questa  “occupazione totale”   lo   Stato  perdente  rimane   vivo   e libero  di    tentare una revanche    esattamente   come  fece la Francia  nel 1914   o  la Germania nel 1939  e,  se vogliamo,  starebbe    tentando di fare la Russia adesso  anche  se   in guerra ci è stata  tirata  controvoglia .

Gli “armistizi”  quindi  non  portano  necessariamente    ad una “pace”  ma      portano comunque  a  lunghe   “tregue”  in cui i due contendenti  si  riconoscono legittimamente . Ad  esempio  la   resa incodizionata  del Giappone  è stata  solo agli  americani  che poi l’ hanno occupato.  Con i russi  il Giappone  ha firmato  solo un armistizio cui  non è seguita  alcuna pace; eppure   i due  stati  si riconoscono  reciprocamente,  sebbene   è sicuro che  i giapponesi  “ alla prima occasione “ proveranno a riprendersi quello  che ancora  ritengono proprio.

E  tornando  alla  guerra NATO -Russia   è appunto la “ deescalation”  la cosa  che più la Russia  desidera   e su cui  è disposta   a “ragionevoli” compromessi;  ma   è proprio   la “  deescalation”    ciò che  “l’ occidente” non può dargli .

Questo  perché ,  avendo  questultimo dovuto  creare   una   narrazione   da  “guerra  esistenziale” ,  con la firma di un   “armistizio” che  dovesse  comunque contenere le richieste russe,    rifiutate  dal “l’ occidente  combinato “  prima dello  SMO,   esso  risulterebbe   “lo sconfitto”,  con un contraccolpo   geopolitico  che   spazzerebbe  via le attuali   elites  occidentali.

L’avvento  della  nuova  amministrazione Trump   rappresenta(va)  appunto una occasione   di   “ deescalare”   scaricando  tutto  il costo  di questo  armistizio  sulle spalle  de l’€uropa; non c’ è dubbio  che   questa  fosse  l’ intenzione  di Trump,  perché  avrebbe potuto mettere  parte  di questa  “sconfitta”   anche sulle spalle dei suoi nemici  in patria.

Ma  ovviamente   sia  questi  che le elites  europee loro clientes  che ancora  dominano la colonia €uropa   non sono    d’accordo; costoro    stanno  facendo  di tutto  per tenere  la barra  della politica americana  sul progetto  “guerra  totale alla Russia”  ed io non vedo proprio come Trump possa  fronteggiare  questa  reazione   laddove  i suoi nemici  faranno  di tutto per   definirlo un “perdente”  se  lui  firmasse  qualcosa   che riconoscesse  le ragioni russe.

Quindi, purtroppo, la guerra  continuerà  in modalità che si possono facilmente prevedere  perché  con  queste  premesse  anche il “piano Colby “  salta e  sia  USA   che Cina  hanno interesse ad un appeasement  quantomeno per  tutto il tempo  che  la guerra in Ucraina durerà.

Questo  spinge entrambi  ad  una “ tregua non dichiarata”   nella quale entrambi hanno interesse  a che  la guerra  rimanga  confinata in  Europa  e  che  continui  a lungo  e a  bassa intensità.

Perché  quando crollerà la NATO-Ucraina per la NATO-€uropa   verrà  il momento  delle  decisioni  fatali:   rilanciare  con una guerra  diretta   o  sottoscrivere  una “sconfitta  strategica” ?

E’ ovvio  che  queste  élites  vogliano  procrastinare   questo  “redde  rationem”  e che , paradossalmente  e  per lo stesso motivo,    questo  sia  interesse anche  della Russia   che   a questo  tipo  di  guerra  ormai ci si è accomodata.

In ogni caso però  le €uroelites  hanno bisogno  di mantenere  una continua psicosi di guerra ,  sia per impedire a Trump   di prenderne le  distanze,  sia  per portare  avanti i loro progetti  di   compressione popolare  attraverso  l’ isteria   di guerra.

Da  qui  il  teatrino attuale con  “la Russia  ci invade!”

Purtroppo  però  c’ è  in questo un  aspetto  che  porterà   questo   teatro  dal  comico  al tragico, perché,   quando  verrà il “redde  rationem”,   se in €uropa   saranno  al potere  le attuali  eélites, non  vedo   cosa potrebbe   sostituirle per allora,  esse  sceglieranno  comunque il rilancio.

Ed in questo   particolarmente  ottuse  saranno le élites  tedesche    che  de l’ €urolager  sono state il volenteroso Kapò   e che ora  cominciano   a sognare  la propria piena  trasformazione in un IV Reich   da   lanciare  di nuovo  alla conquista  della Russia ,  per  una  “rivincita” al cui sostegno però stavolta   i tedeschi godrebbero del pieno appoggio  dei loro   masters “anglosassoni”.

Quindi mi  dispiace,  ma  per noi €urofessi   confermo la mia solita diagnosi : “ andrà male  prima di finire  molto peggio”.

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Dai sogni unipolari ai sistemi duali_a cura di Michael Hudson

Dai sogni unipolari ai sistemi duali

Da Michael 

Martedì 16 settembre 2025 Interviste  Nima  Permalink

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NIMA ALKHORSHID: Ciao a tutti. Oggi è giovedì 4 settembre 2025 e i nostri amici Richard Wolf e Michael Hudson sono di nuovo con noi. Bentornati, Richard e Michael.

RICHARD WOLFF: Sono contento di essere qui.

NIMA ALKHORSHID: C’è stato un vertice in Cina, il vertice della SCO [Shanghai Cooperation Organization], che è stato enorme: India, Russia, Cina, riunite insieme. E c’erano le potenze regionali, l’Iran e altre potenze dell’Asia centrale, che parlavano con queste superpotenze.

Dall’altro lato, abbiamo avuto Armenia e Azerbaigian che ne hanno fatto parte, considerando i nuovi conflitti in quella regione. Curiosa la reazione di Donald Trump, che sta parlando degli Stati Uniti:

DONALD TRUMP (CLIP): […] gli Stati Uniti, tutto il mondo morirebbe. È vero. È così potente. È così grande. E io l’ho reso davvero grande nei primi quattro anni. Poi ha iniziato a degenerare con l’amministrazione Biden. Ma l’abbiamo portata a un livello che non avrei mai pensato potesse essere raggiunto così rapidamente. Siamo i più caldi, i migliori e i migliori dal punto di vista finanziario. Il denaro che arriva è così grande grazie alle tariffe e ad altre cose, ma grazie alle tariffe. Le tariffe ci fanno ottenere anche queste altre cose, e in più ci fanno ottenere grandi negoziatori. Ho risolto sette guerre, e molte di quelle guerre erano dovute al commercio […]

NIMA ALKHORSHID: A proposito, le tariffe sono state la ragione principale per cui l’India è stata in qualche modo spinta verso la Russia e la Cina nel vertice: dopo anni, l’India è andata al vertice, il vertice SCO. Vai avanti, Michael, con la tua opinione.

MICHAEL HUDSON: Beh, la cosa interessante è che non c’è stata quasi nessuna copertura da parte della stampa americana, e anche di quella europea, sul vero significato del vertice. La copertura del New York Times è probabilmente la peggiore. Ha dato l’impressione che l’intera Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai e gli incontri a Tianjin e a Pechino servissero semplicemente a discutere del confronto con l’Occidente. A leggere la copertura qui, e sul Financial Times e altri, si potrebbe pensare che le riunioni fossero tutte incentrate sul tema “Come ci organizziamo per minacciare l’Occidente?

La parata militare, dipinta come una minaccia imminente per l’Occidente, è l’unica cosa di cui si parla. Ciò che viene tralasciato è il fatto che tutta questa attenzione alla parata militare serviva a ricordare al mondo l’80° anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale in Asia; serviva a inquadrare l’intera discussione, che lo scopo – originario – dell’ordine economico postbellico progettato dagli strateghi americani era quello di porre fine al fascismo e introdurre un ordine mondiale equo basato sui principi delle Nazioni Unite. 

Sia il Presidente Xi che il Presidente Putin e altri hanno continuato a fare riferimento ai principi delle Nazioni Unite di parità di trattamento e di non interferenza in altri Paesi. Si è parlato di come ristabilire questo ordine. E, ovviamente, riconoscono che questo ordine non può più includere l’Occidente. Il discorso di Putin, in particolare, ha sottolineato come gli Stati Uniti e l’Europa abbiano portato l’Occidente ad allontanarsi dai principi delle Nazioni Unite, dall’economia internazionale aperta, dal trattamento della nazione più favorita, dove si trattano le altre nazioni in modo uguale e si riconoscono le esigenze di sicurezza di tutti.

Così il capo della NATO, Mark Rutte, si è lamentato del fatto che Putin sta ricevendo troppa attenzione, il che significa che non dovremmo discutere nemmeno di ciò di cui stanno realmente parlando in Cina. Significava non discutere di quanto negli ultimi giorni abbiamo visto un punto di riferimento nell’introduzione di un nuovo ordine economico. E il Presidente Putin, quando gli è stato riferito, ha spiegato che [nella] conferenza stampa – ne ha tenuta una – il confronto non era affatto al centro dell’attenzione. I colloqui vertevano su come definire i dettagli del consolidamento delle relazioni tra i Paesi asiatici, i Paesi BRICS e gli stessi Paesi del Sud globale. Nei discorsi tenuti e nelle conferenze stampa non c’è stato alcun riferimento all’Occidente;

Si trattava di loro stessi e, nello specifico, di come l’Asia e i Paesi del Sud globale possono andare avanti per la loro strada, con un contatto e un’esposizione minimi all’Occidente? Non stanno cercando di attaccare l’Occidente. Stanno cercando di isolarsi e di liberarsi dal modello economico occidentale del Thatcherismo di Margaret, della finanziarizzazione e del neoliberismo che ha portato l’Occidente alla deindustrializzazione. Come possono i membri della SCO, i BRICS e i loro alleati del Sud globale creare un’economia di mercato socialista, sostanzialmente simile a quella cinese, che aumenti effettivamente il tenore di vita e la produttività, invece di deindustrializzarsi?

Quindi, non c’è alcuna minaccia di guerra, se non da parte della NATO. Ma non ci saranno nemmeno relazioni pacifiche. L’idea è come diventare indipendenti dalle relazioni con l’Occidente. E questo è ciò che non viene discusso qui. E questa spaccatura è meglio rappresentata dall’oleodotto “Power of Siberia 2”. Questa è stata la discussione più importante che ne è scaturita. Si trattava di gas che originariamente era stato pianificato per andare in Europa attraverso il gasdotto Nord Stream 1. Ebbene, tutto questo è finito. Ebbene, tutto questo è finito. Il gas siberiano andrà in Cina attraverso la Mongolia. E proprio come il gas russo ha alimentato l’industria europea in passato, ora farà lo stesso per la Cina, la Mongolia e altri Paesi che sono collegati ai loro reciproci gasdotti;

Ciò significa che l’Europa dovrà dipendere dalle esportazioni di gas naturale liquefatto degli Stati Uniti, da prezzi molto più alti e dal calo delle forniture del Mare del Nord dalla Norvegia. E l’enorme quantità di gas in Siberia trainerà la crescita cinese;

Si può vedere la furia che questo ha provocato in Europa. Ieri pomeriggio, il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha definito Putin “forse il più grave criminale di guerra del nostro tempo”. Cosa ha detto: L’Unione Europea si sta rapidamente trasformando da un’unione economica in un blocco politico-militare – con decisioni e dichiarazioni quasi costantemente aggressive. Ed è così che il Presidente Putin ha descritto le parole di Merz, secondo cui i rapporti occidentali sono semplicemente bellicosi. E Putin ha detto: Non diamo per scontato che debbano comparire nuovi Stati dominanti. Tutti saranno su un piano di parità. In altre parole, nessun nuovo Stato dominante significa che non permetteremo più agli Stati Uniti e ai loro satelliti in Europa di governare il mondo, e certamente non di governare noi;

Ma c’è un riconoscimento del fatto che, sì, gli Stati Uniti possono gestire l’Europa, e probabilmente il Giappone e la Corea per il momento, ma tutti questi incontri sono stati: come possiamo non essere coinvolti in questo? E prima ha citato il Presidente Trump. Sui social media ha scritto: “Presidente Xi, la prego di dare i miei più calorosi saluti a Vladimir Putin e Kim Jong-un mentre cospirate contro gli Stati Uniti d’America”. Questo è stato il messaggio, il resoconto di tutto ciò che è accaduto. Non voglio dilungarmi troppo, ma voglio solo sottolineare che il contrasto tra il successo del consolidamento dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai e il commercio e gli investimenti dei BRICS è un sistema economico diverso dalla destabilizzazione degli Stati Uniti, l’economia statunitense che è destabilizzante. E questo rende molto difficile… Il risultato degli incontri, credo, è che se il mondo si sta dividendo in questi due sistemi diversi, che effetto avrà sui Paesi che hanno cercato di avere un piede in entrambi i sistemi, come la Turchia?

All’inizio si pensava che l’India sarebbe stata la parte debole dei BRICS e che l’India stesse cercando di avere un piede nell’economia statunitense e l’altro piede il più possibile nei BRICS, ma in realtà rappresentava gli interessi neoliberali degli Stati Uniti all’interno dei BRICS. I dazi di Trump hanno cambiato tutto questo. Casualmente, appena una settimana prima dell’incontro, Trump non ha dato all’India altra scelta se non quella di scegliere il proprio futuro con i BRICS e di fare pace con la Cina: Questa terra di confine sull’Himalaya, dove non c’è un vero confine definito, non è affatto importante. Ciò che è importante è il nostro sviluppo a lungo termine. Per l’India, il commercio di petrolio e gas che abbiamo con la Russia, la raffinazione del petrolio russo e il suo ottenimento sono molto più importanti per la nostra economia, che si basa sull’energia e sull’elettricità prodotte dal petrolio. È molto più importante delle nostre esportazioni, principalmente di prodotti di lavoro manuale, verso gli Stati Uniti.

Putin [Trump] ha continuato a dire che l’India ha bisogno del mercato statunitense. Senza il mercato statunitense andrà in rovina. E il Presidente Modi ha detto chiaramente che non è affatto così. Sono quindi all’opera due dinamiche opposte: Da un lato, i BRICS e la maggioranza globale stanno cercando di isolarsi dagli Stati Uniti-NATO, non per attaccarli, non per essere rivali. Non si tratta di rivalità, perché stanno facendo cose completamente diverse. L’Europa sta militarizzando la propria economia e deindustrializzando il settore non industriale. L’Asia deve avere una copertura militare, ma sta cercando di portare avanti la diffusione del modello industriale cinese di successo a tutti gli altri Paesi del BRICS e di organizzare i trattati a cui stanno lavorando, di conseguenza, per consolidare le loro relazioni reciproche. Ed è proprio questo che sconvolge l’Occidente: il pensiero che altri Paesi non dipendano dal mercato statunitense o dall’Europa, ma possano andare avanti per la loro strada. È un sistema diverso, che sta avendo successo, mentre l’economia statunitense si sta riducendo e quella europea si sta disintegrando.

NIMA ALKHORSHID: Fai pure, Richard.

RICHARD WOLFF: Sì, vorrei aggiungere a quanto detto da Michael un po’ di storia e un po’ di attenzione ai BRICS;

Alla fine della Seconda guerra mondiale, George Kennan e altri sostennero che, dopo la sconfitta del fascismo, la fase successiva sarebbe stata quella del consolidamento dell’impero americano – non usò quel linguaggio ma, in effetti, si trattava di isolare o, nelle sue parole, “contenere” l’Unione Sovietica, che allora, nel suo cervello, comprendeva l’Europa orientale;

Ok. Perché parlo di questo? Perché la storia ci ha portato a una sorta di 180 gradi. Se dovessi riassumere quello che ho capito da questo vertice in Cina dello scorso fine settimana, sarebbe che rappresenta un programma di “contenimento” dell’Occidente e, soprattutto, degli Stati Uniti – di nuovo, non con queste parole, perché fanno di tutto, mi sembra, per non usare il linguaggio, perché il linguaggio conta. Non si definiscono coinvolti in un grande confronto militare. Non si descrivono come oggetto di una grande cospirazione. Non lo fanno;

Potreste apprezzare, come ho fatto io, quello che ha detto il signor Putin, quando gli è stato mostrato il filmato che ci hai appena mostrato, Nima, a proposito dei “miei saluti mentre cospirate contro gli Stati Uniti”. Quando gli è stato chiesto cosa ne pensasse, Putin ha fatto un gran sorriso e ha detto di apprezzare il senso dell’umorismo di Donald Trump. Che modo straordinario di diffondere, con l’umorismo e il ridicolo, l’intensità di tutto questo. Il linguaggio della casa calda ora diventa una barzelletta. Questo ci dice molto su quello che sta succedendo qui. Numero uno;

Numero due: I BRICS si trovano ora in una posizione molto comoda, e questo è ciò che mi ha mostrato il vertice. Per cinque anni, dal 2020 a oggi, il divario tra le dimensioni e la ricchezza economica dei BRICS rispetto a quella degli Stati Uniti o del G7 è diventato sempre più ampio. È un dato straordinariamente importante. Ci hanno raggiunto nel 2020 e ora ci stanno lasciando nello specchietto retrovisore mentre avanzano;

Ecco perché il punto di Michael è così importante. La loro funzione principale ora è quella di consolidare, organizzare, integrare ciò che hanno già, come voglio ricordarvi: I BRICS insieme sono più della metà della popolazione di questo pianeta, mentre il G7 è appena il 10% di questo pianeta, e questi numeri sono molto, molto difficili da superare. E se si sommano i cinque anni in cui uno dei due Paesi cresce più velocemente dell’altro, voglio ricordarvi che la Germania è in recessione, la Gran Bretagna è in crisi: La Germania è in recessione; la Gran Bretagna resiste a malapena; gli Stati Uniti stanno meglio di tutti perché hanno il 2,5%, la Cina il 5 [%] e l’India il 7%. Non c’è gara. Il tempo è stato dalla loro parte e lo diventa sempre di più mentre parlo. Ed è con questo che hanno avuto a che fare. Lo sanno bene. Lo sanno anche gli Stati Uniti. Lo sanno tutti.

Ma questo significa che non hanno bisogno e non vogliono il confronto militare. E non lo vogliono perché non ne hanno bisogno. Mentre l’Occidente lo vuole perché ne ha bisogno. Bisogna tenerlo a mente, altrimenti si fraintende la dinamica che sta avvenendo. E, a mio avviso, alla base c’è una situazione molto, molto pericolosa. E vorrei concludere i miei commenti con questo;

Gli Stati Uniti mantengono 700 basi militari (circa) in tutto il mondo. Russia e Cina non hanno nulla del genere. La Cina ne elenca una, e non so cosa elenchino i russi, ma è una cosa banale. Ok. Che cosa significa? Beh, le faccio un secondo esempio. Durante gli incontri a Pechino, l’unica cosa drammatica che gli Stati Uniti hanno fatto, e che il Presidente ha annunciato, è stata un’azione straordinaria: Un’imbarcazione, una piccola imbarcazione, con alcuni motori fuoribordo, si muoveva in acque distanti 1.000 miglia dagli Stati Uniti. Dalle immagini che ci sono state mostrate era chiaro che questa barca non aveva missili a bordo. Non avrebbe potuto sostenerli. Era troppo piccola. Si muoveva nelle acque tra il Venezuela e Trinidad, che è una distanza breve. Quei Paesi sono separati da dieci o dodici miglia d’acqua;

E gli Stati Uniti hanno compiuto un passo straordinario – dato che non si può sapere cosa c’è su un’imbarcazione senza un’ispezione ravvicinata – non hanno fermato l’imbarcazione. Non hanno arrestato le persone a bordo. Hanno fatto esplodere l’imbarcazione con un drone o un missile, uccidendo, secondo il governo statunitense, undici persone che si trovavano su quella barca. Cioè, gli Stati Uniti – e questo è stato annunciato dal Presidente nella sua conferenza stampa… 

È stata annunciata senza arresto, senza processo, senza giuria, senza giudizio, e queste persone sono state giustiziate sommariamente;

Cosa stai facendo?

Tra l’altro, si tratta di acque internazionali dove il diritto internazionale globale lo vieta. Gli Stati Uniti non sono in guerra con il Venezuela. O se lo sono, nessuno lo ha dichiarato: né i venezuelani, né gli americani. Il Congresso non l’ha votato e il Presidente non l’ha detto. Ha annunciato che “noi” – chiunque fosse il “noi” reale – abbiamo fatto fuori un’imbarcazione di droga, come se sapesse a migliaia di chilometri di distanza cosa c’era in quell’imbarcazione, e dove stavano andando le persone nella barca, con quello che c’era nella barca. Dato che si trova a migliaia di chilometri di distanza, dato che ci sono molti Paesi tra quel luogo e gli Stati Uniti, quella barca poteva essere diretta in uno qualsiasi di essi, con Dio solo sa cosa dentro;

Che cosa state facendo? È un atto così oltraggioso, che sarà visto in tutto il mondo, che bisogna chiedersi: cosa ti spinge a farlo, e cosa ti spinge a far sì che il tuo presidente dica al mondo che lo stai facendo? L’unica risposta che mi viene in mente è che è molto importante, nel breve periodo, distogliere i titoli dei giornali dal caso [Jeffrey] Epstein, che minaccia il signor Trump. E nel lungo periodo, è una sottolineatura: l’azione militare è ciò a cui siamo ridotti. 

E ora, infine, in Afghanistan, gli Stati Uniti hanno iniziato, se ho capito bene, a usare i droni; e molto notoriamente, nel corso di alcuni anni, hanno ascoltato le loro fonti di informazione e hanno usato i droni per assassinare gruppi di persone che spesso si sono rivelati essere un funerale, un matrimonio, una riunione di famiglia;

Ok, se continuate a farlo – ed è l’equivalente di ciò che è stato fatto con quella barca – state insegnando alla gente di chiunque lo facciate a essere profondamente arrabbiata, amareggiata e impaurita, perché per loro questa è una distruzione militare irrazionale. Se volete sapere, onestamente, perché la guerra in Afghanistan – che ha contrapposto gli Stati Uniti ai Talebani – è stata persa dagli Stati Uniti – perché ciò che governa l’Afghanistan oggi, amici, sono i Talebani – loro hanno vinto, noi abbiamo perso – e una delle ragioni è ciò che abbiamo fatto lì. E sembra che non abbiamo imparato la lezione;

Tutta l’America Latina può ora sedersi e chiedersi: Si può inviare una nave con qualsiasi cosa, ovunque – nel Mar dei Caraibi, per esempio – o si rischia il dispiacere degli Stati Uniti, che sono disposti a essere giuria, giudice, pubblico ministero e boia, tutto in una volta, istantaneamente, quando ovviamente non c’è alcuna minaccia imminente per nessun americano?

Stiamo assistendo a qualcosa che, di per sé, è piccolo, ma inserito nel suo contesto, non è piccolo. È un segno pericoloso di un affidamento all’azione militare perché nient’altro funziona più per affrontare il problema. L’India è persa per noi. Il Presidente, che suggerisce di essere un grande leader grazie alle sue tariffe – proprio mentre osserviamo i BRICS organizzarsi per consentire a decine di Paesi di ridurre o eliminare i danni che ritengono siano stati causati dalle tariffe – cinquanta miliardi o cento miliardi raccolti dalle tariffe sono una compensazione infantilmente inadeguata rispetto ai danni causati da ciò che ha fatto l’India e, infine, ciò che ogni Paese del mondo sta facendo ora, ogni azienda coinvolta nel commercio internazionale sta facendo ora: stanno rivalutando.

E questo vale anche per le aziende americane, sia per quelle situate all’estero che per quelle che si trovano qui negli Stati Uniti. Una strategia pratica di massimizzazione dei profitti richiede di adattarsi a un’economia mondiale in forte cambiamento. Nella maggior parte dei casi, il resto del mondo non ha imposto tariffe agli Stati Uniti, ma potrebbe farlo. E se l’evoluzione si sviluppa in determinate direzioni, lo farà. E dove si trova la propria attività, con chi si commercia, da chi si compra, a chi si vende, tutti stanno ricalcolando. E in questo ricalcolo, l’importanza relativa dell’Occidente si sta riducendo e l’importanza relativa delle persone che si sono incontrate a Pechino sta crescendo. E le uniche persone che lo ignoreranno sono quelle che si autodistruggono, piuttosto che massimizzare i profitti, come sostengono di essere. Stiamo quindi assistendo a un’economia mondiale in evoluzione e a un incontro a Pechino che sarà considerato una pietra miliare molto importante. Il signor Trump ha accelerato questi cambiamenti. Questo è tutto.

MICHAEL HUDSON: Voglio riprendere il discorso che lei stava facendo sull’attacco al Venezuela, la barca. Il Presidente Trump ha fornito il quadro del perché lo ha fatto. Ha detto esplicitamente: Questo è solo il primo attacco al Venezuela. È il colpo di apertura. Come sapete, nelle ultime settimane si è discusso dei piani degli Stati Uniti di invadere il Venezuela, perché effettivamente rappresenta una minaccia per gli Stati Uniti. E bisogna capire quale sia questa minaccia;

La minaccia è che il Venezuela ha un petrolio che non è più direttamente controllato dagli Stati Uniti. Il controllo dell’approvvigionamento petrolifero mondiale, perlomeno il controllo dell’approvvigionamento petrolifero dei Paesi satelliti occidentali, è una chiave per il controllo diplomatico americano delle loro economie, perché è questo controllo da parte delle otto [sette] sorelle – le grandi compagnie petrolifere americane, britanniche e olandesi insieme – che permette agli Stati Uniti di imporre sanzioni per dire: Se il vostro Paese non fa quello che vogliamo, per esempio, se non interrompe le relazioni commerciali e di investimento con la Russia, vi taglieremo il petrolio.

Quindi penso che si debba mettere l’attacco al Venezuela nello stesso contesto della distruzione americana di Nord Stream. Gli Stati Uniti hanno già dichiarato che Trump ha messo una taglia di 50 milioni di dollari su (chiunque riesca a uccidere) il presidente venezuelano Maduro. Questa non è esattamente la regola della Carta delle Nazioni Unite sul non interferire con gli affari interni di altri Paesi. Gli Stati Uniti si sono già accaparrati i beni del Venezuela; sono stati accaparrati i beni in oro che erano custoditi presso la Banca d’Inghilterra. Gli Stati Uniti si sono impossessati delle reti di distribuzione e di stazioni di servizio del Venezuela negli Stati Uniti. Gli Stati Uniti vogliono il petrolio venezuelano perché è una quantità enorme di petrolio. E gli Stati Uniti mirano a controllare questo petrolio da un secolo;

Ecco perché le sue raffinerie non sono in Venezuela, ma a Trinidad, perché è una zona separata dal Venezuela. Gli Stati Uniti hanno sempre voluto avere la possibilità di fare pressione sul Venezuela dicendo: “Voi avete il petrolio, ma chi lo raffinerà? Beh, qui siete a dodici miglia di distanza, a Trinidad. Beh, è una cosa molto separata, e noi possiamo controllare Trinidad e avere il nostro controllo su di voi;

Pensate all’imminente attacco al Venezuela nello stesso quadro di riferimento in cui Trump ha detto: Dobbiamo invadere la Groenlandia per la nostra sicurezza nazionale. La Groenlandia ha materie prime che gli Stati Uniti vogliono. Ha [una] situazione geopolitica favorevole nel nord per controllare gran parte del commercio marittimo e l’intera arena artica. Questo è l’obiettivo;

Gli Stati Uniti vogliono effettivamente invadere il Venezuela e, a quanto pare, stanno preparando forze marine per un’invasione. Non sappiamo quante siano. Ci sono varie voci e rapporti in giro, ma abbastanza per dire che i piani ci sono tutti. E quando Trump dice che questo è solo il primo passo, non si tratta della barca. Non si tratta di traffico di droga. Se non vi piace un altro Paese, se non vi piace il socialismo, qual è la traduzione americana del socialismo? Spaccio di droga, terrorismo. Sono accusati di questo.

Ancora una volta, l’unica cosa di cui gli Stati Uniti non possono parlare, come sono costretti a fare, è l’imperialismo neocoloniale. Conquistare il Venezuela. Conquistare la Groenlandia. Proprio come l’Inghilterra, la Francia e la Germania hanno conquistato parte dell’Africa. All’improvviso, siamo tornati indietro nella storia di 150 anni.

Ebbene, ciò di cui non possono parlare – per tornare agli incontri della SCO e dei BRICS – è che ciò che i BRICS stanno facendo, ciò che la Cina ha fatto, nel creare un’economia mista – beh, chiamiamola economia di mercato socializzata. Questa era la dinamica originaria del capitalismo industriale, che cercava di razionalizzare la produzione, ridurre al minimo gli sprechi e i costi inutili imposti dalle classi di estrattori di rendite: i proprietari terrieri, i monopolisti, le banche che non svolgevano un ruolo produttivo nel finanziamento dell’industria;

Il problema è che l’America e l’Europa non seguono più la logica originale del XIX secolo del capitalismo industriale. Sono disposti a far esplodere il mondo se non possono controllarlo e dominare altri Paesi. Questo è il problema dell’attacco alla nave del Venezuela, che è stato mostrato più e più volte sulla rete televisiva, l’esplosione della nave. Quindi, forse il titolo di questa trasmissione dovrebbe essere: “Barbarie all’ultimo stadio”. Questo termine è stato usato in gran parte di Internet, compresi gli ospiti del tuo programma, Nima, come Alastair Crooke e altri. Si tratta di barbarie tardiva e della volontà di attaccare altri Paesi che gli Stati Uniti e la NATO non possono controllare;

Questo è il contesto in cui l’Asia, i BRICS e gli altri paesi si muovono per dire: guardiamo dove l’economia statunitense e quella europea hanno sbagliato. Come possiamo evitarlo (tra di loro)? Come possiamo creare scambi commerciali tra di noi, investimenti tra di noi e relazioni monetarie tra di noi che non portino al tipo di finanziarizzazione che ha distrutto le economie occidentali, che hanno fatto una lunga deviazione dal capitalismo industriale verso il capitalismo finanziario e la polarizzazione finanziaria, polarizzando le economie tra creditori e debitori e imponendo tutta una serie di servizi di debito, di rendite fondiarie, di monopoli crescenti? Questo è il modello occidentale. E quello che i BRICS stanno discutendo è: come possiamo evitare tutto questo?

E stanno reinventando la ruota che la Gran Bretagna, la Germania, la Francia e gli Stati Uniti hanno sviluppato nei loro decolli industriali all’inizio del XIX secolo.

Ecco, questo è ciò che non si può discutere. Così, invece di spiegarlo – dicendo: “Non siamo più in paesi capitalisti industriali, ci stiamo deindustrializzando, e quindi l’unico modo in cui possiamo controllare gli altri Paesi è quello di prenderli con la forza militare, che si tratti del petrolio venezuelano, o della Groenlandia, o delle terre rare dell’Ucraina” – li hanno semplicemente chiamati: “Sono spacciatori di droga, sono bellicosi, sono malvagi”. E questa demonizzazione di altri Paesi – come se i Paesi che non puoi controllare fossero spacciatori di droga, fossero etnicamente inferiori, se sono slavi e tu sei ucraino, o se sono ispanici e tu sei un governo americano, un repubblicano – tutta questa demonizzazione è per evitare di parlare di ciò che questa spaccatura del mondo, che stiamo vedendo prendere forma nell’ultima settimana, è in realtà. 

RICHARD WOLFF: Volevo aggiungere perché c’è un dibattito in corso, che inizia riconoscendo – a mio avviso correttamente – che ci sono anche enormi differenze tra i membri dei BRICS. 

È corretto. Si tratta di Paesi molto diversi tra loro: storie diverse, sistemi economici diversi, culture diverse. È una massa molto complicata ed eterogenea. Numero uno. In questo momento è messa insieme da un nemico comune. E ciò che non viene riconosciuto qui negli Stati Uniti è che gli Stati Uniti sono quel nemico. Ecco perché si ha questo risultato apparentemente perverso: gli Stati Uniti vogliono fare di tutto per respingere e negare i BRICS, e poi si trovano di fronte al fatto che sono il più importante riunitore di questa massa eterogenea;

È importante anche riconoscere che, poiché il mondo sta cambiando, anche il modo in cui pensiamo all’economia mondiale deve cambiare. Il XX secolo ha impostato la questione come se fosse una grande lotta storica tra il sistema capitalista e il sistema socialista: Stati Uniti, URSS, ecc. Le questioni sollevate dal capitalismo contro il socialismo sono ancora sul tavolo. Non sono state risolte, né in Occidente né in Oriente. Avranno il loro ruolo. In questo momento sono secondarie, perché la questione chiave che motiva gli attori e gli affari mondiali è la rottura tra il dominio dell’Occidente e l’ascesa dell’Oriente; il declino del G7 e l’ascesa dei BRICS;

Ed è perfettamente appropriato per noi pensare a questa dinamica, non perché essa sostituisca o renda in qualche modo non più rilevante la lotta tra capitalismo e socialismo. Quella lotta è lì. È proprio sotto la superficie e verrà in superficie. Lo fa già ora, ma continuerà, in un Paese o in un altro, in una regione o in un’altra, in un gruppo di operai in sciopero in una fabbrica di – riempire un qualsiasi spazio vuoto di – qualsiasi Paese ora nei BRICS. Non hanno superato queste contraddizioni. Alcuni dei loro entusiasti possono dirlo, ma è un’ingenuità;

Le persone che hanno effettuato la transizione dal feudalesimo al capitalismo, ad esempio in Francia, Robespierre, Danton, tutti loro, amavano parlare di libertà, uguaglianza, fratellanza e lotta dei popoli: Robespierre, Danton, tutti loro, amavano parlare di libertà, uguaglianza, fraternità e lotta dei popoli. Credevano che se aveste introdotto il capitalismo, avreste ottenuto libertà, uguaglianza, fraternità e – aggiungete il contributo della Rivoluzione americana – democrazia.

Il 19° secolo ha insegnato alla gente che il capitalismo è stato conquistato, e così è stato. Si è seppellito il feudalesimo, è vero. Ma ha ottenuto la libertà, l’uguaglianza, la fraternità e la democrazia? Niente affatto. E chi l’ha ribadito con più forza di tutti nel XIX secolo? Karl Marx. Questo è il suo contributo. Amava la libertà, l’uguaglianza, la fraternità, la democrazia, le rivoluzioni francese e americana. L’ha detto e ridetto. Ma diceva che il capitalismo è il suo stesso ostacolo alla realizzazione di tutto ciò. E questo è stato il suo altro grande contributo: Non è un problema esterno, è un problema interno;

Beh, abbiamo tutto il diritto di dire – e io sostengo – che i BRICS rappresentano una rottura immensamente importante nel capitalismo occidentale, sfidando tutte le persone che l’hanno guidato o, come dice Michael, sfidando l’intera logica e ideologia del capitalismo nel XIX secolo e nel XX. Quindi è oltremodo importante, ma non rimuove, né cancella, né si lascia alle spalle le altre questioni. Ci insegna solo che, mentre potevamo pensare che la questione nel XX secolo fosse capitalismo contro socialismo, stavano accadendo molte altre cose; e queste sono ora venute alla ribalta, allontanate, messe in secondo piano, quelle altre questioni; non sono risolte. In futuro ci dimostreranno che quelle questioni restano sul tavolo. E lo faranno in Cina e anche altrove.

MICHAEL HUDSON: Beh, Richard, hai ragione nel sottolineare cosa fossero i BRICS. I BRICS hanno una varietà di sistemi politici e ci sono forze neoliberali molto forti all’interno dei BRICS. Come affrontano questo problema?

Credo che la chiave di questi incontri sia che, sebbene nominalmente si tratti di incontri geopolitici che abbiamo visto in Cina, l’intero incontro è stato costruito intorno all’anniversario militare della fine della Seconda Guerra Mondiale. È stato collocato in una prospettiva militare per sottolineare quanto sia importante la lotta di oggi nel plasmare i prossimi ottant’anni;

Perché proprio come la promessa del capitalismo industriale – di portare più uguaglianza e aumentare gli standard di vita – ha finito per prendere la deviazione verso il capitalismo monopolistico e il capitalismo finanziario, gli accordi delle Nazioni Unite e l’intero ordine economico che è stato concepito nel 1944 e nel 1945, che ha creato l’ONU, il FMI e la Banca Mondiale, non hanno affatto mantenuto la loro promessa;

E credo che il discorso del Presidente Xi abbia proclamato in questo incontro che l’obiettivo è “un’iniziativa di governo globale”. Sta parlando di: Come possiamo creare governi globali che possano essere concordati di fronte a questi punti di forza neoliberali in alcuni Paesi, di fronte agli interessi di rendita post-industriali sopravvissuti, in molti dei Paesi BRICS e in molti dei Paesi del Sud globale – come possiamo affrontarli? L’unica cosa che potevano affrontare e che si sono proposti di fare è stata: Creiamo una serie di presupposti fondamentali per il commercio internazionale: la non interferenza, uno di questi; l’uguaglianza tra i diversi Paesi; non minacciare la sicurezza nazionale degli altri;

L’equa sovranità economica tra le nazioni era il vero obiettivo. Ebbene, come si può avere sovranità economica per i Paesi del Sud globale, ad esempio, quando hanno l’equivalente moderno di ciò che avevano la Gran Bretagna e l’Europa: la sopravvivenza del feudalesimo, la sopravvivenza della classe dei proprietari terrieri, la rendita fondiaria, la sopravvivenza dei monopolisti? Ebbene, ciò che i Paesi del Sud globale hanno come eredità, che è altrettanto grave del feudalesimo, è l’eredità della proprietà straniera delle loro risorse di materie prime;

Ciò che l’Europa – Inghilterra, Germania, Francia – cercava in Africa non era replicare se stessa, non diffondere il capitalismo industriale che ha segnato il decollo industriale dell’Europa, ma cercare la rendita. Hanno cercato di creare la loro economia di rendita, una camicia di forza come lo era il feudalesimo. Volevano il controllo, volevano la rendita delle risorse petrolifere, minerarie, i monopoli dei trasporti – come gli investimenti europei in canali e ferrovie – e altre infrastrutture di base. Fin dall’inizio, gli investimenti europei e poi americani nel Sud globale hanno assunto una forma completamente diversa da quella degli investimenti nell’Europa continentale e negli stessi Stati Uniti. Si trattava di ricerca di rendite.

Questa è l’eredità con cui i Paesi BRICS devono fare i conti, perché ha creato oligarchie clientelari in molti Paesi del Sud. Ebbene, questo era un problema che preoccupava, fino alla scorsa settimana, l’India. Dove si colloca la sorta di economia mista e di identità geopolitica mista dell’India? Beh, sono riusciti a risolverlo. Dovranno risolvere il problema, da lei sottolineato, dei diversi sistemi economici dei Paesi BRICS e del Sud globale;

L’unico modo in cui possono iniziare a farlo è dire: “Quello che possiamo concordare è la dedollarizzazione utilizzando le rispettive valute, non il dollaro”: Quello che possiamo concordare è la dedollarizzazione utilizzando le rispettive valute, non il dollaro. La Cina creerà, sarà il principale investitore, una banca internazionale e creerà relazioni commerciali. Questo deve essere l’inizio. Come si comportano gli uni con gli altri. 

Prima di poter trattare – ora, come facciamo a trattare con le vostre economie nazionali – in modo che altri Paesi possano seguire lo stesso percorso della Cina nel mantenere il settore finanziario come un servizio di pubblica utilità, per creare denaro e credito ai fini degli investimenti di capitale e dei prestiti produttivi, invece delle acquisizioni aziendali predatorie, della leva finanziaria e della piramidalizzazione del debito che avete negli Stati Uniti? Questo è ciò che stanno cercando di fare. Credo che l’attenzione si concentri sulle relazioni geopolitiche internazionali prima di passare alle relazioni interne;

Mentre elaborano questa discussione geopolitica su, beh, come organizzeremo i mezzi di pagamento? Che cos’è un prestito produttivo? La strutturazione del commercio estero e degli investimenti ha il suo impulso nella trasformazione di queste economie interne per liberarsi dall’economia predatoria occidentale neoliberista, a caccia di rendite e finanziarizzata che avete qui.

NIMA ALKHORSHID: Richard, solo per aggiungere qualcosa a quanto detto da Michael: Negli ultimi tre anni, il dollaro statunitense ha perso circa il 107% del suo valore rispetto all’oro. Questo è, credo, il punto principale su cui Russia e Cina, e altri Paesi, stanno cercando di costruire la loro economia. L’obiettivo principale è costruire sul valore dell’oro. Continua, Richard. Vuoi aggiungere qualcosa?

RICHARD WOLFF: Sì, anche io personalmente sto esaurendo il tempo a mia disposizione, ma vorrei solo aggiungere un piccolo punto. Penso che vedremo ciò che Michael ha appena accennato. Vedremo – e tutto il mondo lo vedrà – come la Cina e i BRICS gestiranno in modo diverso i problemi economici che tutto il mondo deve affrontare. Lo vedranno, passo dopo passo, sia per quanto riguarda l’attenzione al clima – quanta parte del vostro sviluppo economico sarà determinata dal prendere sul serio le questioni climatiche, rispetto a non farlo? È già evidente. Quanta parte del vostro lavoro sarà incentrata nel fare in modo che la disuguaglianza di ricchezza e di reddito smetta di aumentare e cominci a diminuire, in modo tangenziale, adottando misure deliberate? E ci saranno delle prove;

E l’ultimo, che credo sia quello che potrebbe fare la differenza, è come integrare l’intelligenza artificiale. In Occidente è una minaccia per l’occupazione. Il motivo è che i capitalisti usano l’IA – se la usano, se la installano – perché possono licenziare i lavoratori e sostituirli con l’IA. Se avete cento lavoratori che svolgono un compito e l’IA permette a tutti loro di fare un po’ di più, potete licenziarne cinquanta e questi potranno fare quanto i restanti, che prima ne impiegavano cento. Ok? E lo vedrete. Ecco perché l’allarmismo e l’ansia per l’occupazione.

Ma naturalmente c’è un’opzione. Se l’intelligenza artificiale vi rende doppiamente produttivi, come nel mio esempio, l’alternativa è che tutti mantengano il loro lavoro ma lavorino quattro ore al giorno, non otto. Allora si ottiene la stessa produzione, gli stessi numeri, lo stesso profitto. È tutto uguale, ma l’IA è stata usata per migliorare il tempo libero della maggioranza, la classe operaia;

Ok, questi sono i due poli. Licenziate metà dei lavoratori, oppure teneteli tutti e date loro un lavoro a metà tempo, pagandoli allo stesso modo, perché tutti i conti tornano. I profitti sono gli stessi, le uscite le stesse, le entrate le stesse e i salari gli stessi. Metà lavoro, stesso salario. I lavoratori ne sarebbero entusiasti;

Questi sono i due poli. Si può fare qualsiasi cosa nel mezzo. Questa sarà una decisione che probabilmente prenderanno sempre più Paesi. E separerà coloro che sono, in generale, seri riguardo ai vecchi obiettivi socialisti, da coloro che non lo sono. E questo diventerà un tema di contesa in ogni economia;

È questo che intendo quando dico che non abbiamo lasciato il mondo del capitalismo contro il socialismo. In realtà siamo più vicini a farne una lotta reale – sul campo, ogni giorno – di quanto non lo fossimo. Solo che non lo capivamo. Pensavamo che la lotta fosse X, ma in realtà è Y. Ecco come penso che dovremmo pensare al significato dell’intero movimento dei BRICS.

Tuttavia, mi dispiace. Ho un’altra cosa da fare. Vi auguro ogni bene e sarò pronto a partire giovedì prossimo senza limiti.

NIMA ALKHORSHID: Sì, grazie, Richard. Ci vediamo presto. Michael?

MICHAEL HUDSON: Beh, credo che Richard abbia centrato il punto: sì, è uno scontro, ma non tanto tra socialismo e capitalismo, perché cosa significa capitalismo? In realtà è tra socialismo e capitalismo finanziario perché, alla fine del XIX secolo, tutti gli scrittori delle economie capitaliste credevano che la traiettoria del capitalismo industriale sarebbe stata verso un’economia mista, e tutti usavano la parola socialismo. Come abbiamo detto, il termine aveva un significato diverso per le diverse persone. C’erano molti tipi di socialismo: il socialismo anarchico, il socialismo libertario, il socialismo di mutuo soccorso, il socialismo cristiano, il socialismo di John Stuart Mill… tassare i proprietari terrieri, in sostanza, è il denominatore comune dell’economia classica;

E il socialismo era previsto come parte della dinamica del capitalismo industriale stesso. Tutto questo è finito dopo la Prima Guerra Mondiale. Si può guardare alla SCO, ai BRICS e ai Paesi del Sud globale; si può guardare a ciò che è successo nell’ultima settimana come a una ripresa dell’idea di un’economia di mercato – un’economia capitalista di Stato, un’economia mista, come quella cinese,  e come Lenin ha descritto nella sua Nuova Politica Economica del 1921 – si avrà sempre bisogno di una sorta di economia mista. 

Inoltre, è necessario un sistema fiscale, un’uniformità fiscale tra i Paesi che effettuano scambi e investimenti, in modo che il sistema fiscale si basi sulla tassazione della rendita economica, cioè del reddito non guadagnato: rendita fondiaria, rendita di monopolio, rendita delle risorse naturali e speculazione finanziaria, mantenendo… E ci sarà sempre una sorta di rendita perché le località hanno una posizione migliore. Ci sarà sempre un monopolio naturale sotto forma di infrastrutture pubbliche di base: trasporti, comunicazioni, sanità e istruzione. Questi settori potenzialmente in grado di estrarre rendite saranno mantenuti nel dominio pubblico, grazie alla finanza. E fino a quando la finanza verrà utilizzata, insieme al sistema fiscale, per plasmare il funzionamento delle economie, le discussioni, le argomentazioni e la teoria dello sviluppo economico, per le prossime generazioni, saranno tutte incentrate su questo.

È proprio questo che non viene discusso in Occidente. Ma se ne parla in Cina e tra i Paesi che si sono appena riuniti a Pechino. Quindi, penso che possiamo considerare questo come un’occasione per mettere in scena, da un lato, le linee positive che l’Asia sta prendendo, e per attirare tutti i Paesi del Sud globale che vogliono unirsi, anche se ciò significa allontanarsi dalle loro oligarchie di clienti acquisiti e dai loro interessi di rendita che l’Occidente ha messo al potere per tutto questo. E questo è, ovviamente, ciò che rappresenta l’intera lotta americana contro il Venezuela, che ha cercato di avere una rivoluzione socialista con l’America che dice: Renderemo il socialismo così costoso per voi in termini di spese militari e di sabotaggio delle vostre economie, in modo da poter dire che il socialismo è un fallimento perché siamo in grado di distruggere le economie socialiste.

Ebbene, i Paesi BRICS, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, hanno detto: Non potrete fare alle nostre economie quello che avete appena fatto al Venezuela e che minacciate di fare alla Groenlandia. Ci isoleremo da voi. Non combatteremo con voi. Ci difenderemo se ci attaccherete, come state facendo con la Russia in Ucraina. Se ci attaccherete a causa del percorso che stiamo seguendo, allora, ovviamente, ci sarà uno scontro. Non vogliamo combattere. Non vogliamo avere nulla a che fare con voi. Siete un sistema diverso. Siete una barbarie all’ultimo stadio. E noi andiamo per la nostra strada. Credo che questo sia ciò che sta plasmando la prossima generazione a livello globale.

NIMA ALKHORSHID: Grazie mille, Michael, per essere qui con noi oggi.

MICHAEL HUDSON: Grazie per avermi invitato, Nima. Era la discussione giusta da fare in questo momento.

Trascrizione e diarizzazione: hudsearch

Montaggio: Kimberly Mims
Revisione: ced

Foto di Farid Karimi su Unsplash

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