26 anni dopo la tragedia, la storia del genocidio in Ruanda è conosciuta solo attraverso la sua versione ufficiale. Scritto dai vincitori, viene ripetuto più e più volte dai media in linea con la versione imposta dal regime del generale Kagame.
Questa storia ufficiale si può sintetizzare in tre punti:
1) Il 6 aprile 1994, gli “estremisti” Hutu abbatterono l’aereo del presidente Hutu Habyarimana.
2) La notte dal 6 al 7 aprile, questi stessi “estremisti” hutu hanno effettuato un colpo di stato per istituire il GIR (governo provvisorio ruandese), impegnatosi quindi a scatenare il genocidio dei Tutsi, un genocidio pianificato da lunga data.
3) Le forze Tutsi dell’RPF furono quindi costrette a violare il cessate il fuoco in vigore per salvare le popolazioni dal massacro.
Tuttavia, questa storia è falsa perché:
1) Gli “estremisti” hutu non hanno assassinato il loro stesso presidente.
2) Non vi fu alcun colpo di stato nella notte tra il 6 e il 7 aprile; al contrario un tentativo di rispettare la legalità costituzionale mediante la formazione di un potere civile.
3) L’RPF lanciò la sua offensiva all’annuncio della morte del presidente Habyarimana, quindi diverse ore precedenti i primi massacri. Sapendo che sarebbe andato etno-matematicamente (90% di Hutu e 10% di Tutsi) a perdere le elezioni alla fine del periodo di transizione, la sua unica possibilità di salire al potere era la sola vittoria militare.
A fronte della ricostruzione storica finalizzata a legittimare la presa del potere dell’RPF con la forza, la vera storia del genocidio in Ruanda è stata scritta, giorno dopo giorno per quasi 15 anni, al cospetto delle quattro Camere dell’ICTR (International Criminal Tribunal for Ruanda), creato l’8 novembre 1994 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Questo tribunale, situato ad Arusha, in Tanzania, ha concluso i suoi lavori il 31 dicembre 2015 e ha giudicato 69 personalità hutu. Nel corso del processo furono prodotte migliaia di testimonianze, decine di migliaia di documenti scritti, audio, fotografici o filmati e furono presentate e sostenute dozzine di relazioni di esperti. Tuttavia, coloro che affermano di parlare del Ruanda non hanno mai consultato questi archivi, e quando li menzionano, è il più delle volte solo per sentito dire …
Eppure, nel corso delle audizioni, è stata scritta una nuova versione della storia del genocidio in Ruanda che ha sconvolto i tre punti fondamentali, ossia lo stato delle conoscenze che avevamo nel 1994, e la campagna di disinformazione dei centri alimentati da Kigali:
1) Nessuna delle quattro Camere che compongono l’ICTR ha confermato la validità del cuore della storia ufficiale, vale a dire la premeditazione del genocidio. Secondo i giudici, l’accusa non era in realtà in grado di dimostrare che il genocidio era stato pianificato, poiché il procuratore non era riuscito a provare l’esistenza di un accordo prima del 6 aprile 1994 al fine di pianificarlo ed eseguirlo.
2) Dopo il postulato della pianificazione, qual è stato il fattore scatenante di questo genocidio? Anche in questo caso, la risposta è molto chiara: al cospetto delle quattro Camere dell’ICTR, fu attuato alla morte del presidente Hutu Habyarimana, ucciso nell’esplosione del suo aereo abbattuto da due missili di cui conosciamo l’origine, numeri di identificazione e identità di chi li ha sparati … Chi ha quindi ordinato questo attacco? Sotto la pressione degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, all’ICTR non è stato permesso di indagare su questo crimine. L’unica certezza è che questo attacco non è stato commesso dagli “estremisti” hutu …
3) Il 6 aprile 1994, dopo la notizia della morte del presidente Habyarimana, le forze del generale Kagame lanciarono un’offensiva preparata per diverse settimane contro l’esercito nazionale ruandese sconvolto dalla morte del suo capo di stato maggiore ucciso al momento dell’attacco, e i cui armamenti erano stati consegnati alle Nazioni Unite nel quadro del cessate il fuoco e degli accordi di pace.
In qualità di esperto giurato davanti all’ICTR in otto dei principali processi tenuti lì, ho preparato e redatto otto perizie che ho poi presentato e sostenuto davanti alle varie Camere tra il 2002 e il 2012.
Conservati negli archivi dell’ICTR, questi rapporti erano precedentemente accessibili solo a un pubblico più che limitato. Nessun giornalista o “esperto” che afferma di parlare del Ruanda li ha consultati. Eppure, queste otto relazioni costituiscono elementi essenziali per una comprensione approfondita dei tragici eventi che hanno travolto il Ruanda tra il 1990 e il 1994. Segnano anche altrettante fasi dell’evoluzione della storiografia del genocidio e consentono di comprendere il funzionamento interno di questa enorme macchina che era l’ICTR.
Complessivamente in un volume di 585 pagine, questi otto rapporti costituiscono una base di conoscenza senza la quale è illusorio fingere di parlare del genocidio del Ruanda in modo scientifico.
Da quando si è profilata l’emergenza sanitaria, la celebre affermazione di Carl Schmitt “sovrano è chi decide dello stato di eccezione” è stata ripetuta tante volte e in modo bipartisan, dalla destra alla sinistra. Qualcuno l’ha fatto – come sempre nelle affermazioni politiche – per sostenere più poteri al governo che alle regioni (per lo più a direzione politica avversa) altri per diverse ragioni.
Approfittando che sta sulla cresta dell’onda, ricordiamo quanto scrive Schmitt, e ancor più il suo allievo Fortsthoff, sul carattere delle “misure” che il sovrano (o comunque i poteri pubblici) prendono in casi di emergenza.
Sostiene Forsthoff che tali misure vanno ricondotte al concetto di “provvedimento”. Citando Schmitt scrive che è “tipico del provvedimento «che il procedimento sia determinato, nel suo contenuto, da un dato di fatto concreto e sia completamente permeato da uno scopo obiettivo». Perciò contrappone il provvedimento alla decisione emessa nella dovuta forma di un regolare procedimento ed alla norma di legge, «se essa esprime essenzialmente un principio di diritto, cioè se essa vuole essere soprattutto giusta, permeata dall’idea di diritto»… Caratteristica del provvedimento è una specifica relazione tra mezzo e scopo. Il provvedimento è diretto ad un determinato scopo, A questo scopo sono adattati e subordinati i mezzi che sono usati per il suo raggiungimento” mentre “la sentenza giudiziaria in quanto è presa «in base al diritto» sta al di sopra della adeguatezza allo scopo e del perseguimento di esso, che distinguono il provvedimento”; mentre nella legge scopo e idea di giustizia sono ambo presenti “La norma giuridica può essere creata per regolare un rapporto della vita in modo adeguato, cioè in conformità ad uno scopo ed in corrispondenza alle idee correnti di giustizia. Una tale legge, nel suo complesso, è sottratta alla determinazione di uno scopo, poiché contiene in se stessa un valore”. Quindi “L’ordinamento non è mai solo mezzo a scopo, esso ha un proprio valore”. Lo scopo, che in altri atti giuridici ha un ruolo di comprimario o subordinato, nelle misure d’eccezioni è determinante; l’idoneità delle stesse è commisurata alla congruità a conseguire lo scopo.
Ne consegue che la “tavola dei valori” o “le idee di giustizia” che informano ogni ordinamento sono qui subordinate. Il perché è chiaro: allorquando è in gioco l’esistenza e/o beni pubblici essenziali come la vita, la sicurezza collettiva, il resto, come l’intendenza di De Gaulle, segue. Dov’è che le misure hanno la propria validità e legittimità? La prima nell’essere adeguate allo scopo (“razionali rispetto allo scopo” avrebbe scritto Max Weber), la seconda nell’essere prese da un’autorità che goda di fiducia e largo consenso.
In questo senso la vicenda del coronavirus è iniziata proprio male. Ai governatori leghisti delle regioni del Nord che chiedono di mettere in quarantena gli studenti, di qualsiasi nazionalità, provenienti dalla Cina, il segretario Dem replicava “Allarmismi ridicoli… il governo ha già sospeso i voli provenienti dalla Cina, dunque non si capisce come i bambini possano arrivare” (fonte “Il Messaggero”); e una loquace deputata Dem “i governatori fomentano panico e intolleranza”; la Ministra Azzolina “Il governo si è mosso immediatamente e voglio tranquillizzare tutti perché la propaganda non fa assolutamente bene: non ci sono motivazioni al momento per pensare di escludere gli alunni dalla scuola” (fonte: “Il Messaggero”).
Il Presidente Conte, forse per non essere tacciato di sovranismo, rimanda tutto a presidi e primari “Ci dobbiamo fidare delle autorità scolastiche e sanitarie, se ci dicono che non ci sono le condizioni per il provvedimento in discussione invito i governatori del nord a fidarsi di chi ha specifica competenza”, senza porsi il problema di cosa succede se i presidi e i primari non avessero la stessa opinione (dato il numero è impossibile che ne abbiano una condivisa da tutti).
È chiaro che tutte queste affermazioni erano condizionate dalla ideologia e dalla lotta politica: accoglienze e frontiere aperte versus sovranismo e frontiere chiuse. Cioè erano proprio il contrario di quello che una misura d’emergenza deve essere. Il fatto che (almeno) dai tempi di Boccaccio e della peste nera è noto che l’isolamento è un efficace strumento di riduzione del contagio e che il virus se ne impipa delle divisioni politiche ed ideologiche, così come i mezzi per combatterlo; l’agente patogeno non è antifascista o anticomunista, ma semplicemente (e banalmente) pericoloso come terremoti, inondazioni (e altro).
Resta il fatto che dopo poche settimane Conte ha chiuso province, regioni, scuole e, da ultimo, tutta Italia dimenticandosi di governatori, presidi e primari: probabilmente ha fatto bene, ma ci sono volute – per farlo – diverse settimane nelle quali il coronavirus non ha trovato ostacoli, o ne ha trovati meno.
E rimane il problema della fiducia che può ispirare ai cittadini una maggioranza ed un governo che fa di una questione essenzialmente “tecnica” (nel senso indicato) una faccenda politico-ideologica: sarebbe meglio che facessero tesoro dell’intera lezione di Schmitt e Forsthoff (e Weber) sul punto.
Raramente, forse mai, un momento così solenne è stato fatto oggetto di un discorso così inadeguato. Mai in tempo di pace un’intera nazione era stata fermata, limitati gli spostamenti da paese a paese, da città a città, chiusi gli esercizi ad orario da coprifuoco, ostacolati i normali spostamenti, impedite le manifestazioni e qualunque riunione, dai matrimoni alle funzioni religiose, ai funerali.
Mai in tempo di pace.
Perché, in effetti, non siamo più in tempo di pace.
Qualcuno ci ha dichiarato guerra. E non è stato il coronavirus.
Lui non è neppure un essere vivente, e non è tanto meno un’individualità (si tratta di una nuvola di virus a Rna, continuamente mutanti). Il coronavirus si sta semplicemente adattando ad un nuovo ambiente, essendo ‘saltato’ dal vecchio ospite ad un altro. Non è una cosa particolarmente strana, noi conviviamo con miliardi di organismi, batteri e virus, che sono integrati nel nostro organismo, ma questo è nuovo.
Quella che ci ha dichiarato guerra è la nostra stessa follia. In linguaggio informatico sarebbe un difetto di sistema. Aver per decenni ridotto la spesa sanitaria, portandola sotto il livello di un paese a reddito pro capite medio come la Cina, eliminato quasi tutti i servizi territoriali di prevenzione, ridotta la pubblica amministrazione sotto la media europea (16% dei lavoratori). Solo Germania, Lussemburgo e Olanda hanno meno dipendenti pubblici, paesi come la Scandinavia ne hanno il doppio. In generale siamo alla metà dei paesi nordici, il 14% dei dipendenti, per 3,2 milioni di addetti. Per fare un paragone con paesi simili, la Spagna ne ha il 15% e la Francia ben il 22%. Portarci al livello della famosa burocrazia e livello dei servizi pubblici francesi significherebbe, dunque, assumere 1,5 milioni di addetti, portarci intanto alla media europea corrisponderebbe a 0,4 milioni di assunzioni urgenti.
Se avessimo più di 3.000 dispositivi di respirazione assistita, più di 5.000 posti letto in rianimazione (300 in Campania), più di 100.000 medici specializzati, se avessimo i 50.000 infermieri che mancano alle piante organiche, o non avessimo chiuso per risparmiare centinaia di presidi ospedalieri, soprattutto al sud, ora potremmo offrire soccorso.
Non capiterebbe, come ho sentito su You Tube[1], che una povera donna con complicazioni neurologiche possa ammalarsi a casa e non ricevere nessun soccorso e quindi possa morire soffocata dopo solo due giorni. Non so se è vero, probabilmente no, ma potrebbe facilmente diventarlo tra breve.
Dunque siamo in guerra.
Il 13 maggio 1940 il primo ministro britannico, appena nominato, pronuncia un drammatico discorso alla Camera dei Comuni, nella quale annuncia “blood, toil, tears and sweat”. Non promette altro che “molti, molti lunghi mesi di lotta e sofferenza”, ma anche lo scopo della lotta: “la vittoria”, per la sopravvivenza.
Le cose stanno così. Anche noi dobbiamo vincere perché se riusciamo a non lasciare nessuno indietro, a prestare soccorso anche all’ultimo, a stringere il meno fortunato nel nostro abbraccio, allora sopravviveremo come nazione e sapremo di avere uno Stato.
Nel post “Coronavirus, cronache del crollo” di ieri raccontavo di chi ci ha portati in questa guerra. Un sistema economico completamente privo di capacità di assorbire shock di questo genere nel quale tutte le catene di fornitura e produttive, di tutti i beni e servizi, sono ormai estese a livello mondiale ed interconnesse, nel quale nulla o quasi si può produrre senza ricevere componenti, materiali, competenze da qualche altra parte del mondo, spesso a grandissima distanza. Un sistema nel quale l’intera catena economica è eterodiretta, dai centri decisionali delle multinazionali, o dipende per segmenti decisivi da fornitori che non possiamo controllare. Dunque, un modello insostenibile sotto il profilo ambientale e fragilissimo sotto quello economico. Che è stato interamente ed unicamente costruito, in una lunga fase di follia e debolezza degli Stati, per sfruttare fino all’ultimo centesimo i differenziali di prezzo e di potere che il capitale mobile riusciva a estorcere a lavoratori deboli o a imprese subordinate[2].
Come si reagisce in guerra, una volta che si è capito chi è il nemico?
Ricordando chi si è. Noi, il popolo, siamo tutto. Loro, i lontani contabili ed i vicini servi del profitto e delle rendite, sono niente.
È quindi ora di combattere. Ed è ora che la nostra casa comune apra le sue porte, che accolga tutti e non lasci fuori, al freddo, nessuno.
Quando si è in guerra si fanno misure da guerra. È il momento, non si può aspettare, il paese non può aspettare l’autorizzazione. Non può aspettare che il nemico si impietosisca. Quando persino il direttore del Sole 24 ore, in televisione, dice che l’Italia deve andare per conto suo se l’Europa tentenna[3], è chiaro che chi parla di compatibilità con l’astratta contabilità da bottegai germanica deve essere trattato come un traditore della patria nell’ora più buia.
Vediamo che sta succedendo.
Provo a fare uno schema, basandomi su un modello[4] a quattro settori del sistema economico italiano: “stato”, “famiglie”, “imprese”, “estero”. Schematicamente: lo Stato spende 500 miliardi, incassandoli con le tasse ed impegna 3 milioni di lavoratori[5]; Il settore delle famiglie spende 1.000 miliardi di consumi e riceve due terzi di questa somma dalle imprese per lavoro dipendente ed il resto dallo Stato o sotto forme di lavoro autonomo e professionale o per redditi da capitale[6]; Il settore delle imprese (70% di servizio) produce valore aggiunto per 1.780 miliardi ed impiega 17 milioni di lavoratori. Dal settore estero sono importati 510 miliardi di beni e servizi ed esportati 560 miliardi.
Ora, immaginiamo che le misure adottate (“zona rossa” estesa all’intero paese, limitazioni nella circolazione, chiusure selettive), comportino a partire dall’immediato e poi progressivamente per sei mesi un calo del 50% del commercio all’ingrosso e dettaglio, del 10% dei servizi alle imprese e del 20% dei settori professionali[7]. Sul montante complessivo dei redditi delle famiglie l’impatto diretto potrebbe essere qualcosa nell’ordine del 5%. Calcolando un moltiplicatore ragionevole potrebbe salire al 6-8%. Questo impatto si ripartirebbe come impulso deflazionistico per metà all’estero, riducendo le importazioni (ma dall’estero potrebbero arrivare analoghi input, man mano che l’epidemia procede negli altri paesi), e per metà sul mercato interno.
Potrebbe valere in modo grezzo qualcosa come 3 punti di Pil, e comportare nuovi disoccupati pari a 2 milioni di persone.
Ma ciò solo se il sistema delle imprese produttive (30% del valore aggiunto, 5 milioni di addetti diretti) non viene toccato e se la logistica resta non toccata dal crollo del commercio (in altre parole, se i flussi si spostano su altri canali di acquisto, ma le persone comprano). Facciamo l’ipotesi che, invece, il settore produttivo, messo in crisi dalla riduzione della mobilità personale e, in misura maggiore, dalle difficoltà della logistica integrata mondiale, abbia un massiccio calo congiunturale del 30% e, similmente, la logistica[8]. In questo caso l’impatto distruggerebbe 600 miliardi di valore aggiunto su base annuale (ovvero 300 in sei mesi) e una quota di investimenti. Ma avrebbe impatto anche sui 3,5 milioni di addetti diretti dell’industria e sul milione della logistica. Un crollo di questa misura si può stimare impatterebbe sul reddito degli addetti provocando un’ulteriore riduzione dei consumi, inoltre aggiungerebbe 1,5 milioni di disoccupati diretti. Trattandosi di posti di lavoro di buona qualità, questi potrebbero portare ad un impatto indiretto molto significativo.
Agendo sul monte complessivo dei redditi delle famiglie tutto ciò potrebbe impattare in modo analogo per un altro 4% di Pil in meno, che con lo stesso moltiplicatore salirebbe al 7-8%. L’impulso deflazionario complessivo che stiamo rischiando sarebbe quindi, con queste assunzioni, nell’ordine del 16% del reddito medio delle famiglie italiane.
Con questi scenari non è affatto improbabile una severissima recessione compresa tra quella del 2009 (perdita di 6 punti di Pil) e quella successiva del 2012-13 (perdita di 4 punti) ed i disoccupati salirebbero di quasi 4 milioni aggiuntivi.
Il punto è stabilire che manovra dovrebbe fare un governo all’altezza del momento per fermare una valanga che si propagherebbe come fuoco nella steppa, attraverso il calo della domanda. In parte potrebbe riassorbire qualche quota di disoccupazione con assunzioni di emergenza nella sanità (che ha 0,6 milioni di addetti) in modo da poter garantire il soccorso necessario a ciascuno, e nei servizi sociali e tecnici. Ma difficilmente in tempi rapidi si potrebbe andare oltre poche centinaia di migliaia di assunzioni, e il gap con la Francia non potrebbe essere colmato.
Dandosi nel medio periodo l’obiettivo di arrivare a 1,5 milioni di assunzioni aggiuntive nella P.A., bisognerebbe però, subito, compensare almeno il 75% del calo dei redditi cumulato che potrebbe essere stimato, se va bene, a 90 miliardi complessivi in sei mesi, ovvero compensare 15 miliardi al mese. Ciò oltre un danno fiscale di circa 40 miliardi, 6 al mese[9]. Inoltre, sono indispensabili investimenti urgenti nella sanità per alcuni miliardi.
La misura macroeconomica della manovra dovrebbe essere dunque di oltre 110-130 miliardi, ovvero quasi 20 miliardi al mese in media. Naturalmente tali somme andrebbero impegnate progressivamente, solo man mano che gli impulsi di crisi, propagandosi, richiedano interventi correttivi e compensativi[10]. Di questi almeno 10 miliardi al mese dovrebbero essere destinati al sostegno del reddito.
Questo per combattere la guerra.
Ma come usarli in modo sia efficace sia equo? Oltre agli investimenti diretti nella sanità, bisognerebbe investire risorse in attività capaci di colpire l’occupazione potenzialmente lasciata libera dalla contrazione, nella produzione socialmente e tecnicamente necessaria, nella riorganizzazione della distribuzione, nei servizi civili, …
Ricapitoliamo, se vogliamo vincere dobbiamo, e man mano che si rende necessario:
Investire con modalità di urgenza tutte le somme necessarie nella sanità, dando priorità alle macchine salvavita, ai Dpi, al personale medico ed infermieristico, quindi alle strutture, ai centri territoriali, ai servizi sociali di prevenzione;
Requisire tutte le strutture disponibili, se necessarie ad erogare servizi indispensabili, soprattutto al sud;
Precettare tutto il personale necessario ad erogare i servizi di prima necessità;
Garantire con mezzi pubblici la distribuzione, precettandola o sostituendola, se le catene logistiche interne dovessero entrare in crisi;
Imporre alle industrie idonee, qualunque sia la nazionalità della proprietà, programmi di fabbricazione, fornendogli specifiche, assistenza tecnica, mandati, per rendere indipendente il paese delle principali forniture strategiche, partendo da quelle mediche, in considerazione del possibile crollo delle supply chain mondiali;
Nazionalizzare tutte le imprese, finanziarie o non, che dovessero entrare in crisi non risolvibile per effetto della crisi e quindi creare un veicolo di gestione delle imprese pubbliche e nazionalizzate, sul modello della vecchia Iri;
Per gestire tutto questo con il minimo dell’inefficienza, creare un centro di pianificazione di emergenza, dotato dei necessari poteri;
In favore del sostegno del reddito, sospendere immediatamente il pagamento dei mutui e degli affitti (provvedendo con risorse pubbliche ad attenuare l’impatto sulle controparti), per chiunque dichiari una riduzione del reddito superiore al 30%;
Integrare il reddito, con la Cig in deroga o Reddito di Cittadinanza straordinario, di chiunque dichiari una riduzione tra il 30% ed il 100% del reddito, fino al massimo di 1.000 euro;
Sospendere per sei mesi in modo generalizzato i pagamenti fiscali a tutti i cittadini ed a tutte le imprese con un fatturato inferiore a una soglia da definire;
Sospendere per tre mesi ogni rateizzazione, a qualsiasi titolo;
Sospendere, e poi revocare, tutte le normative europee che fossero in conflitto con queste misure di emergenze, necessarie per la sopravvivenza della nazione;
Sospendere, e poi revisionare profondamente, la normativa bancaria di Basilea;
Sospendere, e poi revocare, il Mes.
Questo è il minimo per continuare ad essere un paese civile.
[2] – Inoltre questo modello è esattamente lo stesso che ha compresso per decenni il reddito e l’indipendenza dei lavoratori in occidente, rendendo ovvio che la maggior parte delle persone viva con contratti senza protezioni, precari, a tempo, con singole settimane di risparmi, sovraindebitati. Fa stare l’economia in costante stato di carenza di domanda, per cui i prezzi dei beni di prima necessità continuano a calare, e tutti coloro che li producono sono giorno dopo giorno alla disperata ricerca di un modo di risparmiare qualche costo di produzione, anche se comporta andarsi a cercare un fornitore dall’altra parte del mondo che costa il 2 per cento meno di quello sotto casa, che chiude. È così che ci siamo trovati senza mascherine.
[3] – Fabio Tamburini su La 7: “Se l’Europa continua a tentennare segna la sua fine, ed è giusto che l’Italia vada per conto suo. [..] I soldi per salvare le banche sono stati trovati ora vanno trovati per salvare l’economia reale”.
[6] – 700 miliardi di redditi da lavoro dipendente dalle imprese, 150 dallo Stato, oltre che, probabilmente, 150 da lavoro autonomo e professionale. Si possono stimare per differenza 200 miliardi di reddito da capitale e rendite. Infine, questo settore paga circa 250 miliardi di tasse.
[7] – Il commercio, secondo alcune stime, vale qualcosa come 190 miliardi, i servizi alle imprese 50 e i servizi professionali altri 60 miliardi. Un impatto del genere sui redditi degli addetti diretti alle filiere coinvolte impatterebbe per ca. 100 miliardi e potrebbe produrre, al netto delle tasse, una riduzione dei consumi stimabile in ca. 50 miliardi per sei mesi. Poi c’è l’impatto sul rilevante settore del turismo, se non altro per differimento e rinvio di vacanze.
[9] – Queste stime sono ottenute dalle assunzioni di cui sopra, su dati Istat 2019, e valutando prudenzialmente un basso contagio intersettoriale, oltre una limitatissima trasmissione di impulsi di crisi dall’estero.
[10] – Chiaramente il proporzionamento della manovra non è un compito espletabile con le poche informazioni disponibili e senza l’ausilio di un modello di simulazione adeguato, che non sia, ovviamente escludendo modelli di “output gap” e modelli dell’equilibrio generale, come quelli impiegati nelle Banche Centrali, o al Ministero delle Finanze, noti per fallire sistematicamente le previsioni.
rispondo al cortese intervento sul tuo blog del 6 marzo u.s..
In primo luogo quando scrivo nella mia recensione di “usuali deprecazioni, anatemi ed esorcismi, come capitato (in Italia da ultimo circa un anno fa)” mi riferivo al noto episodio dell’invito (rivolto se, ben ricordo, dalla Feltrinelli) a De Benoist, poi annullato per le “contestazioni” di insegnanti di sinistra, e non alla Tua recensione, dotta e ragionata, non come quelle dei contestatori “a prescindere”.
Quanto al resto, ritengo di essere da sempre un seguace del liberalismo “triste”, che a me piace chiamare “forte”: ossia quello che non dimentica né la realtà e la storia, né i presupposti del politico, cioè le regolarità, le leggi sociologiche che non solo Miglio ma, come puoi leggere dalla mia recensione, anche il giovane V. E. Orlando (nel 1881) riteneva ineluttabili, che (anche) il giurista non può accantonare.
E venendo ad Orban, Ti posso rimandare per un’analisi più dettagliata al mio articolo “Costituzione ungherese e Stato di diritto” pubblicato da “Italia e il mondo” nel gennaio 2019 e mesi dopo, col titolo: “Attacco alla costituzione ungherese” su stampa da Nova Historica, in cui analizzavo la risoluzione del parlamento UE per la procedura d’infrazione all’Ungheria per violazioni dello “Stato di diritto” (ecc. ecc.).
Da tale risoluzione risulta che lo Stato di diritto ungherese era messo in pericolo da:
a) l’assenza nei sussidiari ungheresi di immagini di famiglie omosessuali (del tipo Tognazzi e Serrault nel “Vizietto”).
b) Dal fatto che i vigili urbani di un paese ungherese elevavano troppe contravvenzioni ai rom.
c) Dal fatto che la Corte EDU avesse condannato l’Ungheria per la brutalità della polizia nel respingere i migranti.
d) Dall’abolizione del ricorso diretto alla Corte Costituzionale (mentre nel ventennio circa – dopo il crollo del comunismo –era stato in vigore). Ma anche in Italia ai cittadini non è dato adire direttamente la Corte Costituzionale (come avviene per il TAR, p.es.) e all’UE nessuno ne mena scandalo; come neppure del fatto che l’Italia sia stata condannata dalla Corte EDU per la brutalità nella repressione e le torture poliziesche a Genova nel 2001 (e perché non aprono la procedura d’infrazione?). Peraltro, non è stato notato che la Costituzione ungherese prevede oltre a quelle “classiche” un’istituzione di garanzia che manca in quella italiana: il difensore civico.
Penso che risoluzioni come questa non colgono l’obiettivo esternato, ma servono più che altro alla guerra (psicologica) delle elite decadenti.
Più meritatamente una procedura d’infrazione spetterebbe all’Italia della Seconda Repubblica che, tante volte sanzionata dalle Corti europee (sia la Corte EDU che la Corte di Giustizia) ha poco o punto cambiato l’abitudine di conculcare i diritti, anche quelli più elementari, dei cittadini.
Per questi, e altri fatti e i correlativi comportamenti strabici della UE mi chiedevo se quello che dispiaceva tanto della Costituzione Ungherese fosse invece che, nella stessa, era ben chiaro e solennemente affermato la centralità del popolo e ancor più la continuità storica della comunità nazionale, a partire da Santo Stefano d’Ungheria.
Dichiarazioni che, specie la seconda, difficilmente si trovano in documenti analoghi, ma sono nient’altro che l’enunciazione di un fatto: che l’esistenza di una comunità è il presupposto dello Stato, anche quello “borghese di diritto”. Spesso attualmente dimenticato. E che, aimè, contribuisce a spoliticizzare ed emasculare il liberalismo. È esatta, a mio avviso, la critica di Schmitt che questo non fonda un potere, ma lo limita; per cui il liberalismo forte è quello che riconosce il nemico nell’oppressore delle libertà (politica, in primo luogo) e delle garanzie di queste. Ma se il nemico dei liberali non è più chi conculca la libertà ma diventa chi difende la famiglia tradizionale, i rapporti comunitari e la comunità, ciò non significa altro se de-politicizzare il liberalismo (chi difenderà la libertà politica, se neppure i liberali lo fanno?), e, ancor più, compiere l’errore più grave in politica: quello di identificare il nemico sbagliato. Quanto alla mafiosità di Orlando ritengo che la Sicilia abbia dato alla cultura tre dei maggiori esponenti del diritto e della scienza politica a cavallo del XIX e XX secolo: Gaetano Mosca, V.E. Orlando e Santi Romano. Sono orgoglioso che fossero italiani e non mi interessa cosa nelle loro azioni o scritti può essere valutato prossimo all’ “onorata società” (anche qualche affermazione di Santi Romano è imputata di “mafiosità”).
Ricambio i saluti, con immutata stima ed amicizia.
Teodoro Klitsche de la Grange
In calce il testo di riferimento di Carlo Gambescia
Qui sotto una conversazione con Gianfranco Campa e Piero Visani, registrata una settimana fa, sulle pesanti implicazioni politiche e geopolitiche della pandemia ormai in corso. L’Italia è ormai uno dei paesi più esposti ma la crisi è destinata a coinvolgere drammaticamente sempre più paesi e contribuirà a sconvolgere ulteriormente gli equilibri. Buon ascolto_Giuseppe Germinario
Qui sotto alcune pregnanti riflessioni di Giuseppe Masala. In questi giorni si sono susseguiti gli appelli e le stigmatizzazioni per indurre tutto il paese e le forze politiche ad adottare uno spirito unitario e di concordia nazionale indispensabile a fronteggiare l’emergenza sanitaria. Emergenza che allo stato riguarda la contagiosità piuttosto che la letalità del virus. Appelli che poggiano in gran parte su un equivoco più che mai deleterio e subordinato a dinamiche politiche potenti. La diffusione del corona virus e la gestione dell’emergenza sanitaria sono l’occasione e lo strumento per rideterminare i rapporti di forza e le relazioni geopolitiche. Da una parte il colpevole ritardo della Cina nel comunicare ed affrontare l’epidemia. Nella fattispecie vediamo che per ragioni di gestione interna e di implicita attribuzione a soggetti esterni, gli untori di turno, delle responsabilità della diffusione, tra questi numerosi paesi europei, in particolare Francia e Germania si adoperano a nascondere, minimizzare e manipolare i dati di contaminazione del virus nei propri territori nazionali; dall’altro i suddetti, spalleggiati tempestivamente dai funzionari della Unione Europea, stanno spingendo per l’approvazione definitiva entro metà marzo del MES2 ed una accelerazione della Unione Bancaria. Due trattati particolarmente deleteri per il nostro paese, in particolare nell’attuale contingenza. Una operazione di vero e proprio sciacallaggio del resto consueta nel sistema di relazioni internazionali. Per quanto riguarda le dinamiche politiche interne al paese, i provvedimenti del Governo sono comunque il frutto di pressioni, punti di vista ed interessi contrastanti; ne parleremo a tempo debito. Stanno evidenziando le crepe e le disarticolazioni delle quali soffre particolarmente il nostro apparato statale ed amministrativo. Ancora una volta anzichè a un Giuseppe, continuiamo ad assistere a più “Giuseppi”, di Mattei ne abbiamo già almeno due; bastano ed avanzano. A questo punto un Governo che si vorrebbe di “afflato nazionale”, che invoca la concordia nazionale, che cerchi piena legittimità ed autorevolezza, dovrebbe contraccambiare la richiesta di responsabilità con l’accantonamento quanto meno delle scelte più divisive del paese e delle forze politiche. Il MES2 e l’Unione Bancaria sono appunto tra le scelte più divisive e su questo le forze di governo sembrano troppo ben disposte a cedere e accondiscendere. La gestione interna dell’emergenza sta assumendo toni contraddittori e ormai grotteschi. Il virus segue certamente una logica ed una dinamica più potente delle intenzioni politiche, anche le migliori; la contraddittorietà, la comunicazione e l’uso spesso maldestri dei provvedimenti sono il frutto di un progressivo disordine istituzionale ormai ultratrentennale e di un senso civico ed uno spirito di unità nazionale quantomeno carente tanto da rendere improbo il sacrificio degli operatori impegnati nell’emergenza. Non pare proprio che questa classe dirigente, questo Governo e la stessa PdR siano in grado di contrastare queste dinamiche; ne sembrano piuttosto una espressione. Non riesce ad ottenere dai fratelli europei nemmeno forniture di mascherine, medicinali e disinfettanti, nè pare porsi il problema di cominciare a produrne in casa propria. Pare piuttosto propensa a manipolare ad uso proprio le progressive limitazioni. Il potere è protezione, e la protezione implica sempre il dominio. Non esiste la decretazione d’emergenza che si basa sul “per favore”. Le talpe che hanno diffuso in anticipo il decreto governativo di ieri vanno individuate, sanzionate, esposte al pubblico ludibrio. Lo stesso vale per i fuggitivi. Se la situazione si fa seria, e pare sia così, il governo si avochi i poteri necessari, metta fine al disordine istituzionale, consultata l’opposizione nomini un responsabile esecutivo (meglio un militare). L’opposizione, in particolare la Lega, all’inizio dell’emergenza virus ha gravemente sbagliato, attaccando il governo e facendo leva sul disordine istituzionale nel tentativo di accedere al governo. Poi i sondaggi l’hanno informata che el pueblo non gradiva, e si è corretta. Ora fa benissimo a contestare con la massima forza il tentativo di far passare i provvedimenti dei cravattari della UE come il MES. Può dunque con piena ragione condizionare il suo indispensabile appoggio alla necessaria avocazione governativa dei poteri emergenziali. Niente MES, e responsabile esecutivo dell’emergenza scelto di comune accordo. Parafrasando Giuseppe Masala ” Se la prossima settimana a Palazzo Chigi ci fosse un Generale dei Carabinieri non mi stupirei”. L’importante è che non si chiami Pietro Badoglio._Giuseppe Germinario, Roberto Buffagni
Il Fiero Pasto.
Fonti dell’Eurogruppo hanno fatto sapere che è attesa l’approvazione definitiva della riforma del Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità) per il 16 di Marzo. Ecco, allora, non è che ci vuole Nostradamus per capire che per l’Italia la firma del Mes significherebbe suicidarsi. Le nostre banche stanno crollando in borsa e conseguentemente lo spread Btp/Bund sta salendo. E’ evidente che avremo bisogno di finanziamenti e quelli della Bce sono vincolati all’attivazione del Meccanismo Europeo di Stabilità. Herr Weidman ha parlato chiaro: non sono all’orizzonte misure straordinarie di erogazione di liquidità da parte della Banca Centrale Europea. Letto in controluce significa: <<Chi ha bisogno di liquidità usi le procedure ordinarie attivando il Mes e firmando un Memorandum of Understanding in stile greco>>.
Ancora meno si può parlare di approvazione di norme capestro quali quella della dell’Unione Bancaria che prevedono la ponderazione del peso dei titoli di stato nazionali nel portafoglio titoli delle banche. Il cosiddetto doom loop tra banche e governi” è un concetto tortuoso e illogico che solo gli economisti – categoria maestra di pensiero gregario – può accettare. In una situazione di crollo generalizzato la logica dello spalmare il rischio sia nello spazio che nella diversificazione degli asset class non funziona: crolla tutto. Il concetto di Risk-Weighted Assets (RWA) è stato semplicemente demolito come concetto dal crollo del 2008. I tedeschi fanno finta di crederci e vorrebbero imporlo perchè è funzionale ai loro disegni. L’Italia ha un un’allocazione dei risparmi/capitali fortemente concentrata sui titoli di stato italiani e questa situazione va smontata (dal loro punto di vista) con la scusa dell’effetto contagio banche-governo. Ma le banche spagnole che hanno una distribuzione più incentrata sull’estero sono messe meglio? Non mi pare proprio, hanno centinaia di miliardi impelagati in quell’Argentina che non riesce manco a pagare le rate dell’FMI e in quella Turchia impegnata in due guerre a bassa intensità (Siria e Libia) e come se non bastasse che rischia uno scontro con la Grecia. E’ forse questa un allocazione delle risorse più razionale e meno rischiosa? Non mi pare proprio.
Perchè i tedeschi vorrebbero una allocazione meno incentrata sul nazionale da parte dell’Italia? Siamo alle solite: comportarsi alla prussiana mantenendo una parvenza di correttezza con la quale fare pistolotti morali agli altri. Ovviamente loro con questa manovra intendono attivare un meccanismo virtuoso per loro e mortale per l’Italia: convogliare verso gli assets tedeschi parte del risparmio italiano abbassando i tassi sui bund che sono già negativi e sottoponendo i capitali esteri che vi sono convogliati a una patrimoniale di fatto. Ovvero sia, le spese per l’emergenza sanitaria glielo pagano i risparmiatori italiani (che però non possono pagarle per se stessi). I tassi dei titoli italiani saliranno vista la mancanza dell’afflusso di risparmio italiano? Non c’è problema secondo loro, lo stato italiano può tranquillamente attivare il Mes firmando un Memorandum of Understendig che ci vincolerà per decine di anni a ciò che decide una società privata di diritto lussemburghese (questo è il Mes). Questo è il meccanismo. Non entro neanche nel discorso su come definire il vincolo del parlamento italiano e del governo alle decisioni di una società privata di diritto lussemburghese, dico solo che io nella costituzione italiana non vedo questa opzione che vincola il parlamento italiano nell’approvazione della legge finanziaria al placet di una società privata. Un colpo di stato bello e buono.
Semplicemente con l’attivazione di questo meccanismo mortale si vedrebbe la riedizione di quanto è accaduto con la crisi finanziaria partita nel 2008: il primo che cade viene usato come fiero pasto dagli altri che si rafforzano ed evitano così a loro volta di cadere semplicemente spolpando come degli avvoltoio il malcapitato. Chiedere ad Atene in cosa si sostanzia questo concetto. Solo che questa volta a rischiare di essere i primi a cadere siamo noi.
Scusate il sermone di primo mattino.
NOTE A MARGINE
per amore di verità, spiega però che gran parte degli scenari che descrivi a partire dal secondo paragrafo fanno parte dell’Unione bancaria e non propriamente del MES2.
In realtà, il MES2 è preparatorio all’UB, va solo precisato che su quella l’Eurogruppo è ancora indietro. Ma non di molto. E con questo governo…
e si, le due cose vanno di pari passo….del resto è stato Conte a parlare di “logica di pacchetto” non avendo capito che è proprio il pacchetto che ci uccide…
IL GOVERNO PERICOLOSO DI DON FERRANTE ATTO IV (E FINALE). NOTARELLA MANZONIANA E SCHMITTIANA OLTRE IL CORONAVIRUS DOPO IL DISCORSO ALLA NAZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Di Massimo Morigi
Così termina il capitolo XVII de I promessi sposi di Alessandro Manzoni: «Dice adunque che, al primo parlar che si fece di peste, don Ferrante fu uno de’ più risoluti a negarla, e che sostenne costantemente fino all’ultimo, quell’opinione; non già con ischiamazzi, come il popolo; ma con ragionamenti, ai quali nessuno potrà dire almeno che mancasse la concatenazione. – In rerum natura, – diceva, – non ci son che due generi di cose: sostanze e accidenti; e se io provo che il contagio non può esser né l’uno né l’altro, avrò provato che non esiste, che è una chimera. E son qui. Le sostanze sono, o spirituali, o materiali. Che il contagio sia sostanza spirituale, è uno sproposito che nessuno vorrebbe sostenere; sicché è inutile parlarne. Le sostanze materiali sono, o semplici, o composte. Ora, sostanza semplice il contagio non è; e si dimostra in quattro parole. Non è sostanza aerea; perché, se fosse tale, in vece di passar da un corpo all’altro, volerebbe subito alla sua sfera. Non è acquea; perché bagnerebbe, e verrebbe asciugata da’ venti. Non è ignea; perché brucerebbe. Non è terrea; perché sarebbe visibile. Sostanza composta, neppure; perché a ogni modo dovrebbe esser sensibile all’occhio o al tatto; e questo contagio, chi l’ha veduto? chi l’ha toccato? Riman da vedere se possa essere accidente. Peggio che peggio. Ci dicono questi signori dottori che si comunica da un corpo all’altro; ché questo è il loro achille, questo il pretesto per far tante prescrizioni senza costrutto. Ora, supponendolo accidente, verrebbe a essere un accidente trasportato: due parole che fanno ai calci, non essendoci, in tutta la filosofia, cosa più chiara, più liquida di questa: che un accidente non può passar da un soggetto all’altro. Che se, per evitar questa Scilla, si riducono a dire che sia accidente prodotto, dànno in Cariddi: perché, se è prodotto, dunque non si comunica, non si propaga, come vanno blaterando. Posti questi princìpi, cosa serve venirci tanto a parlare di vibici, d’esantemi, d’antraci…? – Tutte corbellerie, – scappò fuori una volta un tale. – No, no, – riprese don Ferrante: – non dico questo: la scienza è scienza; solo bisogna saperla adoprare. Vibici, esantemi, antraci, parotidi, bubboni violacei, furoncoli nigricanti, son tutte parole rispettabili, che hanno il loro significato bell’e buono; ma dico che non han che fare con la questione. Chi nega che ci possa essere di queste cose, anzi che ce ne sia? Tutto sta a veder di dove vengano. Qui cominciavano i guai anche per don Ferrante. Fin che non faceva che dare addosso all’opinion del contagio, trovava per tutto orecchi attenti e ben disposti: perché non si può spiegare quanto sia grande l’autorità d’un dotto di professione, allorché vuol dimostrare agli altri le cose di cui sono già persuasi. Ma quando veniva a distinguere, e a voler dimostrare che l’errore di que’ medici non consisteva già nell’affermare che ci fosse un male terribile e generale; ma nell’assegnarne la cagione; allora (parlo de’ primi tempi, in cui non si voleva sentir discorrere di peste), allora, in vece d’orecchi, trovava lingue ribelli, intrattabili; allora, di predicare a distesa era finita; e la sua dottrina non poteva più metterla fuori, che a pezzi e bocconi. – La c’è pur troppo la vera cagione, – diceva; – e son costretti a riconoscerla anche quelli che sostengono poi quell’altra così in aria… La neghino un poco, se possono, quella fatale congiunzione di Saturno con Giove. E quando mai s’è sentito dire che l’influenze si propaghino…? E lor signori mi vorranno negar l’influenze? Mi negheranno che ci sian degli astri? O mi vorranno dire che stian lassù a far nulla, come tante capocchie di spilli ficcati in un guancialino?… Ma quel che non mi può entrare, è di questi signori medici; confessare che ci troviamo sotto una congiunzione così maligna, e poi venirci a dire, con faccia tosta: non toccate qui, non toccate là, e sarete sicuri! Come se questo schivare il contatto materiale de’ corpi terreni, potesse impedir l’effetto virtuale de’ corpi celesti! E tanto affannarsi a bruciar de’ cenci! Povera gente! brucerete Giove? brucerete Saturno? His fretus, vale a dire su questi bei fondamenti, non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s’attaccò; andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle. E quella sua famosa libreria? È forse ancora dispersa su per i muriccioli.». Abbiamo tutti ascoltato il discorso alla nazione pronunciato dal Presidente della Repubblica per infondere fiducia agli italiani in questo grave momento dominato dall’epidemia e per esortarli ad avere fiducia nei loro numi tutelari, vale a dire, e non potrebbe essere diversamente, in coloro che attualmente hanno la ventura di governarli e nella scienza. A questo punto verrebbe da dire, se si volesse essere ingenerosi, che anche la massima carica dello Stato non è esente da colpe intellettuali (non morali, sia chiaro, se no l’umile scrivente potrebbe essere accusato di vilipendio al capo dello Stato, e se c’è una dote che deve essere riconosciuta all’attuale Capo dello Stato è che i suoi atti ed azioni sono sempre ispirati al massimo senso del dovere e per il bene del paese, che poi noi si abbia un’opinione ben diversa in cosa consista questo bene è un altro paio di maniche…) riguardo la sottovalutazione del pericolo (ricordate la sua visita ai bambini cinesi, come se il rischio in Italia fosse stato quello dell’esplosione del razzismo piuttosto che la diffusione del morbo?), oppure, ma questo riguarda la pragmatica del discorso presidenziale, si potrebbe dire che questo discorso più che tranquillizzare in realtà è ansiogeno, ma questo non per colpa di chi lo pronuncia (comunicatore fiacco ed inespressivo ma ciò non è una colpa) ma per il semplice fatto che quando in una situazione difficile si comincia a dire ‘niente panico’ allora è proprio il momento di preoccuparsi. Ma come si dice, in certe situazioni come si fa si sbaglia, e cristianamente Perché non possiamo non dirci “cristiani come incomparabilmente titolava don Bendetto nel suo aureo saggio e quindi doverosamente propensi al perdono verso il prossimo (proprio perché cristianamente consapevoli che noi siamo i primi peccatori) ed anche perché, più popolarmente pragmatici siamo sempre anche propensi di muoverci all’insegna del partenopeo ed opportunistico ‘scurdámmoce ’o ppassato’, il giudizio che più o meno benevolmente saremmo tentati di formulare potrebbe essere riassunto semplicemene dicendo che il discorso è stato un doveroso atto d’ufficio e non aggiungere sostanzialmente altro. Perché allora la citazioncella manzoniana sulla morte di don Ferrante cagionata dalla sua cocciutaggine nel volere negare le natura contagiosa ed infettiva della peste attribuendo questa ai molto distanti – e non rimediabili – influssi delle sfere celesti? Non è forse questo un voler ribattere sulla responsabilità (per carità, lo ripetiamo, solo intellettuale, etc.) anche del Presidente della Repubblica nella sottovaltazione del pericolo? Non proprio (ma sì, un poco anche questo…), si è cercato, invece, di dire soprattutto un’altra cosa e non riguarda tanto le modalità retoriche attraverso le quali ha preso forma il dovere d’ufficio di avere rassicurato il popolo italiano ed anche i concreti atti presidenziali che hanno preceduto questo indirizzo ma di esprimere una profondissima critica in merito all’idea che sta dietro non solo questo discorso ma tutti i discorsi (e i pensieri politici e gli atti) del Presidente della Repubblica. Vale a dire all’idea che a) ci si deve sempre e comunque fidare dell’operato delle autorità, siano queste istituzionali e politiche, siano queste scientifiche (o presunte tali, cioè accreditate dal sistema politico-istituzionale), e in sistema come quello italiano fidarsi del momento politico come in quello presumibilmente scientifico, clientelarmente attaccato al carro del primo, è un atto che più di natura razionalmente politica ha più a che fare col misticismo, e noi siamo convinti che l’attuale Capo dello Stato sia una sincera, per quanto interiormente combattuta, espressione di questo miticismo antipolitico e che 2) ancor maggior fiducia si deve accreditare alla Weltanschauung più o meno espressa dal sistema politico-istituzionale di governo – ma questa nostra critica vale anche per buona parte della cultura politica del lato destrorso, oggi formalmente ma poco convintamente, all’opposizione di detto sistema –, una visione filosofico-politica, cioè, che arrogantemente e ipocriticamente afferma che la vita politica democratica è rigidamente governata da regole e che, queste regole, sempre e comunque sono prevalenti sulle decisioni, siano queste decisioni eventualmente vitali per le sorti del paese ma anche solo formalmente contrarie alle regole del sistema poliltico-istituzionale, e importa ancor meno se queste regole, stabilite ab aeterno e flottanti sopra la nostra testa in una astorica iperunacità, incontrino sempre meno il favore del comune sentire (siamo sempre dalle parti di un conservatore ed antistrategico misticismo antipolitico al quale ribadiamo che la storia non è altro che un cimitero di idee ed istituzioni un tempo ritenute intoccabili e in cui la loro odierna inferiorità rispetto a quelle contemporanee è solo quella di averle precedute nello storico cimitero. Se è tramontato il mondo dell’alleanza fra Trono ed Altare dell’ ancien régime, che dire del più o meno lontano destino delle attuali pseudodemocrazie rappresentative?…). Ciò non detto, sia chiaro, per invocare fantomatici, ridicoli ed operettistici colpi per rimediare, con rinnovata e rivoluzionaria classe dirigente, alla presente grave situazione epidemiologica (e alla futura gravissima situazione economica che ne conseguirà), e, a parte l’improponibilità politico-giuridica di una simile scemenza (escludendola, cioè per la deriva di criminalità politica che deriverebbe dal colpo di mano; ma, nella presente situazione storica italiana, improponibilità politica, purtroppo, di agire anche per via c.d. democratica con politiche maggiormente energiche verso il Coronavirus, rispetto alle quali il governo ora con ritardo e tentennando ha messo tremolante mano: Carl Schmitt nella sua Dittatura osservava che il presidente ex articolo 48 della Costituzione della Repubblica di Weimar per difendere l’ordine pubblico «potrebbe anche far spargere gas velenosi su intere città se ciò fosse nel caso concreto una misura necessaria per il ristabilimento della sicurezza e dell’ordine»: Carl Schmitt, La dittatura. Dalle origini dell’idea moderna di sovranità alla lotta di classe proletaria, tr.it. a cura di F. Valentini, Laterza, Roma-Bari, Laterza, 1975, pp. 211-213 e anche in ragione della nostra ‘Costituzione più bella del mondo’ del tutto refrattaria al concetto di ‘stato d’eccezione’ quello che si è visto in questi giorni è , in pratica, l’inversione politico-giuridica dell’ipotesi di scuola tratteggiata da Schmitt, cioè si è visto che in Italia prima che vengano riconosciuti momenti eccezionali e si faccia qualcosa per porvi rimedio è necessario che qualcuno – nel nostro caso qualcosa – sparga gas velenosi sul paese), non si è tanto stupidi da ritenere che il popolo è tanto buono mentre i politici che lo governano sono tanto cattivi e che quindi, con decise azioni extragiuridiche sarebbe possibile rimettere le cose a posto; in fondo, come diceva Joseph de Maistre, ogni popolo ha i governanti che si merita e se questo non vuol dire che i due livelli hanno le stesse responsabilità politiche e morali vuole perlomeno dire che della sua mancanza di strategicità politica il popolo non ha che da lagnar sé stesso e che quindi le scorciatoie più o meno extragiuridiche per rimediare a questa situazione non farebbero altro che peggiorare la situazione. Ciò, però, invece detto, e questo sia altrettanto chiaro, perché – pur augurando al Presidente della Repubblica la più lunga e felice vita possibile – alla visione politico-ideale anche espressa dai discorsi del Presidente della Repubblica, altrettanto auguriamo lo stesso destino (da raggiungersi, per carità, con una democraticissima e partecipatissima dal basso come dall’alto Epifania strategica) della famosa libreria di don Ferrante, quella di finire «dispersa su per i muriccioli», con le qual parole Manzoni intendeva che i libri di don Ferrnante, che tanto avevano contribuito alla suo funereo e stupido destino, dopo la sua morte finirono sulle bancarelle dei rigattieri e noi che ci auguriamo che in futuro non troppo lontano le idee espresse dal Presidente della Repubblica e dall’auttale pensiero politico politicamente corretto siano presto un semplice relitto del passato relegato solo alla ricerca degli storici del pensiero e/o dei curiosi eruditi librari vaganti fra i luoghi delle – si spera, non ancora completamente virtualizzate – bancarelle ma non più un dannoso riflesso condizionato, in primis delle classi dirigenti ma anche del popolo a loro sottoposto. His fretus, come sempre, non come i moderni don Ferrante negli astrali influssi degli idòla fori dell’ideologia democratico-liberale ma, come già detto precedentemente, perchè la presente dolorosissima e disgraziata situazione epidemiologica ma anche politica del nostro paese possa essere pronuba ad una prassisticamente concretissima Epifania strategica, la via migliore per liberarsi e combattere tutti i presenti e futuri morbi, siano questi di origine virale ma anche, se non soprattutto, di illusoria matrice politico-ideologica.
Con il responso del supermartedi le primarie americane hanno emesso un primo verdetto. Dalla parte repubblicana la conferma di Trump alla candidatura presidenziale non è mai stata seriamente in discussione. Da parte democratica dal cesto dei diciotto candidati sono emersi Sanders e sorprendentemente Joe Biden. Se però nessuno dei due dovesse ottenere la maggioranza dei delegati alla Convenzione di luglio, dovremo attenderci ulteriori sorprese. Se il partito Repubblicano sembra ormai stretto intorno a Trump, il partito Democratico rischia gravi lacerazioni qualunque sia l’esito finale delle primarie. Buon ascolto_Giuseppe Germinario
CONTINUARE A RIFLETTERE MENTRE ACCADONO I FATTI. Una settimana fa, scrivemmo un post sul fatto dei tempi, lasciando lì una domanda di accompagno allo svolgersi dei fatti: in che misura quanto sta succedendo cambierà la mentalità e poi le forme sociali, se le cambierà? Mi pare la domanda sia e sarà, a lungo, attuale. Vediamo allora, se qualcosa sta cambiando, cosa sta cambiando.
Al momento sta cambiando una cosa sola che però non è di poco conto. Stiamo mano a mano sapendo di non sapere. Il virus sta avendo una funzione socratica, almeno potenzialmente. Non sappiamo un sacco di cose, vediamo di farne un primo elenco:
1) Del virus non sappiamo l’origine. Le tesi possibili, al momento, sono due, l’origine animale e quella umana. Quella umana ipotizza il caso o l’intenzione deliberata. La prima possibilità, l’inavvertita fuga da un laboratorio mi pare molto improbabile, la seconda mi pare ancor meno probabile per varie ragioni, ma il post non è su quello che io penso a riguardo quindi lasciamo lì la pista. L’origine animale a sua volta, chiama due considerazioni. La prima, come alcuni stanno cominciando a fare, è sul quanto il cambiamento climatico ovvero il cambiamento degli equilibri dinamici delle ecologie, stia portando a contatto le specie in modo nuovo, contatto che forma le prime catene si trasmissione che poi arrivano all’uomo.
La seconda considerazione invece è più una constatazione, una deduzione cioè cosa certa eppure fintanto che viene espressa, non conosciuta esplicitamente. L’ha espressa ieri una biologa italiana “gli uomini sono animali”. Questo potente ritorno del biologico che riprende il dominio dell’immagine di mondo dopo esser stato a lungo chiuso in cantina mentre all’attico dell’edificio cognitivo il metafisico, l’economico e l’informatico si dilettavano a dar dell’umano astratte descrizioni ad hoc necessarie poi a sciorinare il loro discorso egemone, è il grande ritorno del principio di realtà. Si noti ad esempio come alcuni concetti di recente o meno recente, grande diffusione stiano cambiando significato: il virale ad esempio, la realtà aumentata, la sempiterna relazione problematica mente-corpo, l’altra sempiterna problematica relazione emozione-ragione, il presunto concetto di “singolarità”, il nostro tendere a costruire cose morte che poi ci fanno pensare di essere divinità creatrici, il trans umanesimo e l’immortalità, il grande significato dei Big data, la distruzione creatrice, confini e frontiere, libertà, e molto altro. Il virus, sull’immagine di mondo, potrà avere un certo effetto, credo.
2) La seconda cosa che non sappiamo è anch’essa duplice: che effetto ha sugli individui e che effetto ha nei grandi numeri? Il virus si sta scavando una sua nicchia definitoria tra l’influenza nomale e quella spagnola. Ma fanno fatiche molte menti ad aggiornare la classificazione e quindi s’è speso inutilmente molto tempo per cercar di capire se fosse dell’una o dell’altra categoria, quando il suo posto è semplicemente in un’altra categoria, una categoria propria. Fanno fatica le menti individuali ma fa molta più fatica la mente collettiva anche perché gli esperti riflettono lo stato di incertezza. Scopriamo così lo statuto limitato della stessa nozione di “esperto”. Esperto di cosa? Innanzitutto se il virus è di tipo nuovo e categoria propria, le analogie non funzionano. La novità poi di per sé significa che non ha storia pregressa e quindi è difficile fare induzioni. Poi tra i biomolecolari, i biologi, gli epidemiologi, i medici, gli statistici, i nutrizionisti, gli immunologi, i farmaceutici ci sono decine di gradazioni di esperti. Ci vorrebbe une esperto di esperti, ma temo che direbbe: ancora non sappiamo dire precisamente. Forse è proprio che quell’aspettativa di “precisione” è sbagliata, le cose morte sono precise, quelle vive no. Ma a noi piacciono i numeri, i confini definiti, le cose chiare e distinte e poiché non vogliamo rinunciare a questa aspettativa a priori, costringiamo i fatti nel nostro letto di Procuste, tagliandoli, allungandoli, legandoli, obbligandoli a stare lì dove non possono stare ed a dirci quello non ci possono dire. Ci metteremo un po’ a cambiare i nostri presupposti, è questo il destino del nostro obbligo ad adattarci alla realtà. Questo poi se gli esperti vivessero nel migliore dei mondo possibili. Nei fatti però vivono nel nostro imperfetto mondo e quindi ecco che prima si allarmano, poi rimangono allarmati ma gli vien detto di esser rassicuranti, poi sono in competizione tra loro, oscuri funzionari della scienza vengono sbattuti davanti al microfono ed il video provando il warholiano quarto d’ora di celebrità e fanno pasticci. Ne potrebbero conseguire effetti positivi, tipo domandarsi cos’è la scienza o se sono legittime le nostre aspettative per un certo tipo di scienza che però non corrisponde alla scienza in quanto tale, quanto finanziamo e quale scienza finanziamo nella ricerca e molto altro. Ma è presto per dire, vedremo. Nel frattempo scopriamo di non sapere molte cose come accadde a suo tempo per il termine “spread” ovvero la differenza tra epidemia e pandemia, tra causa unica (il virus ammazza) e causa complessa (il virus può portare sistemi già compromessi all’esito finale, è causa quindi? O concausa? Che cos’è una concausa?). Non sapendo che WHO ha lanciato un voluminoso paper su i rischi epidemico-pandemici come fenomeno probabile per una serie di ragioni già nel 2007 (ma altri ne parlavano già negli anni ’70), ci meravigliamo che Bill Gates se ne occupi per cui se si occupa sapendo cose che noi non sappiamo, invece di domandarci cosa non sappiamo, deduciamo che Bil Gates fabbrica apposta virus per sterminarci. Anche se il virus ha mortalità relativa. Tra l’altro, WHO ossia OMS è l’unica entità pubblica ad aver mantenuto costante forma e contenuto del suo dire in queste settimane, un dire settato sul problematico-plumbeo direi.
Il secondo effetto è nei grandi numeri. Qui appaiono chiare alcune cose, ovvero che le cose non sono chiare. Come fa il Sud Est asiatico ad avere così pochi casi? O il Pakistan? O le monarchie del Golfo? E l’Africa? La Germania? Gli Stati uniti d’America? Abbiamo citato tutte aree che statisticamente hanno dalle decine alle centinaia di linee di interrelazione coi cinesi, più che non quelli di Codogno lodigiano. Scopriamo così che in alcune parti del mondo globale gli standard sanitari non sono globali (accipicchia, una deduzione davvero illuminante!), ma non lo sono neanche quelli politici. Spicca il caso americano dove il presidente ha nominato addirittura uno “Zar”, un terminale unico che è l’unico che ha diritto a parlare di cosa sta succedendo. Però è scientificamente affidabile visto che si è più volte dichiarato per il “disegno intelligente”. E cosa succede quindi nel Paese che non ha una sanità pubblica, in cui i test tamponi sono a volte a pagamento, dove la lobby delle assicurazioni private trema al timor di doversi dissanguare per pagare gli effetti del cigno nero, dove il partito di opposizione rischia di veder nominato candidato uno che propugna la sanità pubblica sul modello europeo e dove tra nove mesi si va ad elezioni col rischio di esser in recessione economica e l’evidenza che solo i ricchi possono sperare di sopravvivere indenni alla cieca furia infetticida del virus cinese? Ma che domande, non succede (quasi) niente, è ovvio! Quindi, sì non sappiamo perché non abbiamo esperienza ma neanche sapremo perché chi detiene le chiavi del diritto pubblico all’informazione, deciderà che è meglio non sapere. Infatti, una prima cosa che abbiamo capito presto, è che non il virus in sé ma le aspettative su i suoi effetti sono molto più dannose del virus stesso, per cui la società dell’informazione diventa improvvisamente la società della non informazione. I dati saranno Big per le banche dati che servono la marketing ed al controllo panoptico ma rimarranno Small per quanto riguarda ampiezza e velocità dell’epidemia.
Questa enorme bolla di incertezza oscura poi tutto il resto. L’Antartide nell’ultimo mese si sta sciogliendo e se si scioglie tutta, dio non voglia, i mari saliranno di cinquanta metri. Di cavallette abbiamo già parlato in altro post. In India si massacrano tra hindu e musulmani con un bilancio morti e feriti che fa di Delhi un posto più rischioso di Vo’ euganeo. Trump fa finta di fare pace coi talebani ma con effetti a quattordici mesi per cui c’è tutto il tempo per presentarsi alle elezioni come “ho mantenuto le mie promesse” e poi ripensarci. La Nato che ha perso l’andata della guerra in Siria, vuole giocare il ritorno scendendo in campo con i turchi che nel frattempo ci vogliono inondare di siriani, a noi che poi in teoria siamo Nato. A dirigere la CDU si candida un certo Merz che oggi lavora per Blackrock che fa paura solo a guardarlo con la sua aria da feldmaresciallo sadico che ci farà ricordare la Merkel come Nonna Papera. Prestigiose università americane hanno verificato e confermato che i risultati delle elezioni che si tennero in Bolivia erano assolutamente corretti e quindi abbiamo cacciato un presidente legittimo perché trionfasse la vera democrazia. Roubini è l’unico che dice quello che tutti sanno ovvero che ci sarà una recessione globale. Nel mentre torme di sciacalli si aggirano furtivi intorno al caos per trarne qualche piccolo vantaggio, economico, finanziario, politico, geopolitico, di momentanea notorietà.
Non sappiamo poi tante altre cose, dal quanto durerà, al che effetto finale avrà, del che faremo dopo, se ci saremo nel dopo e così via. Ma dovremo abituarci, è passata una sola forse un paio di settimane dall’inizio della storia, almeno la sua italica fase conclamata. C’è tempo per sapere quante altre cose non sappiamo e sapremo e domandarci meglio che ruolo hanno informazione e conoscenza nei funzionamenti delle nostre società complesse. Intanto, laviamoci le mani …
Traduciamo e pubblichiamo questo importante articolo, pubblicato il 3 marzo dal blog greco in lingua francese di Panagiotis Grigoriou, “Greekcrisis”[1], che dal 2011 informa puntualmente il mondo sulla situazione, o meglio sulla “crisi” greca.
Panagiotis Grigoriou è uno storico ed etnologo greco. Ha compiuto gli studi post-laurea in Francia. Ha fatto parte del CNR greco, ha organizzato corsi e seminari presso il Centre d’études byzantines, néo-helléniques et Sud-Est européennes – EHESS[2]. Il suo blog è associato alla rivista francese “Marianne”.
In Italia il suo lavoro è diventato noto all’apice della crisi greca, nel periodo in cui SYRIZA, guidata da Alexis Tsipras, andò al governo, aprì una trattativa con la UE, ne fu duramente sconfitta e si allineò con le richieste UE, con le gravi conseguenze per la nazione e il popolo greco che abbiamo sotto gli occhi, e oggi culminano in questa pericolosa aggressione turca. Nel 2017 ha partecipato come relatore al convegno organizzato a Pescara, con il patrocinio dell’Università degli Studi G. d’Annunzio, dall’associazione “a/simmetrie” fondata da Alberto Bagnai, sul tema: “Più Italia – Europa e globalizzazione: quale ruolo per il nostro paese?” In nota link alla traduzione italiana del suo intervento.[3]
Panagiotis Grigoriou è insomma un intellettuale europeo, un uomo abituato a riflettere e a pesare le parole; un uomo alieno non solo dalla violenza, ma dall’estremismo ideologico; e la cultura politica in cui si è formato, come tutti o quasi tutti gli intellettuali europei suoi coetanei, è una cultura lato sensu di sinistra. L’esperienza, la dura esperienza anche personale della “crisi greca” (suo cugino si è suicidato dopo aver perso tutto, lui stesso ha incontrato e incontra serie difficoltà economiche, come moltissimi greci) non lo ha trasformato in un estremista o in un violento.
Ma leggendo questo articolo ben informato, e che riporta utilmente l’ analisi del docente di geopolitica alla Scuola Ufficiali dell’Esercito greco, l’accademico Konstantinos Grivas, si leggono parole come “siamo in guerra” o “Tsipras e alcuni dei suoi sono direttamente collegati agli interessi della Turchia e di Soros” o “ancora una volta siamo noi a presidiare le Termopili, Salamina e Maratona a difesa del nostro continente e della nostra civiltà, di fronte a invasori e commandos”.
Se queste parole le scrive un uomo come Grigoriou, è perché descrivono la realtà, la realtà che squarcia il velo della propaganda e dell’ipocrisia, che con la sua urgenza drammatica risveglia dal torpore e dalla rassegnazione un’intera nazione. Prestiamo attenzione.
Segnalo a tutti i lettori che Panagiotis Grigoriou chiede ai suoi lettori un contributo, anche piccolo, per finanziare un viaggio in Tracia, sul confine greco-turco, e informarci meglio sullo svolgersi del confronto bellico in corso._Roberto Buffagni
Anche i media mainstream finiscono per chiamare guerra la guerra, tentativo d’invasione il tentativo d’invasione. Il “governo” parla di minaccia asimmetrica e mette in allerta l’esercito, annullati tutti i permessi dei militari. “Tutte le persone di sinistra che qui da noi credono che la patria non debba più essere abitata dai Greci ma dagli invasori, che ce lo dicano apertamente“, dice radio 90.1 , un’emittente di grande ascolto, il mattino del 2 marzo. In pieno carnevale, cadono le maschere.
Da stamani, 2 marzo, il Quarto Corpo d’Armata è schierato lungo il confine con la Turchia, in Tracia, e intraprende esercitazioni su larga scala per 24 ore, annunciando che l’area diventerà pericolosa e di conseguenza , vietata, a causa delle manovre e dell’uso di armi di tutti i calibri, dai fucili automatici ai mezzi corazzati, la gamma è ampia. Allo stesso modo e per 24 ore, analoghe esercitazioni di simile portata avranno luogo in mare. Nel programma, fuoco diretto in una vasta area vicino alle isole greche prospicienti la Turchia, su tutta la direttrice nord-sud del Mar Egeo. Lunedì sera viene annunciato che queste esercitazioni con impiego di munizioni da guerra continueranno per altre 24 ore nella giornata di martedì.
Convogli dell’esercito greco convergono al confine con la Turchia, e altre truppe vengono inviate sulle nostre isole in nave e in aereo, mentre tutti gli hotel, nelle città vicine al confine, sono occupati da personale della polizia e dai soldati inviati sul posto (reportage radiofonico del 2 marzo). Al passaggio dei camion dell’esercito gli abitanti applaudono, mentre altri cittadini, spesso ex membri delle forze speciali, si organizzano in gruppi di volontari per convergere anch’essi al confine.
“Siamo stati sotto lo stivale tedesco per dieci anni durante la cosiddetta crisi, e ora la Merkel e la sua Germania continuano a sostenere Erdogan; sì, siete voi tedeschi i responsabili di ciò che sta diventando la UE, vale a dire inesistente, ormai destinata a scomparire. Perché lo sappiamo che ieri, responsabili tedeschi hanno dichiarato che non dobbiamo essere troppo fermi nei confronti della Turchia, senza dimenticare, in questa truffa, i profittatori pro-migranti delle Nazioni Unite, profittatori orgogliosi di esserlo” (2 marzo, fascia mattina, radio 90.1 FM). Media mainstream che così finiscono per chiamare guerra la guerra. Si noti che la Deutsche Welle ha riferito che la Germania evita di criticare la Turchia per l’apertura dei suoi confini che permette ai migranti di invadere la Grecia. Tutta la Grecia lo sa … ma non l’Europa, pare.
“Il personale delle ONG che si arricchiscono distruggendo la Grecia deve sapere che ormai non è più al sicuro, tale e quale i loro amici, le termiti della nazione di casa nostra“, ha dichiarato il 2 marzo il giornalista Trangas su 90.1 FM. “Dobbiamo usare mezzi adeguati e non cadere nella trappola degli invasori e dei servizi segreti turchi. Questi arrivano facendosi scudo di un bambino e una donna, mentre dietro ci sono dozzine di uomini giovani e determinati. Quindi dobbiamo fargli capire che la loro invasione organizzata deve finire, e che non è una questione di pietà.
Queste persone sono soldati nemici, non sono siriani o rifugiati, su cento arrestati ieri al confine non c’è un solo siriano. Sono afgani, pakistani, africani e altri, in parte usciti delle carceri turche, e le autorità greche hanno trovato bandiere afghane su queste persone che hanno penetrato il nostro confine gridando … Dio è grande ” (Trangas su 90.1 FM, 2 marzo). Inoltre, durante la giornata i soldati e la polizia greci hanno tirato colpi d’avvertimento con veri proiettili, di fronte alle orde di commando “civili” inviati dall’esercito turco come possibile avanguardia (stampa, 2 marzo).
Il generale a riposo Yannis Baltzois, raggiunto dalla stessa radio nelle prime ore del mattino, ha affermato che tra gli invasori migranti arrestati dalla polizia su suolo greco ci sono due turchi, apparentemente agenti del servizio segreto turco MIT. “Adesso basta scherzare, coloro che sostengono l’immigrazionismo come la gioventù di SYRIZA, devono come minimo tacere prima di trovarsi in pericolo. La Turchia per bocca dei suoi ministri ammette di voler inviare due milioni di migranti in Grecia, ed è una corsa contro il tempo come in ogni guerra. Dobbiamo rispondere con la violenza alla violenza subita, è una guerra che non ha nulla a che fare con l’asilo e ancor meno con i rifugiati, quindi gli … ‘umanisti’ d’ Atene devono stare buoni e zitti, sennò è a loro rischio e pericolo. ” aggiunge Trangas.
Sul terreno, l’esercito greco e i suoi blindati sono posizionati per le manovre sui 212 chilometri di confine con la Turchia. E’ un primo passo nella guerra asimmetrica, ibrida e già psicologica, per far capire ai migranti che non passeranno. Trangas ci ricorda che le soluzioni esistono e che si sono fatte urgenti: “Usare se necessario le nostre armi per fermare l’invasione da terra e dal mare, e allo stesso tempo espellere le Nazioni Unite e le ONG Sorosiane da isole come Lesbo e Chio, per gestire la situazione tra greci. I membri di queste ONG vanno avvisati, in modo che lascino le nostre isole prima per loro che sia troppo tardi. Gli isolani devono impedire alle ONG di accogliere altri migranti, con qualunque mezzo ”.
“Poi dobbiamo evacuare tutti i migranti dalle isole greche abitate ambite dalla Turchia, aggressiva, islamista e nazionalista, convogliandoli sulle isole disabitate, dove saranno parcheggiati e isolati fino alla loro partenza ed espulsione definitiva dal territorio nazionale . Nazioni Unite e soci dovranno allora, visto che sono … ‘umanisti’, finanziare solo i nostri isolotti disabitati trasformati in campi per migranti, invece di lasciarli avvelenare la vita quotidiana nelle nostre isole abitate, o nelle nostre città del continente. Così la smetteranno di rubare, aggredire la popolazione greca o vandalizzare le nostre chiese. D’altronde tra questi migranti ci sono detenuti per reati comuni che Erdogan ha rilasciato dalle prigioni del suo paese per mescolarli con migranti e islamisti. Sappiamo tutti, in Grecia, qual è la verità della situazione. E’ finito il tempo delle cantafavole.”
“Dopo di che dovremo ripulire i quartieri di Atene dai migranti, tra i quali prospera la criminalità organizzata, e tenerci solo quelli che lavorano davvero, che sono legali e potranno rimanere. Infine, dobbiamo armare meglio gli abitanti delle isole, vanno potenziate le nostre forze di riserva della Guardia Nazionale. Senza dimenticare che è ora di eliminare il controllo tedesco sulle nostre amministrazioni e ministeri, fino al grado di capo servizio, per poter agire in piena libertà, finalmente ” (Trangas su 90.1 FM, 2 marzo) Per due giorni, secondo i reportage sulle isole e in particolare a Lesbo, diversi membri di ONG e altri Onusiani e Sorositi sono stati picchiati dagli abitanti. “Era ora!” sentiamo dire dappertutto, nel paese reale. La hybris finisce sempre per evocare il suo castigo, è ben noto almeno dall’antichità greca.
Domenica 1 marzo i membri delle ONG sorosiane, come il capo dell’Alto Comitato delle Nazioni Unite per la migrazione a Lesbo, sono stati picchiati dai residenti. Hanno voluto insistere nella loro missione di quinta colonna di un’amministrazione neocoloniale volendo far sbarcare dei migranti, ma ormai gli abitanti difendono il loro territorio, in realtà la loro esistenza.
È un po’ tardi, ma meglio tardi che mai. In seguito, gli abitanti a volte hanno bloccato lo sbarco dei migranti sulla spiaggia, e addirittura in Mar Egeo, alcune barche, sotto la pressione … dei mezzi adeguati hanno invertito la rotta per tornare in Turchia. “Al punto in cui siamo, solo le armi possono risolvere il problema“, questo messaggio e le analoghe analisi degli ascoltatori, come tanti altri messaggi che vanno nella stessa direzione, è stato diffuso in fascia mattina, senza censure, su 90.1 FM, 2 marzo.
“Tsipras si schiera dalla parte di Erdogan quando i suoi media scrivono ancor oggi che questi sfortunati sono bloccati al confine e che il governo sta usando la violenza, intossicato dal veleno del razzismo e della xenofobia. Quindi Tsipras e l’altro scagnozzo universitario Liakos vogliono che la Grecia diventi musulmana e turca, installando due milioni di invasori? Perché questa cifra di due milioni è stata data ufficialmente dal Ministro degli Affari Esteri della Turchia. Allora, qual è il ruolo che Tsipras e SYRIZA svolgono? Siete ‘umanisti’ forse? Quando questi musulmani verranno da noi, continuerete a esistere abbastanza a lungo da vederli? Voi volete distruggere il nostro paese. Vergogna e ancora vergogna. Ascoltami Tsipras, se osi mostrarti sulle isole vedrai che gli isolani ti picchieranno. E quanto a Mitsotakis, se si comporta male la fine arriverà anche per lui” (Trangas 90.1 FM, 2 marzo).
Io mi spingerei anche un po’ più in là di Trangas. Direi che Tsipras e alcuni dei suoi sono direttamente collegati agli interessi della Turchia e di Soros. Difficile provarlo con i documenti; ad esempio, quelli sui traditori greci pagati dagli inglesi durante la loro colonizzazione di Cipro, e poi tra gli anni Cinquanta e Settanta, sono appena stati desecretati; tuttavia, per deduzione logica e confronto dei comportamenti e degli eventi ci si può fare un’idea non diversa della Tsiprosfera, degli Antifa e compagnia cantante. Si stanno organizzando persino ora, e dimostrano non lontano dal confine … per chiedere che si apra finalmente agli invasori (stampa greca del 2 marzo).
“Chi insiste nella retorica propagandistica dei cosiddetti poveri rifugiati, mentre queste sono orde di gente fanatizzata e jihadisti che insultano e minacciano la Grecia e i greci sul nostro confine trattandoli da Crociati , chi fa questa propaganda o è un agente della Turchia, o si arricchisce con l’affare migranti, il che è la stessa medesima cosa. ” si può leggere su Internet greco. D’altronde, polizia ed esercito usano le armi già la sera del 2 marzo, di fronte a una folla di fanatici deliranti e minacciosi sulla nostra frontiera. Contemporaneamente, i mafiosi oscurantisti delle Nazioni Unite dichiarano che “che la Grecia non ha alcun diritto di sospendere completamente per un mese tutte le richieste di asilo, come ha appena fatto” (stampa del 2 marzo).
Il paese si risveglia e, per dire le cose come stanno, entra di fatto in guerra di fronte all’invasione avviata dalla Turchia islamico-totalitaria e dei suoi complici mondialisti o geopolitici. Stando ai reportage disponibili, tra i migranti intercettati al confine ci sono anche turchi, e d’altronde l’esercito turco impiega droni per guidare il lancio di granate chimiche sulla polizia e sui soldati greci (media greci di oggi 3 marzo).
Sotto il velo di quarant’anni e passa di propaganda, la guerra. Mondialisti, immigrazionisti e altri propagatori del virus della decostruzione dei popoli, delle nazioni e delle culture, segnatamente in Europa, hanno già celebrato la loro festa, la festa che la finanza nichilista modello Soros celebra in tutto il mondo. Ora, sotto il peso schiacciante della realtà, la festa è finita. Le nostre società sarebbero già entrate in guerra, se non fosse che le pseudo-élite hanno fatto di tutto per chiudere occhi, coscienze e capacità di riflessione dei popoli.
Ma ora finisce, il tempo della decostruzione sorniona e silenziosa: perché sotto la pressione della guerra aperta, come ora in Grecia, la stragrande maggioranza dei cittadini si rende conto che d’ ora in avanti, è questione di vita, libertà o morte. Il linguaggio muta e si libera, e persino i giornalisti mainstream finiscono per ammettere che la Grecia sta subendo un attacco su vasta scala da parte di migranti clandestini, tutti musulmani, tra i quali gli islamisti irriducibili di Daesh che la Turchia, Stato storicamente pirata e isterico, ha fatto uscire dalle prigioni siriane e turche e condotti sulla frontiera greca in vista dell’invasione.
A parlare non è più il cosiddetto cospirazionismo, spesso attribuito all’estrema destra, ma i fatti reali e comprovati. Questa è storia, storia che nasce dalla violenza e non dai fantasmi dei sinistroidi, che come ognun sa si uniformano all’immaginario degli oligarchi e dei padroni del mondo, quella banda di squilibrati. E quando la parola dei popoli si libera, ne consegue e ne conseguirà l’azione, anche se un po’ dappertutto i governi attuali sono stati insediati dai mondialisti proprio per abolire popoli e nazioni.
Sì, siamo in guerra e questa guerra, che è soltanto all’inizio, diventerà sempre più incontestabile ed evidente in Europa. Quando nel 2011, al debutto di questo mio povero blog, ho scritto che la cosiddetta crisi o il debito pubblico non sono altro che armi di distruzione di massa, e che in realtà si tratta di una guerra genocida contro il popolo greco, perché a partire dalla Troika, come dalla Germania e dalla Turchia migranti invasori compresi, strumentalizzati o meno, è perché il processo è fin troppo coerente sin dall’inizio.
“Sappiamo anche che in passato. le guardie costiere greche hanno sparato prima per avvertimento e poi sui motori delle barche per farle restare sul lato turco, quindi sappiamo cosa bisogna fare, se necessario dobbiamo affondare alcune barche, è dura ma è così: siamo in guerra. E finirla con le ONG sulle nostre isole. E da FRONTEX apprendiamo che Erdogan sta preparando una nuova ondata per sfondare i nostri confini, quindi dobbiamo sparare nel mucchio, è un piano militare che stanno eseguendo, e dobbiamo reagire immediatamente. Il loro obiettivo è la conquista della Grecia da parte di migliaia di musulmani, e tutto si giocherà sulle isole, perché dal confine settentrionale non passeranno mai ”. Frase del giorno, giornalista Trangas, 90.1 FM, mattina del 2 marzo.
Si noti che la canaglia politica Varoufakis dichiara “che non c’è invasione e che questi poveretti dovrebbero essere accolti da noi“, ed è lo stesso slogan dell’intera sinistra, a quanto mi risulta. Sappiamo già che Varoufakis è un burattino Soros-compatibile, e ora, con identica deduzione logica, è ammissibile che sia anche un burattino Erdogan-compatibile. In tempi di guerra e storicità coerente, chi tradisce la patria non dura a lungo, lo dice anche Tucidide.
La guerra è manifesta, e persino il momento scelto da Erdogan, in contemporanea al coronavirus, non è affatto casuale. E ci saranno conseguenze. L’accademico Konstantinos Grivas, che insegna geopolitica alla Scuola Ufficiale dell’Esercito nazionale, prende in esame a sua volta le evidenze.
“Sarebbe di un’ingenuità criminale credere che la posta in gioco oggi sul nostro confine sia solo l’aggiungersi di alcune decine di migliaia di migranti illegali ai migranti già esistenti. Questa è solo la punta dell’iceberg. In effetti, la Grecia è attaccata dalla Turchia in un’aggressione totale, che cerca di decostruire la sua identità nazionale complessiva. Se la Grecia non riuscirà a impedire alle folle fanatizzate di attaccare i suoi confini con l’aiuto dell’esercito e della polizia turchi, la sovranità nazionale greca nel suo insieme sarà messa a repentaglio. ”
“Se a qualcuno dir questo sembrasse eccessivo, sappia che si è già verificato nella storia recente. In particolare, ciò che sta accadendo oggi al confine greco-turco assomiglia pericolosamente alla ‘Marcha Verde’ attuata dal re Hassan II del Marocco nel 1975 per conquistare il Sahara spagnolo. Più in dettaglio, questi furono gli ultimi giorni del dominio spagnolo sulla sua colonia nel Nord Africa. Il Fronte di Liberazione del Polisario intraprese una guerriglia contro gli spagnoli, e divenne probabile che presto avrebbero raggiunto l’indipendenza. ”
“Tuttavia, Hassan II voleva incorporare il Sahara spagnolo nel suo territorio. Quindi ha dovuto agire. E doveva agire rapidamente, prima della partenza degli spagnoli, perché dopo avrebbe attaccato un paese indipendente, mentre sotto il dominio spagnolo, poteva orchestrare la comunicazione , vendendosi come liberatore dei territori marocchini sotto il dominio coloniale spagnolo . Ma il rapporto di forza strategico con la Spagna non gli consentiva un’azione militare convenzionale, e dunque ha scelto un metodo asimmetrico, diremmo oggi. ”
“Più specificamente, ha radunato circa 350.000 cosiddetti civili, che il 6 novembre 1975 avanzarono nel Sahara spagnolo, presentandosi “pacificamente” perché senz’ armi, ma che, accompagnati da circa 20.000 soldati marocchini, travolsero le truppe spagnole, che avevano ricevuto l’ordine di non aprire il fuoco. Di conseguenza, il Marocco è stato in grado di raggiungere i suoi obiettivi, e nei cosiddetti accordi di Madrid del 14 novembre 1975 è riuscito a condividere il Sahara spagnolo con la Mauritania. ”
“Certo : in seguito, il Fronte Polisario ha intrapreso una dolorosa e feroce guerriglia per liberare il suo paese dai due invasori. E’ riuscito a espellere la Mauritania, ma il Marocco ha occupato i territori evacuati dai mauritani. La guerra ha infuriato per decenni, e i marocchini hanno costruito un enorme muro lungo 2.000 km per bloccare il Polisario. Ancor oggi, la questione dell’indipendenza nazionale del Sahara occidentale non è definitivamente risolta. ”
“Si vede dunque come dei cosiddetti civili, attraversando in gran numero il confine, siano poi di fatto riusciti ad occupare un intero paese, e in un passato non lontano. Oggi, la Turchia di Erdogan sembra adottare la medesima tattica. In altre parole, strumentalizza masse apparentemente composte da civili, inquadrati dalle forze dello Stato turco, con l’obiettivo di neutralizzare la sovranità nazionale greca in Tracia, con tutte le conseguenze che ciò potrebbe avere in futuro. ”
“In altre parole, dobbiamo capire che la Grecia sta subendo un attacco su vasta scala. Non abbiamo a che fare con una presunta crisi di rifugiati, né con la presunta gestione dei flussi migratori, e ancor meno con tutto ciò che i soliti pappagalli ripetono attraverso i media. Siamo attaccati dalla Turchia, è un attacco asimmetrico e ibrido, ma non per questo meno totale. La situazione è chiara e netta. E siamo sulla nostra ultima linea di difesa. Se cadiamo nella trappola in cui sono caduti gli spagnoli, sarà vulnerata la nostra sovranità nazionale. Non c’è spazio per le esitazioni, non c’è spazio per letture erronee della realtà. ”(Konstantinos Grivas, 2 marzo 2020).
Sembra che il paese si stia risvegliando. Non è un ingresso pacifico di alcuni migranti economici, ma di giovani maschi invasori organizzati dalla Turchia. La Turchia, come la nebulosa formata da islamisti ONU e ONG, con una diffusione massiccia di SMS incitano alla rivolta i migranti che già si trovano sulle isole, seminando il caos (stampa del 2 marzo). La Marina Nazionale Greca si dispiega a rinforzo dei guardiacoste, e a quanto pare e già stato dato l’ordine di ‘tirare sulla massa di manovra’ “.
Sì, perché non dispiaccia a mondialisti, ai banchieri, a Soros, agli Antifa e agli altri islamogoscisti, molto spesso, nella storia, le migrazioni non sono operazioni dello Spirito Santo, ma atti di guerra e invasione. Finalmente l’Europa, cioè i popoli e le élites ancora degne di questo nome, ammesso che esistano, ma non certo l’Unione Europea, capiranno che ancora una volta siamo noi a presidiare le Termopili, Salamina e Maratona a difesa del nostro continente e della nostra civiltà, di fronte a invasori e commandos.
“Siamo sotto le armi!” esclama Trangas, concludendo la sua trasmissione del 2 marzo. “Isolate le termiti che divorano la nostra nazione e il nostro morale, il nostro paese sopravvivrà, restiamo uniti, coraggio e forza a tutti“. Cioè a dire, anche i media mainstream finiscono per chiamare guerra la guerra, tentativo d’invasione il tentativo d’invasione. Cronaca diciamo di guerra. Un’altra notte lunghissima.
Storico ed etnologo, porto uno sguardo sia etnografico che da cronista (corrispondente in Francia per NemecisMag 2000-2008). Dal 2008, viaggiando per buona parte della Grecia continentale, ho visitato più di trenta isole nel Mar Egeo e nel Mar Ionio, ho incontrato la vita quotidiana di diversi circoli sociali e culturali, toccando le fratture che si moltiplicano sia a livello dei sillogismi collettivi che a livello di relazioni interpersonali in un contesto di tempi di transizione. Il mio approccio si situa ai confini dell’identità e della differenza, e ciò che più conta in un contesto globalizzante di interconnessioni economiche e culturali, e degli attriti che ne conseguono; alla luce dei quali, la “bancarotta” economica greca non pare affatto costituire un caso a parte. È così che la vita di tutti i giorni, gli stereotipi, l’immaginazione, i piccoli gesti, i significati di scambi, parole, sguardi, sentimenti e insomma le relazioni interpersonali di un intero paese e le sue “piccole storie”, si trasformano a una velocità che a una storico ricorda gli choc di quando si entra in guerra.
Panagiotis Grigoriou
APPELLO URGENTE: il vostro blog ha urgentemente bisogno del vostro sostegno per finanziare un breve soggiorno nell’Egeo orientale, per meglio comprendere la situazione sul terreno. Libertà e indipendenza hanno sempre un prezzo…