UN GOVERNO DURATURO?, di Teodoro Klitsche de la Grange

UN GOVERNO DURATURO?

Da quando ha cominciato a profilarsi il governo Conte-bis, frutto dell’accordo tra PD e M5S la domanda più frequente è: durerà? Le risposte sono diverse; tuttavia non mancano, anche nei media sostenitori della nuova maggioranza, dubbi espressi e questo significa già, per certa stampa, molto.

Infatti, a prescindere da altro, la coalizione parte, nel paese (dati delle elezioni europee di maggio) con un gradimento dei partiti che la compongono pari a circa il 40%. Di fronte ha un’opposizione (Lga, FdI, FI) la quale, in base agli stessi dati, ha circa il 50%. Per rimontare tale divario occorre un miracolo o giù di li; i tempi della seconda repubblica, quando, il divario tra centrosinistra e centrodestra si misurava spesso nei decimi di punto più che con punti completi, appaiono lontani.

Fatta tale premessa, occorre ricordare in primo luogo, come mi capitò di scrivere subito dopo le elezioni di marzo 2018 su questo sito “Nei paesi in cui il sistema elettorale non consente di esprimere un governo direttamente investito dal corpo elettorale, come l’Italia …  è doveroso, per non perdere ogni contatto con i principi elementari della democrazia politica, che, anche se non designato previamente un leader e una squadra di governo precostituita, quanto meno il governo – necessariamente di coalizione – debba costituirsi interpretando l’orientamento espresso dal corpo elettorale nelle votazioni,  come da prassi”. Questa è la prima tara del nuovo governo: infatti a distanza di tre mesi dalle elezioni europee caratterizzate da due risultati principali: a) che il governo Conte 1 era cresciuto nel consenso (malgrado il contrasto dei poteri forti) di due punti percentuali; e ancor più i populisti, tenuto conto anche di Fratelli d’Italia, avevano accresciuto i suffragi al 60% circa dei votanti; b) che le proporzioni tra i due “contraenti di governo” Lega e M5S, si erano invertite, con la prima in grande crescita e il secondo in caduta libera, il quadro politico è ribaltato

Infatti non si comprende come, con un “indirizzo politico” fresco fresco espresso dall’elettorato da tre mesi si possa costituire un governo che: 1) è di minoranza nel paese; 2) esclude il partito più votato dagli italiani, in crescita spettacolare (raddoppiato in meno di un anno). Si ha un bel chiacchierare di legalità, centralità parlamentare e altro. Sarebbe, tanto per ricordare la prassi della Prima Repubblica, quando le elezioni del 1976 vedevano il PCI arrivare al (proprio) massimo storico dei suffragi con il 34,5%, come se la DC avesse deciso di fare il governo con Almirante. Coerentemente all’indirizzo espresso dal popolo (quando se ne parlava di meno lo si rispettava di più) il PCI allora entrava nella maggioranza di governo; al contrario della Lega che, per “eccesso di bulimia elettorale” lo deve lasciare.

All’epoca prevaleva una concezione della democrazia realistica e responsabile onde il governo “di solidarietà nazionale” che ne uscì era corrispondente all’indirizzo dato dagli elettori; ai giorni nostri si ha la percezione, probabilmente maggioritaria nel paese, che la soluzione è dovuta al cul-de-sac in cui si è cacciato il M5S, che secondo molti, spererebbe di evitare un ulteriore deperimento e forse anche di riavviare la crescita, cacciando dal governo Salvini. Ma non si capisce la logica che sostiene un tale pensiero, sia per il motivo sopra esposto, sia perché, a tacer d’altro, Salvini ha dimostrato di saper fare l’opposizione non meno bene di quanto abbia fatto il ministro.

In secondo luogo, e come mi è capitato di ripetere, in specie per la situazione italiana ed euro-occidentale negli ultimi decenni, in politica per capire la situazione occorre rifarsi a due criteri essenziali (che spesso si sovrappongono): la costante del potere e quella del nemico.

Quanto alla prima, il collante della nuova coalizione è la conservazione del potere più che l’acquisto: schivando le elezioni o un governo a prevalente trazione leghista PD e M5S hanno evitato, i primi una conferma del ruolo d’opposizione, i secondi di seguire il PD in quel ruolo (meno probabile); ovvero (più probabile) di divenire lo junior partner della coalizione populista, peraltro con una Lega in grado di attingere al “secondo forno” (onde il potere di Salvini sarebbe enormemente accresciuto).

Relativamente al secondo le forze politiche “le quali si distribuiscono lungo l’asse (e il discrimine) del vecchio assetto politico (borghese/proletario) sono passate in minoranza rispetto a quelle sovran–popul-identitarie, distribuite secondo il discrimine identità/globalizzazione (ossia potere decisivo alle istituzioni nazionali o a quelle non-nazionali) … Di conseguenza: a) i primi sono legittimati – anzi hanno il dovere – di costituire il governo; b) anche il governo futuro dovrà realizzare politiche radicalmente diverse da quelle seguite fin adesso” (come scrivevo tempo fa). Il governo Conte bis costituisce un ibrido, giacchè formato da un partito del vecchio “asse” e da uno del nuovo.

Ma quando si va alle decisioni che più interessano l’opinione pubblica l’individuazione del nemico, o meglio dell’avversario, è decisiva. Il nemico reale degli italiani è stato individuato dai populisti negli “euroinomani”, negli “gnomi di Zurigo” (nella finanza), nell’immigrazione incontrollata e in chi la sollecita ed organizza; dai globalisti nei populisti, nei tradizionalisti cattolici, nei tax-payers (anche se per questa meno vistosamente) perché colpevoli di non farsi spennare in silenzio. Sarà chiaro nei prossimi mesi se il governo Conte somiglia di più a quello Monti (et similia) prosternati a Bruxelles, tutti contenti di prendere i quattrini degli italiani e spenderli a favore di finanza, clientele, migranti. Naturalmente con il permesso di Bruxelles di dilatare il deficit (tanto interessi e capitale li paghiamo noi). Solo che si tratta di un copione già recitato e con troppe repliche, onde gli italiani lo conoscono bene. E da come hanno votato negli ultimi anni pare difficile che lo dimentichino e ci ricaschino.

Teodoro Klitsche de la Grange

COLPO DI EXTRASTATO  II, Di Massimo Morigi

COLPO DI EXTRASTATO  II di Massimo Morigi

Osserva in primo luogo Emilio Ricciardi nel commentare il mio “Colpo di extrastato”: «Però anche con la formazione del governo Monti nel 2011 si andò molto vicini alla fenomenologia efficacemente descritta da Massimo Morigi nel suo breve intervento. La variante, certo importante, è che nella presente occasione, il cui completo dispiegamento è ancora in corso, la conduzione eteronoma si è resa molto più visibile, direi scontata ed anzi auspicata espressamente da spezzoni rilevanti dell’opinione pubblica e dei ceti (pseudo)dirigenti. Ecco, azzarderei a sostenere, con una punta iperbolica, che il colpo di mano è stato compiuto all’insegna di una sorta di rassegnata e fatale trasparenza. Ma a proposito di quest’ultimo lemma, e segnatamente della sciagurata trasformazione semantica che esso ha subito nell’ultimo quarto di secolo ad opera del diritto pubblico e della stessa pratica istituzionale, diventando addirittura (ed a mio avviso abusivamente) una categoria ontologica della politica, mi permetto di rilevare come, nell’economia del testo di Morigi, il riferimento alla scarsa trasparenza di procedura ed esito del sondaggio svolto sulla piattaforma telematica dei 5 stelle, appaia tutto sommato superfluo, come del resto in buona sostanza sottolineato dallo stesso suo autore. Anche perché, se si continua a rimarcare la scarsa trasparenza di questa operazione, dolendosene, si corre il rischio di accreditare implicitamente l’idea secondo cui finora i processi decisionali interni ai partiti politici (che, è bene ricordarlo, sono semplici associazioni private non riconosciute) si siano svolti all’insegna delle più luminose democrazia ed, appunto, trasparenza. Il che sarebbe, com’è ovvio, balla colossale oltreché offensiva dell’intelligenza quanto meno del lettore abituale di queste pagine. Quindi, propongo di abbandonare risolutamente, nell’analisi politica, l’uso della categoria della trasparenza e, in genere, di non fare proprie similari (pseudo)categorie in quanto appaiono di dubbia utilità teorica, quando non foriere di (per quanto non volute) diversioni rispetto ai nuclei cruciali delle questioni in esame.» In merito a questa prima osservazione, consiglio a nessuno di  avventurarsi a cuor leggero in merito alla natura più o meno privata dei partiti, i quali nella nostra Costituzione vengono citati anche se poi riguardo al loro “dover essere” ci si limita ad una vacua retorica democratica che dice tutto e il contrario di tutto (“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”: Art. 49 Cost.), tanto è vero è che se si avesse voluto consentire la vita solo a quei partiti in cui la loro vita “democratica”  era regolata (formalmente ed unicamente formalmente, per carità)  solo alla luce dei principi liberaldemocratici a cui si richiama il suddetto Art. 49, il PCI avrebbe dovuto essere messo al bando per via del suo centralismo democratico. Il vero punto è, come rileva anche Ricciardi ma come stranamente Ricciardi sembra non attribuirmi una piena consapevolezza in merito, non tanto la più o meno esibita trasparenza dei partiti (se i partiti fossero trasparenti svanirebbero come la neve al sole dalla notte al mattino) ma il fatto che questi partiti, un tempo tanto importanti e la cui esistenza veniva espressamente citata anche in Costituzione, oggi non sono più lo snodo principale del conflitto strategico  che si svolge all’interno delle élite politiche nazionali impegnate nella lotta per la conquista del potere. Certo, questo processo di depotenziamento dei partiti (preceduto storicamente in tutte le “democrazie” occidentali dal depotenziamento del Parlamento) non è iniziato con Rousseau (piattaforma); come ho banalmente rilevato in “Colpo di extrastato” lobby e gruppi particolari, in Italia come all’estero, hanno sempre manovrato più o meno occultamente per traslare il potere e dai parlamenti e dai partiti e lasciare a queste formazioni storiche solo il ruolo di velo di Maia buono per gabbare gli ingenui. Il punto è che con la piattaforma Rousseau è la prima volta è che si riconosce, sia a livello di commentatori politici che nella pubblica opinione, come fondamentale e fondante per la decisione politica non tanto una dialettica più o meno trasparente all’interno degli attori riconosciuti, o per lettera costituzionale o per prassi costituzionale, e quindi pubblicamente accreditati ad elaborare la decisione ma un soggetto del tutto alieno a questi soggetti, una sorta di accrocchio tecnologico informatico dove la “trasparenza” non è che venga conculcata come nei vecchi partiti classici  (ma ricordiamoci l’adagio “l’ipocrisia è il tributo che il vizio paga alla virtù”) ma è un concetto totalmente alieno proprio per il processo tecnologico e verificabile solo da esperti informatici nell’emissione dei suoi responsi. Insomma per segnalare la numinosa novità di Rousseau richiamo qui due situazioni fictae. La prima è questa. Durante i primi cinquant’anni di vita repubblicana c’era un partito, la Democrazia cristiana, fortemente condizionato dalla Chiesa cattolica; e certamente la Chiesa cattolica non solo si è servita di quel partito per cercare d’imporre nella società italiana i suoi valori ed ha anche manovrato più nel dettaglio e per far nascere una particolare alleanza politica all’interno del perimetro anticomunista e, addirittura, più nello specifico per imporre un ministro a dispetto di un altro meno vicino alle gerarchie ecclesiastiche. Ma nemmeno al tempo delle delle Madonne pellegrine del ’48 e dei governi centristi degli anni ’50 dominati dalla Democrazia cristiana la Chiesa esplicitamente non ha mai fatto trapelare una esplicita e pubblica decisione a favore di questo o quel governo ma si limitava, in ottemperanza del suo alto magistero religioso e morale, a vietare ai cattolici, pena l’inferno, di votare per quei partiti che erano a suo giudizio l’espressione politica del cancro dell’ateismo e dell’irreligiosità. Poi, lo sappiamo, la Chiesa manovrava anche a favore di esplicite e ben definite alleanze partitiche  magari altre da quelle che erano sorte sotto il paravento politico della Democrazia cristiana (vedi, per esempio l’operazione Sturzo) ma questo è un altro discorso e richiamo  ancora il  precedente cinico motto per sottolineare che in politica, come nel resto di tutte le altre faccende della vita, le illusioni contano e quando queste cadono non si può far finta di nulla pensando che siccome si trattava di illusioni la loro scomparsa conta meno di nulla e non vale nemmeno la pena di segnalarle e di cercare di elaborare un pensiero non banale a proposito. Il secondo esempio riguarda più nello specifico la trasparenza dei partiti ed anche su questo punto il ragionamento fa leva sull’importanza delle false rappresentazioni, o meglio  la concreta modalità di come queste possono essere rappresentate. Nei vecchi partiti per arrivare ad un decisione e/o prevalere nello scontro politico venivano messe in atto le più ignobili manovre ma se queste manovre non avevano in concreto nulla di democratico e trasparente avevano un grandi pregio. Queste manovre erano condotte da uomini in carne ed ossa e chi avesse voluto vedere un po’ più a fondo avendone la formazione e l’intelligenza riusciva a mettere a fuoco, molto chiaramente e con tanto di nomi e cognomi, i volti di questi manovratori. Nel caso di Rousseau con chi dobbiamo prendercela ? (o se d’accordo con il suo ultimo governativo vaticinio, chi dobbiamo ringraziare?). L’ottimo Casaleggio figlio, le poche migliaia di illuminati che hanno creato (?) questa decisione, qualche benevolo o malevolo, a seconda dei gusti, algoritmo informatico, oppure deprecare (o lodare, sempre a seconda dei gusti), i soliti poteri forti? Ma il vero snodo, lo ripeto, della categoria di “colpo di extrastato”, non è tanto la trasparenza o l’opacità dei processi decisionali è che nella pubblica opinione, nella pubblicistica politica per finire con la scienza politica la caduta da parte di tutti dell’illusione della trasparenza nei processi decisionali non viene segnalata e non segnalando la caduta di quest’illusione non si riesce a vedere un fatto di primaria importanza: e cioè che si riconosce piena titolarità politica e decisionale a corpi del tutto inediti ed extracostituzionali i quali non solo si presentano come nuovi ed antagonisti centri di potere rispetto a quelli della vecchia tradizione politica ma che, in prospettiva, aprono la via  al pubblico riconoscimento a centri di decisione politica la cui natura malefica (malefica dal punto di vista di chi pensa che l’attività politica sia la più nobile delle attività umane, per chi non ha questa  aristotelica ed arendtiana visione antropologica dello ζῷον πολιτικόν questa natura può essere completamente benefica: Fukuyma docet) sta a quella della piattaforma Rousseu come un T. Rex sta alla rana Kermit (ci stiamo, del resto, avvicinando al pieno riconoscimento di questi T. Rex: oggi qualsiasi decisione politica viene vagliata e giudicata ex post alla luce delle reazioni dei mercati; nell’evoluzione politica prossima ventura di cui Rousseau non è che un piccolo e in fondo modesto Giovanni Battista non ci vuole molta fantasia a prefigurare una costituzione materiale dove prima di prendere la decisione politica si ausculteranno ex ante ed obbligatoriamente le reazioni di questo o quel potentato o gruppo economico).

Conclude Ricciardi: «Aggiungo, infine, un’osservazione che, pur non essenziale, mi preme tuttavia depositare. Certo, le scorribande balneari di Salvini possono infastidire per la dimensione di sguaiatezza istituzionale che indubbiamente evocano, e non occorre certo citare Buffon per evidenziare quanto anche un certo decoro e stile costituiscano sostanza rivelatrice dell’uomo. E tuttavia non crederà, Morigi, che la decisione sulla crisi di governo sia stata assunta in preda ad orge bacchiche e con cuffie acustiche alle orecchie. Anche qui: inviterei a non introiettare criteri di giudizio, in particolare stilemi ed idiosincrasie etico-estetiche (ed insomma i canoni del “buon gusto”), sciorinati dai ceti dominanti perbene, quali parametri di valutazione di una determinata azione politica.» A ciò – amichevolmente – replico. L’hubris e il non dominio della pulsioni esistono, non sono un’invenzione da fairy tale ed ammetterle nella spiegazione di una vicenda umana, più o meno storica che sia, non vuol dire credere nella fata turchina. Sono talmente presenti nella storia  umana che mi rifiuto in questa sede di addurre esempi di vicende storiche dove problemi caratteriali e comportameli hanno prodotto decisioni irrazionali e disastrose (mi limito solo a segnalare che la grande tradizione filosofica greca, se non teniamo conto della problematica dell’ “uomo virtuoso”, in primis sviluppata da Platone ed Aristotele, perde molto significato per noi moderni se la si riduce ad un accozzaglia di opinioni interessanti ma, in fondo, scientificamente ingenue intorno alla natura fisica del mondo). Non so, ovviamente – e se lo so, lo so solo a livello di euristico esempio paradossale: Papete, discinte cubiste, libagioni alcoliche etc; via non mi si faccia citare gli annibaleschi  ozi di Capua: io non c’ero e sfido qualunque storico ad averne un’opinione precisa – se le caratteristiche della personalità dell’ex ministro dell’interno lo abbiano indotto alla totale coglioneria di innescare la crisi di governo che ha portato alla nascita del governo giallo-rosso. Sono però del tutto convinto che la mancanza di cultura politica (cultura politica che non significa solo avere letto i libri giusti ma significa , soprattutto, aver ben presente che Tecoppa è un personaggio patetico, la cui immagine rovesciata ed assolutamente non patetica a cui ci si dovrebbe ispirare  è quella del Principe machiavelliano-gramsciano) dello stesso lo ha cacciato in un guaio in cui, al momento, né è uscito gravemente ammaccato.

E concludendo, penso che le categorie vecchie e nuove che siano, sono utili in quanto strumenti per segnalare problemi concreti ed in formazione; diversamente non importa di quanto (presunto) realismo e cinismo possano far sfoggio sono del tutto inutili (la vicenda di Marx, nonostante la grandezza di questo pensatore, e delle sue interpretazioni, molto meno grandi, qualcosa dovrebbe pur insegnarci). Come penso, immodestamente, di grande utilità sia la categoria di ‘colpo di extrastato”, ovviamente non argomentando ulteriormente questa opinione  bastante  , spero, quanto finora  –   anche se non esaustivamente –  detto.

 

P.S. Concordando con Buffagni…

 

Massimo Morigi – 7 settembre 2019

carciofi e carciofanti, di Augusto Sinagra, Gianni Candotto, Piero Visani

TRENTA E I CARCIOFI, di Augusto Sinagra

La signorina Elisabetta Trenta è stata defenestrata. Molti esultano, pochissimi la rimpiangono.
Sono stato testimone di un suo ultimo patetico tentativo di “recupero” quando l’ho vista presente nella Chiesa dell’Ospedale Militare Celio ai funerali dell’ultimo Leone di El Alamein Santo Pelliccia. Non le è servito a niente però devo dire che nella circostanza non era in bermuda e infradito.
Ora la gentildonna in questione non si sa cosa tornerà a fare alla Link University dove non si è mai capito cosa faceva. Non penso proprio attività di docenza se non con qualche contrattino.
La ormai ex Ministro è molto contrariata della cosa e per rimarcare l’orrenda ingiustizia da lei subita pare che si sia prodotta in dichiarazioni della cui gravità evidentemente non si è resa conto: “Ho lottato contro Salvini più di ogni altro, non lo meritavo”.
Dunque, questa specie di ex Ministro ha inteso il suo ruolo non nel senso di garantire e coordinare la difesa del territorio e degli interessi nazionali, ma nel senso di contrastare un membro del Governo e proprio in pregiudizio degli interessi nazionali. Il tutto con l’ovvio assenso del manichino pugliese.
Non è tutto: ispirandosi a metodi e logiche di pretto stampo tardo-siciliano pare che abbia anche dichiarato: “Voglio stare zitta perché in questo momento potrei dire di tutto e contro tutti”!
Dunque, codesta dama è anche omertosa e lancia minacce oblique. Come intendere in altro modo quel che ha detto e comunque non ha smentito?
Se ha qualcosa da dire ha il dovere morale e civile prima ancora che politico di dirlo. La verità è che questo soggetto non ha il minimo senso dello Stato e della “cosa pubblica” e viceversa vive secondo oscure logiche e implicite minacce ovviamente finalizzate a suoi non commendevoli e non confessabili interessi personali.
Rivolgo alla Elisabetta Trenta un consiglio finalizzato ad attività forse più corrispondenti alle sue competenze: essendo di Velletri potrebbe utilmente contribuire alla organizzazione della Sagra del Carciofo.

LA “MINISTRA” BELLANOVA E IL BISPENSIERO ORWELLIANO di Gianni Candotto

Leggo che tantissimi intellettuali radical chic si “indignano” per le critiche di incompetenza alla ministra Bellanova.
Scrivono infervorati che una bracciante con la terza media che si è “spezzata la schiena tutta la vita a lavorare nei campi e a battersi per i diritti dei braccianti” vale di più chi ha lauree e dottorati.
Loro: i radical chic, quelli che da anni ci smazzolano le balle sul popolino ignorante contrapposto ai laureati delle ZTL che capiscono.
Loro: quelli che sono anni che ci smazzolano le balle sul fatto che il suffragio universale è sbagliato perchè il voto di un laureato vale come quello di un contadino ignorante.
Sì adesso c’è il “contrordine compagni”: adesso il sudore sparso vale più delle lauree.

Questo è un tipico esempio di bispensiero orwelliano. Ovvero della capacità di sostenere una tesi credendoci e immediatamente dopo sostenere l’esatto contrario, sempre credendoci. D’altra parte viviamo in un mondo simile a 1984 di Orwell, dove Obama che ha fomentato guerre in mezzo mondo prende il premio Nobel per la pace, mentre Trump che fino adesso le sta evitando tutte è guerrafondaio (Orwell 1984: la guerra è pace), dove il prodotto dei poteri forti Greta è una che combatte i poteri forti, dove le botte e i proiettili di gomma (con annessi la decina di morti e le migliaia di feriti) ai gilet gialli sono democrazia, dove Assange è un traditore che merita il carcere, mentre i condannati per evasione fiscale in Russia sono “dissidenti colpiti dalla dittatura di Putin”, dove il M5s ieri era il male assoluto e oggi è un progetto di avanguardia popolare.

Capiamoci: non sono un feticista dei titoli di studio. Conosco tante persone che non hanno studiato molto più competenti di professori universitari, ma questo non è proprio il caso.
Essersi battuta, come dicono gli agiografi della ministra Bellanova, per i diritti dei braccianti, non c’entra niente col ministero dell’Agricoltura. Casomai, al limite, ma molto al limite, c’entrerebbe con il ministero del Lavoro. Ma il ministero dell’Agricoltura, vista la crisi del settore è un ministero chiave oggi, e avere un ministro così è un dramma per il settore.

ERRARE HUMANUM EST, PERSEVERARE DIABOLICUM, di Piero Visani

Un tempo, se uno non era totalmente sprovveduto di natura, rifletteva sulle proprie sconfitte, le analizzava, cercava di capire dove avesse sbagliato, come e perché. Da quel punto di vista, le sconfitte potevano rivelarsi addirittura più proficue delle vittorie, poiché inducevano i perdenti alla riflessione, all’analisi, all’autocritica. Tutte possibili premesse di future vittorie.
Il governo Conte 2 deve ancora insediarsi ufficialmente in carica, eppure – nella “Destra più bestia del mondo”, per riprendere una celebre espressione dei tempi della “Nouvelle Droite” francese – non solo non è iniziata alcuna autocritica (temo che molti, al suo interno, neppure sappiano di che si tratti e tanto meno a che serva…), ma è iniziata una sorta di attesa taumaturgica per il prossimo appuntamento elettorale che, a livello nazionale, potrebbe essere anche tra quattro anni.
In una fase storica segnata da accelerazioni continue, quattro anni potrebbero essere tantissimi, ma si notano già alcuni preoccupanti indizi:

1) NESSUNA ANALISI SERIA di quel che è accaduto e perché. E’ vero che le analisi serie fanno fumare i cervelli, e che quelli vuoti ovviamente fumare non possono, perché non ci sono meningi da spremere, tuttavia…
2) LA RICERCA DEL BADOGLIO DI TURNO: Quella non può mancare mai. Poco importa che una guerra sia stata condotta da schifo, come non poche altre, con armamenti penosi e dirigenti incapaci. L’importante è trovare un capro (con la “erre”, grazie…) espiatorio, al quale imputare tutte le responsabilità e i presunti tradimenti. Da trascinare in processo a Verona (o dintorni), in modo da evitare di trascinare se stessi…
3) L’EVIDENTE INTENTO DI CONTINUARE A COMBATTERE come si è fatto fino a oggi, il che costituisce una solida garanzia di future sconfitte.

Facciamo un piccolo esempio pratico: i nani e le ballerine che guidano il centrodestra italico mostrano di attendere come un’epifania le prossime elezioni. Fermi, fissi, immobili. Ora chi garantisce che, in un’epoca di guerra ibrida, la strategia statica sarà migliore e più proficua di una guerra di movimento? Chi garantisce che a vincere la prossima competizione elettorale saranno sufficienti i “social”, che già in questa occasione si sono dimostrati utili al più a spostare un po’ di voti, non a RADICARE OPINIONI nel lungo periodo?
Che senso ha minacciare continuamente “Ci rivedremo a Filippi?” (per chi sa che cosa si voglia intendere…), se poi all’appuntamento epocale nella storica città macedone ci si intende arrivare come al solito nel peggiore dei modi? Infine, che garantisce che – tra un certo numero di anni e proprio a seguito della perdurante linea di assenza da ogni inserimento organico nei gangli della società italiana – non si arriverà votando su qualche nuova “piattaforma Rousseau”, approvata da qualche solida e compatta maggioranza parlamentare, utile a far conoscere all’Italia e al mondo le “meraviglie” del voto elettronico eterodiretto? Prendere per le terga i fessi, quelli che quando sono al governo riescono al massimo a fare “il poliziotto cattivo” con il resto del mondo, convinti per di più di riuscire a vincere, non è poi così difficile…

MIRACOLO!, di Piero Visani

Mi sono divertito un mondo, oggi, a vedere la sfilata dei “miracolati” da Salvini. Sarei stato tentato di scrivere “la giornata dei morti viventi”, ma poi – guardando meglio, io lo faccio, certi altri no… – ho dovuto esclamare: “Essi vivono!!”.
Come in tutte le cose, “uno NON vale uno”, ma in Italia, Paese dove l’unica ambizione collettiva è la corsa all’appiattimento verso il basso, in modo che i milioni di mediocri possano sguazzare soddisfatti nel “guano primordiale”, i risultati prima o poi arrivano e – da noi – arrivano sempre più di frequente e in massa. A crescere a certe culture berlusconiane, si può pensare che vincere nei conflitti moderni basti girare una volta, nemmeno due, la “ruota della fortuna”. E invece no, serve un po’ di più.
Che destino cinico e baro…

REALISMO POLITICO E POPULISMO, di Teodoro Klitsche de la Grange

REALISMO POLITICO E POPULISMO

Se c’è una corrente di pensiero che pare rinvigorita dal crescente successo populista è quella del realismo politico. A iniziare dall’affermazione programmatica di Trump America first per arrivare a quella di Salvini prima gli italiani, per continuare col fatto che i populisti parlano così con riguardo agli interessi della comunità, mentre le èlite globaliste prestano ossequio ai valori dell’umanità, in primo luogo i diritti umani; i primi prendono in esame individualità, fatti, misure concreti, possibili ed esistenti; i secondi guardano a valori,  identità astratte e, al limite, costruzioni utopiche. Nel vero senso della parola “utopia” perché né alcuno ha mai visto come possa funzionare un potere politico (?) globale, cioè esercitato sull’umanità, né che forma possa assumere (federazione? impero? democrazia? tecnocrazia?).

Nel pensiero politico, in particolare quello moderno da Machiavelli in poi, il realismo ha contrapposto alle “immaginazioni” la realtà dell’analisi dei fatti valutati in base agli interessi e soprattutto ad una antropologia negativa,  consistente nel non considerare gli uomini come buoni e razionali (né disposti a diventarlo), ma inclini spesso al male e alla irrazionalità.

Se per un non-realista il problema principale è di come costruire uno Stato conforme a certi valori e idee, per un realista è quello di farlo di guisa che possa esistere e durare a lungo, vincendo le avversità della fortuna. È la capacità di conseguire tale risultato il criterio per giudicare se lo Stato è “ben costituito”. Di converso anche se si fonda sui valori più condivisi, ma non riesce a sopravvivere, tenuto conto che altri governi di altri popoli pensano e cercano il potere e non la bontà delle istituzioni, tanto buonismo non sarà servito a nulla, perché non tradotto (né traducibile) in sintesi politiche durature.

Il che non significa che uno Stato debba (e possa) essere privo di valori (ogni comunità politica ha un proprio ethos), ma solo che prima di quelli viene la necessità dell’esistenza collettiva. L’unità politica è un essere prima che un dover essere e come tutto ciò che esiste possiede intrinsecamente il conatus di Spinoza: «in suo esse perseverari». In questo senso è condivisibile la concezione di Meinecke che Kratos e Ethos sono compresenti nello Stato: «Kratos ed Ethos costruiscono insieme lo Stato e fanno la Storia”. Solo che nella concreta azione politica alcune forze vogliono che il primo prevalga sul secondo; altre il contrario.

Questa polarità contrapposta (e compresente) ha portato con se delle conseguenti antitesi: ragione di Stato/precetto morale; realtà/esigenza etica; interesse della comunità/norma universale; potenza/agire etico (tra le altre).

È da notare come vicine alla prima polarità sono per lo più le concezioni dei partiti sovran-popul-identitari; alla seconda quelle dei globalisti.

E questo malgrado circa trent’anni fa, con il collasso del comunismo sembrava prevalere la seconda. Con la vittoria delle democrazie liberali per implosione dell’avversario sistema del “socialismo reale”, pareva a giudizio – per primo – di Fukuyama che la storia fosse finita. E che di conseguenza il faro conduttore della nuova era che si apriva sarebbe stata una sintesi tra morale ed economia: tra diritti umani e mercato globale, con correlativo deperire della politica. Quanto questa previsione fosse errata lo provano gli eventi successivi.

Al venir meno nella vecchia opposizione borghesia/proletariato ossia liberalismo democratico/socialismo reale ne è subentrata una nuova. Quel che più interessa è che, essendo una delle polarità caratterizzata dalla sintesi tra morale ed economia, l’opposizione lo è dalla rimonta del politico e di quanto allo stesso pertiene. E così del realismo, per cui la dimensione politica è un’essenza dell’uomo ed è irriducibile a morale, diritto, economia (ed altro).

Ad ascoltare i discorsi dei leaders populisti così come a leggere i documenti, compresi quelli (pochi per ora) costituzionali, il prevalere dell’ “armamentario” realista è evidente. Se si inizia dalle scelte, queste sono dichiaratamente orientate all’interesse della comunità, contrapposto a quello “globale”. E non è solo propaganda. Friederich List quasi sue secoli orsono distingueva la “propria” economia da quella di Adam Smith, perché la prima era politica (cioè nazionale) mentre quella dello scozzese cosmopolitica. Boris Jhonson esprime la suità inglese, col suo specifico carattere insulare/marittimo, contrapposto a quello terrestre/continentale. Trump prende misure protezioniste non perché convinto autarchico, ma perché l’assetto opposto è contrario agli interessi nazionali.

D’altra parte è tipico del realismo attribuire di gran lunga più importanza ai risultati che alle intenzioni dell’azione politica. A seguire la logica di Weber (delle “due” etiche) ciò porta ad una maggiore responsabilità del governante (verso i governati). Quando Salvini sostiene che, con la “linea dura” nei confronti delle migrazioni, naufragi e decessi in mare si sono drasticamente ridotti (e i dati non risultano contestati) ricorda dappresso l’elogio di Machiavelli al Valentino, che, per quanto “tenuto crudele” aveva pacificato la Romagna onde il Duca era stato “molto più pietoso che il popolo fiorentino il quale, per fuggire il nome di crudele, lasciò distruggere Pistoia”. La zelante e caritatevole accoglienza del centrosinistra non solo andava (e va) contro la volontà della maggioranza degli italiani, ma incentivava le partenze e quindi i naufragi, realizzando così il contrario delle buone intenzioni esternate dai propugnatori.

I quali hanno l’abitudine – correlata – di paragonare non i fatti con i fatti ma le intenzioni e le realizzazioni (cattive o meno buone) degli altri con le proprie immaginazioni. Modo di argomentare frutto di (mediocre) retorica: dato che alla fantasia (et similia) non vi sono limiti, ma alla realtà si, è scontato che a comparare questa ai prodotti di quella, la seconda ne abbia a perdere.

Contrariamente a quello che sosteneva Machiavelli per cui la scelta politica è data tra alternative reali e concrete, ed è da scegliere non il meglio assoluto ma “il men tristo per buono”; e soprattutto, rifuggire dalle “immaginazioni”.

E si potrebbe continuare a lungo, il rapporto tra forza e diritto, obbligazione politica e convenzioni internazionali e così via, ma i limiti redazionali di questo intervento, per ora, non me lo consentono.

Teodoro Klitsche de la Grange

COLPO DI EXTRASTATO, di Massimo Morigi

COLPO DI EXTRASTATO

 

«COLPO DI STATO (fr. e ingl. coup d’état; sp. golpe de estado; ted. Stadtsstreich). – Si intende generalmente con questa espressione un fatto contro la legge e al di fuori della legge, volto a modificare il vigente ordinamento dei pubblici poteri. In senso più ristretto si vuole che questa violenta trasformazione sia operata da uno degli stessi organi costituzionali, cioè, in pratica, nelle costituzioni a tipo inglese, da uno degli organi esecutivi, il re o il suo gabinetto, poiché negli altri organi manca quel continuo e diretto esercizio di un potere per sua natura imperfettamente limitabile e sindacabile qual è il potere di governo, base necessaria per l’attuazione di un atto di forza. In senso più ampio s’intende per colpo di stato ogni violenta modificazione dell’ordinamento costituzionale vigente, anche se questa non sia dovuta a uno degli organi esecutivi. Anche in questa sua più lata accezione, il concetto di colpo di stato non coincide con quello di rivoluzione. Il colpo di stato contiene sempre in sé un elemento di rivoluzione: cioè un brusco mutamento dell’ordine esistente. Ma per rivoluzione, in senso stretto, s’intende un mutamento prodotto da un moto popolare. D’altra parte rivoluzioni anche grandiose possono avvenire senza che si verifichi questa soluzione di continuità nella vita giuridica: si prenda ad esempio la rivoluzione dell’ottobre 1922 in Italia, che, sebbene iniziata con un atto insurrezionale, si svolse poi interamente per vie legali. Un vero colpo di stato fu invece quello compiuto nel regno iugoslavo, il 6 gennaio 1929, da re Alessandro, che sospese la costituzione, ritornando provvisoriamente al sistema della monarchia assoluta. La storia di tutti i popoli e di tutti i tempi è ricca di colpi di stato: particolarmente famosi sono i colpi di stato del 18 brumaio (1799), col quale Napoleone Bonaparte s’impadronì del potere, e quello di Napoleone III del 2 dicembre 1851.». Ho riportato integralmente la voce ‘Colpo di stato’ scritta, imperante il regime fascista, per l’Enciclopedia Italiana da Giuseppe Maranini. Lo scopo di questo mio “calligrafismo” politologico è duplice. Il primo è sottolineare l’abissale povertà della cultura politica della cosiddetta destra italiana (leggi: Salvini e suo partito) che per nascondere le sue incommensurabili coglionerie tattiche (leggi: Papete e decisioni prese sotto l’effetto di discinte cubiste ed abbondanti libagioni alcoliche) non sa far altro che demonizzare coloro che si sono rifiutati di farsi infilzare (leggi Cinque stelle che hanno fatto di tutto per non andare alle elezioni). Ma, francamente, lo sfoggio di uno dei maggiori giuspubblicisti italiani sarebbe veramente ingiustificato per stigmatizzare il novello Tecoppa padano che malamente si lagna perché i pentastellati si rifiutano di farsi infilzare. Il vero scopo è un altro (e, diciamolo chiaramente, un po’ più ambizioso) ed è quello di sottolineare – more solito, del resto, per chi ha la pazienza e l’amorevole comprensione di seguire il presente povero autore – l’assoluta insipienza della cultura politologica italiana laddove non si accorge che quello che è avvenuto nell’attuale risolta “felicemente” crisi di governo italiana  se non è stato la realizzazione di un “colpo di Stato” (non c’è stata violenza di alcun tipo e tutto si è svolto secondo le norme dell’ordinamento costituzionale) è stato comunque un “colpo” ma non di Stato bensì di extrastato, per il semplice ed elementare dato di fatto che la decisione finale di dare il via al nuovo governo non è avvenuta in Parlamento o attraverso il dibattito più o meno democratico (o più o meno guidato) all’interno dei partiti dell’attuale sistema politico ma attraverso la decisione di una piattaforma elettronica telematica la cui trasparenza nella raccolta dei voti che vi sono confluiti è tutta da dimostrare. Ma il punto importante per dare corpo alla categoria ‘colpo di extrastato’ non è tanto il fatto che la piattaforma Rousseau è tutto tranne che trasparente (in passato la “democrazia” dei partiti era nascostamente pesantemente guidata, quando  questa etero direzione  non era addirittura teorizzata, vedi centralismo democratico del vecchio PCI; e le lobby che da sempre manovrano le decisioni dei parlamenti delle moderne democrazie sono forse il fenomeno più studiato dall’attuale scienza politica, fino ad arrivare alla “postdemocrazia” teorizzata da Colin Crouch), il punto fondamentale è un altro, ed è cioè che tutti, dalla pubblica opinione, alle massime cariche istituzionali, per dare vita ad un governo hanno aspettato senza fiatare una esplicita e chiara decisione di un corpo, ma un corpo che non è previsto né in  Costituzione né in alcuna prassi politica sviluppatasi sotto il mantello costituzionale. Si è aspettato, in altre parole, che un corpo al di fuori dello Stato dettasse allo Stato (inteso non solo come ordinamento giuridico ma anche come prassi politica consolidatasi in compatibilità di questo ordinamento) cosa si deve fare o non fare (in questo caso fare il governo giallorosso). Il “colpo di extrastato” è, a quanto mi risulta, una novità del tutto italica. C’e da augurarsi che a questa poco felice novità sempre dal nostro paese possano partire  inedite contromisure che non ricalchino né tecoppiane e ridicole reazioni né tantomeno le risibili pasquinate modello “Tout va très bien, Madame la Marquise”. Detto in altre parole, è necessario sia a livello di prassi che di teoria politica di un colpo altrettanto extra. E qui mi fermo, se non richiamandomi in extremis ancora a Maranini, perché come dissero Marx e Churchill, «Le ultime parole sono per gli idioti che non hanno detto abbastanza.».

Massimo Morigi

Biagio De Giovanni, Libertà e vitalità_Una recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

Biagio De Giovanni, Libertà e vitalità. Benedetto Croce e la crisi della coscienza europea, Il Mulino, Bologna 2018, € 14,00, pp. 140.

Il perché di questo saggio è esposto dall’autore nelle prime pagine “La ragione è sotto i nostri occhi, il nostro è un tempo scisso, diviso, incerto, carico di alternative e di nuove inquietudini, di conflitti…Hegel, che, più di tutti, ha rappresentato l’immagine della coscienza europea moderna….aveva argomentato, nei suoi primi scritti, l’idea che i tempi di scissione richiamano la necessità della filosofia, che scissione immanente nella realtà e filosofia sono l’una la controfaccia dell’altra, che dunque la filosofia ritrova le sue ragioni più profonde non in tempo di conciliazione e di bonaccia, ma di crisi e di conflitto…Croce, da questo punto di vista, non la pensa diversamente”.

Per Croce, interpretato prevalentemente come pensatore “irenico e erasmiano”, da questo punto di vista “la filosofia è il momento della malattia”, necessario “quando il mondo si è stancato di camminare nella continuità, e dal suo fondo emerge il negativo, la realtà scissa. Ed emerge anche la necessità di trovare il punto dell’unione in cui gli opposti plachino la loro conflittualità che, non pensata, appare senza fondo e senza risposta all’interno di una traccia che il nichilismo ha posto al centro della crisi moderna. La potenza del negativo impedisce ogni irenismo”.

Quando emerge non si tratta di trovare la conciliazione definitiva “il che in Croce non è affatto possibile che avvenga”. Infatti sarebbe “la fine della storia”; ed “il filosofo napoletano essendo meno sistematico e ‘teutonico’ di quel sommo filosofo della storia che fu Hegel, e assai aspro critico di quella dimensione epifanica che lui giudicava invadente e addirittura anacronistica nel filosofo di Stoccarda”.

Così negli anni tempestosi della prima metà del secolo passato “Croce rivela il punto cruciale: la necessità di una teoria ‘speculativa’ della libertà, ossia del ritorno della filosofia”. Sul finire degli anni ’30 “Croce parla di “vitale o utile” quasi a voler affermare, del vitale, il carattere categoriale, ma la parola sfugge da ogni parte, si colloca tra abisso della libertà costituente e soglia indistinta tra vita e storia…La vitalità, lo dicevo, è frangiata nei suoi confini, si sporge oltre, sformata; in embrione è l’irrompere disordinato della libertà che deve prender forma, mentre l’utile è da sempre già ‘formato’, già chiuso nella sua logica”. Così l’autore ritiene che la concezione crociana della vitalità non è altro che il costituirsi della libertà “se la vitalità è tutta interna alla dialettica della libertà, come non vedere che dentro di essa c’è il soffio dell’eterno?”.

Conclude l’autore che oggi il dibattito su Croce si svolge “alla luce di una ripresa viva dei problemi che egli pose alla coscienza del mondo”.

In particolare occorre sottolineare “che la produttività filosofica dell’Europa finiva con l’esaltarsi nella crisi, … La crisi faceva parte della produttività geofilosofica dell’Europa”. Nella crisi odierna sarebbe necessario un’analoga purezza di pensiero “nei tempi della nuova scissione che il mondo attraversa e che l’Europa vive sulla pelle del proprio progetto di unificazione” e dare risposte  agli impellenti interrogativi “quale è, e sarà, la fisionomia del rapporto Europa-mondo dopo la fine dei centri del mondo e soprattutto dell’Europa centro del mondo?.. quale ruolo si può riservare a un pensiero che ha avuto nell’universalismo il suo tratto dominante?”,

Alle risposte la filosofia può contribuire “con l’urgenza che indicano i tempi di una ‘malattia’, la quale sembra chiedere lo sforzo della speculazione, anzi dello ‘speculativo’”.

Teodoro Klitsche de la Grange

LA PAZZA CRISI DI FERRAGOSTO, di Giuseppe Angiuli

LA PAZZA CRISI DI FERRAGOSTO

 La clamorosa crisi di Governo innescata dalla inattesa decisione di Matteo Salvini, assunta alla vigilia di ferragosto, di staccare la spina al Governo giallo-verde dopo appena 14 mesi di vita è stata espressione, prima di ogni altra cosa, della atavica situazione di instabilità politica che contraddistingue il Belpaese.

La strutturale sudditanza dell’Italia a centri decisionali stranieri, l’erosione irreversibile dei suoi spazi di sovranità, la carenza di una classe dirigente autonomamente dotata di una propria visione strategica di medio-lungo periodo sono tutti fattori che rendono il nostro contesto nazionale perennemente esposto a scosse telluriche innescate da costanti fenomeni di condizionamento e di ingerenza (più o meno diretta) di forze esterne in tutti i passaggi più delicati della nostra vita politica.

Che il Governo giallo-verde si reggesse su delle fondamenta alquanto fragili lo avevamo compreso in tanti e già da tempo: i toni bellicosi sfoderati dai Cinque Stelle contro l’alleato leghista nel corso della campagna elettorale per le europee ci avevano lasciato presagire una non più lunga durata per l’esecutivo guidato dall’avvocato civilista foggiano distintosi più per le sue pochettes che per le sue idee politiche piuttosto labili e indefinite.

Anche l’elezione della nuova Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Layen – nella cui circostanza i voti dei parlamentari europei del M5S erano risultati decisivi per salvare i fragili equilibri politici della più importante istituzione comunitaria – ci aveva fatto intendere che fra il PD e i pentastellati erano già in corso da tempo delle trattative politiche ad uno stadio molto avanzato, tese a disarticolare la maggioranza giallo-verde e “normalizzare” finalmente la situazione politica del Paese, ingabbiando ancora una volta l’Italia imponendole l’ennesimo Governo di marca tecnocratica, un tipo di Governo (come quelli a guida Monti, Letta, Renzi e Gentiloni) senz’altro gradito più a Bruxelles che al popolo italiano.

Eppure, nonostante tali evidenze, la decisione del “Capitano” leghista di staccare la spina al Governo l’8 di agosto è apparsa sorprendente, intempestiva e per certi versi poco comprensibile anche a molti degli addetti ai lavori solitamente abituati a dare sempre una spiegazione logica e coerente a tutti gli intrighi che ruotano attorno al Potere.

A tal riguardo, non v’è dubbio che a rendere non del tutto intelligibile la improvvida decisione agostana di Salvini deve esservi senz’altro qualche retroscena che è inevitabilmente sfuggito alla vista di molti di noi comuni mortali spettatori.

Salvini avrà forse temuto di essere cotto a bagnomaria con il prossimo e probabile arrivo delle puntate successive del Russia Gate all’italiana?

Salvini non avrà sopportato l’idea di dovere votare a favore di una legge di bilancio il cui impianto rigorista e austeritario era già stato garantito da Conte e Tria con la nota lettera di impegni alla Commissione Europea del 2 luglio scorso?

Salvini avrà ricevuto da Zingaretti la garanzia fallace sul fatto che il PD mai e poi mai avrebbe cercato l’accordo parlamentare per un nuovo Governo coi Cinque Stelle?

Probabilmente in ciascuna di queste ipotesi vi è un fondo di verità oggettiva ma ciò non muta la sostanza dei fatti: l’esperimento italiano di un Governo “populista” concepito soprattutto al fine di innescare una crisi strutturale nella U.E. (ormai una entità vista quasi come nemica strategica dagli anglo-americani) pare cedere il passo ad una riproposizione del consueto schema di un Governo del tutto prono ai desiderata dell’euroburocrazia brussellese oltre che dei suoi principali azionisti di maggioranza, ossia le cancellerie di Berlino e Parigi.

Premesso che l’avvento dell’€uro è stata senza dubbio una sciagura per l’economia italiana, i bene informati sanno che nessun Governo – finanche quello più marcatamente patriottico – avrebbe oggi la forza politica per farci uscire dall’€uro dalla sera alla mattina, magari per decreto-legge ovvero promuovendo un referendum popolare (come incautamente proposto da Beppe Grillo negli anni scorsi, in realtà con il surrettizio intento di incastrarci ancora di più nelle gabbie dell’eurozona).

L’Italia non avrebbe infatti la forza per attuare un’uscita unilaterale ed improvvisa dalla moneta unica, in quanto ciò ci esporrebbe a forti attacchi speculativi e a fughe di capitali che ci metterebbero in seria difficoltà.

L’unica modalità realistica di provocare l’implosione dell’€urozona (con l’indispensabile sostegno politico dell’amministrazione Trump e, magari, del nuovo governo inglese) sarebbe stata quella di iniziare a violare unilateralmente le sue assurde regole di austerità (come erano ben determinati a fare i sagaci economisti della Lega, fra tutti Borghi e Bagnai) così innescando un processo di progressiva ed irreversibile messa in crisi dei santuari della U.E., a cominciare dalla Commissione Europea: una eventuale paralisi politica dei famigerati organismi di Strasburgo che da anni ci propinano sempre le solite demenziali ricette economiche tutte lacrime, sangue e austerità avrebbe verosimilmente potuto condurre, nel breve o medio periodo, ad un agognato collassamento generalizzato della U.E., consentendo finalmente al nostro Paese di tornare almeno a somigliare a quella locomotiva industriale qual era 30 anni fa, ai tempi dei tanto vituperati (non certo dal sottoscritto) Craxi e Andreotti.

Sta di fatto che, accordandosi a Strasburgo con la “kapò” tedesca Ursula Von der Leyen (da me ribattezzata Von der Lakrimen) – cioè una tecnocrate che nel 2015 si era spinta addirittura fino a proporre di pignorare le isole greche nella fase del decisivo assedio economico-finanziario ai nostri poveri cugini ellenici – a cui hanno fornito i loro voti decisivi, collocandola alla Presidenza della Commissione Europea, Giuseppe Conte e  il Movimento 5 Stelle hanno gettato la maschera, mostrando a noi tutti di volere agire per puntellare le traballanti istituzioni comunitarie, anzichè per assestare il colpo decisivo a farle crollare, come sarebbe stato certamente nell’interesse del popolo italiano.

Con il voto decisivo alla Von der Leyen, dunque, il Movimento Cinque Stelle aveva di fatto già sancito anzitempo la fine della maggioranza governativa giallo-verde.

Soltanto gli ingenui possono sorprendersi della clamorosa propensione al trasformismo dimostrata in questo frangente da Giuseppe Conte e dal partito (o psicosetta) orwelliano fondato dal sedicente comico Beppe Grillo.

Quanto al giurista devoto di Padre Pio, in questi ultimi tempi – come svelato dal quotidiano “La Verità” nell’edizione del 31 agosto 2019 – si è appreso di suoi vecchi rapporti piuttosto stretti e cordiali con Renzi e con il PD, instaurati proprio quando questi compievano i più grandi disastri economici e sociali sulla pelle degli italiani, con i Governi guidati dal “bullo” fiorentino a partire dal 2014.

Prendendo spunto dai suoi rapporti altrettanto stretti con Angela Merkel e con Ursula Von der Leyen, di recente Maurizio Belpietro ha definito Giuseppe Conte come “il nuovo Badoglio” che consegnerà l’Italia ai tedeschi[1].

L’evocazione di Federico II di Svevia all’interno del discorso di Conte pronunciato in Senato il giorno della parlamentarizzazione della crisi unitamente all’utilizzo di veicoli Volkswagen nel corso dei suoi frequenti spostamenti fra Palazzo Chigi e il Quirinale costituiscono a nostro avviso degli evidenti messaggi esoterici che svelano la subordinazione politica dello stesso Conte agli attuali interessi neo-imperiali tedeschi.

Quanto al partito pentastellato, non essendoci qui lo spazio per approfondirne compiutamente la natura di vero e proprio maxi-esperimento di manipolazione delle coscienze e di democrazia totalitaria in salsa orwelliana, basti ricordarne – per fermarci sul terreno più squisitamente politico – gli storici legami di organicità ai Democrats americani.

La fazione lib/dem americana ha sempre orientato fin dalle origini tutte le principali decisioni politiche del partito di Grillo e Casaleggio e ciò avvenuto – ancorchè a qualcuno possa apparire strano – anche quando i grillini venivano spinti a contrapporsi istericamente al PD renziano: infatti, una delle più antiche tecniche a cui ricorrono da sempre i cosiddetti “poteri forti” è quella di agire su una stessa scacchiera muovendo più pedine apparentemente contrapposte tra loro, con il fine di inscenare uno scontro fittizio da dare in pasto alle masse e così assicurandosi il controllo dell’intera scacchiera.

Per inquadrare la natura ab origine perversa del Movimento 5 Stelle, forse la riflessione più calzante ce l’ha regalata il prof. Alberto Bagnai sul suo blog Goofynomics, allorquando ha rammentato di averci detto già in tempi non sospetti “che i 5 Stelle fossero la continuazione del PD con altri mezzi. La loro impostazione secondo cui la crisi dipende dal debbitopubblico che dipende da lacoruzzzzione si basava su due passaggi falsi (la crisi non è stata scatenata dal debito pubblico e questo non dipende dalla corruzione), ma facilmente comunicabili, sostanzialmente volti a delegittimare la politica e l’azione dello Stato nell’economia, e quindi, in definitiva, a sostenere quel progetto ultraliberale, hayekiano, di società, tutto web e distintivo, che poi è oggi sostenuto anche dagli ex “comunisti”. Le affinità ideologiche ci sono[2].

Di sicuro, un’attenta osservazione delle vicende di questi ultimi mesi ci ha chiarito oltre ogni ragionevole dubbio che i Cinque Stelle, oltre ad essere stati da sempre funzionali alla visione globalista dei Democrats americani, si sono dimostrati altresì molto sensibili ai richiami di Berlino (con la spudorata operazione Ursula Von der Leyen) e di Pechino (vista la grande disponibilità offerta al Presidente cinese Xi Jinping, giunto qualche mese fa apposta in Italia per siglare l’intesa sulla nuova Via della Seta).

E’ lecito dunque arguirne che se e quando vedrà effettivamente la luce, il nuovo Governo Conte bis, visti i presupposti da cui potrebbe nascere, non potrà che adottare un’agenda politico-economica sostanzialmente incline ad una contrazione degli investimenti produttivi (in modo tale da non irritare Germania e Francia, che sono già alle prese con una seria recessione) e ad una deregulation dei mercati (in modo tale da compiacere Pechino e gli investitori finanziari più globalizzati).

D’altro canto, secondo la visione dell’ottimo prof. Giulio Sapelli, alla luce della palese sudditanza a Parigi di buona parte dello stato maggiore dei piddini (sopratutto Gentiloni e Letta), “a insediarsi a Palazzo Chigi non sarà tanto un Conte bis quanto piuttosto un governo Macron“.

L’obiettivo finale – osserva Sapelli – è quello di trasformare l’Italia in una piattaforma logistica per l’entrata della Francia in Africa e la svendita di ciò che resta del nostro apparato industriale a Francia, Germania e Cina“.

Alla luce dell’attuale fase geopolitica disordinata e convulsa, non siamo in grado di prevedere quale durata potrà eventualmente avere un prossimo Governo PD-Movimento 5 Stelle e se e quanto esso si dimostrerà effettivamente in grado di servire gli interessi dei suoi ispiratori: quel che è certo è che ci attendono anni difficili contraddistinti da un generale riposizionamento di tutti i principali centri strategici, cosa che verosimilmente produrrà di per sé un lungo periodo di generale instabilità a tutti i livelli, con conseguenze in termini di caos sociale di cui per ora possiamo soltanto intravedere i contorni.

 

 

Giuseppe Angiuli

 

[1] Cfr. l’editoriale sul quotidiano “La Verità”, edizione del 31 agosto 2019.

[2] https://goofynomics.blogspot.com/2019/08/qed-fuoriserie.html?fbclid=IwAR1ZDDbrZt78zFHXGj0CYwTZBHpP-OdOHmwDf5rSrmXEJ4S1hk7CwGtqV_A

C’EST L’ORIENT ! …….C’EST LA guerre, di Antonio de Martini

C’EST L’ORIENT !

Sono un lettore di “L’Orient-Le jour”, il giornale francofono di Beirut e di “ The Times of Israël” anglofono di Tel Aviv.

Oggi su l’Orient c’è un articolo dedicato al ministro degli Esteri israeliano che definisce « burattino dell’Iran » il segretario di Hezbollah, Nasrallah.

Strano che la mia copia, sono abbonato, proprio oggi non mi sia arrivata e che il tono del pezzo sia in contrasto con l’abituale felpata cautela. Provocatorio.

Sono giorni ormai che Israele ha lanciato, in perfetta coordinazione con l’ambasciatore USA a Beirut , una offensiva giornalistico-diplomatica mirante a disarmare e far mettere fuori legge l’Hezbollah inserito dagli USA nell’elenco delle “organizzazioni terroristiche”.

Si tratta di un “aiutino” offerto da Trump alla campagna elettorale di Netanyahu del quale il Libano dovrebbe fare le spese.

Hezbollah è un partito politico che raccoglie stabilmente il 50% dei suffragi elettorali , dispone di un esercito più forte, esperto e motivato di quello del governo libanese. ( 25.000 effettivi e 30.000 riservisti, reduci dalla vittoria in Siria ).

I quindici anni di conflitto civile, cessato nel 91, sofferto dal piccolo paese (103.000 morti su 3 milioni di abitanti) hanno vaccinato per almeno un secolo l’intera popolazione dall’idea di ricorrere alla violenza interna o esterna che sia.

Non faranno la guerra per gli USA né Israele. Né altri.

La guerra civile fu istigata e finanziata dagli stessi attori del presente conflitto siriano e che sono dietro all’improvviso impellente bisogno di sbarazzarsi di Hezbollah diventato ormai un attore permanente dello scenario Levantino.

Israele ha attaccato militarmente il Libano ripetutamente: voleva acqua ( il fiume Litani) e mirava al territorio compreso tra Tiro e Sidone.

Già nel 1982 invase tutto il sud Libano fino alla periferia di Beirut ( operazione “ pace in Galilea”) scacciandone gli abitanti – in prevalenza sciiti- che si spostarono di 50 km, in trecentomila, verso Beirut.
Il catasto di Saida ( Sidone) fu distrutto intenzionalmente per facilitare la rapina.

I Cristiani si spostarono, a loro volta, versoJunie, di una ventina di km.

Da questa mal meditata occupazione israeliana nacque un movimento di resistenza ( l’Hezbollah ) che – assieme alla opinione pubblica internazionale- indusse gli israeliani a rientrare nei confini, appropriandosi solo di una fascia di dieci km che dovettero poi ugualmente abbandonare a causa degli attacchi partigiani diuturni e delle troppo onerose misure di sicurezza.

Un secondo tentativo – un blitz punitivo vero e proprio contro Hezbollah – tentato dagli israeliani, si risolse in una sconfitta militare netta che provocò la rimozione del comandante israeliano accusato di incapacità.

Nel 2006 ci furono bombardamenti israeliani nella piana della Bekaa ad alcune infrastrutture ( e a una fabbrica di bottiglie per birra a capitale indiano!) che gli USA rifinanziarono ristabilendo la tregua.

Adesso, dopo aver fallito coi carri armati prima e con gli aerei dopo, provano con la propaganda e le pressioni diplomatiche.

L’obbiettivo di minima è ottenere un attacco Hezbollah che ridarebbe il carisma del capo militare a Netanyahu offuscato da accuse di tangenti su forniture militari tedesche e pressato dal rivale generale Ganz.

L’obbiettivo medio è quello di far ritirare dalla Siria i volontari Hezbollah che danno manforte al governo e agli iraniani e limitarne la libertà di movimento.

L’obbiettivo strategico é far continuare “l’unrest” nel Levante ritagliando un ruolo per l’emarginata diplomazia USA, a rimorchio e incapace di aver un ruolo guida in tutta l’area.

Ora ha inviato la signora Hole a Cipro per mediare a nome dell’ONU una riconciliazione greco-turca….

Hezbollah ha fatto sapere di essere per ora soddisfatto anche solo dell’innervosimento israeliano che teme un attacco sul suo territorio e ha pubblicato alcune foto di camionette israeliane di presidio al confine con dentro dei manichini.

Un trucco, già utilizzato, per supplire alla carenza di personale esausto dai turni impossibili, al punto che nel sud – a Gaza- il governo israeliano ha offerto cospicua assistenza finanziaria a Hamas in cambio di una “ tregua durevole”.

L’arma demografica comincia a fare effetto. Gli ebrei americani comprano volentieri una casa in Israele, ma non intendono lasciarci le ossa.

Anche il governo siriano, dopo otto anni di guerra, ha scarsità di effettivi.

A Deraa ( zona del giabal druso) , dopo la riconquista, ha concluso un accordo con gli sconfitti: ha lasciato l’armamento leggero di dotazione a un battaglione di ex nemici, incaricandolo di mantenere l’ordine pubblico in città.

Cerca la riconciliazione e
le truppe fedeli le risparmia per presidiare il troppo vicino confine israeliano.

Crisi politica e guerre sordide, a cura di Giuseppe Masala e Piero Visani

CRISI ISTITUZIONALE, di Giuseppe Masala

Proviamo a dirla in un altro modo. Lo faccio perchè qui ci sono dei finti tonti che fanno finta di non capire. Questa è una crisi che può essere vista e analizzata su innumerevoli piani diversi. E se uno fa un’analisi complessiva (cosa impossibile su facebook) ciò che se ne trae è che siamo di fronte ad una crisi istituzionale di gravità inaudita che mina alla base la nostra democrazia.

Allora, se nel 1956 tutti i deputati e i senatori del PCI – con Togliatti e Terracini in testa – avessero dichiarato la loro appartenenza al Partito Nazionale Fascista e fossero andati a sedersi a fianco di Almirante cantando “faccetta nera” avrebbero fatto una cosa legittima. La Costituzione dice che non c’è vincolo di mandato e ognuno può cambiare idea quando gli pare. Benissimo. Capite però che ci sarebbe stato un grave problema politico se ciò fosse avvenuto? Capite che sarebbe stata negata con la frode la rappresentanza a milioni di persone che votarono comunista?

Ecco, allo stesso modo oggi, si sta tentando di portare 11 milioni di voti dati contro il PD, contro l’Establishment, contro l’austerità per vederli utilizzati per mettere Cottarelli o chi per lui al Ministero del Tesoro e per puntellare il PD al potere? E’ tutto perfettamente legittimo. Tutto. Ma c’è un problema politico enorme. E questo genere di problemi poi nell’elettorato avranno uno sbocco. Non oso immaginare manco quale.

Peraltro tutta questa cosa enorme si innesta in un contesto democratico già devastato: la scorsa legislatura un parlamento illegittimo costituzionalmente ha eletto un presidente della repubblica che oggi fa buono e cattivo tempo e che ha già fatto dire a tutti i giornalisti quirinalisti che “vigilerà sulla nomina dei Ministri dell’Economia, degli Esteri, degli Interni e della Difesa”. E di grazia che votiamo a fare? Affinchè la maggioranza parlamentare scelga il Ministro della Marina Mercantile perchè al resto ci pensa il Quirinale? E la costituzione? Carta straccia?
E a questo poi aggiungiamo lo scempio del CSM. Giudici corrotti che s’incontrano in riunioni carbonare con parlamentari inquisiti per scegliere i vertici delle Procure e dei Tribunali?
Non aggiungo altro.

Semplicemente in questo paese la democrazia non c’è. E la gente lo capisce. E presto o tardi questa crisi della rappresentanza avrà uno sbocco. Quale non so. Ma ad occhio non credo buono.

PS E non basterà temo, manco arrestare Salvini per riportare i voti nell’alveo che Lorsignori vorrebbero. No, certi voti, ancorchè scippati, verso certi partiti non torneranno mai più.

GUERRE, di Piero Visani

Ho scritto qualche rapidissima riflessione su vecchie e nuove guerre perché trovo un po’ noioso continuare a pensare solo a quelle vecchie, mentre a quelle nuove non pare pensare più di tanto alcuno.
Siamo da tempo immersi nella più assoluta delle democrazie totalitarie, dove davvero nulla è libero, e ci occupiamo ancora della seconda guerra mondiale, il cui esito – a dire il vero – pare ormai assodato.
La morsa che i poteri forti e le burocrazie statali stringono sulle nostre vite, in un mondo ex-occidentale che è liberale più o meno come la Corea del Nord, si chiude ogni giorno di più e – su questo sfondo – a me la seconda guerra mondiale interessa al più come storico.
Come polemologo, invece, mi interessa assai di più sottrarmi alle spire del “gelido mostro”, che invece pare piacere moltissimo a destra come a sinistra, visto che nessuno – da Fratelli d’Italia a LEU – sembra minimamente preoccupato dal restituirci – come cittadini – le nostre libertà civili ed economiche. Solo un “Grande Fratello” che ci sorveglia tutti, che vuole sapere cosa facciamo e come spendiamo i nostri soldi, ovviamente al di sotto di un certo reddito e di una certa rilevanza politico-economica. Al di sopra di quella, il “gelido mostro”, il Leviatano, diventa di una distrazione mostruosa, non riesce a vedere né movimenti di denaro né fughe di capitali all’estero, né altro.
Non ho obiezioni in tal senso, ma vorrei sapere la ragione di tanto interesse per noi poveri diavoli. Evidentemente essere limoni da spremere è l’unico diritto di cittadinanza che ci è rimasto. A Hong Kong, fattori molto meno gravi fanno arrabbiare la popolazione, ma là sono giovani. Qui invece, con un’età media sui 115 anni, nessun rinnovamento demografico e una pensioncina da meno (e talvolta molto meno) di mille euro al mese (per quelli che l’hanno), poche o nulle prospettive di lavoro, ci deve bastare tutto. E in effetti ci basta. E seguiamo con estremo interesse le terribili contese per le poltroncine da un ventimila euro mese, sperando (visto che siamo coglioni di natura, noi) che una movimentazione mensile di quella entità possa da oggi attivare gli “sceriffi” di Bankitalia. Senza nemmeno pensare – ovviamente – che “gli sceriffi” prosperavano in un paradiso del diritto come il “Far West”… Ciascuno sceglie i riferimenti etico-politici che preferisce e notoriamente le presenze italiane all’interno dei celeberrimi “Panama Papers” erano tutte di piccoli industriali della Brianza o del Triveneto. Grandi nomi con e senza particella, ovviamente nessuno…
Avanti così, che a me viene da ridere…

1 301 302 303 304 305 379