Le considerazioni di Daniele Lanza, riprese in calce e il breve scritto di George Friedman toccano un punto dolente e drammatico delle vicende belliche e postbelliche che solitamente è ignorato nei manuali di storia ma che provocano veri e propri sconvolgimenti delle formazioni sociali e immani tragedie collettive che si trascinano ben oltre la fase bellica: quello delle migrazioni. Un fenomeno che nel nostro immaginario rudimentale e privo di memoria viene collocato in lontani periodi storici e in formazioni sociali premoderne; i barbari ai tempi dell’impero romano, le orde dei mongoli dall’Asia Centrale.
Non è purtroppo così. Riguarda ogni tempo, compreso il nostro; ogni formazione sociale, da quelle cosiddette democratiche-liberali a quelle “diversamente” totalitarie; ogni angolo abitato della superficie terrestre nei vari tempi storici.
Da circa una settimana siamo bombardati mediaticamente da una esplosione di commozione e compassione riguardo alle centinaia di migliaia di profughi ucraini in fuga dalla guerra verso l’accogliente Europa con annesso corollario dell’invito alla accoglienza e alla solidarietà.
Di tragedia certamente si tratta; basterebbe incrociare uno sguardo appena distratto sui volti dei fuggitivi per confermarlo.
L’Europa ha già conosciuto almeno tre grandi episodi di esodi biblici negli ultimi cento anni: il più importante durante e dopo la seconda guerra mondiale con quindici milioni di tedeschi, tre dei quali deceduti lungo il percorso, rientrati in quel che restava della grande Germania e altri milioni peregrinanti qua e là per il continente; tra essi la popolazione italiana dell’Istria e Dalmazia. Il più recente, ma non ancora esaurito, quello legato all’implosione della Jugoslavia grazie allo “aiutino” determinante della NATO.
Situazioni nelle quali il frullatore di calcolo politico, risentimento esacerbato e spirito di vendetta produce un amalgama esplosivo nel calderone del quale finiscono inesorabilmente individui e parti di popolazioni conniventi con le scelte tragiche, ma anche componenti indifferenti o estranee, quando pure settori di popolazioni contrarie alle sopraffazioni.
La predominanza assoluta dell’aspetto emotivo nell’affrontare e presentare il fenomeno induce facilmente alla manipolazione e alla strumentalizzazione sino a diventare un formidabile veicolo propagandistico, di annichilimento di ogni punto di vista critico, di demonizzazione definitiva del nemico, specie quando può godere della totale accondiscendenza e complicità del sistema mediatico.
È esattamente quanto sta accadendo con l’ondata di profughi dall’Ucraina in fiamme.
Il primo impulso spingerebbe a contrapporre il clamore e l’attenzione riservata a questo esodo con il silenzio e l’omertà riservata a quello indirizzato in direzione opposta negli anni recenti dalla popolazione di origine russa e russofona, discriminata, annichilita e spesso perseguitata e trucidata, a cominciare dalla strage di Odessa nel 2014 sino a spingere al separatismo di alcune regioni e al silenziamento delle sue voci nel resto del paese.
Una reazione del genere lascerebbe intuire uno dei motivi, in una sorta di legge del contrappasso, ma non a spiegare la complessità delle ragioni dell’evento, tanto meno a giustificarlo.
Ad uno sguardo più attento sono altre le ragioni di fondo e contingenti.
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Intanto l’Ucraina è diventata terra di esodo grazie al dissesto economico dovuto al passaggio da area centrale e strategica dell’Unione Sovietica ad area periferica, pur ricca di risorse, della Unione Europea; soprattutto però al saccheggio di oligarchie locali, specie nel momento in cui si sono asservite e sono state formate dal mondo occidentale, in particolare statunitense. Una sorta di terra di nessuno nella quale ha ripreso piede una forma esasperata di nazionalismo straccione, sino alle sue estreme consistenti propaggini naziste, radicato nella parte centroccidentale del paese, con la sua ragione d’essere nella russofobia e nella molestia delle popolazioni russofile, con la sua forza derivante soprattutto dal sostegno interessato e determinante degli USA, lato liberal-neocon e quindi della Germania e della pletora di paesi dalla Svezia, alla Polonia. È la vittoria definitiva, ma probabilmente crepuscolare, di quei centri decisori americani in un confronto iniziato in Germania con la morte sospetta di Herrhausen e di Rohwedder ed estesosi nel continente a tutta l’Europa Orientale e alla Russia stessa. Quelle morti nel 1991 segnarono la trasformazione definitiva rispettivamente della Deutsch Bank in una banca di investimento in tutto dedita al trattamento dei titoli speculativi integrata totalmente nel circuito finanziario americano, della Treuhandanstalt, la società di ristrutturazione e liquidazione del patrimonio industriale pubblico della ex RDT in una agenzia di mera liquidazione e colonizzazione della grande industria tedesca orientale con residui margini di iniziativa autonoma nelle piccole attività locali. Una scelta che favorì nella fase di transizione il ricambio rapido delle élites dominanti in Europa Orientale molto più legate e subordinate ai centri decisori politici e imprenditoriali stranieri grazie alle relazioni intessute con essi nel regime cosiddetto “socialista” in una sorta di economia separata. Ne fecero pesantemente le spese la parte di classe dirigente più legata alle attività locali e alle organizzazioni comunitarie. L’Ucraina è arrivata buon ultima al compimento di questo processo traendone il peggio sia come qualità della peggiore classe dirigente compradora, che in termini di saccheggio di risorse e di degrado delle strutture civili ed industriali.
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A determinare le caratteristiche peculiari dell’attuale esodo che riguarda esclusivamente la parte occidentale e parzialmente quella centrale è l’origine di quelle popolazioni, il relativo sostegno che esse garantiscono all’attuale regime e di conseguenza la permeabilità di queste alla propaganda e all’allarmismo russofobo montati dal regime.
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Al contrario l’esodo della popolazione sembra essersi arrestato nella zona orientale, nelle zone liberate/occupate (secondo i punti di vista) ed anche nelle città contese del fronte. In quest’ultimo caso vittima del carattere terroristico dell’attività di resistenza delle frange più radicali dell’esercito ucraino piuttosto che partecipe della resistenza.
Dinamiche che evidenziano drammaticamente il vicolo cieco nel quale hanno cacciato il paese una élites ottusa ed avventurista che fonda il proprio potere letteralmente sul sostegno esterno e sulla lacerazione di una popolazione la cui convivenza pacifica e il cui assetto statuale unitario può reggersi solo su una condizione di neutralità militare e di pari dignità delle diverse componenti della popolazione.
Al contrario, per una ovvia legge del contrappasso, il predominio precario della attuale élite ottenuto con un colpo di stato sanguinoso ed eterodiretto, con il separatismo nella sua parte orientale e con l’esodo iniziale di parte della popolazione russofila rischia di ritorcersi nel suo contrario con l’attuale esodo e con l’intervento militare russo.
L’ottusità con la quale l’attuale élite rimuove questa strada non farà che rendere ancora più drammatica la tragedia sino a far diventare l’Ucraina e l’Europa stessa una terra di nessuno dove soddisfare gli appetiti altrui. Dopo l’Ucraina, in Europa attendiamoci qualche altra novità in Bosnia e Serbia. Ne abbiamo accennato più volte nei mesi passati.
Congiunzioni astrali funeste alle quali beotamente si stanno allineando i vari satelliti europei. In prima fila, con il grigiore di un burocrate, il nostro salvatore della patria Mario Draghi.