Sergey Lavrov e i punti fermi della politica estera russa_a cura di Germinario Giuseppe

Qui sotto una intervista, tradotta in italiano, al Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov. Offre una interpretazione delle dinamiche geopolitiche da un punto di vista quasi del tutto ignorato e travisato dai facitori di opinione di area occidentale. Molto interessanti le motivazioni dell’approccio “paziente” nei confronti dell’Amministrazione Americana

Intervista del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov concessa al quotidiano Kommersant

Visione russa degli eventi attuali. Da prendere, come sempre, con criticità e senno di poi.

Fonte: Ministero degli Affari esteri della Federazione Russa, Kommersant , 21-01-2018

Domanda: Oggi tutti attendono con impazienza la pubblicazione di due rapporti dell’Amministrazione americana: il “Rapporto del Cremlino” sui leader e gli oligarchi vicini ai leader russi, e quello sulla necessità di introdurre nuove dure sanzioni economiche contro Mosca. Se tutti questi testi portassero al rafforzamento della politica di sanzioni di Washington, quale sarebbe la reazione di Mosca?

Sergey Lavrov: Questa domanda è ipotetica. Abbiamo già indicato in diverse occasioni che non aspiriamo in alcun modo allo scontro. A nostro avviso, l’introduzione di sanzioni non ha basi ragionevoli. Per quanto riguarda gli obiettivi annunciati di queste misure, non hanno alcun senso in quanto, poiché queste sanzioni sono in vigore da molti anni, i loro autori avrebbero certamente potuto rendersi conto che queste iniziative non modificano in alcun modo la politica onesta e aperta della Russia. La nostra posizione indipendente e autonoma negli affari internazionali si basa sui nostri interessi nazionali e non può essere modificata sotto la pressione esterna. È definita dal presidente russo sulla base di interessi che soddisfano i bisogni del popolo russo. La popolarità considerevole della nostra politica estera in seno alla sociatà è, a mio parere, la prova migliore dell’inutilità di ogni tentativo di modificarla facendo pressione sulle élites e su alcune imprese.

Anche se non abbiamo alcun interesse a rafforzare la spirale dello scontro, naturalmente non possiamo ignorare i tentativi di punire la Russia – questo riguarda la nostra proprietà, le sanzioni che hai citato o i tentativi di usare lo sport per questi scopi. Ci sono molte prove che riguardo ai casi molto reali di doping dei nostri atleti, così come di molti altri paesi – questi sono ben noti ma nessuno fa rumore, li analizziamo secondo le procedure stabilite – fanno parte di una campagna controllata basata sul principio già utilizzato in altri settori della vita internazionale per quanto riguarda la comunicazione con la Russia e i suoi partner intrapresa contro di noi. Se non mi sbaglio, Richard McLaren ha indicato nel suo rapporto che non c’erano prove e che non sapeva come era stato fatto tutto, ma che gli autori sapevano come si poteva fare. Nessun tribunale normale in nessun paese accetterebbe mai accuse di questo tipo. Queste affermazioni piuttosto esotiche servono come base per le decisioni di privare il nostro paese dei Giochi Olimpici.

Questo contesto ricorda la situazione intorno al Boeing malese: tre giorni dopo questa tragedia gli Stati Uniti hanno chiesto di avviare un’indagine affermando che conoscevano i colpevoli e che erano certi che gli esperti avrebbero confermato il loro punto di vista.

Possiamo anche notare il caso più antico di Alexander Litvinenko. All’epoca, le autorità britanniche sostenevano che l’inchiesta avrebbe confermato ciò che già sapevano. Questa mancanza di obiettività che si tinge di russofobia è davvero senza precedenti. Non avevamo visto nulla di simile durante la Guerra Fredda. All’epoca esistevano regole e standard di condotta reciproci. Oggi tutti questi standard sono stati rigettati.

Domanda: la situazione è peggiore rispetto al periodo della Guerra Fredda?

Sergey Lavrov: Riguardo agli standard di condotta, è possibile. Ma se confrontiamo le reali manifestazioni dello scontro, le opinioni divergono. Da un lato, c’era allora una stabilità negativa tra due blocchi rigidi, tra due sistemi globali – socialista e imperialista. Oggi non c’è divergenza ideologica. Tutti hanno adottato l’economia di mercato e la democrazia. Nonostante i diversi atteggiamenti che si possono adottare nei confronti di questi ultimi, in tutti i casi si hanno le elezioni, le libertà ed i diritti fissati nella Costituzione.

Inoltre, la competizione rimane presente anche in assenza di differenze ideologiche, il che è perfettamente normale. Ma la competizione deve essere onesta. Tutti i paesi hanno ovviamente i propri mezzi per promuovere i loro interessi, i loro servizi segreti, i loro lobbisti impiegati, le loro ONG che promuovono questo o quel programma. È normale. Ma se ci viene detto che la Russia è obbligata ad evitare qualsiasi pressione sulle ONG finanziate dall’estero, ma non ha il diritto di rispondere ad azioni simili contro le proprie ONG all’estero, questo suona come un “Doppio standard”.

Vorrei anche sottolineare un altro elemento. Anche senza differenze ideologiche promuoviamo la crescita materiale del potenziale militare. Che non era il caso al tempo della Guerra Fredda.

Domanda: ma abbiamo avuto la corsa agli armamenti …

Sergey Lavrov: La corsa agli armamenti è rimasta confinata al quadro geopolitico adottato da entrambe le parti. C’era una certa linea di demarcazione tra la NATO e il Patto di Varsavia, che sviluppò le loro braccia su entrambi i lati di quest’ultima. Di conseguenza, l’URSS ha esaurito le sue forze in questa corsa. Le “Star Wars” e altre invenzioni simili hanno avuto un ruolo, anche se quest’ultimo non è stato decisivo. L’URSS si è dissolta perché il paese stesso, le sue élite, inizialmente non sentivano il bisogno di riforme. Poi, quando hanno iniziato le trasformazioni, queste ultime non hanno preso la strada giusta. Ma nell’attuale contesto dell’ampliamento della NATO verso l’Oriente, non c’è davvero alcuna regola. Non abbiamo più un limite da porre come una “linea rossa”.

Domanda: E il confine della Federazione Russa?

Sergey Lavrov: Se dicessimo di non avere alcun interesse nella regione, nell’area euro-atlantica, allora sì: il confine della Federazione Russa sarebbe questa “linea rossa”. Ma abbiamo interessi legittimi perché  popolazioni russe si sono ritrovate all’estero a causa della dissoluzione dell’URSS, perché abbiamo stretti legami culturali, storici, personali e familiari con i nostri vicini. La Russia ha il diritto di difendere gli interessi dei suoi compatrioti, specialmente se sono perseguitati come avviene in molti paesi, o se violano i loro diritti come in Ucraina, laddove annunciavano immediatamente dopo il colpo di stato che la lingua russa doveva essere limitata.

Domanda: Ma hanno indietreggiato …

Sergey Lavrov: Sì, ma è stato ancora detto. Dopo il colpo di stato, la prima iniziativa del Parlamento è stata quella di mostrare “il suo posto” alla lingua russa. Doveva posizionarsi in secondo piano, secondo i parlamentari. Due giorni dopo fu dichiarato che i russi sarebbero stati espulsi dalla Crimea perché non avrebbero mai onorato Stepan Bandera e Roman Shukhevich.

Dopo la mia conferenza stampa, un quotidiano tedesco ha scritto che “Sergei Lavrov aveva cambiato i fatti” e ha presentato una “manifestazione pacifica dei tatari di Crimea davanti al Consiglio supremo della Crimea come un tentativo di espellere i russi dalla penisola”. È sufficiente, tuttavia, guardare i video dell’epoca in cui il Consiglio Supremo era circondato da giovani furiosi, per non parlare dei “treni di amicizia” che Dmitrij Iaroch aveva inviato in Crimea.

Questa storia ucraina è quella del colpo di stato, il tradimento del diritto internazionale da parte dell’Occidente: l’accordo firmato dai ministri degli Esteri dei principali paesi dell’Unione europea è stato semplicemente calpestato. Poi l’UE si è prodigata a persuaderci che questo evento era perfettamente logico e che nulla poteva essere fatto. Francamente, è un peccato per l’Europa. Prendiamo atto di questa realtà storica, ma scegliamo l’implementazione degli accordi di Minsk anziché l’isolamento.

Ma torniamo alle “linee rosse”. Era una “linea rossa”, proprio come nel caso di Mikhail Saakashvili che aveva attraversato un’altra “linea rossa” lanciando un attacco contro l’Ossezia del Sud, dove erano schierate le forze di mantenimento della pace. Russo, osseto e georgiano. Le truppe georgiane furono ritirate, tuttavia, poche ore prima dell’inizio di questa offensiva assolutamente illegittima e provocatoria.

La Russia ha i suoi interessi e gli altri devono tenerne conto. Lei ha le proprie “linee rosse”. A mio parere, i politici seri in Europa comprendono la necessità di rispettare queste “linee rosse” proprio come durante l’era della Guerra Fredda.

Domanda: Ma torniamo agli americani. Secondo i media statunitensi, nel marzo 2017 la Russia ha inviato proposte agli Stati Uniti nel formato “non cartaceo” per quanto riguarda la standardizzazione delle relazioni su più punti. Queste proposte rimangono in vigore data la crescente pressione delle sanzioni da parte americana e tutto ciò che è successo nelle relazioni russo-americane nell’anno passato?

Sergey Lavrov: le proposte sono ancora in vigore. Non assumiamo mai un atteggiamento indignato, ma cerchiamo di capire il contesto delle azioni intraprese dagli americani o da altri colleghi. In questo caso, comprendiamo pienamente che un cocktail di fattori ha provocato questa aggressione senza precedenti dell’establishment americano, come si suol dire.

Il fattore principale è che i democratici non possono accettare la loro sconfitta dopo aver fatto così tanti sforzi, soprattutto per estromettere Bernie Sanders – che al momento si preferisce dimenticare. È una manipolazione diretta delle elezioni e una grave violazione della Costituzione degli Stati Uniti.

Il secondo fattore è che la maggior parte dei repubblicani ha ereditato un presidente fuori dal sistema che non aveva legami con nessun livello dell’establishment repubblicano, ma aveva ottenuto i suoi voti nel campo repubblicano alle primarie. Qualunque sia il tuo atteggiamento nei confronti delle azioni del presidente degli Stati Uniti Donald Trump o la tua visione delle sue azioni non molto usuale per diplomatici e politologi tradizionali …

Domanda: rompe tutti gli accordi internazionali come un elefante in un negozio di porcellana.

Sergey Lavrov: Qualunque sia il vostro atteggiamento nei confronti delle sue azioni, stiamo attualmente parlando delle ragioni per l’indignazione senza precedenti dei politici americani. I repubblicani non apprezzavano davvero l’avvento al potere di un uomo che aveva dimostrato che il sistema esistente da decenni – oltre 100 anni – in cui due parti avevano definito le regole del gioco – io prendo oggi il potere per 4 anni e poi ancora 4, e tu aspetti nel settore degli affari per poi scalare la cima, mentre mi rioriento verso il business – era crollato a causa della vittoria di Donald Trump. Il suo arrivo non è spiegato dal suo carattere messianico, ma dal fatto che la società è stanca e non vuole tollerare questo cambiamento tradizionale di leader, senza alcun significato nella realtà.

Se guardiamo alla struttura della società americana, comprendiamo che quest’ultima affronta processi demografici molto interessanti. Non è un caso che gli elementi etnici stiano attualmente provocando lunghi e profondi dibattiti sul risveglio o il rafforzamento del razzismo, che è sempre stato latente o aperto nella politica americana. Questi sono processi molto complicati che richiedono molto tempo. Ancora una volta, la prima ragione è la disfatta dei democratici, che non possono sempre accettare. La seconda ragione è il crollo del sistema bipartisan. Questa procedura “amichevole” era presente durante molte campagne elettorali. Il terzo elemento – tra molti altri – che vorrei sottolineare è il senso della perdita della capacità di influenzare tutti i processi globali nell’interesse degli Stati Uniti. Potrebbe sembrare paradossale, ma è la realtà. Sentiremo ancora gli effetti per molto tempo.

Anche al tempo della Guerra Fredda gli Stati Uniti erano molto più potenti, grazie in parte alla sua partecipazione all’economia mondiale e al suo ruolo assolutamente dominante nel sistema monetario mondiale, perché l’euro non esisteva ancora e nessuno sapeva nulla dello yuan, per non parlare del rublo. Oggi gli Stati Uniti forniscono dal 18% al 20% del PIL mondiale. Non è più la metà come in passato, soprattutto considerando i numeri dopo la seconda guerra mondiale.

Questa sensazione che tutto non è più deciso da un singolo centro è evidente anche nella campagna russofoba. Ci sono ancora la Cina e altri paesi importanti, molti dei quali preferiscono ignorare le derive americane. Per noi è difficile da fare perché i primi due motivi – la sconfitta dei democratici e il collasso del sistema – ci fanno puntare le dita. Ci sono stati contatti tra alcune persone e rappresentanti delle élite politiche statunitensi, o tra l’ambasciatore russo negli Stati Uniti Sergei Kisliak e il consigliere del presidente Donald Trump sulla sicurezza nazionale Michael Flynn. Questo è assolutamente normale e non avrebbe dovuto causare reazioni di questo tipo soprattutto per la scarsa rilevanza rispetto a ciò che i diplomatici americani fanno in Russia e a quello di cui si tenta di incriminare l’ambasciatore e l’ambasciata russa negli Stati Uniti,

Ma poiché non abbiamo reagito alle misure ostili e coercitive prese contro l’ambasciatore russo che ha rifiutato di cambiare il suo atteggiamento, rinunciare alla sua indipendenza e scusarsi per eventi che non sono mai accaduti, la loro agitazione peggiorò. Naturalmente, siamo stati accusati di tutti gli errori e i fallimenti americani. Siamo usati come una specie di parafulmine di fronte a quello che è successo in Messico, in Francia …

Domanda: anche a Malta …

Sergey Lavrov: Ovunque: Russia, Russia e Russia. È molto semplice e facile per una propaganda “stupida”. Gli elettori ascoltano gli slogan molto semplici della CNN: “La Russia si è ingerita ancora una volta …” Se la ripetiamo mille volte, essa si radica nello spirito.

Domanda: Sembra che tu personalmente giustifichi le scelte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Ma nessuno lo ha costretto a firmare la legge sulle consegne di armi in Ucraina o la legge sulle sanzioni lo scorso agosto.

Sergey Lavrov: Non provo a romanticizzare nessuno. Ovviamente, quando si adottano provvedimenti di legge con una maggioranza di voti – il 95% in questo caso – il Presidente non riflette sulla realtà, la legalità, la legittimità o la correttezza della legge, ma riflette sul fatto che il suo veto sarà superato in tutti i casi.

Domanda: Ma che dire della legge sulle forniture di armi in Ucraina? Barack Obama non l’ha firmato …

Sergey Lavrov: La mia risposta è la stessa. Sa perfettamente che il Congresso lo costringerà a farlo. Se il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si fosse rifiutato di seguire la volontà della stragrande maggioranza del Congresso – che attualmente esiste – il suo veto sarebbe superato. Questa è la mentalità della politica interna americana. Se il veto presidenziale viene superato – anche se è perfettamente giusto e incontra gli interessi a lungo termine degli Stati Uniti – questa è una sconfitta del Presidente. Questo è tutto.

Quando il presidente degli Stati Uniti Donald Trump mi ha accolto alla Casa Bianca, ha parlato con il presidente russo Vladimir Putin ad Amburgo e in seguito telefonicamente, non ho visto alcuna intenzione di lanciare azioni per silurare i suoi slogan elettorali nella sua aspirazione a mantenere buoni rapporti con la Russia. Ma le circostanze non sono favorevoli. La combinazione dei tre fattori – la sconfitta di Hillary Clinton, la natura fuori dal sistema di Donald Trump e la necessità di spiegare i fallimenti americani nell’arena internazionale (e non solo) – spiega la situazione attuale. Mentre gli Stati Uniti sono coinvolti in questo processo molto riprovevole e trovano una posizione pacifica della Russia che non ammette reazioni isteriche – a volte abbiamo risposto, ma entro il minimo indispensabile. Stiamo perseguendo la nostra politica di risoluzione dei conflitti e di lavoro sui mercati dai quali gli americani vorrebbero rifiutarci. Tutto ciò inizia a irritare coloro che hanno promosso un programma russofobico. È un peccato. Tuttavia, siamo incoraggiati dal fatto che alcuni membri del Congresso, politologi e diplomatici statunitensi sono stati ascoltati di recente – silenziosamente in conversazioni riservate – confermando la natura assolutamente anormale di questa situazione e la necessità di rimediare. In ogni caso, tutti riconoscono l’errore di coloro che hanno cercato di metterci ai piedi del muro, perché ovviamente non arrivano ad isolarci. Basta consultare il programma degli incontri e dei viaggi del presidente russo e dei membri del governo per rendersi conto del fallimento dei tentativi di isolamento. Secondo loro, capiscono di essersi spinti troppo oltre su questo tema, ma ci chiedono di fare il primo passo in modo che possano dire che la Russia si è “mossa”. Questa psicologia crea ovviamente la sensazione che la mentalità della superpotenza stia facendo del male agli Stati Uniti. Propongono di fare qualcosa sul dossier ucraino.

Domanda: “muoversi” significa rafforzare il controllo delle azioni separatiste nel Donbass, costringerli a smettere di sparare, assicurare il ritiro delle armi e rispettare assolutamente tutti i punti fondamentali degli accordi di Minsk?

Sergey Lavrov: Non siamo in alcun modo contrari al ritiro delle armi e al cessate il fuoco, che non dovrebbe essere assicurato da Donetsk e Lugansk ma dall’esercito ucraino. Molte testimonianze dei vostri colleghi, inclusi i giornalisti della BBC e altri media che hanno visitato la linea di demarcazione nel 2018, indicano che battaglioni come Azov non sono controllati da nessuno tranne che dai loro comandanti. L’esercito ucraino, le forze armate ucraine non hanno alcuna influenza su di loro. Non ascoltano nessuno. Ciò si riflette nel blocco che hanno lanciato nonostante le denunce del presidente ucraino Petro Poroshenko il quale aveva promesso pubblicamente di eliminare il blocco che contraddice in modo assoluto gli accordi di Minsk e ha persino inviato le forze per sollevarlo, ma non ci è riuscito. Poi decise che la soluzione migliore sarebbe stata di restituire le vesti e adottare un decreto che legalizzava il blocco. È quindi assolutamente necessario smettere di sparare e ritirare le truppe e le armi pesanti, ma da entrambe le parti.

Come ho detto in una conferenza stampa, il desiderio di ridurre l’intera gamma di questioni geopolitiche in Ucraina – ci viene chiesto di ritirare un battaglione da Donetsk o Lugansk per creare le condizioni necessarie per indebolimento delle sanzioni – è indegno di persone che occupano posizioni molto importanti, ma mantengono tali osservazioni.

Domanda: Ci saranno forze di mantenimento della pace in Donbass nel 2018?

Sergey Lavrov: Non dipende da noi. Se fosse stato così, sarebbero stati schierati lì molto tempo fa.

Domanda: quali ostacoli esistono ancora oggi? La Russia è pronta per le concessioni per eliminarli?

Sergey Lavrov: C’è un solo ostacolo: nessuno vuole guardare le nostre proposte in modo concreto.

Domanda: ma gli americani hanno proposto emendamenti. Sono studiati?

Sergey Lavrov: Nessuno ci ha offerto emendamenti, anche se avessimo voluto. Ho parlato con il ministro degli esteri ucraino Pavel Klimkin, i nostri colleghi francesi e tedeschi. Dicono che è una buona e giusta iniziativa, ma abbiamo bisogno di qualcos’altro. Quindi parliamone. Spiegaci le tue proposte e stabiliremo se sono in linea con l’attuazione degli accordi di Minsk. In ogni caso, il progetto di risoluzione sancisce il nostro assoluto impegno a favore del principio del pacchetto di misure per la concertazione di tutte le azioni di Kiev, Donetsk e Lugansk. Ci viene detto che dobbiamo pensare perché possiamo fare qualcos’altro. Ma tutto è limitato alle parole, nessuno discute con noi questi problemi. Le idee presentate al di fuori del lavoro sulla nostra bozza di risoluzione hanno un orientamento completamente diverso. Il nostro progetto sottolinea l’immutabilità degli accordi di Minsk e la necessità di proteggere la missione dell’osservatore dell’OSCE, le cui condizioni di lavoro sono talvolta pericolose. Le guardie armate delle Nazioni Unite devono seguire gli osservatori in tutti i loro movimenti. Questa è la logica legale degli accordi di Minsk. Ci viene detto che se accettiamo il concetto di forze per il mantenimento della pace, devono assumersi la responsabilità di tutti gli eventi a destra della linea di demarcazione. Lascia che assicurino la sicurezza su questo territorio al confine russo, dicono. In queste condizioni, potevano organizzare le elezioni e tutto sarebbe andato bene. Il nostro progetto sottolinea l’immutabilità degli accordi di Minsk e la necessità di proteggere la missione dell’osservatore dell’OSCE, le cui condizioni di lavoro sono talvolta pericolose.

Domanda: non è ragionevole?

Sergey Lavrov: ragionevole? Lo pensi davvero?

Domanda: le forze di pace delle Nazioni Unite sono una forza da affidare alla sicurezza della regione.

Sergey Lavrov:Gli accordi di Minsk stabiliscono che l’amnistia deve essere intrapresa per prima, l’attuazione della legge sullo status speciale della regione – che è stata adottata ma non ancora entrata in vigore – e incorporare questo ultimo alla Costituzione prima di organizzare le elezioni. I cittadini che sono attualmente soffocati da un blocco illegale e i cui cavi e servizi di telefonia mobile vengono tagliati per isolarli dal mondo esterno, almeno dallo stato ucraino, devono sapere che non sono criminali di guerra né terroristi, poiché Kiev ritiene di aver lanciato un’operazione antiterroristica sebbene nessun abitante di queste regioni abbia attaccato nessuno. Vorrei attirare la vostra attenzione sul fatto che sono stati attaccati. Queste persone hanno bisogno di sapere, in primo luogo, che non sono in pericolo e che l’amnistia copre tutti gli eventi da entrambe le parti. In secondo luogo, devono essere certi di ricevere la garanzia – che gli accordi di Minsk letteralmente prevedono – in grado di mantenere la loro connessione con la lingua russa e la cultura, il loro rapporto speciale con la Russia a prescindere dalla politica delle autorità di Kiev, la loro la polizia e la loro stessa voce per la nomina di giudici e pubblici ministeri. Questi sono i principi essenziali. Non è molto complicato. Inoltre, se non erro, circa 20 regioni ucraine hanno inviato a Kiev una proposta ufficiale 18 mesi fa per avviare negoziati sul loro decentramento, per delegare poteri e firmare accordi speciali con il centro. È quindi una normale federalizzazione. Possiamo chiamarlo “decentramento” se abbiamo tanta paura della parola “federalizzazione”. Ma quando ci viene detto che faremo tutto – varare l’amnistia, mettere in atto lo status speciale e organizzare le elezioni – ma solo dopo aver affidato la regione alle forze internazionali per dare loro il “the” non possiamo accettarlo. È una linea rossa. Tutti lo capiscono e avanzano queste proposte con l’obiettivo molto riprovevole di sfruttare l’argomento delle forze di mantenimento della pace. mettere in atto lo status speciale e organizzare le elezioni – ma solo dopo che la regione è stata consegnata alle forze internazionali per dargli “il”, non possiamo accettarla. È una linea rossa. Tutti lo capiscono e avanzano queste proposte con l’obiettivo molto riprovevole di sfruttare l’argomento delle forze di mantenimento della pace. mettere in atto lo status speciale e organizzare le elezioni – ma solo dopo che la regione è stata consegnata alle forze internazionali per poter dare il la, non possiamo accettarla. È una linea rossa. Tutti lo capiscono e avanzano queste proposte con l’obiettivo molto riprovevole di sfruttare l’argomento delle forze di mantenimento della pace.

Gli accordi di Minsk sono stati adottati dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Essi stabiliscono chiaramente che tutte le azioni necessarie devono essere concertate da Kiev e da alcuni distretti delle regioni di Donetsk e Lugansk. Confidiamo nell’ONU e nell’OSCE, che sta facendo un buon lavoro in un contesto molto serio. Ma non si può semplicemente grattare la parte politica degli accordi di Minsk. La promessa di attuarlo dopo l’acquisizione di questo territorio da parte di un’amministrazione delle Nazioni Unite sembra dubbia. Se gli autori di questa idea riescono a persuadere Donetsk e Lugansk: vai avanti, non ci opporremo. Tutto ciò è previsto dagli accordi di Minsk e approvato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Ma penso che coloro che avanzano questo concetto vogliono semplicemente strangolare questi due territori.

Vi ricorderò una cosa interessante: gli accordi di Minsk si riferiscono all’amnistia, allo stato speciale e alle elezioni. In questo ordine. Nel contesto del gruppo di contatto e del formato Normandia, tuttavia, la parte ucraina propone di capovolgerla, vale a dire garantire in primo luogo la sicurezza totale, compreso l’accesso all’estero, quindi risolvi le altre domande. Abbiamo spiegato loro per anni che il completo ripristino del controllo ucraino di questa parte del confine con la Federazione Russa è l’ultimo punto degli accordi di Minsk. In primo luogo, dobbiamo garantire ciò che abbiamo appena menzionato. Poi dicono che non possono dare uno status speciale a queste persone perché non sanno chi sarà eletto alle elezioni locali. Pertanto chiediamo loro se concederanno questo status solo a coloro che li soddisfano. Rispondono che è questo effettivamente il caso. Questa posizione non è tuttavia molto diplomatica dato che il loro presidente ha firmato un testo che prevede una serie di eventi abbastanza diversi. In ogni caso, abbiamo accettato il compromesso soprannominato “la formula di Frank-Walter Steinmeier”. Stabilisce che la legge sullo status speciale debba entrare provvisoriamente in vigore il giorno delle elezioni per diventare definitiva dopo la pubblicazione della relazione finale dell’OSCE, che dovrebbe garantire l’osservazione durante queste elezioni. Questo lavoro richiede solitamente due mesi. Gli ucraini hanno accettato questo modo di agire. I capi di Stato hanno concordato su questo punto nell’ottobre 2015 a Parigi. Abbiamo provato per un anno a mettere questa formula su carta ma gli ucraini si sono opposti. Quindi, le parti si sono incontrate nel 2016 a Berlino. Abbiamo chiesto spiegazioni sulla mancanza di progressi nell’attuazione della formula di Steinmeier e gli ucraini hanno risposto che era impossibile conoscere in anticipo il contenuto della relazione. Accetto: scriviamo che la legge sullo status speciale dovrebbe entrare provvisoriamente in vigore il giorno delle elezioni per diventare definitiva dopo la pubblicazione della relazione finale dell’OSCE, a condizione che quest’ultima confermi la legittimità e l’accuratezza delle elezioni. Tutti lo hanno accettato. Da allora è passato più di un anno, ma gli ucraini si rifiutano ancora di correggere questa formula nero su bianco. Questo è solo un esempio. Un altro è altrettanto eloquente. Il primo riguardava la politica, e quello sulla sicurezza. Le parti hanno concordato a ottobre 2016 a Berlino di procedere seriamente al ritiro delle armi pesanti e impedire il loro ritorno alla linea di contatto. Hanno scelto tre città pilota: Zoloteus, Pokrovskoye e Stanitsa Luganskaya. In Zoloteus e Pokrovskoye tutto è stato rapidamente portato a termine, ma non è ancora stato possibile farlo a Stanitsa Luganskaya. Gli ucraini dicono che hanno bisogno di sette giorni di tregua prima di lanciare il ritiro delle loro armi pesanti. Da allora l’OSCE ha visto – anche pubblicamente – più di una dozzina di periodi di tregua della durata di sette giorni o più. Gli ucraini dicono di avere altre statistiche e hanno registrato diversi colpi. I tedeschi, il francese e l’OSCE stesso capiscono perfettamente che sono insinuazioni. L’impegno politico dei nostri partner occidentali sfortunatamente impedisce loro di esercitare pressione sulle autorità di Kiev per costringerli ad attuare ciò che hanno promesso, in particolare alla Francia e alla Germania. È triste Se scommetti su un politico, il potere che si è stabilito a Kiev dopo il colpo di stato, è ovviamente molto difficile abbandonare questa posizione senza “perdere la faccia”. Lo comprendiamo e manteniamo la calma. Non siamo scandalizzati a causa della completa disapplicazione degli accordi di Minsk da parte di Kiev, ma cercheremo con calma l’adempimento degli accordi raggiunti. Troppi accordi raggiunti con così tante difficoltà sono attualmente in discussione: l’accordo di Minsk, l’accordo con l’Iran e così via.

Domanda: Rada ha adottato la legge sulla reintegrazione del Donbass giovedì. La reazione delle capitali europee è stata neutrale, mentre Mosca ha fortemente criticato questo testo. Perché? Quali potrebbero essere, secondo te, le conseguenze pratiche dell’adozione di questa legge?

Sergey Lavrov: Da un punto di vista giuridico, la legge sulla reintegrazione traccia una linea sugli accordi di Minsk approvata all’unanimità dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nella sua risoluzione adottata pochi giorni dopo l’incontro dei quattro leader del Normandy Format a Minsk. Per noi è assolutamente ovvio.

Per quanto riguarda la reazione, come ho già detto, non abbiamo dubbi – inoltre, abbiamo prove tangibili – che l’Europa e Washington comprendono appieno il gioco delle attuali autorità di Kiev che cercano di sfuggire alle proprie responsabilità dettate dagli accordi di Minsk. Spero che i rappresentanti di Berlino, Parigi, Washington e altre capitali lo dicano a Kiev in privato, faccia a faccia. Dopo aver preso le parti di questo potere che non ha la capacità di rispettare l’accordo, l’Occidente non può criticare pubblicamente le azioni dei suoi protetti. È un peccato. Capiamo perfettamente che tutto ciò è legato a un falso senso di prestigio e reputazione, ma è la vita. Cercheremo di raggiungere il pieno raggiungimento di tutti i punti degli accordi di Minsk. Tentativi di “deviare il mirino” e ingannare i dibattiti, così come di trovare nuovi ordini del giorno, metodi e forme sono inaccettabili. Difenderemo con calma, ma con fermezza, l’onesto pacchetto di misure firmato dal presidente Petro Poroshenko, nonché dai leader di Donetsk e Lugansk.

Domanda: la mia ultima domanda riguarda l’Iran che lei ha già menzionato. Il possibile fallimento dell’accordo iraniano a causa delle azioni statunitensi potrebbe rivelarsi, in un modo o nell’altro, vantaggioso per la Russia? Gli americani sembrerebbero odiosi e isolati, mentre l’Iran potrebbe diventare più conciliante su alcune questioni.

Sergey Lavrov: questa scuola di pensiero non è quella dei leader russi. Molti politologi si interrogano sulla nostra preoccupazione e difendono la peggiore strategia: secondo loro, gli Stati Uniti dovrebbero essere autorizzati a dimostrare la loro mancanza di capacità di raggiungere un accordo e la loro forza distruttiva negli affari internazionali, in Iran o in Siria, dove attualmente ci sono azioni unilaterali che hanno già scandalizzato la Turchia.

Domanda: Inoltre, l’Iran sarà più accomodante …

Sergey Lavrov: Questo non è essenziale. La distruzione del tessuto degli accordi legali concordati dai principali paesi del mondo in tale e tal altro conflitto potrebbe provocare uno scontro caotico in cui ognuno difenderà solo se stesso. Sarebbe alquanto riprovevole. Lo considero inaccettabile, che si tratti dell’Iran, della Siria, della Libia, dello Yemen o della penisola coreana, anch’esso concordato nel 2005 e che stabiliva chiaramente gli obblighi di Corea del Nord e altre parti. Poche settimane dopo la firma, gli americani “rivangarono” una vecchia storia sui conti di una banca di Macao e iniziarono a bloccare i conti nordcoreani. Possiamo discutere a lungo su questo argomento, l’accuratezza della Corea del Nord o l’errore degli Stati Uniti. I fatti rimangono gli stessi. Abbiamo raggiunto un accordo che comportava la totale cessazione dello scontro e della provocazione. Ha fallito. Pertanto, la capacità di concordare è attualmente il problema sistemico più importante.

Fonte: Ministero degli Affari esteri della Federazione Russa, Kommersant , 21-01-2018

 

GAS, TERREMOTI E GEOPOLITICA_IL CASO OLANDESE, di Piergiorgio Rosso

Qui sotto il sintetico ma efficace testo prodotto da Piergiorgio Rosso e pubblicato al seguente link    http://www.conflittiestrategie.it/la-politica-energetica-ue-terremotata-di-piergiorgio-rosso

L’8 gennaio scorso la regione olandese di Groningen è stata interessata da un terremoto di 3,6° della scala Richter con epicentro a circa 4 km di profondità, esattamente all’altezza del più grande giacimento metanifero europeo, in grado di soddisfare per cinquanta anni, con gli attuali standard di consumo, il 5% del fabbisogno europeo. E’ il più forte di una serie di terremoti verificatisi alla fine dell’anno in una zona, sino a metà anni ’60, del tutto priva di attività sismica. A metà degli anni ’80, a vent’anni dall’inizio dell’attività estrattiva, si iniziano a registrare i primi sussulti e con l’inizio del nuovo millennio l’attività comincia ad essere avvertita dalla popolazione sino ad arrivare, nel 2012, ad un primo terremoto della stessa scala di quello di gennaio, in una zona per altro priva di sistemi di edificazione antisismici. Il legame tra l’attività estrattiva e i movimenti tellurici è ormai riconosciuto da tutti, compresa l’azienda estrattrice. A seguito della novità i governi hanno provveduto a limitare l’attività di estrazione sino a ventilare la possibilità di riduzione del 44%; un taglio che, unitamente ai risarcimenti in corso, renderebbe, tra l’altro, poco conveniente la prosecuzione dei prelievi. Le implicazioni economiche per il paese sarebbero enormi sia dal punto di vista fiscale che da quello della dipendenza energetica in quanto trasformerebbero l’Olanda da paese esportatore a importatore. Le implicazioni geopolitiche sarebbero, probabilmente, ancora più pesanti. L’Olanda è un fulcro commerciale per tutta l’Europa centro settentrionale; è la sede europea di gran parte delle multinazionali estere, specie americane; è uno dei paesi che ha sostenuto in maniera più oltranzista la politica euroamericana antirussa, compresi l’attività militare nella zona baltica e in Ucraina e l’inasprimento delle sanzioni antirusse. L’amara scoperta di una realtà di dipendenza dalle forniture gasifere della Russia e dal sistema di gasdotti russotedeschi potrebbe spingere ad una inedita riconversione degli obbiettivi strategici di politica estera o almeno ad una attenuazione dell’oltranzismo. Il nesso causale non è meccanico e predeterminato, come in ogni nesso che lega l’economia alle scelte geopolitiche. I costi dell’ostinazione potrebbero però rivelarsi pesanti se non insostenibili. Per gli altri stati europei il ragionamento è analogo e potrebbe portare ad una ulteriore divaricazione tra di essi rispetto alle relazioni con il gigante ad Oriente. Buona lettura_Giuseppe Germinario

La politica energetica UE … terremotata di Piergiorgio Rosso

gas

L’estrazione di gas naturale a Loppersum (Groningen – Paesi Bassi) è stata interrotta con effetto immediato a seguito dell’ordinanza dell’ente statale supervisore delle miniere olandesi (SoDM). L’ordinanza subito accolta dal Ministro degli Affari Economici Eric Wiebes, seguiva un forte terremoto – scala 3.6 Richter – avvertito in tutta la città di Groningen, il sesto in ordine di tempo ed il più forte in un solo mese. Da tempo l’attività sismica in quella zona è sotto osservazione da parte degli enti preposti ed è condivisa l’opinione secondo cui essi sono causati dall’attività di estrazione del gas naturale che ha raggiunto un livello tale da abbassare la pressione nei giacimenti al di là dei livelli di guardia per la stabilità geologica. Il SoDM ha anche scritto che l’estrazione di gas naturale dovrà necessariamente dimezzarsi nel prossimo futuro da un livello di 22 Miliardi di m3 (BCM) ad un livello di 12 BCM all’anno: “ .. sarà una tremenda questione sociale” ha detto il Ministro Wiebes. Il gas naturale serve più di 7 milioni di famiglie olandesi, il sistema industriale e la rete elettrica dell’intero paese. Non solo, l’Olanda è esportatrice netta di gas naturale tramite contratti a lungo termine con Belgio, Francia, Germania ed Inghilterra. Il mantenimento degli impegni sarà costoso per le casse dell’erario olandese che vedrà ribaltarsi la posizione commerciale/finanziaria del settore da esportatore ad importatore netto. Uno scenario da incubo. Una transizione accelerata alle rinnovabili come vorrebbero Verdi e organizzazioni non governative, sarebbe estremamente costosa per lo Stato e per le famiglie. L’unica alternativa realistica a breve termine (5-10 anni) è importare gas naturale da paesi come Norvegia, Qatar o Russia. Un nuovo gasdotto dalla Norvegia richiede tempo così come un nuovo ri-gassificatore per l’LNG dal Qatar, mentre i gasdotti dalla Russia già ci sono (via Germania) e aumenteranno la loro capacità con la costruzione del North Stream-2.
Accettare questa realtà sarebbe come ricevere uno schiaffo in faccia per il governo olandese e per l’Unione Europea il cui impegno per la diversificazione delle fonti di approvvigionamento di gas naturale è sinonimo di diminuzione della quota di mercato di Gazprom. La Russia, minacciata da nuove sanzioni dalla UE ed in rotta di collisione col governo olandese sulla questione dell’abbattimento del volo MH17 in Ucraina, si porrà come l’unica àncora di salvezza dell’intera economia dell’Europa nord-occidentale.
Il terremoto di Groningen aprirà un vaso di Pandora: si tornerà a discutere di North Steam-2 e di dipendenza europea dal gas russo nel prossimo futuro, ma in uno scenario completamente diverso da prima.

(libere citazioni da: https://oilprice.com/Energy/Energy-General/Dutch-Gas-Goals-Rocked-By-Earthquakes.html)

Taccuino francese: il ritorno della Vandea, di Roberto Buffagni

Taccuino francese: il ritorno della Vandea

 

Nello scorso novembre, Patrick Buisson[1] ha pubblicato un libro molto interessante: La grande histoire des guerres de Vendée[2]. Non l’ho letto, ma da quel che ne dicono le recensioni non credo ci racconterà  molto di nuovo sulla terribile repressione rivoluzionaria dell’insorgenza vandeana.

Il libro resta di grande interesse, ma per altre ragioni. Anzitutto, per l’autore. Patrick Buisson è uno storico, un giornalista e un militante politico di primo piano della destra francese. E’ stato consigliere di Sarkozy nella sua prima campagna elettorale (2007); seguendo i suoi consigli, Sarkozy non solo ha vinto le elezioni presidenziali, ma per la prima e unica volta nella storia politica francese ha strappato sette punti elettorali al Front National. La campagna elettorale suggerita da Buisson, che appartiene alla destra francese conservatrice di ascendenza maurrassiana[3], batteva su tutti i temi cari al FN, anzitutto l’identità nazionale (alla quale fu poi intitolato un ministero). Buisson, però, nel corso della presidenza Sarkozy, ha dovuto toccare con mano le conseguenze di una circostanza che non gli sarà sfuggita, ma che forse aveva sottovalutato: l’altro principale consigliere del suo candidato era Alain Minc[4], cioè l’esatto opposto ideologico di Buisson, un liberal-progressista che “ha superato la distinzione destra/sinistra”; e infatti, nell’elezione presidenziale del 2017 Minc ha sostenuto la candidatura del centrista républicain Alain Juppé finché ha avuto chances, per poi passare nel campo di Emmanuel Macron, il candidato su misura per lui. In sintesi: Sarkozy, un abile tattico senza principi, ha usato la linea conservatrice e populista di Buisson in campagna elettorale per prendere voti, e una volta al governo ha seguito la linea liberal-progressista di Minc (così perdendo l’elezione del 2012). Insomma: passata la festa, gabbato lo santo.

Non l’ha presa bene, Buisson. Dopo un ultimo tentativo con Sarkozy nel 2012, quando ha tentato inutilmente di persuadere sia il candidato sia il partito a uscire dalla trappola del Front Républicain – la conventio ad excludendum contro il Front National costruita da Mitterrand per garantire ai socialisti il congelamento di metà della destra francese, e la rendita di posizione che ne conseguiva per il PS – Buisson si è allontanato dai Républicains, ha pubblicato La cause du peuple, un libro di violentissima critica a Sarkozy e alla destra liberale[5] che ha avuto spinosi contraccolpi giudiziari, e si è dedicato alla battaglia politico-culturale per la riforma della destra francese.

L’obiettivo strategico della battaglia di Buisson è la fondazione di una destra conservatrice autentica, accomunata da tradizioni, valori e ideologie non liberali o francamente antiliberali (gaullisti di destra e gaullisti sociali, cattolici reazionari, maurrassiani, etc.). Sul piano operativo, l’obiettivo si può raggiungere solo attraverso una spaccatura e una rifondazione: la spaccatura dei Républicains tra liberali/conservatori non liberali e antiliberali, e la rifondazione del Front National su basi nazionaliste, antiliberali, conservatrici, cattoliche (grossolanamente: la linea che si identifica in Marion Maréchal Le Pen[6], contro quella che si identifica in Marine, e prima di Marine in Florian Philippot[7]). In termini pragmatici, per Buisson i conservatori francesi, sinora politicamente rappresentati dai Républicains, devono prendere la guida di una nuova formazione politica di destra antiliberale e antiprogressista, e diventare il corpo ufficiali di un esercito le cui truppe sono costituite dall’elettorato popolare, sociologicamente e geograficamente periferico, del Front National.

Un’altra ragione d’interesse de La grande histoire des guerres de Vendée è il suo prefatore, Philippe de Villiers[8]. Il visconte vandeano Philippe de Villiers è stato leader del fronte sovranista che nel referendum del 2005 bocciò la proposta di costituzione europea promossa dalla UE; ed è fratello maggiore di Pierre de Villiers[9], il capo di stato maggiore delle FFAA francesi che si è recentemente dimesso (applaudito dalle truppe) dopo un violento scontro con il presidente Macron sui finanziamenti alle forze armate.

Terza e ultima ragione d’interesse del libro, il suo soggetto. Non solo perché la guerra civile di Vandea e il terrore di Stato che sterminò  i combattenti vandeani sono una memoria tuttora viva e politicamente attiva in Francia; ma perché non ho il minimo dubbio che Buisson abbia sottolineato, nel suo libro, come la Convenzione rivoluzionaria abbia decretato la durissima repressione delle insorgenze legittimiste e cattoliche sulla base di un consenso elettorale che definire minoritario è dir poco: su 7 MLN di aventi diritto (suffragio ristretto), solo il 10% espresse un voto valido. L’analogia con la ridotta legittimazione popolare di Emmanuel Macron (al secondo turno, 40% circa sul totale degli aventi diritto, con un record storico di astensione e schede bianche o nulle) è lampante[10].

Non è da ieri che uomini di cultura e politici propongono alle destre francesi questa linea francamente conservatrice, che non è mai riuscita ad affermarsi. Ma rispetto a ieri, oggi c’è una grossa novità: che il successo di Emmanuel Macron l’ha resa l’unica linea politica praticabile, se la destra francese non vuole mettere una pietra tombale sulla sua lunga storia. L’abilissima operazione di “taglio delle estreme” che ha condotto Macron alla presidenza ha resuscitato la “destra di situazione” liberale e orleanista[11] che si cristallizzò nel 1830: nell’odierna riedizione, i centristi e gli europeisti/mondialisti di entrambi i maggiori partiti francesi, PS e Républicains, vengono risucchiati dal “movimento di governo” En Marche!  e svuotano dall’interno i partiti da cui provengono. Li svuotano di personale politico, di clientele, di voti, di finanziamenti e soprattutto di ragioni d’esistere. Li svuotano di ragioni d’esistere, perché a dettare la strategia politica tanto del PS quanto dei Républicains è tuttora il paradigma del Front Républicain, l’adattamento francese dell’ “arco costituzionale antifascista” italiano inventato da Mitterrand negli anni Ottanta[12]: e come hanno dimostrato plasticamente le presidenziali del 2017, non esiste blocco sociale, ideologia, formazione politica più adatta ed efficace per battere il Front National del centrismo orleanista di Macron, che si situa all’esatto opposto del blocco sociale e dell’ideologia del Front National e ne è per così dire il negativo fotografico.

Quindi, chi all’interno del PS e dei Républicains vuole ritrovare ragioni d’esistere al di là del nudo e crudo richiamo della gamelle, e non si vuole allineare con il centrismo orleanista di Macron, è costretto a spezzare il cerchio magico del Front Républicain, e a prendere atto che è finita l’alleanza storica tra il liberalismo e il conservatorismo a destra, tra il liberalismo e il socialismo a sinistra. Esattamente come nel 1830, il  liberalismo puro coincide, oggi, con il pensiero e le forze economiche e politiche socialmente dominanti. C’è però una differenza sostanziale tra il 1830 e il 2018, una differenza che è la chiave politica di tutto: che nel 1830 il suffragio elettorale era censitario e ristretto, nel 2017 universale: e per quanto il sistema politico-mediatico possa manipolarlo con le campagne di guerra psicologica, con le leggi elettorali maggioritarie, etc., non può permettersi di abolirlo, perché il suffragio universale è la “formula politica” (Mosca)[13] che lo legittima. E’ questo, il punto debole del liberalismo, che è democratico soltanto suo malgrado. Il liberalismo non è mai riuscito a diventare “popolare”, perché sin dalla sua premessa metodologica non si rivolge ai popoli e alle comunità, ma agli individui.

In sintesi. Stravincendo e mettendo con le spalle al muro tanto la sinistra quanto la destra, il liberalismo orleanista di Macron costringe entrambe ad affrontare e tentar di sciogliere un nodo metapolitico di portata storica: la dialettica dell’illuminismo e il precipitato storico della Rivoluzione francese. Il mondialismo liberale è la manifestazione storica della dialettica dell’illuminismo, del progressismo e dell’universalismo, culturale e politico, che li accompagna. Illuminismo e universalismo sono trascrizioni secolarizzate – amputate della dimensione metafisica e propriamente religiosa – del cristianesimo. L’opposizione al mondialismo è dunque costretta ad essere, volens nolens, opposizione all’illuminismo e all’universalismo politico[14]; e la linea di frattura politica che divide i campi tende a coincidere con la linea di frattura culturale che divide l’Europa sin dal tempo delle guerre di religione[15].

Ecco perché nel 2018 ritorna di attualità la Vandea. Ed ecco perché nella campagna elettorale presidenziale del 2017 due soli candidati hanno incentrato la loro proposta intorno alla ripetizione della parola “patrie”: Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon. Per Marine, non c’è bisogno di spiegare. Per Mélenchon, la spiegazione che propongo è questa: con la reiterazione martellante della parola “patrie”, Mélenchon manifesta il tendenziale distacco della sinistra francese dal liberalismo, e cerca di ritrovare le radici democratiche rousseauiane della sinistra giacobina e socialista. Non è un caso che anche Alain de Benoist, che ha designato il liberalismo come nemico principale del suo campo politico, abbia dedicato una crescente attenzione a Rousseau[16]: perché il liberalismo trionfante tende a separarsi dalla democrazia.

I progetti di ridefinizione politica e partitica oggi in corso in Francia e non solo in Francia, insomma, sono la manifestazione di superficie di un movimento tettonico profondissimo, che costringe gli europei e gli occidentali a ripensare la loro storia, la loro filosofia e la loro religione (o irreligione). Proprio per questo, le vicende politiche francesi che ho brevemente illustrato sin qui interessano direttamente anche l’Italia. Le differenze storiche tra le culture politiche francese ed italiana sono molte, e non superficiali. Ma in profondità, il sommovimento geologico culturale tocca l’Italia come la Francia. Ne vedremo, probabilmente, gli effetti di superficie dopo le prossime elezioni politiche del marzo 2018. Anche da noi, il blocco sociale e politico liberale tenterà di operare il “taglio delle estreme”, con l’ausilio, a destra, delle quinte colonne Berlusconi e Maroni, a sinistra delle formazioni dissidenti dal PD, e usando come massa di manovra il Movimento 5 Stelle, che grazie alla sua “impoliticità”[17] si candida a essere usato come “ago della bilancia” in una manovra machiavellica di superamento della distinzione tra destra e sinistra storiche. Se l’operazione “taglio delle estreme” riuscirà, l’effetto a breve termine sarà devastante per il campo antimondialista e antiUE; a medio e lungo termine, però, sarà benefico e liberatorio, perché farà coincidere la linea di frattura politica con la linea di frattura culturale e sociale reale e principale.

[1] https://fr.wikipedia.org/wiki/Patrick_Buisson. Per una esposizione approfondita delle sue posizioni, i francofoni possono seguire questa sua conferenza del maggio 2017: https://youtu.be/Hj_B708sCWY

[2] La grande histoire des guerres de Vendée, Perrin, Paris 2017

[3] https://fr.wikipedia.org/wiki/Nationalisme_int%C3%A9gral

[4] https://fr.wikipedia.org/wiki/Alain_Minc

[5] Qui una recensione simpatizzante : https://www.polemia.com/la-cause-du-peuple-de-patrick-buisson/

[6] https://fr.wikipedia.org/wiki/Marion_Mar%C3%A9chal-Le_Pen

[7] https://fr.wikipedia.org/wiki/Florian_Philippot

[8] https://fr.wikipedia.org/wiki/Philippe_de_Villiers

[9] https://fr.wikipedia.org/wiki/Pierre_de_Villiers_(militaire)

[10] http://www.lefigaro.fr/elections/presidentielles/2017/05/07/35003-20170507ARTFIG00164-apres-une-abstention-et-un-vote-blanc-record-macron-attendu-au-tournant.php; https://www.rtbf.be/info/monde/detail_presidentielle-francaise-emmanuel-macron-obtient-66-06-de-voix-selon-les-resultats-quasi-definitifs?id=9600231

[11] Ne ho parlato diffusamente qui: http://italiaeilmondo.com/2017/09/29/taccuino-francese-che-cosa-ci-insegna-la-crisi-del-front-national-di-roberto-buffagni/ . “Destra di situazione” significa una destra che non è tale per i valori e l’ideologia che propone, ma per il posizionamento relativo nella dialettica parlamentare; come fu appunto la destra orleanista nel 1830, che a sinistra escludeva repubblicani e bonapartisti, a destra i legittimisti.

[12] Mitterrand, un politico di abilità machiavellica, fece di tutto per promuovere a dignità di pericolo nazionale il Front National di Jean-Marie Le Pen, erede di Vichy e dell’OAS, piazzandolo nello spettro politico-ideologico allo stesso posto in cui stavano il fascismo e i suoi eredi in Italia, così ridefinendo i confini della legittimità politica in Francia a scapito della destra, e garantendo alla sinistra un vantaggio permanente in ogni competizione elettorale. A sinistra, nessun nemico (Mitterrand vinse la sua prima campagna presidenziale, nel 1981, con l’appoggio decisivo del Partito Comunista Francese, allora forte di un 15% di voti) a destra, un confine invalicabile.

[13] https://fr.wikipedia.org/wiki/Gaetano_Mosca

[14] Ne ho parlato qui: http://italiaeilmondo.com/2017/09/29/taccuino-francese-che-cosa-ci-insegna-la-crisi-del-front-national-di-roberto-buffagni/

[15] Ne ho parlato, dialogando con Alessandro Visalli, a proposito della “Dichiarazione di Parigi” firmata da un gruppo di studiosi conservatori di chiara fama: http://italiaeilmondo.com/category/dossier/autori-dossier/roberto-buffagni/

[16] Qui un articolo liberamente scaricabile: https://s3-eu-west-1.amazonaws.com/alaindebenoist/pdf/relire_rousseau.pdf

[17] E’ “impolitico” un movimento politico che non designa l’avversario, e dunque non designa neppure l’amico. La sua impoliticità lo predispone all’eterodirezione, all’essere usato come massa di manovra e come “ago della bilancia” in una manovra politica spregiudicata “al di là della destra e della sinistra”.

IDEOLOGIE_UN CASO CLAMOROSO DI ACCECAMENTO, di Antonio de Martini

Un esempio di come un’ideologia possa obnubilare le menti è l’accanimento con cui i nazisti vollero perdere la guerra piuttosto che cambiare il loro modo preconfezionato di vedere il mondo.

Incastrati in una tenaglia a est e a ovest per via dell’inganno ordito dagli inglesi che fecero credere a Hitler la favola di una Inghilterra pronta alla pace, Hitler mantenne quel che aveva scritto nel Mein Kampf, attaccò l’URSS e dovette combattere su due fronti.

Tutti gli strateghi e i politici tedeschi capirono che uno dei fronti andava pacificato a pena di sconfitta.
Ci furono decine di contatti in Svezia, Svizzera e Vaticano per fare pace con l’Occidente e continuare la guerra a Oriente, mentre i sovietici continuarono con offerte di pace separata – nelle stesse zone neutrali- fino al giugno 1943 !

Il pregiudizio nazista di trattare solo con l’Ovest impedì loro di capire che la richiesta di resa incondizionata di Roosevelt sarebbe stata mantenuta e che l’URSS avrebbe potuto rifornire di materie prime contro tecnologie la Germania ( oltre a risparmiare quattro gruppi di Armate) e farle rovesciare la situazione.

In cambio, i russi volevano creare un ritorno ai confini del 1939 e uno stato cuscinetto in Ucraina.

Hitler rifiutò ostinatamente fino a che non fu troppo tardi, ma tutte le ipotesi di chiusura di un fronte – anche per i generali tedeschi- presupponevano una intesa con l’Ovest e non con i russi che invece continuarono a proporla per due anni e in più sedi.

Ne sapremo di più quando la Russia si deciderà a desegretare i 39 volumi del processo a Lavrenti Berjia i cui termini di segretezza sono scaduti da oltre trenta anni senza esito. Il poco che se ne sa è fonte di incredulo stupore.

Da Himmler a Halder e Falkenaym a Schellenberg a Kluge, tutti cospirarono, separatamente, per la morte di Hitler e trattativa con l’Occidente. Nessuno prese in considerazione l’URSS.

Anche gli italiani presuppongono unicamente alleanze con gli USA, invece di creare almeno un sottoinsieme mediterraneo, meglio se neutrale.
Fino a che non sarà troppo tardi anche per noi.

Per i nostri governanti, gli USA sono sempre i liberatori e vanno assieme alla devozione per San Gennaro che, come è noto, non è mai esistito.

Le infrastrutture militari nella fase multicentrica di Luigi Longo

 

Le infrastrutture militari nella fase multicentrica

di Luigi Longo

 

 

Non gli animali, ma senz’altro gli uomini e soltanto gli uomini conducono gli uni contro gli altri << guerre terrestri e marittime >>. Sempre, quando l’ostilità tra grandi potenze ha raggiunto il culmine, la contrapposizione bellica si svolge contemporaneamente sia nell’uno

che nell’altro ambito, sicché da entrambe le parti la guerra si trasforma in << guerra terreste e marittima >> […] Se poi si aggiunge l’aria come terza dimensione, la guerra si  trasforma per entrambi i contendenti anche in guerra aerea.

                                                                                                                                  Carl Schmitt*

 

L’esercito, nel proprio paese, avrà bensì linee di comunicazioni proprie, organizzate a tal fine, ma non è affatto obbligato a valersi di esse sole; e può, in caso di necessità, scostarsene e scegliere qualsiasi altra strada esistente […] Le strade principali attraversanti le città più ricche e le province più importanti sono le migliori linee di      comunicazioni. Esse meritano la preferenza anche se producono percorsi molto maggiori e hanno, nella maggior parte dei casi, carattere determinante per lo schieramento dell’esercito.

                                                                                                                                  Clausewitz**

 

1. Le potenze mondiali, gli Stati Uniti (potenza egemone in relativo declino), la Russia e la Cina (potenze emergenti in relativo consolidamento), protagoniste in questa fase multicentrica che sta diventando sempre più visibile e determinata, vengono attraversate da conflitti interni tra gli agenti strategici delle sfere sociali per la configurazione, in equilibrio dinamico, del blocco egemone dominante (emblematico è l’esempio in questa fase del conflitto interno statunitense). All’interno di questo conflitto assumono rilevanza i comandanti della sfera militare che hanno un peso specifico nelle decisioni sugli investimenti per le infrastrutture militari e civili finalizzate alle diverse strategie territoriali sia nelle nazioni alleate sia nelle varie aree o regioni di influenza per preparare il campo [terreste, acquatico e aereo (1)] del conflitto per il dominio mondiale che non necessariamente deve passare per la fase policentrica (la guerra) anche se la storia mondiale dimostra la inevitabilità della guerra (2). Quindi i suddetti comandanti formano, insieme agli agenti strategici delle altre sfere sociali (politiche, economiche, istituzionali, culturali, eccetera), il blocco egemone dominante di ogni singola potenza mondiale con una propria visione politica del mondo: dominio assoluto gli USA, dominio multicentrico la Russia e la Cina. In sintesi, per quanto suddetto, introduco il seguente schema del conflitto strategico che ha come punto di partenza il nascente paradigma di Gianfranco La Grassa (approfondirò lo schema nel prossimo scritto su Il conflitto strategico e la mossa del cavallo).

 

Nell’attuale fase multicentrica gli USA, consapevoli di essere una potenza egemone in relativo declino, ri-lanciano la loro sfida per il dominio mondiale assoluto poggiandosi prevalentemente sulla indiscussa (ancora per molto, ahinoi) supremazia mondiale della forza militare (3) e non su una diversa visione dello sviluppo e delle relazioni sociali mondiali perché hanno la fissazione storica di essere la nazione indispensabile per mandato divino [il Popolo Eletto (4)] per assicurare la libertà, la pace, la democrazia, i diritti sulla Terra. In virtù di tale fissazione << gli Stati Uniti avanzavano la pretesa di decidere, al di là della distinzione tra emisfero occidentale ed emisfero orientale, sulla liceità o illiceità di ogni mutamento territoriale in tutta la terra. Tale pretesa riguardava l’ordinamento spaziale della terra. Ogni avvenimento in qualsiasi punto della terra poteva riguardare gli Stati Uniti >>(5). << Nel settembre 2000, nel condurre la campagna elettorale che l’avrebbe portato alla presidenza, George W. Bush enunciava un vero e proprio dogma: “la nostra nazione è eletta da Dio e ha il mandato della storia per essere un modello per il mondo”. E’ un dogma ben radicato nella tradizione politica statunitense. Bill Clinton aveva inaugurato il suo primo mandato presidenziale, con una proclamazione ancora più enfatica del primato degli USA e del diritto-dovere a dirigere il mondo “La nostra missione è senza tempo”. Si direbbe che alla white supremacy sia subentrata la western supremacy ovvero l’American supremacy […] >> (6). Nella continuità della fissazione storica, Donald Trump sostiene che è fondamentale per << mettere l’America al primo posto perché sia sicura, prospera e libera >> avere << la forza e la volontà di esercitare la leadership Usa nel mondo >> (7).

Le basi aeree, le basi navali, le basi dell’esercito degli USA hanno circondato la Terra: guardate con coscienza dell’occhio (8) le carte seguenti ben sapendo che la cartografia sacrifica le relazioni sociali o il corpo vivente della terra, dello spazio, del territorio ed evidenzia i segni e i simboli del dominio (9).

E’ sulla Terra che si vivono i rapporti sociali, lo spazio aereo li sorvola, lo spazio acquatico li limita, lo spazio nucleare li estingue. Essi sono spazi fondanti per le strategie degli agenti dominanti delle potenze mondiali per la egemonia e per la configurazione o ri-configurazione dei nuovi rapporti sociali e territoriali storicamente dati. Stiamo entrando in una fase storica di esplosione degli spazi che distrugge e costruisce un nuovo ordine mondiale. Per dirla con Neil Brenner << […] Nelle condizioni geografiche e storiche attuali, tuttavia, il processo di urbanizzazione si struttura sempre più su scala mondiale. L’urbanizzazione non si riferisce più solo all’espansione delle “grandi città” (Friedrich Engels) del capitalismo industriale, all’estendersi di centri di produzione metropolitani, alle configurazioni di reticoli di insediamenti suburbani e di infrastrutture regionali tipiche del capitalismo fordista-keynesiano, o all’anticipata espansione lineare della popolazione umana nelle megalopoli mondiali che finisce per creare un “pianeta di slum”. Invece […] questo processo si sviluppa oggi sempre di più attraverso lo sviluppo ineguale [ corsivo mio]di un “tessuto urbano” composto da diversi tipi di strutture d’investimento, di spazi di insediamento, di matrici di uso del suolo e di reti di infrastrutture, attraverso l’intera economia mondiale […] Noi stiamo assistendo, in breve, all’intensificazione e all’estensione dei processi di urbanizzazione su tutte le scale spaziali e attraverso l’intera superficie dello spazio planetario >> (10).

Fonte: Limes n.11/2016

Fonte: Limes n9/2016

Fonte: Limes n.11/2016

 

Gli Stati Uniti, parafrasando Tacito letto da Concetto Marchesi, appena diventati Nazione dopo un lungo periodo storico che va dalla guerra di indipendenza (1775-1783) alla guerra di secessione (1861-1865) (11), sono costretti a combattere per vivere; poi seguitano a combattere per accrescere il loro dominio e la loro ricchezza. La guerra è per loro prima una necessità di vita, poi una incessante necessità di grandezza e di arricchimento (12). E’ attraverso la guerra che hanno sempre affermato l’autorità globale.

 

2. Tratterò, in estrema sintesi, le suddette infrastrutture militari e civili in Europa, attraverso la PeSCO (Permanent Structured Cooperation, Cooperazione Strutturata Permanente) del campo della difesa UE, non come conseguenza di scelte politiche di un soggetto unitario ed autonomo, che non c’è e che non è mai esistito storicamente, ma come un continente che per la prima volta nella storia non sarà protagonista mondiale del conflitto ma sarà campo di battaglia e spazio importante per le strategie statunitensi, con conseguenti trasformazioni, modificazioni, ri-configurazioni, organizzazioni e ruoli di territori e di aree.

Inoltre tratterò degli investimenti che il Pentagono sta realizzando, a spese nostre, sul territorio italiano nelle basi militari e nelle infrastrutture civili ad esse collegate, soprattutto ferroviarie [alta velocità (AV) e alta capacità(AC)] e stradali (corridoi nazionali ed europei) (13).

Infine, un accenno ai ruoli importanti che potrebbero avere le due città della Puglia, Taranto e Foggia [già protagoniste nella seconda guerra mondiale con le loro infrastrutture militari e civili (14)] nelle strategie statunitensi nel Mediterraneo, nel Vicino Oriente e nei Balcani.

 

3. Riporto una sintesi chiara sulla nascita e sul ruolo della PeSCO avanzata da Manlio Dinucci << Dopo 60 anni di attesa, annuncia la ministra della Difesa Roberta Pinotti, sta per nascere a dicembre la Pesco, «Cooperazione strutturata permanente» dell’Unione europea nel settore militare, inizialmente tra 23 dei 27 stati membri.

Che cosa sia lo spiega il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Partecipando al Consiglio degli affari esteri dell’Unione europea, egli sottolinea «l’importanza, evidenziata da tanti leader europei, che la Difesa europea debba essere sviluppata in modo tale da essere non competitiva ma complementare alla Nato [corsivo mio]».

Il primo modo per farlo è che i paesi europei accrescano la propria spesa militare: la Pesco stabilisce che, tra «gli impegni comuni ambiziosi e più vincolanti» c’è «l’aumento periodico in termini reali dei bilanci per la Difesa al fine di raggiungere gli obiettivi concordati». Al budget in continuo aumento della Nato, di cui fanno parte 21 dei 27 stati della Ue, si aggiunge ora il Fondo europeo della Difesa attraverso cui la Ue stanzierà 1,5 miliardi di euro l’anno per finanziare progetti di ricerca in tecnologie militari e acquistare sistemi d’arma comuni. Questa sarà la cifra di partenza, destinata a crescere nel corso degli anni.

Oltre all’aumento della spesa militare, tra gli impegni fondamentali della Pesco ci sono «lo sviluppo di nuove capacità e la preparazione a partecipare insieme ad operazioni militari». Capacità complementari alle esigenze della Nato che, nel Consiglio Nord Atlantico dell’8 novembre, ha stabilito l’adattamento della struttura di comando per accrescere, in Europa, «la capacità di rafforzare gli Alleati in modo rapido ed efficace».

Vengono a tale scopo istituiti due nuovi comandi. Un Comando per l’Atlantico, con il compito di mantenere «libere e sicure le linee marittime di comunicazione tra Europa e Stati uniti, vitali per la nostra Alleanza transatlantica». Un Comando per la mobilità, con il compito di «migliorare la capacità di movimento delle forze militari Nato attraverso l’Europa» [ corsivo mio].

Per far sì che forze ed armamenti possano muoversi rapidamente sul territorio europeo, spiega il segretario generale della Nato, occorre che i paesi europei «rimuovano molti ostacoli burocratici». Molto è stato fatto dal 2014, ma molto ancora resta da fare perché siano «pienamente applicate le legislazioni nazionali che facilitano il passaggio di forze militari attraverso le frontiere». La Nato, aggiunge Stoltenberg, ha inoltre bisogno di avere a disposizione, in Europa, una sufficiente capacità di trasporto di soldati e armamenti, fornita in larga parte dal settore privato.

Ancora più importante è che in Europa vengano «migliorate le infrastrutture civili – quali strade, ponti, ferrovie, aeroporti e porti – così che esse siano adattate alle esigenze militari della Nato» [corsivo mio]. In altre parole, i paesi europei devono effettuare a proprie spese lavori di adeguamento delle infrastrutture civili per un loro uso militare: ad esempio, un ponte sufficiente al traffico di pullman e autoarticolati dovrà essere rinforzato per permettere il passaggio di carrarmati.

Questa è la strategia in cui si inserisce la Pesco, espressione dei circoli dominanti europei che, pur avendo contrasti di interesse con quelli statunitensi, si ricompattano nella Nato sotto comando Usa quando entrano in gioco gli interessi fondamentali dell’Occidente messi in pericolo da un mondo che cambia [neretto mio]. Ecco allora spuntare la «minaccia russa», di fronte alla quale si erge quella «Europa unita» che, mentre taglia le spese sociali e chiude le sue frontiere interne ai migranti, accresce le spese militari e apre le frontiere interne per far circolare liberamente soldati e carrarmati >> (15).

 

4. Riprendo gli interventi del Pentagono (Dipartimento della Difesa degli USA) sulle strutture militari presenti sul territorio italiano da una descrizione puntuale di Manlio Dinucci << Grandi opere sul nostro territorio, da nord a sud. Non sono quelle del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di cui tutti discutono, ma quelle del Pentagono di cui nessuno discute. Eppure sono in gran parte pagate con i nostri soldi e comportano, per noi italiani, crescenti rischi.

All’aeroporto militare di Ghedi (Brescia) parte il progetto da oltre 60 milioni di euro, a carico dell’Italia, per la costruzione di infrastrutture per 30 caccia Usa F-35, acquistati dall’Italia, e per 60 bombe nucleari Usa B61-12.

Alla base di Aviano (Pordenone), dove sono di stanza circa 5000 militari Usa con caccia F-16 armati di bombe nucleari (sette dei quali sono attualmente in Israele per l’esercitazione Blue Flag 2017), sono stati effettuati altri costosi lavori a carico dell’Italia e della Nato.

A Vicenza vengono spesi 8 milioni di euro, a carico dell’Italia, per la «riqualificazione» delle caserme Ederle e Del Din, che ospitano il quartier generale dell’Esercito Usa in Italia e la 173a Brigata aviotrasportata (impegnata in Europa orientale, Afghanistan e Africa), e per ampliare il «Villaggio della Pace» dove risiedono militari Usa con le famiglie.

Alla base Usa di Camp Darby (Pisa/Livorno) inizia in dicembre la costruzione di una infrastruttura ferroviaria, del costo di 45 milioni di dollari a carico degli Usa più altre spese a carico dell’Italia, per potenziare il collegamento della base con il porto di Livorno e l’aeroporto di Pisa, opera che comporta l’abbattimento di 1000 alberi nel parco naturale. Camp Darby è uno dei cinque siti che l’Esercito Usa ha nel mondo per lo «stoccaggio preposizionato» di armamenti (contenente milioni di missili e proiettili, migliaia di carrarmati e veicoli corazzati): da qui vengono inviati alle forze Usa in Europa, Medioriente e Africa, con grandi navi militarizzate e aerei cargo.

A Lago Patria (Napoli) il nuovo quartier generale della Nato, costato circa 200 milioni di euro di cui circa un quarto a carico dell’Italia, comporta ulteriori costi a carico dell’Italia, tipo quello di 10 milioni di euro per la nuova viabilità attorno al quartier generale Nato.

Alla base di Amendola (Foggia) sono stati effettuati lavori, dal costo inquantificato, per rendere le piste idonee agli F-35 e ai droni Predator statunitensi, acquistati dall’Italia.

Alla Naval Air Station Sigonella, in Sicilia, sono stati effettuati lavori per oltre 100 milioni di dollari a carico di Stati uniti e Nato, quindi anche dell’Italia. Oltre a fornire appoggio logistico alla Sesta Flotta, la base serve a operazioni in Medioriente, Africa ed Europa orientale, con aerei e droni di tutti i tipi e forze speciali. A tali funzioni si aggiunge ora quella di base avanzata dello «scudo anti-missili» Usa, in funzione non difensiva ma offensiva soprattutto nei confronti della Russia: se fossero in grado di intercettare i missili, gli Usa potrebbero lanciare il first strike nucleare neutralizzando la rappresaglia.

A Sigonella sta per essere installata la Jtags, stazione di ricezione e trasmissione satellitare dello «scudo», non a caso mentre, con il lancio del quinto satellite, sta per divenire pienamente operativo il Muos, il sistema satellitare Usa che ha nella vicina Niscemi una delle quatto stazioni terrestri.

Il generale James Dickinson, capo del Comando strategico Usa, in una audizione al Congresso il 7 giugno 2017 ha dichiarato: «Quest’anno abbiamo ottenuto l’appoggio del Governo italiano a ridislocare, in Europa, la Jtags alla Naval Air Station Sigonella».

Era al corrente il Parlamento italiano di una decisione di tale portata strategica, che porta il nostro paese in prima linea nel sempre più pericoloso confronto nucleare? Se ne è almeno parlato nelle commissioni Difesa? >> (16).

 

5. In Puglia, due città, Taranto e Foggia, stanno subendo trasformazioni territoriali finalizzate all’approntamento di una rete di infrastrutture che apparentemente nulla hanno a che fare con il loro utilizzo ai fini militari. In realtà esse sono ben velate sotto l’uso civile delle infrastrutture (logistica, ferroviarie, aeroportuali, portuali) per lo sviluppo economico dei territori e delle città, ma nella sostanza esse sono fondanti come nodi di una rete nazionale (ed europea) che fa dell’Italia una espressione geografica al servizio delle strategie statunitensi.

Taranto, una città storicamente rilevante per la funzione militare e strategica sin dalla più remota antichità fino ai giorni nostri (17), è attraversata, dal 2012 anno di intervento della Magistratura tarantina, da una fase complessa di trasformazione da polo siderurgico a polo strategico della Nato (18). Un polo Nato che incorporerà città e territori interscalari (dal mondiale al locale con differenza qualitativa in relazione “alla specificità storica delle morfologie scalari associate ai processi sociali e alle forme istituzionali”) riconfigurandoli e riorganizzandoli alle esigenze di uno sviluppo imperniato sulle strategie USA-Nato. Un territorio logistico che formalmente è progettato per diventare un hub dell’area mediterranea destinato ad aggregare iniziative nazionali ed internazionali a sostegno della ricerca, sviluppo, sperimentazione e certificazione di soluzioni integrate tra trasporto aereo e industria aerospaziale, ma sostanzialmente piegato alle esigenze del conflitto USA-Nato per contrastare le emergenti potenze mondiali (Russia e Cina). E’ qui che si sta realizzando un progetto tra USA ed Enac (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile) per l’utilizzo di Droni con una compressione di tempo e di spazio impressionante: si parla di 100 minuti da Los Angeles a Roma attraverso un corridoio nella stratosfera (19), ovviamente per il trasporto merci di uno sviluppo pacifico e non di uno sviluppo finalizzato agli scenari di guerra. Tutto questo a partire dal 2012 (l’anno serve solo per indicare il punto di svolta dei processi sociali storicamente dati) in un luogo istituzionale di medio potere, quale è la regione Puglia, con un Presidente, Nichi Vendola, l’uomo della famosa risata servile verso i poteri dell’ILVA (20).

Foggia, una città storicamente rilevante per la posizione geografica (un nodo di collegamento tra la via Adriatica, la via Tirrenica e la via interregionale) sin dai tempi di Federico II fino ad oggi (21). Il territorio logistico è in fase di progettazione: una riconversione dello storico aeroporto “Gino Lisa” (22) (è stato nel periodo tra le due guerre mondiali una scuola per piloti di importanza mondiale, qui si sono formati i primi piloti statunitensi comandati dal Maggiore Fiorello La Guardia) in sede della Protezione Civile regionale che è il cavallo di troia per nascondere il vero obiettivo di un aeroporto di merci e mezzi militari (unica ragione per tenere in vita un aeroporto economicamente insostenibile); una riconfigurazione della base Amendola come base di fatto a comando USA-Nato così come da interventi progettati dal Pentagono; una grande area logistica ingiustificata tenendo conto del basso livello dello sviluppo economico della città e del territorio; un collegamento stradale e ferroviario tra area logistica, nodi territoriali e aerea portuale di Manfredonia ( antico porto di scambi con l’altra sponda adriatica) (23); una rete ferroviaria ad alta capacità in fase di realizzazione di collegamento tra Roma-Bari, facente parte della rete Scandinavia-Mediterraneo (Helsinki-Valletta) una delle linee strategiche europee e uno degli obiettivi della programmazione a lungo termine per lo sviluppo del settore ferroviario (24).

Posso dire con Ennio Flaiano che la situazione politica in Italia è grave ma non è seria se si pensa che la struttura del Libro Bianco del Ministero della Difesa (25) è tutta interna alla logica funzionale Nato ad egemonia USA. Tutto questo la dice lunga sull’autonomia e sul ruolo della sfera militare italiana frammentata e incapace di esprimere agenti strategici per un disegno, per una idea di una nazione autonoma e sovrana nelle relazioni mondiali (26).

 

6. Io non vedo nessun ruolo che l’Italia possa avere nel Mediterraneo così come non vedo nessun ruolo che la Francia e la Germania possano avere per un processo di costruzione di autonomia europea.

La divisione del lavoro tra una Francia (leader militare) e una Germania (leader economica) per costruire un asse su cui pensare una futura Europa è una utopia irrealizzabile (27).

Il problema vero è l’assenza di agenti strategici autonomi in tutte le nazioni europee (a diverse sfumature considerata la storia e la cultura peculiari di ogni singolo popolo) in grado di liberarsi dalle strategie e dalla occupazione militare statunitensi sul continente Europa. L’autonomia e le relazioni tra nazioni sono processi storici che non si costruiscono nel breve periodo.

Se non si avvierà questa costruzione di soggetti di trasformazione non dati dalla Storia ma costruiti nella Storia che pensano un progetto di coordinamento europeo per rilanciare un ruolo significativo del continente Europa tra Occidente e Oriente e soprattutto nuove relazioni con le potenze mondiali che lottano per un mondo multicentrico, dispiace dirlo scivoleremo tutti in quella che Gyorgy Lukacs ha definito :<< La stupidità e la disonestà si manifestano anzitutto nell’adattamento dei sentimenti e delle idee alla infamia della realtà sociale [ad egemonia statunitense, mia aggiunta]>> (28).

EPIGRAFI

 

* Carl Schmitt, Dialogo sul potere, Adelphi, Milano, 2012, pp. 58-59.

**Clausewitz, Dalla guerra, Mondadori, Milano, 2011, pp. 429 e 432.

 

NOTE

 

1. Ad ulteriore conferma del ruolo importante dei comandanti militari nelle relazioni internazionali si legga Manlio Dinucci, Italia-Israele: la << diplomazia dei caccia >> in www.voltairenet.org, 14/12/2017; sulle rivoluzioni spaziali mondiale si veda Carl Schmitt, Dialogo sul nuovo spazio in Carl Schmitt, Dialogo sul potere, op.cit., pp. 49-93; Carl Schmitt, Terra e mare, Adelphi, Milano, 2006; Matteo Vegetti, L’invenzione del globo. Spazio, potere, comunicazione nell’epoca dell’aria, Einaudi, Torino, 2017.

2. Il termine comandante è riferito non solo alla sfera militare, ma può essere allargato anche alle altre sfere sociali perché è da intendere come espressione di dominio della gerarchia del mondo << Per i greci il mondo era fatto soltanto di rapporti di forza, di gerarchie, di livelli di autorità. Il mondo era composto da chi stava sopra e da chi stava sotto, da chi comandava e da chi ubbidiva. >> in Franco Farinelli, L’invenzione della terra, Sellerio, Palermo, 2016, pag. 38.

3. Sugli Stati Uniti come prima potenza militare oltre ai rapporti SIPRI (www.sipri.org) si rimanda a Guy Mettan, Russofobia. Mille anni di diffidenza, Sandro Teti Editore, Roma, 2016, pp.272-312; Manlio Dinucci, Geopolitica di una <<guerra globale>> in AaVv, Escalation. Anatomia della guerra infinita, Derive Approdi, Roma, 2005, pp. 11-112; Wesley K. Clark, Vincere le guerre moderne, Iraq, terrorismo e l’impero americano, Bompiani, Milano, 2004. A mio avviso, non sono convincenti le analisi di The Saker (per esempio, Pensi che la sua valutazione sia accurata ?, www.sakeritalia.it, 9/11/2017) e di Paul Craig Roberts (per esempio, Un giorno non ci sarà un domani, www.comedonchisciotte.org, 28/10/2017) sulla debolezza della sfera militare USA.

4. Sul popolo eletto si rimanda a Costanzo Preve, La quarta guerra mondiale, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 2008, pp.156-160.

5. Cal Schmitt, Il nomos della terra nel diritto internazionale dello << jus pubblicum europaeum >>, Adelphi, Milano, 1991, pag.407.

6. Domenico Losurdo, Rivoluzione d’Ottobre e democrazia, www.marx21.it, 30/8/2017.

7. Donald J. Trump, National Security Strategy of the United States of America in www.whitehouse.gov./…/NSS-Final-12-18-2017-0905.pd; Si legga anche Manlio Dinucci, Il vero libro esplosivo è a firma di Trump, www.ilmanifesto.it, 9/1/2018.

8. Richard Sennet, La coscienza dell’occhio, Feltrinelli, Milano, 1992.

9. Franco Farinelli, L’invenzione, op.cit., pp. 55-62; si legga il capitolo secondo dell’interessante libro di Matteo Vegetti, L’invenzione del globo, op.cit., pp.31-76. 10.Neil Brenner, Stato, spazio, urbanizzazione, Edizioni Guerini e Associati, Milano, 2016, pp.35-36.

11. Per la guerra di indipendenza si rimanda a Gino Luzzatto, L’evoluzione economica e sociale mondiale negli ultimi due secoli, Storia Universale, vol. VII, Casa Editrice Francesco Vallardi, 1970, pp.3-116; per la guerra di secessione si veda Raimondo Luraghi, La guerra civile americana. Le ragioni e i protagonisti del primo conflitto industriale, BUR-Rizzoli, Milano, 2013.

12. Concetto Marchesi, Tacito, Casa editrice Giuseppe Principato, Milano-Messina, 1942, pp.129-170.

13. Per un primo svelamento sull’uso della infrastrutture, tramite la Nato e l’Unione Europea, in funzione delle strategie degli Stati Uniti di penetrazione ad Est dell’Europa per contrastare soprattutto la potenza mondiale emergente come la Russia, si rimanda a Luigi Longo, Tav, Corridoio V, Nato e USA. Dalla critica dell’economia politica al conflitto strategico, www.conflittiestrategie.it, 23/12/2012.

14. Mario Gismondi, Taranto: La notte più lunga. Foggia: la tragica estate, Dedalo, Bari, 1968.

15.Manlio Dinucci, Nasce la Pesco costola della Nato, www.voltairenet.org, 28/11/2017; si veda anche Alessandro Marrone, UE: difesa, parte Pesco, cooperazione strutturata permanente, www.affarinternazionali.it, 14/11/2017.

16. Manlio Dinucci, Le grandi opere del Pentagono a spese nostre, www.voltairenet.org, 5/12/2017.

17.G.C.Speziale, Storia militare di Taranto. Negli ultimi cinque secoli, Laterza, Bari, 1930.

18. Luigi Longo, Dalla trappola capitale/lavoro – capitale/ambiente al conflitto strategico, www.conflittiestrategie.it, 7/8/2012; Idem, Taranto, da polo siderurgico a polo strategico della Nato, www.conflittiestrategie.it, 20/7/2013.

19. Franco Giuliano, Aerei senza pilota la Puglia è nel futuro, www.lagazzettadelmezzogiorno.it, 15/4/2014.

20. Domenico Palmiotti, La Puglia investe nell’aerospazio, www.ilsole24ore.com, 20/4/2014; Marolla, L’aeroporto di Grottaglie piattaforma logistica dell’area mediterranea, www.impresametropolitana.it, 16/3/2016; Leo Spalluto, Taranto, smontare aerei e navi nuovo spazio per le imprese, www.lagazzettadelmezzogiorno.it, 15/6/2017; Redazione Repubblica, Aeroporto di Taranto-Grottaglie, iniziati lavori potenziamento infrastrutture, https://finanza,repubblica.it/News/2017/12/27/aeroporto_di_taranto_grottaglie_iniziati_lavori_infrastrutture-161/, 27/12/2017.

21. Macry Paolo, L’area del Mezzogiorno in Storia d’Italia, Volume Sesto, Atlante, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1976; J.-M. Martin-E. Cuozzo, Federico II. Le tre capitali del Regno di Sicilia: Palermo-Foggia-Napoli, Procaccini Editore, Napoli, 1995.

22. Luigi Iacomino, L’aeronautica militare a Foggia e in Capitanata, Edizioni del Rosone, Foggia, 2002; Idem, Storia dell’aviazione in Capitanata, Grenzi Editore, Foggia, 2006;.

23. Si veda il Piano Strategico di area vasta “Capitanata 2020” in www.capitanata2020.eu.

24. RFI, Audizione senato, VIII Commissione permanente, Lavori Pubblici, Comunicazione, Contratto di Programma 2012-2016, Parte Investimenti, Aggiornamento 2015, www.senato.it/…commissione/…/Memoria_RFI-Audizione_del_24_maggio_2016.

25. www.difesa.it/Primo_Piano/Documents/2015/04_Aprile/LB_2015.pdf

26. Fabio Mini, Usa-Italia comunicazione di servizio, Limes n.4/2017; Gianfranco La Grassa, La nostra italietta, www.conflittiestrategie, 3/1/2018.

27. Il ruolo dell’Eni e dell’Invitalia che emerge dalle interessanti analisi di Alberto Negri non può essere condiviso perché ignora il fatto che dietro alle grandi imprese (sia pubbliche sia private) non esiste uno Stato, inteso come luogo di potere degli agenti sub-sub-dominanti italiani, in grado di proteggere il loro ruolo e le loro strategie di penetrazione nelle aree di interesse (la Libia, l’Egitto, l’Iran, solo per fare alcuni esempi, non insegnano niente?). Così dicasi per un ruolo ancora più di peso, impegnativo e qualificato quale quello di un intervento nell’area Mediterranea avanzato da Fabio Falchi e da Pierluigi Fagan. Si vedano: Alberto Negri, L’Italia alla conquista del gas, è l’unica arma per contare nel mondo, www.tiscali.it, 17/12/2017; Alberto Negri, L’Italia fa grandi affari con l’Iran e se ne infischia delle sanzioni di Trump. Cinque miliardi di euro sono solo l’inizio, www.tiscali.it, 12/1/2018; Fabio Falchi, L’Italia, il Mediterraneo e il futuro dell’Europa, www.eurasia.com, 1/12/2017; Pierluigi Fagan, Propositi per il nuovo anno: torniamo a pensare un piano B per l’Europa, www.pierluigifagan.wordpress.com, 2/1/2018.

28.Gyorgy Lukacs, Tolstoj e l’evoluzione del realismo, www.gyorgylukacs.wordpress.com, 30/8/2016.

Il triangolo imperfetto_Un anno di Trump_19° podcast, di Gianfranco Campa

Ad un anno dal suo insediamento alla Casa Bianca si può tentare un primo bilancio della azione di Donald Trump. Gianfranco Campa, all’inizio del suo intervento, ci rivela le fondamenta e le ragioni di interesse che consentono l’instabile equilibrio tra il Presidente, il vecchio establishment neoconservatore repubblicano e l’imprescindibile elettorato più militante e critico verso la vecchia guardia. La definitiva defenestrazione di Bannon, grazie anche ai suoi incredibili harakiri, ha spianato la strada ad un accordo, per quanto difficoltoso, sulla politica interna che ha consentito di portare avanti buona parte del programma presidenziale già dal primo anno di insediamento. Un dinamismo i cui risultati stanno incrinando le certezze di vittoria del Partito Democratico Americano alle prossime elezioni congressuali di medio termine.

Molto più controverse e contraddittorie risultano essere le linee di politica estera. Appare insolitamente evidente l’esistenza di più canali diplomatici e di diversi centri strategici in diretta competizione tra loro e su linee divergenti e contraddittorie; come pure l’esistenza di canali alternativi di comunicazione con i competitori geopolitici non corrispondenti ai canali ufficiali. Una fase nella quale le logiche apparenti stridono con quelle più profonde e riservate. Un chiaro indizio che l’equilibrio faticoso e precario in questo ambito coinvolge forze molto più potenti e temibili in una condizione molto più sfavorevole rispetto alle intenzioni dichiarate da Trump nella sua campagna elettorale. Su questo piano si riscontreranno i maggiori effetti della defenestrazione di Bannon. Antonio de Martini, nel post precedente pubblicato su questo sito, ha rivelato con particolare perspicacia l’essenziale della reale posta in palio riguardante l’uso “del bottone più grosso” http://italiaeilmondo.com/2018/01/14/il-bottone-piu-grosso-di-antonio-de-martini/ . Si profila un equilibrio tra poteri, soprattutto dello stato profondo che sembra concedere qualcosa di significativo sul piano interno in cambio di una “armonizzazione” maggiore delle intenzioni trumpiane con i canoni classici della politica estera e della diplomazia americane. Sono comunque equilibri dinamici che non consentiranno comunque il ritorno allo “statu quo ante” sia per il rafforzamento progressivo degli altri attori geopolitici, ad eccezione ahimè degli stati europei, che per i diversi assetti interni alla potenza tuttora prevalente. Sta di fatto che anche su questo piano, la tattica de “l’America first” con l’indebolimento dell’approccio multilaterale e la rinegoziazione su base bilaterale dei trattati con gli USA sta modificando pesantemente e in maniera duratura le modalità e i contenuti delle relazioni internazionali. A prescindere dal suo esito tutt’ora incerto, penso che ricorderemo per tanto tempo questa presidenza. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

 

https://soundcloud.com/user-159708855/podcast-episode-1

PALESTINA INFELIX, di Luigi Longo

Si pubblicano due brevi articoli, il mio di un paio di anni fa, sulla distruzione del popolo palestinese per rafforzare e rilanciare la potenza regionale di Israele come contrafforte delle altre due potenze emergenti regionali come l’ Iran e la Turchia. Sullo sfondo l’attacco USA al nascente asse Russia-Cina  probabili  poli di potenze mondiali che hanno la visione di un ordine mondiale multicentrico. Luigi Longo

Una riflessione e una domanda a proposito di << due popoli due stati>>.

di Luigi Longo

La riflessione che pongo necessiterebbe di un lungo racconto sull’uso del territorio ( meglio sarebbe spazio) nel conflitto tra Israele e la Palestina, a partire dal 1948 anno di proclamazione formale dello stato di Israele. Mi limito qui a constatare che si tratta di un conflitto tra un aggressore, Israele, che sta malvagiamente ridimensionando un popolo palestinese che cerca di resistere e di difendere legittimamente i residui territori a propria disposizione che non possono più formare una nazione.

La questione avanti posta va vista nei giochi strategici che le potenze mondiali (soprattutto gli USA) hanno fatto, fanno e continueranno a fare per ottenere l’egemonia dell’area mediorientale, tutto storicamente dato.

La riflessione è: non ci sono più le condizioni territoriali per la creazione di due popoli e due stati. La politica territoriale di Israele, con lo strumento delle colonie e con tutta la sua strumentazione scientifica e tecnica (che non è mai neutrale, è bene ricordarlo), di fatto non permette più di parlare di due stati e di due popoli, ma bensì di uno stato per gli israeliani e di enclave per i palestinesi. Usando un linguaggio lagrassiano direi che storicamente gli agenti sub-dominanti della sfera politica, della sfera religiosa, della sfera militare e della sfera istituzionale-territoriale hanno avuto un ruolo fondamentale nel concentrare il popolo palestinese in enclave e distruggere l’idea stessa di una loro nazione con un territorio, una istituzione, delle risorse, una storia e una cultura propri.

Esiste un popolo israeliano con uno stato, gestito da agenti strategici sub dominanti spietati e insaziabili di potere e di egemonia, che è una pedina fondamentale (fino a poco tempo fa) degli USA e delle loro strategie mediorientali nella scacchiera del conflitto per l’egemonia mondiale.

Esiste un popolo palestinese rinchiuso in enclave le cui condizioni di vita sono sempre più difficili e al limite della sopravvivenza (almeno per la maggioranza della popolazione).

Una domanda ora sorge spontanea: perché si continua a lanciare missili innocui su Israele sapendo delle conseguenze inenarrabili sulla popolazione palestinese (donne, bambini e anziani, i numeri dei morti della guerra in atto lo stanno a dimostrare)?.

Avanzo un dubbio: siamo sicuri che i gruppi dominanti del popolo palestinese ( con le loro articolazioni in forze politiche: OLP, Hamas, eccetera) non utilizzano ideologicamente l’obiettivo dei << due popoli due stati >> per le loro strategie di potere e di egemonia per meglio posizionarsi, sia negli accordi di pace sia nelle strategie complessive delle potenze mondiali, con i gruppi strategici egemonici sub dominanti (israeliani e non solo) e dominanti ( USA e non solo) in questa crisi d’epoca di chiaro avvio della fase multipolare?

Se rimaniamo nella dialettica << due popoli due stati >> non riusciamo a capire i rapporti sociali e le trasformazioni sociali che avvengono in quell’area nevralgica del medioriente. E non riusciremo mai a capire perchè si lanciano missili innocui su Israele, ritorsivi e autodistruttivi per la maggioranza dei palestinesi.

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Italia costruirà gasdotto a Israele (per rubare il greggio palestinese)
www.maurizioblondet.it/italia-costruira-gasdotto-israele-aiutarla-rubare-greggio-palestinese/
“Non esiste ancora una pipeline così lunga e così profonda”, esulta il ministro dell’energia sionista Juval Steinitz. L’Italia e la Grecia (ma soprattutto l’Italia) gli costruiranno il gasdotto che costerà 6 miliardi e sarà completato nel 2025, che pomperà gas e greggio del grande giacimento davanti a Gaza, che ovviamente i sionisti si sono accaparrati, rubandolo ai palestinesi, in condominio con Cipro (che ha perfettamente diritto, perché il giacimento è nelle sue acque territoriali). Il memorandum in questo senso è stato firmato martedì a Nicosia, fra l’ambasciatore italiano a Cipro, e i ministri dell’energie di Israele, Cipro, Grecia. Benediceva l’operazione il commissario europeo all’energia Miguel Arias Cañete. E’ probabile che sarà la UE a pagare il progetto, perché l’eurocrazia persegue instancabilmente la strategia di svincolare l’Europa dalla “dipendenza energetica da Mosca” (oltre a quella di fare regali allo Stato razziale mediterraneo). Il tubo, chiamato EastMed che approderà in Italia nel 2025, trasporterà fino a 16 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno, pari a circa il 5% del consumo annuale in Europa, secondo quanto riferito da EUObserver. Si è costituita allo scopo una joint venture fra Edison e la consorella greca Depa.
Lasciamo perdere la presunta “polemica” e “presa di distanza” dell’Europa dalla decisione trumpiana di dichiarare Gerusalemme capitale indivisa di Sion, lo “scontro” di Netanyahu con Macron, i “disaccordi” di costui coi ministri degli esteri della UE che sa per incontrare a Bruxelles. Quello è teatro per la scena. La realtà è che gli europei restano legati a filo doppio, anzi sempre più soggetti, agli interessi israeliani.

LA GERUSALEMME LIBERATA_UNA SFIDA CAPITALE_una conversazione con Antonio de Martini

Trump ha dato seguito ad un altro degli impegni elettorali. Con la sua decisione di procedere al trasferimento, entro due anni, dell’ambasciata americana a Gerusalemme ha sparigliato le carte e strappato il velo di ipocrisia che ammantava il groviglio mediorientale, e gli atteggiamenti delle classi dirigenti arabe; ha privato gli Stati Uniti del ruolo di mediatore; sta sancendo la realtà dell’ingresso di nuovi soggetti politici nel gioco di quella zona cruciale. Qui sotto una interessante conversazione con Antonio de Martini

TRUMP UNIFICA IL MONDO ARABO E RICOMPATTA L’ISLAM CONTRO ISRAELE. POSSIAMO APPROFITTARNE. di antonio de martini

oggi, 6 dicembre, Trump – per rispettare una promessa elettorale- riconoscerà Gerusalemme capitale di Israele e trasferirà l’ambasciata USA costì. È una scelta che mi ricorda l’adozione del proibizionismo che si ritorse contro gli autori e poi dovette essere rimangiata.

Non accadrà nulla di epocale, tanto la impopolarità e l’odio nei confronti degli Stati Uniti erano già al massimo storico e così rimarranno molto a lungo.

Diversa la situazione di Israele che potrebbe essere nuovamente isolata mentre stava per incassare il riconoscimento saudita, che ora non potrà non sfumare.
Si intravede una nuova rottura dei rapporti con la Turchia e forse persino con l’Egitto.

Per riempire il vuoto politico ed economico che viene lasciato dagli USA ( che a loro volta avevano sostituito gli inglesi dal 1948 in poi) ecco apparire la Francia di Macron.

È possibile che al vuoto politico segua quello economico deciso a livello popolare, che potremmo riempire noi, dato che il gettito maggiore gli USA lo registravano negli approvvigionamenti alimentari all’area MENA e noi potremmo intervenire proficuamente in tutta l’area facendo uscire dallo stato di crisi le fabbriche di pollame e carne non suina in scatola,tabacchi,bibite e dolciumi, condizionatori, distribuzione energetica ecc.

Il settore trainante dell’economia USA non è mai stato la tecnologia o gli armamenti, bensì l’agroindustria e il suo maggior cliente è proprio il mondo arabo.

Per noi è una occasione da non perdere.

Politicamente, il mondo intero – il mondo islamico moderato in particolare- vede questa scelta come un grave errore ed uno schiaffo alla credibilità ONU oltre che ai leaders arabi alleati che vedono traballare i loro troni. Difficile che qualcun altro leader si dichiari alleato o amico degli USA di Trump. Nemmeno i curdi.

Oltre ai tradizionali avversari, anche il Vaticano che puntava alla internazionalizzazione di Gerusalemme e i cristiani palestinesi si muoveranno in senso contrario a queste scelte USA.

Credo che nessun paese occidentale seguirà l’esempio americano e la speranza di promuovere una qualche forma di pace tra palestinesi e israeliani andrà in soffitta per un bel pezzo.

Per ogni paese che trasferirà l’ambasciata a Gerusalemme, si apriranno opportunità commerciali per noi se ci allineeremo col Vaticano invece che con Trump e suo genero.

La conseguenza politica di maggior rilievo, sarà l’atteggiamento delle Nazioni Unite che vedono stracciata la loro storica risoluzione costitutiva dello Stato di Israele del 1948 che in contemporanea stabiliva che Gerusalemme sarebbe stata internazionalizzata.
La credibilità ONU è così azzerata definitivamente.

La reazione araba è scontata ed è possibile che assuma anche forme creative alla Ben Laden. La distinzione molto pompata tra sciiti e sunniti perderà significato.

Meno scontata e prevedibile la reazione dell’Europa e dell’Asia nei confronti di Israele che rischia di fare la spese della bella figura di Trump i cui elettori amano molto vederlo “rompere gli schemi.”

Rischiamo una crisi internazionale di lunga durata per consentire al Presidente americano di conquistare gli elettori dell’Alabama.

Possiamo però trasformare questo problema in una grande occasione commerciale e industriale per occupare le aree in cui gli arabi ( e gli islamici) boicotteranno gli Stati Uniti.

THE DAY AFTER

gli ultimi tentativi di pace tra israeliani e palestinesi ci furono nel 2014, John Kerry consule, e finirono in un nulla di fatto.
Oggi tutti gli israeliani festeggeranno il riconoscimento degli Stati Uniti di quel che già avevano, cioè Gerusalemme capitale.

Passata la sbornia, si renderanno conto di aver barattato la pace con una soddisfazione enorme ma psicologica.

Tutta la comunità internazionale mantiene il punto che i negoziati devono farsi tra le parti in causa ( Israele e i palestinesi) con trattative dirette e che la sola soluzione che tutti gli analisti individuano al problema è quella di creare due Stati .

La frattura stessa interna agli USA, tra democratici e parte dei repubblicani da una parte e seguaci di Trump dall’altra, fa sì che gli USA stessi non siano unanimi in questa scelta ed abbiano bruciato la credibilità delle Nazioni Unite che creava un sembiante di consenso internazionale a molte decisioni USA.

Trump dice che andava tolta la polvere dal negoziato che si trascina da mezzo secolo. Vero, ma andava usato il piumino, non l’idrante.

Netanyahu, è certamente felice di aver acquisito questo merito storico che spera allontani lo spettro della indagine della polizia israeliana che è giunta ormai al suo quinto interrogatorio sulla vicenda di corruzione sulle forniture militari tedesche. Per lui, ogni giorno in più è guadagnato, ma ha messo l’intero paese nella stessa situazione di precarietà.

Nessuno intanto tra gli amici di Israele risponde alla domanda posta da Paolo Sax Sassetti:
da domani Israele sarà più o meno sicuro?

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