Manifestazioni in Serbia , un paese diviso tra l’influenza occidentale e i legami storici con la Russia. Le università sono in fermento e Chiara Nalli presenta in esclusiva per Italia e il mondo un reportage direttamenta dalla protesta e dal mondo studentesco. Da settimane, manifestanti scendono in piazza contro il governo di Aleksandar Vučić, accusato di autoritarismo e di imprecisata corruzione.
Interferenze straniere nel tentativo di destabilizzare il paese o Desiderio di cambiamento ? Nikola Duper Regista e pensatore libero interviene in questo approfondimento con una visione alternativa per spezzare il dualismo della polarizzazione .
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Riceviamo e pubblichiamo_Giuseppe Germinario
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Re(h)Arm Europe è il nuovo brillante piano da 800 miliari di Ursula von der Leyen & friends per consolidare e accelerare il suicidio dell’Europa che conta (i debiti). Dopo i successi ottenuti dalle politiche green e pandemiche appare saggio riproporre il medesimo schema incentrato sull’emergenza di turno, vale a dire la conquista del Vecchio Continente da parte della Russia; non subito però, niente allarmismi, bensì a partire dal 2030: godetevi quindi i prossimi 5 anni come se fossero gli ultimi.
Per capire meglio affidiamoci a un Q&A come fanno i top del mestiere.
· Ci sono sti 800 miliardi?
Sì, basta indebitarsi, così come gli Stati Uniti insegnano per lo meno dalla grande crisi finanziaria del 2008. Lo schema è questo: più spese —> più debito —> inflazione galoppante —> rialzo dei tassi (in ritardo) —> avvisaglie di una nuova crisi —> taglio dei tassi—>ulteriori spese e ulteriore debito per rimandare la catastrofe (vedrete, succederà lo stesso con la questione tariffaria).
Certo, per noi europei sarà più difficile senza un mercato obbligazionario comune e una valuta credibile; comunque state tranquilli, 150 miliardi ce li dà direttamente Ursula von der Leyen, mentre per gli altri 650, cari Stati Membri, dimenticatevi un Ventennio di austerità e sfondate pure i vostri bilanci.
· C’è consenso istituzionale attorno a questo piano?
Pare di sì, il Parlamento europeo ha votato preventivamente a favore con alcune eccezioni (i Patrioti ad esempio). E il consenso dei cittadini? Chi se ne importa, dai.
· A sto punto abbiamo tutti gli ingredienti o serve altro?
Qualcosina direi di sì.
1) Materie prime. Le abbiamo? Direi di no, dato che l’energia ce la forniva (e fornisce) il nostro nemico (la Russia), mentre tutto il resto arriva per lo più da Est (ancora Russia e Cina). Detta semplice, se Pechino blocca l’esportazione di alcuni minerali riusciamo forse a fare i fuochi d’artificio a Capodanno e basta.
2) Uomini. Li abbiamo? Direi di no. Ufficialmente l’UE ha circa 1 milione e mezzo di militari, più o meno come la Russia. Peccato però che i russi siano tutti “combat ready”, vale a dire mobilitati, addestrati e pronti a menare, forti dei 3 anni di esperienza sul campo che nessun esercito al mondo può vantare.
Su quel milione e mezzo di europei andrebbe invece fatta una bella indagine visto che in Italia si chiudono caserme ogni mese, in Inghilterra si dismettono navi, sottomarini ed elicotteri per mancanza di personale, mentre in Francia come è ventilata l’ipotesi di schierare un paio di brigate in Ucraina c’è stata una fuga verso la pensione o la vita civile da parte di migliaia di ufficiali. Evitiamo di toccare il tasto dolente riguardante i nostri stili di vita; basta levare 2 ore internet a un 20enne o un’apericena a un 30enne per rendersi conto che non sono adattissimi a una trincea.
3) Competenze sufficienti. Le abbiamo? Direi di no, i dirigenti delle aziende di settore lo confermano e i militari in servizio se va bene sono stati impegnati in “missioni di pace” contro milizie e non contro eserciti regolari, se va male hanno fatto da bodyguard a medicinali o naufraghi (loro malgrado, ben inteso).
4) Tecnologie. Le abbiamo? Direi di no, nessun Paese NATO (o UE, qual è la differenza?) ha i missili ipersonici, mentre Russia, Cina, Iran e Corea del Nord sì. Nessun Paese NATO ha armi nucleari che si siano dimostrate pronte all’uso. Gli inglesi di recente han fatto una prova fallimentare, statunitensi e francesi eseguiranno alcuni test a breve. Tralasciamo la questione satelliti che molti vorrebbero aggirare acquistando il sistema Starlink di Musk. Ottimo per carità, sta facendo un gran servizio in Ucraina però…però che senso ha implementare un sistema di difesa europeo e poi affidarsi a tecnologie USA? Tra l’altro tecnologie oggi indispensabili anche per la vita civile. Cina, Russia, India e ora anche Iran stanno sviluppando sistemi propri; la Cina è addirittura più avanti di Elon, con comunicazioni laser non solo tra satelliti, ma anche tra satelliti e pianeta Terra.
E ancora, che senso ha indebitarsi per arricchire le società USA da cui compriamo aerei di dubbia efficacia e sistemi di difesa poco efficienti? Qualcuno si è mai chiesto cosa accadrà se avremo un interesse in conflitto con Washington? Ormai dovremmo avere capito che ad ogni cambio di presidente gli “americani” si scordano di tutto quello che è accaduto fino a 2 minuti prima, tranne di una cosa: dei loro interessi.
5) Scorte. Le abbiamo? Direi di no. UK, Germania e Francia lo han detto più volte, in una guerra contro la Russia durerebbero un paio di settimane, poi starebbero a guardare. Basti pensare che i famosissimi ATACMS, missili a corto raggio con cui l’Ucraina avrebbe dovuto vincere la guerra, sono finiti.
6) Unità di intenti e catene di comando unificate. Le abbiamo? Direi di no. In guerra sono fondamentali, la Russia stessa ha avuto le sue difficoltà pur essendo un solo stato e per di più formato da un popolo coeso. Figuriamoci un’armata europea diretta da un francese che vuole primeggiare, un tedesco che va per conto suo e un italiano che, messo alle strette, si inventa un qualcosa di non programmato per non lasciarci le…la pelle.
7) Tempo. Lo abbiamo? Direi di no. Siamo indietro su tutta la linea (vedi la recente esplosione del razzo Spectrum). E la programmazione futura non lascia spazio a concrete possibilità di recupero. Di Starlink abbiamo già detto. Non pare nemmeno una gran pensata sviluppare un aereo da guerra di sesta generazione (cioè, basato sull’intelligenza artificiale) con gli inglesi (e giapponesi) che non fan parte dell’Unione Europea e che hanno una impercettibile tendenza a voler comandare; a maggior ragione ora che gli USA hanno appena annunciato il loro caccia di sesta generazione F-47. E non parliamo dei costi, il progetto F-35 (2 trilioncini chiavi in mano) non ci ha insegnato alcunché? Con gli stessi soldi, in un decimo del tempo, potremmo…leggere fino alla fine
· A parte questi piccoli dettagli serve ancora altro?
Beh, magari serve uno Stato, se non vogliamo un Euro 2.0 con la Germania che ride e gli altri un filino meno. Le premesse, purtroppo, vanno in questa direzione.
Poi serve anche capire cosa fare della NATO: ce la teniamo così com’è, la smantelliamo o la rafforziamo? Se poi Roma dovesse attaccare Mosca lo farebbe come Italia, come UE o come NATO? È importante saperlo così da dettare ai russi la risposta adeguata; nel primo e secondo caso possiamo risolverla a cannonate, nel terzo no, è escalation nucleare certa. Il tutto sempre tra 5 anni; Vladimir non ti azzardare ad attaccare quando non siamo ancora pronti!
· Ok ci sono alcuni aspetti negativi, però almeno sconfiggeremo Putin?
Tenuto conto che già oggi gli Stati Membri spendono per la difesa più del doppio della Russia (326 contro 146 miliardi di dollari l’anno) e, nonostante il supporto di USA, Canada, Sud Corea, Giappone, Australia e Nuova Zelanda non cavano un ragno dal buco, proviamo ad avanzare qualche dubbio.
Se poi aggiungiamo che un carro armato costa il doppio di cinque anni fa e un proiettile di artiglieria il triplo, possiamo addirittura ipotizzare che per essere realmente competitivi 800 miliardi siano pochi (qui lo dico e qui lo nego). Mica Ursula von der Leyen & friends avranno sparato una cifra a caso senza sapere cosa realmente serve? No dai…
· Quindi che si fa?
Per chi ha ancora la pazienza di leggere e non ha ancora assunto antidepressivi, proponiamo delle possibili alternative, anche al solito “meglio investire in scuole e ospedali”, tanto non lo faranno; prendiamo quello che c’è e volgiamolo a nostro favore, ovviamente al grido di: ce lo chiede l’Europa!
· Cambiare mentalità.
I recenti conflitti (in Ucraina, Medio Oriente e Africa) dovrebbero averci insegnato una cosa: che chi più spende…più spende.
A cosa serve avere armamenti complicatissimi da gestire, con costi di esercizio e manutenzione da paura, tra l’altro fragili e non così efficaci come si teorizzava se poi con 2 droni, 2 apparecchiature elettroniche e 2 missili ben lanciati ti metto in crisi 30 anni di spese per la difesa e il commercio internazionale (vedi Houthi nel Mar Rosso)?
Le guerre moderne si combattono con soldati ben addestrati, ingegneri sul campo di battaglia, industrie competitive, droni, artiglieria, missili hi-tech per gli obiettivi importanti e nucleari per la deterrenza.
Le armi usate nel 2022 in Ucraina non sono quasi più le stesse, si sono evolute. I droni, i satelliti e la guerra elettronica han preso il sopravvento. Si sparano 15 20 mila pezzi di artiglieria al giorno, a cosa serve produrre munizioni da 150 mila dollari l’una che tra l’altro funzionano poco? Meglio avere 50 missili ipersonici non intercettabili per gli obiettivi strategici e poi qualche milione di pezzi di artiglieria old fashion per le necessità quotidiane. Meglio avere un vecchio carro armato con un motore efficiente e una copertura contro i droni che un carro iper costoso, pesante, lento e talmente complicato che per cambiargli un cingolo devi riesumare Einstein. Meglio utilizzare aerei non all’avanguardia che però hanno grandi serbatoi, radar ad ampio raggio e missili (o bombe) che puoi sparare da decine e decine di chilometri: il nemico li vede, ma non può farci nulla; i russi hanno appena cominciato ad usare i loro aerei più moderni e più per testarli che per altro; la differenza l’han fatta dei kit per guidare le bombe sul bersaglio da poche migliaia di dollari.
Certe spese folli, come navi a go go e diverse varianti di aerei di sesta generazione, solo la Cina può permettersele, perché ha tutto ciò che occorre. Eppure, anche a Pechino puntano tantissimo sui droni aerei, di terra, navali e sottomarini. Costi contenuti e resa altissima. La Russia ha 6 mila testate nucleari montate su dei vettori che possono viaggiare a velocità ipersonica o sostare nello spazio così come sul fondo del mare: caro duo delle meraviglie dove vogliamo andare? Ah, e Putin non usa Signal per progettare gli attacchi o Whatsapp per fare gli ordini (chicca per intenditori).
· Seguire l’esempio tedesco
Dato che la locomotiva d’Europa (o meglio, di se stessa) per aiutare il proprio apparato industriale abbellisce da tempo immemorabile i propri bilanci, non potremmo anche noi ricorrere alla chirurgia estetica? Come?
Beh, ad esempio, iniziando il riarmo dall’acquisto di materie prime a buon mercato (tramite accordi bilaterali con Cina, paesi africani e…Russia), dalla formazione di tecnici, dallo sviluppo di software (guerra elettronica, cyber sicurezza e un sistema operativo made in Europe), dalla realizzazione di infrastrutture per spostare armi e soldati (strade porti aeroporti) e per comunicare (satelliti con tecnologia laser); insomma, un bel ritocchino completo per la prova costume.
Finito ciò rimarranno forse 3/4 mila euro; a quel punto, in pieno stile unionista europeo, avanti tutta! Altri soldi e via al riarmo vero e proprio fatto di? Droni (sull’esempio di Turchia, Iran, Russia e Cina), marina per sto benedetto Mediterraneo in cui oramai contiamo come le isole Sandwich Australi, mezzi e armi a basso costo e di facile manutenzione da esportare ad esempio in Africa (dove dovremo competere con Russia e Turchia).
· Favorire le collaborazioni tra Paesi membri
Ampliare le Joint Venture europee migliorando quelle già esistenti, con il coinvolgimento dei governi nazionali anche in fase di marketing (vedi l’accordo da 40 miliardi siglato in Arabia Saudita dall’Italia). Questo implica che ogni produzione interna o acquisto presso fornitori esterni all’UE venga deciso autonomamente dagli Stati e dalle aziende coinvolte e mai e poi mai a livello centralizzato; ne abbiamo già visto l’inutilità e gli sprechi miliardari in fase di acquisto dei vaccini. Se proprio proprio Ursula von der Leyen insiste, diamole una commissione per averci ispirato e lasciamo che si goda una meritata pensione.
· Investire e non solo spendere
L’obiezione più immediata cui si accennava prima (meglio usare questi soldi per scuole e ospedali), parte da un presupposto errato, vale a dire considerare ogni spesa esclusivamente come un costo a fondo perduto o un aumento incontrollato del debito; si può anche produrre qualcosa di utile, vendibile e allo stesso tempo creare lavoro (prima che l’IA si prenda tutto) e profitti, ossia avere dei ritorni sui soldi spesi sia in termini economici sia sociali. L’importante è che il grano non vada ai soli azionisti e ai mercati finanziari, ci siamo capiti.
Parimenti, non bisogna dimenticare che molte delle tecnologie civili nascono da ricerche militari. Pensiamo ai cellulari e a internet. Ancora una volta, investire per avere dei ritorni sulla vita quotidiana di ognuno.
Quindi, per concludere la filippica: o saluti l’UE (come molti di noi compreso chi scrive auspicano) o, visto quello che ci costa ogni anno, cerchi di sfruttare le occasioni che si presentano. Come singolo stato e nell’interesse nazionale, perché l’Unione nel suo complesso non ha più alcuna credibilità. Ciò detto, care Ursula von der Leyen e Kaja Kallas, il ReArm Europe:
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Prima di approfondire, ecco un riassunto di quanto emerso dall’articolo:
Una valutazione militare tedesca espone i principali problemi delle armi NATO in Ucraina.
L’obice PzH 2000, pur essendo avanzato, è così tecnicamente fragile che la sua utilità in combattimento è in dubbio. Il carro armato Leopard 1A5 è usato soprattutto come artiglieria di fortuna a causa della debolezza della corazza. Il Leopard 2A6 è troppo costoso e complesso da mantenere al fronte.
Anche i sistemi di difesa aerea hanno problemi. L’IRIS-T funziona bene, ma le munizioni sono troppo costose e scarse. Il sistema Patriot è definito “inadatto al combattimento” perché i suoi veicoli MAN sono obsoleti e mancano di pezzi di ricambio.
Queste informazioni sono state rivelate in una trascrizione di una conferenza tenuta dal vice addetto militare dell’ambasciata tedesca a Kiev. Il riassunto del documento è molto chiaro: “Quasi nessun grande equipaggiamento tedesco è pienamente adatto alla guerra”.
Il rapporto cita “un documento interno della Bundeswehr” sulla reale praticità delle armi di punta tedesche. Possiamo supporre che gli stessi risultati si estendano all’intera costellazione di armi della NATO in generale, dal momento che sono praticamente tutte costruite con le stesse filosofie di progettazione, spesso anche con sistemi interoperabili, come le canne dei carri armati Rheinmetall da 120 mm condivise tra le serie Abrams e Leopard.
Inoltre, per amore di completezza e per stabilire il contesto, lo Spiegel spiega che il “rapporto” è stato tratto da una lezione tenuta agli ufficiali minori della Bundeswehr da un “vice addetto militare dell’ambasciata tedesca a Kiev”:
Il documento, che è a disposizione dello SPIEGEL, è la trascrizione di una conferenza tenuta a circa 200 giovani ufficiali delle forze armate tedesche a Delitzsch, in Sassonia. L’oratore era il vice addetto militare dell’ambasciata tedesca a Kiev, che alla fine di gennaio ha parlato delle esperienze delle forze armate ucraine nella lotta contro la guerra di aggressione russa. Ha parlato in termini chiari dei problemi che gli ucraini hanno avuto con le armi tedesche in combattimento. Un ufficiale dell’esercito ha preso appunti per utilizzare i risultati per l’addestramento nella Bundeswehr.
Lo Spiegel non usa mezzi termini quando dichiara che il rapporto dell’addetto è in gran parte “devastante”.
L’esempio più chiaro è il cannone semovente d’artiglieria PhZ 2000 della Germania, molto avanzato ma eccessivamente progettato.
Per esempio, sebbene il Panzerhaubitze 2000 sia un “sistema d’arma eccezionale”, è “così tecnicamente vulnerabile che la sua idoneità alla guerra è altamente discutibile”. Sebbene il carro armato principale Leopard 1A5 si sia dimostrato “affidabile” al fronte, gli ucraini “spesso lo usano solo come artiglieria di fortuna a causa della sua debole corazza”. E con il più recente Leopard 2A6, il costo della manutenzione è così alto che spesso le riparazioni al fronte non sono possibili.
Vederlo in azione significa ammirare una meraviglia dell’ingegneria:
Ebbene, eccone uno ucraino che si inceppa in azione:
Ma proprio come molti nella sfera russa sospettavano da tempo, una lavorazione e una tecnologia così “abbaglianti” di solito portano ad alti costi di manutenzione e affidabilità, come chiunque abbia posseduto una BMW può probabilmente testimoniare.
È stato persino affermato che una delle capacità più vantate del PhZ 2000, quella dell’impatto simultaneo di più colpi (MRSI), rimane inutilizzata in guerra perché sparare così tanti colpi in rapida successione logora rapidamente la “delicata” canna.
Ricordiamo che l’anno scorso ho pubblicato un rapporto simile sul Caesar francese, in cui si affermava che, a causa dell’enorme costo unitario del sistema, esso era relegato a un uso limitato nel ruolo di “cecchino”, riducendone l’efficacia. Si è persino diffusa la convinzione che i cannoni d’artiglieria trainati siano tornati in auge e siano ora “preferibili” ai cannoni semoventi nello stile di guerra moderno, data la loro capacità di rimanere nascosti, la loro minore impronta termica – grazie all’assenza di motore – il loro profilo più piccolo, ecc. Alcuni hanno persino proclamato che le tattiche “scatta e spara” sono morte, dato che la preponderanza dei droni rende ora più sicuro rimanere nascosti in un posto piuttosto che tentare di muoversi, il che espone solo immediatamente all’ISR dei droni.
L’opinione di un analista russo:
Così, il tecnologicamente avanzato cannone semovente Panzerhaubitze-2000 e il carro armato Leopard-2A6 sono estremamente capricciosi, e qualsiasi malfunzionamento tecnico spesso non può essere corretto sul campo. Di conseguenza, per l’AFU è più popolare sul campo di battaglia il semplice “Leopard-1A5” e il vecchio cannone semovente americano M-109A3, che è stato testato in battaglia.
A causa della dinamica più debole al fronte, l’artiglieria trainata ha una serie di vantaggi rispetto ai cannoni semoventi, tra cui la mimetizzazione e la sopravvivenza. Anche noi abbiamo un quadro simile. Il cannone semovente ad alta tecnologia Msta-S appare sempre meno frequentemente nei rapporti e in prima linea. Il “Giacinto-B” trainato diventa il principale obice al fronte. Per lo stesso motivo, non vedremo mai “Armata” sul campo di battaglia. Beh, se non per le pubbliche relazioni.
Il rapporto dello Spiegel si sofferma poi su altri sistemi, tra cui l’IRIS-T e la difesa aerea Patriot, che definisce “inadatti alla guerra” perché i veicoli portanti sono “troppo vecchi” e mancano di pezzi di ricambio. C’è un motivo per cui molti sistemi russi hanno veicoli interoperabili; per esempio, qui si vede un MZKT-7930 che può issare qualsiasi cosa, dai missili di difesa costiera Bal, al radar 96L6E per l’S-400, all’Uragan MLRS, fino al lanciamissili Iskander, oltre a molte altre cose:
Con questo tipo di progettazione modulare, i pezzi di ricambio non mancano.
L’affermazione conclusiva più schiacciante dell’articolo:
In sintesi, il documento è molto chiaro: “Quasi nessun grande dispositivo tedesco è pienamente adatto alla guerra”.
Ahi.
E questo, tra l’altro, arriva solo pochi giorni dopo che Bloomberg ha pubblicato un suo devastante rapporto su un progetto tedesco di drone per l’Ucraina.
Il riassunto essenziale è che un drone kamikaze “ad alta tecnologia”, che doveva essere il “Lancet” tedesco, si è rivelato una frode totale, in quanto i comandanti ucraini hanno scoperto che, dopo averlo smontato, aveva un’elettronica, testate, ecc. non all’altezza.
Il seguente riassunto è da leggere assolutamente:
Bloomberg ha pubblicato un articolo critico sulla startup tedesca Helsing, che produce i droni kamikaze HX-2 e HF-1 per l’Ucraina.
L’azienda è partita con il progetto di creare un software dotato di intelligenza artificiale in grado di elaborare e integrare i dati dei sensori militari in un’unica rete. L’azienda è cresciuta rapidamente e ha raccolto gran parte dei finanziamenti iniziali da Daniel Ek di Spotify, che ha investito 100 milioni di euro. Nel primo anno di vita, l’azienda ha aperto uffici in Francia e nel Regno Unito.
Helsing iniziò presto a stringere accordi con gli appaltatori della difesa e a presentare offerte per contratti militari, soprattutto in Germania. È lì che aveva i suoi legami più forti: il co-fondatore e co-CEO Gunnbert Scherf aveva lavorato per due anni per il ministero della Difesa sotto Ursula von der Leyen.
Nel 2022, quando il governo tedesco ha creato un fondo speciale per la difesa da 100 miliardi di euro e sono iniziati ad affluire ingenti fondi nel settore, Helsing si è fusa con Rheinmetall. Tuttavia, alla fine del 2024, l’accordo è stato interrotto perché “la partnership non è progredita fino alla fase di cooperazione tecnica”.
Investitori, esperti militari ed ex dipendenti si chiedono se la startup possa giustificare la sua valutazione di 5 miliardi di euro. L’azienda è stata descritta come eccessivamente segreta nello sviluppo dei suoi prodotti ed eccessivamente fiduciosa nelle dichiarazioni pubbliche sulla sua tecnologia.
Lo scorso novembre Helsing ha stretto un accordo con la startup ucraina Terminal Autonomy per equipaggiare 4.000 droni a basso costo con il nuovo software Altra di Helsing. Il drone è stato chiamato AQ 100 Bayonet (HF-1).
I militari ucraini che hanno ricevuto l’HF-1 lamentano una testata debole, un software inaffidabile e complesso e un costo gonfiato.
“Stiamo parlando di un prodotto fatto di componenti a basso costo e venduto come tecnologia all’avanguardia”, ha dichiarato un militare delle Forze ucraine per i sistemi senza pilota, la cui unità ha ricevuto 120 HF-1 a febbraio. “Ve lo posso assicurare perché li ho smontati”. Ha detto che “un prodotto del genere non costa più di 100.000 grivne (2.200 euro). E costa 16.700 euro, un prezzo proibitivo” .
Il 21 marzo, sulla pagina Facebook del militare ucraino Oleksandr Karpyuk è stato pubblicato un post in cui il drone HF-1 veniva descritto come dotato di una testata “di merda” e di un “sistema di guida molto primitivo” .
L’azienda fa pagare un premio insolitamente alto per il suo software, aggiungendo migliaia di euro a ogni dispositivo. Anche i funzionari di una delle agenzie anticorruzione ucraine hanno sollevato dubbi sul prezzo, ma l’azienda non è sotto inchiesta. Simon Bruynjes di Helsing ha rifiutato di fornire dettagli sul prezzo dell’HF-1, ma ha respinto le affermazioni di Karpyuk secondo cui ogni drone costa 18.000 euro, ritenendole inesatte ed esagerate.
A febbraio, l’azienda ha annunciato di essere in grado di produrre 1.000 droni HX-2 al mese e di volerne inviare 6.000 all’Ucraina nell’ambito di un ordine del governo tedesco. Tuttavia, il Ministero della Difesa tedesco ha dichiarato di non aver ancora assunto alcun impegno finanziario per l’ordine.
Informatore militare
Beh, cos’altro c’è di nuovo quando si tratta di giocattoli della NATO?
Detto questo, come alcuni dei miei colleghi più estremisti, non sono dell’idea che tutte le attrezzature della NATO siano a priori spazzatura. Per esempio, all’inizio della settimana il 38° Istituto di Ricerca russo ha pubblicato i suoi risultati franchi dei test sull’M2 Bradley catturato. Secondo l’istituto del Ministero della Difesa, il Bradley è superiore al BMP-3 in diverse aree. In particolare, hanno ritenuto che la sua precisione e la sua corazza fossero migliori – cose note da tempo ai più, soprattutto se si considera il peso molto più elevato del Bradley, per quanto riguarda la corazza.
Tuttavia, la maggior parte dei sostenitori degli Stati Uniti ha sorvolato sull’affermazione del rapporto secondo cui la potenza di fuoco complessiva del BMP-3 era superiore a quella del Bradley, dato il suo cannone aggiuntivo da 100 mm e la capacità di sparare missili ATGM in movimento, cosa che il Bradley non può fare.
“Risultati dei test di ricerca del Bradley M2A2 ODS SA IFV (USA)”. Autori: Mushin A.V., Konyuchenko V.V., 38° Istituto di ricerca.
Inoltre, la manovrabilità del BMP-3 è molto maggiore. Per coincidenza, è apparso un nuovo video in cui un Bradley ucraino è stato duramente battuto dal CV90 svedese in una gara di accelerazione, dimostrando la lentezza delle prestazioni del Bradley:
E, naturalmente, pochi si sono preoccupati di pubblicare la seconda parte del rapporto dello stesso istituto, molto più schiacciante, che confronta l’ammiraglia russa T-90M con il Leopard 2A5 catturato, che secondo alcuni sarebbe in realtà il 2A6:
Il rapporto ha rilevato la superiorità del T-90M in quasi tutte le categorie, compresa – cosa più scioccante – la capacità di controllo del fuoco e di rilevamento del T-90M, cioè la qualità delle sue ottiche.
L’analisi comparativa ha mostrato che il carro armato T-90M supera il Leopard 2A5 nei principali TTC, principalmente grazie alle seguenti soluzioni tecniche:
In termini di potenza di fuoco:
Maggiore raggio di rilevamento e identificazione dei bersagli da parte del comandante del carro armato e dell’operatore del cannone in condizioni notturne e difficili, fino a 3.300 metri grazie al moderno sistema di controllo del fuoco del T-90M, che supera l’effettivo raggio di tiro notturno del Leopard 2A5;
Il T-90M è dotato di un sistema di armi guidate che consente di ingaggiare bersagli a distanze fino a 5.000 metri;
una maggiore capacità di area d’effetto e di danni al personale grazie al sistema di detonazione a distanza dei proiettili a frammentazione ad alto esplosivo del T-90M, assente sul Leopard 2A5;
Il T-90M garantisce tempi di preparazione e di sparo più brevi per il primo colpo e un tasso di fuoco più elevato grazie all’uso di un caricatore automatico e di un sistema di tracciamento del bersaglio.
In termini di protezione:
Protezione della proiezione frontale contro le ATGM a testa tandem grazie al sistema di protezione dinamica “Relikt” del T-90M;
Il T-90M offre la possibilità di installare un sistema di protezione attiva per una difesa a tutto tondo contro le minacce anticarro.
L’autore della suddetta traduzione del rapporto è un noto russofobo filo-ucraino che ha condannato l’istituto russo per aver sorvolato su molte sfumature. In un certo senso sono d’accordo; per esempio, nel confronto tra T-90M e Leopard, ci sono molti sistemi più interessanti e critici che avrebbero potuto essere confrontati, come le comunicazioni dei carri armati e le capacità integrate di rete o di gestione della battaglia, che danno ai carri armati la “consapevolezza” del campo di battaglia delle forze blu e rosse. Inoltre, altri sistemi di difesa passiva come il rilevatore laser Shtora-1 del T-90M (sì, il T-90M ha ancora lo Shtora, hanno tolto gli abbaglianti dal T-90A ma hanno mantenuto i rilevatori laser), che rileva autonomamente gli illuminatori come quelli usati negli ATGM e poi spara contromisure come granate fumogene in modalità automatica, oltre a ruotare la torretta in direzione della minaccia, ecc.
In definitiva, le scoperte di oggi non fanno che rafforzare ciò che ho scritto fin dall’inizio. Non che le armi russe siano magicamente “migliori” di quelle occidentali – in realtà, in molte circostanze, se non nella maggior parte, sono leggermente inferiori su una base puramente individuale. Ma in genere sono realizzate con una filosofia di progettazione che riflette la guerra totale vera e propria, piuttosto che una combinazione di massimizzazione del profitto aziendale del MIC con lo spostamento verso la “contro insurrezione”, che privilegia soprattutto armi ad alto costo e alta precisione.
Ma, come ho spiegato nell’articolo che segue, questo non significa che la Russia si limiti a produrre armi “più economiche”, ma piuttosto che l’intera filosofia di progettazione ruota attorno ad armi che possono essere raccolte e utilizzate efficacemente da soldati di leva “relativamente non addestrati”, dato che uno scenario di guerra totale o “di popolo” presuppone che le alte perdite attrarranno gran parte delle truppe iniziali “professionali” altamente addestrate, lasciando ai contadini e ai minatori il compito di maneggiare armi destinate ad abbattere carri armati e aerei. Lo stesso vale per la capacità di riparare queste armi al volo, in modo fai-da-te, una volta che le retrovie logistiche sono state gravemente devastate dalla guerra. Gli armamenti della NATO, per la maggior parte, non possono essere riparati una volta che le retrovie logistiche sono anche solo leggermente degradate.
La notizia è stata confermata sia dalla BBC che dall’account ufficiale del comando delle forze aeree ucraine:
La BBC afferma quanto segue:
Secondo fonti dell’aeronautica militare, l’aereo di Ivanov sarebbe stato abbattuto da un missile russo.
“In totale, i russi hanno sparato tre missili contro l’aereo. Si trattava di un missile antiaereo guidato del sistema terrestre S-400 o di un missile aria-aria R-37”, ha dichiarato la fonte.
L’R-37 è tipicamente trasportato dai Su-35.
–
Un nuovo rapporto di Uralvagonzavod:
–
Infine, a proposito di costosi armamenti della NATO, è stato appena annunciato che un altro dei tanto decantati progetti americani di missili ipersonici è stato cancellato:
Al contrario, solo una settimana fa Popular Mechanics ha dichiarato che la Russia è in vantaggio nella corsa all’ipersonico:
Ricordo un periodo in cui il mondo della stampa occidentale era un tripudio di derisioni sul fatto che gli ipersonici russi non fossero “effettivamente” ipersonici, per una lunga lista di ragioni arbitrarie.
Non preoccupatevi, i dazi di Trump risolveranno sicuramente la questione. Oh, aspettate – riporta Newsweek:
Il destino del progetto di produzione degli ultimi caccia americani F-47 dipende dalle forniture di metalli di terre rare dalla Cina, su cui Pechino ha già imposto delle restrizioni, scrive Newsweek.
“Pechino è in una posizione di forza, controllando materiali critici per l’industria della difesa statunitense. La Cina… ha imposto restrizioni all’esportazione di metalli di terre rare che sono fondamentali per il jet da combattimento che sarà la spina dorsale della flotta di nuova generazione dell’aeronautica statunitense. Trump ha pubblicizzato l’F-47 come successore dell’F-22 Raptor. Ma la fattibilità del programma Next Generation Air Dominance (NGAD) per la costruzione dei jet da combattimento dipende fortemente dai materiali prodotti dalla Cina”, scrive la testata.
Come si legge nel giornale, si tratta di metalli rari leggeri e pesanti come samario, gadolinio, terbio, disprosio, lutezio, scandio e ittrio.
Beh, c’è sempre la Groenlandia.
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Analisi strategica e industriale sulle prospettive europee dopo il 2025. Un confronto tecnico con Dario Rigoni, già membro di un centro studi internazionale, su scenari, approvvigionamenti e cooperazioni nel settore sicurezza e difesa.
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Con la fine della Rasputitsa , le voci di offensive russe si stanno rafforzando. In una nuova intervista con LB.UA , il comandante in capo ucraino Syrsky ha rilasciato diverse dichiarazioni interessanti. La prima è che l’offensiva russa nelle regioni di Sumy e Kharkov è “già iniziata”.
“La nuova offensiva primaverile della Russia contro l’Ucraina nordorientale ‘in realtà è già iniziata’”, ha dichiarato il comandante in capo Oleksandr Syrskyi in un’intervista al quotidiano LB.UA pubblicata il 9 aprile. I commenti di Syrskyi seguono l’avvertimento del presidente Volodymyr Zelensky secondo cui Mosca sta radunando le forze per una nuova offensiva contro le oblast’ di Kharkiv e Sumy questa primavera.
“Posso dire che il presidente ha assolutamente ragione e che questa offensiva è di fatto già iniziata”, ha detto Syrskyi. “Per quasi una settimana, le operazioni offensive russe sono quasi raddoppiate in tutti i settori principali”, ha osservato il comandante in capo.
Ciò è confermato dalle prove in prima linea, poiché le forze russe hanno continuato a compiere incursioni in queste regioni. In particolare a Sumy, la Russia è avanzata negli ultimi giorni, conquistando Veselovka e da oggi entrando a Loknya, come mostrato di seguito:
Anche Zhurava è stata presa lì vicino:
Secondo quanto riferito, la Russia starebbe utilizzando massicciamente la tattica dell'”imboscata con i droni” in questa regione, dove il drone rimane in agguato lungo la strada fino all’arrivo di un veicolo dell’AFU. Il video qui sotto sarebbe stato girato proprio vicino a Loknya, dove i droni russi stanno devastando le rotte logistiche ucraine:
Si dice che questa sia la strada della morte ucraina che porta a Loknya, video ripreso dalla parte dell’AFU:
A Kharkov, il fronte si svegliò improvvisamente quando le forze russe fecero nuovi progressi a Vovchansk per la prima volta apparentemente dopo settimane se non mesi.
Allo stesso modo, a sud-est di lì, le forze russe hanno compiuto importanti progressi sul fronte di Lyman. Molti canali militari ucraini hanno decantato i successi russi lì negli ultimi giorni:
Un altro analista ucraino sulla direzione sopra indicata:
In direzione dell’estuario, gli occupanti riuscirono nuovamente ad avanzare in profondità nelle nostre posizioni.
Ciò vale per la linea Katerynivka-Nove , dove il nemico si insinuò tra i villaggi, tagliò entrambi i castellani che li collegavano e ottenne un punto d’appoggio.
In tali condizioni, la difesa di Katerynivka era praticamente impossibile, quindi il villaggio non è controllato dalle Forze di Difesa.
Poi i panini vanno a Novomykhaylivka e, in realtà, a Novye. E lì anche Lypove va insieme.
Dal distretto di Makiivka la feccia cerca di raggiungere Hrekivka.
L’obiettivo intermedio dell’occupante è quello di catturare la linea Andriyivka-Izyumske-Stepove per paralizzare la logistica sia nella direzione di Borivka che in quella dell’estuario settentrionale.
I luoghi a cui si fa riferimento sono:
In un nuovo articolo della Reuters , un “alto funzionario ucraino” di nome Pavlo Palisa ha affermato che la vera spinta dovrebbe iniziare entro la fine di questo mese e a maggio:
Uno dei modi in cui sappiamo che la Russia ha iniziato a intensificare le offensive è il maggiore utilizzo di formazioni di veicoli corazzati. Durante i mesi invernali abbiamo assistito a un numero molto maggiore di azioni su piccola scala, con l’ormai consueta tattica “a goccia” di inserire piccoli gruppi di truppe nelle posizioni di atterraggio di siepi e foreste tramite quad leggeri e mobili, biciclette, ecc.
Ora abbiamo ricominciato a vedere colonne pesantemente corazzate di carri armati modificati, dotati di rulli anti-mine e del classico design “a capannone”. Nell’ultimo Sitrep ho seguito l’assalto della 4a Brigata Fucilieri Motorizzata russa nell’area a sud di Chasov Yar. Ora è stato pubblicato un nuovo sguardo a quell’assalto, che ci mostra un aspetto interessante che raramente ci capita di vedere.
Nel video, possiamo vedere non solo un gran numero di droni FPV ucraini che falliscono contro i carri armati russi “fortificati”, ma soprattutto, come i carri armati che alla fine vengono disattivati vengono ripristinati dalle forze di ingegneria russe. Questo getta un’ombra sulle richieste di risarcimento danni giornaliere ucraine per i veicoli russi, in cui le riprese rapide e montate dei colpi ai carri armati russi vengono invariabilmente conteggiate come “uccisioni”, quando in realtà gran parte dei veicoli viene rimorchiata alla base di riparazione e diligentemente restaurata.
Inoltre, dato che le truppe russe stanno avanzando attivamente, ha più senso che abbiano maggiori opportunità di recuperare veicoli danneggiati ma recuperabili da entrambe le parti, restaurandone poi una buona percentuale. La parte in ritirata, ovvero l’AFU, ci rimette. Dopotutto, non è forse questa la scusa usata dai sostenitori dell’UA per giustificare la richiesta della Russia di raccogliere sempre più cadaveri per gli scambi “cargo 200”? Per non parlare del fatto che i veicoli restaurati vengono poi ripetutamente colpiti, gonfiando enormemente la categoria dei “veicoli distrutti”.
A proposito, a questo proposito, un membro del team di Oryx ha fornito un aggiornamento sul conteggio dei veicoli persi durante l’offensiva di Kursk:
Si noti che persino il team di Oryx ammette ora che l’Ucraina ha perso più veicoli della Russia, dipingendo ufficialmente l’operazione come un fallimento totale. Ora che la Russia ha di fatto riconquistato praticamente tutto, chi pensate che riceverà tutti quei veicoli distrutti, ripristinandone una buona percentuale?
Corollario a quanto sopra: ieri le forze russe hanno finalmente catturato completamente l’ultimo vero insediamento della regione di Kursk a Guevo:
Torniamo ancora una volta all’intervista di Syrsky : è un’intervista lunga e ricca di spunti interessanti.
In primo luogo, alimenta nuovamente i timori di una grande offensiva russa contro Kiev entro la fine dell’anno, citando le esercitazioni su larga scala “Zapad” in Bielorussia, previste per settembre.
Syrsky sostiene:
Tutte le esercitazioni hanno uno scopo. In altre parole, l’organizzazione di esercitazioni è il modo più appropriato per spostare, trasferire truppe, concentrarsi su una determinata direzione e creare un gruppo di truppe.
In realtà è così che è iniziato tutto, nel 2022. Ricorderete che inizialmente il gruppo era stato creato, conduceva delle esercitazioni e tutti speravamo che finissero e che le truppe russe tornassero nel loro territorio.
Ma quando si decise di proseguire con questi esercizi, mi divenne chiaro che tutto sarebbe cambiato.
Un altro dettaglio interessante: sostiene che il vantaggio dell’artiglieria russa sia ora solo di 2:1, anziché 10:1 come l’anno scorso. Sostiene che la distruzione dell’arsenale russo di Toropets da parte dell’Ucraina nel settembre 2024 abbia portato la Russia a dimezzare il suo utilizzo di proiettili. La Russia è passata da oltre 40.000 colpi al giorno a 23.000, secondo lui, anche se di recente la quantità è “aumentata leggermente” a 27-28.000.
È interessante notare che Le Monde ha appena riportato ieri che il “più grande impianto di produzione di munizioni” dell’Ucraina è stato distrutto dagli attacchi russi:
Distrutto a Shostka, nella regione di Sumy, il principale impianto di produzione di munizioni ucraino — Le Monde
Lo ha detto al giornale il comandante della compagnia UAV della 104a brigata di difesa territoriale ucraina Anton Serbin.
“Nel 2024, gli impianti Zvezda (polvere da sparo) e Impuls (detonatori) sono stati bombardati più volte, anche il 31 dicembre 2024, quando sono stati lanciati contro di essi 13 missili balistici”, si legge nella pubblicazione.
“Il nostro principale impianto nazionale di produzione di munizioni è stato distrutto”, ha affermato Serbin.
La parte più significativa dell’intervista riguarda i numeri della mobilitazione di entrambe le parti:
Ma voglio dire che il fronte è in costante aumento, l’operazione Kursk e le azioni del nemico nella regione di Kharkiv, a Volchansk, ci hanno fatto aumentare il fronte di 200 km.
E il nemico ha quintuplicato il suo contingente dall’inizio dell’aggressione. Ogni mese aumentano di otto-novemila unità, in un anno arrivano a 120-130mila. Il 1° gennaio 2025, in Russia, il contingente di truppe impegnato nei combattimenti in Ucraina contava 603mila militari, oggi è già di 623mila.
Sopra afferma che la Russia ha quintuplicato le dimensioni del suo intero gruppo militare nell’SMO dall’inizio. Dato che afferma che il contingente russo è ora di 623.000 uomini, possiamo supporre che la Russia abbia iniziato il conflitto con soli 125.000 uomini, non con gli oltre 250.000 più spesso dichiarati.
È interessante notare che Syrsky in seguito accenna a un’ulteriore conferma di ciò quando afferma che l’assalto russo a Kiev consisteva in soli 9 battaglioni, ovvero appena due brigate. Se la direzione principale aveva così pochi effettivi, come è possibile che si sia inventata la famigerata bufala dei “250 BTG”?
Ma torniamo indietro e leggiamo di nuovo cosa dice:
Ogni mese aumentano di otto-novemila unità, in un anno arrivano a 120-130mila. Il 1° gennaio 2025, in Russia, il contingente militare impegnato nei combattimenti in Ucraina contava 603mila militari, oggi sono già 623mila.
Questo è fondamentale: sta affermando che ogni mese la Russia guadagna un netto positivo di 8-9 mila uomini, e il gruppo totale cresce di 120-130 mila all’anno. Solo dal 1° gennaio 2025, il gruppo russo è aumentato di 20.000 unità. Dove sono ora i propagandisti occidentali, che hanno proclamato a gran voce che la Russia sta perdendo così tanti uomini da perdere un netto negativo al mese?
Ipoteticamente, supponendo che le affermazioni di entrambe le parti siano vere: la Russia afferma di reclutare 30.000 uomini al mese; Syrsky sostiene che il guadagno netto sia di circa 8.000-9.000. Questo implica 21.000-22.000 perdite mensili, ovvero oltre 700 al giorno, o forse 300 morti e 300 feriti irrecuperabili. Tuttavia, a differenza dell’Ucraina, la Russia consente la smobilitazione tramite scadenza del contratto, e quindi gran parte di queste perdite mensili è dovuta ai soldati che lasciano l’SMO a causa del mancato rinnovo del contratto. È difficile stimare l’esatta percentuale di questo ammontare, ma ipotizziamo che sia ipoteticamente il 50%, il che ridurrebbe le perdite russe a una media giornaliera di 150 morti, cifra che probabilmente non si discosta dalla realtà. Va anche detto che i funzionari ucraini avevano precedentemente affermato che la Russia stava mentendo e che stava mobilitando solo un totale di circa 20.000 al mese, il che avrebbe ridotto ulteriormente le perdite nette.
Syrsky ammette anche, con tristezza, che le risorse totali di mobilitazione della Russia sono tristemente vaste:
Se consideriamo le risorse di mobilitazione preparate del nemico – coloro che hanno prestato servizio militare, che si sono addestrati – ammontano a circa 5 milioni di persone. E le risorse di mobilitazione nel loro complesso ammontano a 20 milioni. Immaginate il loro potenziale. E cosa possiamo fare in queste condizioni? Mobilitazione e trasferimento, naturalmente.
Come ultima nota, Syrsky ammette in modo interessante che l’intera operazione Kursk aveva lo scopo di rallentare un’offensiva russa pianificata su tutto il fronte:
Dopo di che, il nemico si riorganizzò, completò l’addestramento del 44° corpo d’armata e, di fatto, da metà giugno, iniziò un’operazione strategica su tutto il fronte. Iniziò ad attaccare Vremennyj Yar, Toretsk, New York, Pokrovsk, Zaporozhye, in direzione di Kupjanskij, a Limanskij, cioè praticamente ovunque.
La situazione era critica, e in queste condizioni era necessario fare qualcosa per indebolire il più possibile l’assalto nemico. E così, infatti, nacque l’idea di condurre la controffensiva dove il nemico non se l’aspettava e dove era più debole.
Ora che Kursk è finito, sembra che la Russia stia riprendendo l’offensiva su tutti i fronti, solo che questa volta l’Ucraina non ha più inganni.
Detto questo, si vocifera che l’Ucraina abbia accumulato delle riserve per un nuovo tentativo offensivo con lo stesso scopo, ma ogni volta si registra una sorta di calo dei profitti per ciò che riesce a radunare, man mano che le sue risorse si riducono.
—
Per concludere gli aggiornamenti sulla prima linea, l’altra importante area di successo offensivo è stata ancora una volta la linea di Zaporozhye, dove le forze russe hanno completato le catture lungo i fianchi vicino a Stepove, appiattendo il fronte:
La prossima volta parleremo di numerosi altri progressi, tra cui quello a Toretsk e quello in direzione sud di Konstantinovka.
In direzione di Kupyansk, i canali ucraini sostengono addirittura che la Russia stia utilizzando “mini sottomarini” per trasferire truppe nel crescente bacino del fiume Oskil:
Direzione Kupjansk, informazioni da “Un residente di Kharkiv adeguato”. Sui canali ucraini si sta diffondendo la notizia che l’esercito russo sta utilizzando microsommergibili per trasferire fanteria e munizioni alla testa di ponte sulla riva occidentale dell’Oskol. Gli aerei magiari nemici sorvolano il fiume giorno e notte, ma non vedono alcun segno di forze in movimento dall’altra parte del fiume: nemmeno un’imbarcazione, eppure la nostra fanteria spunta da qualche parte sulla riva occidentale. Un tunnel sotterraneo? Nessuna risposta per ora.
—
Abbiamo mostrato la foto l’ultima volta, ma ora arriva il video completo del reporter di prima linea Kulko sui più di 1.600 droni ucraini abbattuti dalla guerra elettronica russa sul fronte di Kursk:
Analogamente, un rapporto di prima linea della Zvezda sulle tattiche di assalto russe, che utilizzano grandi fumogeni per nascondersi:
Alcune foto dei nuovi BMP-3 e T-72B3M prodotti in serie, dotati di nuovi cuscinetti in gomma anti-drone e di moduli EW standard di fabbrica:
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Ciò dovrebbe simboleggiare la riduzione degli aiuti militari americani a Kiev, non rappresentare il primo passo verso un ritiro completo dalla Polonia o dall’Europa centrale e orientale nel suo complesso.
Il Pentagono ha annunciato lunedì che le forze statunitensi si ritireranno dal centro logistico polacco di Rzeszow per l’Ucraina e si riposizioneranno altrove nel Paese, secondo un piano (finora non reso noto). Il giorno dopo, NBC News ha riportato che Trump potrebbe presto ritirare metà dei 20.000 soldati statunitensi che Biden ha inviato in Europa centrale e orientale (CEE) dal 2022. Secondo le loro fonti, la maggior parte verrà ritirata da Polonia e Romania, i due Paesi più grandi sul fianco orientale della NATO.
Il presidente polacco , il primo ministro e il ministro della Difesa si sono affrettati a dichiarare che il riposizionamento di lunedì non equivale né presagisce un ritiro delle forze statunitensi dalla Polonia, ma le speculazioni continuano a circolare sui piani di Trump considerando il nascenteRusso – USA ” NuovoDistensione ”. Alla fine del 2021, Putin ha chiesto agli Stati Uniti di ritirare le proprie forze dall’Europa centro-orientale, in modo da ripristinare il rispetto da parte di Washington del NATO-Russia Founding Act del 1997, le cui numerose violazioni hanno aggravato il dilemma di sicurezza russo-statunitense.
Il rifiuto di Biden di discuterne ha contribuito a rendere definitiva l’ultima fase della ormai decennaleIl conflitto ucraino è inevitabile convincendo Putin che quello che presto sarebbe stato conosciuto come lo specialeL’operazione era l’unico modo per ripristinare il sempre più sbilanciato equilibrio strategico tra Russia e Stati Uniti. A differenza di Biden, Trump sembra aperto ad accogliere almeno parzialmente la richiesta di Putin, che potrebbe diventare uno dei numerosi compromessi pragmatici che stanno negoziando per normalizzare i rapporti e porre fine alla guerra per procura.
Il presidente conservatore uscente della Polonia vuole il maggior numero possibile di truppe statunitensi, incluso il dispiegamento di alcune dalla Germania , mentre il Primo Ministro liberale in carica sta valutando la possibilità di affidarsi alla Francia per bilanciare gli Stati Uniti o di virare direttamente verso la prima opzione. L’esito delle elezioni presidenziali del mese prossimo giocherà un ruolo fondamentale nel determinare la politica polacca in questo senso e potrebbe essere influenzato dalla percezione (corretta o meno) di un abbandono della Polonia da parte degli Stati Uniti.
Qualsiasi riduzione delle truppe statunitensi in Polonia o la convinzione dell’opinione pubblica che ciò sia inevitabile potrebbe giocare a favore del candidato liberale filo-europeo, mentre una conferma esplicita dell’impegno degli Stati Uniti a mantenere – per non parlare di ampliare – il livello attuale potrebbe aiutare i candidati conservatori e populisti filo-americani. Anche se il prossimo presidente della Polonia fosse un liberale, tuttavia, gli Stati Uniti potrebbero ancora contare sul Paese come baluardo regionale di influenza militare e politica, se l’amministrazione Trump giocasse bene le sue carte.
Affinché ciò accada, gli Stati Uniti dovrebbero mantenere un numero di truppe superiore a quello presente prima del 2022, anche in caso di ritiro di alcune truppe, garantire che questo livello rimanga superiore a quello di qualsiasi altro Paese dell’Europa centro-orientale e trasferire alcune tecnologie militari per la produzione congiunta. Il primo imperativo rassicurerebbe psicologicamente la popolazione politicamente russofoba sul fatto che non verrà abbandonata, il secondo è legato al prestigio regionale e il terzo manterrebbe l’Europa centro-orientale all’interno dell’ecosistema militare-industriale statunitense , in un contesto di concorrenza europea .
Questo potrebbe essere sufficiente per contrastare i possibili piani dei liberali di virare verso la Francia a scapito dell’influenza degli Stati Uniti o per mantenere la posizione predominante degli Stati Uniti in Polonia, se un presidente liberale collaborasse con un Primo Ministro di idee simili per fare affidamento sulla Francia per bilanciare un po’ gli Stati Uniti. Anche se l’amministrazione Trump perdesse questa opportunità per mancanza di visione o se un governo pienamente liberale in Polonia attaccasse gli Stati Uniti per ragioni ideologiche, non ci si aspetta che gli Stati Uniti abbandonino completamente la Polonia.
La stragrande maggioranza dell’equipaggiamento militare polacco è americano, il che porterà quantomeno alla fornitura continua di pezzi di ricambio e probabilmente getterà le basi per ulteriori scambi di armi . Le forze statunitensi sono attualmente dislocate in quasi una dozzina di basi in tutto il paese, e il ruolo consultivo che alcune svolgono contribuisce a plasmare la prospettiva, le strategie e le tattiche della Polonia durante il suo continuo rafforzamento militare. Non c’è quindi motivo per cui gli Stati Uniti dovrebbero cedere volontariamente tale influenza su quella che oggi è la terza più grande forza militare della NATO .
Pertanto, lo scenario più radicale di una svolta polacca a guida liberale a pieno titolo verso la Francia sarebbe limitato dall’impraticabilità di sostituire le attrezzature militari americane con quelle francesi in tempi brevi, con il limite massimo a cui ciò potrebbe portare: ospitare caccia Rafale dotati di equipaggiamento nucleare. La Polonia potrebbe anche invitare alcune truppe francesi nel paese, anche a scopo consultivo, e magari anche firmare qualche accordo per la fornitura di armi. Non chiederà, tuttavia, alle forze statunitensi di andarsene, poiché desidera preservarne il potenziale di intrappolamento.
Considerando l’interazione di questi interessi, si può concludere che il ritiro degli Stati Uniti dalla base logistica polacca di Rzeszow per l’Ucraina intende simboleggiare la riduzione degli aiuti militari americani a Kiev, non rappresentare il primo passo verso un ritiro completo dalla Polonia o dall’Europa centro-orientale nel suo complesso. Sebbene alcune riduzioni regionali delle truppe statunitensi siano possibili come uno dei diversi compromessi pragmatici che Trump potrebbe concordare con Putin per normalizzare i rapporti e porre fine alla guerra per procura, non è previsto un ritiro completo.
Vivono una dissonanza cognitiva perché lui è sia sionista che pragmatico nei confronti della Russia.
Il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán ha annunciato che il suo Paese si ritirerà dalla Corte Penale Internazionale (CPI) in segno di protesta contro il mandato di arresto emesso nei confronti del suo omologo israeliano Benjamin “Bibi” Netanyahu, accusato di crimini di guerra. Questo ha coinciso con l’accoglienza di Bibi da parte di Orbán a Budapest. Entrambe le decisioni sono state audaci, considerando l’alta considerazione che i suoi colleghi europei attribuiscono alla CPI e la scarsa considerazione che molti di loro attribuiscono a Bibi. Gli atteggiamenti non occidentali nei confronti di Bibi sono simili, ma più contrastanti, quando si tratta della CPI.
Orbán era già la pecora nera dell’Europa a causa della sua costante difesa della pace in Ucraina e delle critiche al bellicismo dell’UE contro la Russia, la cui posizione generale era responsabile del fatto che molti non occidentali nutrissero un’opinione positiva su di lui. Potrebbero tuttavia iniziare a inasprirsi nei suoi confronti, poiché anche l’opinione pubblica non occidentale sostiene fermamente la Palestina e quindi nutre un’opinione molto negativa su Bibi. Alcuni influencer e media alternativi potrebbero persino capovolgere la situazione e condannare Orbán come “sionista”.
Qui risiede un punto importante da sottolineare riguardo al gruppo estremamente eterogeneo di persone che si affida a fonti di informazione non mainstream per orientarsi e contribuire alle discussioni all’interno di questa comunità. Molti tendono a valutare tutto in un sistema a somma zero, per cui leader, gruppi e Paesi sono considerati buoni o cattivi, senza vie di mezzo. Questa mancanza di sfumature e l’incapacità di cogliere la complessità delle Relazioni Internazionali rendono la maggior parte dei loro prodotti informativi una forma di attivismo politico anziché una vera e propria analisi.
Nel caso di Orbán, qualcuno potrebbe presto buttare via il bambino con l’acqua sporca, attaccandolo ferocemente per le sue politiche ferocemente filo-israeliane , rischiando di screditare le sue politiche pragmatiche nei confronti della Russia, per le quali molti lo avevano finora elogiato. Dopotutto, una volta che qualcuno viene etichettato come “sionista” da membri influenti della Alt-Media Community (AMC), diventa tossico per molti associarsi con lui e coloro che non si uniscono a lui, per non parlare del fatto che continuano a elogiarlo, rischiano di essere “cancellati”.
Orban può essere oggettivamente descritto come sionista poiché sostiene lo Stato di Israele come patria ebraica ( soloPiacePutin ), ma il termine è stato strumentalizzato dall’AMC per demonizzare qualcuno. I sostenitori di questa visione non possono accettare che un leader, un gruppo o un paese etichettato come “sionista” possa anche fare qualcosa che considerano giusto. L’accoglienza di Bibi da parte di Orbán e il suo ritiro dalla CPI per protestare contro il mandato di cattura emesso nei suoi confronti li pongono quindi in un dilemma alla luce delle sue politiche pragmatiche nei confronti della Russia.
Alcuni membri dell’AMC condividono l’opinione della Russia e di altri importanti Paesi sull’illegittimità della CPI, quindi non sono mai passati dalla condanna di quell’organismo quando ha emesso un mandato d’arresto per Putin all’inizio del 2023 all’elogio dopo averne emesso uno per Bibi. Quasi tutti, tuttavia, sostengono fermamente la Palestina, quindi sono inclini a condannare Orbán per aver almeno ospitato Bibi e forse anche per essersi ritirato dalla CPI, sia perché sostengono la CPI, sia perché lo ha fatto in solidarietà con Israele.
L’AMC dovrebbe pensarci due volte prima di demolire lo stesso uomo che molti di loro hanno in precedenza costruito. Per quanto siano appassionati della Palestina, “cancellare” Orbán in quanto sionista screditerebbe anche, per associazione, le sue politiche pragmatiche nei confronti della Russia, per le quali molti di loro nutrono altrettanta passione. Dovrebbero quindi accettare che essere sionisti non squalifica qualcuno dall’essere pragmatici nei confronti della Russia e poi iniziare finalmente ad affrontare l’annoso problema della “cultura della cancellazione” dell’AMC.
L’Ungheria non scenderà in guerra contro la Croazia a sostegno della Serbia, abbandonando di fatto la NATO con tutte le conseguenze a cascata che ciò comporterebbe, tra cui una possibile invasione della NATO.
Il presidente serbo Aleksandar Vučić ha attirato l’attenzione regionale elogiando la roadmap militare recentemente firmata dal suo Paese con l’Ungheria, definendola “un passo più vicino a un’alleanza serbo-ungherese”. Il contesto immediato riguarda la dichiarazione di difesa congiunta di metà marzo tra Croazia, Albania e Kosovo. Tutti e tre hanno una storia recente di conflitto con la Serbia, Belgrado rivendica ancora quella che considera la sua Provincia Autonoma del Kosovo e Metohija, occupata dalla NATO, e c’è una nuova ondata di incertezza in Bosnia.
La creazione di fatto di un’alleanza croato-albanese/”kosovara”, i recenti problemi in Bosnia e l’intenzione di Vučić di creare un’alleanza ungherese-serba hanno quindi sollevato preoccupazioni sul fatto che queste due alleanze possano entrare in guerra tra loro per il Kosovo e/o la Bosnia. Ognuna di esse conta anche membri della NATO, Croazia e Albania nella prima e Ungheria nella seconda, correndo così il rischio di una crisi intra-blocco ben peggiore di quella greco-turca del 1974 per Cipro, se questo scenario si concretizzasse.
Potrebbe non esserlo, tuttavia, o almeno non nel senso di una guerra tra questi due gruppi di paesi. Sebbene sia del tutto possibile che la Croazia sfrutti una crisi nelle relazioni serbo-albanesi/”kosovare” per attuare un’azione militare coordinata a sostegno dei suoi connazionali in Bosnia, o che sfrutti una crisi croato-bosniaca per attuare un’azione militare coordinata contro la Serbia, è improbabile che l’Ungheria intervenga. Questo perché non ha interessi di sicurezza nazionale urgenti in gioco che giustifichino i costi incalcolabili.
Il Primo Ministro Viktor Orbán è un pragmatico consumato che dà priorità alla sua concezione degli interessi nazionali, così come li intende sinceramente. Lo scenario peggiore che potrebbe aspettarsi da un altro conflitto regionale sul Kosovo e/o sulla Bosnia è un afflusso di rifugiati (per lo più serbi) in Ungheria, il cui numero totale sarebbe probabilmente molto inferiore a quello registrato durante il culmine della crisi migratoria del 2015 e per la cui gestione il suo governo ha predisposto piani di emergenza. Ciò non giustificherebbe l’ingresso in guerra.
Il massimo che l’Ungheria potrebbe fare in una situazione del genere è fornire alla Serbia qualsiasi aiuto militare riesca a raccogliere dalle sue scorte, ma anche questo non può essere dato per scontato, poiché Orbán potrebbe temere che farlo – almeno nell’immediato – possa squalificarlo come mediatore . In ogni caso, disertare di fatto dalla NATO dichiarando guerra alla Croazia, membro vicino, a sostegno della Serbia è completamente fuori discussione, a causa delle conseguenze a cascata che ciò comporterebbe, inclusa una possibile invasione della NATO.
Vučić lo sa, quindi la sua battuta su un'”alleanza ungherese-serba” deve essere stata concepita per il pubblico in patria e nella regione, con l’intento di rassicurare falsamente il suo popolo che l’Ungheria combatterà al suo fianco in caso di guerra regionale, e al contempo di destabilizzare gli altri, inducendoli a temere che i loro governi (Croazia, Albania e Kosovo) possano presto essere responsabili di tale conflitto. A livello di élite, tuttavia, nessun politico cadrà probabilmente nella trappola del suo spettacolo di gestione della percezione.
Le sue parole non avranno quindi alcuna influenza sul corso degli eventi regionali, a meno che non si verifichi l’improbabile scenario che l’Ungheria sottoscriva formalmente un patto di mutua difesa con la Serbia, che preveda l’invio di equipaggiamenti e/o truppe in caso di attacco da parte di una delle due parti. Tuttavia, non vi è alcuna indicazione che Orbán stia prendendo in considerazione tale possibilità, poiché, come spiegato, costituirebbe una grave minaccia per gli interessi nazionali dell’Ungheria. Pertanto, gli osservatori non dovrebbero dare troppo peso al discorso di un’alleanza serbo-ungherese, né prenderla troppo sul serio qualora dovesse mai concretizzarsi.
I problemi di interoperabilità potrebbero indurre gli Stati Uniti a ripensarci due volte prima di intervenire nel sostegno dell’UE contro la Russia.
” È improbabile che Trump ritiri tutte le truppe statunitensi dall’Europa centrale o abbandoni l’Articolo 5 della NATO “, ma sta sicuramente “tornando (di nuovo) in Asia” per contenere la Cina in modo più energico, il che avrà conseguenze per la sicurezza europea. Sebbene la Russia non abbia alcuna intenzione di attaccare i paesi della NATO, molti di questi stessi paesi temono sinceramente che lo faccia, il che li porta a formulare una politica appropriata. Questa (falsa) percezione della minaccia accresce le loro preoccupazioni circa il graduale disimpegno degli Stati Uniti dalla NATO.
A peggiorare la situazione, Reuters ha citato cinque fonti anonime per riferire che gli Stati Uniti hanno criticato l’UE per i suoi piani militari-industriali, in particolare quelli relativi alla produzione e agli appalti all’interno dell’Unione. Presumibilmente sono collegati al “Piano ReArm Europe ” della Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, che prevede che i membri aumentino la spesa per la difesa dell’1,5% in media, per un totale di 650 miliardi di euro in più nei prossimi quattro anni, e forniscano prestiti per 150 miliardi di euro per investimenti nella difesa.
Questo audace programma rafforzerà l’autonomia strategica dell’UE, ma probabilmente avrà il costo di accelerare il disimpegno degli Stati Uniti dalla NATO. Le attrezzature prodotte dall’UE potrebbero non essere interoperabili con quelle americane, il che potrebbe complicare la pianificazione di emergenza. L’Unione Europea vorrebbe che gli Stati Uniti intervenissero in caso di crisi militare con la Russia, ma gli Stati Uniti potrebbero ripensarci se i loro comandanti non riuscissero a prendere facilmente il controllo delle forze europee in tale eventualità.
Gli Stati Uniti potrebbero anche essere meno propensi a farlo se l’UE riducesse la sua dipendenza da equipaggiamento americano come gli F-35, che si dice siano dotati di “kill-switch” . Questi potrebbero ipoteticamente attivarsi se l’UE cercasse di provocare un conflitto con la Russia che gli Stati Uniti non approvassero per qualsiasi motivo. Se l’UE si sentisse incoraggiata a fare proprio questo, diventando così una grave debolezza strategica per gli Stati Uniti, le probabilità che gli Stati Uniti intervengano a suo sostegno diminuirebbero, portando così a una profezia che si autoavvera.
Allo stesso tempo, alcuni Paesi come gli Stati Baltici, la Polonia e la Romania – che occupano il fianco orientale strategico della NATO con Russia, Bielorussia e Ucraina e sono molto più filoamericani delle loro controparti dell’Europa occidentale – rimarranno probabilmente all’interno dell’ecosistema militare-industriale statunitense. Ciò potrebbe quindi contribuire a mantenere l’influenza americana lungo la periferia dell’UE, a tenere questi Paesi fuori dall’ecosistema militare-industriale del blocco e, di conseguenza, a ostacolare i piani per un “esercito europeo”.
Tuttavia, gli Stati Uniti farebbero bene a condividere parte della tecnologia di difesa con la Polonia e ad accettare almeno una produzione nazionale parziale dei loro acquisti su larga scala, il che potrebbe trasferire una parte dell’ecosistema militare-industriale americano in Europa per facilitarne l’esportazione verso altri Paesi. Ciò potrebbe a sua volta impedire alla Polonia di fare affidamento sulla Francia o, quantomeno, di fare maggiore affidamento su di essa per bilanciare gli Stati Uniti, come potrebbe fare la coalizione liberal-globalista al potere se il suo candidato vincesse le elezioni presidenziali alle prossime elezioni di maggio.
Gli Stati Uniti potrebbero quindi sfruttare la loro cooperazione militare-industriale con la Polonia offrendo condizioni preferenziali (ovvero condivisione di tecnologie e produzione nazionale almeno parziale) come mezzo per mantenere l’influenza americana lungo la periferia dell’UE, nel contesto dei piani militari-industriali del blocco. Ciò potrebbe ostacolare gravemente l’autonomia strategica dell’UE, rendere più difficile la formazione di un “esercito europeo” a causa di problemi di interoperabilità e quindi spingere l’Europa occidentale a cedere acquistando più equipaggiamento statunitense.
La scorsa settimana Miroshnik e Zakharova hanno dichiarato cose diverse sul vero scopo di queste forze di peacekeeping e sul loro grado di coordinamento con Kiev nell’improbabile scenario di un loro dispiegamento in Ucraina.
Gli osservatori più attenti potrebbero essere rimasti confusi dopo due dichiarazioni apparentemente contraddittorie rilasciate la scorsa settimana dai diplomatici russi sullo scenario delle forze di pace europee in Ucraina . L’ambasciatore generale per il monitoraggio dei crimini di Kiev, Rodion Miroshnik, ha affermato che “questo potrebbe, in effetti, essere visto come una palese occupazione dell’Ucraina da parte dell’Europa… (l’obiettivo sarebbe) prendere il controllo militare del regime politico [ucraino], pur mantenendo il governo esterno di questo territorio, indipendentemente da come possano concludersi i negoziati”.
Il giorno dopo, la portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha dichiarato che “Queste forze non saranno dislocate sulla linea di combattimento, né sostituiranno le forze armate ucraine. Il loro scopo è proteggere punti strategici in coordinamento con gli ucraini, ad esempio Odessa e Leopoli, cosa che viene apertamente menzionata sia a Parigi che a Londra”. Di conseguenza, c’è confusione sul reale scopo di queste forze di peacekeeping e sul loro grado di coordinamento con Kiev.
Un mix degli scenari ipotizzati da entrambi i diplomatici è il più probabile se le truppe europee entrassero formalmente in Ucraina, anche se, considerando come la Russia abbia dichiarato che avrebbe preso di mira le forze straniere presenti, mentre gli Stati Uniti hanno affermato che non estenderanno le garanzie dell’Articolo 5 alle truppe NATO in Ucraina, questo potrebbe non accadere. Se ciò dovesse accadere e non si verificasse un’escalation, ciò sarebbe dovuto al fatto che la Russia ha autorizzato una missione di peacekeeping parzialmente composta da personale europeo presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite o che ha fatto calcoli machiavellici nel lasciarla accadere senza questo.
In ogni caso, Kiev potrebbe rapidamente perdere il controllo delle dinamiche strategico-militari “alleate” a causa della posizione complessivamente molto più debole e vulnerabile in cui si troverebbe al momento dell’ingresso formale delle truppe europee in Ucraina, che potrebbero vederne alcune agire unilateralmente per perseguire i propri obiettivi. Ad esempio, mentre le forze di peacekeeping europee potrebbero coordinare la protezione di punti strategici come Odessa e Leopoli con l’Ucraina per liberare le forze di quest’ultima per il fronte, potrebbero semplicemente non andarsene mai più.
È improbabile che le Forze Armate ucraine (AFU) vengano mai incaricate di usare la forza per fermare le cosiddette forze di pace europee “canaglia”, quindi Kiev probabilmente si arrenderebbe e lascerebbe che facciano ciò che vogliono. C’è anche la possibilità che diverse fazioni ucraine nel palazzo presidenziale, nell’SBU e nelle AFU, et al., finiscano per schierarsi con le forze di pace di diversi paesi europei nell’ambito di un gioco di potere. Ciò potrebbe indebolire ulteriormente l’Ucraina dall’interno e “balcanizzarla” politicamente a vantaggio della Russia.
Pertanto, quello che potrebbe iniziare come uno stretto coordinamento europeo-ucraino per il mantenimento della pace potrebbe sfociare in un’occupazione se alcuni di questi paesi sfidassero Kiev e si schierassero con fazioni rivali, ma i disordini locali potrebbero essere mitigati soddisfacendo i bisogni primari della popolazione e non disturbando i militanti di estrema destra. L’unica eccezione potrebbe essere l’ improbabile eventualità che Varsavia cambi la sua posizione e dispieghi truppe, poiché gli ucraini potrebbero considerarli occupanti stranieri ostili per ragioni storiche, a cui quindi occorre resistere con la forza.
Nel complesso, sebbene lo scenario di una missione di peacekeeping europea in Ucraina rimanga per ora improbabile, non può essere escluso del tutto. La Russia potrebbe autorizzare una missione di peacekeeping parzialmente europea presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite o lasciarla svolgere senza di essa, se Putin ritiene che causerà ulteriori problemi all’Ucraina. Il rischio, tuttavia, è che Europa e Ucraina decidano di minacciare congiuntamente la Russia invece di competere tra loro per potere e risorse, e data la natura cauta di Putin , è improbabile che coglierà questa opportunità.
Qualunque cosa abbia potuto realizzare, non è abbastanza significativa dal punto di vista militare da meritare molta attenzione.
Circolano notizie contrastanti sull’eventuale irruzione delle forze ucraine nella regione russa di Belgorod, dopo che una controffensiva russa ne ha spinto la maggior parte fuori dalla regione di Kursk . Il comandante del Comando Europeo degli Stati Uniti, il generale Christopher Cavoli, ha dichiarato la scorsa settimana in un’udienza al Congresso che “[gli ucraini] si stanno mantenendo su un ottimo terreno difensivo a sud di Belgorod”, frase ripresa da Zelensky durante il suo videomessaggio serale di lunedì.
I loro commenti sono stati contraddetti dal Tenente Generale russo Apty Alaudinov. La scorsa settimana ha dichiarato alla televisione nazionale: “In generale, siamo in una situazione relativamente buona. Solo due settimane fa, il nemico ha tentato ancora una volta di sfondare il nostro confine e di avanzare più in profondità nella regione di Belgorod. Ora tutto è sotto controllo e queste aree vengono bonificate. Il nemico continua a inviare sempre più carne da cannone, sebbene subisca pesanti perdite ogni giorno”.
Il mese scorso, Reuters ha citato alcuni blogger russi per riferire sull’azione in corso lungo quel fronte, mentre l’Istituto per lo Studio della Guerra di Washington ha affermato nel fine settimana che le forze ucraine occupano ancora una parte della regione di Belgorod, ma non hanno ancora avanzato. In assenza di un’informazione veramente indipendente, gli osservatori sono costretti a ricorrere alla logica e all’intuizione nel tentativo di capire cosa stia realmente accadendo, sebbene ovviamente non possano sapere con certezza se la loro valutazione sia corretta.
A quanto pare, però, l’Ucraina ha reindirizzato parte delle sue forze in ritirata da Kursk verso la vicina Belgorod per mantenere alta la pressione sulla Russia, cosa che Kiev probabilmente calcola possa bloccare l’espansione della campagna terrestre russa a Sumy e/o Kharkov e/o diventare un ostacolo nei colloqui di pace. Ciononostante, non sembrano aver fatto molti progressi sul campo, se non nessuno. Qualunque risultato abbiano ottenuto non è di grande rilevanza militare, altrimenti verrebbe sbandierato dai troll filo-Kiev.
Dopotutto, sono noti per esagerare l’impatto strategico di ogni mossa della loro fazione, eppure le loro chiacchiere online sulle ultime azioni intorno a Belgorod sono vistosamente silenziose. Lo stesso vale per i resoconti dei media mainstream. Questa osservazione suggerisce che l’offensiva ucraina non abbia avuto il successo sperato, il che a sua volta dà credito alle affermazioni di Alaudinov, sebbene sia anche ipoteticamente possibile che alcune truppe straniere rimangano ancora su una striscia di suolo russo.
In ogni caso, sarebbe inesatto descrivere gli ultimi sviluppi militari su quel fronte come una svolta, poiché appaiono più come una disperata distrazione da parte dell’Ucraina che altro. La Russia sta vincendo di gran lunga la “gara della logistica”/”guerra di logoramento” , e il successo della sua recente controffensiva a Kursk verrà probabilmente replicato a Belgorod col tempo, se ci saranno truppe ucraine lì. Pertanto, questa è una causa persa e uno spreco di risorse per Kiev, eppure ci si aspetta simili scappatelle da parte sua.
Poiché le dinamiche strategico-militari continuano a volgere a favore della Russia, non si possono escludere ulteriori missioni suicide di questo tipo, sebbene non si preveda che ottengano risultati significativi a causa dell’assenza di livelli di aiuti militari occidentali pari a quelli del 2023 che l’Ucraina ha ricevuto in vista della sua controffensiva destinata a fallire . La Russia ha anche imparato dure lezioni dall’invasione ucraina di Kursk, che probabilmente saranno utilizzate per impedire un’altra simile svolta. Questi fattori aumentano notevolmente le probabilità di un’inevitabile sconfitta dell’Ucraina.
La posta in gioco è se gli Stati Uniti continueranno a dare priorità ai legami con i governanti militari del Pakistan o se promuoveranno un governo democratico guidato dai civili, volto a normalizzare i rapporti con l’India in modo da contenere più efficacemente la Cina.
Drop Site News ha pubblicato un rapporto all’inizio di aprile su come ” Il Dipartimento di Stato e il Pentagono stiano combattendo il Deep State sul futuro di India e Cina “, il cui succo è che queste prime due istituzioni sarebbero in contrasto con la CIA sul futuro dei rapporti tra Stati Uniti e Pakistan. Il Dipartimento di Stato e il Pentagono “vogliono allontanarsi dall’esercito e rafforzare la leadership civile e il governo democratico in Pakistan”, mentre la CIA “considera l’apparato militare e di sicurezza un partner più affidabile”.
La logica è geopolitica, poiché coloro che vogliono cambiare radicalmente la politica decennale degli Stati Uniti con il Pakistan, che fonti anonime di Drop Site News ritengono sia rappresentativa della crescente influenza dell’ala “America First”, prevedono che ciò faciliterà notevolmente i piani dell’amministrazione Trump contro la Cina. Secondo loro, “un Pakistan guidato da civili avrà il mandato di risolvere il suo conflitto covato da tempo con l’India, liberando Nuova Delhi per concentrarsi più direttamente sui suoi confini orientali e agire da contrappeso alla Cina”.
Sebbene nel loro rapporto non siano stati suggeriti mezzi per promuovere un governo democratico guidato dai civili in Pakistan, per raggiungere questo obiettivo si potrebbe ricorrere a un approccio “carota e bastone”. Le questioni più rilevanti a cui questa politica potrebbe essere applicata riguardano l’agenda politica del Pakistan in Afghanistan (ovvero l’indebolimento del regime talebano), eventuali azioni antiterrorismo che potrebbe intraprendere lì, le vendite di armi, i dazi doganali e il commercio e gli investimenti con la Russia. Su questi argomenti, si spenderà ora qualche parola.
In breve, l’Afghanistan governato dai talebani è sospettato di ospitare terroristi designati da Islamabad, che sono diventati la minaccia più pressante per la sicurezza nazionale del Pakistan negli ultimi anni, da qui la necessità di costringere il vicino a cacciarli o di punirlo per il rifiuto di farlo. L’assistenza politica e militare americana è necessaria per aumentare le probabilità di successo. Non ottenerla prima di qualsiasi mossa importante in queste direzioni rischia che gli Stati Uniti marchino il Pakistan come uno “Stato canaglia” con tutto ciò che ne consegue.
Per quanto riguarda le vendite di armi, la stragrande maggioranza delle attrezzature del Pakistan proviene dalla Cina, ma il Paese schiera anche una flotta di F-16 . Questi sono formidabili di per sé, ma contribuiscono anche a mantenere i legami bilaterali. L’eventuale rifiuto degli Stati Uniti di fornire pezzi di ricambio e/o la decisione di non vendere nuove attrezzature al Pakistan in futuro, entrambe possibili con il pretesto di protestare contro il suo programma missilistico a lungo raggio , ma in realtà mirate a promuovere un cambiamento politico, non farebbe che aumentare le tensioni politiche.
Per quanto riguarda i dazi, gli Stati Uniti sono la principale destinazione delle esportazioni del Pakistan , con circa 6 miliardi di dollari all’anno, pari al 18% delle esportazioni totali. Si prevede quindi che la guerra commerciale globale di Trump colpirà duramente l’industria tessile del Paese, secondo alcune fonti, il che potrebbe esacerbare la crisi economico-finanziaria del Paese e potenzialmente portare a un’altra ondata di disordini politici se i nuovi negoziati pianificati non risolveranno rapidamente la questione. L’economia è uno dei punti deboli del Pakistan e gli Stati Uniti potrebbero sfruttare aggressivamente il suo vantaggio.
Reindirizzare le esportazioni dagli Stati Uniti alla Cina nel caso in cui un accordo non venga raggiunto a breve, il che potrebbe essere più facile a dirsi che a farsi, potrebbe mitigare le conseguenze economico-finanziarie dei dazi di Trump, peggiorando al contempo i legami politici con gli Stati Uniti a causa della rivalità sistemica sino-americana. Questo potrebbe rivelarsi controproducente dal punto di vista degli interessi generali del Pakistan, poiché potrebbe innescare la pressione militare precedentemente menzionata con un pretesto anti-cinese e accelerare l’attuale svolta degli Stati Uniti verso l’India.
A questo proposito, lo scenario di essere abbandonati dagli Stati Uniti terrorizza i politici pakistani, che temono le conseguenze interconnesse in ambito economico-finanziario, politico (con conseguenti proteste su larga scala) e di sicurezza regionale (nei confronti di un’India interamente sostenuta dagli Stati Uniti). Allo stesso modo, gli Stati Uniti vogliono evitarlo, temendo le conseguenze sulla sicurezza globale se il Pakistan, dotato di armi nucleari, “si ribellasse” per vendetta, soprattutto se incoraggiato dalla Cina. Questo equilibrio di interessi, o meglio, la paura reciproca, mantiene lo status quo.
Allo stesso tempo, l’attuale situazione impedisce il “ritorno in Asia” dell’ala americana First per contenere più energicamente la Cina, poiché il Pakistan continua a fornire alla Repubblica Popolare un accesso affidabile all’Oceano Indiano, facilitando così le esportazioni cinesi verso l’Europa e le importazioni di risorse dall’Africa. Il grande significato strategico risiede nel fatto che il Pakistan potrebbe neutralizzare parzialmente l’impatto commerciale del blocco statunitense dello Stretto di Malacca per le navi cinesi durante una crisi.
In cambio, il Pakistan può contare sul sostegno politico, economico e militare della Cina, il che contribuisce a evitare che il Pakistan si trovi troppo indietro rispetto all’India nel contesto della loro rivalità decennale. Di conseguenza, qualsiasi concessione che il Pakistan potrebbe fare agli Stati Uniti sulle sue relazioni con la Cina rischia di andare a scapito dei suoi interessi di sicurezza nazionale, così come i decisori politici li intendono, sebbene ciò potrebbe essere gestibile in due scenari potenzialmente collegati.
Il primo è che maggiori scambi commerciali e investimenti dalla Russia, che gli Stati Uniti potrebbero incoraggiare attraverso esenzioni dalle sanzioni nel caso in cui il nascenteRusso – USA ” NuovoLa “distensione ” si evolve in una partnership strategica, potrebbe alleviare alcune delle conseguenze economico-finanziarie della Cina. La Cina potrebbe continuare ad armare il Pakistan a causa della comune percezione della minaccia dell’India, ma è anche possibile che gli Stati Uniti sostituiscano gradualmente la dipendenza del Pakistan dalle armi cinesi, sebbene a scapito del loro orientamento verso l’India.
Il secondo scenario prevede che il conflitto del Kashmir venga finalmente risolto, il che, secondo l’ala America First, richiederebbe un governo democratico guidato dai civili in Pakistan, sbloccando così nuove opportunità economico-finanziarie per sostituire quelle cinesi perdute e riducendo al contempo la percezione di una minaccia reciproca. I ruoli di Russia e Stati Uniti sopra menzionati diventerebbero più importanti che mai in tal caso, ma questo scenario, considerato il migliore, dal loro punto di vista e da quello dell’India è meno probabile del primo, che di per sé è incerto.
L’opinione pubblica non è a conoscenza dell’interazione tra le due fazioni americane del deep state su questo tema, quindi nessuno può dire con certezza cosa accadrà, ma solo quali sono gli interessi di ciascuna e come chi spinge per un cambiamento radicale (il Dipartimento di Stato e il Pentagono) potrebbe cercare di ottenerlo. Se la CIA prevale e lo status quo viene mantenuto, l’amministrazione Trump rischia di dover ridurre la portata del suo “ritorno in Asia” e potrebbe persino essere richiamata in Afghanistan da un’espansione della missione.
Drop Site News ha riportato all’inizio di febbraio che “l’ esercito pakistano spera di trascinare Trump di nuovo in guerra in Afghanistan “, il che gli aprirebbe un vaso di Pandora pieno di problemi, come la sua impopolare opinione pubblica interna, la messa a repentaglio del perno degli Stati Uniti verso l’India e il peggioramento delle già elevate tensioni con l’Iran. D’altra parte, abbandonare il Pakistan, qualora intervenisse unilateralmente in Afghanistan su larga scala senza prima ottenere il supporto degli Stati Uniti, potrebbe rischiare di “diventare un dissidente” per vendetta, come spiegato in precedenza, creando così un dilemma.
Finché il regime militare de facto del Pakistan si rifiuterà di attuare qualsiasi concessione (probabilmente sotto pressione degli Stati Uniti) nei confronti dell’ex Primo Ministro Imran Khan, attualmente in carcere , e continuerà a voler controllare il suo partito di opposizione, rendendo così impossibile un governo democratico guidato da civili, i problemi con gli Stati Uniti persisteranno, a meno che la CIA non riesca a prevalere nella competizione con il Dipartimento di Stato e il Pentagono. Qualunque sia l’esito, avrà un impatto enorme sugli affari globali, da qui l’importanza di seguirlo.
La normalizzazione politica tra India e Pakistan non è all’orizzonte, poiché ciò richiederebbe che il Pakistan accetti la revoca dell’articolo 370 da parte dell’India.
Il Ministro degli Affari Esteri indiano, il Dott. Subrahmanyam Jaishankar, avrebbe dichiarato il mese scorso ai membri del Comitato Consultivo Parlamentare per gli Affari Esteri che l’Associazione dell’Asia Meridionale per la Cooperazione Regionale (SAARC) “è in pausa; non abbiamo premuto un pulsante. È in pausa a causa dell’approccio del Pakistan”. Ha poi aggiunto che l’Iniziativa del Golfo del Bengala per la Cooperazione Tecnica ed Economica Multisettoriale (BIMSTEC) è ora la principale piattaforma indiana per l’integrazione regionale.
Il SAARC comprende Afghanistan, Bangladesh, Bhutan, India, Maldive, Nepal, Pakistan e Sri Lanka, mentre il BIMSTEC comprende Bangladesh, Bhutan, India, Myanmar, Nepal, Sri Lanka e Thailandia. In altre parole, il BIMSTEC elimina Afghanistan, Maldive e Pakistan e li sostituisce con Myanmar e Thailandia. Il SAARC si è sciolto nel 2016 dopo che l’India si è rifiutata di partecipare al vertice di quell’anno a Islamabad, in seguito all’attacco terroristico di Uri, attribuito dall’India al Pakistan. Da allora è in uno stato di stasi.
Al contrario, ogni altra regione del mondo ha abbracciato la tendenza multipolare della regionalizzazione attraverso le proprie piattaforme, rendendo così l’Asia meridionale un’eccezione evidente. Ciononostante, come Jaishankar avrebbe aggiunto nel suo intervento parlamentare, il BIMSTEC è ancora vivo e vegeto, e oggi rappresenta la piattaforma preferita dall’India per l’integrazione regionale. Non esistono differenze inconciliabili tra i suoi membri, a differenza del ruolo che il conflitto del Kashmir svolge per l’India e il Pakistan del SAARC.
BIMSTEC ha anche un proprio megaprogetto di connettività regionale, l’ autostrada trilaterale tra India, Myanmar e Thailandia, mentre SAARC non ha analoghi progetti, come ad esempio un corridoio India-Asia centrale attraverso Pakistan e Afghanistan. Inoltre, SAARC coinvolge i paesi ASEAN di Myanmar e Thailandia, rendendola così una piattaforma di cooperazione interregionale. Questi tre fattori rendono comprensibilmente BIMSTEC molto più attraente agli occhi dei politici indiani di quanto lo sia mai stata SAARC.
Questo contesto permette di comprendere meglio l’importanza delle ultime dichiarazioni di Jaishankar sul SAARC. Confermare che la partecipazione dell’India sia solo “in pausa” implica la possibilità che venga riattivata in presenza di diverse condizioni politiche regionali, in particolare un disgelo delle tensioni con il Pakistan, sebbene ciò dovrebbe comportare progressi significativi nella risoluzione del conflitto in Kashmir. Nessuna prospettiva si profila all’orizzonte, salvo una svolta imprevista dovuta alla divergenza delle posizioni.
Il sostegno del Pakistan a coloro che l’India considera terroristi è il problema principale dal punto di vista di Delhi, mentre per Islamabad è il trattamento riservato dall’India ai Kashmir, che considera un abuso coloniale. Hanno anche opinioni opposte sul tema di un referendum supervisionato dalle Nazioni Unite. Un’altra questione importante è la revoca da parte dell’India dell’articolo 370 nell’agosto 2019, che ha revocato l’autonomia del Kashmir amministrato dall’India e ha diviso la regione. Il Pakistan ritiene che ciò sia illegittimo e controproducente per la pace.
Sebbene entrambi gli stati siano potenze nucleari, l’India sta rapidamente emergendo come una grande potenza nella transizione sistemica globale verso la multipolarità, mentre il Pakistan sta vivendo una crisi socio-politica e, ancora oggi, una crisi terroristica.tumulti degli ultimi tre anni dal postmodernoColpo di stato contro Imran Khan. Le loro traiettorie separate in questo momento cruciale riducono le probabilità che sia l’India a fare concessioni volte a rianimare la SAARC e aumentano le probabilità comparative che lo faccia invece il Pakistan.
Detto questo, il Pakistan non ha ancora mostrato alcun segno concreto di volerlo fare, né prenderebbe una decisione del genere in modo avventato. Il conflitto del Kashmir non è solo una questione militare, ma anche un mezzo per rafforzare la legittimità di qualsiasi cricca politica che formalmente governa il Pakistan in un dato momento. Sostenere una risoluzione massimalista a favore del Pakistan è una politica genuinamente popolare a livello di base; allo stesso modo, segnalare qualsiasi cosa che possa anche lontanamente essere interpretata come un’intenzione di compromesso è molto impopolare.
Risolvere il conflitto del Kashmir attraverso un compromesso potrebbe anche non piacere alla potente leadership militare pakistana. La pace con l’India potrebbe portare a tagli alla spesa per la difesa, erodendo gradualmente l’influenza della loro istituzione. Renderebbe inoltre il Pakistan meno propenso a intervenire a sostegno della Cina se il suo “fratello di ferro” si trovasse coinvolto in una guerra aperta con l’India. La Cina, in quanto principale investitore del Pakistan, potrebbe sfruttare la sua influenza finanziaria per dissuadere l’esercito dal scendere a compromessi, al fine di non perdere quel piano di riserva.
Questi interessi reconditi impediscono una soluzione di compromesso al conflitto del Kashmir, sebbene tale esito schiuderebbe opportunità economiche senza precedenti per il Pakistan. Anche la normalizzazione politica tra India e Pakistan non è all’orizzonte, per non parlare di un accordo sul Kashmir, poiché richiederebbe al Pakistan di accettare la revoca dell’Articolo 370 da parte dell’India. Pertanto, è probabile che il SAARC non verrà rianimato a breve, e più a lungo rimarrà moribondo, più importante diventerà il BIMSTEC.
Siglato un accordo di cooperazione militare tra Serbia e Ungheria. Così Belgrado risponde al patto tra Albania, Kosovo e Croazia. Nei Balcani, la tensione continua a montare
Belgrado, Budapest e una “quasi alleanza militare“
Nei Balcani tornano i blocchi contrapposti
Lo scorso 1° aprile, in una Belgrado scossa dalle proteste, è stato siglato un accordo di cooperazione strategica fra Ungheria e Serbia. L’accordo va letto come una risposta a quella che il Presidente serbo AleksanderVučić aveva definito una «provocazione», ovvero la Dichiarazione congiunta di cooperazione nella difesa siglata da Croazia, Albania e Kosovo lo scorso 18 marzo a Tirana.
La firma dell’intesa serbo-ungherese si è svolta alla presenza di Vučić e ha visto come firmatari i rispettivi ministri della Difesa, il serbo BratislavGasić e l’ungherese Kristof Szalay-Bobrovniczky.
L’accordo «concretizza la cooperazione nel campo della difesa», ha detto Vučić a lato della firma, aggiungendo che, «le nostre relazioni sono più che buone, il Primo ministro ViktorOrbán e io abbiamo espresso il nostro desiderio di continuare ad accelerare e ad avvicinare ulteriormente le nostre posizioni nel campo della difesa». Gli ha fatto eco il ministro della Difesa ungherese, che ha sottolineato come «l’Ungheria è sempre dalla parte della pace e la Serbia è sua alleata in questo».
L’intesa serbo-ungherese non costituisce ancora un’alleanza militare in senso stretto, ma viene definita come “quadro di cooperazione strategica nel campo della difesa”. Tuttavia, il Presidente serbo ha voluto sottolineare come questo accordo rappresenti un «passo importante verso la creazione di un’alleanza militare».
Nel dettaglio, l’elemento fondamentale dell’intesa riguarda il rafforzamento della collaborazione nel campo della tecnologia militare, che prevede l’acquisizione di nuovi armamenti e sistemi di difesa, oltre che l’aumento degli addestramenti congiunti fra i due eserciti.
Il processo era d’altra parte già iniziato: nel 2024, l’esercito ungherese aveva consegnato a quello serbo 66 veicoli blindati Btr-80 di fabbricazione sovietica, che l’Ungheria sta sostituendo con i nuovi veicoli da combattimento cingolati Kf-41 Lynx, prodotti nello stabilimento ungherese dell’azienda tedesca Rheinmetall.
L’accordo prevede uno scambio costante di tecnologie e attrezzature tra i due Paesi, a dimostrazione della volontà di approfondire l’integrazione in ambito difensivo. Oltre alle attività prettamente militari, l’intesa include la cooperazione in settori come la sicurezza informatica, le operazioni di mantenimento della pace, l’istruzione e la medicina militare.
L’accordo è in contrapposizione all’intesa fra Croazia, Albania e Kosovo
L’intesa serbo-ungherese va letta come una chiara risposta all’accordo fra Croazia, Albania e Kosovo, che secondo Belgrado rischia di innescare «una corsa agli armamenti» nell’instabile regione balcanica.
Giova ricordare che dall’anno in cui dichiaròunilateralmentel’indipendenza nel 2008 il Kosovo (riconosciuto dall’Italia) continua ancora oggi a essere riconosciuto come parte integrante della Serbia dal governo di Belgrado, così come da alcuni Stati europei (per esempio la Spagna), pur essendo abitato da una maggioranzaalbanese.
Anche l’Ungheria ha riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, ma si è sempre espressa contro la sua entrata nell’Unione Europea e più in generale contro la sua integrazione euro-atlantica. Quest’ultima risulta peraltro essere uno dei punti chiave dell’accordo siglato a Tirana, che include anche esercitazioni militari congiunte, collaborazione economica e lotta alle minacce ibride.
Al di là della risposta al trattato di Tirana, l’accordo serbo-ungherese si inserisce in un contesto di crescente avvicinamento tra Serbia e Ungheria. Vučić ha sottolineato come Budapest sia diventata il quinto partner commerciale estero del Paese, evidenziando l’importanza delle relazioni economiche oltre che militari.
Parallelamente all’accordo sulla difesa, infatti, Vučić ha annunciato che la costruzione di un oleodotto congiunto tra la città ungherese di Algyo e Novi Sad potrebbe iniziare negli ultimi mesi del 2025.
Il presidente serbo ha inoltre anticipato un prossimo incontro con Orbán per confermare la comune volontà di proseguire nella partnership strategica su tutte le questioni di interesse reciproco.
La firma dell’accordo è stata anche l’occasione per discutere del futuro della Serbia nell’Unione Europea (Ue), con il ministro ungherese Szalay-Bobrovniczky che ha sottolineato l’importanza dell’ingresso di Belgrado nella stessa. Affermazione che trova peraltro in sintonia il Presidente serbo, che da anni spinge per l’entrata del Paese all’interno dell’Unione.
Se Belgrado entrasse nell’Ue, Budapest guadagnerebbe un importante alleato all’interno del Consiglio europeo, andando così a rafforzare la sua posizione politica (che al momento vede allineata solamente la Slovacchia e talvolta l’Italia e la Polonia).
Il ritorno dei “blocchi” nei Balcani?
Sebbene l’intesa non costituisca ancora un’alleanza militare formale, le già citate dichiarazioni di Vučić indicano chiaramente che questo è l’obiettivo a lungo termine delle due nazioni. Al momento né la parte ungherese né quella serba hanno fornito ulteriori dettagli su questa possibilità dopo la firma dell’accordo.
C’è chi però ha già espresso la sua intenzione di aderire a questa futura alleanza militare. Si tratta del leader della Repubblica Srpska (una delle due entità costitutive della Bosnia Erzegovina), Milorad Dodik. Incriminato e condannato dalle autorità di Sarajevo (ne avevamo parlato qui) ha annunciato l’intenzione di richiedere l’inclusione della Repubblica serba nell’accordo di cooperazione militare tra Serbia e Ungheria.
Durante una sessione espansa del governo, tenutasi il 5 aprile, Dodik ha dichiarato che la Repubblica Srpska «ha il diritto di aderire» a tale accordo, ribadendo anche che anche quest’ultima non accetterà mai di far parte della Nato.
Tuttavia, la proposta di Dodik si scontra con i limiti costituzionali imposti all’entità serba dalla carta fondamentale della Bosnia Erzegovina. La Costituzione del Paese attribuisce esclusivamente al governo centrale le competenze in materia di politica estera e difesa, rendendo improbabile che Dodik possa aderire formalmente all’accordo senza il consenso delle istituzioni centrali, che certamente non arriverà.
L’alternativa sarebbe esacerbare ancora di più lo scontroistituzionale, che ha già raggiunto livelli molto rischiosi, con le autorità bosniache che hanno chiesto all’Interpol di emettere un mandato di cattura internazionale per Dodik (al momento non concesso).
Oltre alla Repubblica Srpska, anche la Slovacchia rappresenterebbe un possibile futuro membro. Attualmente non si segnala nessuna indiscrezione in tal senso, tuttavia l’allineamento geopolitico e anche ideologico fra i governi di Viktor Orbán e Aleksandar Vučić con quello del premier slovacco Robert Fico è un fatto acclarato.
L’ingresso della Slovacchia potrebbe rafforzare ulteriormente l’asse strategico, creando una sorta di “corridoio” di Paesi conservatori allineati dal punto di vista geopolitico, che potrebbe influenzare le dinamiche regionali.
Soprattutto, schiaccerebbe in termini di forza economica e militare l’intesa fra Croazia, Albania e Kosovo. Il Pil aggregato di Serbia, Ungheria e Slovacchia ammonterebbe a 426,5 miliardi di dollari, mentre quello di Croazia, Albania e Kosovo a 118,3 miliardi (dati della Banca Mondiale al 2023). Distacco simile anche nel numero di militari in servizio attivo, con circa 86mila soldati da una parte e appena 31mila dall’altra (dati GlobalFirepower).
L’intesa fra Croazia, Albania e Kosovo godrebbe però senza dubbio dell’appoggio esterno turco, visti gli ottimi rapporti di Ankara con Tirana e Pristina, mentre c’è da scommettere che in caso di risoluzione del conflitto ucraino, Serbia, Ungheria e Slovacchia saranno fra i primi Paesi a restaurare completamente i rapporti con Mosca, con la quale si sono sempre trovate in sintonia.
Ma al di là di questo, i recenti accordi rappresentano di fatto la creazione di due coalizioni contrapposte, per quanto parzialmente trasversali ad altre organizzazioni già esistenti (Unione Europea e Nato). Il rischio concreto è che il precario equilibrio raggiunto dopo il crollo del blocco sovietico e la fine della guerra civile jugoslava possa essere rotto, con tragiche conseguenze per l’intero continente europeo.
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Le proteste dell’establishment si fanno sempre più forti ogni giorno per lo smantellamento da parte di Trump del cosiddetto “Ordine del dopoguerra”. Si tratta di un ordine che ha favorito solo le élite finanziarie globali, consentendo loro di creare vaste organizzazioni di cartello in grado di aggirare le leggi sovrane di qualsiasi nazione per facilitare l’arbitraggio predatorio attraverso truffe come il NAFTA, l’OMC, il Partenariato Trans-Pacifico (TPP) e altre, dove le multinazionali potevano fare soldi sfruttando la loro capacità di impoverire le nazioni e truffare allo stesso tempo i loro poveri lavoratori.
Il mese scorso l’Economist ha proclamato che la “rottura” di questo ordine mitico su cui l’imperialismo occidentale si è basato per 70 anni sta “acquisendo slancio”:
Paragonando Donald a un boss mafioso, il giornale The Economist, di proprietà dei Rothschild, ha servito una serie di minacce incutendo timore da parte della sua clientela globalista, come il tedesco Merz, che ha avvertito che la NATO potrebbe essere morta entro giugno . La loro strofa iniziale ammonisce che stiamo solo ora entrando in un mondo in cui “il più forte ha ragione”, dove le grandi potenze intimidiscono quelle piccole:
Si avvicina rapidamente un mondo in cui il più forte ha ragione, in cui le grandi potenze concludono accordi e intimidiscono quelle piccole. Il team di Trump sostiene che la sua capacità di stringere accordi porterà la pace e che, dopo 80 anni di scherzi, l’America trasformerà il suo status di superpotenza in profitto. Anzi, renderà il mondo più pericoloso e l’America più debole e povera.
Che sollievo sapere che la nostra “età dell’oro”, ormai in declino, è stata un’epoca in cui non c’erano poteri forti come gli Stati Uniti che intimidivano le altre nazioni.
L’Economist ci prende per degli amnesici se crede che possiamo dimenticare così in fretta i precedenti 70 anni di dominio americano su praticamente ogni Paese sotto il sole, in particolare nel suo stesso cortile; con gli infiniti “interventi” in luoghi come Grenada, Nicaragua, Cuba, Panama e molti altri. Il bullismo sembra contare solo contro i presunti “alleati” – le altre nazioni vengono disumanizzate applicando regole diverse: imporre dazi all’UE è “bullismo”, mentre bombardare lo Yemen è semplicemente un giustificato “controllo di polizia”.
Ma tralasciando l’aperitivo, ecco il vero cuore oscuro e rivelatore dell’articolo:
Il mondo ne soffrirà. Ciò che Trump non capisce è che anche l’America ne soffrirà. Il suo ruolo globale ha imposto un onere militare e un’apertura al commercio che hanno danneggiato alcune industrie americane. Eppure i vantaggi sono stati molto maggiori. Il commercio avvantaggia i consumatori e le industrie importatrici.Essere il cuore del sistema finanziario basato sul dollaro consente all’America di risparmiare oltre 100 miliardi di dollari all’anno in interessi passivi e di gestire un elevato deficit fiscale. Il fatturato estero delle aziende americane vale 16.000 miliardi di dollari. Queste aziende prosperano all’estero grazie a regole commerciali globali ragionevolmente prevedibili e imparziali, piuttosto che a corruzione e favori speciali transitori: un’etica che si adatta molto meglio alle aziende cinesi e russe.
Questo delinea il vero nucleo di ciò che i proprietari dell’Economist stanno cercando di proteggere: l’imperialismo globalista neoliberista predatorio del “libero mercato”. L’autore anonimo descrive i principali vantaggi di questo “sistema” che Trump presumibilmente minaccia. Questi “vantaggi” vanno principalmente alle mega-corporazioni transnazionaliste che hanno da tempo abbandonato ogni lealtà verso gli “stakeholder” americani, gli stessi stakeholder che generalmente finanziavano e sovvenzionavano l’ascesa al potere di quelle aziende.
“Il fatturato estero delle aziende americane vale 16.000 miliardi di dollari”, si vanta l’Economist. E cosa guadagna l’americano medio dalla capitalizzazione di mercato di queste aziende, che di fatto non sono più americane? Nient’altro che prezzi in continuo aumento e un’economia devastata.
Per ironia della sorte, lo stesso numero dell’Economist contiene il seguente articolo di condanna:
Confuta la loro stessa argomentazione precedente, lamentando che le nazioni occidentali si siano deteriorate a tal punto che per comprare una casa, o in generale per “farcela” nella vita, è necessario ereditare una ricchezza. Concludono:
Questo cambiamento ha conseguenze economiche e sociali allarmanti, perché mette a repentaglio non solo l’ideale meritocratico, ma il capitalismo stesso.
Trump minaccia di sovvertire questo ordine mondiale “prospero” che ha portato a un’intera “generazione perduta” affogata nel malessere inflazionistico, nel decadimento culturale e in una spirale di morte economica. Diventa chiaro che i sostenitori dell’establishment si preoccupano solo dei dogmi di partito, per quanto goffamente si intreccino con la logica e la realtà oggettiva.
I sostenitori del compromesso presumono che l’America possa ottenere ciò che vuole contrattando. Eppure, mentre Trump sfrutta dipendenze decennali, l’influenza dell’America si esaurirà rapidamente.
Ciò a cui stiamo assistendo ora è il riordino del mondo attraverso diversi blocchi difensivi. Dopo l’annuncio dei dazi di Trump, la Malesia, presidente del blocco, ha convocato una riunione di “emergenza” delle nazioni ASEAN, prevista per il 10 aprile, al fine di elaborare una risposta unitaria.
Il Primo Ministro della Malesia afferma che la regione sta preparando una ” risposta ASEAN unita ” piuttosto che cedere alle pressioni
Allo stesso modo, ora dall’interno dell’establishment dell’UE si leva un appello a spingere per una centralizzazione ancora maggiore, un sogno di lunga data degli euro-tecnocrati. L’argomentazione comoda è che solo un’Europa “unificata” può tenere testa ai grandi prepotenti del mondo in un’epoca di “politiche di grande potenza”.
Due anni fa, simili appelli erano già stati lanciati dal principe banchiere turbo-globalista Mario Draghi:
Fondamentale per l’argomentazione di Draghi era la seguente ragione (da notare):
“Oggi il modello di crescita si è dissolto e dobbiamo reinventare un modo di crescere, ma per farlo dobbiamo diventare uno Stato”, ha detto.
Quindi: il capitalismo clientelare predatorio del “libero mercato” ha fatto il suo corso parassitario portando alla bancarotta il suo ospite; ora l’unica soluzione è quella di porre tutti i beni e i mezzi di produzione sotto il controllo centralizzato dello stato e istituire un comunismo clientelare globale, gestito da un politburo di apparatchik delle banche centrali.
Quanto sopra aiuta a contestualizzare quanto sta accadendo oggi, quando un’altra amica delle banche centrali, Christine Lagarde, ha chiesto all’Europa di unirsi e “marciare verso l’indipendenza” contro gli Stati Uniti:
È interessante notare che la frattura tra Europa e Stati Uniti era stata prevista da tempo da alcuni pensatori. Alain de Benoist, ad esempio, condivise la seguente previsione in un’intervista dei primi anni ’90 allarivista tedesca Junge Freiheit – si noti la parte delineata:
In breve, egli prevedeva la formazione di una frattura tra Stati Uniti ed Europa dovuta agli eccessi esorbitanti dei privilegi americani, che consentono agli Stati Uniti di prosperare anche nelle condizioni di deterioramento terminale del globalismo iperfinanziarizzato, mentre il resto del mondo occidentale indebitato viene lentamente risucchiato nel vortice.
L’ondata di dazi del team di Trump ha sconvolto gli osservatori con l’egoistica sfacciataggine delle sue richieste. Ad esempio, il WHCEA (Consiglio dei Consulenti Economici della Casa Bianca), presieduto da Stephen Miran, si è spinto fino a suggerire scandalosamente che i Paesi che desiderano entrare nelle grazie degli Stati Uniti potrebbero semplicemente pagare un tributo diretto, in modo che gli Stati Uniti possano “finanziare i beni pubblici globali”:
Questa è la definizione stessa del racket di protezione di un gangster: tattiche mafiose per la fine del mondo. Ma si può biasimare gli Stati Uniti per il fatto di badare ai propri connazionali? La morale è che ogni nazione dovrebbe fare lo stesso.
Alcuni non sono convinti, come il commentatore francese Arnaud Bertrand:
Sinceramente non so cosa sia più patetico: il Paese più ricco del mondo che in qualche modo si convince di essere una vittima e chiede al mondo intero di pagare letteralmente per il privilegio di essere soggiogato, o quei Paesi che scelgono di abbandonare ogni amor proprio, convalidare questa follia e finanziare la propria oppressione. Una cosa è però chiarissima: questo episodio passerà alla storia come uno dei giochi di potere più palesemente sfruttatori della storia umana, e coloro che si sottometteranno probabilmente porteranno il marchio della loro codardia per molto, molto tempo.
Osservatori attenti hanno paragonato la visione emergente di Trump a una sorta di “Perestrojka” americana, e per più di un motivo il paragone è azzeccato.
Un analista russo osserva:
Penso che dietro le quinte accadano cose molto più grandi.
A mio parere, Trump si trova nelle fasi iniziali di qualcosa di simile alla “Perestroika” di Gorbaciov, con tutto ciò che ne consegue… è un processo che potrebbe richiedere un decennio o più.
Ad esempio, possiamo probabilmente aspettarci una riduzione della presenza statunitense in Europa e una maggiore attenzione al proprio emisfero. Contrariamente a quanto molti pensano, gli Stati Uniti non possono continuare a spendere all’infinito le somme spese finora per mantenere l’attuale impero globale statunitense.
L’UE dovrà aumentare drasticamente la spesa per la difesa per compensare la ridotta presenza degli Stati Uniti… se avranno la capacità economica per farlo è discutibile e resta da vedere.
La “Perestrojka” sovietica istituita da Gorbaciov seguì l ‘”Era di Stagnazione”Sotto il governo di Brežnev, la Perestrojka, che significa “ricostruzione” o “ristrutturazione”, non solo cercò di invertire il collasso economico, ma anche di riorientare il discorso politico, allontanandolo dall’adesione dogmatica alle ideologie di partito. Questo può essere chiaramente paragonato alla “de-ideologizzazione” della cultura e della politica americana da parte di Trump, dopo un periodo di tirannico governo della “sinistra woke”, in cui qualsiasi divergenza dalla linea del partito veniva punita senza pietà.
Un paragone ancora più interessante emerge da questa descrizione di uno dei catalizzatori dell’era di stagnazione nell’URSS degli anni ’60 e ’70:
Robert Service, autore di History of Modern Russia: From Tsarism to the Twenty-first Century, sostiene che con l’aumento dei problemi economici la disciplina dei lavoratori diminuì …
… questa politica fece sì che le industrie governative, come fabbriche, miniere e uffici, fossero gestite da personale indisciplinato e improduttivo, dando origine in ultima analisi a una “forza lavoro fannullona” tra i lavoratori e gli amministratori sovietici.
Non vi ricorda forse il moderno fenomeno occidentale delle “dimissioni silenziose”, oggi così dibattuto tra economisti e critici culturali? Certo, potrebbe non essere identico per causa e natura, ma resta indiscutibile che la forza lavoro americana sia stata sventrata dalla triplice minaccia delle migrazioni di massa, dell’anomia generale dei lavoratori come conseguenza del decadimento culturale e, in particolare, dell’alienazione di massa e della privazione dei diritti degli uomini di mentalità conservatrice. Questi fattori hanno contribuito fortemente all’attuale crisi di dubbi sulla capacità della “manifattura americana” di tornare mai a una parvenza del suo antico splendore, a prescindere da quanto Trump possa colpire l'”Ordine Mondiale”.
L’Europa stessa si trova ad affrontare una crisi paradossale. La rottura dell’ordine mondiale post-Guerra Fredda, basato sulla “Fine della Storia”, ha ridotto l’Europa a un continente frammentato di pesi leggeri in un mare di orche assassine. Per “competere”, o anche solo avere voce in capitolo, le élite europee non vedono altra scelta che centralizzare il controllo, perché la forza può derivare solo da un’azione unitaria . Il problema è che centralizzare questo controllo richiede la repressione della “democrazia”, una realtà resa accettabile alla maggior parte delle élite europee in virtù della crescente urgenza della situazione.
Ciò ha portato a un’ondata senza precedenti di repressioni democratiche, in Georgia, Moldavia, Turchia, Romania, Germania e ora Francia. Due settimane fa, la governatrice filorussa della regione autonoma della Gagauzia, Eugenia Gutul, è stata arrestata dalle autorità moldave. Poco dopo, la francese Marine Le Pen è stata arrestata e le è stata impedita di candidarsi alla presidenza. Nel frattempo, la Germania ha continuato a discutere la messa al bando del partito AfD.
Ora l’UE sta cercando disperatamente di sospendere il diritto di voto dell’Ungheria, un caso che sarà riacceso dall’imminente arrivo di Merz:
I governanti dell’UE sanno che solo un governo esecutivo potente e centralizzato può competere, può resistere alla spinta esistenziale di giganti come Stati Uniti, Cina e Russia. Quindi raddoppiano gli sforzi per schiacciare la libertà per avere una possibilità di creare un fronte unificante che possa evitare di essere inghiottiti in questa lotta tra draghi, orsi e aquile nucleari.
La disgregazione globale è stata aggravata dai messaggi imprevedibili di Trump, che rendono impossibile sia per gli alleati che per i nemici prevedere il suo prossimo angolo di attacco. Un esempio calzante: solo il mese scorso Trump ha chiesto una riduzione del 50% della spesa militare tra le grandi potenze; poi ieri ha annunciato con nonchalance un budget per la difesa da 1.000 miliardi di dollari – il più grande della storia – sostenendo che è “necessario” perché il mondo è ora pieno di “cattivi come mai prima d’ora”.
Certo, per il bene dell’integrità dei giornalisti, Trump aveva inizialmente dichiarato che avrebbe chiesto a Putin e Xi una riduzione della spesa per la difesa “dopo” aver messo un freno alle attuali crisi globali; ma annunciare subito il più grande bilancio per la difesa degli Stati Uniti di sempre invia un messaggio piuttosto dubbio a leader di principio come Putin e Xi.
Secondo quanto riportato da “informatori della Casa Bianca”, Trump, al tramonto della sua vita e presumibilmente anche del suo ultimo mandato, ha perso ogni inibizione quando si tratta di azioni coraggiose:
“È arrivato al culmine del non gliene frega più niente”, ha detto al Post un funzionario della Casa Bianca che conosce bene il pensiero di Trump. “Cattive notizie? Non gliene frega niente. Farà quello che deve fare. Farà quello che ha promesso di fare durante la campagna elettorale”.
Beh, si suppone che sia facile non preoccuparsene più quando il Paese ha toccato il fondo, e praticamente nulla di ciò che Trump fa potrebbe farlo sprofondare più in basso di quanto abbia fatto la disastrosa amministrazione Biden.
Le epoche di transizione di cambiamenti rivoluzionari globali sono sempre periodi di consolidamento del potere. Proprio come la Grande Depressione e la Seconda Guerra Mondiale portarono alla formazione non solo di blocchi, ma anche di vari organi globali di governo e controllo come le banche centrali, l’IRS, la BRI, l’ONU e molti altri, l’attuale era di sconvolgimenti, galvanizzata dall’atteggiamento sprezzante di Trump, che “sta al vento”, ristrutturerà nuovamente il tessuto globale. Una delle possibili strade vede gli Stati Uniti consolidare i propri vassalli sotto un rinnovato giogo economico, con un’Europa tagliata fuori dall’energia russa e lobotomizzata dalla “mania di guerra”, costretta ad aggrapparsi permanentemente al Complesso Militare-Industriale statunitense. Un’altra possibilità vede l’UE disgregarsi in una babele incoerente di disunione e disordine, destinata a essere rovinata da un decennio di proteste, crescente violenza e malcontento e paralisi politica, per poi essere infine soffocata dalle lotte intestine.
Una cosa è certa: solo i più forti sopravviveranno all’era futura come civiltà sovrane e sane, gli altri saranno divorati come pedine dello scambio di risorse. In Europa, più le élite si impegneranno per ottenere il controllo e raddrizzare la nave, più fomenteranno disunione e risentimento, perpetuando un ciclo infinito di disordini finché le crepe non inizieranno a trasformarsi in fenditure aperte e il blocco europeo inizierà a disgregarsi. La messa al bando dei partiti politici e la privazione del diritto di voto all’Ungheria la porteranno un passo più vicina alla fine.
Da accelerazionista in un certo senso, giudico in definitiva le azioni di Trump positive per lo sviluppo mondiale, a prescindere da ciò a cui porteranno, perché una scossa a un sistema ormai sclerotico è meglio che guadare in un malessere globale senza fine. Ma come ho sostenuto più volte, credo che l’attuale periodo di transizione sia appena iniziato e si trascinerà per altri cinque o dieci anni, raggiungendo il picco intorno al 2030-2035, secondo molti modelli come la teoria della Quarta Svolta . Solo allora le cose si stabilizzeranno nel nuovo schema, con la trasformazione socioeconomica dell’IA che probabilmente segnerà nuovi paradigmi globali quasi impossibili da prevedere.
Per ora, tutto ciò che possiamo sperare è che le doglie del parto per la futura riorganizzazione globale non portino all’estinzione della civiltà attraverso una guerra nucleare. Finché Trump giocherà bene le sue carte e non “permetterà” ai pazzi dell’UE di provocare la Russia nei prossimi anni, dovremmo assistere alla stabilità e alla risoluzione del conflitto ucraino, seguite dall’indebolimento permanente o dalla distruzione della fazione dei falchi della cabala di Davos all’interno dell’UE. Senza il sostegno degli Stati Uniti, l’UE sarà costretta a una risposta “tutto abbaia e niente mordi” contro la Russia, finendo per arretrare umiliata.
Ma l’attuale disfatta globale, e in particolare la guerra dei dazi di Trump, ha generato una spaccatura senza precedenti anche tra i commentatori tradizionalmente anti-globalisti e pro-Trump. La vecchia generazione è indignata per la percepita distruzione dei propri fondi pensione 401k, mentre persino esperti di spicco come Jeffrey Sachs sono in aperto disaccordo tra loro, con alcuni che salutano le azioni di Trump come audaci scacco matto hamiltoniano, mentre altri le condannano come irregolarità criminalmente incompetenti. Dobbiamo riconoscere che nessuno di noi può dire con assoluta certezza quale sia la posizione corretta, perché la natura schizofrenica dell’attuale panorama geopolitico globale si è per molti versi slegata dai precedenti noti, e persino dalla razionalità stessa. Ma almeno si è capito dove ha portato la Perestrojka originale, e le avventure di Trump a tarda ora potrebbero segnare gli stessi spasimi di morte che il Politburo aveva messo in discussione in quei fatidici giorni calanti degli anni ’80.
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L’Esercito che non c’è – Stili, illusioni e logiche profonde del riarmo europeo
Regno Unito: la regia imperiale che non investe
Il Regno Unito continua ad esercitare una leadership strategica all’interno dello spazio euroatlantico pur senza impegnare risorse proporzionate. Il suo modus operandi si fonda su una lunga tradizione di influenza sistemica: partecipa alla scrittura delle dottrine, alla direzione delle coalizioni, alla definizione degli scenari , ma investe solo quanto necessario a mantenere la credibilità simbolica.
Dal punto di vista operativo, Londra si appoggia a una catena di satelliti minori – Polonia, Paesi Baltici, Danimarca – che fungono da manodopera militare, da cassa di risonanza ideologica e da cuscinetto fisico in caso di escalation. A loro vengono assegnati i compiti operativi e le spese vive.
Il caso polacco è emblematico. Negli ultimi tre anni, Varsavia ha investito in armamenti con un’intensità superiore a qualsiasi altro paese europeo. Solo nel 2023, ha firmato contratti per oltre 14 miliardi di euro in armamenti importati (inclusi K2 sudcoreani, F-35 statunitensi, HIMARS e 250 Abrams M1A2 SEP v3 di seconda mano). Tuttavia, nonostante la massa critica, la Polonia non ha alcuna voce reale nei processi decisionali dell’alleanza.
Trump ha lasciato intendere che le garanzie NATO non sono più incondizionate. Questo scenario riduce il potenziale politico dell’armamento polacco a una collezione museale operativa , con costi di mantenimento altissimi e scarsa interoperabilità strutturale.
Nota operativa:
La dottrina britannica post-Brexit si riflette nel concetto di ” Persistent Engagement ” (MOD 2021), ovvero presenza tattica con minimo impegno logistico.
I programmi come Global Combat Air Program (GCAP) (UK-JP-IT) sono pensati come leva industriale e diplomatica, non come soluzioni operative a breve termine .
Il supporto britannico a Kiev avviene per delega e senza discontinuità industriale interna: le munizioni da 155mm non vengono prodotte in UK ma richieste ad alleati NATO.
L’asse tecnocratico franco-belga: stile, fondi, fumo che sembra incenso
In parallelo al dominio narrativo britannico, il blocco continentale “alto” – Francia, Belgio, Olanda, Spagna – ha elaborato un’altra strategia: non controllare le truppe, ma il bilancio e la progettazione.
L’obiettivo è drenare fondi europei e posizionarsi al centro dei programmi tecnici di nuova generazione. In questa visione, l’industria della difesa è una leva per la sovranità industriale , non una funzione militare in senso stretto. Il vero nemico non è l’invasore, ma l’esclusione dal procurement.
La Francia guida questo asse con una potenza di fuoco retorica ben oliata:
il programma SCAF/FCAS (sistema di combattimento aereo del futuro, in teoria con Germania e Spagna) è in stallo politico da anni , ma serve a mantenere centralità tecnologica.
ArianeGroup , che avrebbe dovuto rappresentare la punta di diamante aerospaziale europea, è afflitto da ritardi e costi fuori scala.
Dassault , invece, continua a promuovere il Rafale come standard europeo de facto, ignorando volutamente i problemi di interoperabilità NATO.
La Spagna partecipa come comprimario nei progetti condivisi, spesso con il solo scopo di garantirsi ritorni economici interni. Il Belgio, privo di una base industriale reale, agisce come distributore istituzionale : partecipa ai board, coordina tavoli, elargisce deleghe.
Nota operativa:
Il SCAF è ufficiale in sviluppo ma ha già superato i 10 miliardi di spesa prevista senza una singola ora di volo operativo.
Il Belgio non possiede una produzione autonoma di mezzi blindati: i Leopard 1 venduti all’Ucraina sono recuperati da stock dismessi e rivenduti da privati.
La Francia considera il riarmo anche come un modo per sostituire i vecchi sistemi nel Sahel e nel Pacifico senza ammettere il fallimento strategico delle missioni precedenti.
Italia-Germania-Grecia: il blocco delle mani sporche
Qui troviamo l’Europa che ancora lavora. Che costruisce, che assembla, che arma davvero. Ma anche quella che non ha voce.
L’Italia, attraverso Leonardo, gestisce alcune delle piattaforme più avanzate del continente: radar AESA, elettronica da difesa, corazzata navale, torrette remotizzate. Leonardo collabora con Rheinmetall su molte linee terra-terra, inclusi progetti come il KF51 Panther.
La Germania è un colosso diviso tra due anime: quella strategica (bloccata politicamente) e quella industriale (in crescita costante). Rheinmetall e KMW sono oggi i fornitori di riferimento per ogni esercito europeo che voglia aggiornare i propri MBT (Main Battle Tank). La Grecia, invece, è diventata un hub logistico NATO , con ampliamento delle basi USA (Souda Bay, Alexandroupoli), ma anche punto d’ingresso di capitali turchi e israeliani per la cantieristica ei droni navali.
Tuttavia, questo blocco “produttivo” non controlla né fondi né visibilità. La narrazione è dominata da chi firma gli appalti, non da chi costruisce le piattaforme. Il rischio: fare da subfornitori nella guerra in cui altri decidono quando e dove colpire.
Nota operativa:
Il Panther di Rheinmetall non è ancora operativo ma è stato già offerto a più di 10 eserciti, con capacità IA integrata e torretta indipendente.
Leonardo produce sistemi radar 3D come il Kronos Grand Mobile HP , già adottato da Italia e Qatar.
La Grecia è l’unico paese UE a ospitare tre livelli diversi di forze armate estere simultanee : NATO, USAF, e contratti civili israeliani.
Finlandia e Svezia: NATO prêt-à-porter
Sono i nuovi ingressi, ma sembrano già veterani. Finlandia e Svezia portano in dote infrastrutture, cultura della difesa e credibilità strategica . Ma la loro potenza sta nel conformarsi. Sono le forme perfette per l’incastro NATO , senza mai deviare.
La Finlandia mantiene un servizio militare obbligatorio altamente efficiente. L’artificiale finlandese è la più numerosa pro capite in Europa. La Svezia ha invece eccellenze nell’aeronautica (Saab Gripen), nei sottomarini e nella difesa costiera.
Eppure, nessuno dei due paesi guida processi o disegna dottrine . Sono esecutori perfetti. Partner ideale per moduli NATO. Ma non scenari. Non coreografi. Non decisori.
Nota operativa:
La Finlandia possiede più di 150 pezzi di fascista semovente K9 Thunder , rendendola leader nel tiro indiretto in Europa del Nord.
La Svezia ha rilanciato la produzione del Gripen E/F , ma non ha trovato clienti UE oltre la Repubblica Ceca.
Entrambi i paesi sono pronti ad ospitare armi nucleari tattiche USA, ma non formalizzano nulla, mantenendo una postura “strategica ambigua”.
Paragoni impossibili
Dispetto di ogni tentativo mediatico di tracciare paralleli tra l’Europa attuale e quella pre-1914, la situazione strategica, economica e industriale dell’Unione Europea, e in particolare della Germania, è radicalmente diversa. Il periodo che precedette la Prima guerra mondiale era caratterizzato da una crescita industriale esplosiva, da un’espansione navale e terrestre continua e da una logica di potenza che integrava politica estera, finanza e apparato militare. La Germania attuale, invece, è una potenza economica formalmente centrale ma strategicamente paralizzata , militarmente dipendente dagli Stati Uniti e industrialmente non in grado di sostenere un vero riarmo autonomo.
La Bundeswehr ha visto il proprio budget salire a circa 51,8 miliardi di euro nel 2023 , pari a poco più dell’1,57% del PIL tedesco. Ma dietro questi numeri si cela un sistema inefficiente: il 77% del budget è assorbito da costi fissi (personale, manutenzione), mentre oltre il 60% degli asset principali è giudicato non operativo dallo stesso Bundesrechnungshof , la Corte dei Conti tedesca. I carri Leopard 2A6 disponibili sono meno di 300, ma solo una frazione è effettivamente pronta al combattimento . La Luftwaffe dispone di circa 138 Eurofighter, ma meno di 50 sono in condizioni di volare . L’esercito tedesco non ha una difesa aerea a lungo raggio e presenta gravi lacune nei sistemi di comando e controllo.
Il progetto ReArm Europe , presentato come risposta comune alla minaccia russa, è nei fatti una costruzione lobbistica , gonfiata da pressioni industriali e transatlantiche. Prevede una spesa di circa 800 miliardi di euro nei prossimi anni, ma secondo stime indipendenti (Bruegel, ECFR, EDA), la cifra reale per rendere l’Europa militarmente autonoma supera i 2500 miliardi . Il rapporto Draghi sulla competitività europea, pur con tono tecnocratico, mostra come una quota sproporzionata dei fondi sia diretta verso Berlino , malgrado la Germania non disponga di una filiera militare completa né di una dottrina strategica indipendente.
Ed è proprio in questa zona grigia — tra suggerimento e analisi superficiale — che si inseriscono alcune narrazioni di successo: la tendenza, ormai rituale, a evocare le guerre passate per spiegare quelle future. È il caso anche del professor Barbero, immagine- simulacro della Rai progressista-liberal democratica che fu , si spinge a paralleli forzati con la Germania guglielmina ea scenario da “sonnambulismo europeo” rispolverando poi , il paragone trito e ritrito , e francamente forzato , “ paradosso della sicurezza“ durante il collegamento via satellite dalla Rai di Torino con la manifestazione di Roma promossa da Conte i 5 Stelle .
Una retorica rassicurante, adatta ai talk show per pensionati, che offre al pubblico la sensazione di capire tutto senza dover confrontarsi con la realtà: ovvero che la Germania non è un attore aggressivo, ma un contenitore fragile in cerca di rilevanza strategica, completamente dipendente da Washington , privo di autonomia e coraggio come l’episodio Pavloviano del Nord Stream ha dimostrato . L’arrivo di Merz direttamente dalle porte giravoli della Finanza globalista non fa che chiarire il quadro generale tutt’altro che trionfalistico .
In sintesi, non siamo nel 1913 . L’Europa non ha la massa critica industriale, non ha la coesione politica e, soprattutto, non ha la volontà strategica. Parlare di un riarmo tedesco come opzione reale è un’illusione utile solo a chi deve giustificare lo spostamento di fondi. Serviranno almeno 10-15 anni per ricostruire una capacità produttiva militare autonoma — e anche ammesso che ciò accada, sarà sotto l’0mbrello della NATO .
Il ReArm non è un progetto operativo. È un test. Una piattaforma psicopolitica per capire chi può entrare nel nuovo ordine di guerra cognitiva e chi resta a saldare telai.
Gli inglesi dirigono la scena. I francesi gestiscono i fondi. Gli italiani bullonano silenziosi. I tedeschi tergiversano. I polacchi spendono. I belgi moderano. I finnici si allineano. E da qualche parte, tra server farm, consorzi e think tank, qualcuno osserva chi si muove, chi obbedisce, chi devia.
Non è una corsa agli armamenti. È una selezione del personale.
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Negli ultimi giorni le notizie geopolitiche sono state relativamente lente, quindi questa è sembrata una buona occasione per aggiornarsi sui progressi in prima linea, che hanno avuto un’accelerazione questa settimana.
Le forze russe hanno continuato ad avanzare praticamente su ogni fronte, con nuove voci che emergono tra gli ucraini su varie possibili direzioni offensive. Una di queste è la direzione di Kupyansk, dove le forze russe avrebbero radunato truppe.
Lì i progressi stanno accelerando. Le forze russe sono entrate a Kamyanka, catturando una larga parte della città:
Di seguito una visuale più ampia per una migliore prospettiva, con Kamyanka cerchiata in rosso e Kupyansk in giallo:
Un po’ più a sud, il controllo russo aumentò in direzione di Kupyansk stessa, come si può vedere nella parte inferiore della mappa seguente:
Si può osservare che la nuova “testa di ponte” sul fiume Oskil sta crescendo sempre di più.
A sud di lì, su quello che chiamerò asse Kreminna-Izyum, le forze russe si stanno espandendo ogni giorno:
Una visione più ampia per una prospettiva:
Ed è proprio su questo fronte che un importante funzionario ucraino ha lanciato l’allarme sul peggioramento della situazione:
Il comandante di plotone del 24° battaglione “Aidar” Stanislav Bunyatov segnala un peggioramento della situazione sull’asse Lyman: Yampolivka è sotto il controllo russo, il nemico usa l’infiltrazione in gruppi di 1-2 uomini attraverso la foresta, rendendo difficile tracciare il movimento
L’area specifica di Yamplovka a cui fa riferimento in relazione alle mappe soprastanti è questa:
A Toretsk, la Russia ha riconquistato molte posizioni che l’Ucraina aveva recentemente conquistato nella sua breve controffensiva volta a rafforzare Zelensky durante i colloqui di cessate il fuoco.
Poco più a sud, sul fronte di Konstantinovka, le forze russe hanno diviso in due una via di rifornimento chiave; da Suriyak:
Situazione sul fronte Grodovskaya: nelle ultime 48 ore l’esercito russo avanza verso ovest di Oleksandropil, prendendo il controllo del sistema di trincee sull’autostrada H-20.
E il fronte di Zaporozhye ha assistito ad alcuni dei più grandi avanzamenti nell’ultima settimana, con espansioni di territorio in più direzioni:
Anche sul fronte di Velyka Novosilka la Russia si è espansa, catturando il villaggio di Vesele e espandendosi anche verso ovest:
Suriyak:
Con l’ultima avanzata l’esercito russo ha raggiunto il giacimento di litio nella periferia orientale di Shevchenko.
A scopo di confronto, ecco uno screenshot del mio ultimo Sitrep che menziona l’area, dove puoi vedere che Vesele non è stato catturato:
Alla TV ucraina, un comandante dell’Azov ha lanciato l’allarme per un’imminente offensiva russa ad aprile:
La Russia prepara l’offensiva ad aprile — Azov Nazi
Due o tre divisioni russe si stanno addestrando nei campi di addestramento da oltre un mese. Sono ben equipaggiate e hanno riserve, lamenta il comandante del 1° battaglione d’assalto del 3° corpo d’assalto “Azov”, un’unità terroristica dei nazisti ucraini.
In precedenza, il direttore del Centro per la lotta alla disinformazione Kovalenko aveva affermato che la Russia si sta preparando per un’offensiva non ad aprile, ma a maggio.
RVvoenkor
Afferma che la Russia ha 2-3 divisioni per questo compito e che l’offensiva sarà diretta verso l’area di responsabilità della sua 3a Brigata d’assalto separata, che si trova sull’asse Lyman-Izyum.
Di seguito è riportata la posizione della brigata Azov cerchiata in rosso, con Izyum cerchiata in giallo sulla sinistra e Lyman in basso, per riferimento geospaziale:
A conferma di quanto sopra, un canale di analisi ucraino ha presentato il video qui sotto con affermazioni secondo cui “un’enorme forza russa” di 30.000 soldati si sta preparando per un’offensiva per catturare Lyman e raggiungere il fiume Oskil:
Posta ucraina: la cosiddetta volontà russa di pace sta radunando circa 30.000 terroristi nel nord dell’Ucraina per un attacco nella zona di Lyman che raggiungerà il fiume Oskil, secondo Reporting From Ukraine.
Gli ultimi dati sul ritmo dei progressi russi:
05,04,25 Zona SVO – Tasso di avanzamento
La velocità media giornaliera di avanzamento delle Forze Armate russe nella zona SVO nel marzo 2025 era di 8,3 km².
Facciamo un’autopsia istruttiva su uno dei recenti progressi, per capire come si stanno evolvendo le attuali tattiche di assalto in prima linea.
Della 4a Motorized Rifle Brigade, ex 2nd Army Corps delle forze LPR. Questa brigata opera nella regione meridionale di Chasov Yar, a ovest di Bakhmut. Diversi giorni fa hanno catturato posizioni ucraine con un classico treno blindato di veicoli da combattimento pesantemente modificati:
Immagini della 4a Brigata Fucilieri Motorizzata.
Un gruppo di carri armati in avvicinamento alle posizioni ucraine; i carri armati sono dotati di rulli anti-mine e di un’ampia protezione aggiuntiva, tra cui molti sistemi di guerra elettronica.
I carri armati stessi venivano utilizzati come mezzi di trasporto, dai quali venivano calate le truppe.
Si può vedere che la parte anteriore del gruppo usa carri armati con rulli pesanti per neutralizzare le mine e creare un passaggio sicuro verso l’area bersaglio. Si noti che il carro armato è dotato di moduli EW anti-drone sul tetto, moduli diversi per coprire quante più frequenze possibili:
Al minuto 0:40 del video, noterete la fanteria scendere da sotto il capannone dei carri armati. Ciò significa che i carri armati da combattimento principali vengono utilizzati per trasportare la fanteria d’assalto direttamente sopra di loro, insieme ad altri veicoli corazzati per il trasporto di personale.
Uno dei motivi è dovuto alla continua minaccia dei droni: ora si ritiene ironicamente più sicuro viaggiare in cima piuttosto che all’interno di una “deathbox”, perché ciò consente alle truppe di scendere rapidamente e disperdersi se i rilevatori di droni avvertono di una minaccia o se i colpi sono già in arrivo.
Per questi scopi vengono spesso utilizzati i T-62, che diventano di fatto mezzi di trasporto:
Per quanto riguarda il montaggio sul tetto, penso che sia preferibile viaggiare sul tetto di un T-62 modificato piuttosto che su un BMP-2 di qualsiasi modifica.
– Migliore protezione delle miniere
– Più potenza di fuoco
– La struttura e la potenza del carro armato consentono il montaggio di armature artigianali più spesse.
La parte successiva più importante è il minuto 2:12 del video.
Noterete che il carro armato fornisce una copertura fumogena pesante mentre le truppe scendono. Le truppe poi fanno saltare le trincee ucraine e catturano le trincee.
La minaccia dei droni è aumentata così tanto da entrambe le parti che ci si può aspettare che qualsiasi veicolo corazzato d’assalto venga colpito più di 10 volte dai droni nemici. Ma contrariamente alla propaganda che mostra colpi di esplosioni rapidamente giuntati, la maggior parte dei carri armati sopravvive a una moltitudine di colpi di droni prima di essere disattivati.
Un carro armato russo “rimasto” durante un recente assalto è stato probabilmente colpito più volte:
Una registrazione ucraina mostra un BMP-2 russo colpito letteralmente circa 10 volte nel giro di pochi secondi, tale è la proliferazione dei droni su molti fronti:
Ecco come appare un assalto a un veicolo blindato in condizioni in cui i droni controllano completamente lo spazio aereo. Video del tentativo di attacco del BMP-2 russo, filmato dalla 38a Brigata dell’Ucraina
Un’unità russa mostra ancora una volta l’enorme quantità di droni abbattuti dalla sua guerra elettronica nei pressi del confine di Kursk:
Oltre 1.000 droni FPV ucraini sono stati bloccati dalle unità di guerra elettronica russe nei pressi del confine di Kursk.
Li hanno smontati per ricavarne parti che torneranno utili ai droni russi, e hanno ammucchiato i telai vuoti in una specie di installazione improvvisata , una specie di visuale sulle nuove realtà della guerra moderna. Il Khokhol continua a provare a tenere almeno un piede nella nostra area di confine, inviando costantemente nuovi equipaggi di droni.
Qui si vede il gruppo centrale russo mentre di recente allena alcune di queste tattiche d’assalto:
Anche sul fronte russo i droni terrestri vengono visti con sempre maggiore regolarità:
Un aggiornamento dalla parte americana, che mostra quali nuove unità di droni sta formando l’esercito americano sulla base delle conoscenze acquisite dalla guerra in Ucraina:
Allo stesso tempo, alcuni rapporti sostengono che l’esercito americano potrebbe tagliare ben 90.000 soldati in servizio attivo a causa dei tagli al bilancio:
Secondo tre funzionari della difesa a conoscenza delle deliberazioni, l’esercito sta valutando in sordina una drastica riduzione fino a 90.000 soldati in servizio attivo, una mossa che sottolinea le crescenti pressioni fiscali al Pentagono e un più ampio spostamento della strategia militare dall’Europa e dalla lotta al terrorismo.
Come ultimo argomento, un nuovo articolo del Telegraph che sta circolando suggerisce che Trump si stancherà presto e colpirà Zelensky con un ultimatum:
Il Telegraph, citando le sue fonti, riferisce che Zelensky dovrà presto affrontare un nuovo ultimatum da parte di Trump.
L’ultimatum è: o firmare un accordo di pace alle condizioni della Russia, o perdere il sostegno degli Stati Uniti.
La pubblicazione sottolinea che Trump considera l’Ucraina una “filiale interamente controllata dagli Stati Uniti”.
Ciò che è interessante nel pezzo di cui sopra, oltre alla richiesta di ultimatum, è che per la prima volta stiamo iniziando a vedere le principali pubblicazioni occidentali iniziare a parlare realisticamente della perdita da parte dell’Ucraina di tutte e cinque le regioni richieste da Putin, tra cui Kherson e Zaporozhye in toto . Finora queste richieste russe di vecchia data sono state praticamente ignorate o liquidate a priori dai media tradizionali, che hanno parlato in modo abbastanza sprezzante solo dell’annessione di Crimea, Lugansk e Donetsk.
Ma ora la realtà sta iniziando a farsi strada in loro. L’articolo del Telegraph rompe l’omertà e affronta la delicata eventualità:
Come cambierebbe la mappa dell’Ucraina dopo un cessate il fuoco così unilaterale? Putin rivendica cinque province: Crimea, Luhansk, Donetsk, Kherson e Zaporizhzhia. Le ultime tre sono ancora solo parzialmente occupate dai russi.
Accettare di ritirare le forze ucraine da queste regioni aumenterebbe l’area occupata dai russi da circa il 20% a circa il 25% del territorio sovrano dell’Ucraina. Potrebbe sembrare un sacrificio che vale la pena fare per fermare il massacro, anche se priverebbe inevitabilmente Kiev di ulteriori risorse economiche e delle sue linee del fronte fortificate.
Ma un accordo del genere significherebbe anche evacuare milioni di civili. Dopo l’omicidio, la tortura e il rapimento ben documentati di decine di migliaia di persone a Bucha, Mariupol e altrove, è impensabile che Zelensky abbandoni il suo popolo ai paramilitari e alla polizia segreta di Putin. Quindi un paese impoverito e devastato dalla guerra dovrebbe assorbire un enorme afflusso di rifugiati.
Come conferma, hanno capito che ciò comporterebbe la perdita delle capitali di questi stessi russi:
Peggio ancora, un cessate il fuoco alle condizioni di Putin distruggerebbe il morale ucraino. Alcune delle città che andrebbero perdute, tra cui la stessa Kherson , sono già state liberate dai russi, spesso a caro prezzo.
È chiaro che a poco a poco si sta digerendo l’inevitabile accettazione di tutte le richieste della Russia.
Ma ciò che è particolarmente affascinante e scandaloso da osservare in merito a quanto sopra, è il suggerimento che “evacuare milioni di civili”, in particolare dopo che molti di loro sono stati presumibilmente “torturati e assassinati”, è qualcosa di così impensabile, che sfida l’immaginazione moderna, e dovrebbe sicuramente essere contrastato dalle forze morali del mondo. Dopo tutto, non c’è semplicemente nessun posto sulla terra che potremmo anche solo concepire in cui milioni di persone siano attualmente sotto una minaccia simile sia di genocidio di massa che di sfollamento forzato. La stampa occidentale altamente rigorosa ci informerebbe sicuramente di tali evidenti parallelismi, portando alla luce la stupenda ipocrisia, se esistessero da qualche parte su questa piccola roccia, no? E questa stampa altamente retta condannerebbe sicuramente l’altra tragedia equivalente, se una così ipotetica esistesse, con lo stesso vigore farisaico esibito qui, giusto?
….Giusto?
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