Ucraina! Il vizio d’origine di un regime_di Max Bonelli

La narrazione di casa nostra ci presenta ossessivamente Zelensky, un attore nel pieno esercizio delle sue funzioni e il regime ucraino come i paladini delle libertà del mondo occidentale in antitesi al totalitarismo dell’invasore russo. Max Bonelli ci offre un primo spaccato inquietante della natura del regime ucraino, impegnato a combattere con la stessa intensità sia l’esercito russo che una parte molto significativa della propria popolazione. Un regime che ovviamente ha il diritto di opporsi militarmente, ma che altrettanto ovviamente in questi anni ha perseguito politicamente una linea di aperta ostilità ed aggressione verso la Russia e di feroce repressione verso una componente fondamentale della propria popolazione e ai danni della consistente opposizione politica presente nel paese. Il regime ha avuto quasi dieci anni per cercare un accordo dignitoso con le parti. Istigato e lautamente foraggiato dalle componenti più avventuriste delle élites statunitensi ed europee ha scelto la strada di un nazionalismo territoriale ed etnico che prescinde dalla complessità ed eterogeneità del paese. Un aspetto particolarmente inquietante anche e soprattutto per i paesi della Unione Europea. Il lirismo che ammanta le azioni della dirigenza europeista, visto l’esito dell’esperimento ucraino ed il veleno introiettato dall’accettazione senza remore nel proprio seno del particolare nazionalismo proprio di buona parte dei paesi dell’Europa Orientale, è una maschera che con disinvoltura nasconde ormai a stenti intenti particolarmente inquietanti, già intravisti nella gestione della crisi pandemica ed una supina ed autodistruttiva subordinazione politica all’avventurismo statunitense, disposto ad alimentare e strumentalizzare chiunque, per quanto impresentabile, pur di perseguire i propri obbiettivi. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Stati Uniti, Russia! Nebbia della guerra, nebbie nelle menti_con Gianfranco Campa

Un presidente ormai isolato, ignorato, oltre il limite del patetico. Un ceto politico sempre più privo di senso istituzionale, tutto preso dallo scontro politico e dalle beghe interne. E’ la situazione paradossale della più grande potenza mondiale, laddove solo il Pentagono e quindi gran parte delle più alte cariche militari sembrano aver conservato prudenza e lucidità in un contesto geopolitico sempre più mutevole e conflittuale. L’Ucraina è attualmente il centro focale delle attenzioni, ma è sicuramente uno soltanto degli episodi che costelleranno la scacchiera internazionale in uno stillicidio di provocazioni e risposte. L’Ucraina è attualmente un porto delle nebbie dove la verità pretende di essere dettata dai detentori della propaganda e del sistema mediatico. Vedremo se il castello di menzogne riuscirà a reggere sino al logoramento dell’iniziativa russa oppure andrà incontro al crollo di una realtà politica e socioeconomica che, specie in Europa, si avvia sempre più velocemente verso un drammatico dissesto. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Russia, Ucraina! Guerra civile e guerra tra stati_con Antonio de Martini

Tutta la saggezza e la maestria di Antonio de Martini. Siamo tutti impegnati a seguire e decifrare i movimenti militari nella guerra in Ucraina. Con essi i risvolti tragici legati ad esecuzioni e rappresaglie con il corollario delle morti dei civili; inevitabili queste ultime come in una qualsiasi guerra moderna, ma in una dimensione molto ridotta almeno sino ad ora, se comparato con quanto successo in Iraq, in Siria, in Afghanistan. Una condotta militare dettata da una scelta politica precisa da parte di Putin. La dovizia di fatti e di immagini induce e serve a nascondere il filo conduttore delle strategie politiche in corso. De Martini lo sottolinea continuamente. Strategie il cui filo conduttore si può ricondurre agli antefatti della guerra civile in Russia di un secolo fa con la diretta partecipazione di anglosassoni e a quelli della seconda guerra mondiale, riconducibili alla rete di contatti costruita dai tedeschi e riportata nella loro integrità agli statunitensi nel secondo dopoguerra. Una trappola ordita dal mondo anglosassone, dalla quale il governo russo mostra di poterne uscire con grande difficoltà. Più il conflitto rischia di assumere i connotati di una guerra civile, più lo scontro rischia di impantanarsi seguendo direzioni imprevedibili. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Federico II, un modello di potere? Intervista a Sylvain Gouguenheim #1 di SYLVAIN GOUGUENHEIM

Continuiamo a pubblicare bradi del dossier di “Conflits” dedicato al tema della potenza

L’imperatore Federico II ha segnato il suo tempo con il suo potere politico e culturale. Rappresenta uno degli archetipi del potere in epoca medievale, il suo regno illustra il modo in cui viene inteso. Intervista al medievalista Sylvain Gouguenheim.

Sylvain Gouguenheim è professore all’ENS Lyon, autore di numerosi libri e monografie dedicate in particolare ai Cavalieri Teutonici e una biografia di Federico II. Intervista condotta da Jean-Baptiste Noé.

Come era concepito il potere nel medioevo? È solo politico o include anche l’economia e il mondo intellettuale? Su quali fonti intellettuali si basa questa concezione del potere?

“La legge ha un naso di cera e il re un pugno di ferro che gli permette di torcere la legge a suo piacimento…” (Enrico III, imperatore tedesco)
La nostra parola “potere” deriva dal latino “potestas” che dava l’antico Francese il termine “pôté”. La potestas è prima di tutto la capacità di dominare uno spazio e delle persone. Questa capacità può essere acquisita da zero da un “avventuriero”, ma spesso si basa sul potere della famiglia, forgiato e tramandato attraverso gli antenati. La forza dei legami familiari è uno dei parametri più importanti del potere medievale.

Dominare uno spazio è organizzarne l’economia, definirne e proteggerne i limiti, esercitare la sua autorità sugli uomini che vi risiedono, e quindi sottoporli alla sua giustizia, alla sua tassazione, agli obblighi di servizio (lavoretti, servizio militare, eccetera.). Il “poté” designava così sia il potere del signore che il territorio dove si esercitava la sua giurisdizione. Il potere nel Medioevo si basava quindi principalmente sulla forza armata, sul possesso della terra e sui diritti umani. È quella del signore che vive di rendita fondiaria nelle sue residenze fortificate.

Senza potere, cioè senza la capacità di poter fare ciò che si vuole, di agire sugli uomini e sugli elementi, non c’è autorità. Ma al contrario, senza autorità il potere è indebolito. L’autorità è uno strumento per legittimare il potere, il suo fondamento morale. In un certo senso, l’auctoritas attenua la violenza della potestas. Con il cristianesimo, questa “auctoritas” crebbe diventando sacra: il papato pretendeva di esercitare un’autorità morale su tutta la cristianità e quindi di esercitare sanzioni sui poteri politici che non rispettavano i principi cristiani o la volontà del popolo. papi in questioni tanto delicate quanto la nomina e l’indipendenza dei vescovi e il controllo delle “chiese nazionali”.

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Cos’è il potere? Riflessioni incrociate. Serie speciale Conflitti

Detto questo, il Papato oscillava tra due tendenze: una, spesso definita teocratica, che osserviamo all’epoca della Riforma gregoriana e nel XIII secolo, da Innocenzo III a Bonifacio VIII; l’altro, di ispirazione gelasiana. Il primo ha voluto impedire ogni intrusione del potere secolare nella vita della Chiesa, per affermare il primato del papa, la “pienezza” del suo potere all’interno della Chiesa, la sua dimensione universale, senza però creare un “impero pontificio”. avrebbe regolato la vita economica e sociale. In questo contesto era necessario emanciparsi dal potere degli imperatori, desacralizzato. La Chiesa della Riforma Gregoriana si è così trasformata in un corpo politico, strutturato da una Legge in piena revisione. Bonifacio VIII si spinse oltre proclamando in “Unam Sanctam” che i re erano soggetti a un semplice sacerdote… La dottrina gelasiana (496) era più equilibrata: distingueva tra poteri temporali e spirituali (le “due spade”), che dovevano cooperare. Certo, il potere temporale doveva coadiuvare il potere spirituale, ma non gli era soggetto nell’ambito civile: doveva piegarsi all’autorità ecclesiastica solo per ciò che rientrava nella religione, la “res divinae”. C’era dunque a capo della società cristiana una dualità di poteri, voluta, secondo Gelasio I, da Dio stesso. La Chiesa (il Sacerdozio) e il Regno (il Regnum) erano due “res publicae”, due entità separate che dovevano cooperare per la salvezza dell’Umanità. distingueva tra poteri temporali e spirituali (le “due spade”), che dovevano cooperare. Certo, il potere temporale doveva coadiuvare il potere spirituale, ma non gli era soggetto nell’ambito civile: doveva piegarsi all’autorità ecclesiastica solo per ciò che rientrava nella religione, la “res divinae”. C’era dunque a capo della società cristiana una dualità di poteri, voluta, secondo Gelasio I, da Dio stesso. La Chiesa (il Sacerdozio) e il Regno (il Regnum) erano due “res publicae”, due entità separate che dovevano cooperare per la salvezza dell’Umanità. distingueva tra poteri temporali e spirituali (le “due spade”), che dovevano cooperare. Certo, il potere temporale doveva coadiuvare il potere spirituale, ma non gli era soggetto nell’ambito civile: doveva piegarsi all’autorità ecclesiastica solo per ciò che rientrava nella religione, la “res divinae”. C’era dunque a capo della società cristiana una dualità di poteri, voluta, secondo Gelasio I, da Dio stesso. La Chiesa (il Sacerdozio) e il Regno (il Regnum) erano due “res publicae”, due entità separate che dovevano cooperare per la salvezza dell’Umanità. doveva sottostare all’autorità ecclesiastica solo per le questioni attinenti alla religione, la “res divinae”. C’era dunque a capo della società cristiana una dualità di poteri, voluta, secondo Gelasio I, da Dio stesso. La Chiesa (il Sacerdozio) e il Regno (il Regnum) erano due “res publicae”, due entità separate che dovevano cooperare per la salvezza dell’Umanità. doveva sottostare all’autorità ecclesiastica solo per le questioni attinenti alla religione, la “res divinae”. C’era dunque a capo della società cristiana una dualità di poteri, voluta, secondo Gelasio I, da Dio stesso. La Chiesa (il Sacerdozio) e il Regno (il Regnum) erano due “res publicae”, due entità separate che dovevano cooperare per la salvezza dell’Umanità.

Il potere reale, che J. Le Goff ha detto essere una delle invenzioni medievali, è caratterizzato dalla sovranità, un termine feudale: il re non è vassallo di nessuno; i principi ei nobili sono suoi vassalli diretti o indiretti. A ciò si aggiunge la sovranità: il re non è politicamente soggetto a nessuno; come scrissero i giuristi nel XIII secolo, è “imperatore nel suo regno”. Infine, il re non solo fu coronato, ma consacrato, il che lo erige al di sopra e in disparte dagli altri uomini; la sacralità avvolge e rafforza la dimensione feudale e politica del suo potere; ne fa un mediatore tra Dio e gli uomini. Il modello è Cristo Re. Questo atto che appartiene al mondo soprannaturale è un elemento di un ordine istituzionale; la legittimità del potere sul mondo non viene da questo mondo… Noi siamo re “per grazia di Dio”. L’incoronazione contribuì a creare l’idea di maestà, e quindi del reato di “lesa maestà”. Questa sacralità spiega l’importanza dei rituali che circondano la pratica del potere. Il re beneficia così dei poteri taumaturgici. Certo, è vincolato dalle promesse fatte durante l’incoronazione (far regnare la pace e la giustizia, garantire la prosperità), e se deve rispettare e garantire il costume, è anche l’artefice della Legge. Non bisogna minimizzare il ruolo crescente della scrittura nel governo degli uomini: la produzione di documenti che esprimono la volontà del sovrano, la loro progressiva archiviazione, sono strumenti di potere. Questa sacralità spiega l’importanza dei rituali che circondano la pratica del potere. Il re beneficia così dei poteri taumaturgici. Certo, è vincolato dalle promesse fatte durante l’incoronazione (far regnare la pace e la giustizia, garantire la prosperità), e se deve rispettare e garantire il costume, è anche l’artefice della Legge. Non bisogna minimizzare il ruolo crescente della scrittura nel governo degli uomini: la produzione di documenti che esprimono la volontà del sovrano, la loro progressiva archiviazione, sono strumenti di potere. Questa sacralità spiega l’importanza dei rituali che circondano la pratica del potere. Il re beneficia così dei poteri taumaturgici. Certo, è vincolato dalle promesse fatte durante l’incoronazione (far regnare la pace e la giustizia, garantire la prosperità), e se deve rispettare e garantire il costume, è anche l’artefice della Legge. Non bisogna minimizzare il ruolo crescente della scrittura nel governo degli uomini: la produzione di documenti che esprimono la volontà del sovrano, la loro progressiva archiviazione, sono strumenti di potere.

Così il re crea qualcosa di nuovo: trasformare la condizione degli uomini, il loro ambiente di vita. Egli è dunque insieme “monarca” – solo al potere – e ministro (vincolato dal suo ufficio, dai suoi doveri): etimologicamente è colui che “dirige con rettitudine” nello svolgimento del servizio connesso alla sua funzione. Troviamo le tre funzioni indoeuropee: quelle della guerra, del sacro e della prosperità.

Federico II è uno di quei sovrani del medioevo di cui si è conservato il nome e il mito nella storia. Su quali elementi si basa la forza del suo potere? L’ereditarietà, la forza dell’Impero, la sua concezione della politica?

Il suo potere, Federico II (1212-1250) lo deve alla congiunzione dei propri sforzi per impadronirsene ea una costellazione politica molto speciale. Staufen dal padre, Hauteville (la dinastia dei re normanni di Sicilia) dalla madre, ereditò alla sua nascita il regno di Germania e quello di Sicilia. Quanto al titolo imperiale, doveva riceverlo dalle mani del papa poiché solo il re di Germania era un candidato legittimo per questa funzione. Ereditò quindi un doppio potere. Era anche un ostacolo perché era necessario governare questi due regni lontani l’uno dall’altro, senza confine comune, molto diversi per natura, per popolo, per istituzioni. L’ottenimento nel 1220 della corona imperiale gli permise, in teoria, di dominare il Nord e il Centro Italia oltre che il regno di Arles (con Marsiglia). Gli dava un prestigio ineguagliabile. Ma lo portò a fare i conti con la riluttanza e anche con le rivolte delle ricche città italiane, e di fronte all’ostilità di un Papato che non poteva accettare di vedere le sue terre intrappolate tra l’impero del Nord e il regno di Sicilia, che comprendeva il a sud della penisola (Calabria, Puglia, Campania). Ciò che fece della grandezza del territorio detenuto da Federico II fu anche causa della sua esposizione a contese e attacchi. Non risparmiò quindi sforzi, andando a conquistare con le armi una corona di Germania offerta dai principi germanici, ma contesa da Ottone IV allora imperatore. Fu ancora con le armi che dovette combattere contro le città longobarde e un Papato che lo perseguitò con inespiabile odio negli ultimi 15 anni del suo regno. Questo contesto, come il suo temperamento, spiegano la sua concezione del potere, che si manifesta nella sua politica, così come nelle sue osservazioni o nelle sue costruzioni: i principi, scriveva, furono stabiliti non solo da Dio, ma «dalla necessità impellente delle cose stesse» in per impedire agli uomini di distruggersi in guerre incessanti. Intende esercitare la sua autorità nella misura più ampia, non cedere nulla delle prerogative imperiali, non abbandonare nessuno dei suoi diritti o delle sue terre. In breve: nessun potere senza sovranità. Intende esercitare la sua autorità nella misura più ampia, non cedere nulla delle prerogative imperiali, non abbandonare nessuno dei suoi diritti o delle sue terre. In breve: nessun potere senza sovranità. Intende esercitare la sua autorità nella misura più ampia, non cedere nulla delle prerogative imperiali, non abbandonare nessuno dei suoi diritti o delle sue terre. In breve: nessun potere senza sovranità.

Uno dei suoi strumenti essenziali sono le insegne imperiali (corona, spada, scettro, mela d’oro) che sono più che simboli: oggetti carichi di potere effettivo, di sacralità.

Realizza i suoi progetti con tenacia, con un evidente senso dello Stato che si manifesta soprattutto nel suo regno di Sicilia, straordinariamente organizzato e dotato, ad esempio, di un codice giuridico, il “Liber Augustalis” (detto anche “Costituzioni di Melfi”). ) che rimase in uso fino all’inizio dell’Ottocento e che è la prima delle grandi codificazioni giuridiche medievali. Non era stato «mandato da Dio ad essere legge vivente» come proclama il Liber augustalis? La frase è di Giustiniano…

La totale santificazione del suo potere ha cementato la sua autorità. Alla fine, soprattutto, mancava dei mezzi finanziari e del più importante, più costante appoggio di un regno di Germania i cui Principi, laici ed ecclesiastici, tirano le fila.

Perché ha partecipato alle crociate? È per difendere il suo impero o per estenderlo a nuovi territori?

Inizialmente si impegna a fare una crociata il giorno della sua incoronazione reale ad Aix nel 1215. Vi abbiamo visto una scelta al passo con i tempi e forse anche il desiderio di vendetta per la sorte che aveva colpito suo nonno Barbarossa morto in piena gloria in Turchia quando si era incrociato. Ma subordinò la sua decisione all’ottenimento della corona imperiale e all’accettazione da parte del papa dell’eredità del trono di Germania a beneficio del figlio Enrico. Quando ricevette la corona a Roma nel 1220, rinnovò il suo giuramento di andare in Terra Santa. È difficile valutare la quota di convinzioni religiose in un uomo che certamente ha combattuto gli eretici, ma ha creato solo due chiese. Si avverte in lui più determinazione politica che devozione. Dopo diverse false partenze (ostacolate da problemi in Germania, dalla malaria che colpisce le sue truppe nel 1227) che gli valgono la scomunica… parte definitivamente nel 1228. Intanto era divenuto, per matrimonio con Isabelle de Brienne, re di Gerusalemme (1223) ed è lì che la sua visione giochi politici: come in Sicilia o in Germania, intende esercitare i suoi diritti di monarca. Si imbarcò quindi senza dubbio meno come crociato che come sovrano che si prefiggeva di prendere in carico il suo regno.

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Non commettere errori, però: ha con sé un esercito di circa 12.000 uomini, ed è impegnato in una vera impresa militare, il cui scopo è quello di riprendersi la tomba di Cristo, ricaduta nelle mani di i musulmani da Saladino. La sua fortuna fu incontrare un sultano, al-Kamil, in preda a guerre interne, e con il quale aveva negoziato dal 1227. Piuttosto che combattere, il sultano scelse di restituire la città santa ai cristiani, per 10 anni (limite stabilito da Maometto all’epoca del primo trattato concluso con i cristiani a Najran nel 631), che gli permise di evitare una guerra su due fronti. Federico II soggiornò solo due notti a Gerusalemme, tempo di essere incoronato, e tornò a pieno ritmo in Sicilia, invasa dalle truppe pontificie. Non fece mai più una crociata, ma tentò, invano, per placare il Papato alla fine del suo regno facendo penzolare la sua partenza – senza biglietto di ritorno – per l’Oriente, in cambio della pace… Nel suo testamento concesse altre 100.000 once d’oro “per il sollievo della Terra Santa” . La sua avventura oltremare, insomma, non nasceva dal desiderio di ampliare le dimensioni dell’impero, né probabilmente da una profonda religiosità, ma semplicemente dal desiderio di conformarsi all’idea che aveva della sua funzione.

Come pensa dell’Impero Romano e degli antichi imperatori? Si vede come loro erede?

Autore di un codice giuridico intitolato “Liber augustalis”, emettitore di una moneta d’oro chiamata “augustale” e sulla quale appare di profilo, il capo coronato, come gli imperatori romani, scegliendo nei suoi titoli epiteti romani (“sempre augusto”, “trionfante”, “conquistatore”….) Federico II aveva ovviamente in mente il modello imperiale romano. Sulle bolle d’oro che sigillavano i suoi documenti più importanti c’era l’immagine di Roma, sormontata dalla scritta “Roma, capo del mondo, tiene le redini del globo terrestre”. In questo non differisce da Carlo Magno né dagli altri imperatori che lo hanno preceduto. Roma era il punto di riferimento per l’impero; era il suo potere che si cercava di restaurare. Questo spiega la sua preoccupazione di controllare tutta l’Italia (ma non la “Gallia”!) inclusa Roma, quando il conflitto contro il Papa rese necessario il dominio della Città Eterna. Nel 1236 utilizzò la gloria di Roma per attirare la nobiltà romana nel suo accampamento: “il nostro cuore ha sempre ardeto per riportare la fondatrice dell’Impero Romano allo stato della sua antica nobiltà” scrisse nel 1239. Nel 1238 si offrì al Senato di Roma, nel corso di un vero e proprio trionfo antico, il carro cerimoniale dei milanesi prelevato dal campo di battaglia, trainato da un elefante, che ricorda quelli scolpiti sull’arco di Pompeo… Federico II però non volle fare di Roma la sua capitale: utilizzò la sua antica gloria al servizio della sua politica.

La caccia ha un ruolo essenziale nella sua concezione della politica. Egli stesso scrisse un trattato sulla falconeria. Com’è organizzato e cosa ci dice sulla concezione del potere e del potere?

Federico II è l’unico sovrano medievale che scrisse un trattato sulla caccia, la caccia al falco, che fu allo stesso tempo un notevole manuale di ornitologia, basato non solo su letture ma su un’esperienza trentennale. Questa monumentale “Arte della caccia con gli uccelli” è considerata uno dei capolavori del suo genere. Affronta tutti gli aspetti attraverso migliaia di osservazioni: addomesticamento e addestramento dei falchi, tecniche di caccia adattate a ciascuna categoria di falchi. È la caccia al nobile per eccellenza; quello riservato da teste coronate. È il più difficile di tutti perché l’uomo non uccide lì direttamente; lo fa per mezzo di un rapace che sapeva, dopo un complesso addestramento, come addestrare a questo scopo. A volte è stato paragonato al governo degli uomini (falchi, ben addestrati,

La sua concezione della caccia non è la sua. Sappiamo che l’aristocrazia vedeva in essa un’attività nobile e indispensabile. Si riserva la “caccia alta”, che si pratica a cavallo, senza ricorrere a trappole o attrezzi; i due più nobili sono la caccia al falco e la venerazione, in particolare la caccia al cervo: il cervo, selvaggina regale, simboleggia le virtù e le sue corna i Dieci Comandamenti; i testi indicano che bisogna dargli la caccia con un arco di tasso, frecce con punte d’oro, ecc.

La caccia è uno stile di vita, che prepara il corpo e la mente a cavalcate bellicose – senza però essere una vera e propria preparazione alla guerra, come troppo spesso si crede; lungi dall’essere solo divertimento, è un’arte di vivere, anzi una via di Salvezza perché, con il tempo che le dedichiamo, protegge dall’ozio, dalle tentazioni del mondo o della carne. “Siate sempre cacciatori e fate ciò che è saggio” dice il conte di Foix Gaston Phoebus, autore di un famoso trattato. Non bisogna dimenticare il suo aspetto utile: cibo, limitazione della selvaggina, distruzione di animali pericolosi (lupi, cinghiali, lontre). È presente anche la dimensione politica: i trofei di caccia sono doni diplomatici. L’Ordine Teutonico fornisce alle corti d’Europa falchi di qualità.
La caccia per il suo corso è anche un modo per appropriarsi dello spazio, per dimostrare il controllo del proprio territorio, sotto gli occhi di tutti (l’inseguimento di un cervo può portare il signore a coprire vaste distese). Lo spazio è addomesticato dall’uso che ne facciamo. La caccia è praticata anche in orari ben precisi; è la cornice di un tempo particolare, che non è il “tempo della Chiesa” e che si misura prendendo in prestito dalla vita del mondo animale: si fa riferimento ai periodi di “grasso”, di “carreggiata”, di ” velluto”…

https://www.revueconflits.com/frederic-ii-un-modele-de-puissance-entretien-avec-sylvain-gouguenheim/

Il conflitto in Ucraina resoconto 1a parte _con Max Bonelli

Con questa prima puntata avviamo una collaborazione con il sito proitalia.org  https://proitalia.org/con un resoconto sui movimenti militari in Ucraina attingendo alle più varie fonti disponibili sul web. Buon ascolto

https://rumble.com/v10b2k1-la-guerra-in-ucraina-1a-parte-con-max-bonelli.html

https://proitalia.org/media/podcast/un-continuo-logoramento

LA VERITA’ DI UN’EPOCA DALLA BOCCA DELLA SIGNORA PINA, di Roberto Buffagni

LA VERITA’ DI UN’EPOCA DALLA BOCCA DELLA SIGNORA PINA

 

Ieri è successa una cosa che mi ha colpito molto.

L’europarlamentare Francesca Donato interviene in aula e chiede un’inchiesta indipendente sulla strage di Bucha.

La vicepresidente dell’europarlamento Pina Picierno, una piddina che mai sinora richiamò la mia attenzione, la interrompe e la rimprovera battendo il pugno sul tavolo perché “quest’aula in nessun modo può divenire il megafono di posizioni che sono assolutamente non accettabili. […] Il massacro di Bucha è sotto gli occhi di tutti e non possiamo accettare che in quest’aula venga messo in discussione addirittura questo. […] quest’aula non è equidistante […] se ne faccia una ragione”.[1]

La signora Pina – una piddina di provincia dalla quale nessuno mai attese decisioni epocali – in un minuto e mezzo colpisce sotto la chiglia e affonda secoli di pluralismo politico, la democrazia parlamentare, il liberalismo, la Magna Charta, Westminster, forse anche le bianche scogliere di Dover.  Perché ovviamente – ma a quanto pare non così ovviamente – “quest’aula” parlamentare DEVE poter “divenire il megafono di posizioni” anche se sono “assolutamente non accettabili” e DEVE essere “equidistante”, altrimenti la possiamo anche chiudere e farci un parcheggio multipiano.

Quest’aula parlamentare infatti (come tutte le altre aule parlamentari), questo luogo in cui i deputati vanno per parlare, e per parlare liberamente, dicendo quel che ritengono opportuno dire, serve proprio a questo, da sempre: fino alla signora Pina.

Un altro parlamentare può certo contestare, anche con con asprezza, l’intervento del suo collega, e ribattergli, picchiando il pugno sul banco, che “quest’aula parlamentare non deve divenire il megafono di posizioni assolutamente non accettabili”: ma NON può farlo la vicepresidente del parlamento, che rappresenta l’istituzione parlamentare e sta alla presidenza proprio per garantire a TUTTI i parlamentari il pieno diritto di esprimere TUTTE le loro posizioni, anche quando lei personalmente le ritenga “assolutamente non accettabili”.

Il presupposto indispensabile del pluralismo politico, della democrazia parlamentare, del liberalismo, è questo: che l’istituzione parlamentare, e chi è delegato a rappresentarla, siano SEMPRE “equidistanti”, e garantiscano la piena libertà di espressione a tutti gli eletti: TUTTI, e SEMPRE, quali che siano le posizioni che assumono in aula.

Se in un suo intervento il parlamentare commettesse apologia di reato (non è il caso della Donato) la presidenza del parlamento potrà deferirlo alla magistratura, che richiesto e ottenuto dal parlamento il permesso di sospenderne le immunità e di inquisirlo, lo sottoporrà a procedimento penale.

Punto. Senza questi presupposti, in parlamento non si va per parlare ma per giocare col telefonino e combinare affarucci economici o di cuore.

Ma la signora Pina, come risulta inequivocabilmente dal video, non solo è pienamente convinta del suo diritto a dire quel che ha detto, ma è persuasa, intimamente, razionalmente persuasa di avere ragione, di essere nel giusto, di difendere valori non negoziabili, di assolvere pienamente il suo compito e il suo ruolo. È sicura di “fare la cosa giusta”, come dicono gli americani.

E qual è la cosa giusta? La cosa giusta è difendere la democrazia. E se vogliamo difendere la democrazia, nessuna democrazia per i nemici della democrazia.

Pas de liberté pour les ennemis de la liberté”. Saint-Just pronuncia queste parole alla Convenzione il 10 ottobre 1793, per giustificare la necessità di instaurare un governo rivoluzionario dittatoriale fino al ristabilimento della pace. Il Terrore è iniziato il 10 agosto precedente. Mentre Saint-Just tiene il suo discorso, in galleria ci sono i sanculotti armati, e fuori la ghigliottina. Chi dissentisse rischierebbe di essere fatto a pezzi all’uscita dall’aula, o di finire sul patibolo.

Ma che cos’è “la democrazia” in nome della quale la signora Pina affonda la democrazia parlamentare, il liberalismo, il pluralismo politico? Possiamo escludere che sia la democrazia parlamentare, il liberalismo, il pluralismo politico.

La “democrazia” della signora Pina siamo noi. Noi Occidente, noi che rappresentiamo e difendiamo i diritti umani, i principi universali, la libertà, l’umanità.

Per rappresentare e difendere i diritti umani, i principi universali, la libertà e l’umanità, noi:

  1. neghiamo il diritto di un parlamentare – che è un uomo anche lui – di esprimere in parlamento il suo pensiero
  2. violiamo il principio universale del diritto alla rappresentanza politica
  3. neghiamo la libertà di espressione del pensiero
  4. espelliamo dall’umanità chi non è come noi; per esempio i russi, che massacrano i civili e torturano i bambini. Che i russi massacrino e torturino lo diamo per scontato, tant’è vero che riteniamo superfluo e addirittura offensivo e inaccettabile anche solo menzionare l’opportunità di un’inchiesta indipendente sui loro massacri. Sono russi, dunque massacrano per natura: come gli orchi. Gli orchi sono orchi, cosa vuoi che facciano gli orchi? Massacrano e torturano, sono fatti così: non sono umani.

Curiosa, no, questa contraddizione? Per ottenere una cosa, fai il suo esatto contrario. Per essere umano, dichiari non-umana una porzione non trascurabile dell’umanità. Per essere democratico, distruggi la democrazia. Per difendere la libertà, applichi la coercizione in un luogo che è il tempio della libertà politica moderna, il parlamento. Per essere universale, sei particolaristico e identitario. Per difendere il mondo civile, distruggi la tua civiltà.

La logica aristotelica avrebbe qualcosa da ridire, ma che importa alla signora Pina? Aristotele non era democratico, era persino favorevole alla schiavitù; e poi la sua logica si chiama anche logica del terzo escluso, quindi non è inclusiva.

Forse è meglio rispolverare altri filosofi, per esempio la coppia Adorno-Horkheimer, molto cara alla generazione di piddini precedente quella della signora Pina; con il loro celebre libro “Dialettica dell’illuminismo”. In quel libro si dicono tante cose, condivisibili e non condivisibili, controverse o meno. Una però è di immediata attualità: che l’illuminismo parte con l’intenzione di realizzare tante belle cose, tipo il governo universale della ragione e della libertà, e non si sa bene come (Adorno-Horkheimer un’idea ce l’hanno, leggete il libro) finisce per realizzare l’esatto contrario, ossia un mondo dove abitano volentieri solo gli orchi, per esempio i personaggi delle opere di Sade, che torturano e massacrano gli inermi e, sì, anche i bambini.

Dalla bocca della signora Pina ascoltiamo, siderati, la verità di un’epoca: la nostra.

È un orco la signora Pina? No. La signora Pina è una brava persona, con i suoi pregi e i suoi difetti, che s’indigna di fronte alle cose cattive e desidera le cose buone. Non è un genio, ma chi è un genio? Molto pochi, quasi nessuno. Io certo no. È una piddina. Può risultare antipatico, ma c’è di peggio che essere piddini. Però la signora Pina, che pur vuole, vuole sinceramente tante cose belle e buone, finisce per fare tante cose brutte e cattive. Come mai?

Non avrei mai creduto che la signora Pina mi facesse pensare, e invece mi fa pensare molto. Mi interroga, mi lascia perplesso, turbato. La sento parlare in questo video, la guardo fare il viso dell’armi di una giusta collera, e mi chiedo: come siamo arrivati fin qui? Come siamo arrivati a questo capolinea? Nei suoi accenti sento risuonare la campanella di fine corsa, “si scende!” Ma dove si scende? Che cosa c’è in questo posto dove dobbiamo scendere? Che cos’è questo posto? È un posto? È un posto dove si può vivere? Un posto simile a quello dove stavamo quando salimmo alla nostra fermata? O è un posto assolutamente diverso, incomparabile, alieno? Lo sa la signora Pina? Ci abita già, lei, in questo capolinea? Forse sì, visto che pare trovarcisi così a suo agio.

Io no, io non mi ci trovo a mio agio. Non vedo niente di simile al posto dove sono salito, niente di familiare. Nebbia, vedo tanta nebbia; forse la nebbia della guerra? No, neanche, la guerra lo so cos’è. Non è questo.

Mi viene in mente un’analogia, ma è solo un’analogia. Avete visto le foto delle ombre sui muri di Hiroshima o Nagasaki? Quelle ombre che non sono ombre ma le impronte dei corpi umani nebulizzati dall’esplosione nucleare? Ecco. Questo capolinea dove ci fa scendere la signora Pina mi sembra l’impronta della civiltà europea impressa sul muro da un’esplosione atomica. I contorni sono identici, ma la sostanza, il corpo, l’essere un tempo vivo e senziente, non c’è più. Pùf!

 

 

 

[1] https://twitter.com/ladyonorato/status/1511659070914285571?s=20&t=cDE1_Dg2H1xe8uEimt1o4g&fbclid=IwAR2D0qMEQsklSIO-7A_0DXNAhASy-EBk1Ef4qQ4tu1vburqIEDI6dQyGp2k

NEBBIA DELLA GUERRA E FAKE-NEWS, di Teodoro Klitsche de la Grange

NEBBIA DELLA GUERRA E FAKE-NEWS

Scriveva Clausewitz che la guerra è caratterizzata dalla “nebbia” che non consente o consente con poca chiarezza e distinzione la percezione della situazione effettiva.

Tale nebbia non è però solo quella di Austerlitz, cioè un fenomeno naturale, ma è dovuta ad attività (ed errori) umani: alla confusione, allo scarso o contraddittorio afflusso d’informazioni, agli espedienti del nemico volti ad ingannare. Le informazioni, scriveva il generale prussiano, sono la base per le “nostre idee ed azioni… base fragile ed oscillante, e si comprenderà ben presto quanto pericolosa sia l’impalcatura della guerra, con quanta facilità possa crollare, e schiacciarci sotto le sue macerie”. Le informazioni perciò “in guerra sono in gran parte contraddittorie, in maggior parte ancora menzognere, e quasi tutte incerte”. Tale difficoltà è già importante per chi deve decidere, cioè i comandanti politici e soprattutto militari, gli esperti. Ma è assai peggiore “la cosa per colui che non ha esperienza…ed invece le notizie successive si sostengono, si confermano, s’ingrandiscono, aggiungono”. E il “pubblico” cioè coloro che osservano le descrizioni belliche, sono il massimo della non-esperienza, e non si rendono conto o in misura minima che “la maggior parte delle informazioni è falsa… Ciascuno è disposto a credere più il male che il bene, ciascuno è tentato di esagerare un poco il male: ed i pericoli fittizi che vengono segnalati, in tal modo, pur dissolvendosi in se stessi come le onde del mare, si affacciano, al pari delle onde, senza una causa visibile”. Il capo ha così il difficile compito di valutare e selezionare tra le tante che gli giungono, le notizie più attendibili.

Quando poi le informazioni generosamente distribuite sono dirette al pubblico radio-televisivo e dei media in genere, la nebbia s’infittisce e si amplifica l’interesse a produrle, anche quando la saggezza le rende improbabili. Con ciò si passa alla “guerra psicologica”, definibile come l’insieme delle iniziative volte a controllare l’opinione pubblica e i di essa giudizi ed azioni, agendo – prevalentemente – sul sentimento  e l’emotività. Se indirizzato al nemico (in atto o in potenza) lo scopo assolutamente prevalente è di condizionarne e fiaccarne la volontà, inducendolo alla trattativa (a perdere), se la guerra è in atto, o a non farla (o a non intervenire) se è in potenza. Questo è ovvio, perché da un lato la guerra è un mezzo per affermare la propria volontà e potenza, onde il miglior nemico è quello poco determinato a combattere; dall’altra la prima regola dell’agire strategico è ridurre il numero (o almeno la potenza) dei nemici, come ben sapevano i romani. Il generale prussiano, tuttavia, in un’epoca in cui la stampa quotidiana muoveva i primi passi non era in grado di prevedere quanto si sarebbe intensificata col progredire dei media.

La guerra russo-ucraina è connotata, ancor più che le precedenti del XX e XXI secolo, da essere una guerra telematica, combattuta sui media, non meno – anzi di più – che sul campo. Ma sempre caratterizzata dallo scopo, ovvero fiaccare la volontà del nemico e indurlo a sottomettersi – e dei mezzi all’uopo spiegati: una massa d’informazioni false, artate, contraddittorie. Che non reggono, o sono del tutto improbabili una volta verificate o valutate.

Ad esempio il ruolo di Putin, elevato – in mancanza di più acconci interpreti – ad incarnazione del male assoluto. È lo stesso statista che fino a pochi mesi fa interloquiva con tutti i grandi della terra, che stringevano accordi e facevano affari con lui. Mostrandosi così, almeno, un po’ ingenui, facenti parte della razza dei Chamberlain, non dei Bismarck. E anche dimentichi che il nemico non è solo quello cui si fa la guerra, ma anche quello con cui si conclude la pace. Onde è meglio, come nel diritto (romano) e internazionale classico non demonizzarlo, o anche solo criminalizzarlo, perché così si rende ancora più difficile concludere la pace. E la stessa pace diventa così una tregua di briganti.

Altra notizia non falsa, ma costante, è quella sui “danni collaterali”, ossia sui civili morti a causa delle operazioni belliche. É cosa vera, semplicemente perché da millenni a far le spese della guerra sono (anche) gli innocentes (come scrivevano i teologi-giuristi del ‘600). Ancor più nelle guerre moderne dove la straordinaria forza distruttiva delle armi ne ha reso l’uso limitato spesso impossibile, Con la conseguente violazione del principio del diritto “in guerra” di risparmiare gli innocentes, ossia i non combattenti.

Solo che a distinguere tra crimine di guerra e “danni collaterali” è, molto spesso, la natura dell’obiettivo e l’intensità (e potenza) dell’attacco. Ad esempio non risulta che i russi abbiano impiegato l’aviazione per bombardamenti terroristici, tipo quelli di Dresda, Amburgo e Tokio (e di tante altre città dell’Asse) della seconda guerra mondiale. In cui i morti, nella più modesta delle valutazioni furono alcune decine di migliaia (a bombardamento). E dove furono largamente impiegate le bombe al fosforo per causare incendi difficilissimi da spegnere. Cioè proprio ordigni fatti con lo stesso elemento che tanto tiene banco tra le atrocità russe praticate in questa “operazione militare speciale”. Peraltro anche in tal caso qualcuno s’è impancato a docente di chimica bellica, confondendo fenomeni e norme. Le bombe al fosforo sarebbero armi “chimiche” perché… basate su una reazione chimica (produrre la combustione). Ma essendo una reazione chimica altresì l’esplosione causata dalle bombe convenzionali, anche queste, ragionando come certi esperti, sarebbero delle armi chimiche. Sul piano giuridico invece le bombe al fosforo sono classificate armi convenzionali e, per questo, vietate dalla Convenzione di Ginevra del ’98, ma tenute ben distinte dalle armi chimiche vietate da altra convenzione. Per cui reagire all’uso di ordigni al fosforo con un bombardamento di gas nervini sarebbe una rappresaglia sproporzionata.

Soprattutto non si può confondere il nemico con il criminale come fa la propaganda argomentando che l’uno e l’altro uccidono e danneggiano. La Russia – e così l’Ucraina – ha, come qualsiasi Stato lo jus belli, e quindi il diritto di servirsene. Chi la governa non è un animale, un essere non-umano, né un delinquente. Già lo sapevano i romani. Nel Digesto (L, 16, 118) si legge “Hostes’ hi sunt, qui nobis aut quibus nos publice bellum decrevimus: ceteri ‘latrones’ aut ‘praedones’ sunt”; e traducendo “i nemici sono coloro che a noi, o noi a loro,  abbiamo dichiarato pubblicamente guerra: gli altri sono briganti o pirati”. Caso mai Putin ha, secondo una moda invalsa da quasi un secolo, fatto la guerra chiamandola diversamente (operazione militare speciale). Ma in ciò è stato preceduto da tanti altri – Nato compresa – che ha condotto guerre denominandole “operazioni di polizia internazionale” (ecc. ecc.). L’ipocrisia non è una pratica peculiare a un contendente ma appare estesa a tutta un’epoca che, vagheggiando un pacifismo integrale, ha cominciato a  realizzarlo dal vocabolario. Purtroppo non andando oltre.

Resta da vedere se, diversamente dalle buone intenzioni esternate, una pratica siffatta non faccia crescere d’intensità lo scontro bellico: anzi la creazione del male, del nemico assoluto porta proprio a quello: ad intensificare il sentimento ostile (Clausewitz);e così a popolarizzare la guerra.

Le vie dell’infermo sono lastricate di buone intenzioni.

Teodoro Klitsche de la Grange

IN CHE GIOCO SIAMO CAPITATI?_di Pierluigi Fagan

IN CHE GIOCO SIAMO CAPITATI? Useremo qui “gioco” nel senso di -interrelazioni competitive tra giocatori secondo regole per raggiungere uno scopo-. Dal “Grande gioco” (Medio Oriente – Asia) alla “Grande scacchiera” di Brzezinski, al mio più modesto “Gioco di tutti i giochi”, le questioni geopolitiche sono spesso state metaforizzate con questa definizione di “gioco”. La stessa Teoria dei giochi allude a questi sistemi di interrelazioni e può valere tra individui come tra gruppi. Nel senso comune, gioco ha tutt’altro sapore, ludico, disinteressato, di intrattenimento, di divertimento. A taluni, quindi, potrà risultare antipatico trattare guerre, conflitti e tragedie inevitabilmente umane con un termine così leggero. Ma, come detto, qui si usa il termine nel senso analitico.
Il “gioco” in cui siamo capitati è dunque questo:
1. L’Occidente (Europa + Anglosassoni) è in una dinamica che dura da settanta anni in cui diminuisce costantemente il suo peso demografico (oggi solo al 16% sul totale mondo) ed in cui a minor velocità, ma non minor costanza, perde anche quote di peso economico e geopolitico. Questo perché il resto del mondo è costantemente e significativamente cresciuto negli ultimi settanta anni. Tutto ciò è previsto continuare con una certa ineluttabilità per almeno i prossimi trenta anni.
2. Tutto ciò si riflette su una inedita forma di ordine mondiale, l’ordine a più varietà detto “multipolare”. Da quello che sappiamo in cultura della complessità (tra cui la Teoria delle reti), che sia biologia o ecologia o sociologia ovvero in ogni campo che studia forme di vita, tutti i sistemi molto complessi oscillano intorno ad una media auspicata come forma di equilibrio (tipo omeostasi) e le loro dinamiche interne si ripartiscono tra più sottosistemi a più varietà. Ve ne sono di vari livelli e peso, con maggiori i minori connessioni, ma come nel caso della biodiversità, sistemi molto complessi sono resilienti nella misura in cui sono molto distribuiti. Sebbene ad alcuni dia fastidio la parola “resilienza” essa è omologa a resistenza solo che resistenza è concetto più proprio dei sistemi non vitali (ad esempio quelli fatti in ferro o cemento o altra materia), resilienza è più propria dei sistemi che assorbono perturbazione senza rompersi per poi ripristinarsi all’equilibrio che avevano prima della perturbazione, com’è nei sistemi vitali, a base cioè di varietà biologiche.
3. Questa maggior distribuzione di un ordine multipolare non è una scelta, è naturale laddove dai 2,5 mld del 1950 siamo passati ai 7,5 mld (e più) di esseri umani del 2020 con passaggio anche da sessanta circa a duecento Stati sovrani. Da 7,5 mld, diventeremo poco meno di 10 mld al 2050. Sono di pari aumentate le interrelazioni tra le varie parti, quindi in poco tempo, si è andato formando un sistema molto complesso che sta relativizzando il peso occidentale.
4. Tutto ciò insidia nel fondamento la forma della nostra civiltà che proprio dal dopoguerra ha vissuto un periodo in cui, partendo da un dominio sul mondo ancora molto forte che ereditavamo dai secoli precedenti, ciò che chiamiamo “era moderna”, ha poi assistito ad una sua lenta contrazione, con previsioni di ulteriore contrazione nella misura in cui vaste parti del mondo si emancipano e cominciamo ad avere interrelazioni incrociate tra loro di tipo cooperativo. Hanno relazioni di tipo cooperativo non perché siano “più buoni” di noi che invece tendiamo ad avere relazioni competitive, ma perché partono tutti da posizioni basse di potere ed interessi. Negli ultimi anni, si è venuta a formare una grande rete di questi sistemi non occidentali, dai Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa a cui oggi si sommano anche altri come Turchia, Messico, Indonesia o Pakistan, vari africani etc.) a molti altri, soprattutto in Asia che conta il 60% del mondo, con una sorta di naturale alleanza d’intenti: quella di promuovere l’avvento -che tanto ci sarà comunque- di un ordine multipolare che dia loro maggiori chance di sviluppo con un certo grado di autonomia.
5. Tale questione ha un lato drammatico non tanto per la civiltà occidentale nel suo complesso, ma per una sua componente, quella anglosassone ed in particolare americana. Gli Stati Uniti, infatti, dipendono più di chiunque altro dalle rendite di posizione che avevano nel 1950 che sia l’ordine World Bank – IMF o il dollaro o Wall Street o il primato tecnologico e quindi quello militare o il soft power (ma solo dopo l’hard power). Abituati ad ordini bipolari di cui loro erano il polo dominante, o addirittura vagheggianti un ordine unipolare, il multipolare è per loro un gioco che, comunque verrà giocato, promette perdita di dominio, potere, ricchezza. Ricordo che sono solo il 4,5% del mondo sebbene ancora facciano il 25% del Pil mondiale. Molto di questa esorbitante quota non è data da capacità competitive intrinseche come Cina, Giappone, Germania, India etc., ma da rendite di posizione dominante. Il tutto assomiglia molto alla posizione di semi-monopolio nelle questioni dei mercati. Trasferita nel campo geopolitico, il monopolista è disposto a condividere potere da oligopolio ma non da libero mercato e relativi ordini emergenti quali teorizzati nel concetto “mano invisibile”.
6. Arrovellatisi a lungo su come far fronte a tali eventi che, come detto, hanno una certa ineluttabilità, gli americani hanno di recente introdotto una versione di gioco che chiamano “democrazie vs autocrazie”. La faccenda non è così precisa, India e Brasile sarebbero in teoria democrazie mentre alleati dell’America come l’Arabia Saudita o la stessa Turchia nella NATO lo sono ben di meno. Ma il grande pubblico occidentale di queste cose sa meno di niente, è facilmente sensibile alle semplificazioni, gli slogan, la ripetizione ossessiva di concetti anche quando sono incredibili come “X lava più bianco”, viepiù si tratti di ideali. Si noti come, al di là delle imprecisioni, in verità i conflitti competitivi di potenza, avvengono del tutto al netto qualcuno sia o si ritenga essere “democratico” o meno. Nei conflitti di potenza, a volte si è adottato il vestito “civiltà vs barbarie” o “cristiani vs infedeli” o “sciti vs sunniti” o “popolo in missione per conto di Dio vs resto del mondo”, ma il vestito serve solo a coprire logiche materiali molto meno nobili.
7. Questo è il primo livello del gioco in cui siamo capitati, il più importante, il livello in cui si gioca la partita tra vari tipi di ordine uni-bi-multi polari. Il secondo livello è quello per il quale, gli Stati Uniti hanno da vari anni messo nel mirino la Russia come loro avversario più insidioso. Questo perché pur stando il fatto che il gioco è a più livelli (politici, geopolitici, economici, finanziari, culturali), i conflitti di potenza tra Stati sono regolati storicamente con le armi. In termini di armi, i russi sono molto inferiori agli USA, ma quel gioco specifico è determinato dall’ultima arma che potete mettere sul tavolo quando sarete spalle al muro. Tale ultima arma è l’arma atomica ed in quel specifico asset, russi ed americani sono pari. Questo porta gli uni e gli altri a doversi evitare dal conflitto diretto perché inizierebbero, anche non volendolo, a salire giocoforza i gradini della scala conflittuale in cui nessuno dei due può perdere se non perdendo la reputazione di potenza, motivo per il quale prima di perderla si arriverebbe ad usare l’arma proibita, quantomeno per pareggiare. Questo urta molto gli Stati Uniti anche perché i russi amano impicciarsi dei giochi militari di potenza americani aiutando a volte l’Iran o la Siria o la Libia o altrove secondo logica “il nemico del mio nemico …”, cosa per altro ricambiata come nella prima invasione russa dell’Afghanistan, del Caucaso o nel Centro Asia.
8. Ecco allora che gli Stati Uniti in proprio o versione NATO, hanno approntato da molto tempo la trappola di tutte le trappole: l’Ucraina. Una anti-Russia al confine della Russia quanto di più urticante possa esistere. Dopo le tante scaramucce indirette, l’Ucraina rappresenta il trappolone più promettente per le strategie competitive americane. E ciò ci porta al terzo livello, la guerra in Ucraina.
9. I russi hanno abboccato al trappolone non perché siano stupidi o pazzi o abbiamo il cancro alla tiroide, ma perché in termini concreti di pericolo strategico e di difesa reputazionale non potevano fare altro. Ad alcuni poco pratici del campo, “reputazione” suonerà strano. Non si tratta della reputazione della propria bellezza o giustezza o attrattività o idealità, si tratta della semplice reputazione di potenza, le fiches più importanti al gioco della competizione tra Stati in dimensione mondo. Non sono necessarie per esser giocate sempre, è il solo poterlo fare che fa ottenere reputazione di potenza.
10. A questo punto, giocatisi invece la reputazione che conta per noi occidentali che vestiamo i conflitti di potenza con aspirazioni ideali e valori, i russi sono diventati gli “intoccabili”, dei fuoricasta. Gli europei che condividono la massa continentale con russi, cinesi, indiani, musulmani ed africani (AfroEurasia) non potranno più avere relazione alcuna col nemico degli americani da cui dipendono per varie ragioni ed in varie forme e quindi dovranno accorparsi al sistema americano molto di più di prima, a livello diciamo del dopoguerra. Così, dal primo al terzo livello di gioco, il nuovo sistema Occidentale tornato ai fasti degli anni ’50, sarà in un campo di nuovo bipolare con tutti gli amici di qua e tutti i nemici di là, format guerra fredda con fine della globalizzazione ed il suo ridicolo “villaggio globale”, il riarmo, l’economia e finanza che prova a tagliare i ponti da ogni interdipendenza in cicli di feedback di rinforzo del sistema occidentale vs resto del mondo. Tutti a difesa dell’essenza dell’occidentalità. Quel sistema politico-economico che con sprezzo del ridicolo ama chiamarsi “democrazia di mercato”, una forma di potere oligarchico che però si veste da democratico per ratificare la propria “elezione”. Oligarchia sta per “potere dei pochi”. La nostra essenza ordinativa è difendere questo “potere dei pochi” come fosse l’interesse dei molti.
11. Nessuno si pone il problema di come aumentare i nostri tassi di democrazia interna, viepiù siamo tutti impegnati a difenderne la sua pallida versione occidentale dalle “aggressioni esterne” delle autocrazie. E’ il nemico esterno che detta le priorità e ci fa sentire tutti amici interni. Tanto poi in Occidente “democrazia” non ha né partiti che la promuovano, né intellettuali che la pensino in modo sistemico.
12. Ecco perché la guerra russo-ucraina è l’unica cosa che dovete osservare ovvero prender parte per “l’aggredito contro l’aggressore”, in gioco ci sono i valori occidentali. Tali valori ideali meritano il sacrificio di quelli più prosaici che pensavamo prima i più importanti. Dovete armare e finanziare gli ucraini che combattono nella piana di Armageddon per il Bene contro il Male e ringraziarli pure. Dovete tagliare il gas, prender milioni di profughi, sopportare l’aumento delle materie prime, inflazione, disastro economico, alimentare e sociale, disordine ai massimi livelli in AfroEurasia, tra cui le già precarie coste del Mediterraneo perché è in ballo l’ordine del mondo per i prossimi anni. Viepiù lo farete, viepiù i russi per raggiungere i loro imperscrutabili motivi strategici dovranno compiere atti immondi -veri o presunti nessuno potrà esserne certo per decenni- che distruggeranno ulteriormente la loro reputazione generale. Pagheranno in reputazione generale il loro ostinato perseguimento della difesa della loro reputazione di potenza. In più dovranno dissanguarsi materialmente, rischiare di non vincere e giocarsi anche la reputazione di potenza sul piano strettamente militare, dubitare in profondo sulla loro mossa, mettere in dubbio la loro stessa leadership. Se arriveranno spalle al muro, gli americani giurano che secondo i loro calcoli da Teoria dei giochi, non useranno l’arma della disperazione e quindi non sceglieranno “Sansone e tutti filistei” ma un più pragmatico, “meglio vivi che morti”, pagandolo in perdita relativa di potenza. Secondo loro è un rischio ben calcolato e poiché sono convinti che il calcolo è tutto nella vita, hanno adesso tecnologie e saperi per ottenere la massima calcolabilità. Il “caso ucraino” diventerà lezione per ogni altro vorrà sfidare qualche anno in più di dominio occidentale.
Attirati nella trappola ucraina, i russi dovranno perdere punti di reputazione, generale e di potenza, separandoli violentemente dagli europei catturati egemonicamente in un nuovo patto atlantico, stabilendo il nuovo format “democrazie vs autocrazie” che bipolarizzi il mondo rallentando l’avvento dell’ordine multipolare. Sottraendo ai multipolari la fondamentale sponda militare russa. Ed è per questo che gran parte del mondo sembra non avere la nostra stessa sensibilità per quello che sta succedendo in Ucraina.
L’eccezionale ed inquietante mobilitazione culturale, informativa e politica dei nostri oligarchi, è arma necessaria per compiere questo ambizioso disegno strategico che dia almeno un decennio (o più) di centralità di potenza-mondo agli Stati Uniti rinnovato centro gravitazionale del sistema occidentale in grado di mantenere ampie forme di dominio diretto o indiretto sul Mondo.
E di questo gioco che dovete scegliere come “fare il vostro gioco”, non il terzo livello o il terzo più il secondo, ma il primo più il secondo più il terzo, tutti assieme.

NON NEUTRALIZZARE L’ITALIA, MA L’INTERA EUROPA E ARMARLA BENE_di Antonio de Martini

LA PROPOSTA VIENE ….DALLA PRESIDENZA ( FEMMINILE) DELLA SVIZZERA E DEL CONSIGLIO D’EUROPA E SI BASA SULLA CONVENZIONE DELL’AIA DEL 1907.

Cominciamo col definire e distinguere, dopo un pò di storia.

COME E’ NATA L’IDEA

La neutralità svizzera – più correttamente l’estraniarsi dalle rivalità e beghe successorie tra i Borbone e gli Asburgo- nasce all’indomani della battaglia di Marignano ( 13/14 settembre 1515) in cui gli svizzeri persero 5.500 uomini su venticinquemila impiegati in combattimento.

Gli svizzeri decisero che del Ducato di Milano potevano fare a meno, ma che non avrebbero potuto permettersi il lusso di un altro salasso di quelle dimensioni senza scomparire dalla carta geografica.

Lo straniamento divenne neutralità, violata solo duecentottanta anni più tardi dalle truppe francesi del Direttorio nel 1798.

Il trattato di Parigi del 20 novembre 1815, offriva ” formalmente e autenticamente la neutralità perpetua della Svizzera” e da allora divenne un articolo di fede.

Identica formula ” stato indipendente e neutrale in perpetuo“fu applicata a proposito del Belgio nei trattati di Londra del 1831 e del 1839. Anche il Belgio ottenne grazie a questi trattati, ottanta anni di pace e scapolò la guerra franco prussiana del 1870.

Era nata un’abitudine ancora non codificata dal diritto internazionale, ma attrattiva per i cosiddetti ” stati cuscinetto” compressi tra due stati più potenti e rivali.

L’inquadramento giuridico prese forma con la Convenzione dell’Aia del 18 ottobre 1907.

https://avalon.law.yale.edu/20th_century/hague05.asp

Meno fortunato il Belgio che nel 1914 fu travolto dal nipote di Von Moltke il vecchio – il brillante vincitore del 1870- inverando ante litteram il detto churchilliano che “i discendenti degli uomini illustri sono come le patate: la parte migliore si trova sottoterra”. L’idiota ( Helmuth Johan Ludwig) non trovò di meglio che la brutale scorciatoia di travolgere il piccolo paese che si era affidato alla sola neutralità e disattendere la raccomandazione del suo predecessore e autore del piano ( Alfred Graf von Schieffen capo di S M) che, morente, raccomandò ” rafforzate l’ala destra”. Lui la indebolì e sappiamo come é finita.

Il feldmaresciallo Alfred Graf von Schlieffen autore dell’omonimo piano che il nipote del maresciallo von Moltke, Ludwig, nominato capo di Stato Maggiore, rovinò apportandovi modifiche che ne vanificarono i risultati e produssero una valanga di morti. Al termine della ” inutile strage”, si giurò che non sarebbe accaduto ” Mai più”. Vent anni dopo, il giuramento fu dimenticato e il numero dei morti passò da trenta milioni a sessanta. Per un residuo di pudore, a Churchill fu dato il premio Nobel per la letteratura. Adesso a Obama, Sharon, Begin, Saadat e qualche altro generale, hanno dato il Nobel ” per la pace”.

IL PROBLEMA SI RISOLVE AL LIVELLO CUI SI PONE:L’EUROPA. VIGILE, ARMATA E NEUTRALE.

Di qui la lezione numero uno : non basta dichiararsi neutrali, ci si deve armare fino ai denti.

La lezione numero due é che un paese neutrale deve disporre della profondità strategica necessaria ad assorbire il primo urto di sorpresa e reagire. La Svezia, che ha entrambe queste caratteristiche, nessuno l’ha mai importunata. La Svizzera supplisce all’esiguità territoriale con l’orografia montagnosa, armamenti di tutto rispetto e la milizia territoriale: ogni soldato si porta l’equipaggiamento a casa pronto per l’uso. La mobilitazione e il raggruppamento é questione di un lampo. Il reclutamento cantonale e la conoscenza del territorio completano i vantaggi di cui usufruire su un ipotetico avversario.

Accecato dal patriottismo inteso come reazione irritata al globalismo provinciale imperante ( glocal…), ho ripetutamente indicato la neutralità come via d’uscita, ma non ho tenuto conto dei due requisiti geopolitici necessari per la riuscita del progetto. L’Italia da sola, anche se governata da leoni – e non lo é- non saprebbe difendersi adeguatamente e l’alleanza con una tripletta di stati cuscinetto ( che improvvidamente abbiamo attirato nella NATO) potrebbe solo ritardare di un paio di giorni l’affacciarsi di un avversario alle porte di Trieste.

A riportarmi sulla via del realismo geopolitico, L’ex presidente della Confederazione svizzera e del Consiglio d’Europa Micheline Calmy-Rey con il suo libro “ Pour une neutralité active” ed Savoir Lausanne 2021.

Per essere all’altezza dei valori che proclama di difendere e raggiungere l’autonomia strategica, L’Unione Europea dovrebbe diventare una potenza ” neutrale e non allineata”” ” indipendente e non aggressiva” tra i due blocchi.

Ottenere la stessa convergenza di interessi tra gli stati membri – come fu il caso dei cantoni svizzeri- ” e divenire una potenza politica e militare, gli (alla UE ndt)permetterebbe di non sottomettersi a uno qualsiasi dei blocchi, di resistere meglio alle pressioni anziché subirle, a non annegare tra camomille unicamente lessicali e a non essere messa da parte in una posizione immobilismo e passività.”

LA NEUTRALITÀ HA RIGIDI CONTENUTI MILITARI, E AMPIA FLESSIBILITÀ POLITICA.

La Svezia, l’Austria e la Finlandia pur essendo dichiaratamente e ufficialmente neutrali, appartengono politicamente alla Unione Europea e hanno partecipato a esercitazioni militari NATO, ma senza far parte del dispositivo militare coFinlandia, Nicholas Sarkozy, Sauli Ninme del resto scelse di fare la Francia di De Gaulle, opzione rinnegata dal noto e indegno successore Nicholas Sarkozy, inquisito e già due volte condannato per aver inalato 50 milioni di dollari di finanziamento occulto da Muammar Gheddafi. Tre dei testimoni a carico sono nel frattempo deceduti di una malattia da piombo chiamata raffica di mitra.

In qualche caso, si esagera: la Bielorussia, oltre a dichiararsi ufficialmente neutrale, ha aderito anche all’OTSC ( Organizzazione del trattato di Sicurezza collettiva) così come la Serbia, Russia, Kazakistan, Turkmenistan.

Sul fronte opposto, ai tentativi di provocare un’ondata emotiva a favore di una adesione alla NATO, I il Presidente finlandese Sauli Niinisto, ha invitato i compatrioti a tenere ” i nervi a posto” e la premier svedese ( socialdemocratica) Magdalena Andersson, mentre la Svezia ha ripristinato il servizio militare obbligatorio, ha dichiarato che una adesione alla NATO ” accrescerebbe le tensioni internazionali e destabilizzerebbe ancor più la regione”.

Insomma, é un tiro alla fune da cui dobbiamo sottrarci se non vogliamo sperimentare le follie dello Stranamore di turno.

Svizzera, Austria, Irlanda, Croazia e Serbia sono già, in grado diverso, neutrali. Spagna Portogallo e Turchia lo sono dal 1939 ( gli iberici in realtà dal 1914). La lezione Ucraina ha fatto certamente molti adepti e , più dura, più adepti raccoglierà.

Purtroppo, gli Stati Uniti non sono in grado di comprendere le culture altrui, posto che ne abbiano una loro. Lo lascio dire all’ex capo del Mossad che lo ha scritto su queste colonne undici anni fa e di cui vi allego il link.

la grande strategia degli Stati Uniti dopo l’Ucraina_2a parte, a cura di Giuseppe Germinario

A partire dalla proposta-ultimatum di trattato di novembre scorso presentata da Lavrov a novembre scorso, i redattori di Italia e il Mondo hanno colto immediatamente, tra i primi in Italia, se non proprio i primi, il punto di svolta che rappresentava quel passo diplomatico. Da allora, assieme alle nostre considerazioni, ci siamo premurati di rappresentare le diverse posizioni dei tre principali attori strategici dello scacchiere geopolitico evidenziando soprattutto il dibattito esplicito in corso negli Stati Uniti, riflesso del violento scontro politico presente da anni in quel paese. Una schiettezza del tutto assente nel panorama politico europeo, ottenebrato dal conformismo, dal servilismo sino ad arrivare a forme sempre più esplicite di censura delle posizioni divergenti. Non solo! La maggior parte dei nostri interventi sono partiti dal ruolo determinante assegnato alle dinamiche interne alla vita politica interna e alle lotte di potere statunitensi nel tracciare le dinamiche geopolitiche. Questa volta allargiamo ulteriormente la platea di osservazione presentando alcuni articoli della componente dominante dei centri decisori statunitensi. Chi avrà seguito il blog in questi cinque anni saprà discernere gli elementi di analisi dalle distorsioni propagandistiche ed ideologiche che informano il contenuto di questi brevi articoli e trarre utili elementi di analisi e considerazione. Buona lettura, Giuseppe Germinario

L’invasione russa dell’Ucraina è vecchia di quasi un mese e definirlo un cambiamento epocale sembra già un cliché. È la prima guerra di aggressione totale in Europa dal 1945. La Cina sembra avvicinarsi a una Russia ferita. Gli Stati Uniti e i loro alleati non sono stati così uniti da decenni, con persino la Germania che si è resa conto della necessità di riarmarsi.

Ora, lo shock della guerra ha costretto l’amministrazione Biden a riscrivere il suo progetto di sicurezza nazionale. La strategia di difesa nazionale del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, che delinea l’approccio degli Stati Uniti alle sfide di sicurezza a lungo termine, era originariamente prevista per l’uscita a febbraio; ora è stato ritardato fino a nuovo avviso. Quando verrà pubblicata la versione rivista del più importante documento sulla sicurezza di Washington, dovrà riflettere nuove realtà: l’aggressione russa ha cambiato radicalmente la sicurezza europea in modi che non sono ancora chiari mentre la guerra si trascina, anche a causa dell’incertezza sulla misura in cui il conflitto avvicina Pechino a Mosca. Cosa c’è di più,

In che modo la guerra cambierà la grande strategia statunitense, che fino a un mese fa sembrava quasi interamente incentrata sulla Cina e sull’Indo-Pacifico? Abbiamo chiesto a sette eminenti pensatori di politica estera di intervenire.— Stefan Theil, vicedirettore

 

Potenzia le alleanze e condividi gli oneri

Di C. Raja Mohan, editorialista di Foreign Policy e ricercatore presso l’Asia Society Policy Institute

A differenza della strategia di sicurezza nazionale del 2017 dell’amministrazione Trump , che considerava sia la Russia che la Cina allo stesso modo come minacce, l’amministrazione Biden si è concentrata principalmente sulla Cina nella sua guida provvisoria del 2021 . Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha persino contattato il presidente russo Vladimir Putin alla ricerca di una relazione stabile e prevedibile che potesse consentire a Washington di concentrarsi sulle sue priorità nell’Indo-Pacifico.

Non sorprende che l’invasione russa dell’Ucraina abbia sollevato interrogativi sulla sostenibilità dell’inclinazione di Biden verso l’Indo-Pacifico. Gli Stati Uniti hanno abbastanza larghezza di banda politica e risorse militari per far fronte alle sfide simultanee sia in Europa che in Asia? Alcuni in Asia ora temono che la minaccia rappresentata dalla Russia in Europa possa costringere Biden ad allentare il confronto con la Cina e tornare a una strategia cinese prioritaria nella regione.

Nonostante i tentativi diplomatici di Washington di ottenere l’aiuto di Pechino per fermare la guerra di Putin, la proclamazione congiunta del 4 febbraio di una partnership sino-russa senza limiti da parte di Putin e del presidente cinese Xi Jinping preclude a Biden di scegliere tra il teatro europeo e quello asiatico. Inoltre, le traiettorie geopolitiche della Russia di Putin e della Cina di Xi si fondano su una profonda sfiducia condivisa nei confronti degli Stati Uniti. Lo spazio per entrambi i leader per negoziare una pace separata con Washington sembra piuttosto piccolo; semmai, la prospettiva di una Russia indebolita potrebbe avvicinarli.

Se Washington ora deve affrontare sfide sia cinesi che russe, deve necessariamente potenziare i suoi alleati e modernizzare gli accordi di condivisione degli oneri in Asia e in Europa. Fortunatamente, la grande strategia dell’amministrazione Biden ha lo spazio per fare entrambe le cose. La sua particolare enfasi sulla costruzione di ciò che il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan chiama un “lavoro a reticolo di partenariati flessibili, istituzioni, alleanze e [e] gruppi di paesi” ha già guadagnato un notevole successo in Asia.

Come ha affermato di recente il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, gli Stati Uniti hanno sviluppato una formazione ” cinque-quattro-tre-due ” in Asia: “dal rafforzamento dei Cinque Occhi al commercio del Quad, dal mettere insieme AUKUS al rafforzamento delle alleanze militari bilaterali. ” Non potrebbe esserci approvazione migliore del reticolo dell’amministrazione Biden in Asia. Grazie alla guerra di Putin in Ucraina, il lungo anno sabbatico dell’Europa dalla geopolitica è terminato. È finalmente pronto a fare di più per la propria difesa, inclusa una storica decisione tedesca di riarmarsi.

Se gli alleati europei degli Stati Uniti si assumono maggiori responsabilità nel proteggere le loro terre d’origine dalla minaccia russa, non ci sono ragioni per cui Washington declassi le preoccupazioni asiatiche per il bene della stabilità europea. A differenza della più recente epifania degli europei, gli alleati e i partner statunitensi nell’Indo-Pacifico, in particolare Australia, India e Giappone, sono stati pronti ad assumersi maggiori responsabilità per la sicurezza asiatica.

Né l’Asia né l’Europa possono bilanciare Cina e Russia da sole per il prossimo futuro. Ma facendo di più per la propria sicurezza, aiutano a rafforzare il sostegno politico interno degli Stati Uniti per un impegno militare sostenuto nelle due regioni. Promuovendo un ruolo più ampio e una maggiore voce politica per i suoi alleati, Washington può costruire equilibri di potere regionali durevoli in Asia e in Europa, sostenuti dalla potenza militare statunitense. Ciò, a sua volta, potrebbe costringere Pechino e Mosca ad adottare approcci più ragionevoli nei confronti dei loro vicini e scartare la convinzione di poter tagliare accordi di superpotenza con Washington al di sopra dell’Asia e dell’Europa. Gli oneri di sicurezza condivisi e le alleanze rafforzate con gli Stati Uniti renderanno più facile per l’Asia e l’Europa esplorare l’equilibrio tra contenimento a breve termine e riconciliazione a lungo termine con Cina e Russia.

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La sfida di Washington è mantenere la Russia isolata

Da Robin Niblett, direttore e amministratore delegato di Chatham House

L’invasione dell’Ucraina da parte del presidente russo Vladimir Putin ha rivelato tanto sullo stato debole dell’ordine di sicurezza europeo quanto lo ha cambiato. Putin aveva a lungo pubblicizzato il suo rifiuto dell’allargamento verso est della NATO e dell’Unione Europea e i rischi che riteneva che questa ondata democratica liberale ponesse agli interessi russi. Per due volte ha cercato di fermare la marea: prima in Georgia nel 2008 e poi di nuovo con il suo primo attacco all’Ucraina nel 2014, dopo il rovesciamento del presidente filo-russo dell’Ucraina, Viktor Yanukovich.

I responsabili politici di Washington e delle capitali europee si sono abituati alla risultante ambiguità strategica. Sembrava uno status quo sostenibile, anche se insoddisfacente, mantenere la Russia sotto persistenti lievi sanzioni per l’annessione della Crimea e la guerra per procura nell’Ucraina orientale, aumentando lentamente gli investimenti europei e statunitensi nella NATO e nella difesa nazionale, almeno fino a quando Putin non si è trasferito dal Cremlino . Nel complesso, la Russia sembrava essere un piccolo attore nell’architettura della sicurezza globale, interferendo con le elezioni, continuando con occasionali attacchi informatici e omicidi mirati e reinserindosi in paesi instabili in tutto il mondo.

Ciò ha creato spazio affinché l’amministrazione Biden intraprendesse un serio perno geopolitico verso l’Indo-Pacifico a seguito degli sforzi in stallo durante le amministrazioni Obama e Trump. Questo perno ha rafforzato le relazioni di sicurezza degli Stati Uniti con i suoi principali alleati nella regione, formalizzandole in diversi livelli di intensità, dalla più morbida partnership Quad con Australia, India e Giappone al più duro patto Australia-Regno Unito-Stati Uniti, noto come AUKUS, con le sue dimensioni di sicurezza palesi.

La strategia indo-pacifica degli Stati Uniti ha anche comportato una linea sempre più dura verso la Cina. Washington ha imposto restrizioni al trasferimento di tecnologia e ha imposto sanzioni a Pechino per l’abuso dei diritti umani nello Xinjiang e per la repressione anti-democrazia a Hong Kong. Per l’amministrazione Biden, questo è il momento di riconoscere che il mondo non è entrato in un confronto bipolare sino-americano, ma in una competizione globale tra il mondo democratico e le due autocrazie di ancoraggio, Russia e Cina.

Legare la Cina nell’orbita delle sanzioni occidentali insieme alla Russia, anche se per ragioni non correlate, ha avvicinato queste due grandi potenze, come dimostrato dalla dichiarazione congiunta di Putin e del presidente cinese Xi Jinping a febbraio secondo cui il sostegno reciproco dei loro paesi non avrebbe limiti”. Con il suo sostegno retorico alla guerra russa, la Cina sembra mantenere questo accordo.

Cercare di staccare la Cina dalla Russia in mezzo a questa crisi sarà molto difficile. Le minacce di sanzioni secondarie contro la Cina se fornisce un sostegno economico palese alla Russia comporteranno rischi significativi per la più ampia strategia statunitense. Il mercato cinese continuerà ad essere importante per i paesi europei e asiatici in modi che l’economia russa non lo è. Tenere insieme le alleanze transatlantiche e transpacifiche sarà molto più difficile se il conflitto non sarà solo tra l’Occidente e Putin, ma tra l’Occidente e una Russia e una Cina alleate.

Pochi paesi vorranno seguire gli Stati Uniti in un mondo così nettamente diviso. La sfida rimane quella di mantenere la Russia isolata ed esposta per la sua flagrante e brutale invasione di un vicino sovrano. E per evitare, se possibile, l’onere per la strategia statunitense di dover gestire i rischi di un conflitto a due con gli alleati che sarebbe molto più ambivalente su quello scenario rispetto alla minaccia rappresentata dalla sola Russia in Europa.

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La politica russa di Washington non funzionerà in Asia

Di Kishore Mahbubani, un illustre collega presso l’Asia Research Institute della National University of Singapore

La lezione per la strategia statunitense dalla guerra della Russia in Ucraina è semplice: il pragmatismo geopolitico è migliore nel mantenere la pace rispetto alla visione moralmente assolutista secondo cui ogni paese dovrebbe essere libero di scegliere il proprio destino, indipendentemente dalle conseguenze geopolitiche.

Naturalmente, l’invasione russa deve essere condannata. Tuttavia, coloro che hanno incautamente sostenuto l’adesione alla NATO per l’Ucraina e hanno accelerato le spedizioni di armi occidentali nel paese devono anche assumersi una responsabilità morale per aver condotto al macello l’agnello geopolitico ucraino e per aver creato una massiccia instabilità globale. Tutto questo dolore e questa sofferenza avrebbero potuto essere evitati se coloro che consigliavano il pragmatismo geopolitico, inclusi grandi pensatori strategici come George F. Kennan e Henry Kissinger, che mettevano in guardia su questo preciso problema, fossero stati ascoltati.

In Asia, è altrettanto pericoloso assumere l’opinione moralmente assolutista secondo cui il popolo di Taiwan dovrebbe essere libero di scegliere il proprio destino. L’ex segretario di Stato americano Mike Pompeo lo ha sostenuto in una recente visita a Taiwan quando ha affermato che “il governo degli Stati Uniti dovrebbe prendere immediatamente le misure necessarie e attese da tempo” e offrire a Taiwan “il riconoscimento diplomatico come paese libero e sovrano”.

Ci sono poche certezze geopolitiche nel mondo. Uno di questi è che se Taiwan dichiara unilateralmente l’indipendenza, la Cina gli dichiarerà guerra. Questo è il motivo per cui poche persone in Asia sostengono l’indipendenza di Taiwan.

Altrettanto importante, a differenza della forte risposta occidentale all’invasione russa dell’Ucraina, non ci sarebbe una risposta asiatica similmente unita a un’invasione cinese di Taiwan. La mancanza di una risposta energica non dimostrerebbe che i paesi asiatici sono immorali, solo che non approvano l’incoscienza geopolitica.

Il più grande cambiamento di mentalità richiesto ai politici statunitensi impegnati nella politica indo-pacifica è quello di abbandonare la lente politica in bianco e nero che li porta a lavorare solo con alleati e partner, ad esempio quelli nel patto AUKUS, inclusa l’Australia e il Regno Unito o il dialogo quadrilaterale sulla sicurezza, inclusi Australia, India e Giappone. Invece, gli Stati Uniti devono imparare a essere geopoliticamente pragmatici e lavorare con gruppi in Asia che includono la Cina.

C’è una differenza fondamentale tra l’Europa e l’Asia che i politici statunitensi potrebbero prendere in considerazione mentre modellano la loro strategia futura. Mentre l’economia russa, nonostante il suo ruolo di fornitore di energia, è solo leggermente integrata nello spazio geoeconomico europeo, quella cinese è completamente integrata in Asia. Ad esempio, il commercio dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico con la Cina è stato quasi il doppio di quello con gli Stati Uniti nel 2020.

I critici della strategia indo-pacifica di Washington hanno ragione a indicare il grande buco in questa strategia in cui dovrebbe esserci una politica economica a lungo termine. Ma il buco è ancora più grande: gli Stati Uniti non hanno la capacità di elaborare strategie geopoliticamente pragmatiche che siano in linea con quelle della maggior parte degli stati asiatici, che non hanno problemi a includere la Cina nei loro raggruppamenti regionali. In effetti, riconoscono che vincolare la Cina all’interno di gruppi multilaterali è l’approccio migliore. Se questo tipo di pragmatismo geopolitico impedisce lo scoppio di una guerra in Asia, sia per Taiwan che per un’altra questione, sarà di gran lunga superiore all’assolutismo morale dell’Occidente sull’Ucraina.

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