UNO NESSUNO E CENTOMILA, di Antonio de Martini

UNO NESSUNO E CENTOMILA

É tipico di molti regimi a partito unico disporre di una milizia e l’Iran non ha fatto eccezione.

In genere si tratta di organizzazioni di tipo paramilitare con gradi, gerarchie, accademie, ma l’unico « ufficiale e gentiluomo » che si rivelô un eccellente stratega e condottiero, fu il generale, poi maresciallo , Hasso Von Manteufel dell’esercito, dopo però un rapido passaggio in giovinezza nelle famigerate SS, a riprova che la legge dell’eccezione é fondata, ma non si ripete.

Ad Amburgo, città tradizionalmente di sinistra i cui borgomastri diventavano Cancellieri come Helmuth Schmitt, la strada che porta all’Accademia militare si chiama Manteufelstrasse senza che nessuno abbia mai mosso obiezioni.

Non così il maggior generale Suleimani della « Kuds force » – o Quds – come si ostinano a scrivere gli americani.

Il suo ruolo era più assimilabile a quello di un plenipotenziario per gestire la prima collaborazione Irano-americana in funzione anti Daesch.

Gli USA, capito che in Irak non l’avrebbero mai spuntata senza la collaborazione degli sciiti, si erano rassegnati a far reclutare una « milizia popolare sciita » perché i sunniti – spodestati da Bremer- erano tutti avversari del nuovo regime.

Suleimani ebbe una funzione di « endorsement » della.campagna di reclutamento americana e di
amministratore dei rifornimenti di uomini ed armi, da gestire in maniera da perseguire ANCHE obbiettivi di influenza iraniana oltre che di caccia ai jihadisti.

Inizialmente fu apprezzato, intervistato, il suo ruolo ingigantito.
Gli iraniani ne dilatarono il ruolo anche per la Siria.

Gli USA resisi conto di essere stati giocati e che la “loro”, milizia guardava a Tehran, se la legarono al dito.

Suleimani non é stato ucciso perché fulmine di guerra, ma perché gli USA dopo avergli dato notorietà internazionale, avevano disperato bisogno di sbandierare una vittoria degna di ridorarne il blasone e hanno spacciato per escalation strategica una vendetta alla siciliana.

Cosa cambia nel vicino oriente ?

Un regime di teologi non ha uomini indispensabili. Elabora le strategie in modo corale. Altrimenti, dopo Khomeini sarebbero crollati.

Gli sciiti hanno una tradizione di sacrificio e obbedienza da quindici secoli. Sono nati da una sconfitta ( Kerbala) e dalla morte di tutti i loro capi.

Le sconfitte non li abbattono. Li esaltano.
Adesso hanno un martire in più in nome del quale immolarsi.

Gli USA hanno fatto come a Cassino. Non riuscendo a passare se la presero con l’Abbazia.
Adesso è lì e loro fingono non sia successo.

Intanto da Kabul a Gerba è iniziato il dibattito corale e segreto: come far sì che i giaour si pentano amaramente.

L’individuo eccezionale fa parte dell’immaginario anglosassone.
L’Islam è sociale. E segreto.

VANTAGGI E INCONVENIENTI

Il primo paese a fare dell’assassinio mirato dei capi avversari uno strumento sistematico è stato Israele.

Una serie di tiratori scelti , opportunamente appostati, uccidevano in maniera anonima i capi palestinesi durante le manifestazioni, spesso violente, in quel di Gaza.

L’idea era che , se si taglia la testa all’Idra, questa muore. Ma non l’Idra dalle cento teste, anche se ci provarono.

Arafat fu quasi certamente avvelenato, una incursione a Beirut eliminò alcuni dirigenti OLP e un’altra a Tunisi i quattro o cinque più influenti capi palestinesi del momento.

A Roma fu ucciso Adel Zwaiter che era riuscito a farsi ascoltare dal gruppo ESPRESSO diventando un concorrente pericoloso.

A Dubai un quintetto dotato di passaporti canadesi uccise un banchiere palestinese.
A Amman fu avvelenato in capo OLP , ma catturati gli autori, il governo Giordano li liberò in cambio dell’antidoto.

Intanto, l’arma strategica di trasformò in strumento di vendetta : i presunti autori della strage di Monaco ( squadra olimpica israeliana) furono uccisi qua e là in Europa, fino a che si rivolse l’arma anche all’interno.

Il generale Isaac Rabin, premier reo di negoziare la pace , fu ucciso durante un comizio e il processo di pace si arenò.

Da questi numerosi casi, possiamo cominciare a trarre ammaestramenti.

Nel caso di Israele ( e dell’Egitto di Saadat) l’omicidio del capo ha avuto una sua tragica efficacia : in entrambi i casi, il processo di pace , non sentito, si è interrotto.

Nel caso dei rivoltosi palestinesi, la eliminazione dei capi popolo ha avuto effetti contrari a quelli sperati .

Poiché , nel Vicino Oriente le cariche sono praticamente a vita – e dopo un certo periodo ciascuno ha dato quel che poteva dare – l’avvicendamento ha avuto benefici effetti permettendo a elementi più giovani ed energici di accedere a posizioni di comando e scoraggiato le candidature di carrieristi intriganti ma pavidi.

Gli Israeliani hanno capito la lezione e recentemente hanno cambiato obbiettivi indirizzando i tiratori scelti verso gli elementi di supporto alle agitazioni ( infermiere, giornalisti, fotografi ) in maniera da demotivare partecipanti e fiancheggiatori ma senza più colpire i capi provocando una selezione positiva.

Suleimani era a capo della Kuds Force dal 1998 ( ventun anni) . Quel che poteva dare e fare, l’ha dato e l’ha fatto.

Ora utilizzeranno i suoi resti per mostrare la perversione del Grande Satana e sollecitare solidarietà ai tiepidi. Tutto l’Irak è ormai schierato contro gli USA e il premier Adel Abd El Mahdi è sputtanato a vita.

Persino il governo del kurdistan iracheno ha stigmatizzato il comportamento americano.

Trump , in difensiva, si giustifica dicendo che l’iraniano “ stava preparando attentati” , ma l’assalto all’ambasciata è stato fatto da una numerosa folla e non ha prodotto morti.

La guerra per conquistare i cuori degli iracheni – durava da mesi- l’ha vinta Suleimani con l’aiuto degli USA.

Non c’è nemico dell’America tanto stupido da voler uccidere Trump e interrompere la catena di azioni che sta compiendo a danno degli Stati Uniti.

All’America sono rimasti due alleati: Israele e Arabia Saudita. Colpiranno quelli.

i 5 effetti dello strike Usa contro Soleimani in Iran, di Giuseppe Gagliano- Il senso del tragico, di Piero Visani

L’Iraq e la Libia si stanno avviando sulla strada della decomposizione. E’ l’effetto più nefasto e deleterio dell’intervento americano ed occidentale in quei due paesi. Gran parte delle forze politiche, comprese quelle di opposizione a queste intrusioni non stanno operando o si stanno rivelando incapaci di una opera di ricostruzione nazionale. Un gioco di azione e reazione, di provocazioni, incluso quello dello sfoggio di prigionieri, che rende le componenti autoctone in lotta sempre più delle appendici di forze esterne. Tra i paesi in preda al conflitto militare solo la Siria di Assad, almeno nella sostanza, sembra mantenere la caratteristica di una reazione impegnata al mantenimento della propria integrità nazionale_Giuseppe Germinario

Ecco i 5 effetti dello strike Usa contro Soleimani in Iran. Gli scenari di Gagliano

di

Soleimani_

Tutti gli scenari possibili dopo che il generale iraniano Soleimani è stato ucciso il 3 gennaio da un raid ordinato da Trump. L’approfondimento di Giuseppe Gagliano

Il comandante delle Quds Force, unità del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (IRGC) iraniane, il generale Qassem Soleimani, è stato ucciso venerdì 3 gennaio da un raid ordinato dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sull’aeroporto internazionale della capitale irachena Baghdad, secondo quanto riferito dal Pentagono e dalla Casa Bianca.

Soleimani, 62 anni, non solo aveva coordinato le operazioni extraterritoriali iraniane in particolare in Iraq, in Siria, in Libano e Yemen ma aveva in particolare contribuito in modo decisivo a sostenere il presidente siriano Assad. Inoltre, durante la guerra in Iraq, Soleimani servendosi abilmente delle Forze di Mobilitazione Popolare, unità paramilitari sciite appoggiate proprio dall’Iran, aveva dato un contributo militare di grande rilievo nel fermarne il radicamento dell’Isis in Iraq.

L’operazione americana, che rappresenta un successo sotto il profilo della Intelligence, è stato realizzata grazie all’uso di un drone MQ-9 Reaper che ha anche eliminato il generale delle milizie irachene Abu Mahdi al-Muhandis, vice comandante delle Forze di Mobilitazione Popolare, il Generale Hussein Jaafari Naya, il Colonnello Shahroud Muzaffari Niya, il Maggiore Hadi Tarmi ed il Capitano Waheed Zamanian.

Sotto il profilo strettamente politico-strategico, l’operazione militare è stato attuata a scopo preventivo – per sventare operazioni offensive iraniane contro funzionari americani, come indicato dal Times sulla base delle informazioni del Pentagono – e dissuasivo.

Vediamo di spiegare a tale proposito cosa significa esattamente dissuasivo. Ora, al di là delle comprensibili e scontate reazioni di condanna da parte del leader supremo dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei e del presidente iraniano, Hassan Rouhani, l’operazione attuata dagli Stati Uniti deve essere contestualizzata sul piano militare in primo luogo all’interno di una più ampia operazione di ritorsione in stile israeliano determinata sia da quella del 27 dicembre in cui un attacco missilistico è stato posto in essere contro una base militare irachena cagionando la morte di un civile americano sia a causa delle violente proteste del 31 dicembre presso l’ambasciata statunitense a Baghdad, situata nella cosiddetta Green Zone, coordinate dalle Brigate di Hezbollah e dalle Forze di Mobilitazione Popolare, proteste volte a chiedere il ritiro delle forze statunitensi dall’Iraq.

Inoltre, sotto il profilo strettamente politico, Mike Pompeo proprio il 13 dicembre aveva avvertito Teheran che qualsiasi azione offensiva sotto il profilo militare nei confronti degli Stati Uniti avrebbe ricevuto una risposta adeguata.

In secondo luogo, sotto il profilo della strategia globale posta in essere da Trump, questa operazione militare risulta essere pienamente coerente con l’obiettivo di contrastare in modo ampio, sistematico e capillare la presenza sciita in Iran, Iraq, Siria, Libano e Yemen.

In terzo luogo, questa operazione militare, può essere inquadrata anche per consolidare il suo consenso interno e per allontanare lo spettro della messa in stato di accusa da parte del Congresso. D’altronde l’uso della politica estera come strumento per rafforzare il consenso al livello di politica interna costituisce non l’eccezione ma una costante a livello storico.

In quarto luogo tutto ciò non farà altro che consolidare la partnership militare degli Usa con l’Arabia Saudita e Israele i cui servizi di sicurezza hanno certamente svolto un ruolo di rilievo nella individuazione di Soleimani.

SCENARI POSSIBILI

Fra gli scenari possibili da escludere vi è certamente l’invasione militare americana determinata dalla natura geografica della Repubblica Islamica. Sebbene gli Usa abbiano infrastrutture militari in 14 Paesi e cioè in Egitto, Israele, Libano, Siria, Turchia, Giordania, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita, Yemen, Oman, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Bahrein, l’Iran oltre ad avere una estensione di 1.684.000 chilometri quadrati, è una fortezza naturale – pensiamo ad esempio all’uso strategico che Teheran farebbe dei Monti Zagros che dividono l’Iran dalla Turchia – e una eventuale operazione terrestre proveniente dall’Afghanistan non solo implicherebbe mesi di pianificazione ma implicherebbe il dispiegamento di una forza terrestre di almeno 300 mila soldati  operazione che andrebbe autorizzata dal Congresso che, allo stato attuale, sta ponendo in essere un procedimento di messa in stato di accusa proprio contro Trump. Inoltre sarebbe necessaria da parte dell’Iran e/o dei suoi alleati una azione terroristica analoga a quella dell’11 settembre per conseguire una coesione politica necessaria per un intervento di queste proporzioni.

Quanto ad un intervento nucleare limitato da parte degli Stati Uniti questo avrebbe delle conseguenze ancora più imprevedibili sul piano internazionale poiché non soltanto determinerebbe una condanna unanime da parte di tutte le istituzioni internazionali ma soprattutto determinerebbe una reazione anche di natura  militare da parte della Russia.

Non c’è dubbio che in primo luogo questa offensiva statunitense porterà in primo luogo a un aumento della conflittualità da parte sia degli alleati dell’Iran nei confronti di Israele – stiamo naturalmente alludendo a Hezbollah – sia ad un ulteriore incremento della instabilità in Iraq.

In secondo luogo il sostegno militare e di intelligence fornito dall’Iran agli Houthi, attori centrali nel conflitto yemenita, potrebbe determinare  una risposta rapida e diretta stando proprio alle dichiarazioni di Mohammed Ali al-Houthi capo del Comitato supremo rivoluzionario Houthi – cioè ad una  ritorsione militare.

In terzo luogo i rapporti tra Cina e Usa potrebbero subire un ulteriore peggioramento dal momento che proprio la Cina sostiene l’Iran nel contesto della Nuova Via della Seta. 

In terzo luogo l’Iran potrebbe mettere in campo il tentativo di utilizzare lo Stretto di Hormuz come strumento di deterrenza militare.

In quarto luogo, l’Iran potrebbe attuare operazione terroristiche ai danni delle basi militari americane in Qatar e Bahrein.

In quinto luogo questa azione militare da un lato aumenterà in modo rilevante la destabilizzazione in Medio Oriente e dall’altro lato certamente rafforzerà il ruolo politico-religioso sciita a livello globale.

https://www.startmag.it/mondo/soleimani-iran-usa-iraq/?fbclid=IwAR3EFUeKAMbE1v6Lr1tfFADWWG0bVbZOb7bAcZyxhyb9EVuLG_RU877WawA

IL SENSO DEL TRAGICO, di Piero Visani

E’ saper morire per ciò in cui si crede. Si colpisce e si è colpiti. Si sviluppano politiche e se ne subiscono le conseguenze. Non si pensa che vivere consista soltanto nel pagare, farsi tassare da ladri patentati e farsi sfruttare da classi dirigenti ignobili, che non hanno nemmeno il coraggio delle loro azioni.
Marcire – da vivi – non è preferibile che farlo da morti.
Molti del centrodestra italiano – nella loro infinita saggezza da servi – diranno che è stato ucciso un terrorista…

“Difficile concentrare tante sciocchezze geopolitiche in una sola frase.
A partire dal fatto che in Medio Oriente l’Iran (con la Russia) ha fatto da argine al terrorismo islamico dell’Isis tollerato, per non dire altro, da Arabia Saudita e Usa. E per finire con il fatto che l’Italia è il principale partner economico europeo dell’Iran: in questo caso delle imprese nazionali e del popolo delle partite Iva ce ne freghiamo?”

LA MATASSA, di Antonio de Martini

LA MATASSA

L’Arabia Saudita si trova tra due fuochi da lei provocati: a sud la guerra con lo Yemen e a nord il conflitto siriano.

Gli Stati Uniti si trovano anch’essi tra due fuochi possibili: da una parte il conflitto in Irak con l’ISIS ( per combattere il quale hanno equipaggiato e autorizzato le milizie sciite) e dall’altra dovrebbero combattere e disarmare le stesse milizie sciite che secondo le accuse israeliane sono la base dell’attacco agli impianti petroliferi.

Entrambi i paesi stanno concertandosi oggi a Gedda circa il da farsi che consisterebbe nel decidere atti di guerra contro l’Iran, il quale nega tutto.

Gli Stati Uniti promettono di esibire alle Nazioni Unite le “ prove” che l’intelligence sta approntando, sempre che si trovi un Presidente USA disponibile a ripetere la scena di Colin Powell sulle armi di distruzione di massa irachene per avere il sostegno degli alleati.

Ne dubito.

Al massimo lo farà il fido Pompeo e tornerà con le pive nel sacco.

Il senato USA, anche repubblicani, dice che bisogna accertarsi che l’alleato saudita “ abbia tutte le armi necessarie” alla sua difesa . Escludono attacchi diretti di qualsiasi genere.
Alla peggio vorranno fare una Proxy war, ma ne stanno già facendo due….

La proxy war è una forma di lotta affidata nascostamente a terzi mirante a guerreggiare contro un paese terzo senza che appaia il mandante per non violare in forma sfacciata il principio di non ingerenza negli affari interni altrui fissato da Metternich nel Congresso di Vienna( 1815) .

Di fatto è impossibile trovare prove di una proxy war.

I dati di fatto sono che l’AS ha speso quest’anno 82,6 miliardi di dollari in armamenti e l’Iran 13,2.
Gli abitanti dichiarato dai sauditi sono 20 milioni e dagli iraniani 70.

L’Iran è stato oggetto di sanzioni da parte americana e gli europei stanno lavorando per farle togliere o attenuarne gli effetti.

Non credo vi siano dubbi su chi sia l’attaccante strategico, ne sulla fine che farebbero Riad e Tel Aviv in caso di scontro aperto.

Le conclusioni del vertice tra Mohammed ben Salman e Mike Pompeo dunque sono scontate.

La risposta di aumento delle sanzioni, inasprirebbe la situazione a danno degli interessi degli Stati Uniti, ma sarebbe ben vista dai sauditi.

Una decisione di intensificare qualche forma di proxy war sarebbe ben vista dagli americani ma danneggerebbe i sauditi destinati inevitabilmente a sostenere la reazione.

Una reazione nei confronti delle milizie sciite irachene ( incolpevoli) provocherebbe una nuova guerra in Irak e smentirebbe tre decenni di scelte politiche USA, dato che furono loro a dare il potere agli sciiti ed armarne le milizie.
Si passerebbe dalla tragedia alla farsa.

Parimenti impensabile è una rappresaglia contro gli Houti, dato che lo Yemen è stato da mesi dichiarato “ emergenza umanitaria” dalle Nazioni Unite e una serie di ben tre delibere senatoriali che proibivano di fornire armi e assistenza ai sauditi in guerra sono state fermate da un veto presidenziale.
Il quarto sarebbe di troppo.

Un’azione contro Hezbollah in Libano verrebbe vista come un diversivo e scatenerebbe una reazione contro Israele in un momento politico delicatissimo e alla vigilia della comunicazione del piano di pace coi palestinesi.

Le sole soluzioni sono un “ coup de teatre” di Trump alle Nazioni Unite con Rouhani ( che però agli occhi di molti potrebbe sembrare una sconfitta) o far fuori ( sei mesi) Mohammed ben Salman e dare tutte le colpe a lui.
Voi cosa scegliereste ?

ANCORA IRAN_QUESITI INQUIETANTI, di Antonio de Martini

Le acute considerazioni di Antonio de Martini iniziano con due interrogativi inquietanti, giustamente inquietanti. Il giudizio impietoso e senza attenuanti sulla Presidenza Trump, senza dubbio più severo e senza attenuanti rispetto a quello espresso su altre presidenze, oscura e sottovaluta alcuni dati di fatto:

  • sino ad ora Trump non si è invischiato in nessun conflitto militare e ha sempre sottolineato l’intenzione di uscire al più presto da quelli ereditati dalle precedenti presidenze; uno dei paletti fissati da Trump ai componenti del suo staff avvicendatisi sino ad ora è stato proprio quello di evitare di innescare confronti armati aperti
  • l’andamento schizofrenico della politica estera è legato oltre che alla complessità delle attuali dinamiche geopolitiche, alla contrapposizione inedita, nella loro evidenza e virulenza, tra strategie e tattiche antitetiche dei vari centri decisionali statunitensi, gran parte dei quali fuori dal controllo della Presidenza
  • l’affermazione di strategie, alleanze e tattiche chiaramente alternative comporta la destrutturazione degli attuali sistemi di alleanze. Ciò che appare come un desolante isolamento, potrebbe rivelarsi come un isolamento relativo teso a creare un sistema di alleanze più limitato, ma più coeso in una cornice di multipolarismo sempre più definita. Una fase di transizione che porti al logoramento definitivo delle vecchie élite, in particolare europee. Da questo punto di vista è eloquente la discrezione e la prudenza coltivata da Putin verso Trump, pur in presenza di pesanti provocazioni americane

Detto questo, l’attuale gioco con l’Iran potrebbe in effetti rivelarsi alla fine la trappola perfetta per far cadere o annichilire l’inquilino della Casa Bianca, in un confronto che all’interno del paese lo vede altrimenti vincente, almeno per il momento. Una trappola che potrebbe scattare sulla base di una quantomeno oggettiva convergenza di interessi tra le componenti oltranziste e antitrumpiane americane e dei loro alleati esterni e quelle iraniane, responsabili in buona parte anch’esse, anche se non in prevalenza, della situazione caotica in Medio Oriente, ad iniziare dal sacrificio della questione palestinese. Anche in questa oggettiva convergenza le visioni strategiche sono piegate spesso, in ultima analisi, ai fini dei conflitti politici interni. Una dinamica valida per tutti gli schieramenti, non solo per quello che risale a Trump_Germinario Giuseppe

ANCORA IRAN_QUESITI INQUIETANTI

Quante volte andrà fino al limite della guerra per poi ritornare indietro in sicurezza?
Quante volte ancora prima di restare solo, con la May?

Mentre si avvicina la data del 27 giugno in cui – in base al trattato Iran-EU e potenze europee- l’Iran si renderà libero di riprendere la marcia al nucleare,
l’Iran annunzia di aver abbattuto un drone della Marina USA MQ-4C Triton.

L’accusa è di violazione dello spazio aereo a scopo di spionaggio.

In pratica, ad ogni passo indietro americano dal “brinkmanship”, corrisponde adesso un passo avanti iraniano.

Il controllo dell’area dello stretto di Hormuz diventa sempre più difficile dato che gli USA accusano la perdita di due drone ( un Reaper il 6 giugno e un Triton ieri). Niente morti per fortuna, ma così si facilitano gli scontri.

Il tentativo di creare una “coalizione dei volenterosi “ in Asia – dopo il “fin de non recevoir” europeo sembra essersi rivelato inefficace. Nessun ritiene che il duo Trump- Netanyahu sia dalla parte della ragione.

Se pensiamo che, agli inizi della vicenda “ nuovo ordine mondiale” di Bush senior i “ volenterosi” erano 34 abbiamo la misura di quanto la politica estera americana sia stata piegata alle esigenze di politica interna elettorale.

E di come siano considerati gli alleati dal governo degli Stati Uniti. Entità sacrificabili sull’altare dell’elettorato del Massachusetts.

SOR SALVINI VIEN DA ROMA CON
LE SCARPE ROTTE AI PIÈ

Se il piano USA era quello di piegare l’Iran e la sua dirigenza ai voleri angloamericani e trascinarli a un nuovo tavolo di negoziati, ebbene, è fallito.

Se volevano mostrare al mondo chi comanda, non ci sono riusciti.

Per questi due fallimenti hanno pagato un ulteriore prezzo di immagine in medio Oriente.

Sembra però che questa volta l’ abbiano capita in meno dei nove anni che ci sono voluti per la Siria.

l’Iran ha subìto, tacendo, ogni genere di pressioni economiche e procedure diplomatiche, ma ha reagito unicamente nei tempi e termini previsti dal trattato che lo ha legato all’occidente.

Trascorso un anno dal recesso unilaterale USA, ha applicato i termini usati dal trattato ( e pensati per un Iran violatore del patto) e dato i sessanta giorni di preparazione previsti agli altri partner perché procedessero al richiamo del dissenziente a rientrare nei termini del patto.

Il primo successo persiano è stato che nessuno degli altri sottoscrittori – in questo anno trascorso- ha rinnegato l’impegno preso. Nemmeno l’Onu e nemmeno l’Inghilterra.

Il secondo è l’espressione di stizza e meraviglia del dipartimento di Stato che si è trovato di fronte al muro di gomma degli europei e all’intransigenza iraniana che ha rifiutato ogni dialogo .

La meraviglia si è trasformata in stupore quando di fronte all’accusa del Presidente Trump di sabotaggio al traffico petrolifero, gli iraniani gli hanno dato del bugiardo ed è venuto un gesto di solidarietà dal solo governo inglese dimissionario ( non di denunzia del trattato però ).

A questo punto, il fido Bolton (detto “ due baffi appesi sul nulla”) dalla certezza di colpevolezza, è passato alla quasi certezza ( “almost sure”) e due giorni dopo il CENTCOM medio oriente ( che aveva diffuso il filmato ) ha cambiato apparentemente discorso lamentando che gli Houtis ( tribù yemenita in guerra con l’Arabia Saudita da tre anni ) tentavano, a volte – e di recente con successo – di abbattere i drone americani. ( un MQ 9 Reaper il 6 giugno).

Dopo aver dato questa anticipata spiegazione circa l’assenza di filmati che mostravano DOVE si era ritirato il pattugliatore IRGC classe Gashti del film, hanno ripreso la marcia indietro parlando di missili S A 6 ( automontati) e poi di S A 7 ( missili da spalla) di cui la penisola arabica è gonfia come un otre.

La ragione per cui l’Iran si rifiuta ostinatamente di trattare è duplice.
Da una parte, perché rifiuta di trattare sotto minaccia ( il sistema fu inventato da loro tremila anni fa e citato nel trattato di strategia dell’imperatore di Costantinopoli Maurizio, citato da Luttwark ne “ la grande strategia dell’impero bizantino”) .

Seconda e decisiva ragione è che gli iraniani ( e nemmeno noi) hanno/abbiamo capito quali siano le richieste USA, stante che ancora oggi gli iraniani – persino nello scontro diplomatico- hanno scrupolosamente seguito quanto stabilito dal trattato e non rispondono alle incursioni israeliane in Siria.

Per rimediare a questa sconfitta isolante, il povero Pompeo fa un giro dell’Asia-Pacifico in cerca di alleati per una azione comune non meglio specificata, perché inesistente, contro l’Iran che è tra i principali se non il principale fornitore di petrolio di India, Indonesia, Malesia. Pakistan, Corea e Giappone. ( tanto che alle Sanzioni precedenti furono esonerati dall’embargo dagli stessi USA) .

In questo frangente, giunge la visita a Washington di un vice presidente italiano ( con delega all’interno) che offrirà il sostegno di mezzo governo.

Tornerà indietro con foto ricordo e la notizia che Trump si lamenta di Draghi
“ che ha svalutato l’Euro” ( Deo gratias) e dichiara che si ricandiderà per un altro quadriennio.

Lo rileggeranno trionfalmente, salvo poi accorgersi che saranno rimasti soli assieme a questi moderni voltagabbana sovranisti de Milan.

SALAMINA A ROVESCIO SUL 28° PARALLELO_Antonio de Martini e Pierluigi FAGAN

 

Salamina a rovescio di Antonio de Martini

 

Quasi mezzo millennio prima di Cristo, l’imperatore SERSE I organizzò una spedizione al confine estremo del regno.

I greci, che all’epoca erano il LIMES, si coalizzarono contro il gigante asiatico avanzante.

Temistocle , dopo aver incassato una sonora batosta sul mare, si arroccò dietro l’isolotto di Salamina -come Leonida alle Termopili dove un gruppetto di spartani tenne in scacco le fanterie persiane e vendette cara la pelle- e si sistemò a difesa.

Con la stessa tattica dieonida , nello stretto tra l’isola e il mare, Temistocle inflisse una battuta d’arresto alla flotta del gran re enormemente superiore e difficile da manovrare in spazi ristretti .

Facendo pagare ogni singola avanzata a caro prezzo, i greci guadagnarono tempo, fidando nella indisponibilità di Serse a restare troppo a lungo ai margini del suo impero a dar la caccia a quattro mangiatori di olive.

In caso di attacco USA , i persiani useranno la stessa tattica di Temistocle, tanto più che i due gruppi da battaglia della V e VI flotta , si sono già infognati in aree prive di spazi di manovra: il gruppo “Keasarge” ha superato lo stretto di Hormuz e si è inoltrato nella trappola.

Per uscire, dovranno passare a tiro anche di sasso dalle coste iraniane.

L’altro gruppo di battaglia ( sempre una portaerei ( Lincoln ) , una nave appoggio zeppa di Marines e patrioti che fanno la prima apparizione antiaerea da nave, più naviglio di scorta ) attende l’ordine di iniziare la lotta, ma è anch’esso incastrato nel mar rosso tra bab el mandeb e Suez.

A tiro dei guerriglieri houti e dei loro sofisticati droni.
Tutti a tiro di missile da entrambe le sponde che costeggiano.

Questo dispiegamento arrogante è la migliore garanzia che lo scontro non ci sarà. Nessuno è stupido fino a questo punto.

Si stanno impostando e propagandando incidenti veri e presunti – come quelli dell’articolo AP che ho allegato- , ma senza conseguenze, a meno di errori – voluti o no – di qualche zelota.

Le grida di allarme servono a condizionare i protagonisti politici e saggiare i tempi tecnici di reazione dell’avversario.

In caso di scontro reale i persiani, nel peggiore dei casi, affonderanno almeno una portaerei e naviglio minore, senza contare la pioggia di missili che lanceranno su Israele di cui – coi missili da Gaza nei giorni scorsi – hanno saggiato l’operatività del sistema anti missile Iron Dome.

Cinque anni fa, durante una manovra coi quadri nella zona del golfo persico tenutasi al Pentagono, i “ nemici” rappresentati da un ammiraglio in pensione noto per la sua indipendenza di giudizio, affondò ( coi barchini) quattro navi USA. Uno smacco per lo stato maggiore della Marina USA sia pure ad opera di un collega “ Maverick “.

Chissà se al presidente lo hanno detto.

 

 

ESTATE AL 28°N PARALLELO di Pierluigi FAGAN.

 

Il costante conflitto che accompagnerà la difficile transizione al mondo multipolare, sembra voler convergere nello spazio e nel tempo in un punto particolare dello spazio-mondo.

Da più parti, si nota che:

a) gli americani stanno dislocando una portaerei in direzione del Golfo Persico. Hanno già mosso altre navi da guerra, rifornito di bombardieri le basi intorno all’Iran, nonché disseminato batterie missilistiche ed anti-missilistiche. In più Bolton a Pompeo, non passano giorno senza qualche buona parola incendiaria verso l’Iran. Altri sostengono che in USA si nota grande fermento operativo pre-bellico ;

b) Trump annuncia ulteriori sanzioni all’Iran che si sommano alle precedenti, dopo aver ulteriormente stretto il cordone di divieto alle relazioni con l’Iran tra cui quelle italiane e greche prima permesse. Dopo aver del tutto isolato Teheran dagli europei, è ora la volta dei tre compratori di energie fossili iraniane ovvero Turchia, India e Cina. Gli iraniani hanno dato due mesi di tempo a gli altri firmatari del precedente accordo teso a bloccare lo sviluppo atomico dell’Iran, per dare segni di vita. In assenza di un chiaro atteggiamento di conferma dell’accordo che isolerebbe gli USA, Rouhani ha fatto sapere che riprenderà l’arricchimento dell’uranio, ma è molto probabile abbia già iniziato ;

c) infatti Israele segue Bolton e Pompeo annunciando di imminenti attentati sciiti tra Gaza ed obiettivi americani in Medio Oriente mentre l’Egitto ha bloccato petroliere iraniane a Suez;

d) davanti a gi EAU, qualcuno ha sabotato petroliere saudite che hanno preso fuoco;

e) Isis si ripresenta in Kashmir e nel sud del Pakistan a Gwadar, terminale della Via della Seta cinese, accendendo l’irredentismo del Belucistan. Anche lo Sri Lanka e lo stesso Kashmir rientrano nelle rotte logistiche della Via della Seta cinese. In Iran, invece, c’è un porto strategico per le proiezioni esterne dell’India.

Naturalmente torna di moda la classica minaccia di autoaffondamento di navi dismesse in un punto particolarmente basso dello stretto di Hormuz da parte iraniana che rappresenterebbe un Armageddon petrolifero-finanziario dalle conseguenze terribili per l’intera economia-mondo, in particolare asiatica.

Con Trump non si sa mai se sta a suo modo trattando e quanto è disposto ad andare fino in fondo se la trattativa non andasse all’esito sperato o se “questa volta è diverso”. Una cosa pare certa, come ogni estate, la temperatura dalle parti del 28° parallelo, tenderà a salire. Da seguire …

Lluch De Sa Font Infatti credo che la carta vincente sarà a giugno quando presenterà il suo piano di pace per la Palestina, in cui si dice verrà coinvolto Hamas e, se va in porto, sarà utile ad una rielezione. Certo che i potenti nemici che ha in casa e all’estero faranno il possibile per mettere i bastoni fra le ruote…

 

 

TROPPE TRUPPE MARISCIÀH di Antonio de Martini

 

(Trump ha comunque smentito la presenza e anche l’intenzione di schierare i 130.000 uomini a meno di una pesante provocazione dell’Iran, definendo una fake la notizia del NYT_A dire il vero gli attori locali interessati a trascinare gli USA in guerra sono però almeno due._ https://news.yahoo.com/trump-denies-planning-send-120-000-troops-counter-161151316.html?fbclid=IwAR3kizBenzZV93nvAV2HZiES4EC6i9BZkJETXExb0NEhMEWGgaaWNDRd2nM Giuseppe Germinario)

 

A partire dal 1991 resta impresso in mente un dato costante sull’esercito degli Stati Uniti: esiste una forza armata che potremmo definire “ territoriale “ e un’altra che chiamerei “ forza mobile” composta da 120/130.000 uomini che è il vero ferro di lancia dell’US Army.

La forza territoriale presidia e occupa basi e territori sfoggiando un apparato logistico impressionante e ben alimentato. Questa aliquota, in continua crescita, fa la parte del leone nel bilancio della Army.

Centinaia di basi nel mondo dove la forza aerea e la Marina possono contare di fare sosta, rifornimento o riposo. Da dove si può far partire una spedizione, ma di dubbia efficacia combattiva.

Lo sforzo strategico di tutti i presidenti che si sono succeduti da Eisenhower in poi è consistito nel cercare di erodere questa posta di bilancio a favore dell’aliquota “ combattente” da impiegare sul campo.

Obama aveva cercato di creare reparti speciali da aggiungere al “ corpo combattente” puntando sulla estrema specializzazione di 30.000 uomini in battaglioni capaci di operare a 360 gradi. Trump ha scelto diversamente.

Trump ha fatto la scelta di aumentare il bilancio in termini assoluti senza capire che la macchina finanziaria del Pentagono – di terra e di mare- non sarà mai sazia per definizione e assorbirà qualsiasi cifra venga stanziata perché la normale amministrazione è fatta così dappertutt: è onnivora.

Comunque la si giri, lo Stato Maggiore non riesce a mettere in campo più di 130.000 uomini realmente disponibili per il combattimento.

È il brillante corpo corazzato che ha vinto le due campagne irachene, ma si è rivelato incapace di domare gli Afgani nemmeno per un momento. Che lamenta di essere impantanato a Kabul e alla frontiera messicana. Che inizia a logorarsi in West Africa.

Oggi lo S.M. USA ha nuovamente messo a disposizione del Presidente questo contingente e lo ha bardato con due corpi di combattimento della marina e i missili antiaerei Patriots in versione navale, ma l’avversario Iran è un’altra cosa.

L’Iran, nella guerra 1980/88 contro l’Irak, ha perso settecentomila uomini senza batter ciglio e ha la natura e la storia e la geografia dalla sua parte.

Il suo territorio è vasto ( quasi sei volte l’Italia) e montagnoso quanto basta, il 60% della popolazione è nomade ad onta degli sforzi dello Scià Ali Reza per sedentalizzare gli abitanti.

Non può essere piegato dai bombardamenti come la Jugoslavia perché non ha industrie leader o grandi infrastrutture da abbattere; non può essere “ridotta allo stato pastorale,” perché lo è già in buona parte; non può essere parcellizzata perché è un paese di grande omogeneità culturale con minoranze sostanzialmente leali; dispone di via di fuga, non bloccabile, attraverso il Caspio. Con centotrentamila uomini possono dirigere il traffico, ma non invadere ne presidiare, ne condurre con successo uno sbarco dimostrativo.

Un bombardamento – anche agli impianti petroliferi- otterrebbe una doppia replica e nessun risultato.

Ha amici potenti ( Russia, Cina, Turchia, India) e nemici impopolari ( Israele) ; controlla il 30% flusso dei prodotti petroliferi destinati all’Europa.

Anche i peggiori avversari degli Ayatollah – come la casa imperiale rifugiatasi negli USA o qualche ex primo ministro parcheggiato a Parigi – si sono rifiutati di prendere parte al coro anti iraniano.

La comunità israelita all’interno ( presente con continuità da tremila anni) o la diaspora benestante di Francia e California all’estero ( da 40 anni) prenderebbero posizione contro ogni intervento mirante a destabilizzare un paese che da cinque secoli non ha mai attaccato nessun vicino.

Unici alleati degli USA i mujaheddin al Khalk – gli ex giovani comunisti del 1979 già nell’elenco USA delle organizzazioni terroriste – oggi “ graziati” e parcheggiati da Obama in Albania dopo aver organizzato qualche assassinio di “ scienziati atomici” che possono fare qualche sanguinoso attentato ma nulla di più.

Voler attaccare durante il Ramadan sarebbe il colmo della provocazione psicologica e dell’improntitudine.

A parte la rappresaglia contro Israele che metterebbe in crisi i rapporti interni agli USA, creerebbe una immediata reazione tra un miliardo e mezzo di mussulmani nel mondo e il braciere del focolaio afgano rischierebbe di estendersi al subcontinente indiano ( Pakistan e India mussulmana).

Alla Casa Bianca dovrebbero proprio decidersi a cambiare pusher.

Ridislocamenti nel Vicino Oriente_traduzione di Roberto Buffagni

I documenti mostrano che gli  Stati Uniti stanno espandendo in modo massiccio la loro presenza presso la base aerea della Giordania tra screzi Turchia e Iraq

 

Era stato annunciato un ritiro, in realtà è una ridislocazione dello schieramento militare americano nel Vicino Oriente. Non riguarda solo la Siria, ma l’insieme delle relazioni con i paesi di quell’area, in particolare la Turchia e l’Iraq. Se poi si aggiunge che per la prima volta una portaerei a propulsione nucleare di prima classe, con tutta la sua squadra, si è avventurata nel Golfo Persico, nelle immediate vicinanze dell’Iran il quadro comincia a definirsi meglio. Ancora una volta gli alti e bassi nello scontro politico interno alla classe dirigente americana determinano involontariamente il solco profondo entro il quale si muove la politica estera americana_Giuseppe Germinario

http://www.thedrive.com/the-war-zone/25955/docs-show-us-to-massively-expand-footprint-at-jordanian-air-base-amid-spats-with-turkey-iraq?fbclid=IwAR3zI3kGt38ssi7CDAA-gW7OsGq_vouy7lXathP3CV-743SSvz7Zr4V–3w

Decine di milioni di dollari trasformeranno questa base in Giordania in un nuovo importante hub regionale per jet da combattimento, droni, aerei cargo e altro.

di Joseph Trevithick, gennaio 14, 2019

Le forze armate statunitensi stanno portando avanti piani per espandere notevolmente la propria presenza nella base aerea di Muwaffaq Salti in Giordania, per ospitare meglio un ampio mix di aerei da combattimento, aerei da attacco al suolo, droni armati, aerei da carico e altro ancora. Il progetto di costruzione da svariati milioni di dollari arriva quando l’amministrazione del presidente Donald Trump sta per ritirare le forze americane dalla vicina Siria. Ma mentre le nuove strutture della base giordana potrebbero aiutare a sostenere le operazioni siriane in via indiretta, serviranno uno scopo ben più importante nel fornire un’alternativa ad altre importanti sedi operative nella regione, specialmente in Turchia, dove dissidi politici potrebbero ostacolare l’accesso degli Stati Uniti in nel mezzo di una crisi.

 

Il Corpo dei Genieri dell’Esercito degli Stati Uniti, che sta supervisionando il lavoro a Muwaffaq Salti, ha rilasciato specifiche e disegni relativi ai nuovi piazzali, alle vie di rullaggio e ad altre strutture associate su FedBizOpps, il sito web principale delle opere pubbliche federali degli Stati Uniti, l’11 gennaio 2019. I documenti stessi risalgono all’autunno del 2018. Il bilancio della difesa per l’anno fiscale 2018 includeva più di $ 140 milioni per gli ammodernamenti alla base della Royal Jordanian Air Force, che gli Stati Uniti hanno utilizzato attivamente per le operazioni regionali almeno dal 2013.

 

I documenti contrattuali non menzionano Muwaffaq Salti per nome, che le forze armate statunitensi descrivono generalmente come una “posizione segreta”, ma includono immagini satellitari annotate che mostrano chiaramente che si tratta della base in questione. Precedenti annunci contrattuali hanno indicato che il 407th Air Expeditionary Air della US Air Force attualmente supervisiona le operazioni di ordinaria amministrazione nella base.

 

Il nuovo incremento delle forze armate statunitensi sembra focalizzato sulla crescita della presenza dell’Air Force specificamente nella base; e la maggior parte dei miglioramenti sarà effettuata sulla pista meridionale della base. Questi includono un piazzale attrezzato per gli aerovelivoli, un piazzale attrezzato per l’addestramento delle forze speciali e la preparazione delle operazioni speciali, un piazzale attrezzato per l’appoggio aereo al suolo (CAS) per le operazioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione (ISR).

Google Earth

A satellite image of Muwaffaq Salti Air Base as of May 2017.

USACE

An annotated satellite image of Muwaffaq Salti Air Base, showing the locations of the various planned upgrades.

Il piazzale attrezzato per gli aerovelivoli di quasi 28.000 mq. con annesso spazio di carico e scarico di 3700 mq., sarà abbastanza grande da ospitare fino a due aerei da carico C-17 Globemaster III e uno C-5 Galaxy contemporaneamente. Ciò consentirà il movimento di grandi quantità di personale, munizioni, carburante e altri materiali all’interno e all’esterno della base, il che sarebbe fondamentale per le operazioni aeree di lunga durata.

 

Muwaffaq Salti potrebbe anche fungere da punto di trasbordo, con squadre che trasferiscono il carico su aeromobili più piccoli, come il C-130 Hercules, per spostarsi verso altre sedi operative in altre parti della regione. I C-17 hanno anche la capacità di operare da piste di atterraggio non rinforzate. Il piano di costruzione degli Stati Uniti a Muwaffaq Salt comprende anche un “hot point” di carico  di quasi 26.000 mq. sul lato nord della base per lo scarico rapido e il caricamento di materiale da aerei in transito.

USAF

C-17s at an undisclosed location supporting US operations against ISIS in Iraq and Syria in 2018.

Nella parte meridionale della base, gli Stati Uniti prevedono anche di aggiungere un piazzale attrezzato 41.000 mq. per il recupero del personale e le operazioni speciali. Questo avrà spazi di parcheggio dimensionati per l’airlifter C-130J-30 di della misura maggiore, ma molto probabilmente sarà la sede di distaccamenti di operazioni speciali MC-130. Ci sarà anche spazio per quattro rotori inclinabili Osprey CV-22B.

 

Gli MC-130 dell’Air Force possono fungere da navi cisterna per i CV-22, contribuendo a estendere la loro portata e dando alle forze operative speciali la capacità di spostare rapidamente piccole unità e carichi da e verso i siti dispersi nella regione, o di appoggiare attacchi aerei su specifici obiettivi . Inoltre, gli Ospreys hanno un vantaggio di velocità rispetto agli elicotteri tradizionali, nonché varie contromisure elettroniche e altri sistemi di autodifesa e capacità di volo a bassissima quota (NOE), che consentono all’aereo di raggiungere rapidamente l’area obiettivo e ridurre la sua vulnerabilità alle difese ostili.

 

Come tali, i CV-22 in Giordania potrebbero essere chiamati per inserire rinforzi, esfiltrare i feriti o le forze sotto il fuoco, eseguire missioni di ricerca e soccorso (CSAR) e altre funzioni di recupero del personale. Il CASR è una considerazione particolarmente importante per le operazioni aeree sostenute e una in cui gli Stati Uniti hanno opzioni storicamente limitate nella regione. Ad esempio, al momento, le forze armate statunitensi hanno reparti in Kuwait, Iraq e Turchia per fornire quel tipo di capacità in Iraq e in Siria.

USACE

A more detailed breakdown of the personnel recovery/special operations forces apron, showing the C-130J-30- and CV-22-sized parking spaces.

Il cosiddetto grembiule “CAS / ISR” sarà di gran lunga la più grande aggiunta singola, coprendo quasi 125.000 mq. Ciò consentirà agli Stati Uniti di costruire tre dozzine di spot con rivestimenti protettivi e tettoie, tutti dimensionati per caccia F-15 o F-16, nonché pere gli aerei d’ attacco terrestre A-10. Ci sarà un altro piazzale con quattro spot per MQ-9 Reapers, oltre a più shelter chiusi, ciascuno in grado di ospitare due dei droni, anch’essi collegati a quest’area.

Sebbene descritto come CAS / ISR focalizzato per scopi di pianificazione edilizia, ciò darebbe agli Stati Uniti la possibilità di utilizzare Muwaffaq Salti per estese operazioni di combattimento aereo. L’aereo che questo piazzale  può ospitare può eseguire pattugliamenti aerei di combattimento, interdizione e varie altre missioni.

USACE

A closer look at the CAS/ISR apron with the MQ-9 shelters at the top and additional parking spaces for those drones to the right.

Il dimensionamento degli spazi di parcheggio potrebbe consentire lo spiegamento di altri jet da combattimento, anche da servizi diversi dall’aeronautica militare statunitense, a seconda delle necessità. Nel settembre 2018, l’Air Force ha condotto uno schieramento temporaneo di caccia stealth Raptor F-22 dalla base aerea di Al Dhafra negli Emirati Arabi Uniti a Muwaffaq Salti, insieme al personale di supporto in un aereo cisterna KC-10 Extender.

Questo è qualcosa che potrebbe diventare più comune e richiedere meno supporto esterno, con gli aggiornamenti dell’infrastruttura. Il Corpo dei Marines degli Stati Uniti gestisce anche una forza di risposta alle crisi terrestri con calabroni F / A-18C / D, tra gli altri velivoli, che potrebbero utilizzare le strutture ampliate.

The video below shows the F-22s from the Air Force’s 380th Air Expeditionary Wing deploying to an “undisclosed location” September 2018.

Il video qui sopra mostra gli F-22 della 380a Air Expeditionary Wing dell’Air Force che si sta dispiegando in una “località sconosciuta” nel settembre 2018.

 

Oltre ai vari piazzali, le forze armate statunitensi costruiranno nuove piste di rullaggio, strade di accesso, aree di supporto vitale e altre infrastrutture per sostenere la più ampia presenza americana a Muwaffaq Salti. Il Corpo dei Genieri dell’Esercito stima che il lavoro avrà un costo tra $ 25 e $ 100 milioni, lasciando anche dei fondi significativi per altre aggiunte. La data di scadenza per  presentare le offerte su questo contratto è il 19 febbraio 2019, ma non è prevista una data per la conclusione dei lavori.

 

Il piano chiarisce che gli Stati Uniti stanno cercando di accrescere la propria presenza sul sito e trasformarlo in una base strategica più permanente. Questo potrebbe essere importante, considerando gli sforzi dell’amministrazione Trump per sradicare le forze americane dalla Siria.

 

La tempistica esatta per il ritiro non è chiara. Resta inoltre da vedere in che modo si evolverà la politica degli Stati Uniti in merito alla lotta in corso contro ISIS in Siria e in Iraq, nonché al più ampio conflitto in Siria.

 

Sono stati segnalati casi in cui è probabile che le forze statunitensi si trasferiscano in strutture in altri paesi limitrofi. Da lì, potrebbero rimanere vicini per appoggiare le forze locali sostenute dagli americani e altri partner statunitensi che ancora combattono in Siria, se necessario.

USAF

A US Air Force F-16C Viper taxies at Muwaffaq Salti during the multi-national Falcon Air Meet in 2011.

Il video qui sopra mostra gli F-22 della 380a Air Expeditionary Wing dell’Air Force che si sta dispiegando in una “località sconosciuta” nel settembre 2018.

 

Oltre ai vari piazzali, le forze armate statunitensi costruiranno nuove piste di rullaggio, strade di accesso, aree di supporto vitale e altre infrastrutture per sostenere la più ampia presenza americana a Muwaffaq Salti. Il Corpo dei Genieri dell’Esercito stima che il lavoro avrà un costo tra $ 25 e $ 100 milioni, lasciando anche dei fondi significativi per altre aggiunte. La data di scadenza per  presentare le offerte su questo contratto è il 19 febbraio 2019, ma non è prevista una data per la conclusione dei lavori.

 

Il piano chiarisce che gli Stati Uniti stanno cercando di accrescere la propria presenza sul sito e trasformarlo in una base strategica più permanente. Questo potrebbe essere importante, considerando gli sforzi dell’amministrazione Trump per sradicare le forze americane dalla Siria.

 

La tempistica esatta per il ritiro non è chiara. Resta inoltre da vedere in che modo si evolverà la politica degli Stati Uniti in merito alla lotta in corso contro ISIS in Siria e in Iraq, nonché al più ampio conflitto in Siria.

 

Sono stati segnalati casi in cui è probabile che le forze statunitensi si trasferiscano in strutture in altri paesi limitrofi. Da lì, potrebbero rimanere vicini per appoggiare le forze locali sostenute dagli americani e altri partner statunitensi che ancora combattono in Siria, se necessario.

Sebbene l’Iraq sia stato citato come il paese più probabile per accogliere le unità che si ritirano dalla Siria, la Giordania potrebbe facilmente essere un’altra opzione, e già ospita una significativa presenza militare americana. Oltre a ciò, alcuni membri del parlamento iracheno erano irritati dal fatto che Donald Trump non si fosse incontrato personalmente con il primo ministro Adil Abdul-Mahdi durante la sua visita a sorpresa nel paese nel dicembre 2018.

 

I membri dell’attuale governo di coalizione in Iraq, che sta anche cercando di migliorare le relazioni con l’Iran, hanno richiesto un ritiro completo delle forze americane dal paese. Qualunque sia l’esito di questo particolare contrasto, esso potrebbe limitare la capacità delle forze armate statunitensi di utilizzare le basi in quel paese in futuro.

 

L’espansione di Muwaffaq Salti potrebbe ridurre la necessità di altre sedi operative regionali, che sono diventate negli ultimi anni sempre più politicamente insostenibili, in generale. Quando il piano generale divenne pubblico per la prima volta nel 2017, arrivò in un momento in cui c’erano anche preoccupazioni significative sulla continuità della base aerea di Al Udeid in Qatar, che è la più grande base aerea americana del Medio Oriente ed è stato un hub centrale per le operazioni nella regione e oltre per decenni. Puoi leggere di più su quanto sia vitale questa base per l’esercito americano qui.

Sfortunatamente, il Qatar rimane invischiato in un importante dissidio politico con Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto, tra gli altri, che hanno interrotto le relazioni diplomatiche e bloccato il paese economicamente. Tuttavia, il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha firmato un memorandum d’intesa con i funzionari del Qatar per avviare piani per espandere significativamente Al Udeid, anche durante una visita nel paese il 13 gennaio 2019.

US Department of State

US Secretary of State Mike Pompeo, at center in suit, arrives in Qatar on Jan. 13, 2019.

“Siamo tutti piùforti quando lavoriamo insieme”, ha detto Pompeo in una conferenza stampa, in cui ha anche affermato che la disputa di quasi 20 mesi tra il Qatar e altri paesi della regione si è “trascinata troppo a lungo”. L’alto diplomatico è ora in Arabia Saudita e, tra le altre cose, probabilmente continuerà a sostenere una risoluzione della situazione.

 

Oltre a ciò, Muwaffaq Salti si trova a circa 1.000 miglia da Al Udeid, rendendolo mal posizionato per essere un sostituto di quella base. Sembra più probabile che la principale forza trainante dell’espansione in Giordania sia le tensioni a lungo latenti tra Stati Uniti e Turchia. Nonostante entrambi siano membri della NATO, entrambi i paesi si sono allontanati a causa di una serie di dispute, tra cui la decisione della Turchia di acquistare missili S-400 dalla Russia, i crescenti legami di Ankara con Mosca in generale, e il sostegno degli Stati Uniti ai gruppi curdi in Siria, che le autorità turche considerano terroristi.

USAF

A-10 Warthog ground attack aircraft arrive at Incirlik Air Base in Turkey to support operations against ISIS in 2015.

 La Turchia e gli Stati Uniti sono anche coinvolti in una disputa su Fethullah Gülen, un ex alleato politico del sempre più dittatoriale presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che ora vive in esilio auto-imposto negli Stati Uniti. Le autorità turche accusano Gülen di aver architettato un tentato colpo di stato del 2016 contro Erdoğan, ma gli Stati Uniti hanno finora negato, adducendo l’insufficienza di prove.

 

La questione del sostegno americano ai curdi, in particolare, è stato un fattore importante nella decisione iniziale di Trump di ritirare le forze statunitensi dalla Siria e la sicurezza dei civili curdi in tutte le aree in cui le forze turche o turche potrebbero prendere il controllo della situazione. . Da allora le autorità statunitensi hanno chiesto assicurazioni dalla Turchia che non tenterà di attaccare i curdi e Trump stesso ha minacciato di “devastare economicamente la Turchia” se Ankara non è d’accordo con queste condizioni.

 

Inizia il lungo ritiro della Siria colpendo duramente il poco rimanente califfato territoriale ISIS, e da molte direzioni. Attaccherà di nuovo dalla base vicina esistente se riformerà. Distruggerà economicamente la Turchia se colpiscono i curdi. Crea una zona sicura di 20 miglia ….

– Donald J. Trump (@realDonaldTrump), 13 gennaio 2019

 

 

 

Il presidente ha anche insistito sul fatto che non voleva che i curdi “provocassero” la Turchia. Non è del tutto chiaro se i “curdi” in questo caso si riferisce a civili curdi, il gruppo di forze democratiche siriane a maggioranza curda appoggiato dagli Stati Uniti che sta combattendo contro l’ISIS, o entrambi. La Turchia ha ripetutamente dichiarato l’intenzione di schiacciare i combattenti curdi, anche se sono allineati con l’SDF, attraverso la Siria settentrionale.

 

Vale anche la pena notare che gli Stati Uniti forniscono intelligence e altro supporto alle operazioni militari turche contro altri gruppi militanti curdi attivi in ​​Turchia. Quindi, come il governo turco potrebbe interpretare eventuali richieste da parte delle loro controparti americane e quanto gli Stati Uniti potrebbero essere disposti a rispondere a qualsiasi apparente violazione di tali clausole resta da vedere.

 

…. Allo stesso modo, non voglio che i curdi provocino la Turchia. La Russia, l’Iran e la Siria sono stati i maggiori beneficiari della politica a lungo termine degli Stati Uniti di distruggere l’ISIS in Siria: nemici naturali. Ne beneficiamo anche noi, ma è ora di riportare a casa le nostre truppe. Fermate le GUERRE INFINITE!

– Donald J. Trump (@realDonaldTrump), 13 gennaio 2019

 

Tutto ciò rappresenta un rischio permanente per l’accesso alla base aerea di Incirlik, un importante hub regionale per l’esercito americano che funge da base per i jet da combattimento che operano nella regione, un sito di stoccaggio di armi nucleari tattico e un importante punto di trasbordo , potrebbe finire in un momento critico. Muwaffaq Salti, a meno di 400 miglia a sud, è ben posizionato per soppiantare Incirlik, così come altre località operative in Turchia, per operazioni convenzionali se il governo turco dovesse fermare le operazioni americane da quelle basi.

 

Tutto sommato, gli aggiornamenti a Muwaffaq Salti aumenteranno la capacità dell’America di operare in quella parte del Medio Oriente al di fuori di qualsiasi operazione attualmente in corso, in Siria o altrove, per gli anni a venire e cementeranno ulteriormente le relazioni USA-Giordania. Con questo in mente, potremmo iniziare a vedere lavori in altri siti in Giordania oltre a Muwaffaq Salti nei prossimi anni. Se le stime del Corpo dei Genieri  sono accurate, ci saranno decine di milioni di dollari per progetti di costruzione nel paese.

 

 

GLI STATI UNITI NEL VICINO ORIENTE. ORDINI E CONTRORDINI_intervista ad Antonio de Martini

Trump ha annunciato il ritiro delle truppe dalla Siria e dall’Afghanistan. Putin ha sostenuto la scelta dell’amico Donald “sempre che riesca a darvi corso”. Un annuncio che ha innescato un ulteriore conflitto all’interno dello staff presidenziale, con le dimissioni del generale Mattis e certamente accelererà le dinamiche già convulse nel Vicino Oriente. Al provvedimento, sempre che abbia seguito, farà certamente da contrappeso qualche compensazione alle vittime designate di questa scelta: parte dei curdi sul campo di battaglia, l’Arabia Saudita di Ben Salman nel contesto geopolitico di quell’area. Non di meno la scelta assume un carattere dirompente. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://www.youtube.com/watch?v=-BUnvgcHFR4&feature=youtu.be

 

i paradossi de “le marie antoniette”, di Piero Visani-Effetti delle sanzioni all’Iran, di Giuseppe Gagliano

Le Marie Antoniette

https://derteufel50.blogspot.com/

       La celeberrima frase della regina Maria Antonietta, relativa al fatto che il popolo affamato avrebbe sempre potuto mangiare brioches (se solo avesse avuto il denaro per comprarle) pare sia apocrifa. Non è apocrifa, per contro, la decisione del presidente Macron/micron di rispondere alle nuove manifestazioni di piazza dei gilet jaunes con la scelta di spendere mezzo milione di euro per abbellire le sale del palazzo dell’Eliseo, residenza ufficiale dei presidenti francesi.
       Come sempre, le narrazioni subiscono varianti e modifiche, nel corso del tempo, ma resta identica la sensibilità dei sovrani (o monarchi repubblicani che siano) nei confronti delle istanze popolari: protestate pure, io intanto mi rifaccio l’arredamento…
       Stupisce, su questo sfondo di crescenti agitazioni, che mai nessun terrorista si inserisca all’interno delle medesime per fare un po’ di tiro al bersaglio sulle forze di polizia. Evidentemente, i terroristi, in Europa, si fanno vivi quando c’è da stabilizzare il quadro politico a favore del potere, NON quando c’è da destabilizzarlo… Strano che non lo scriva mai nessuno.
 
                      Piero Visani

 

Ecco come le sanzioni all’Iran mettono fuori gioco l’Europa, di Giuseppe Gagliano

https://www.ilprimatonazionale.it/economia/sanzioni-iran-europa-fuori-gioco-97685/?fbclid=IwAR0u0BMOcNCgnsRLZDkYROdcit6GfZWSq85BALJRAOxvrCuxYH7s__TwlOs

Roma, 1 dic – Donald Trump ha annunciato l’8 maggio 2018 il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo nucleare con l’Iran, firmato nel 2015. Ha promesso di mettere in atto severe sanzioni economiche contro Teheran e i suoi partner commerciali. Queste dichiarazioni hanno segnato l’inizio di un nuovo confronto economico coinvolgendo Stati Uniti, Germania, Francia, ma anche Cina.

All’Europa è stato fatto divieto di poter acquistare il petrolio iraniano e che tutto ciò costituisce un ingente danno economico. La Germania, il Regno Unito, l’Italia, la Francia rischiano di rinunciare alla possibilità di posizionarsi come leader in un paese a lungo chiuso all’ Occidente. Ebbene nonostante le numerose dichiarazioni dei capi di Stato europei e del Segretario generale delle Nazioni Unite e nonostante le promesse fatte di dover affrontare una soluzione, il margine di manovra dei leader europei è comunque molto limitato.

Tutto ciò dipende non solo dalla intrinseca debolezza dell’Unione Europea rispetto agli Usa, ma è anche la conseguenza della formidabile arma che rappresenta l’extraterritorialità della legge americana. Grazie a questo strumento infatti  gli Stati Uniti sono riusciti a rendere il loro sistema legale una potente arma economica. In altri termini il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha il potere di citare in giudizio qualsiasi compagnia straniera con relazioni con gli Stati Uniti e impegnata in attività fraudolente come la corruzione. Ad esempio, l’utilizzo del dollaro Usa come valuta o l’uso della casella postale Gmail conferisce al Dipartimento di Giustizia il diritto di interferire nelle pratiche commerciali di qualsiasi azienda nel mondo. In breve, con questo tipo di mezzi, gli Stati Uniti hanno una capacità di controllo totale su ciò che sta accadendo fuori dai loro confini. Come parte dell’accordo iraniano, ciò si traduce in un embargo economico che costringe l’Europa a smettere di commerciare con l’Iran senza essere in grado di impedire alle sue società di perdere i loro contratti.

Le dichiarazioni dei più alti rappresentanti europei (dichiarazione congiunta da Francia, Germania e Regno Unito), così come il viaggio del presidente francese Emmanuel Macron negli Stati Uniti, non ha avuto effetto sullo stato di avanzamento del problema iraniano. La Francia in particolare ha subito un danno rilevante poiché sia la Total, sia il gruppo Peugeot Citroën che Airbus avevano rilevanti interessi in Iran.

La Cina, approfittando di questa debolezza politica, ha deciso di mantenere e persino rafforzare le sue relazioni con l’Iran. In effetti, la risposta cinese all’annuncio del presidente Donald Trump è stata quella di dimostrare al governo iraniano la sua forte ambizione di prosperare nelle relazioni commerciali e nelle partnership strategiche. L’Iran naturalmente ha sottolineato il ruolo costruttivo della Cina. Questa posizione cinese costituisce la logica conseguenza di una aperta conflittualità con gli Stati Uniti caratterizzata anche  dalla guerra economica  tra i due paesi. Inoltre, l’Iran è il più grande fornitore di petrolio per la Cina con un quarto delle esportazioni verso il gigante asiatico.

In particolare le aziende cinesi non hanno esitato ad occupare le posizioni vacanti sul mercato iraniano lasciate scoperte dagli europei (ed in particolare dai gruppi francesi). Per quanto riguarda il petrolio, il China National Petroleum Corps (CNPC) ha rilevato la partecipazione di Total nel giacimento di gas del sud Iran con una quota dell’80,1%. A seguito dell’accordo siglato nel luglio 2017 per un valore di 4,8 miliardi, Total deteneva il 50,1% seguito da CNPC cinese con il 30% e Petropars iraniano (19,9). Dopo la partenza di Total dal consorzio, CNPC ha rilevato tutte le azioni e si posiziona come un partner  dominante nel campo dell’energia. La stessa strategia è stata attuata per l’industria dell’automobile attraverso la  cinese Bejing Baic.

Insomma la Cina  domina i settori strategici dell’economia iraniana con miliardi di dollari di investimenti e ciò sta determinando un rilevante vantaggio competitivo rispetto all’Europa che dimostra sia l’assenza di una politica economica  offensiva  unitaria – a causa degli innumerevoli contrasti fra nazioni europee – sia ancora una volta la subalternità all’ “alleato-nemico” americano.

Giuseppe Gagliano

LA SOLUZIONE PER LA SIRIA E’ IN VISTA, MANCA SOLO UN MEDIATORE. O FORSE TRE, di Antonio de Martini

LA SOLUZIONE PER LA SIRIA E’ IN VISTA, MANCA SOLO UN MEDIATORE. O FORSE TRE.

Il professor Jeffrey Sachs della Columbia University ha rotto il fronte dei Think Tank americani rilasciando una pacata intervista alla MSNBC in cui dichiara di aver ben spiegato, sette anni fa, al Presidente Obama che la situazione siriaana era tale da non permettere la riuscita di un ” regime change” in Siria.

Adesso, ” dopo mezzo milione di morti e dieci milioni di profughi” il professore ribadisce il concetto e invita Trump a fare quel che ” istintivamente aveva capito” cioé a ritirare dalla Siria i 2.200 uomini che si trovano ” nel terzo orientale” del paese e rinunziare al cambio di regime voluto da Obama e Clinton.

Il ritiro é inevitabile, specie non appena sarà caduto, senza l’ecatombe prospettata dalla stampa, IDLIB, l’ultimo bastione su cui sventola la bandiera della ribellione. La Siria avrà truppe sufficienti per riprendere il controllo di tutte le sue frontiere.

L’accordo per creare un ” buffer zone ” ( zona cuscinetto) tra Putin e Erdogan è stato il primo passo per diminuire la pressione ed evitare scontri su iniziativa di comandanti minori. IDLIB non può resistere al prossimo inverno e questo lo sanno tutti. Siamo dunque agli sgoccioli.

Lo si evince anche dai comunicati sempre più stizziti dei “media da combattimento” USA impegnati a descrivere una utilità delle truppe americane che nessun altro nota.

Il Consigliere per la sicurezza della Casa Bianca, John Bolton ha presentato le condizioni della resa: parlando a un uditorio di iraniani residenti negli USA, ha detto che le truppe americane resteranno in Siria ” fintanto che in quel territorio ci saranno truppe e milizie iraniane”. In pratica propone un ritiro bilanciato dei contendenti dal campo di battaglia.

Rouhani, anche lui negli USA per partecipare all’Assemblea dell’ONU, ha fatto rispondere a denti stretti che ” L’Iran non si farà condizionare da terze parti nel suo appoggio alla Siria”.

Nel linguaggio orientale, significa che è disponibile a trattare, ma non direttamente con gli USA. Cercasi mediatore accettabile da tutte le parti in causa.

La reazione israeliana non si è fatta attendere e sta cercando di accreditare un Rouhani in avvicinamento al Presidente iraniano Ali Kamenei, mostrato come l’estremista da cui gli USA devono guardarsi. E’ falso.

Difficile per Putin offrirsi come mediatore dato che è parte in causa, ma indispensabile che la Russia accetti e colabori con una figura di mediazione gradita.
Una coppia , uno per parte, sarebbe una buona soluzione, dato che ha già fatto le sue prove disinnescando la bomba di Idlib.

Forse è per questo che Erdogan, dopo l’assemblea ONU – alla quale partecipa – domenica volerà a Berlino per incontrare la Cancelliera Merkel.

Lui cerca di rassicurare i mercati, gli alleati NATO e gli investitori esteri tentennanti ( tedeschi?) e lei cerca di rinverdire il blasone appannato da anni di governo pacioso in un mondo turbolento e porre autorevolmente la sua candidatura alla presidenza della Commissione UE, liberando al contempo Trump dal sospetto di un accordo diretto con la Russia.
Tra un mese gli USA hanno le elezioni di mezzo termine.

I CURDI: UN POPOLO CONTROTENDENZA, di Antonio de Martini

I CURDI: UN POPOLO CONTROTENDENZA

I Curdi non hanno mai avuto uno stato, perché non l’hanno mai voluto.
Sono nomadi e grazie al nomadismo difendono il loro stile di vita.
Quando vessati, emigrano in uno dei quattro stati di cui occupano una porzione ( Iran, Irak, Siria e Turchia).

Il nomadismo, ne ha spinte frazioni fin verso est – in Armenia- e ovest – in Libano.
Nessuno sa quanti siano, ma tutti si sbizzarriscono a dare i numeri che variano da 15 a 30 milioni a seconda della convenienza politica dei valutatori.

Il crocevia del vicino oriente si trova a est della Mesopotamia ed è abitato nell’altipiano dai curdi.
Vengono definiti ” una popolazione Indo europea” che vuol dire che non sono semiti come gli arabi e gli ebrei.

Quando il XIX secolo e la scoperta del petrolio incitarono gli europei al ” divide et impera” , furono scoperti e valorizzati dai tedeschi prima, dai russi poi ed infine dagli israeliani – in cerca di appoggi anti arabi.

Fatalmente se ne interessarono gli americani.

La tecnica è sempre la stessa: vivendo di preda, come ogni nomade che si rispetti, si lasciamo volentieri armare, sono bravi combattenti e appoggiano ogni causa che possa dare gloria e guadagno.

Iil più grosso sforzo per sedentarizzarli lo fece lo Scià Reza, padre dell’ultimo regnante di Persia, ma la possibilità di spostarsi in uno dei paesi vicini, li ha sempre protetti.

A turno hanno combattuto contro ognuno dei paesi ospitanti. Contro i turchi, paese NATO su commissione dell’URSS . Resta il ricordo del vecchio El Barzani che girava il paese ( nella zona persiana) nel 1944 in uniforme da generale sovietico.

Hanno ripreso le armi contro i turchi, ma su mandato siriano, quando la Turchia varò il piano agricolo dell’est costruendo molte dighe ( 30) minacciando di ridurre oltre il 40% del gettito dell’Eufrate.

Il rapporto con gli israeliani, iniziato in funzione anti irachena ed ereditato poi dagli USA ha prodotto anche cocenti delusioni per via degli stop and go ( specie nel 1991) e dei finanziamenti a singhiozzo che seguivano l’andrivieni degli interessi USA.

Una qualche stabilità sembra essere stata trovata
grazie alla lunghezza del conflitto siriano e della riluttanza israeliana e americana a intervenire direttamente con truppe proprie.

Attualmente, il paese con cui sono in pace è l’Iran col quale dividono la struttura della lingua, benché – secondo la narrativa USA dovrebbero essere in frizione in quanto sunniti, quello col quale brigano per ottenere ” l’indipendenza” ( o forse una forma di autonomia molto spinta) è l’Irak. Su questo tema, il 25 settembre prossimo terranno un referendum.

Con i turchi esiste un residuo di guerra ex URSS gestito dal PKK ( partito curdo dei lavoratori) e da Abdullah Ocalan che tutti conosciamo per essere stato consegnato ai turchi da un altro avanzo del comunismo questa volta italiano. La nuova guerra anti turca si svolge sotto le mentite spoglie della guerra all’ISIS, in realtà si disputano i villaggi di frontiera siriani.

Coi siriani esiste uno stato di pace, di guerra e di cooperazione ad un tempo: cooperano per difendere i villaggi curdi dall’ISIS e dai turchi che cercano di penetrare in territori siriani. Cooperano anche con gli USA per mantenere viva la leggenda dell’esercito libero siriano.

Non si tratta di incoerenza, bensì di residui di lealtà personale acquisiti negli anni dai vari capi clan. Coi siriani ci si arrangia comunque. Coi turchi, no.

Su tutti troneggiano le due famiglie egemoni da sempre: i Talabani che dominano la capitale Sulmenya e i Barzani che comandano a Erbil.

Il presidente iracheno è Talabani che come presidente della Repubblica deve difendere l’unità del paese e come Talabani, l’indipendenza del kurdistan.

La chiave di lettura della intera vicenda è che i curdi, in realtà detestano il centralismo e lo combattono. Loro stanno sugli altopiani e gli arabi in pianura. Perché obbedirgli?

Crediamo che combattano per la democrazia, sconosciuta da queste parti, e ci stanno simpatici perché le foto delle soldatesse curde sono tutte belle.

Sfido, sono modelle israeliane per la propaganda pagata dallo zio Sam.

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