GUERRA IN UCRAINA, PUNTO DELLA SITUAZIONE_di Roberto Buffagni

GUERRA IN UCRAINA, PUNTO DELLA SITUAZIONE
Riassumo con la massima brevità il decorso degli eventi passati e propongo una ipotesi interpretativa degli eventi futuri.
1. Causa profonda della guerra è la decisione strategica USA di espandere a Est la NATO. L’espansione inizia con l’Amministrazione Clinton, dopo il crollo dell’URSS. George Kennan, Henry Kissinger, John Mearsheimer – per citare soltanto le maggiori personalità USA nel campo delle relazioni internazionali– la ritengono un errore di prima grandezza, foriero di gravi conseguenze.
2. Il Summit NATO di Bucarest 2008 dichiara che Georgia e Ucraina entreranno nella NATO. Francia e Germania sono contrarie ma cedono alla pressione americana. Ne risulta un compromesso: non viene specificata la data dell’ingresso.
3. La Russia chiarisce immediatamente che l’ingresso di Georgia e Ucraina nella NATO è inaccettabile. La ragione di fondo è che Georgia e Ucraina nella NATO diventerebbero bastioni militari occidentali alla frontiera russa. Immediatamente dopo il Summit di Bucarest la Russia invade la Georgia per impedire che entri nella NATO. Non è in grado né politicamente né militarmente di fare lo stesso con l’Ucraina.
4. Nel 2014 gli USA orchestrano un colpo di Stato in Ucraina e vi insediano un governo a loro gradito che inserisce in Costituzione la volontà di associarsi alla NATO.
5. Nel 2021 gli Stati Uniti e i paesi UE iniziano ad armare seriamente le FFAA ucraine.
6. A fine 2021 la Russia apre una trattativa diplomatica con gli Stati Uniti. Il punto chiave della proposta russa è la firma di un trattato a garanzia che l’Ucraina non entrerà nella NATO. Contro il costume diplomatico, la Russia rende pubblica la bozza di trattato.
7. Gli Stati Uniti si rifiutano di garantire per iscritto che l’Ucraina non entrerà nella NATO, perché facendolo rinuncerebbero al ruolo di decisore “superiorem non recognoscens” dell’ordine internazionale unipolare, che rivestono da dopo il crollo dell’URSS. Chiariscono immediatamente che NON interverranno militarmente a difesa dell’Ucraina in caso di attacco russo. Una grande potenza nucleare affronta sul campo un’altra grande potenza nucleare solo quando la posta in gioco è un interesse vitale di entrambe. L’Ucraina è un interesse vitale russo, NON è un interesse vitale USA.
8. Alla conferenza di Monaco, il capo del governo ucraino annuncia che l’Ucraina medita di acquisire armi atomiche tattiche. Le armi atomiche tattiche più piccole possono cancellare dalla faccia della terra una divisione corazzata.
9. Forse a causa di questo annuncio, la Russia accelera i tempi. Riconosce le Repubbliche del Donbass, invade l’Ucraina. Conduce la guerra nelle modalità più adeguate a risparmiare la vita dei civili, in vista di una riconciliazione/stabilizzazione dell’Ucraina. L’obiettivo strategico russo NON prevede la conquista totale o parziale del paese, ma la sua neutralizzazione, il riconoscimento delle Repubbliche del Donbass e della Crimea, la smilitarizzazione dell’Ucraina.
10. Gli USA – più precisamente, l’establishment che ne dirige la politica estera, che è in grado di influenzare pesantemente qualsiasi Amministrazione – decidono di attuare una strategia bellica indiretta, con l’obiettivo di provocare il “regime change” in Russia, e utilizzano come strumento politico i paesi UE, che assumono il ruolo di “NATO politico-economica”.
11. Vengono decise dagli USA e dai paesi UE importanti sanzioni economiche alla Russia, compreso il congelamento ossia il sequestro degli attivi della Banca Nazionale russa detenuti in paesi occidentali (un atto di guerra).
12. Vengono altresì decise dai paesi UE draconiane misure che anch’esse risultano in veri e propri atti di guerra: finanziamento UE e invio in Ucraina di sistemi d’arma, non solo difensivi ma offensivi (aerei da combattimento). La distinzione tra sistemi d’arma offensivi e difensivi, che sul campo di battaglia non ha valore alcuno, è invece legalmente rilevante. L’invio di sistemi d’arma difensivi a un paese in guerra non costituisce un atto di guerra contro il suo nemico, l’invio di sistemi d’arma offensivi sì.
13. Svezia e Finlandia, paesi neutrali confinanti con la Russia, annunciano di prendere in considerazione il proprio ingresso nella NATO.
14. La Germania annuncia un vasto programma di riarmo.
15. L’invio di sistemi d’arma all’Ucraina non cambia l’esito del conflitto in Ucraina, perché non muta i rapporti di forza tra i contendenti, fortemente sbilanciati a favore della Russia. È una provocazione rivolta alla Russia. La sfida a reagire ad atti di guerra veri e propri, sapendo che una reazione militare russa contro i paesi UE, che sono anche paesi NATO, causerebbe un conflitto aperto NATO-Russia. L’intento della provocazione è dimostrare l’impotenza russa: “Hai morso un boccone troppo grosso per te”, e così destabilizzare il governo della Federazione russa.
16. Il governo russo eleva l’allerta nucleare. Si tratta di un caso di “to escalate for de-escalation”. Con l’escalation, si manda un messaggio all’avversario: “Sappiate che siamo disposti ad arrivare fino in fondo, conflitto nucleare compreso. De-escalate o ne subirete le conseguenze”.
17. Sono annunciati per stamattina i primi colloqui tra rappresentanti del governo ucraino e del governo russo.
18. L’operazione “regime change” in Russia fa leva su tutte le faglie di conflitto presenti in Russia, anzitutto sui nazionalismi degli Stati che compongono la Federazione. Lo scenario previsto dai pianificatori è analogo a quello già attuato nella ex-Jugoslavia: guerra civile, frammentazione della Federazione russa, implosione dello Stato federale, nuovi governi diretti da personale politico gradito all’Occidente, e il Presidente federale russo V. Putin, già descritto dai media occidentali come gangster mentalmente squilibrato, come il Presidente jugoslavo Milosevic imputato davanti al Tribunale internazionale dell’Aja.
19. Da quanto precede risulta molto chiaro che la Russia NON può fare marcia indietro. Se lo fa, il governo si destabilizza e si innesca la seconda fase dell’operazione “regime change”: rivoluzioni colorate negli Stati componenti la Federazione russa. Inoltre, l’Ucraina è l’ultima linea di difesa militare e politica della Federazione russa, che ha le spalle al muro e difende la sua sopravvivenza.
20. Ricordo che per evitare la presente, pericolosissima situazione, bastava una di queste due cose: a) garantire per iscritto che l’Ucraina non avrebbe aderito alla NATO b) che un solo paese UE proponesse, prima dell’inizio delle ostilità, una revisione del sistema di sicurezza europeo che tenesse conto degli interessi russi, orientata alla neutralizzazione dell’Ucraina.
21. Prevedo che i colloqui tra Ucraina e Russia non sortiranno risultati. Il governo ucraino è guidato dagli USA. È interesse USA, in vista dell’operazione “regime change”, guadagnare tempo e far salire la pressione sul governo russo.
22. Il presente atteggiamento dei paesi UE non è nell’interesse di alcuno dei paesi europei, compresi i paesi confinanti con la Russia. Infatti, la Russia NON ha intenzione di espandersi, né in Ucraina, né altrove (non ne ha la capacità politico-militare). La Russia sta difendendo la sua integrità politica e la sua sopravvivenza come Stato unitario.
23. Il presente atteggiamento dei paesi UE mette a grave rischio tutti i paesi europei. Esso è dettato dagli USA, che così possono fare una politica “short of war” contro la Russia a costo zero. Il costo, economico e politico, lo pagano i popoli europei.
24. Il presente atteggiamento dei paesi UE fa sospettare che i loro dirigenti non si rendano conto della gravità degli atti che stanno compiendo, né delle loro possibili conseguenze.
25. Ripeto infatti che la Russia NON può fare marcia indietro, e che i suoi obiettivi non sono espansionistici o imperialistici, ma strettamente difensivi. La Russia li ritiene interessi vitali, che è necessario garantirsi per sopravvivere.
26. La Russia è una grande potenza nucleare. Nessuno al mondo tranne Dio o il senno di poi sa quali conseguenze potrebbe avere un eventuale successo dell’operazione “regime change” in Russia, perché nessuno può sapere a chi andrebbe il controllo dell’arsenale nucleare russo, o di porzioni di esso, più che sufficienti a provocare distruzioni catastrofiche.
27. Inoltre, un conclusivo fallimento dell’operazione “regime change” seguente a un suo parziale, temporaneo successo, potrebbe favorire comportamenti disperati e irrazionali della direzione politica russa, che, lo ricordo ancora, sente di stare lottando per la sopravvivenza della Russia.
28. La decisione tedesca di riarmare, e di inviare in Ucraina armi che uccideranno soldati russi, unita alla presenza in Ucraina di formazioni che si richiamano al nazional-socialismo, non può non richiamare alla mente dei russi quanto è accaduto nella IIGM, quando i tedeschi uccisero 22 MLN di civili russi, e una parte degli ucraini si schierò contro l’URSS al fianco dei nazisti. I russi chiamano la IIGM “Grande Guerra Patriottica”, ne celebrano solennemente il ricordo, si riuniscono intorno ad esso. Patriottismo e nazionalismo sono una forza molto potente, in Russia. Le emozioni che essi suscitano quando si ritenga in pericolo la sopravvivenza della nazione possono travolgere la razionalità.
29. Molto importante: d’ora in poi, è assolutamente necessario prendere alla lettera, e credere dalla prima parola all’ultima, i moniti e le minacce ufficiali rivolti all’Occidente dalla dirigenza russa. Il centro direttivo politico russo, infatti, non solo non ha alcuna ragione di mentire o di minacciare a vuoto, ma ha l’assoluta necessità di essere chiaro, sincero e coerente nelle proprie dichiarazioni ufficiali rivolte all’occidente. È infatti questo l’unico strumento a sua disposizione per controllare razionalmente il decorso degli eventi, ed evitare che essi sfuggano di mano e precipitino nella catastrofe. Pensare che la direzione russa stia bluffando è la ricetta per il disastro.
30. È molto importante, per chi condividesse questa lettura degli eventi, far giungere, come può, ai parlamentari italiani, il proprio preoccupato dissenso per l’atteggiamento del nostro governo e della UE. Si rammenti che solo il Parlamento può decidere legittimamente atti di guerra, e che l’art. 11 della Costituzione italiana “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Questa in corso è una controversia internazionale, che può comporsi rapidamente garantendo la neutralità ucraina.
31. Per concludere, ricordiamo che un atteggiamento aggressivo e intransigente, e, peggio, la collaborazione all’operazione “regime change” in Russia, può gettare nel baratro l’Ucraina. L’esito militare del conflitto, stanti le forze in campo e l’impossibilità russa di fare marcia indietro, è predeterminato. L’unico effetto reale dell’aggressività intransigente potrebbe essere un aumento della pressione militare russa, al fine di concludere rapidamente le operazioni. Questo implicherebbe l’adozione di uno stile bellico molto più violento, e un aumento vertiginoso di caduti civili. Se poi gli eventi sfuggissero di mano, e dessero luogo a uno scontro diretto NATO-Russia, un atteggiamento aggressivo e intransigente potrebbe gettare nel baratro anche le nazioni europee.
32. Molte persone assistono allo svolgersi di questa vicenda come se fosse una serie TV. Non è una serie TV, è la realtà. Non siamo a Disneyland, non siamo nel Paese delle Meraviglie. Non siamo bambini: non è vero che Papà USA, che è tanto forte e tanto giusto, ci protegge e saprà far sì che tutto finisca nel migliore dei modi. Cerchiamo di essere adulti responsabili. Risolta questa crisi, discuteremo di nuovo dei valori, dei modelli di società, delle ragioni e dei torti: che sono molto importanti. Però, prima di discutere dei valori e dei modelli di società bisogna saper vivere, e sopravvivere.

L’ombrello della NATO e la responsabilità diretta dei governi nazionali europei_di Giuseppe Germinario

Come avete visto, abbiamo pubblicato il video, munito di traduzione in italiano, dell’intervento di Vladimir Putin del 21 febbraio scorso, seguito da numerosi interventi di commento e ricostruzione del contesto, per altro ancora in corso. Qui sotto, invece, pubblichiamo il testo integrale di un secondo intervento, diffuso il 24 febbraio e pubblicato meritoriamente da https://www.nicolaporro.it/cari-russi-e-questione-di-vita-o-di-morte-ecco-la-discorso-di-guerra-di-putin/?fbclid=IwAR2oNO8jfIJDCVCGnqpu1Lnfpcq7PHLAyzurl7Xno8Fmp16WVwt-QCAgFCM .

Da qui lo spunto per alcune ulteriori considerazioni che pongono con le spalle al muro nella quasi totalità il ceto politico e la classe dirigente europei, in particolar modo quello italiano, per meglio dire italico.

La NATO, come dovrebbe essere noto, si professa come una alleanza militare difensiva, prevede il ricorso all’unanimità nell’avviare azioni militari, vincola l’adesione di nuovi membri all’assenso di tutti gli stati e all’inesistenza di situazioni conflittuali all’interno di quel paese e con altri paesi, dispone di una clausola di mutuo soccorso (art. 5) in caso di aggressione ad uno degli stati membri. I redattori di questo blog, al netto comunque degli eventuali vantaggi e svantaggi derivati dall’adesione, sanno e sostengono che non è così. Tant’è che pochi sanno che la NATO è nata, scusate il gioco di parole, anni prima del Patto di Varsavia. A maggior ragione non lo è dal momento della caduta della ragione di esistere della NATO: la implosione dell’Unione Sovietica e lo scioglimento del Patto di Varsavia nel 1991.

Per continuare ad esistere e soprattutto ad agire ha dovuto quindi ricreare e ricostruire pazientemente un nemico, estendere il concetto di minaccia diretta sia in termini di significato che di ambito geografico e geopolitico, ergersi non più solo a difensore, ma a paladino delle cosiddette libertà e dei cosiddetti diritti umani. Questo nemico dichiarato è la Russia, ma nell’ombra inizia ad apparire anche la Cina.  Segno del drammatico dilemma che sta tormentando la classe dirigente americana.

Non è stato infatti un processo lineare e pacifico, sia in Europa che soprattutto, potrebbe sembrare paradossale, negli Stati Uniti, come la vulgata e la liturgia dominante vogliono far credere.

Negli Stati Uniti sono state ed oggi lo sono ancor di più numerose le voci di analisti, politici e funzionari nei centri decisionali contrari a questa impostazione. E’ il motivo per il quale questo sito porge particolare attenzione alle vicende politiche americane.

Anche i paesi europei sono stati attraversati da questa alternativa di opzioni, risoltasi formalmente e simbolicamente nello scenario pubblico con la morte sospetta di Alfred Herrhausen e Detlev Rohwedder in Germania e il “successo” di “tangentopoli” in Italia nei primi anni ’90, ma con dinamiche ben più ampie e complesse in tutto il continente. Nella concretezza del confronto politico rimane un dilemma che ancora agisce in profondità, sia pure in maniera surrettizia ed opaca, senza però una adeguata espressione politica.

Sta di fatto che i nobili propositi di emancipazione e libertà professati, si sono subito rivelati subito il veicolo e la maschera in particolare di azioni, rivoluzioni e colpi di mano di natura terroristica, particolarmente evidenti in Medio e Vicino Oriente e Nord-Africa, ma presenti purtroppo anche in Europa, in particolare Bosnia, Kossovo e Ucraina, in generale di sopraffazione di minoranze, in particolare russe, radicate a pieno titolo e diritto in Ucraina, nei tre paesi baltici, in Moldavia; della stessa violazione di principi che si attribuisce a piene mani a Putin.

Putin non ha posto essenzialmente un problema di morale, di giustizia e di verità; ha posto un contenzioso politico, trascinato ormai da oltre trent’anni e del quale i paesi occidentali si sono guardati bene da affrontare in modo aperto seguendo i canali diplomatici. Da buoni “savonarola” lo hanno piegato in termini morali e costringeranno Putin a replicare e scendere sullo stesso terreno. Potrebbe essere il prodromo e il terreno di coltura adatto ad un conflitto militare generalizzato ed aperto.

Questo articolo non è la sede adatta ad approfondire questa tematica, tagliata per la verità un po’ troppo con l’accetta.

Preme in realtà sottolineare un aspetto particolare che informa queste vicende e che viene spesso messo in ombra: la piena responsabilità e la aperta collusione della quasi totalità del ceto politico e della classe dirigente dell’Unione Europea e degli stati nazionali europei.

Non si tratta nemmeno più di porre la questione di uscire dalla NATO e dalla attuale Unione Europea e di porre la questione fondante di questo sito della postura di neutralità vigile ed armata, ben lontana purtroppo dall’essere all’ordine del giorno del dibattito politico.

Si tratta semplicemente, in apparenza semplicemente, di attenersi ai principi e alle modalità operative dichiarati dalla NATO il cui rispetto inchioda alle proprie responsabilità, a pieno titolo e a pari responsabilità, un ceto politico ed una classe dirigente degli stati nazionali europei i quali amano nascondere dietro il “ce lo chiede l’Europa, ce lo chiede la NATO” il carattere volontario e partecipe delle loro scelte. Il ceto politico, il governo nazionale, lo stesso unico partito di opposizione che osa fregiarsi sempre più del vessillo patriottico, operanti in Italia sono quelli più propensi alla complicità nel colpire, spesso in maniera vigliacca e a nascondere, in maniera ancora più vile, la mano dentro il guanto ed il pugnale avvelenato della NATO e della Unione Europea. Sono convinto che tra qualche anno, a babbo morto e crimini compiuti, la magnanima desecretazione di documenti ed atti, usuale negli Stati Uniti e nel Regno Unito, ci rivelerà le manipolazioni e le provocazioni in corso in Ucraina, al pari di quelle avvenute in Iraq, in Libia e in Siria, prossimamente nella ex-Jugoslavia. Gli attestati di solidarietà dei soliti noti  

(George Soros @georgesoros I have witnessed Ukraine transform from a collapsing part of the Soviet Union to a liberal democracy and an open society. It has faced countless acts of Russian aggression, but hapersisted.)  https://twitter.com/georgesoros/status/1497572126974525440?s=21 
dovrebbero già indurre ad una qualche prudenza o sospensione di giudizio.
L’importante è comunque conservare la memoria ed inchiodare alle proprie responsabilità un ceto politico e un governo, nei comportamenti addirittura più vile e spregevole del loro stesso referente principale, proprio perché più manifestamente contrario agli interessi nazionali fondamentali del proprio paese, l’Italia. I precedenti non mancano, a cominciare dall’aggressione in Libia, come pure quelli del probabile epilogo di queste dinamiche: di un Europa, campo di battaglia, questa volta passivo, di guerre altrui. 
Nelle more, una domanda: se confermato, a che titolo e da chi la Commissione della Unione Europea sta provvedendo all’acquisto e alla consegna al governo ucraino di cinquecento missili anticarro javelin?. Una quantità poco significativa, ma dall’enorme valore simbolico. Buona lettura, Giuseppe Germinario

 

“Cari russi, è questione di vita o di morte”: ecco il discorso di guerra di Putin

L’annuncio delle operazioni militari in Ucraina. La condanna della Nato: “Moderna forma di assolutismo”

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Pubblichiamo la traduzione del video messaggio notturno che ha dato il via alle operazioni russe in Ucraina. Putin si rivolge sia ai cittadini russi che a quelli ucraini. Il video e il testo del discorso sono stati pubblicati sul sito del Cremlino.


SOTTOTITOLI Ucraina, Putin: “Ho deciso di condurre un’operazione speciale”

Cari cittadini russi! Cari amici!

Oggi, ritengo ancora una volta necessario tornare sui tragici eventi accaduti nel Donbass e sulle questioni chiave per garantire la sicurezza della Russia.

Vorrei iniziare con quanto ho detto nel mio discorso del 21 febbraio di quest’anno. Stiamo parlando di ciò che ci provoca particolare preoccupazione e ansia, di quelle minacce fondamentali che anno dopo anno, passo dopo passo, vengono create in modo rude e senza tante cerimonie da politici irresponsabili in Occidente nei confronti del nostro Paese. Intendo l’espansione del blocco NATO ad est, che sta avvicinando le sue infrastrutture militari ai confini russi.

È noto che per 30 anni abbiamo cercato con insistenza e pazienza di raggiungere un accordo con i principali paesi della NATO sui principi di una sicurezza uguale e indivisibile in Europa. In risposta alle nostre proposte, ci siamo trovati costantemente di fronte ora a cinici inganni e menzogne, ora a tentativi di pressioni e ricatti, mentre l’Alleanza del Nord Atlantico, nel frattempo, nonostante tutte le nostre proteste e preoccupazioni, è in costante espansione. La macchina militare si muove e, ripeto, si avvicina ai nostri confini.

Perché sta succedendo tutto questo? Da dove viene questo modo sfacciato di parlare dalla posizione della propria esclusività, infallibilità e permissività? Da dove viene l’atteggiamento sprezzante nei confronti dei nostri interessi e delle nostre esigenze assolutamente legittime?

La risposta è chiara, tutto è chiaro ed ovvio. L’Unione Sovietica alla fine degli anni ’80 del secolo scorso si è indebolita e poi è completamente crollata. L’intero corso degli eventi che hanno avuto luogo allora è una buona lezione anche per noi oggi: ha mostrato in modo convincente che la paralisi del potere e della volontà è il primo passo verso il completo degrado e l’oblio. Non appena abbiamo perso la fiducia in noi stessi per qualche tempo, l’equilibrio di potere nel mondo si è rivelato disturbato.

Ciò ha portato al fatto che i precedenti trattati e accordi non sono più in vigore. La persuasione e le richieste non aiutano. Tutto ciò che non si addice all’egemone, al potere, viene dichiarato arcaico, obsoleto, non necessario. E viceversa: tutto ciò che sembra loro vantaggioso è presentato come la verità ultima, spinta a tutti i costi, rozzamente, con tutti i mezzi. I dissidenti sono messi in ginocchio.

Ciò di cui parlo ora non riguarda solo la Russia e non solo noi. Questo vale per l’intero sistema delle relazioni internazionali, e talvolta anche per gli stessi alleati degli Stati Uniti.

Certo, nella vita pratica, nelle relazioni internazionali, nelle regole per la loro regolamentazione, bisognava tener conto dei mutamenti della situazione mondiale e degli stessi equilibri di potere. Tuttavia, ciò avrebbe dovuto essere fatto in modo professionale, fluido, paziente, tenendo conto e rispettando gli interessi di tutti i paesi e comprendendo la nostra responsabilità. Invece no: (si è visto) uno stato di euforia da assoluta superiorità, una sorta di moderna forma di assolutismo, e anche sullo sfondo di un basso livello di cultura generale e arroganza, di coloro che hanno preparato, adottato e spinto decisioni vantaggiose solo per loro stessi. La situazione ha quindi iniziato a svilupparsi secondo uno scenario diverso.

Non bisogna cercare lontano per trovare degli esempi. In primo luogo, senza alcuna sanzione da parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU, hanno condotto una sanguinosa operazione militare contro Belgrado, utilizzando aerei e missili proprio nel centro dell’Europa. Diverse settimane di continui bombardamenti di città civili, su infrastrutture di supporto vitale. Dobbiamo ricordare questi fatti, anche se ad alcuni colleghi occidentali non piace ricordare quegli eventi e quando ne parliamo preferiscono indicare non le norme del diritto internazionale, ma le circostanze che interpretano come meglio credono.

Poi è stata la volta dell’Iraq, della Libia, della Siria. L’uso illegittimo della forza militare contro la Libia, la perversione di tutte le decisioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sulla questione libica hanno portato alla completa distruzione dello Stato, all’emergere di un enorme focolaio di terrorismo internazionale, al fatto che il Paese è precipitato in una catastrofe umanitaria che non si ferma da molti anni la guerra civile. La tragedia, che ha condannato centinaia di migliaia, milioni di persone non solo in Libia, ma in tutta questa regione, ha dato luogo a un massiccio esodo migratorio dal Nord Africa e dal Medio Oriente verso l’Europa.

Un destino simile era stato preparato per la Siria. I combattimenti della coalizione occidentale sul territorio di questo Paese senza il consenso del governo siriano e senza la sanzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu non sono state altro che una aggressione.

Tuttavia, un posto speciale in questa serie è occupato, ovviamente, dall’invasione dell’Iraq, anche quella senza alcun fondamento giuridico. Come pretesto, hanno scelto informazioni affidabili presumibilmente disponibili per gli Stati Uniti sulla presenza di armi di distruzione di massa in Iraq. A riprova di ciò, pubblicamente, davanti al mondo intero, il Segretario di Stato americano agitò una specie di provetta con polvere bianca, assicurando a tutti che fosse l’arma chimica sviluppata in Iraq. E poi si è scoperto che tutto questo era una bufala, un bluff: non c’erano armi chimiche in Iraq. Incredibile, sorprendente, ma il fatto resta. C’erano bugie al più alto livello statale e alle Nazioni Unite. E di conseguenza: enormi perdite, distruzione, un’incredibile ondata di terrorismo.

In generale si ha l’impressione che praticamente ovunque, in molte regioni del mondo, dove l’Occidente viene a stabilire il proprio ordine, il risultato siano ferite sanguinanti e non rimarginate, ulcere del terrorismo internazionale e dell’estremismo. Tutto ciò che ho detto è il più eclatante, ma non l’unico esempio di disprezzo del diritto internazionale.

Ci avevano promesso di non espandere la NATO di un pollice a est. Ripeto: mi hanno ingannato. Sì, si sente spesso dire che la politica è un affare sporco. Forse, ma non nella stessa misura, non nella stessa misura. Dopotutto, tale comportamento imbroglione contraddice non solo i principi delle relazioni internazionali, ma soprattutto le norme morali generalmente riconosciute. Dov’è la giustizia e la verità qui? Solo un mucchio di bugie e ipocrisie.

A proposito, politici, scienziati politici e giornalisti americani stessi scrivono e parlano del fatto che negli ultimi anni negli Stati Uniti si è creato un vero e proprio “impero delle bugie”. È difficile non essere d’accordo, è vero. Ma gli Stati Uniti sono ancora un grande Paese, una potenza che fa sistema. Tutti i suoi satelliti non solo danno rassegnato e doveroso assenso, cantano insieme a lei per qualsiasi motivo, ma copiano anche il suo comportamento, accettano con entusiasmo le regole che propone. Pertanto, a ragione, possiamo affermare con sicurezza che l’intero cosiddetto blocco occidentale, formato dagli Stati Uniti a propria immagine e somiglianza, è tutto il vero “impero della menzogna”.

Quanto al nostro Paese, dopo il crollo dell’URSS, con tutta l’apertura senza precedenti della nuova Russia moderna, la disponibilità a lavorare onestamente con gli Stati Uniti e gli altri partner occidentali, e nelle condizioni di un disarmo praticamente unilaterale, hanno subito cercato di metterci alle strette, finirci e distruggerci completamente. Questo è esattamente ciò che è successo negli anni ’90, all’inizio degli anni 2000, quando il cosiddetto Occidente ha sostenuto più attivamente il separatismo e le bande mercenarie nella Russia meridionale. Quali sacrifici, quali perdite ci costò tutto questo allora, quali prove abbiamo dovuto affrontare prima di spezzare finalmente la schiena al terrorismo internazionale nel Caucaso. Lo ricordiamo e non lo dimenticheremo mai.

Sì, infatti, fino a poco tempo fa, non si sono fermati i tentativi di distruggere i nostri valori tradizionali e di imporci i loro pseudo-valori che corroderebbero noi, la nostra gente dall’interno, quegli atteggiamenti che stanno già piantando in modo aggressivo nei loro paesi e che portano direttamente al degrado e alla degenerazione, perché contraddicono la natura stessa dell’uomo. Non succederà, nessuno l’ha mai fatto. Non funzionerà neanche adesso.

Nonostante tutto, nel dicembre 2021, abbiamo comunque tentato ancora una volta di concordare con gli Stati Uniti e i suoi alleati dei principi per garantire la sicurezza in Europa e sulla non espansione della NATO. Tutto è stato vano. La posizione degli Stati Uniti non cambia. Non ritengono necessario negoziare con la Russia su questa questione fondamentale per noi, perseguendo i propri obiettivi, trascurando i nostri interessi.

E ovviamente, in questa situazione, abbiamo una domanda: cosa fare dopo, cosa aspettarsi? Sappiamo bene dalla storia come negli anni Quaranta l’Unione Sovietica abbia cercato in tutti i modi di prevenire o almeno ritardare lo scoppio della guerra. A tal fine, tra l’altro, ha cercato letteralmente fino all’ultimo di non provocare un potenziale aggressore, non ha compiuto o rimandato le azioni più necessarie e ovvie per prepararsi a respingere un inevitabile attacco. E quei passi che furono fatti alla fine si rivelarono catastroficamente ritardatari.

Di conseguenza, il paese non era pronto ad affrontare pienamente l’invasione della Germania nazista, che attaccò la nostra Patria il 22 giugno 1941 senza dichiarare guerra. Il nemico fu fermato e poi schiacciato, ma a un costo colossale. Un tentativo di placare l’aggressore alla vigilia della Grande Guerra Patriottica si è rivelato un errore che è costato caro al nostro popolo. Nei primissimi mesi di ostilità abbiamo perso territori enormi e strategicamente importanti e milioni di persone. La seconda volta che non permetteremo un errore del genere, non abbiamo alcun diritto.

Coloro che rivendicano il dominio del mondo, pubblicamente, impunemente e, sottolineo, senza alcun motivo, dichiarano noi, la Russia, il loro nemico. Infatti, oggi hanno grandi capacità finanziarie, scientifiche, tecnologiche e militari. Ne siamo consapevoli e valutiamo oggettivamente le minacce che ci vengono costantemente rivolte in ambito economico, nonché la nostra capacità di resistere a questo ricatto sfacciato e permanente. Ripeto, li valutiamo senza illusioni, in modo estremamente realistico.

Per quanto riguarda la sfera militare, la Russia moderna, anche dopo il crollo dell’URSS e la perdita di una parte significativa del suo potenziale, è oggi una delle più importanti potenze nucleari del mondo e, inoltre, presenta alcuni vantaggi in una serie di ultimi tipi di armi. A questo proposito, nessuno dovrebbe avere dubbi sul fatto che un attacco diretto al nostro Paese porterà alla sconfitta e alle terribili conseguenze per qualsiasi potenziale aggressore.

Allo stesso tempo, le tecnologie, comprese le tecnologie di difesa, stanno cambiando rapidamente. La leadership in quest’area sta passando e continuerà a passare di mano, ma lo sviluppo militare dei territori adiacenti ai nostri confini, se lo consentiamo, durerà per decenni a venire, e forse per sempre, e creerà un quadro sempre crescente di minaccia inaccettabile per la Russia.

Anche ora, mentre la NATO si espande ad est, la situazione per il nostro Paese sta peggiorando e diventando ogni anno più pericolosa. Inoltre, in questi giorni, la leadership della NATO ha parlato apertamente della necessità di accelerare, accelerare l’avanzamento delle infrastrutture dell’Alleanza fino ai confini della Russia. In altre parole, stanno rafforzando la loro posizione. Non possiamo più semplicemente continuare a osservare ciò che sta accadendo. Sarebbe assolutamente irresponsabile da parte nostra.

L’ulteriore espansione delle infrastrutture dell’Alleanza del Nord Atlantico, lo sviluppo militare dei territori dell’Ucraina che è iniziato, è per noi inaccettabile. Il punto, ovviamente, non è l’organizzazione NATO in sé, è solo uno strumento della politica estera statunitense. Il problema è che nei territori a noi adiacenti, noterò, nei nostri stessi territori storici, si sta creando un sistema “anti-Russia” a noi ostile, che è stato posto sotto il completo controllo esterno, è intensamente colonizzato dalle forze armate dei paesi della NATO ed è dotato delle armi più moderne.

Per gli Stati Uniti e i suoi alleati, questa è la cosiddetta politica di contenimento della Russia, con evidenti dividendi geopolitici. E per il nostro paese, questa è in definitiva una questione di vita o di morte, una questione del nostro futuro storico come popolo. E questa non è un’esagerazione, è vero. Questa è una vera minaccia non solo per i nostri interessi, ma anche per l’esistenza stessa del nostro Stato, la sua sovranità. Questa è la linea rossa di cui si è parlato molte volte. L’hanno superata.

A questo proposito, e sulla situazione nel Donbass. Vediamo che le forze che hanno compiuto un colpo di stato in Ucraina nel 2014 hanno abbandonato la soluzione pacifica del conflitto. Per otto anni, otto anni infiniti, abbiamo fatto tutto il possibile per risolvere la situazione con mezzi pacifici e politici. Tutto invano.

Come ho detto nel mio discorso precedente, non si può guardare ciò che sta accadendo lì senza compassione. Era semplicemente impossibile sopportare tutto questo. Era necessario fermare immediatamente questo incubo: il genocidio contro i milioni di persone che vivono lì, che fanno affidamento solo sulla Russia, sperano solo in noi. Sono state queste aspirazioni, sentimenti, dolore delle persone che sono state per noi il motivo principale per prendere la decisione di riconoscere le repubbliche popolari del Donbass.

C’è poi una cosa che penso sia importante sottolineare ulteriormente. I principali paesi della NATO, al fine di raggiungere i propri obiettivi, sostengono in tutto i nazionalisti estremisti e neonazisti in Ucraina, che, a loro volta, non perdoneranno mai i residenti di Crimea e Sebastopoli per la loro libera scelta: la riunificazione con la Russia.

Ovviamente saliranno in Crimea, e proprio come nel Donbass, con una guerra, per uccidere, proprio come le bande dei nazionalisti ucraini, complici di Hitler, uccisero persone indifese durante la Grande Guerra Patriottica. Dichiarano apertamente di rivendicare un certo numero di altri territori russi.

L’intero corso degli eventi e l’analisi delle informazioni in arrivo mostra che lo scontro della Russia con queste forze è inevitabile. È solo questione di tempo: si stanno preparando, aspettano il momento giusto. Ora affermano anche di possedere armi nucleari. Non permetteremo che ciò avvenga.

Come ho detto prima, dopo il crollo dell’URSS, la Russia ha accettato nuove realtà geopolitiche. Rispettiamo e continueremo a trattare con rispetto tutti i paesi di nuova formazione nello spazio post-sovietico. Rispettiamo e continueremo a rispettare la loro sovranità, e un esempio di ciò è l’assistenza che abbiamo fornito al Kazakistan, che ha dovuto affrontare eventi tragici, con una sfida alla sua statualità e integrità. Ma la Russia non può sentirsi al sicuro, svilupparsi, esistere con una minaccia costante proveniente dal territorio dell’Ucraina moderna.

Permettetemi di ricordarvi che nel 2000-2005 abbiamo respinto i terroristi nel Caucaso, abbiamo difeso l’integrità del nostro Stato, salvato la Russia. Nel 2014 abbiamo sostenuto i residenti della Crimea e di Sebastopoli. Nel 2015, le forze armate sono riuscite a creare una barriera affidabile alla penetrazione dei terroristi dalla Siria in Russia. Non avevamo altro modo per proteggerci.

La stessa cosa sta accadendo ora. Semplicemente a te e a me non è stata lasciata alcuna altra opportunità per proteggere la Russia, il nostro popolo, ad eccezione di quella che saremo costretti a sfruttare oggi. Le circostanze richiedono un’azione decisa e immediata. Le repubbliche popolari del Donbass si sono rivolte alla Russia con una richiesta di aiuto.

A questo proposito, ai sensi dell’articolo 51 della parte 7 della Carta delle Nazioni Unite, con l’approvazione del Consiglio della Federazione russa e in applicazione dei trattati di amicizia e assistenza reciproca ratificati dall’Assemblea federale il 22 febbraio di quest’anno con il Donetsk Repubblica popolare e Repubblica popolare di Luhansk, ho deciso di condurre un’operazione militare speciale.

Il suo obiettivo è proteggere le persone che sono state oggetto di bullismo e genocidio da parte del regime di Kiev per otto anni. E per questo ci adopereremo per la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina, nonché per assicurare alla giustizia coloro che hanno commesso numerosi crimini sanguinosi contro i civili, compresi i cittadini della Federazione Russa.

Allo stesso tempo, i nostri piani non includono l’occupazione dei territori ucraini. Non imporremo nulla a nessuno con la forza. Allo stesso tempo, sentiamo che negli ultimi tempi in Occidente ci sono sempre più parole che i documenti firmati dal regime totalitario sovietico, che consolidano i risultati della seconda guerra mondiale, non dovrebbero più essere eseguiti. Ebbene, qual è la risposta a questo?

I risultati della seconda guerra mondiale, così come i sacrifici fatti dal nostro popolo sull’altare della vittoria sul nazismo, sono sacri. Ma questo non contraddice gli alti valori dei diritti umani e delle libertà, basati sulle realtà che si sono sviluppate oggi in tutti i decenni del dopoguerra. Inoltre, non annulla il diritto delle nazioni all’autodeterminazione, sancito dall’articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite.

Lascia che ti ricordi che né durante la creazione dell’URSS, né dopo la seconda guerra mondiale, le persone che vivono in determinati territori che fanno parte dell’Ucraina moderna, nessuno si è mai chiesto come vogliono organizzare la propria vita. La nostra politica si basa sulla libertà, la libertà di scelta per ciascuno di determinare autonomamente il proprio futuro e il futuro dei propri figli. E riteniamo importante che questo diritto – il diritto di scelta – possa essere utilizzato da tutti i popoli che vivono sul territorio dell’odierna Ucraina, da chiunque lo desideri.

A questo proposito, mi rivolgo ai cittadini ucraini. Nel 2014, la Russia è stata obbligata a proteggere gli abitanti della Crimea e di Sebastopoli da coloro che tu stesso chiami “nazisti”. I residenti della Crimea e di Sebastopoli hanno scelto di stare con la loro patria storica, con la Russia, e noi lo abbiamo sostenuto. Ripeto, semplicemente non potremmo fare altrimenti.

Gli eventi di oggi non sono collegati al desiderio di violare gli interessi dell’Ucraina e del popolo ucraino. Sono legati alla protezione della stessa Russia da coloro che hanno preso in ostaggio l’Ucraina e stanno cercando di usarla contro il nostro paese e il suo popolo.

Ripeto, le nostre azioni sono autodifesa contro le minacce che si stanno creando per noi e da un disastro ancora più grande di quello che sta accadendo oggi. Per quanto difficile possa essere, vi chiedo di capirlo e di chiedere collaborazione per voltare al più presto questa tragica pagina e andare avanti insieme, per non permettere a nessuno di interferire nei nostri affari, nelle nostre relazioni, ma per costruirli da soli, in modo che crei le condizioni necessarie per superare tutti i problemi e, nonostante la presenza di confini statali, ci rafforzi dall’interno nel suo insieme. Io credo in questo – in questo è il nostro futuro.

Vorrei anche rivolgermi al personale militare delle forze armate ucraine.

Cari compagni! I vostri padri, nonni, bisnonni non hanno combattuto i nazisti, difendendo la nostra Patria comune, affinché i neonazisti di oggi prendessero il potere in Ucraina. Hai giurato fedeltà al popolo ucraino e non alla giunta antipopolare che saccheggia l’Ucraina e deride queste stesse persone.

Non seguire i suoi ordini criminali. Vi esorto a deporre immediatamente le armi e ad andare a casa. Mi spiego meglio: tutti i militari dell’esercito ucraino che soddisfano questo requisito potranno lasciare liberamente la zona di combattimento e tornare dalle loro famiglie.

Ancora una volta, sottolineo con forza: ogni responsabilità per un possibile spargimento di sangue sarà interamente sulla coscienza del regime che regna sul territorio dell’Ucraina.

Ora, alcune parole importanti, molto importanti per coloro che potrebbero essere tentati di intervenire negli eventi in corso. Chiunque tenti di ostacolarci, e ancor di più di creare minacce per il nostro Paese, per il nostro popolo, dovrebbe sapere che la risposta della Russia sarà immediata e porterà a conseguenze mai sperimentate nella tua storia. Siamo pronti per qualsiasi sviluppo di eventi. Tutte le decisioni necessarie al riguardo sono state prese. Spero di essere ascoltato.

Cari cittadini russi!

Il benessere, l’esistenza stessa di interi stati e popoli, il loro successo e la loro vitalità hanno sempre origine nel potente apparato radicale della loro cultura e valori, esperienze e tradizioni dei loro antenati e, ovviamente, dipendono direttamente dalla capacità di adattarsi rapidamente a una vita in continuo cambiamento, sulla coesione della società, sulla sua disponibilità a consolidarsi, a raccogliere tutte le forze per andare avanti.

Le forze sono necessarie sempre – sempre, ma la forza può essere di qualità diversa. Al centro della politica dell’”impero della menzogna“, di cui ho parlato all’inizio del discorso, c’è principalmente la forza bruta e schietta. In questi casi, diciamo: “C’è potere, la mente non è necessaria”.

Tu ed io sappiamo che la vera forza è nella giustizia e nella verità, che è dalla nostra parte. E se è così, allora è difficile non essere d’accordo con il fatto che sono la forza e la prontezza a combattere che stanno alla base dell’indipendenza e della sovranità, sono le basi necessarie su cui puoi solo costruire in modo affidabile il tuo futuro, costruire la tua casa, la tua famiglia, la tua patria. .

Cari connazionali!

Sono fiducioso che i soldati e gli ufficiali delle forze armate russe devoti al loro paese adempiranno al loro dovere con professionalità e coraggio. Non ho dubbi che tutti i livelli di governo, gli specialisti responsabili della stabilità della nostra economia, del sistema finanziario, della sfera sociale, i capi delle nostre aziende e tutte le imprese russe agiranno in modo coordinato ed efficiente. Conto su una posizione consolidata e patriottica di tutti i partiti parlamentari e delle forze pubbliche.

In definitiva, come è sempre stato nella storia, il destino della Russia è nelle mani affidabili del nostro popolo multinazionale. E questo significa che le decisioni prese saranno attuate, gli obiettivi fissati saranno raggiunti, la sicurezza della nostra Patria sarà garantita in modo affidabile.

Credo nel vostro sostegno, in quella forza invincibile che ci dà il nostro amore per la Patria.

Vladimir Putin, 24 febbraio 2022

 

SE NON TE NE OCCUPI, POI TI PREOCCUPI_di pierluigi fagan

SE NON TE NE OCCUPI, POI TI PREOCCUPI.

Al momento, sembra che i russi condurranno una profonda operazione di degradazione delle strutture militari e politiche dell’Ucraina su vasta scala. In effetti, anche per chi si occupa a modo suo di queste cose come me, nonostante l’interesse che mi ha portato a seguire in silenzio gli eventi recenti cercando di comprenderne la forma, nonostante avessi letto l’indomani il testo completo del lungo intervento di Putin, non avevo capito -fino in fondo- cosa stava dicendo. Ci piaccia o meno siamo comunque immersi nel bagno amniotico del mondo liquido-gassoso delle interpretazioni dominanti ed anche le più temperate facoltà critiche fanno fatica a rimanere lucide ed imperturbate. L’intervento diceva quello che avrebbe fatto, come, a che fini, che è poi questo è quello che ha iniziato a fare. Pensavamo fosse per lo più sceneggiata visibile sopra il livello occulto ovvero la trattativa che stava andando avanti da un bel po’ tra americani e russi, sul come ed in che modo iniziare un tavolo di trattativa ufficiale non solo sul problema ucraino, ma sul problema della sicurezza internazionale, inclusi i missili americani in Europa puntati su Mosca e molto altro.  Ma pur sapendo questo, non abbiamo evidentemente voluto capire quanto quella trattativa stesse andando male e solo oggi capiamo, che in realtà stava andando malissimo ovvero da nessuna parte. Da qui, il rovesciamento del tavolo di Putin del tipo “chiacchiere a zero, adesso facciamo parlare i fatti e così vediamo chi è più duro”. Diceva Theodore Roosevelt “Parla gentilmente e portati un grosso bastone; andrai lontano”. Putin ha quindi deciso che parlare gentilmente non serve più ed il momento del “grosso bastone”.

Ora, è molto probabile scatterà verso i russi l’arma ritorsiva già annunciata da tempo, ovvero lo strozzamento finanziario inclusa l’esclusione dai circuiti SWIFT (il circuito che regola tutti i bonifici internazionali, i sistemi di pagamento interbancario), il sistema nervoso della finanza globale. Già annunciato da tempo, quindi già previsto da tempo, era lì che si voleva andare facendo fallire la trattativa sotterranea a cui già si sapeva Putin avrebbe reagito come sta reagendo. Per questo il povero Macron ha provato a farsi in quattro per evitare il destino annunciato, inutilmente. Ma evidentemente, Macron, Scholz, Draghi o chi per loro, in questo gioco sono vasi di coccio tra vasi di ferro e sembra che facciano pure finta di non saperlo. Ovviamente lo sanno benissimo, ma non lo sanno le loro popolazioni esposte ad una realtà da caverna platonica in technicolor e 3D. A quel punto, in risposta all’eventuale esclusione SWIFT, è molto probabile ci saranno contro-ritorsioni sulle forniture del gas in Europa, quella “… risposta della Russia sarà immediata e vi porterà a conseguenze che non avete mai sperimentato nella vostra storia”. Una bella svegliata agli europei in modalità post-storica. Superfluo sottolineare le ricedute pratiche di questa eventualità. Come siamo finiti qui?

Innanzitutto, vorrei suggerire ai tanti che in questo momento sentono il bisogno di giudicare del bene e del male, del buono e del cattivo, di sintonizzarsi con la realtà. La realtà non ti chiede cosa ne pensi come se stessi giudicando una cosa che per quanto ti interessa, in pratica non ti riguarda. La realtà che si presenta oggi al nostro cospetto ci riguarderà sul piano concreto. Non so se avverrà, ma a questo punto è secondo me molto probabile che si procederà in escalation di ritorsioni e contro-ritorsioni e che queste colpiranno non solo il popolo ucraino e russo, ma anche europeo. Ne ho scritto tempo fa qui e vedo che negli ultimi giorni altri ben più famosi studiosi di cose geopolitiche, hanno intravisto in questa situazione, oltre alle questioni ucraine, la questione di fondo della relazione Russia-USA via Europa. Il contenzioso profondo è tra gli USA che vogliono stringere a sé i propri alleati in via esclusiva, contro Cina e Russia, per resistere il più a lungo possibile all’esito multipolare dell’ordine mondiale, un esito di cui ormai non si può più discutere il “se”, ma il “come e quando”.

Gli statunitensi sono un popolo che pesa solo meno del 5% del mondo ed ancora fa quasi il 25% del Pil mondiale, questa è la loro “ricchezza delle nazioni”, come si intuisce del tutto sproporzionata tra massa e valore. Questa sproporzione è garantita -anche- da varie forme di controllo su ampie porzioni del mondo, dirette ed indirette, ereditate dal dopoguerra. È la difesa di questa rete di dominio che impegna gli USA contro il destino multipolare di un mondo ormai a 8 miliardi di persone, prossime 10 miliardi (2050) in più di 200, diversi, Stati. Nel loro esclusivo interesse, com’è per altro ovvio che sia in termini realistici, vogliono decidere di come ordinare il mondo affinché permangano le condizioni che garantiscono quella sproporzione, da loro ritenuta “vitale”. Non esattamente il “popolo americano” che riceve i proventi di quella ricchezza in proporzioni tra più inique nel mondo occidentale, la sua parte che governa il Paese e questo sistema mondiale di interesse. Democratici, repubblicani, deep state, dopo possono anche litigare sul come farlo o come distribuirsi i proventi del bottino, ma comunque sempre indistinguibili gli uni dagli altri nell’imperativo di procurarselo.

Noi europei quindi siamo i veri destinatari del conflitto e del suo sciame di conseguenze. I princìpi, ammesso noi se ne abbia davvero, e l’ignavia ovvero il nostro non prenderci le reali responsabilità del mondo complesso, costano. Forse Putin, ci renderà noto quanto. Reso noto il costo delle possibili opzioni con cui risponderemo al “che fare?” postoci dalla cruda realtà, avremo l’ennesima sveglia dopo le ripetute crisi economiche e finanziarie, la crisi climatica ed ambientale, la crisi della democrazia, la crisi sanitaria e tutte le altre piccole-medie perturbazioni provenienti da un mondo la cui percezione realistica ci ostiniamo a rimuovere.

Chissà se basterà a farci passare dal preoccuparci all’occuparci, dubito. Ma dato che questa incertezza è basata su una ipotesi, speriamo di esserci sbagliati.

https://pierluigifagan.wordpress.com/2022/02/24/se-non-te-ne-occupi-poi-ti-preoccupi/

redde rationem, di Daniele Lanza

Nota (ce ne sono sempre).
La vera sconfitta in tutto il macello che si profila in Ucraina, non è il paese in questione, invaso o meno che sia.
La VERA sconfitta è l’Europa che si ritrova impotente come dal 1945 ad oggi, pur con una guerra imminente sul proprio suolo : chi ha armi e determinazione – Cremlino e Washington – le usa……chi non le ha (complici 70 anni di benessere irreale, costituzioni pacifiste etc.) sta invece a guardare e a subirne le conseguenze. I paesi europei, piccoli attori riuniti nella grande casa UE (e in questi frangenti di crisi si vede quanto peso reale ha l’UE) sono gli spettatori vocianti e ridicoli.
Mosca cerca di riprendersi ciò che è “suo” da circa 4 secoli e mezzo (la sfera ucro-russofona inglobata nello zarato sin dal 1667), mentre il Pentagono coglie l’occasione (la desidera) per poter instaurare ed rinverdire la faglia di divisione tra bene e male perduta dopo il 1991 (il collasso dell’URSS aveva rovinato la Russia nel breve termine….ma come effetto collaterale aveva anche privato di ogni significato la Nato che negli ultimi 20 anni ha faticato a trovare motivi per continuare ad esistere di fronte agli interrogativi dell’opinione pubblica europea : l’unico motivo che potesse reggere era una difesa……ma difesa da COSA ?! E’ stata utile quindi una risurrezione della Russi potenza che più danni fa più giustifica la presenza della basi statunitensi/Nato in Europa (e magari a carico degli stessi europei).
Il Cremlino e lo stato maggiore russo con poche parole e grande professionalità preparano la mossa……la CNN americana dall’altro lato dell’oceano strepita con megafoni planetari : nel mezzo……i leader europei (l’asse franco-tedesco di Macron e Scholz in testa) che si agitano come marionette e contano come tali.
I veri sconfitti sono loro (cioè noi europei).
Signori (in particolare coloro che non sono d’accordo con me spesso) : suppongo che l’immagine da me scelta in basso – forze kaiseriane coloniali in africa orientale – risultino ostiche perchè evocano violenza e sopraffazione (sì è proprio così) e non è ciò che si vuole idealmente. D’altro canto mi piacerebbe che capiste come l’Europa della PACE della tolleranza e del benessere sopravvissuta per 70 anni è stata sempre un’illusione pia….guscio dorato entro il quale 3 generazioni di europei sono nati e cresciuti beatamente. Il mondo reale è un altro……..è quello dove se non possiedi il “ferro” non hai alcun peso (e tutto il tuo benessere può evaporare in una frazione di secondo). Che piaccia o meno è così : ognuno può continuare a cullarvisi se vuole, nel proprio paradiso interiore, non glielo impedisco).
Buona serata a tutti.
Gregorio Baggiani

La fine della “interiorita protetta”,della “machtgeschützte Innerlichkeit” come ptesagiva il buon Thomas Mann qualche anno fa letteratura piu o meno profetica a parte a parte, la guerra provochera sconquassi ed in definitivo shift of power, nel senso che cambiera definitivamente le relazioni politiche e militari e quindi gli equilibri internazionali..
Ennio Abate

Tutti realpolitik eh!
Ma quest’affermazione: “I veri sconfitti sono loro (cioè noi europei).” mi pare falsa o parziale: nel senso che la sconfitta delle classi dirigenti europee è altra cosa dalla sconfitta dei lavoratori o dei “popoli”.
Brecht: Anders als die Kämpfe der Höhe sind die Kämpfe der Tiefe!
(Diverse dalle lotte sulle cime sono le lotte sul fondo![1]).
[1] Dal frammento La bottega del fornaio
Daniele Lanza

Ennio Abate non sempre gli interessi della classe dirigente coincidono con la popolazione in generale…..ma in certi casi è l’intera società sconfitta ad un qualche livello. L’Europa geopoliticamente lo è dal 1945 ad oggi (dirigenti o lavoratori non c’entra).
Daniele Lanza Nell’Europa sconfitta geopoliticamente «dal 1945 ad oggi» gli sconfitti «dirigenti» se la sono passata più allegramente degli sconfitti «lavoratori». E’ questo che mi preme ricordare. Ed è a questo che la geopolitica non pensa. A me continua a parere un limite.
All’interno degli “europei” io faccio ancora delle distinzioni di classe, che mi paiono evidenti sul piano dei redditi, del possesso di saperi e del tipo di vita sociale che i singoli conducono. Certo, queste distinzioni (o contraddizioni?) oggi sono “inerti” politicamente, nel senso che non condizionano in modi palesi le scelte delle classi dirigenti. Ma ci sono. La geopolitica le trascura o le minimizza. La mia speranza è che tornino “attive”. Tenerle presenti (perciò ho citato l’archeologico Brecht) permette di capire che, in caso di guerra, il peggio che toccherà alla classe dirigente (e non ad una astratta «intera società») è altra cosa dal peggio che toccherà proprio ai lavoratori o al “popolo”.
Giuseppe Germinario

Ennio Abate Il problema da affrontare è infatti come all’interno delle dinamiche geopolitiche e dei rapporti di potenza sia possibile costruire una formazione sociale dinamica, coesa nella quale si riconformino distinzioni di funzione che altrimenti creano degrado, sfruttamento e sperequazioni avvilenti

LA RICCA EUROPA E’ IL PREMIO DEL CONFRONTO, di Antonio de Martini

LA POSTA IN GIOCO NON E’ L’UCRAINA MA LE FORNITURE DI GAS ALL’ EUROPA E LA PELLE DELLA RUSSIA CHE SPERA NELLA CINA CHE GUARDA AGLI USA…

ANTEFATTO N 1

Nikita khrushev, pur essendo nato in altra parte dell’impero, fece tutta la sua carriera di funzionario del partito comunista russo in Ucraina. Diventato segretario generale del PCUS ( partito comunista della Unione Sovietica), ebbe un occhio di riguardo per i suoi vecchi compagni, assegnando alla loro regione l’amministrazione della Crimea ( il luogo all’epoca più desiderato per le vacanze della nomenclatura e per i cittadini) e incluse ben 17 milioni di russi nei confini della Ucraina , che all’epoca era una regione dell’URSS.

Di qui nascono una serie di guai in cui sono incappati i suoi successori.

Una volta sciolta l’Unione sovietica e smantellato il patto di Varsavia, i governanti statunitensi lasciarono intendere al presidente BORIS YELTSIN di non avere mire sull’est Europa, ma mentre Yeltsin e il suo ministro degli esteri Eduard Shevarnadze si accontentarono di assicurazioni verbali a mezza bocca ( i verbali sono stati desegretati dagli USA un paio di anni fa e accennano a numerosi brindisi), gli americani – vedendo risorgere la potenza sovietica sotto la pelle della nuova Russia- decisero di sfruttare l’ingenuità combinata di Khrushev e di Yeltsin per iniziare a cooptare i paesi dell’est Europa nella loro sfera di influenza e accerchiare la Russia con una catena di basi che lasciassero aperta ogni opzione di possibili attacchi in maniera da creare incertezza strategica sulle intenzioni dello zio Sam. Attratti dalla prospettiva di essere ricoperti d’oro dalla Unione Europea, dal mare del nord al mar nero, prima o poi, abboccarono tutti.

Più difficile l’azione nelle Repubbliche ex sovietiche di cultura turca ( i quattro stan) dove un momentaneo successo della segretaria di Stato Hillary Clinton fece credere di poter disporre di un paio di basi , ma la pronta reazione russa si affermò facilmente.

Al sud, Iran e Afganistan , dove comunque gli USA sono riusciti a costruire un paio di infrastrutture strategiche logistiche che vanno verso la frontiera russa, il problema é ancora indeciso per via dell’ostinazione iraniana e della sua inimicizia con Israele e l’Arabia Saudita che sono le potenze regionali rivali e i più sicuri, per ora, alleati degli USA.

ANTEFATTO 2

La strategia principe degli USA nella seconda guerra mondiale consistette nello strangolamento del Giappone con il controllo delle materie prime e sopratutto del petrolio.

Una volta entrati in guerra, adottarono la stessa strategia nei confronti della Germania e la stessa resa dell’Italia fu considerata positivamente per l’opportunità di utilizzo offerta dagli aeroporti pugliesi per bombardare i pozzi petroliferi di Ploesti in Romania.

Controllando le fonti principali di petrolio del pianeta, senza il quale, navi, aerei e carri armati restano fermi, la vittoria non fu che questione di quando, non di se. La carne da cannone la misero i russi e i dominions.

Nel caso della Russia, ricchissima in petrolio ed ogni sorta di materie prime, il problema non é più consistito nel controllo delle fonti , ma nell’impedirne ai russi lo sfruttamento che é il principale sostegno finanziario dell’economia russa il cui PIL equivale a quello del Benelux. Un vantaggio aggiuntivo é l’opportunità di sostituire la Russia come fornitore della ricca e decadente Europa. Il rifornimento avviene via mare ( con navi e con l’onere di costruire impianti di rigasificazione dato che viene liquefatto per agevolare il trasporto. Ci sono attualmente in Europa sette impianti di rigasificazione in progetto- costruzione)

Il ruolo chiave dell’Ucraina in questa vicenda di scontro di interessi strategici e commerciali tra la potenza marittima per eccellenza e la controparte di terra, é esemplificato dalle due cartine che vedete. L’Ucraina serve agli Stati Uniti per strangolare, come fece col Giappone, ogni velleità espansionistiche – sui mercati o i territori, poco importa – della Russia.

Dalla carta ” di terra” é evidente la parte del Leone che fa l’Ucraina nel veicolare gas e petrolio versa la ricca Europa e nella “carta di mare” il fatto che gli Stati Uniti stanno già acquisendo il cliente Europa cui é già sono fornito il 26% della produzione di gas di scisti, molto più costoso sua per le modalità di estrazione che per quelle di trasporto.

Negli anni ottanta, una manovra analoga fu fatta con l’oro, sacrificando gran parte dell’oro Inglese e canadese , oltre che americano, per far scendere il prezzo sui mercati e privare l’URSS di questo introito importantissimo per la sopravvivenza del regime.

L’ingresso sul mercato dell’India , l’acquirente più grande del prezioso metallo e di altre neo potenze asiatiche , ha consentito la ripresa della Russia di Putin dopo il crollo dell’URSS. L’Afganistan fu un infortunio politico importante ma non decisivo come questo.

Come vedete da questo breve riassunto di una situazione ingarbugliata, l’Ucraina lucra da anni la protezione americana per esigere royalties sempre maggiori per il passaggio delle pipelines sul proprio territorio, la Russia cerca di diversificare le linee di accesso all’Europa attraverso il NORD STREAM uno e due o attraverso la Turchia .

L’Europa, e in particolare l’Italia, galleggiano su un mare di petrolio e di gas dell’est mediterraneo ( Leviathan e Tamar nei mari della Grecia, Libano, Israele e Siria) nel mediterraneo centrale ( le acque profonde dell’Egitto da cui hanno cercato di schiodarci con l’affare Regeni), nelle acque della Sirte e le coste delle Cirenaica ( ormai rese insicure da taglieggiamenti endemici alle fazioni in lotta)e l’Algeria che ha saputo resistere solo a prezzi elevatissimi di sangue. L’Iran e il Venezuela ci sono stati interdetti con il pretesto che non sono democrazie.

Come se il Katar e l’Arabia Saudita e la Guinea Equatoriale, lo fossero….

A tutte queste opportunità, vanno aggiunte le coste pugliesi – alla prospezione delle quali si oppone, non si sa a che titolo, una americana di origine italiana che dice di insegnare in una università della Florida, ma opera in Puglia; al largo di Rimini abbiamo giacimenti trovati da ENI e Gulf italiana negli anni settanta e subito richiusi ” per non danneggiare il turismo”, senza contare i giacimenti in Basilicata e quelli storici della val padana.

In altre parole viviamo su un sottosuolo intriso di gas e petrolio, ma lo compriamo all’estero in cambio di protezione data alla banda di ladruncoli che si accontenta – oltretutto- delle briciole.

La chiamano democrazia, suo marito é il “libero mercato” ( che non é né l’uno né l’altro) e dicono che Al Capone era italiano.

https://corrieredellacollera.com/2022/02/20/la-ricca-europa-e-il-premio-del-confronto/

Mali: gli eteri ideologici spiegano lo sfratto della Francia, di Bernard Lugan

Due vicende ormai lontane tra loro. Il massacro di Gheddafi e la distruzione dello stato libico nel 2011; il pressante invito della giunta militare del Mali alle truppe francesi di abbandonare immediatamente il territorio nazionale. Proprio nel momento in cui si tiene a Ginevra, con qualche ironia della sorte, la conferenza congiunta tra l’Unione Europea e l’Unione Africana. Non siamo alla conclusione di una parabola, ma ci siamo ormai vicini. L’avventura libica avrebbe voluto essere l’atto di affermazione di un nuovo ruolo assertivo della Francia in Africa Settentrionale. Erano ben altre le forze in azione dietro le quinte. Ha innescato una dinamica che al contrario sta accelerando e sancendo il ridimensionamento definitivo della Francia e delle sue ambizioni neocoloniali in quell’area. In un ultimo sussulto teso a difendere i propri caposaldi, ha cercato di coinvolgere altre forze europee, in particolare italiane e tedesche, nell’avventura. Come in altre occasioni, il nostro ceto politico, privo di ogni respiro strategico e di una qualche cognizione di interesse nazionale, si è accodato supinamente a queste scelte, dilapidando ulteriormente il patrimonio di credibilità e di rispetto guadagnatosi per due decenni a partire da Mattei. L’ennesima svolta che sta maturando in Libia, con il probabile avvicinamento della Turchia all’Egitto, se a buon fine, sancirà l’estromissione definitiva dell’Italia da quell’area così prossima con tutte le nefande conseguenze che ne deriveranno; ma anche per la Francia, con il suo ruolo di mosca cocchiera nell’avventura libica, si prospetta una sorte simile, visto il suo progressivo arretramento anche in Algeria e gli esiti incerti in Tunisia. Tra Ucraina e Nord-Africa la tenaglia che stringe l’Europa amorfa, vittima accondiscendente dell’avventurismo statunitense, si stringe in una morsa ormai destabilizzante lo stesso continente. Giuseppe Germinario

Venerdì 18 febbraio 2022, la giunta militare al potere a Bamako ha chiesto che la partenza delle forze “Barkhane” avvenisse immediatamente, e non per tappe, come aveva annunciato il presidente Macron. Come siamo arrivati ​​a una tale situazione ea una tale rottura?

Come dico e scrivo da anni, soprattutto nel mio libro Le guerre del Sahel dalle origini al presente , in Mali i decisori francesi hanno sommato gli errori derivanti da una falsa analisi consistente nel vedere il conflitto attraverso il prisma dell’islamismo. Ma qui l’islamismo è prima di tutto la superinfezione di ferite etnorazziali millenarie che nessun intervento militare straniero è stato per definizione in grado di chiudere.

Inoltre, in un momento in cui sempre più africani rifiutano la democrazia in stile occidentale, la Francia si sta, al contrario, rafforzando questa ideologia vista in Africa come una forma di neocolonialismo. Più che mai, i vertici francesi sarebbero stati quindi ispirati a meditare su questa profonda riflessione che il Governatore Generale dell’AOF fece nel 1953: “Meno elezioni e più etnografia, e tutti ne troveranno qualcosa per trarne vantaggio”… uno parola, il ritorno al vero africano e non l’incantesimo a ideologie appiattite.

Questa è la grande spiegazione di questo nuovo fallimento francese in Africa. Per non parlare del concreto rifiuto di mettere in discussione semplicemente le argomentazioni della giunta maliana. Immediatamente messa alla berlina da Parigi, che non le ha lasciato alcun margine di manovra, quest’ultima è stata automaticamente costretta a una corsa massimalista a capofitto per non perdere la faccia. I piccoli marchesi che plasmano la politica africana della Francia dovrebbero però sapere che in Africa la priorità assoluta quando si entra in contenzioso è non far perdere la faccia al proprio interlocutore. Ma questo non si può imparare a Science-Po…

Infatti, dopo il colpo di stato del colonnello Assimi Goïta in Mali, Emmanuel Macron ha letteralmente strangolato il Mali economicamente imponendo sanzioni del tutto inopportune e improduttive a questo Paese, che hanno finito per opporre l’opinione pubblica maliana alla Francia.

Accecato dal suo presupposto democratico, Emmanuel Macron non vedeva che il colpo di stato del colonnello Goïta era un’occasione di pace. Poiché questo Minianka, ramo minoritario del grande gruppo Senufo, non ha contese storiche con i Tuareg e i Fulani, i due popoli all’origine del conflitto, potrebbe quindi aprire un discorso di pace attorno a una nuova organizzazione costituzionale e territoriale, così che Tuareg e Fulani non sono più automaticamente esclusi dal gioco politico dalla democrazia, che è diventata una semplice etnomatematica elettorale.

Al contrario, accecati dal loro imperativo democratico, dall’ideologia dei “diritti umani”, del “buon governo” e dello “stato di diritto”, tutte nozioni almeno localmente surreali, i leader francesi hanno considerato l’apertura di negoziati tra Bamako e alcuni gruppi armati del nord come provocazione. Mentre l’operazione sarebbe stata del tutto proficua perché avrebbe consentito di chiudere il fronte settentrionale per concentrare le risorse di Barkhane nella cosiddetta regione dei “Tre Confini”.

Frutto della reazione francese, presa per la gola, la giunta si lanciò in una corsa a capofitto consistente nell’adulare la propria opinione pubblica designando la Francia come capro espiatorio. Questo spreco ha anche permesso alle élite locali che hanno sistematicamente saccheggiato il Mali di nascondere sei decenni di corruzione, appropriazione indebita, incapacità politica, in una parola, incompetenza. Risultato, dopo la Repubblica Centrafricana, la Francia si vede “espulsa” dal Mali mentre i suoi soldati vi sono caduti per garantire l’incolumità delle popolazioni abbandonate dal proprio esercito…

L’altro grande errore francese è non aver fatto la differenza tra i vari gruppi armati. Dal 2018 al 2019, l’intrusione del DAECH attraverso l’EIGS (Stato Islamico nel Grande Sahara) ha cambiato profondamente i fatti del problema. E’ scoppiato un conflitto aperto tra l’EIGS ei gruppi etno-islamisti che affermano di appartenere al movimento di Al-Qaeda, accusandoli di favorire l’etnia a spese del califfato. Parigi poi non ha visto, mentre io non ho smesso di inviare note ai funzionari interessati, che i due principali leader etnoregionali della nebulosa di Al-Qaeda, ovvero il tuareg ifora Iyad Ag Ghali e il Fulani Ahmadou Koufa, leader del Katiba Macina, più etno-islamista che islamista, aveva deciso di negoziare una via d’uscita dalla crisi.

Non volendo una tale politica, Abdelmalek Droukdal, leader di Al-Qaeda per tutto il Nord Africa e per la striscia del Sahel, ha poi deciso di prendere il controllo e imporre la sua autorità, sia su Ahmadou Koufa che su Iyad ag Ghali. Fu poi “neutralizzato” dalle forze francesi informate dai servizi di Algeri preoccupati di vedere che lo Stato Islamico si avvicinava al confine algerino. L’Algeria, che considera il nord-ovest della BSS come il suo cortile di casa, ha infatti sempre “sponsorizzato” gli accordi di pace lì. Il suo uomo del posto è Iyad ag Ghali la cui famiglia vive nella regione di Ouargla. Questa ifora touareg è contraria allo smembramento del Mali, una priorità per l’Algeria che non vuole un Azawad indipendente che sia un faro per i propri Touareg.

Parigi non lo capiva. E non più il fatto che il ritorno al gioco politico dei Tuareg radunati alla guida di Iyad ag Ghali, e di quelli dei Fulani al seguito di Ahmadou Koufa, avrebbe consentito di concentrare tutti i mezzi sull’EIGS, e quindi pianificare a termine un soccorso di Barkhane, quindi il suo spostamento verso la regione peri-ciadica dove gli elementi della futura destabilizzazione in atto eserciteranno nel prossimo futuro pesanti minacce su Ciad e Camerun, il tutto alimentato dall’intrusione turca in Libia.

Fin dall’inizio, e come ho sempre suggerito, abbiamo dovuto andare d’accordo con questo capo Ifora con cui avevamo contatti, interessi comuni e la cui lotta è l’identità prima di essere islamista. Per ideologia, rifiutando di tener conto delle costanti etniche secolari, coloro che fanno la politica africana francese hanno ritenuto al contrario che fosse l’uomo da uccidere… Proprio di recente, il presidente Macron ha persino ordinato ancora una volta alle forze Barkhane di eliminarlo. E questo proprio nel momento in cui, sotto il patrocinio algerino, le autorità di Bamako stavano negoziando con lui una pace regionale… E siamo sorpresi dalla reazione della giunta maliana…

In un modo che definirei insolito come “carità”, l’Eliseo ha persistito nell’accumularsi di false analisi. Emmanuel Macron, quindi, non ha voluto vedere – torno a un episodio essenziale di cui ho parlato sopra – che, il 3 giugno 2020, è scomparsa l’algerino Abdelmalek Droukdal, leader di Al-Qaeda per tutto il Nord Africa e per la regione del Sahel, uccisa dalle forze francesi, ha cambiato radicalmente le definizioni del problema. La sua eliminazione diede autonomia ai Tuareg Iyad ag Ghali e al Peul Ahmadou Koufa. Dopo quelli degli “emiri algerini” che avevano guidato a lungo Al-Qaeda nella regione, quello di Abdelmalek Droukdal appunto e che ha segnato molto chiaramente la fine di un periodo, Al-Qaeda non è più guidata lì dagli stranieri, dagli “arabi”, ma da “regionali”. Questi capi regionali, però, hanno obiettivi etnoregionali radicati in un problema millenario nel caso dei Tuareg, laico in quello dei Fulani. La mancanza di cultura e i presupposti ideologici dei leader francesi impedivano loro di vederla

In questo nuovo contesto, nell’agosto 2020 è avvenuto in Mali un primo colpo di stato militare che ha permesso di avviare negoziati tra Bamako e Iyad Ag Ghali, che hanno amareggiato Parigi. Il 24 ottobre 2020 ho pubblicato un comunicato stampa sull’argomento dal titolo “Mali: serve il cambio di paradigma”. Ma, ancora una volta, Parigi non ha preso la misura di questo cambio di contesto, continuando a parlare indiscriminatamente di una lotta globale al terrorismo. Inoltre, contro quanto sostenuto dai vertici militari di Barkhane, Parigi ha quindi persistito in una strategia “all’americana”, “toccando” indiscriminatamente i GAT (Gruppi terroristici armati), e rifiutando qualsiasi approccio “buono”… “alla francese”. ..

In conclusione, da questo nuovo e amaro fallimento della politica francese in Africa si dovrebbero trarre quattro grandi insegnamenti:

– La priorità urgente è sapere cosa stiamo facendo nel BSS, dobbiamo quindi definire finalmente, e molto rapidamente, i nostri interessi strategici attuali e a lungo termine per sapere se dobbiamo disimpegnarci o meno, e se sì, a cosa livello e senza perdere la faccia.

– In futuro non dovremo più intervenire sistematicamente e direttamente a beneficio degli eserciti locali che abbiamo addestrato instancabilmente e invano dagli anni ’60 e che, ad eccezione di quello del Senegal e della guardia presidenziale ciadiana, sono incompetente.

– Sarà necessario favorire interventi indiretti o azioni rapide e specifiche realizzate dalle navi, che eliminerebbero il disagio dei diritti territoriali percepiti localmente come una insopportabile presenza neocoloniale. Sarà quindi necessaria una ridefinizione e un aumento di potenza dei nostri mezzi marittimi dispiegabili.

– Infine e in primo luogo, dovremo lasciare che l’ordine naturale africano si dispieghi. Ciò implica che i nostri intellettuali capiscano finalmente che gli ex governanti non accetteranno mai che, attraverso il gioco dell’etnomatematica elettorale, e solo perché sono più numerosi di loro, i loro ex sudditi o affluenti ora sono i loro padroni. . Ciò sconvolge le concezioni eteree della filosofia politica occidentale, ma tale è nondimeno la realtà africana.

C’è stato un “contratto” messo dalla NATO sulla testa del colonnello Gheddafi?

La Francia, allora guidata da Nicolas Sarkozy, ha una pesantissima responsabilità nella disintegrazione della Libia con tutte le conseguenze locali e regionali che sono seguite e che ancora seguono. Ma perché è entrata così direttamente in una guerra civile in cui non erano in gioco i suoi interessi? Perché anche la NATO ha interferito così profondamente in questa guerra? L’alibi umanitario citato da BHL non fornendo una risposta soddisfacente, restano ancora due domande senza risposta:

– La Francia è all’origine della guerra contro il colonnello Gheddafi?

– L’obiettivo di questa guerra era la morte di quest’ultimo?

Esistono elementi di risposta che sottolineo in occasione della ristampa aggiornata da parte di Éditions du Rocher del mio libro ” Storia della Libia dalle origini ai giorni nostri ” e che sono riportati nel seguente comunicato:

Domanda 1: La Francia è all’origine della guerra contro il colonnello Gheddafi?

Durante i lavori della Commissione Speciale del Congresso degli Stati Uniti d’indagine sull’attacco alla missione americana a Bengasi nel settembre 2012, attacco costato la vita all’ambasciatore americano Christopher Stevens, sono state prodotte e-mail riservate di Sidney Blumenthal, consigliere di allora- Il segretario di Stato Hillary Clinton.

Secondo questi documenti, la DGSE (Direzione generale per la sicurezza esterna) francese avrebbe organizzato, su ordine di Nicolas Sarkozy, incontri segreti con gli oppositori libici a partire dal febbraio 2011, quindi proprio all’inizio dei fatti.

In una di queste note intitolata ” Come i francesi hanno creato il Consiglio nazionale libico ” si legge che gli agenti francesi avrebbero ” dato denaro e consigli ” e che questi agenti parlando a nome di Nicolas Sarkozy ” hanno promesso che non appena il (Consiglio ) è stato progettato, la Francia lo riconoscerà come il nuovo governo libico” .

In un’altra nota datata 20 marzo questa, si legge che Nicolas Sarkozy “si aspetta che la Francia guiderà gli attacchi contro (Gheddafi) per un lungo periodo di tempo” .

Se fosse autentico, e allo stato attuale del fascicolo, non vi è motivo di dubitarne, tale documento stabilirebbe quindi che, appena tre giorni dopo il voto sulla risoluzione 1973 risoluzione 1973 del 17 marzo 2011 del Consiglio di Sicurezza del le Nazioni Unite che prevedevano solo l’istituzione di una no-fly zone intorno alla sola città di Bengasi, il presidente Sarkozy avrebbe pianificato una guerra totale contro la Libia, cosa non prevista dalla suddetta risoluzione.

Domanda 2: Lo scopo della guerra era la morte del colonnello Gheddafi?

Martedì 16 dicembre 2014, a Dakar, in occasione della chiusura del Forum sulla pace e la sicurezza in Africa , acclamato dai partecipanti, il presidente ciadiano Idriss Déby ha sganciato una vera bomba quando, alla presenza del ministro della Difesa francese, ha ha dichiarato che andando in guerra in Libia: “(…) l’obiettivo della Nato era quello di assassinare Gheddafi. Questo obiettivo è stato raggiunto “.

Se è vero quanto affermato da questo intimo conoscitore del caso libico, tutta la storia di una guerra dalle conseguenze devastanti va dunque riscritta. Tanto più che questo conflitto razionalmente inspiegabile si è innescato quando, paradossalmente, il regime libico era diventato l’alleato degli europei, sia contro il jihadismo che contro le reti di immigrazione.

Torniamo indietro. :

 Il 13 gennaio 2011, dopo 42 anni al potere, il colonnello Gheddafi ha dovuto affrontare manifestazioni che si sono trasformate in un’insurrezione.

 Il 23 febbraio, per sostenere gli insorti, la Francia ha chiesto all’Unione Europea “la rapida adozione di sanzioni concrete” contro il regime libico. In Francia è stata poi orchestrata una grande mobilitazione dal “filosofo” Bernard-Henri Lévy per per “salvare” la popolazione di Bengasi.

– Il 17 marzo Alain Juppé, ministro degli Affari esteri francese, ha strappato al Consiglio di sicurezza dell’ONU la risoluzione 1973[1] , che ha consentito l’apertura delle ostilità[2]. Questa risoluzione autorizzava semplicemente e solo la creazione di una no-fly zone sulla Libia , non l’intervento nel conflitto.

Tuttavia, di fronte all’incapacità dei ribelli di minare le difese del regime, Parigi intervenne gradualmente nella guerra civile, impegnandosi anche sul campo, in particolare a Misurata dove ebbe luogo un’operazione dei Navy Commandos, e a Jebel Nefusa. Una cosa tira l’altra, violando la risoluzione 1973 del 17 marzo 2011 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la Francia e la NATO hanno condotto una vera guerra, prendendo di mira direttamente e ripetutamente lo stesso colonnello Gheddafi.

L’attacco più sanguinoso è avvenuto il 1 maggio 2011 quando gli aerei della Nato hanno bombardato la villa di suo figlio Saif al-Arab mentre lì si teneva una riunione di famiglia, alla presenza del colonnello e di sua moglie. Dalle macerie della casa sono stati rimossi i cadaveri di Saif al-Arab e tre dei suoi figli piccoli. Reagendo a quello che ha definito un omicidio, Mons. Martinelli, Vescovo di Tripoli, ha detto: “Chiedo, per favore, un gesto di umanità verso il colonnello Gheddafi che ha protetto i cristiani di Libia. È un grande amico”. Tale non era evidentemente l’opinione di coloro che avevano ordinato questo bombardamento chiaramente inteso a porre fine al capo di stato libico.

I capi di stato africani che si erano opposti quasi all’unanimità a questa guerra e che avevano tentato senza successo di dissuadere il presidente Sarkozy dall’intraprenderla, pensavano di aver trovato un risultato accettabile: il colonnello Gheddafi si sarebbe dimesso, il potere provvisorio era assicurato dal figlio Saif al -Islam Gheddafi e questo, per evitare un posto vacante favorevole al caos. Questa opzione è stata rifiutata dalla CNT portata a condizioni di mercato dalla Francia. Di conseguenza, il colonnello Gheddafi si è trovato assediato nella città di Sirte, che è stata oggetto di intensi bombardamenti NATO.

È stata quindi preparata un’operazione di esfiltrazione verso il Niger. Tuttavia, ben informati (da chi?), i miliziani di Misurata si tesero in agguato sull’asse che da Sirte portava al Fezzan e da lì al Niger. Il 20 ottobre 2011, il convoglio di diversi veicoli civili del colonnello Gheddafi è riuscito a lasciare la città. Sebbene non costituisse un obiettivo militare, fu subito preso di mira dagli aerei della NATO e in parte distrutto. Catturato, il colonnello Gheddafi è stato brutalmente messo a morte dopo essere stato sodomizzato con una baionetta: in rete è visibile il video della sua cattura e del linciaggio. Suo figlio Moatassem Gheddafi è stato evirato, poi gli sono stati cavati gli occhi, le mani e i piedi tagliati. I loro resti sanguinanti furono poi esposti nell’obitorio di Misurata. La NATO non aveva quindi lasciato alcuna possibilità al colonnello Gheddafi e a suo figlio.

Fatte queste premesse, le accuse del presidente Deby assumono quindi tutto il loro valore. In retrospettiva, lo svolgersi degli eventi potrebbe infatti essere paragonato a un “contratto” posto sulla testa del colonnello perché non gli fu offerto alcun onorevole risultato diplomatico e tutte le sue proposte di pace furono rifiutate…

[1] Su questo argomento si veda il testo della conferenza stampa di Alain Juppé a New York ( www.ambafrance-at.org ).

[2] Su richiesta di Francia, Regno Unito e Libano, la risoluzione 1973 è stata adottata, ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, dal Consiglio di Sicurezza con 10 voti (10 favorevoli, 0 contrari, 5 astenuti tra cui Russia, Cina e Germania). La Russia si è astenuta dal voto all’ONU, poi Mosca ha denunciato gravi violazioni della risoluzione 1973.

la nuova Russia proattiva: il Cremlino passa al piano B, di Gilbert Doctorow

Avere a che fare con la nuova Russia proattiva: il Cremlino passa al piano B

di gilbertdoctorow

Per i primi vent’anni del nuovo millennio, era ovvio che Vladimir Putin e la sua squadra al Cremlino erano reattivi, piuttosto che propositivi in ​​quasi tutti i rapporti con l’Occidente collettivo. Naturalmente, voglio dire che era ovvio per la sostanziale minoranza di professionisti che commerciano in fatti e seguono causalità, azione e reazione, dall’inizio alla fine, piuttosto che scambiare solo propaganda ideologicamente guidata. Per quanto riguarda i comunicati stampa del governo statunitense e i media mainstream, ciò che è stato fornito al pubblico in generale negli Stati Uniti, in Europa in tutti questi anni, ha sempre sistematicamente invertito causa ed effetto. Fuori dalla telecamera, gli Stati Uniti hanno colpito negli occhi i russi; sulla telecamera, ci è stata mostrata solo la reazione aggressiva dei russi.

Noi osservatori professionisti della Russia sapevamo che Vladimir Putin era molto cauto. La sua parola più comunemente usata in relazione alla condotta di qualsiasi politica è stata “аккуратно”, che significa “attento”.

Nel 2021 ci ha preceduto un nuovo Putin, uno che sembra assertivo se non aggressivo e che sembra pronto a correre enormi rischi senza troppe esitazioni mentre muove due o più passi avanti ai suoi interlocutori occidentali, non due passi indietro come era stato il caso fino ad ora.

Intendo in questo saggio spiegare in che modo la Russia è attiva oggi. Tuttavia, prima di procedere, diamo uno sguardo a ritroso ai due casi in quella che può essere definita “l’età di Putin” in cui la Russia ha effettivamente preso l’iniziativa e si è mossa coraggiosamente sulle proprie relazioni estere e sul proprio corso militare. Le date in questione sono il 1999 e il 2015.

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Negli ultimi 22 anni ci sono stati due casi eccezionali in cui la Russia ha preso l’iniziativa negli affari internazionali e non ha semplicemente reagito a qualche passo dell’Occidente, e degli Stati Uniti in particolare. Il primo è stato nel giugno 1999 quando un distaccamento di 250 soldati russi con base in Bosnia in missione di mantenimento della pace ha marciato in Kosovo per preparare la strada ai rinforzi dei paracadutisti che dovrebbero arrivare in aereo all’aeroporto di Pristina, dove insieme potrebbero stabilire una “zona” russa in quello che potrebbe diventare un Kosovo diviso. A quel tempo, Eltsin era gravemente malato e non aveva il controllo degli affari quotidiani, e il suo ministro degli affari esteri sembrava non essere a conoscenza dei movimenti sul campo nell’ex Jugoslavia, mentre messaggi contraddittori arrivavano dai militari. Un certo Vladimir Putin, allora consigliere per la sicurezza di Eltsin, ma sei mesi dopo essere nominato successore di Eltsin come presidente della RF, fu coinvolto in incontri con il vicesegretario di Stato in visita Strobe Talbott. Mentre Talbott era ancora a Mosca, si è saputo del trasferimento russo all’aeroporto di Pristina. Si dice che Putin abbia assicurato che si trattava di un malinteso, non preoccupatevi. E così Talbott è volato via, solo per tornare a Mosca a metà volo quando è diventato chiaro che in Kosovo si stava verificando una situazione di stallo potenzialmente pericolosa tra il distaccamento della NATO ei russi.

Come si è scoperto, l’offerta russa di catturare l’aeroporto di Pristina e far valere gli interessi russi all’interno o insieme alla KFOR è stata ostacolata dal mancato ottenimento dei diritti di sorvolo dall’Ungheria per il trasporto pianificato di rinforzi. Gli Stati Uniti avevano assicurato all’Ungheria il rispetto dei suoi desideri per far dispetto ai russi.

Il secondo caso di iniziativa russa che mi viene in mente risale al settembre 2015, quando la Russia annunciò inaspettatamente il suo ingresso nella guerra civile siriana con attacchi aerei intesi a sostenere il regime fallito di Assad. Questa volta, l’azione militare russa è stata resa possibile proprio dall’aver ottenuto il previo accordo dell’Iraq e di altre potenze regionali di sorvolare il loro territorio. E la complicità di Bagdad, già stabilita all’interno di un’unità di intelligence congiunta russo-irachena, è proseguita senza la minima conoscenza della massiccia ambasciata americana a Bagdad. La successiva missione della Russia per salvare il regime siriano nei due anni successivi è stata un completo successo e non c’è dubbio su chi abbia spostato i pezzi degli scacchi sulla scacchiera: Vladimir Putin. La capacità dei russi di operare in totale segretezza sotto il naso del comando degli Stati Uniti mette in discussione tutte le affermazioni di Washington di oggi di avere al suo interno fonti di intelligence sui piani della Russia per l’Ucraina.

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Le azioni russe al confine con l’Ucraina iniziate nel novembre 2021 e continuano a presentarsi sono una prova positiva di una nuova posizione come iniziatore del cambiamento negli affari globali.

In un primo momento, potremmo ipotizzare che l’ammassamento di 100.000 soldati russi fosse solo una reazione all’ammassamento di 120.000 soldati ucraini, più della metà del loro esercito, sulla linea di demarcazione con il Donbas, pronti a colpire e riconquistare le province ribelli da forza delle armi e anche potenzialmente minacciando la Crimea russa. Tuttavia, quando il 15 dicembre i russi hanno risposto all’invito del presidente Biden durante un vertice virtuale con Putin nove giorni prima per presentare su carta le loro preoccupazioni e motivazioni per i loro movimenti di truppe, hanno consegnato due bozze di trattati sulla revisione dell’architettura dell’architettura europea che sono stati chiamato ultimatum, ma potrebbe ugualmente essere chiamato richieste sfacciate con una portata molto più ampia della sola Ucraina.

Immediatamente dopo, la Russia ha perseguito una strategia negoziale a due binari sulla richiesta di ritirare la NATO e la simultanea escalation della sua minaccia militare all’Ucraina. Sono arrivate ulteriori unità funzionali essenziali per un’invasione come il trasporto di carburanti e le banche del sangue. Un nuovo potenziale fronte è stato creato al confine tra Ucraina e Bielorussia, a soli 100 km da Kiev, quando 30.000 truppe russe aggiuntive sono arrivate insieme ad alcuni dei loro ultimi equipaggiamenti per esercitazioni militari congiunte con le forze bielorusse. E nel Mar Nero furono annunciate esercitazioni navali che coinvolgevano mezzi da sbarco provenienti dalla flotta del Pacifico. La navigazione è stata vietata nella zona per tutta la durata, così che è stato messo in atto una sorta di blocco, che ricorda il blocco americano imposto a Cuba durante la crisi dei missili del 1962, a quelli di noi con memoria della storia all’altezza del “non dimenticare mai , mai perdonare” la mentalità del Cremlino.

L’effetto di queste misure, che potremmo chiamare il Piano A di Putin, è stato drammatico, anche se l’obiettivo della capitolazione alla richiesta russa di revocare la NATO e negare l’adesione alla NATO all’Ucraina non è stato raggiunto. Ciò che la Russia ha ottenuto puntando una pistola alla testa dell’Ucraina per sollevare le sue preoccupazioni sulla sicurezza al primo posto tra gli interlocutori occidentali è stato il riconoscimento da parte degli Stati Uniti come una grande forza militare da non sottovalutare nelle armi convenzionali e nucleari. E c’erano indicazioni nella risposta scritta degli Stati Uniti alla bozza di trattati russi che si potevano raggiungere accordi significativi sulla limitazione dei giochi di guerra in Europa, sul controllo o sul divieto di missili nucleari a raggio intermedio in Europa, sul mantenimento dei normali canali di comunicazione aperti tra i militari e leader civili di entrambe le parti. La politica di isolamento, denigrazione della Russia e licenziamento dei suoi interessi di sicurezza che risaliva alle amministrazioni Bush e Obama, e alla quale lo stesso Biden aveva partecipato come formulatore e attuatore, è stata ora abbandonata fintanto che la Russia non ha effettivamente invaso l’Ucraina.

Un effetto secondario delle azioni russe era stata la distruzione della posizione dell’Ucraina tra i suoi sostenitori occidentali. Nel mezzo della crisi crescente, Biden ha affermato con chiarezza cristallina che nessun soldato americano sarebbe stato inviato in Ucraina per difenderla in caso di attacco russo. L’insistente ripetizione da parte dell’America del messaggio che un’invasione russa su vasta scala dell’Ucraina era imminente è salito a un livello isterico quando Washington ha chiesto a tutti i cittadini americani di lasciare il paese ora, su voli commerciali, perché la logistica militare non sarebbe stata dispiegata per evitare qualsiasi rischio di conflitto con i russi in arrivo.

Successivamente più di 40 paesi hanno seguito l’esempio degli Stati Uniti nella chiusura delle loro ambasciate a Kiev e nel ritiro del personale. I sogni dell’Ucraina di sostegno occidentale non erano più sostenibili e i primi suoni di resa iniziarono ad apparire quando l’ambasciatore ucraino nel Regno Unito disse che forse avrebbero ritirato la loro domanda di adesione alla NATO come prezzo per il mantenimento della pace. Sebbene quella piccola bandiera bianca sia stata successivamente ritirata, la volontà dei nazionalisti ucraini era chiaramente sottoposta a terapia d’urto.

Se possiamo fare un passo indietro nel corso degli eventi quotidiani, non c’è dubbio che il danno maggiore per l’economia ucraina e per la stabilità del suo attuale governo non è stato causato dai russi, con i loro movimenti di truppe, ma da Washington, con i suoi avvertimenti quotidiani di un attacco russo all’Ucraina.

I miei colleghi hanno cercato di dare un senso alle grida noiose e ripetitive della Casa Bianca e del Pentagono sull’imminente invasione di massa russa dell’Ucraina. La migliore spiegazione che ho sentito è che questa era un’intelligente strategia di guerra dell’informazione che equivaleva a “testa che vinco, croce che perdi”. Se Putin procedesse davvero con un’invasione, sarebbe tanto più costoso per la Russia in vite e tesori perché non ci sarebbe alcun elemento di sorpresa. Inoltre, le sanzioni morderebbero la Russia mentre fornirebbero agli Stati Uniti un maggiore controllo sui suoi alleati nominali in Europa per compensare la perdita dei suoi investimenti nel regime di Kiev. Come ha spiegato Nancy Pelosi a un giornalista, questa politica probabilmente giocherà bene al pubblico americano. Conclusione: le grida del ‘lupo’ sono state un cinico stratagemma politico dell’amministrazione Biden.

Tuttavia, gli stessi fatti possono essere letti in un modo completamente diverso: come un grande successo dell’intelligence russa. Potrebbe essere che i vaghi riferimenti dei funzionari del Dipartimento di Stato in domande e risposte con i giornalisti ai rapporti dell’intelligence sulle intenzioni russe di invadere fossero carne con le ossa. Potrebbe essere che le fonti di informazioni affidabili e senza nome sul programma dell’invasione di Putin fossero agenti doppiogiochisti che svolgevano la loro missione di disinformazione. Potrebbe essere che non solo il meno che brillante presidente americano sia stato coinvolto da questa farsa, ma anche il suo eminente consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, così come altri alti funzionari dell’amministrazione e del Congresso. La conclusione netta di questa interpretazione è che Vladimir Putin ha interpretato Biden come un violino e che i russi hanno finalmente imparato a usare le PR a proprio vantaggio, senza fare affidamento sui consulenti di Madison Avenue.

***

Ieri abbiamo assistito a diversi sviluppi molto interessanti a Mosca che sono stati riportati separatamente dai nostri media quando in realtà sono tutti interconnessi e riguardano il passaggio della Russia dal suo Piano A, la paura dell’invasione, al Piano B, il possibile riconoscimento di Donetsk e Repubbliche di Lugansk come stati sovrani indipendenti da Kiev. Questo piano può anche essere concesso per diverse settimane o mesi mentre si applica ulteriore pressione psicologica sul governo Zelensky.

Alcune settimane fa abbiamo letto che alla Duma di Stato veniva presentato un disegno di legge che invitava il presidente Putin a riconoscere l’indipendenza delle due repubbliche del Donbas. Il disegno di legge, firmato da parlamentari del partito di opposizione, il Partito Comunista di Russia guidato da Gennady Zyuganov. All’epoca il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ci aveva detto che questa proposta non era stata accolta dal presidente ed era scomparsa dalla cronaca quotidiana.

Due giorni fa il presidente della Duma Vyacheslav Volodin ha annunciato che si sarebbero votati due progetti di legge relativi al riconoscimento delle repubbliche del Donbas, il primo disegno di legge dei comunisti e un secondo disegno di legge firmato dal Partito Russia Unita al potere. Si terrà una votazione libera e verrà presentata al Presidente la versione del disegno di legge che avrà ottenuto il maggior numero di voti. La differenza tra i due è che il disegno di legge comunista invierebbe la richiesta della Duma direttamente al presidente per l’azione, mentre la versione Russia Unita invierebbe l’appello prima al ministro degli Affari esteri e ad altri alti funzionari prima che possa essere passato al presidente. Il voto di ieri ha approvato il disegno di legge dell’opposizione, il che significa che il presidente Putin ha avuto mano libera in ogni momento opportuno per riconoscere le province ribelli.

La logica di tutto questo esercizio è che, se necessario, la Russia può in qualsiasi momento porre fine all’incubo che i residenti del Donbas hanno vissuto negli ultimi sette anni durante i quali 800.000 di loro hanno scelto di prendere i passaporti russi per la coperta di sicurezza che avevano promesso. Se la Russia riconosce le repubbliche e se le repubbliche richiedono formalmente protezione militare russa contro le forze ucraine che sono tre volte più grandi delle proprie dall’altra parte del confine, l’esercito russo potrebbe entrare legalmente nel loro territorio e salire fino al linea di demarcazione, ponendo fine ai bombardamenti e alle minacce provenienti dall’Ucraina. Questo sarebbe il caso qualunque cosa la Russia o le stesse repubbliche avrebbero altrimenti in mente riguardo all’eventuale svolgimento di un referendum sulla “riunificazione”.

Lo svantaggio del riconoscimento formale dell’indipendenza di queste repubbliche è che porrebbe fine bruscamente agli Accordi di Minsk, che tutte le parti coinvolte in Occidente considerano l’unica soluzione accettabile al problema dell’Ucraina.

Non è sicuramente un caso che il voto della Duma si sia svolto durante la visita del cancelliere tedesco Scholz a Mosca. In quanto garante degli Accordi di Minsk e partecipante al Normandy Format per risolvere il problema dell’Ucraina, la Germania sarebbe la prima a subire uno shock dal fatto che il Cremlino stia persino pensando di sabotarli in questo modo. E così, dalla gioia per la riduzione dell’escalation che domenica il ministro della Difesa russo Shoigu ha annunciato, mentre le unità delle esercitazioni militari in Crimea, lungo il confine bielorusso con l’Ucraina iniziavano a tornare alle loro basi di origine, era ora mista a angoscia per il possibile Riconoscimento russo dell’indipendenza delle province ribelli.

Mentre nelle settimane precedenti Kiev aveva pubblicamente denunciato gli Accordi di Minsk come una minaccia per il loro stato se attuati, mentre lo stesso presidente Zelensky aveva affermato davanti alle telecamere che nessuna riga degli Accordi era accettabile per lui, non prima della Duma voto è diventato noto se le autorità di Kiev hanno iniziato a inviare appelli a tutte le organizzazioni internazionali per aiutare a salvare quegli Accordi dal ritiro russo attraverso il riconoscimento dell’indipendenza delle repubbliche del Donbas.

È una domanda aperta su come reagirà l’élite del potere di Washington al passaggio della Russia al Piano B. Come possono evitare di sembrare sciocchi durante i loro mesi in cui hanno gridato “al lupo” per un’invasione che non è avvenuta. Tuttavia, non sottovalutiamo la loro intraprendenza.

©Gilbert Doctorow, 2022

Trattativa difficile e pericolosa_di Roberto Buffagni

Perché la trattativa in corso tra USA e Russia sull’Ucraina è così difficile e pericolosa?
Se gli USA accettano la richiesta russa di un impegno formale a non far entrare nella NATO l’Ucraina, le riconoscono implicitamente il ruolo di interlocutore alla pari, e contraddicono il presupposto dell’ordine mondiale unipolare liberal che hanno costruito dopo il crollo dell’URSS.
In questo ordine mondiale unipolare a guida USA, non esistono interlocutori alla pari, e non esistono modelli sociopolitici alternativi alla democrazia liberal-progressista (di qui l’esportazione della democrazia, con le armi o con le destabilizzazioni tipo “rivoluzioni colorate”)
Il punto più delicato, dunque, non è l’effettivo ingresso dell’Ucraina nella NATO. Gli USA hanno già chiarito che non sono disposti a difendere l’Ucraina con le armi, e che l’ingresso dell’Ucraina nella NATO non è all’ordine del giorno o dell’anno.
Il punto veramente delicato è il diritto esclusivo degli USA di stabilire l’ordine mondiale unipolare.
Per di più, questo ordine mondiale unipolare non è “agnostico”, ossia non è privo di contenuto ideologico obbligatorio. Esso invece è sia unipolare ( = nel mondo, non esiste interlocutore alla pari degli Stati Uniti) sia universalista ( = non esiste alcuna forma di regime sociopolitico accettabile per il leader mondiale, al di fuori della democrazia liberal-progressista di tipo americano).
I problemi che si presentano agli USA sono due: a) negli ultimi decenni, sono sorte due grandi potenze, la Russia e la Cina, che esigono di essere interlocutori alla pari degli USA b) la democrazia liberal-progressista congiunta all’ordine mondiale unipolare provoca dissenso endemico, non solo all’estero ma anche negli Stati Uniti (perdita posti di lavoro, tenore di vita in calo, perdita di identità, immigrazioni di massa con relativi conflitti).
Il terzo problema, ovviamente, è la necessità di dividere Russia e Cina, che insieme pongono loro un problema e una sfida serissima.
Ecco perché questa trattativa USA_-Russia sull’Ucraina è della massima importanza, ed ecco perché è tanto delicata e pericolosa.

Stati Uniti! Piromani in azione_con Gianfranco Campa

L’epilogo del contenzioso, qualunque esso sia, sancirà formalmente l’ingresso nella fase multipolare. Putin ha posto agli Stati Uniti due questioni in una: il limite di avvicinamento del dispositivo militare offensivo della NATO al confine russo; il riconoscimento, per meglio dire, la presa d’atto della Russia come stato sovrano indipendente con cui trattare con pari dignità. Ha posto esplicitamente i termini di un accordo al leader degli Stati Uniti, non a quello ucraino e nemmeno ai governanti europei, suoi vicini di casa. Non ha nemmeno risposto alle profferte ucraine. Sardonicamente ha offerto asilo all’ex presidente ucraino Poroshenko, evidentemente in disgrazia e a rischio della vita nella democratica Ucraina, perdonandolo dei suoi “errori”. E’ probabile che la sua magnanimità si estenda ad Artem Sytnyk, direttore dell’Ufficio Nazionale Ucraino dell’Anticorruzione, complice del tentativo di coinvolgimento di Trump in un gioco di finanziamenti ed affari americani in Ucraina e insabbiatore del ruolo di Hunter, rampollo di Biden, e di alcuni diplomatici statunitensi tornati in auge con l’insediamento della nuova amministrazione alla Casa Bianca, in corposi traffici similari; prossimo evidentemente a cadere in disgrazia con tutte le implicazioni possibili in quel paese. https://twitter.com/realsaavedra/stat… . La conversazione continua ad offrire analisi ed informazioni partendo da un punto di vista negletto da quasi tutto il sistema di informazione europeo e italiano in particolare: quello dello scontro di potere interno ai centri decisori e politici americani all’interno del quale sono sussunte e spesso forzate le scelte di politica estera. La geopolitica definisce il sistema di relazione tra i paesi; la cultura, la storia dei popoli e delle loro élites tracciano le onde lunghe e la ricorrenza della storia. Sono però i conflitti, le rivalità contingenti e quotidiane, i “capricci” e i colpi bassi dei soggetti politici e dei centri decisori a determinare la variabilità e la rottura più o meno temporanea di questi perimetri. La classe dirigente statunitense è aggrappata ad ambizioni di egemonia globale; i suoi passi sembrano il viatico migliore, per quanto involontario, al multipolarismo nella sua forma più conflittuale ed imprevedibile. Lo scontro politico in corso da anni negli Stati Uniti, ivi comprese le carte bollate  

https://www.justice.gov/sco/press-release/file/1433511/download sarà un interessante caso di studio affidato ai posteri. Sempre che ci sia un futuro.  Per concludere, una chiosa ai tanti sostenitori acritici della indipendenza dell’Ucraina. Un paese ha certamente tutto il diritto di scegliere la propria strada. Se decide però di affidarsi ad una classe dirigente, in gran parte aliena, piombata all’occasione nel proprio paese; se fonda la propria ragione di esistere sulla ostilità aperta e dichiarata verso la Russia e sorda verso i momentanei alleati, vicini di casa; se costruisce la propria identità sull’ostilità nei confronti di una buona metà della propria popolazione non può pretendere la benevolenza del vicinato. Rischia di essere lo strumento e la vittima stupida di scelte estranee. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

 

https://rumble.com/vuxqio-piromani-in-azione-negli-usa-con-g-campa.html

 

 

I nodi al pettine, di Roberto Buffagni

Crisi ucraina. È arrivato al pettine il nodo dell’espansione NATO verso Est.
È stato un errore strategico di prima grandezza che George Kennan, l’architetto della politica di contenimento dell’URSS nel secondo dopoguerra, definì “the most fateful error of American policy in the entire post-Cold War era.” La Russia potrebbe accettare la presenza di un’alleanza militare a guida USA ai propri confini solo se fosse una colonia americana, guidata da un governo fantoccio, e/o si disgregasse in entità politiche troppo deboli per opporsi alla volontà degli USA (è il caso dell’Europa dopo la IIGM). Ve ne fu la possibilità nel 1991, con l’implosione dell’URSS; ma dopo un periodo di terribile sfacelo, la Russia ha ritrovato una direzione politica capace di difendere la sovranità nazionale.
La situazione è molto semplice. Nel 1832, gli Stati Uniti pubblicano la Dottrina Monroe: il Nord e il Sud del continente americano non sono più aperti alla colonizzazione. Nessun paese del continente americano può stringere alleanze militari con potenze straniere. La dottrina Monroe formalizza una regolarità strategica. Ogni potenza deve, per sopravvivere e conservare la propria autonomia, avere una zona d’influenza che la protegga. Chi non ha una propria zona d’influenza fa parte di una zona d’influenza altrui, e gli è subalterno (in forme diverse, dalla colonia all’alleanza).
La Russia, che è una grande potenza, per restarlo ha bisogno di una zona d’influenza, e dunque non può accettare la presenza di un’alleanza militare straniera ai propri confini. Probabilmente ha scelto questo momento per iniziare il rollback della NATO perché ritiene che a) la riforma delle sue FFAA e l’adozione di sistemi d’arma innovativi le aprano una finestra di opportunità in caso di guerra b) gli Stati Uniti siano in difficoltà (conflitti interni endemici, ripetute sconfitte militari) c) in caso di scontro diretto, gli Stati Uniti rischierebbero una guerra su due fronti, se la Cina decidesse di cogliere l’occasione per occupare Taiwan; o addirittura su tre fronti, se anche l’Iran ne approfittasse.
L’errore strategico dell’espansione a Est della NATO forma una coppia infernale con l’altro errore strategico di prima grandezza commesso dagli USA, stavolta rispetto alla Cina.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti non avevano più alcun interesse a conservare l’alleanza con la Cina, che il presidente Nixon aveva opportunamente costruito in funzione antisovietica. Gli USA, invece, hanno infittito i rapporti economici e politici con la Cina, e addirittura hanno delocalizzato colà importanti settori della loro manifattura, alcuni dei quali direttamente collegati alla sicurezza nazionale; così aiutando fattivamente la Cina a sviluppare potenza economica, scientifico-tecnologica, militare, e a divenire insomma una grande potenza capace di minacciare la loro egemonia nel continente asiatico. Secondo logica capitalistica questa è stata una mossa razionale (teoria dei costi comparati di Ricardo). Secondo logica geopolitica è stata una follia suicida.
La ratio della politica americana verso la Cina nei decenni seguenti l’implosione dell’URSS è conforme all’ideologia liberal-progressista. I dirigenti americani si sono raccontati che se la Cina fosse divenuta un paese ricco, si sarebbe trasformata in una democrazia liberal-capitalistica; e siccome le democrazie liberal-capitalistiche non fanno la guerra ma il pacifico commercio, la Cina sarebbe divenuta un utile e simpatico partner nel mondo a guida americana.
In questa favola che i dirigenti americani si sono raccontati per addormentarsi meglio, e per incassare, da svegli, montagne di dollari, ci sono due elementi tolti di peso dal genere fantasy: 1) che quando un paese diventa ricco si trasforma automaticamente in una democrazia liberal-capitalistica, come se la tradizione culturale dei popoli contasse zero 2) che le democrazie liberal-capitalistiche non facciano la guerra ma il pacifico commercio (basta leggere un manuale di storia degli Stati Uniti per capire che non è vero).
Oggi, gli Stati Uniti si sono resi conto che la Cina è il loro principale avversario. La mossa obbligata sarebbe dunque dividere Russia e Cina, stabilendo buoni rapporti con la Russia: il che implicherebbe anzitutto il rollback della NATO. Però, da un canto gli USA temono di perdere, così, l’egemonia sull’Europa, e che si realizzi l’incubo di Mackinder (coesione tra Germania e Russia, dominio sull’Heartland). Dall’altro, temono che un avvicinamento alla Russia sia inteso dai cinesi come un segno di debolezza, e li spinga a occupare Taiwan. Per di più, gli Stati Uniti dovrebbero smentire tutta l’ideologia liberal-capitalistica che da trent’anni è la base della loro propaganda: e a quanto pare, a questa ideologia liberal-capitalistica credono sul serio anche i dirigenti americani.
Non è la prima volta che una persuasione ideologica in diretta contraddizione con le realtà geopolitiche provoca una sconfitta strategica. Ad esempio, la sincera fede cattolica di Filippo II gli impedì di accettare ogni proposta di un minimo di tolleranza religiosa nelle Fiandre, così alimentando una guerra infinita che impaludò gli eserciti e prosciugò le risorse imperiali, provocò indirettamente la sconfitta spagnola nel conflitto con l’Inghilterra, inaugurò la fine dell’egemonia spagnola in Europa (vittoria francese a Rocroi) e nel mondo (Inghilterra e Paesi Bassi iniziano a dominare gli oceani).
In teoria, l’Europa avrebbe tutto l’interesse a stare alla finestra, profittando dei conflitti in corso e della crisi dell’egemonia americana. Ma l’Europa fa parte della zona d’influenza americana, e non ha alcuna autonomia strategica. Quindi, i vari Stati europei chiacchierano a vanvera, e vengono ascoltati dalle potenze in conflitto per pura cortesia diplomatica. Gli europei poi, e in particolare gli italiani, commentando questa crisi ucraina danno prova di una tragicomica confusione mentale. Probabilmente, gli sviluppi di questa crisi, con la possibile, anzi probabile catena di reazioni e controreazioni tra USA e Russia che provocherà, faranno gradualmente chiarezza. La lezione ci costerà molto cara.
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