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Il motivo per cui questo rapporto è sembrato urgentemente tempestivo è dovuto a tutte le escalation in corso che circondano l’Ucraina, che sono chiaramente mirate dal regime di Zelensky ad aumentare le tensioni il più possibile e preferibilmente ad alimentare un conflitto molto più ampio che potrebbe dare sollievo alle sue forze. Quindi, alla luce di queste recenti azioni, i seguenti rapporti hanno assunto una tinta particolarmente significativa.
Per dare il via alle danze, subito dopo le tensioni legate all’invasione crescente dell’Ucraina a Kursk e alle conseguenti minacce nucleari contro lo ZNPP e il KNPP, il Financial Times ha deciso di rivelare la storia di come la Russia si sia segretamente addestrata a condurre vasti e paralizzanti attacchi nucleari tattici contro le infrastrutture europee, presumibilmente in base alla prima mossa:
Ma prima di tutto, bisogna superare lo schermo iniziale del sensazionalismo clickbait che solitamente offusca la comprensione sfumata dei fatti di tali resoconti.
Il FT ammette che il “nascondiglio segreto di documenti” da loro esaminato riguarda i piani elaborati dalla Russia nel lontano periodo 2008-2014 e che è ovviamente tirato fuori ora per motivi di tensione:
La cache è composta da 29 file segreti militari russi, redatti tra il 2008 e il 2014, tra cui scenari per wargame e presentazioni per ufficiali della marina, in cui vengono discussi i principi operativi per l’uso di armi nucleari.
Tuttavia, bisogna dire che la preoccupazione non è del tutto infondata, dato che solo il mese scorso Putin aveva innescato rare esercitazioni specifiche delle forze nucleari tattiche russe , che includevano l’armamento e il lancio simulato di speciali missili Iskander-M a testata nucleare, tra gli altri. L’articolo lo riconosce:
Ciò significa che è plausibile che le recenti esercitazioni della Russia avrebbero potuto in effetti essere conformi alle procedure e alle dottrine delineate nei documenti menzionati. Si noti che l’argomento della guerra nucleare, dello scambio nucleare, ecc., è diventato piuttosto sorpassato in questi giorni, ma questo solo in riferimento al classico “scambio” nucleare strategico ICBM con gli Stati Uniti. L’argomento in questione qui è completamente diverso e molto raramente studiato o discusso: un tipo di guerra nucleare di minore intensità condotta principalmente tramite armi nucleari tattiche, che in questo caso si estendono a missili a raggio intermedio del tipo che possono raggiungere tutto il Regno Unito, poiché si diceva che i cantieri navali di Farrow-in-Burness e Hull facessero parte dell’elenco degli obiettivi:
Analizzando la descrizione del rapporto contenuta nell’articolo del FT, emergono alcuni fatti illuminanti e poco noti che vale la pena approfondire.
In primo luogo, affermano che la Russia mantiene la capacità di trasportare armi nucleari su navi di superficie per sferrare attacchi preventivi sui nemici da diverse direzioni inaspettate:
La presentazione indica inoltre che la Russia ha mantenuto la capacità di trasportare armi nucleari su navi di superficie, una capacità che, secondo gli esperti, comporta notevoli rischi aggiuntivi di escalation o incidenti.
Il documento sottolinea che “l’elevata manovrabilità” della marina le consente di condurre “colpi improvvisi e preventivi” e “massicci attacchi missilistici… da varie direzioni”. Aggiunge che le armi nucleari sono “di norma” designate per essere utilizzate “in combinazione con altri mezzi di distruzione” per raggiungere gli obiettivi della Russia.
I documenti trapelati indicano anche che la Russia ha mantenuto la capacità di trasportare armi nucleari tattiche su navi di superficie, nonostante l’accordo del 1991 tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti per rimuoverle.
Tra i vettori russi di armi nucleari tattiche, sono elencati “missili antisommergibile con testate nucleari installati su navi di superficie e sottomarini” e “missili antiaerei guidati da navi e da terra con testate nucleari per sconfiggere i gruppi di difesa aerea nemici”.
Dato che questo probabilmente si riferisce a missili come l’Oniks P-800, il Kalibr e l’ipersonico Zircon, tutti dotati di varianti nucleari. Ogni flotta russa ha un elenco dei propri obiettivi designati per l’attacco nucleare: la Flotta del Nord colpirebbe obiettivi industriali della difesa nel Regno Unito, mentre la Flotta del Baltico colpirebbe Norvegia e Germania.
Ma William Alberque, un ex funzionario della Nato ora allo Stimson Center, ha affermato che il campione era una piccola parte di “centinaia, se non migliaia, di obiettivi mappati in tutta Europa… compresi obiettivi militari e infrastrutturali critici”.
La capacità della Russia di colpire in tutta Europa implica che obiettivi in tutto il continente sarebbero a rischio non appena il suo esercito si scontrasse con le forze della NATO in paesi in prima linea come gli Stati baltici e la Polonia, hanno affermato analisti ed ex funzionari.
Il primo dettaglio davvero illuminante è l’affermazione che questi documenti segreti interni russi includono piani per un potenziale attacco nucleare “dimostrativo”, se le cose dovessero davvero iniziare a degenerare:
La presentazione fa anche riferimento all’opzione di un cosiddetto attacco dimostrativo, ovvero far esplodere un’arma nucleare in un’area remota “in un periodo di minaccia immediata di aggressione” prima di un conflitto effettivo per spaventare i paesi occidentali. La Russia non ha mai riconosciuto che tali attacchi siano nella sua dottrina.
Un attacco del genere, si legge nei documenti, dimostrerebbe “la disponibilità e la prontezza all’uso di armi nucleari di precisione non strategiche” e “l’intenzione di usare armi nucleari”.
Per chiarire: abbiamo spesso parlato della Russia che fa un test nucleare dimostrativo per attirare l’attenzione della NATO sul conflitto ucraino. Questa è una cosa completamente diversa. Un test nucleare sarebbe qualcosa eseguito da scienziati a fini di misurazione, condotto in modo sicuro e controllato, con un dispositivo nucleare solitamente fatto detonare in modalità stazionaria da qualche parte sul suolo o nelle vicinanze.
Ecco perché è particolarmente illuminante , perché è qualcosa di molto più aggressivo e minaccioso. Comporterebbe che la Russia non organizzi un test, ma che spari effettivamente una vera e propria bomba nucleare tattica da uno dei suoi numerosi sistemi in un’area remota. Il semplice riconoscimento che la Russia abbia persino predisposto tali contingenze è abbastanza sorprendente e getta chiaramente un’ombra pesante sul conflitto ucraino in escalation, dove il coinvolgimento della NATO continua a sfuggire di mano ogni giorno di più.
L’articolo afferma che la NATO ammette di avere meno del 5% delle capacità di difesa aerea necessarie anche solo per prendere in considerazione l’idea di fermare un simile attacco russo:
Secondo i calcoli della NATO, i paesi dell’alleanza dispongono di meno del 5 per cento delle capacità di difesa aerea necessarie a proteggere il fianco orientale dell’alleanza da un attacco su vasta scala da parte della Russia.
Putin ha dichiarato a giugno che l’Europa sarebbe stata “più o meno indifesa” contro gli attacchi missilistici russi.
Questo è un punto importante da sottolineare perché alle persone piace sottolineare come la Russia venga smilitarizzata dalla NATO in Ucraina, ma dimenticano di includere la grave smilitarizzazione dei principali sistemi dei paesi NATO che avviene sul lato ucraino. Ciò riguarda in particolare la difesa aerea perché tali sistemi non solo non sono molto numerosi in Europa, ma non sono nemmeno prodotti in grandi quantità; e sono proprio i sistemi essenziali per smorzare anche solo una frazione di un potenziale attacco russo.
Include la rivelazione che la Russia nasconde segretamente soglie molto più basse per l’uso di armi nucleari tattiche di quanto “sia mai stato pubblicamente ammesso”:
Questi includono:
I criteri per una potenziale risposta nucleare spaziano da un’incursione nemica nel territorio russo a fattori scatenanti più specifici, come la distruzione del 20 percento dei sottomarini missilistici balistici strategici russi.
“È la prima volta che vediamo documenti come questi pubblicati nel pubblico dominio”, ha affermato Alexander Gabuev, direttore del Carnegie Russia Eurasia Center di Berlino. ” Dimostrano che la soglia operativa per l’uso di armi nucleari è piuttosto bassa se il risultato desiderato non può essere ottenuto con mezzi convenzionali”.
Un’incursione nemica in territorio russo, che non rappresenta necessariamente una “minaccia esistenziale” alla sovranità dello Stato, come abbiamo creduto in precedenza? Si può rapidamente capire perché questo sia più rilevante che mai, data la recente incursione ucraina di Kursk.
Attualmente la Russia possiede 12 sottomarini dotati di missili balistici, quindi la soglia di distruzione del 20% sopra indicata equivarrebbe alla distruzione di appena 2 di essi.
Il segmento più rilevante per l’attuale operazione in Ucraina è il seguente:
Una presentazione di formazione separata per gli ufficiali della marina… delinea criteri più ampi per un potenziale attacco nucleare, tra cui uno sbarco nemico sul territorio russo, la sconfitta delle unità responsabili della sicurezza delle aree di confine o un imminente attacco nemico con armi convenzionali.
Le diapositive riassumono la soglia come una combinazione di fattori in base alla quale le perdite subite dalle forze russe “porterebbero irrevocabilmente al fallimento nel fermare una grave aggressione nemica”, una “situazione critica per la sicurezza dello Stato russo”.
In breve, sembra suggerire che se una forza d’invasione violasse la linea iniziale di difesa al confine della Russia e sembrasse minacciare la Russia di una maggiore espansione al suo interno, ciò potrebbe innescare un potenziale uso tattico di armi nucleari.
Questo è esattamente ciò che sta accadendo a Kursk in questo momento: l’Ucraina ha già violato le guarnigioni di confine e continua ad accumulare altre riserve di sfondamento per andare ancora più in profondità. Il fatto più degno di nota non è solo che l’Ucraina cerca potenzialmente di catturare una centrale nucleare a Kurchatov per portare avanti un ricatto nucleare contro la Russia, ma ci sono stati accenni ad altri obiettivi nascosti, come la cattura del sito di stoccaggio nucleare russo a 50.558061, 35.754448, chiamato Belgorod-22, anche se si sostiene che la Russia abbia rimosso da tempo le armi nucleari lì immagazzinate.
Inoltre, dobbiamo tenere conto del fatto che l’Ucraina ha già colpito siti strategici russi, non solo colpendo bombardieri strategici negli aeroporti, ma anche la rete radar di difesa missilistica strategica diversi mesi fa. Per non parlare del recente attacco alla base aerea di Morozovsk nella regione di Rostov situata a 48.317297522288435, 41.78966336425716. Si diceva che questa base aerea fosse un sito ufficiale di stoccaggio di armi nucleari. Di seguito è delineata in rosso la sezione della base per lo stoccaggio di armi nucleari:
E l’oggetto quadrato alla sua destra, pieno di munizioni e depositi di carburante, è stato completamente distrutto da un attacco ucraino solo un paio di settimane fa, all’inizio di agosto:
Certo, si vocifera ancora una volta che la Russia abbia già rimosso le armi nucleari da lì. Ma il fatto che l’Ucraina stia sfacciatamente colpendo noti siti di deterrenza nucleare russi mentre ora soddisfa una delle altre condizioni chiave, secondo il rapporto, della difesa nucleare tattica della Russia, sfondando le regioni di confine della Russia a Kursk, queste cose combinate dovrebbero farci riflettere e costringerci a chiederci quanto i funzionari della difesa russa potrebbero essere vicini a discutere segretamente di una qualche misura di ritorsione nucleare.
Dato che, come affermato in precedenza, Putin ha già avviato esercitazioni nucleari tattiche, non possiamo che supporre che ci sia almeno una qualche forma di cambiamento di livello Defcon nel Ministero della Difesa.
Solo per la cronaca, questa era la precedente “linea rossa” americana ufficialmente data alla Russia: se la Russia avesse mai utilizzato un dispositivo nucleare in Ucraina, la NATO avrebbe distrutto l’intera flotta del Mar Nero e ogni oggetto di importanza all’interno della sfera SMO tramite un massiccio attacco shock and awe:
Una mossa del genere non ha alcun senso politico per Putin, che si ritiene sia stato frenato dai suoi alleati cinesi. Hanno chiarito che il loro sostegno dipende dal non dispiegamento di armi nucleari. Ma la Russia è stata anche avvertita di una massiccia risposta convenzionale guidata dagli Stati Uniti se dovesse passare al nucleare. Nell’ottobre 2022 il generale David Petraeus, ex direttore della CIA, che comandava le forze statunitensi in Afghanistan, ha lanciato un avvertimento pubblico a Putin. Ha affermato: “Risponderemmo guidando uno sforzo (collettivo) della Nato che eliminerebbe ogni forza convenzionale russa che possiamo vedere e identificare sul campo di battaglia in Ucraina e anche in Crimea e ogni nave nel Mar Nero”.
Solo due giorni fa, Lukashenko ha dichiarato in un’intervista che l’Ucraina sta cercando di convincere la Russia a usare armi nucleari tattiche contro di essa:
“L’Ucraina sarebbe molto felice se la Russia usasse armi nucleari tattiche contro di essa. Sarebbe una benedizione [per l’Ucraina].”
A proposito, per coloro che si chiedono quanto siano potenti queste armi nucleari tattiche, ecco due informazioni ufficiali:
Per colpire una brigata “moderatamente concentrata” di 5.000 soldati sarebbero necessarie “cinque o sei” testate nucleari, ha detto la fonte, una strategia inefficace. (fonte https://archive.ph/zNwR5 )
L’ex Segretario alla Difesa degli Stati Uniti Dick Cheney ha affermato che per distruggere una divisione della Guardia Repubblicana dell’Iraq, secondo i suoi calcoli, erano necessarie 17 cariche nucleari tattiche (testate). Ciò corrisponde approssimativamente al numero di 3-4 brigate delle Forze Armate dell’Ucraina.
Gli esperti di difesa della rivista britannica Times hanno affermato che per una singola brigata sono necessarie cinque o sei armi nucleari tattiche, mentre Cheney ha affermato una proporzione simile: per distruggere 3-4 brigate servono 17 armi nucleari tattiche:
Budanov ha affermato in precedenza che le armi nucleari tattiche sul campo di battaglia sarebbero per lo più inutili perché le forze dell’AFU sono così disperse che le armi nucleari difficilmente causerebbero molte vittime, e questo è vero. In breve: c’è molto di più da perdere che da guadagnare per la Russia nell’usare le armi nucleari tattiche sul campo di battaglia, a parte forse una dimostrazione. Le armi nucleari intermedie contro le basi NATO, d’altro canto, sono una storia diversa. Ciò avrebbe certamente un effetto ma potrebbe ovviamente innescare uno scambio nucleare strategico completo , e quindi l’Armageddon stesso.
Bisogna ammettere che, soprattutto data la gestione non proprio ideale della situazione di confine da parte della Russia, c’è una certa possibilità non nulla che l’Ucraina possa tirare fuori altri “trucchi” per sfondare e compromettere gran parte delle regioni di Kursk e Belgorod. Una cosa del genere potrebbe generare una crisi in cui i funzionari russi potrebbero dover seriamente considerare l’opzione nucleare? Dopo tutto, c’è già molta più retorica veemente che esce dal paese di prima; per esempio, questo ultimo discorso di Medvedev pieno di fuoco e fiamme:
Per coloro che potrebbero giustamente essere confusi sul perché questi documenti sembrano consentire l’uso del nucleare russo, quando la famigerata dottrina nucleare russa lo proibisce espressamente, salvo minacce esistenziali, l’articolo spiega:
Jack Watling, ricercatore senior per la guerra terrestre presso il Royal United Services Institute, ha affermato che i materiali sono finalizzati all’addestramento delle unità russe per situazioni in cui il Paese potrebbe voler utilizzare armi nucleari, piuttosto che a stabilire un regolamento per il loro utilizzo.
“A questo livello, il requisito è che le unità mantengano, nel corso di un conflitto, l’opzione credibile per i decisori politici di impiegare armi nucleari”, ha aggiunto Watling. “Questa sarebbe una decisione politica”.
In breve, l’obiettivo è consentire alle truppe russe di addestrarsi per la possibilità che in futuro la soglia nucleare venga abbassata, in modo che, se mai dovesse accadere, siano pronte con tutte le procedure.
Un’altra interessante ultima parte che ci introduce alla sezione successiva:
Con questa strategia, un’arma tattica potrebbe essere usata per cercare di impedire alla Russia di essere coinvolta in una guerra dilagante, in particolare una in cui gli Stati Uniti potrebbero intervenire. Usando quello che chiama “induzione alla paura”, Mosca cercherebbe di porre fine al conflitto alle sue condizioni, scioccando l’avversario del paese con l’uso precoce di una piccola arma nucleare, o assicurando un accordo attraverso la minaccia di farlo.
Minacce di una guerra più ampia
Ciò ci porta alla questione dell’escalation NATO-USA, che sappiamo essere usata come una lenta morsa per aumentare la pressione sulla Russia. Ne ho scritto di recente, ma ci sono alcuni aggiornamenti che seguono lo schema generale, ovvero i cagnolini periferici della NATO telegrafano le proprie intenzioni dando prima la colpa di qualche provocazione imminente alla Russia:
Come potete vedere sopra, il ministro della Difesa lituano ha appena rilasciato parole minacciose, lasciando di fatto intendere che la Kaliningrad russa è ormai indifesa, il che la renderebbe pronta per essere conquistata dalle forze della NATO.
E proprio al momento giusto, ci sono state all’improvviso una serie di azioni provocatorie. La scorsa settimana un’ala aerea polacca ha praticato un raid su Kaliningrad, che è stato ripreso dai radar russi. Il blogger dell’aeronautica FighterBomber lo ha descritto con le foto appropriate:
L’aeronautica militare polacca ha effettuato un raid con gli F-16 nella regione di Kaliningrad
Il blogger Fighterbomber ha riferito che i radar russi avevano individuato uno stormo di caccia polacchi (frecce gialle sulla mappa), che si erano allineati sei volte per un attacco di addestramento sul territorio russo.
Nel loro ultimo avvicinamento, si sono schierati a soli 40 chilometri dal confine di Stato, una distanza già sufficiente per l’impiego di armi ad alta precisione.
Come potete vedere sopra, ci sono almeno sette linee gialle che presumibilmente rappresentano degli F-16, con altre tre più a sud, che volano appena sopra la città polacca di Olsztyn, che si troverebbe più o meno qui:
Ora c’è un’inondazione di provocazioni destinate ad aumentare le tensioni lungo tutto il vasto confine russo. Ho pubblicato l’aggiornamento sulla Transnistria l’ultima volta, di nuovo qui:
Chisinau vuole “restituire” la Transnistria con l’aiuto delle Forze Armate ucraine.
La liberazione della regione di Odessa si avvicina…
Ora, solo un giorno dopo, il tedesco Schulz visita la Moldavia e pubblica questo tweet provocatorio, trasmettendo nuovamente le tensioni alla Russia:
Non è una coincidenza: si chiama azione coordinata e orchestrata.
Per non parlare del fatto che la Germania sta ora cercando di costruire uno stabilimento Rheinmetall in Romania.
Rheinmetall nella città rumena di Victoria, insieme alla campagna militare-industriale Pirochim Victoria SA, ha iniziato la costruzione di una fabbrica di proiettili. Tutto ciò fa parte di un programma per aumentare la produzione di munizioni per cannoni da 155 mm, fino a 1 milione di unità entro il 2027.
E oltretutto la Romania stessa punta a costruire la più grande base NATO d’Europa:
La NATO si sta preparando attivamente per una guerra con la Russia? Una piccola guerra nucleare in Europa, è questo che vuoi?
Romaniasta convertendo un aeroporto dell’era sovietica nella più grande base militare della NATO, — The Times
La pubblicazione afferma che la base aerea di Mihai Kogelniceanu sarà grande il doppio della base tedesca di Ramstein e diventerà la più grande base NATO in Europa.
“La trasformazione di Mihai Kogelniceanu in una fortezza NATO in grado di ospitare 10.000 soldati e bombardieri nucleari statunitensi era stata originariamente concepita come risposta agli attacchi della Russia alla Georgia nel 2008 e alla Crimea nel 2014, ma il progetto ha assunto un’importanza ancora maggiore dopo l’invasione su vasta scala dell’Ucraina nel 2022″, riporta il Times.
Ora, il quotidiano tedesco Die Welt riporta che, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, il comando tedesco aveva avviato una vasta e segreta iniziativa di difesa di 1000 pagine per preparare la Germania alla guerra:
Il piano ruota attorno all’idea che la Russia sarà in grado di attaccare la NATO in circa cinque anni. In breve: la Germania si sta preparando alla guerra contro la Russia, con ciascuno dei 16 distretti federali suddivisi per compiti a tale scopo, nel vecchio e meticoloso stile organizzativo tedesco.
Supponiamo che la Russia potrebbe testare la NATO con mezzi convenzionali tra circa cinque anni. La Russia sta comunque portando avanti attacchi informatici, disinformazione e sabotaggi contro la NATO come parte della fase di guerra “ibrida” da diversi anni.
Ciò riflette il recente calendario dell’establishment britannico:
Sky News ha pubblicato una dichiarazione del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito britannico, il generale Raleigh Walker. Ha detto che la Gran Bretagna e i suoi alleati dovrebbero essere pronti per la guerra tra tre anni. La minaccia è rappresentata da Cina, Iran e, naturalmente, Russia. Naturalmente, la Russia attaccherà tutti, la Cina combatterà per Taiwan nel 2027 e l’Iran è semplicemente pericoloso.
Allo stesso tempo, i paesi della NATO stanno preparando logistica e magazzini più vicini ai confini della Russia, ed è già stato elaborato un piano per entrare in guerra a fianco dell’Ucraina con un’invasione pianificata del nostro territorio.
Se leggete l’articolo del Welt, noterete che verte principalmente sulle fasi di pianificazione molto pratiche per trasformare la Germania in un polo logistico per le forze NATO, con la capacità ottimizzata di spostare rapidamente centinaia di migliaia di truppe, mezzi corazzati, materiali e vittime.
Sulla stessa lunghezza d’onda c’è la Lituania, che sta già costruendo una nuova base per ospitare le truppe tedesche:
Il ministro della Difesa lituano Raimundas Vaiksnoras ha descritto la costruzione come un “enorme investimento” che costerà oltre 1,1 miliardi di dollari. Ha detto che il dispiegamento tedesco rappresenta “una deterrenza, per spingere i russi ad andarsene”. Tuttavia, non è chiaro da dove la Lituania intenda spingere la Russia, dal momento che Mosca non ha invaso lo Stato baltico.
Almeno due dozzine di soldati tedeschi sono già di stanza in Lituania. Il dispiegamento di truppe tedesche, che dovrebbe raggiungere le 4.800 unità entro il 2027, è il primo presidio permanente di soldati di Berlino in Lituania dalla Seconda Guerra Mondiale. Dal 1941 al 1945, la Germania nazista occupò la Lituania. Sotto il controllo di Hitler, quasi l’intera popolazione ebraica della Lituania fu spazzata via.
Lo schieramento fornirà un significativo incremento militare alla Lituania, che ha solo 15.000 soldati in servizio attivo. La base si trova a soli 12 miglia dal confine con la Bielorussia. La Germania ha in programma di dispiegare oltre 100 carri armati Leopard nella base.
La cosa più preoccupante di questi recenti sviluppi è che proprio ieri il NY Times ha dato la notizia che anche gli Stati Uniti si sono uniti alla mischia delle minacce nucleari, con l’amministrazione Biden che ha annunciato nuove modifiche alla propria dottrina nucleare, per tenere conto di un potenziale confronto nucleare con Russia, Corea del Nord e Cina contemporaneamente:
In primo luogo, il cambiamento nella postura nucleare è dovuto a due fattori, come indicato sopra:
La minaccia che Russia, Cina e Corea del Nord possano in qualche modo “coordinare” le loro capacità nucleari insieme, il che squilibrerebbe notevolmente le forze nucleari degli Stati Uniti.
L’affermazione che l’arsenale nucleare cinese, in particolare, sta crescendo più velocemente che mai, con un obiettivo di 1000 testate entro il 2030 e 1500 entro il 2035, che corrisponderebbe all’incirca agli arsenali di Stati Uniti e Russia.
In riferimento al coordinamento, è interessante notare come gli Stati Uniti abbiano segnalato un crescente timore al riguardo. Ad esempio, un recente articolo del mese scorso:
Il documento racconta come una commissione del Congresso sulla Cina abbia presentato una richiesta formale alla Casa Bianca di indagare su quanto la Cina stia imparando dalla Russia, perché teme che quest’ultima possa rivelare alla Cina tutti i segreti su come fermare gli armamenti più avanzati degli Stati Uniti:
Nella loro lettera, i membri del Congresso hanno anche chiesto di indagare se le forze armate cinesi abbiano modificato le proprie tecniche di combattimento sulla base delle conoscenze acquisite dalle esperienze russe sul campo di battaglia.
Inoltre, hanno chiesto chiarezza su come la Casa Bianca intenda mantenere l’efficacia del potere militare statunitense di fronte a potenziali adattamenti da parte di Russia e Cina e ritenere la Cina responsabile del suo sostegno all’aggressione russa in Ucraina. Il Consiglio di sicurezza nazionale non ha risposto alle richieste di commento.
Questo include cose come l’inceppamento dell’HIMARS, il blocco dell’ATACMS, il bersaglio dei sistemi Patriot statunitensi, ecc. Particolarmente preoccupante è il fatto che gli Stati Uniti hanno intenzione di dare questi stessi sistemi a Taiwan per scoraggiare la Cina, che potrebbe già imparare a contrastare con successo queste armi.
Tornando all’aspetto di un confronto diretto tra Russia e NATO, c’è un altro aspetto interessante da condividere.
Attualmente, i tassi di mortalità giornalieri stimati nella LSCO superano il flusso di lavoro e sono simili a quelli osservati durante la Seconda Guerra Mondiale, con una base del 2,6%. Ciò si traduce in circa 120 decessi al giorno per ogni brigata.Data la significativa incongruenza tra il flusso di trattamento presso i MACP e il tasso di decessi previsto, il personale dell’AdG sarà immediatamente sovraccarico in LSCO.
Si tratta di documenti ufficiali di army.mil, come si può vedere dai link qui sopra. Essi affermano chiaramente che i recenti wargames hanno dimostrato che gli Stati Uniti subirebbero 21.000 perdite a settimana in una guerra su larga scala contro avversari di pari livello:
“Ci vorranno tutti per sgombrare il campo di battaglia il più velocemente possibile, quando si parla di 21.000 vittime nel combattimento di corpo d’armata”, ha detto il Magg. Gen. Michael Talley, capo del Centro medico di eccellenza dell’esercito. “Questa è la realtà. Come si fa ad andare avanti? Come sostenere lo slancio?”.
L’attuale esercito americano sarebbe davvero in grado di gestire tali livelli di perdite? Decidete voi:
Riarmo nucleare
Gli Stati Uniti hanno cercato di riarmare il proprio arsenale nucleare per prepararsi alla già citata espansione nucleare cinese.
Gli Stati Uniti hanno lanciato un massiccio programma da 1.500 miliardi di dollari per la costruzione di nuove centrali nucleari e la revisione dell’arsenale nucleare ormai obsoleto.
Eravamo lì mentre il laboratorio e il più ampio complesso della National Nuclear Security Administration stavano intraprendendo un’offensiva di fascino per sostenere il nuovo lavoro sul plutonio. Devono conquistare il pubblico che paga le tasse e reclutare circa 2.500 nuovi dipendenti per il lavoro.
L’articolo di Scientific American descrive l’aumento della produzione di 30 “noccioli” di plutonio all’anno presso il laboratorio di Los Alamos, nel suo complesso più sicuro e segreto chiamato Tech Area 55.
Il problema è che, da quando è iniziata l’era della crisi di competenza, Los Alamos è stata assolutamente afflitta da gravi problemi, al punto che il suo laboratorio nucleare è stato chiuso per molto tempo:
Gli articoli citati risalgono a diversi anni fa, ma il problema è rimasto, con titoli recenti che riportano livelli molto elevati di contaminazione radioattiva nelle vicinanze del laboratorio:
È possibile vedere un’intera presentazione di appena una settimana fa, con letture effettuate nei dintorni di Santa Fe vicino al laboratorio:
C’è una lunga storia di condotta non professionale nel laboratorio che risale a due decenni fa. Ci sono stati diversi incidenti in cui lavoratori negligenti hanno maneggiato male le barre e i noccioli di plutonio, mettendoli insieme per creare incidenti quasi critici.
Poi si mise in moto una calamità di tipo diverso: Praticamente tutti gli ingegneri di Los Alamos incaricati di tenere i lavoratori al sicuro dagli incidenti di criticità hanno deciso di lasciare l’incarico, frustrati dal lavoro approssimativo dimostrato dall’evento del 2011e da quella che consideravano l’insensibilità della direzione del laboratorio nei confronti dei rischi nucleari e il suo desiderio di mettere i propri profitti al di sopra della sicurezza.
Quando questo esodo è stato a sua volta notato a Washington, i funzionari hanno concluso che il laboratorio gestito privatamente non proteggeva adeguatamente i suoi lavoratori da un disastro radioattivo. Nel 2013, hanno lavorato con il direttore del laboratorio per chiudere le operazioni di manipolazione del plutonio in modo che la forza lavoro potesse essere riqualificata per soddisfare i moderni standard di sicurezza. –Fonte
Gli sforzi per “riqualificare” il personale non hanno avuto successo:
Questi sforzi non hanno mai avuto pieno successo, tuttavia, e così ciò che era stato previsto come una breve interruzione del lavoro si è trasformato in una chiusura di quasi quattro anni di porzioni dell’enorme edificio del laboratorio dove si trova il lavoro sul plutonio, conosciuto come PF-4.
Il problema è di tipo culturale: quando la DEI e altre pratiche si insinuano lentamente in tutte le istituzioni del Paese, come è successo con la Boeing, si genera una sorta di marciume istituzionale incurabile che toglie le fondamenta storiche e generazionali da sotto queste imprese, da cui non possono assolutamente riprendersi. Questo è ciò che è già successo con la NASA, per esempio, e il motivo per cui non possono tornare sulla luna anche se ci provano.
In privato i funzionari affermano che la chiusura ha a sua volta minato la capacità della nazione di fabbricare i nuclei di nuove armi nucleari e ha ostacolato gli esami scientifici chiave delle armi esistenti per garantire che funzionino ancora.Il costo esatto per i contribuenti dell’inattività della struttura non è chiaro, ma un rapporto interno di Los Alamos ha stimato nel 2013 che la chiusura del laboratorio in cui si svolgono tali lavori costa al governo fino a 1,36 milioni di dollari al giorno in termini di perdita di produttività.
Sembra un incubo:
Le foto improvvisate dai tecnici, ha concluso in seguito un rapporto interno del Dipartimento dell’Energia, hanno rivelato che il personale era diventato “de-sensibilizzato” al rischio di un grave incidente. Altri rapporti hanno descritto politiche di sicurezza sul posto di lavoro inconsistenti che hanno ripetutamente lasciato i lavoratori disinformati sulle procedure corrette e hanno lasciato il plutonio impacchettato centinaia di volte in spazi pericolosamente vicini o senza un’adeguata schermatura per prevenire un incidente grave.
L’unico impianto di produzione di testate nucleari degli Stati Uniti è stato paralizzato per quattro anni a causa della natura assolutamente non professionale della sua condotta.
Ma soprattutto a causa delle carenze di sicurezza del laboratorio di Los Alamos, non produce un nucleo utilizzabile di una nuova testata da almeno sei anni.Nel National Defense Authorization Act del 2015 il Congresso ha stabilito che Los Alamos deve essere in grado di produrre fino a 20 nuclei pronti per la guerra all’anno entro il 2025, 30 l’anno successivo e 80 entro il 2027. Wolf ha detto che l’agenzia rimane impegnata a raggiungere questo obiettivo, ma altri funzionari governativi affermano che il drammatico rallentamento del PF-4 ha messo in dubbio il rispetto di questa tabella di marcia.
La contestualizzazione di cui sopra è importante per fare il punto finale. Per prepararsi al previsto scontro, gli Stati Uniti hanno in programma di espandere le loro capacità di produzione di difesa in modo grandioso e ambizioso, proprio come i piani di riarmo dell’arsenale nucleare di cui sopra.
Uno di questi piani include la nuova fabbrica di massa di droni futuristici “iper-scala” di Anduril, destinata a operare ai massimi livelli di robotica e autonomia per produrre volumi senza precedenti di droni per la guerra futura:
L’azienda americana Anduril crea un impianto iper-scala per la produzione di UAV, decine di migliaia all’anno. Gli Stati Uniti si sono resi conto della vulnerabilità del loro approccio alle armi basate su sistemi costosi e complessi. Per questo motivo, l’impianto produrrà UAV a partire dal 90% di componenti commerciali, che sono molto presenti sul mercato.La produzione è guidata dal software, flessibile e rapidamente scalabile. Si concentra sugli UAV autonomi. Di fatto, si assiste all’inizio di una guerra dei robot contro gli esseri umani. In precedenza, gli Stati Uniti hanno annunciato la produzione di centinaia di droni d’attacco al giorno per trasferirli in Ucraina.
L’altro piano più ampio, che converge con la legge CHIPS di Biden, è quello di garantire l’industria dei semiconduttori lontano dalla Cina. Ma il problema si ripresenta: gli Stati Uniti sembrano non essere più in grado di sostenere il tipo di forza lavoro necessaria per questo tipo di lavoro di precisione.
Questo articolo del NYT dell’8 agosto dettaglia come TSMC sia rimasta molto delusa dai suoi tentativi di aprire una gigantesca fabbrica in Arizona. Hanno capito che la cultura dei lavoratori americani non è semplicemente compatibile con un lavoro di così alto livello: .
Nonostante il carico di lavoro fosse meno faticoso nel sito americano rispetto a quello della TSMC a Taiwan, i dirigenti dell’azienda hanno trovato i lavoratori americani non disposti a fare il passo più lungo della gamba. Sono stati costretti a far venire più di 2.000 lavoratori da Taiwan come misura provvisoria, ma il direttore afferma che questo non è sostenibile e che per far funzionare la fabbrica sono necessari lavoratori americani capaci e a lungo termine. .
Un altro rapporto:
La carenza di lavoratori qualificati nell’industria dei semiconduttori negli Stati Uniti raggiungerà le 146.000 unità.
Secondo le proiezioni, l’industria dei semiconduttori statunitense dovrà affrontare una carenza di 146.000 lavoratori entro il 2029. L’anno scorso, la Semiconductor Industry Association (SIA) aveva stimato una carenza di 67.000 lavoratori entro il 2030, il che significa che la carenza prevista è più che raddoppiata in un solo anno.
L’aumento della domanda di semiconduttori ha spinto i principali Paesi, tra cui gli Stati Uniti, a fare enormi investimenti in capacità produttive. Tuttavia, aumenta il rischio che questi impianti non siano pienamente operativi a causa della carenza di manodopera. Un rapporto della società di consulenza McKinsey, pubblicato il 2 agosto, prevede che gli Stati Uniti avranno bisogno di altri 164.000 addetti ai semiconduttori entro il 2029. Tuttavia, si prevede che solo 18.000 nuovi lavoratori entreranno nel settore in quel periodo, il che porta a una carenza prevista di 146.000 unità entro il 2029..
La carenza di ingegneri è dovuta ai notevoli investimenti dei principali Paesi, tra cui Stati Uniti, Cina e Giappone, che si contendono il predominio nell’industria dei semiconduttori. Attualmente sono in costruzione 123 impianti di produzione di semiconduttori in tutto il mondo, 43 in Cina e 25 negli Stati Uniti. Il governo americano e il settore privato hanno in programma di investire 250 miliardi di dollari per creare 160.000 posti di lavoro. Tuttavia, McKinsey stima che anche se questo programma verrà attuato, nella migliore delle ipotesi ci sarà ancora una carenza di 59.000 lavoratori entro il 2029.
La carenza di manodopera nell’industria dei semiconduttori statunitense influirà direttamente sul volume della produzione. Indubbiamente, gli ambiziosi progetti militari statunitensi, che prevedono la futura produzione di massa di UAV con elementi di intelligenza artificiale, varie armi intelligenti e sistemi di controllo basati su nuovi principi, si sposteranno significativamente a destra in termini di implementazione. E al momento non consente di produrre i nuovi modelli esistenti nei volumi che l’industria militare si aspettava. Anche la ridistribuzione delle risorse per i semiconduttori dal settore civile a quello della difesa non ha prospettive, anche se prendiamo i principali produttori di armi statunitensi come Lockheed Martin, Boeing, Northrop Grumann, Raytheon – il loro volume in aggregato e la loro importanza per l’economia sono decine e centinaia di volte inferiori a singoli attori del mercato come Amazon, Apple o Nvidia.
Questo si estende a tutto ciò che gli Stati Uniti tentano di fare per contrastare l’ascesa di Russia e Cina. Ascoltate qui sotto Eric Schmidt che spiega quanto siano diventate vane le strategie di dominio dell’America:
Clip estremamente eloquente di come gli Stati Uniti vedono i loro “alleati”, che sono sicuro andrà a genio agli olandesi… Questo è Eric Schmidt (ex CEO di Google e attualmente membro di un comitato consultivo del Dipartimento della Difesa) che si congratula con Alan F. Estevez (sottosegretario statunitense all’Industria e alla Sicurezza), dicendogli che “la genialità della vostra strategia [di vietare l’esportazione di semiconduttori in Cina] è che avete trovato un monopolio che esiste in un’unica azienda al mondo su cui avevamo il controllo, che è ASML”.
Correlato:
Schmidt ha ricordato come la dipendenza degli Stati Uniti dalla Cina non faccia che aumentare, anziché diminuire. Ora la Cina ha annunciato restrizioni all’esportazione di antimonio, un metallo fondamentale per le industrie della difesa, su cui la Cina ha una presa globale:
Questo per dire che, dati i vari problemi economici degli Stati Uniti e il deterioramento delle questioni culturali, è difficile immaginare che gli Stati Uniti saranno in grado di raggiungere uno qualsiasi dei loro obiettivi, che si tratti di ringiovanire il loro arsenale nucleare o di combattere la guerra su tre fronti che ora immaginano incombente. In un certo senso, questo rende ancora più probabile un confronto nucleare nel futuro a medio termine, perché l’establishment statunitense alla fine sarà costretto a riconoscere le disastrose prospettive del Paese, e gli resterà poca scelta se non quella di provare e alimentare un conflitto globale che, economicamente e tecnologicamente, faccia arretrare il più possibile i suoi principali avversari – Russia e Cina. .
Il barattolo delle mance rimane un anacronismo, un arcaico e spudorato pezzo di doppietta, per coloro che non possono fare a meno di elargire i loro umili autori preferiti.
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Geopolitika è una rivista norvegese di chiaro stampo atlantista_Giuseppe Germinario
Volontà di potenza, ideologia politica, posizionamento globale : come si sta posizionando la Cina nel nuovo grande gioco ? Intervista a Sari Ahro Havrén
In che modo la sua formazione di storico ha influenzato la sua interpretazione della strategia a lungo termine della Cina per posizionarsi nella competizione tra grandi potenze, in particolare nel suo contesto storico e culturale .
L’approccio dell’attuale regime cinese, in particolare sotto la guida di Xi Jinping e dei suoi insegnamenti ideologici, è profondamente radicato nella narrazione storica del Paese. Uno dei concetti chiave è quello di Tianxia, o “tutto sotto il cielo “, che Xi reinterpreta per promuovere la visione di un destino comune per l’umanità. Questa visione, non nuova negli annali della retorica del Partito Comunista, è stata rinvigorita da Xi in una prospettiva chiaramente sinocentrica, volta a promuovere un ordine mondiale incentrato sulla Cina.
Il termine Tianxia, le cui origini risalgono ai tempi della Cina imperiale e a cui Xi fa spesso riferimento, sottolinea l’idea di una “Cina prima di tutto”. Il termine Tianxia, le cui origini risalgono ai tempi della Cina imperiale e a cui Xi fa spesso riferimento, sottolinea l’idea di una “Cina prima di tutto” e segnala uno sforzo ambizioso per recuperare la gloria passata della Cina, aggirando deliberatamente il “secolo dell’umiliazione”, che rimane un punto dolente per il Partito Comunista e la leadership cinese. Il rilancio strategico della storia imperiale da parte di Xi è notevole e strategico, in quanto fonde il passato con la sua visione del futuro.
La narrazione di Xi pone una forte enfasi sull’armonia all’interno del sistema Tianxia, dove l’imperatore, visto come un benevolo e saggio “figlio del cielo”, assicura pace e prosperità, con Pechino come epicentro di questo ordine mondiale. Questa rappresentazione, per quanto attraente, nasconde una fedeltà più profonda alle filosofie della governance imperiale cinese, che abbracciano i concetti di ringiovanimento nazionale e di “sogno cinese” all’interno della più ampia cornice del Tianxia.
Se guardiamo più da vicino al contesto storico, la strategia di Xi Jinping sembra essere influenzata dall’epoca di Mao Zedong e dai principi fondamentali dello Stato comunista.
Il duplice obiettivo di Xi è quello di ispirarsi a Mao – visto come un ritorno alla purezza ideologica del comunismo cinese – e di allontanare il suo regime dalle politiche di Deng Xiaoping. In questo modo, Xi sta cercando di sinizzare ulteriormente il comunismo cinese, distinguendolo dalle sue radici marxiste-leniniste in modo più significativo rispetto a Mao, segnando un cambiamento distintivo verso una forma di comunismo esclusivamente cinese. Nonostante la portata globale della propaganda cinese, Xi rimane un convinto marxista-leninista, anche se cerca di ridefinire il comunismo con un’identità inconfondibilmente cinese.
Questa miscela sfumata di politica e leadership di partito cerca di attingere abilmente all’etica imperiale cinese, con l’obiettivo di rimodellare lo stesso Partito Comunista per realizzare una visione in cui, entro il 2049, la Cina prenderà il suo posto come potenza centrale in un ordine mondiale ispirato a Tianxia e guiderà la comunità globale.
Questa ambizione va oltre la semplice assunzione del ruolo di “nuovi Stati Uniti”. La Cina sta tracciando il proprio percorso, cercando di eclissare gli Stati Uniti nella gerarchia globale e di emergere come potenza globale dominante.
La Cina sta cercando di ricreare la sua rete di Stati dipendenti dell’epoca imperiale, puntando in particolare all’egemonia in Asia orientale soppiantando gli Stati Uniti? Che ruolo ha Taiwan in questo schema?
Nell’ordine mondiale previsto dalla Cina, Taiwan occupa un ruolo centrale, essenziale per la realizzazione del profetico status della Cina come nazione leader del mondo entro il 2049. L’unificazione con Taiwan è vista come un passo cruciale per la Cina, che simboleggia uno spostamento dell’equilibrio geopolitico dagli Stati Uniti. La Cina preferisce una riunificazione pacifica, sperando che Taiwan si integri volontariamente nella governance di Pechino, evitando così il conflitto. Tuttavia, se i mezzi pacifici dovessero rivelarsi inutili, i leader cinesi, guidati da Xi Jinping, non hanno escluso la possibilità di ricorrere alla forza militare per raggiungere l’unificazione.
Questo delicato scenario evidenzia un importante test dell’influenza geopolitica di Pechino, soprattutto alla luce del Taiwan Relations Act, che funge da deterrente per le azioni aggressive di Pechino.
Il successo della riunificazione con Taiwan, pacifica o meno, affermerebbe inequivocabilmente la crescente statura di Pechino sulla scena mondiale.
Questo successo non solo rafforzerebbe la posizione della Cina sulla scena internazionale, ma completerebbe anche i suoi obiettivi strategici più ampi e il suo grande discorso sulla promozione di un futuro comune per l’umanità.
Data la sua vasta esperienza nelle relazioni estere della Cina, come valuta le dinamiche attuali e future tra Cina, Stati Uniti e Unione Europea? Quali sono i fattori determinanti di queste relazioni?
Tutti i Paesi occidentali stanno cercando di stabilire relazioni commerciali ed economiche con la Cina per motivi reciprocamente vantaggiosi. In passato, molte fabbriche occidentali sono state trasferite in Cina, ma ora stiamo entrando in una nuova fase in cui i Paesi stanno cercando di disaccoppiarsi e le aziende di ridurre i rischi. Questo segna l’inizio di una nuova era nelle relazioni tra Cina e Occidente.
Per quanto riguarda le relazioni della Cina con l’Unione Europea, noi rappresentiamo un importante mercato per l’esportazione dei suoi veicoli elettrici (EV) e dei suoi manufatti. Questa politica di produzione è guidata dallo Stato ed è stata recentemente riaffermata nelle riunioni del Partito Comunista.
La Cina ha quindi bisogno di una domanda esterna e, in questo senso, l’Europa è un mercato molto importante. L’Europa è quindi fondamentale per la Cina per generare domanda esterna, che contribuisce a sostenere la sua economia. In secondo luogo, l’Europa è considerata un anello debole dell’Occidente quando si tratta di alcune tecnologie che mancano alla Cina. In Europa abbiamo specifiche sacche di tecnologia che sono molto preziose per la Cina, soprattutto perché gli Stati Uniti ne hanno in gran parte limitato l’accesso.
Il terzo motivo per cui l’UE e l’Europa sono importanti per la Cina è il modo in cui essa vede l’Europa dal punto di vista della competizione tra grandi potenze con gli Stati Uniti. A questo proposito, Pechino cerca di coinvolgere i singoli Paesi europei bilateralmente piuttosto che collettivamente a livello di UE – il che equivale a dividere e governare – al fine di massimizzare la propria influenza su di essi.
Il loro obiettivo è indebolire o addirittura rompere l’alleanza transatlantica con gli Stati Uniti. Idealmente, per la Cina, gli Stati Uniti sarebbero isolati, l’alleanza transatlantica esisterebbe solo di nome, se mai esistesse, e l’Europa raggiungerebbe l’autonomia strategica che invoca.
Ciò sottolinea l’intenzione strategica della Cina di rendere l’Europa il più indipendente e autonoma possibile, considerando le sue relazioni con la Cina principalmente in termini economici e commerciali, agendo come un partner dipendente che si astiene dal criticare il governo cinese o le sue azioni dal punto di vista dei nostri valori.
Ma allo stesso tempo, la Cina è profondamente radicata in una mentalità sinocentrica. È consapevole che il suo sistema politico non soddisfa le preferenze occidentali.
Promuovendo il Tianxia, questa visione sinocentrica del mondo diventa più attraente per il Sud, attirando leader di democrazie deboli o di regimi non democratici.
Questa strategia è al centro delle relazioni estere della Cina, che si concentrano principalmente sul Sud. Offre alla Cina l’opportunità di influenzare e modificare il sistema delle Nazioni Unite a fianco di Paesi ostili agli Stati Uniti o suscettibili di essere ricettivi alle offerte transazionali e di sviluppo della Cina. Questa strategia offre alla Cina molte opportunità di stabilire partenariati al di fuori della sfera democratica occidentale.
Lei ha accennato alla strategia “divide et impera” della Cina, coinvolgendo bilateralmente i Paesi europei per negoziare da una posizione di forza.In questo contesto, si è discusso dell’emergenza di un’Unione Europea geopolitica per livellare il campo di gioco. Ma si sta muovendo così lentamente e sembra ancora in ritardo rispetto alla Cina, che persegue senza sosta i propri interessi geopolitici. Quanto pensa che l’UE sia stata efficace nell’opporsi a queste politiche aggressive?
Credo che a livello istituzionale, in particolare all’interno della Commissione e della DG Commercio, sia stato riconosciuto da tempo che siamo impegnati in una relazione economica e commerciale squilibrata e iniqua con la Cina. In effetti, la Commissione è molto decisa quando si tratta di sfidare la Cina su questioni come le sovvenzioni, le condizioni di concorrenza non paritarie e le pratiche commerciali sleali, e interviene sistematicamente contro queste pratiche. La Commissione vuole assumere una posizione più ferma, ma la dinamica cambia quando vengono coinvolti gli Stati membri. Quando si tratta di politica estera e di difesa, l’UE richiede l’unanimità, che abbiamo trovato difficile da raggiungere quando si è trattato della nostra politica nei confronti della Cina.
Di conseguenza, la creazione di un fronte unito si sta rivelando difficile, soprattutto perché ci sono sempre uno o due Stati membri, come l’Ungheria e forse ora la Slovacchia, che bloccano tali sforzi. Inoltre, ci sono Paesi in difficoltà, come la Germania e la Spagna. In Germania, la Cancelleria e cinque grandi aziende industriali tedesche – le principali case automobilistiche, profondamente integrate e dipendenti dall’economia cinese, e BASF – esercitano una notevole influenza. Queste aziende influenzano in modo significativo le opinioni del Cancelliere Scholz e, di conseguenza, le politiche dell’UE nei confronti della Cina.
Ritiene che la Cina stia concedendo a queste cinque aziende tedesche un accesso privilegiato per aumentare la propria influenza politica all’interno dell’Unione Europea? .
In effetti, spesso esercitano un’intensa attività di lobby a favore della Cina, ma entrano in gioco anche altri fattori. Le politiche della Cina hanno diviso l’Europa impegnandosi nella diplomazia con i principali Paesi dell’UE, esercitando le maggiori pressioni su Germania, Francia, Spagna, Italia e Paesi Bassi, non da ultimo a causa dell’ASML, mettendo in evidenza qualcosa di cui la Cina ha disperatamente bisogno.
Questi Paesi sono identificati da Pechino come più propensi ad adottare una posizione più flessibile nei confronti della Cina a causa delle loro dipendenze economiche. Le dichiarazioni pubbliche della Cina esprimono spesso la speranza che i leader di questi Paesi promuovano un’immagine più positiva della Cina all’interno dell’UE, affidando loro di fatto questo compito. La Cina ha i mezzi per sfruttare le dipendenze e gli scambi commerciali, come ha dimostrato lanciando restrizioni all’esportazione di terre rare essenziali per il settore tecnologico in Europa e negli Stati Uniti.
Queste dipendenze consentono alla Cina di influenzare e penalizzare alcuni Paesi per il loro comportamento sfavorevole. Sebbene sia estremamente difficile ottenere l’unanimità degli Stati membri, la Commissione ha comunque introdotto un numero crescente di misure di restrizione commerciale contro la Cina. Il processo assomiglia spesso a due passi avanti e uno indietro, in quanto alcuni regolamenti vengono annacquati per raggiungere un compromesso, ma l’elenco delle misure continua a crescere.
La situazione è complessa, ma si stanno facendo progressi. Lo stretto legame tra la sicurezza europea e gli Stati Uniti come fornitore di sicurezza influenza anche il modo in cui l’UE si impegna con la Cina.
Data la feroce competizione tra Stati Uniti e Cina, l’Europa deve tenere conto delle preoccupazioni degli Stati Uniti quando si impegna con la Cina.
A questo proposito, Pechino critica l’Europa di essere troppo dipendente dagli Stati Uniti, sostenendo che l’Europa non è in grado di prendere decisioni indipendenti. Pur non condividendo questo punto di vista, dobbiamo tenere conto delle preoccupazioni del nostro fornitore di sicurezza riguardo alla Cina e alle sue attività nel Pacifico.
Come si inserisce in questo contesto la competizione tra Cina e Stati Uniti?
L’Europa deve valutare criticamente la propria posizione e chiedersi se non stia inavvertitamente rafforzando la posizione della Cina come avversario. A causa di specifici progressi tecnologici inaccessibili agli Stati Uniti, la Cina si sta rivolgendo all’Europa e sta adottando un approccio globale e strategico. In particolare, si rivolge a scienziati europei per collaborazioni scientifiche o di ricerca, con l’obiettivo di trasferire alla Cina conoscenze e tecnologie preziose.
La Cina aspira a diventare una superpotenza tecnologica entro il 2049, in linea con la sua ambizione di raggiungere gli obiettivi “China First” e di assicurarsi una posizione di leadership nel mondo. Questa ambizione prevede di diventare un leader mondiale nella tecnologia, nell’innovazione e nella scienza, una pietra miliare della strategia cinese per raggiungere i suoi obiettivi più ampi. La tecnologia e la scienza non sono obiettivi fini a se stessi, ma strumenti cruciali che consentono alla Cina di raggiungere i suoi obiettivi più ampi, compresi i progressi nell’intelligenza artificiale e in altri settori chiave.
La preoccupazione, espressa in particolare dagli Stati Uniti, sul modo in cui la Cina potrebbe impiegare queste tecnologie in applicazioni militari è valida e altrettanto importante per l’Europa. L’intenzione della Cina di modificare l’architettura di sicurezza europea e la potenziale applicazione militare delle tecnologie a duplice uso dovrebbero preoccupare anche l’Europa.
Tuttavia, se da un lato è possibile rallentare i progressi della Cina in queste aree strategiche, dall’altro sembra improbabile fermarli del tutto.
Inoltre, l’Europa non è attualmente all’avanguardia in molte di queste aree tecnologiche, il che rappresenta una sfida interna che richiede attenzione.
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[L’ambizioso piano di riflusso manifatturiero dell’amministrazione Biden per l’attuazione dei due anni di “splash” non è molto, la tecnologia pulita e il campo dei semiconduttori di un certo numero di progetti sono stati nella situazione “difficile da produrre”.
Secondo i risultati di un’indagine pubblicata dal Financial Times il 12 agosto, l’Inflation Reduction Act, il Chip and Science Act, introdotto dal Presidente degli Stati Uniti Joe Biden nell’agosto del 2022, non sta avanzando bene, e tra i progetti dal costo superiore ai cento milioni (di dollari) annunciati nel primo anno di attuazione della legge, i progetti con un valore di investimento totale di 84 miliardi di dollari sono stati ritardati. Questi progetti sono stati ritardati da due mesi a diversi anni, o addirittura fermati a tempo indeterminato, e rappresentano circa il 40% del numero totale di progetti su larga scala..
Il rapporto rileva che le regole ambigue sui sussidi, il deterioramento delle condizioni di mercato, il rallentamento della domanda e la mancanza di certezza politica in un anno di elezioni negli Stati Uniti hanno portato le aziende a cambiare i loro piani.
Questi ritardi hanno sollevato interrogativi sulle politiche di Joe Biden, che ha scommesso sulla trasformazione industriale per portare posti di lavoro e ritorni economici negli Stati Uniti.Attualmente, la vicepresidente degli Stati Uniti, la candidata democratica alla presidenza Kamala Harris ha cercato di attirare gli elettori dei colletti blu attraverso i cosiddetti “successi” del rilancio del settore manifatturiero, ma ora una serie di progetti sono stati esposti a ritardi, questa tattica non funziona necessariamente.
La vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris parla durante un comizio elettorale per raccogliere il sostegno dei lavoratori il 10 agosto 2024 ora locale a Las Vegas, Nevada, Stati Uniti. Visione della Cina
L’amministrazione Biden ha promulgato l’Inflation Reduction Act e il Chip and Science Act nell’agosto del 2022, fornendo più di 400 miliardi di dollari in crediti d’imposta, prestiti o sovvenzioni per potenziare le catene di fornitura statunitensi di tecnologie pulite e semiconduttori.Secondo il Financial Times, la mossa di Biden mira a rivitalizzare la “Rust Belt” e a sfidare la Cina nelle tecnologie necessarie per digitalizzare e decarbonizzare l’economia.
Queste sovvenzioni hanno attirato molte aziende a ripianificare i loro progetti e a trasferire i loro impianti da altri Paesi agli Stati Uniti.
Tuttavia, dopo aver intervistato più di 100 aziende, governi statali e locali degli Stati Uniti e aver esaminato annunci aziendali e relazioni finanziarie, il Financial Times ha scoperto che ci sono stati 114 progetti su larga scala per un valore superiore a 100 milioni di dollari, con un investimento totale di 227,9 miliardi di dollari, di cui progetti per un totale di circa 84 miliardi di dollari sono stati ritardati da due mesi a diversi anni, o addirittura sospesi a tempo indeterminato.
I progetti accantonati coinvolgono diverse aziende.
Il Financial Times ha scoperto che questi progetti su larga scala includono: l’azienda elettrica nazionale italiana (Enel) negli Stati Uniti, in Oklahoma, ha proposto di investire 1 miliardo di dollari nella costruzione di una fabbrica di pannelli solari; la sudcoreana LG New Energy Company (LG Energy Solution) negli Stati Uniti, in Arizona, ha proposto di investire 2,3 miliardi di dollari nella costruzione dell’impianto di produzione di batterie del sistema di accumulo di energia; il gigante statunitense del litio Yabao (Albemarle) in South Carolina di investire 1,3 miliardi di dollari nella costruzione di una raffineria di litio …….
Alcune aziende hanno annunciato una moratoria sulla costruzione di nuove linee di produzione, ma altre non hanno fatto alcun annuncio pubblico.
Il Financial Times ha scoperto che il produttore statunitense di semiconduttori Pallidus aveva inizialmente pianificato di spostare la sede centrale dell’azienda da New York alla Carolina del Sud e di aprirvi una linea di produzione, con un investimento totale di 443 milioni di dollari nel progetto, che avrebbe dovuto creare più di 400 posti di lavoro.L’entrata in funzione del nuovo stabilimento era prevista per il terzo trimestre dello scorso anno, ma finora l’impianto è rimasto inattivo.
Ted Henry, city manager di Bel Aire, Kansas (l’amministrazione responsabile delle operazioni efficienti della città), ha rivelato che l’anno scorso l’azienda statunitense di semiconduttori Integra Technologies aveva annunciato di voler investire 1,8 miliardi di dollari in una fabbrica di semiconduttori nella città, ma a causa dell’incertezza sui finanziamenti governativi, il progetto non è stato portato avanti.andare avanti.
Inoltre, TSMC ha ritardato di due anni l’avvio del suo secondo impianto in Arizona, che fa parte del programma di investimenti di TSMC per 40 miliardi di dollari.Questo ha portato i fornitori di TSMC nella regione a ritardare centinaia di milioni di dollari di progetti proposti.
L’impianto di TSMC a Phoenix, Arizona, USA è in costruzione il 6 dicembre 2022 ora locale a Phoenix, USA. Vision China
L’incertezza politica preoccupa le imprese
Secondo il Financial Times, le difficili condizioni economiche, il rallentamento della domanda di auto elettriche negli Stati Uniti e l’incertezza politica hanno ostacolato i piani dell’amministrazione Biden di rimpatriare il settore manifatturiero, citando tra le ragioni anche la cosiddetta “sovraccapacità” in Cina.
Da parte loro, le aziende interessate hanno dichiarato che il deterioramento delle condizioni di mercato, il rallentamento della domanda e la mancanza di certezza politica nell’anno delle elezioni americane le hanno indotte a modificare i loro piani.
I governi locali hanno anche sottolineato che i progetti sono stati ostacolati dal fatto che le aziende devono solitamente soddisfare determinati standard di capacità per ricevere le sovvenzioni previste dalle due leggi e che i costi della manodopera e della catena di approvvigionamento, più alti del previsto, hanno portato all’avanzamento dei progetti.
Vale la pena notare che le politiche vaghe e la scarsa efficienza dell’amministrazione Biden sono fonte di preoccupazione per le imprese.Secondo quanto riportato, l’amministrazione Biden ha tardato a fornire sussidi per i progetti di semiconduttori nell’ambito del Chip and Science Act; inoltre, la mancanza di chiarezza nelle regole dell’Inflation Reduction Act ha bloccato molti progetti.
Ad esempio, il produttore di elettrolizzatori Nel Hydrogen ha annullato il progetto di un impianto da 400 milioni di dollari in Michigan perché ha riscontrato un’incertezza nella legge relativa ai crediti fiscali per l’industria dell’energia a idrogeno.Anche il produttore di componenti per batterie Anovion ha ritardato di oltre un anno il progetto di un impianto da 800 milioni di dollari in Georgia a causa dell’incertezza sulle norme dell’Inflation Reduction Act relative ai veicoli elettrici.
Nel frattempo, la possibilità che il candidato repubblicano alla presidenza Donald Trump torni alla Casa Bianca ha aggiunto ulteriore incertezza al piano di rivitalizzazione del settore manifatturiero.
I repubblicani del Congresso si sono sempre opposti all’Inflation Reduction Act, nonostante il fatto che la maggior parte degli investimenti nel settore manifatturiero ad esso associati siano andati ai distretti controllati dal GOP.
Trump ha già dichiarato che, se eletto, “porrà fine” all’Inflation Reduction Act.
L’azienda produttrice di impianti solari VSK Energy ha rinviato un progetto da 1,25 miliardi di dollari e cancellato un investimento da 250 milioni di dollari previsto nello “Stato blu” del Colorado per assicurarsi che il progetto non venga influenzato da un’eventuale presidenza Trump, cercando invece uno Stato filo-repubblicano in cui localizzarsi nel Midwest, secondo quanto dichiarato da un dirigente dell’azienda.L’azienda ha rinviato un progetto da 1,25 miliardi di dollari e cancellato un investimento previsto di 250 milioni di dollari nello “Stato blu” del Colorado, cercando invece uno Stato filo-repubblicano nel Midwest.
Tuttavia, a fronte del fatto che il progetto è stato ritardato, il team di Biden continua a insistere sul fatto che il ritorno della produzione è stato “un successo”.
Alex Jacquez, assistente speciale di Biden per lo sviluppo economico e la strategia industriale, ha insistito sul fatto che l’amministrazione Biden ha raggiunto “nuovi traguardi” nell’incentivare i settori dell’edilizia e della manifattura, e che “naturalmente vogliamo che questi progetti partano e vadano avanti il più rapidamente possibile”.Continueremo a lavorare per rimuovere gli ostacoli alle autorizzazioni e ai finanziamenti”.
Questo è un articolo esclusivo dell’Obs
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Negli ultimi giorni, due dichiarazioni sono arrivate a ridefinire il Medio Oriente, anche se non sono state rilasciate da Israele o da Hamas, ma dai belligeranti in un conflitto a più di mille miglia di distanza. La prima è arrivata da Mosca, che ha dichiarato che il conflitto in Ucraina sarà risolto entro la fine del 2024. L’altro è arrivato da Kiev, che ha fornito un calendario simile per la risoluzione del conflitto.
La strategia della Russia all’inizio dell’invasione era di schiacciare l’Ucraina in modo rapido e deciso. La strategia dell’Ucraina era di resistere abbastanza a lungo da esaurire la volontà russa di combattere. Nessuna delle due ha avuto successo e la guerra è andata avanti per oltre due anni. L’annuncio che il conflitto sarebbe presto finito, quindi, è stato un problema più per la Russia che per l’Ucraina, poiché la sua reputazione di avere un esercito formidabile è andata in frantumi. In guerra, il successo può trasformarsi in un fallimento nel giro di pochi giorni e le due dichiarazioni non sono sembrate uno sforzo coordinato. Nulla è certo finché non viene fatto. Tuttavia, la logica alla base di entrambe le dichiarazioni sembra valida, considerando la storia e lo stato attuale della guerra.
Nel frattempo, l’Ucraina deve ricostruire un’economia che non solo si sostenga da sola, ma che metta l’Ucraina su un piano di parità con il resto dell’Europa, generando al contempo rapidamente forniture militari in grado di scoraggiare ulteriori azioni russe. Il compito della Russia è un po’ diverso. Ha invaso l’Ucraina per darsi una profondità strategica rispetto alla NATO. Non essendo riuscita a occupare il Paese, Mosca ha lo stesso imperativo, ma deve ora cercare altre zone cuscinetto meno ottimali. Ciò potrebbe spingere il Cremlino a rafforzare la propria influenza, e forse a stabilire una migliore deterrenza, in altre potenziali vie d’accesso alla Russia: i Paesi baltici, la Polonia, l’Ungheria e i Balcani, solo per citarne alcuni. Per Mosca, queste possono essere gestite politicamente ed economicamente, quindi non si tratta di una questione esclusivamente militare, ma la geografia impone che la minaccia militare rimanga.
La Russia deve mantenere l’equilibrio anche nel Caucaso, da dove possono provenire le minacce alla Russia meridionale e dove sono in agguato gli Stati Uniti e la NATO. Forse la nazione più importante in questa regione è l’Iran, che è legato per religione e cultura all’Azerbaigian, una nazione caucasica che rappresenta una potenziale minaccia per la Russia se sostenuta da una nazione significativamente potente. L’Azerbaigian ha fatto da cuscinetto tra Russia e Iran e ora è alleato della Russia. Dominare il Caucaso è difficile, ma si è aperta una potenziale opportunità in Medio Oriente.
Esiste una minaccia credibile di guerra tra l’Iran da una parte e Israele e gli Stati Uniti dall’altra. Gli Stati Uniti hanno poco da guadagnare da una guerra ma molto da perdere. La Russia è favorevole a una guerra di questo tipo, perché intrappolerebbe gli Stati Uniti molto più a sud della Russia e aprirebbe la porta al sostegno e all’influenza russi. Si aprirebbe anche la possibilità di joint venture con l’Iran nel Caucaso attraverso l’Azerbaigian. Russia e Iran hanno lo stesso nemico negli Stati Uniti e una rete di nazioni amiche di entrambi. Insieme, costituiscono una forza formidabile. Se la Russia avesse influenza su uno Stato con cui in precedenza non aveva forti relazioni, si troverebbe in una posizione di forza, soprattutto dopo il colpo subito in Ucraina. La Russia metterebbe al sicuro il suo fianco meridionale e si posizionerebbe bene per le operazioni future.
Allo stato attuale, sembra che Mosca stia inviando armi all’Iran mentre Israele si sta preparando per una grande offensiva a cui Washington si oppone. Questa spaccatura è un ulteriore regalo ai russi, poiché indebolisce le relazioni tra Stati Uniti e Israele, che sono state una minaccia costante per gli interessi russi in Medio Oriente. Da parte sua, l’Iran diffida di una relazione con la Russia e del bagaglio che potrebbe portare con sé. Ma una guerra potrebbe avvicinare Teheran a Mosca, nonostante le sue perplessità.
Questo è il legame tra la guerra in Ucraina e la guerra arabo-israeliana. Gli Stati Uniti potrebbero trovarsi a combattere una guerra contro l’Iran quando non lo vorrebbero. Ma la Russia, dominando il Caucaso e avendo l’Iran come alleato, compenserebbe i suoi scarsi risultati in Ucraina. Renderebbe la Russia una potenza in Medio Oriente e metterebbe gli Stati Uniti nella posizione di abbandonare il campo di battaglia (e apparire sconfitti) o di entrare in una guerra brutale e pericolosa (sulla quale la Russia, grazie alla sua relazione con l’Iran, avrebbe un certo grado di controllo).
Tutto ciò potrebbe non verificarsi, ovviamente. Ma Israele è su tutte le furie, gli Stati Uniti sono in ritardo, la Russia ha bisogno di una vittoria dopo l’Ucraina e l’Iran vuole essere un attore importante. Questo scenario non è così improbabile come potrebbe sembrare.
La politica estera iraniana è notoriamente difficile da comprendere. Quando Leonhart Rauwolf, medico e viaggiatore tedesco, visitò la Persia nel 1573, descrisse i negoziati con gli iraniani come un’esperienza scoraggiante. Dal XVI secolo ai tempi moderni, i leader iraniani hanno trattato con il mondo in modo ambiguo, sviluppando una reputazione di evasività e procrastinazione strategica. La chiave per comprendere la politica estera iraniana è il riconoscimento della centralità della regione araba. Sebbene il perseguimento dei propri interessi da parte dell’Iran porti spesso a scontrarsi con gli Stati Uniti e Israele, per l’Iran si tratta di nemici solo nominali. Piuttosto che lo scontro, ciò che Teheran desidera maggiormente da loro è il riconoscimento del suo status di potenza regionale.
Ossessione per la regione araba
L’Iran non si considera un Paese normale, ma una rivoluzione in corso. Come tale, nonostante l’assenza di guerre di confine o di minacce esistenziali, tende all’espansionismo. La geopolitica ha guidato la sua attenzione verso ovest, nel mondo arabo. Il nord era chiuso a causa della Russia, una potenza grande e pericolosa con cui l’Iran non voleva litigare. A est si trovava l’India, un Paese grande, relativamente ricco e con diverse identità con cui gli iraniani potevano entrare in contatto. Nonostante la profondità dei contatti culturali, tuttavia, la capacità dell’Iran di influenzare l’India rimaneva molto limitata. Il Golfo di Oman, a sud, era privo di potenti rivali, ma l’Iran non è mai stato un impero marittimo. Pertanto, se l’Iran voleva diffondere la rivoluzione oltre i suoi confini, capì che doveva dirigersi verso ovest.
Trovare una giustificazione per la sua ostilità nei confronti degli arabi non era difficile. L’Iran è ancora risentito con gli arabi per la battaglia di al-Qadisiyah del 636, che portò alla distruzione dell’Impero sasanide, all’occupazione della Persia e alla rovina della civiltà persiana. L’introduzione dell’Islam in Iran da parte degli arabi, che i persiani guardavano con condiscendenza e rabbia, ha rappresentato un dilemma per la coscienza culturale iraniana che è durato secoli. Pur avendo arricchito notevolmente la civiltà islamica, l’Iran rimase lontano dai centri decisionali, che fino al XVI secolo si trovavano esclusivamente nel mondo arabo.
Dopo il successo della Rivoluzione iraniana del 1979, l’allora Guida suprema Ruhollah Khomeini pensava che la rivoluzione avrebbe ispirato milioni di arabi a chiedere un analogo governo islamico. Una volta che l’Islam politico avesse conquistato i Paesi arabi, Khomeini riteneva che l’Iran avrebbe assunto un ruolo di leadership di primo piano in tutto il mondo islamico. La sua fede nella transitorietà dell’attuale Stato iraniano e dei suoi confini è stata sancita dall’articolo 5 della Costituzione iraniana, secondo cui il Guardiano del Giurista e lo Stato iraniano hanno aperto la strada all’avvento dell’Imam dell’Era. Khomeini morì nel 1989, ma il suo sogno sopravvisse. Quando nel 2011 sono iniziate le rivolte arabe, l’Iran le ha definite rivoluzioni islamiche.
L’inganno come strumento di politica estera
Per gli arabi – soprattutto sunniti – l’Iran era un Paese musulmano che differiva da loro solo per quanto riguardava chi dovesse presiedere la comunità musulmana più ampia e i rituali relativi ai doveri religiosi. I leader della rivoluzione iraniana hanno dimostrato che si sbagliavano. Hanno usato la “taqiyya” (inganno o, meglio, dissimulazione) per diffondere la loro influenza straniera in Medio Oriente.
Gli sciiti osservano due tipi di taqiyya. La prima è lodevole e ha lo scopo di allontanare il male, evitare i conflitti e preservare la fede. La seconda implica l’elusione, nel linguaggio o nella pratica, per facilitare il raggiungimento di un obiettivo. L’Impero Safavide, che ha governato la Persia tra il 1501 e il 1736, ha abbracciato questa seconda forma di taqiyya, che gli ha dato la licenza di rompere patti e promesse, persino trattati vincolanti. Questa tradizione è rimasta inalterata, tanto che l’Iran di oggi è noto per la sua competenza nella diplomazia evasiva.
Alla fine del 2012, l’Iran si era assicurato la sua influenza sul governo siriano, ma insisteva sul fatto di avere nel Paese solo consiglieri militari, non forze di combattimento. Quando i rapporti dei media contenenti i nomi e le foto degli iraniani uccisi combattendo in Siria sono diventati troppo numerosi e diffusi per essere ignorati, l’Iran ha affermato che stava solo proteggendo i santuari sciiti a Damasco. Non ha riconosciuto la morte di migliaia di suoi soldati, né la presenza in Siria di milizie sciite libanesi, irachene e afghane che aveva inviato per sostenere il regime di Assad.
Gli inganni dell’Iran non avrebbero potuto funzionare così bene senza un certo grado di indifferenza araba, in particolare in Paesi influenti come l’Egitto, il Marocco e i membri del Consiglio di cooperazione del Golfo. La loro inazione ha permesso a Teheran di imporre la sua volontà e di interferire palesemente nei loro affari interni. A un certo punto, un legislatore troppo zelante, strettamente legato alla Guida suprema ayatollah Ali Khamenei, Ali Reza Zakani, si è rallegrato del fatto che quattro capitali arabe – Beirut, Damasco, Baghdad e Sanaa – fossero sotto il controllo dell’Iran. L’ondata di Houthi in Yemen, ha detto, è un’estensione della rivoluzione del 1979.
L’Iran ha invocato la taqiyya anche in altre occasioni. Ad esempio, in risposta alle critiche interne all’accordo nucleare del 2015, Khamenei ha dichiarato di aver accettato l’accordo atomico in base al concetto di taqiyya, ossia di nascondere le proprie vere intenzioni e convinzioni ai nemici. Ha detto che a volte è necessario essere eroicamente flessibili senza abbandonare il proprio obiettivo strategico. Di certo, l’accordo non ha fatto deragliare i test missilistici dell’Iran o la sua ambiziosa politica nella regione, che ha portato l’amministrazione Trump a ritirarsi dall’accordo nel 2018 e a imporre severe sanzioni all’Iran.
In un altro esempio, i funzionari iraniani affermano di promuovere l’unità islamica anche se reprimono i sunniti in Iran e impediscono loro di svolgere liberamente i propri doveri religiosi. Dopo l’insediamento di Masoud Pezeshkian come presidente iraniano il 28 luglio, un importante predicatore sunnita gli ha rivolto un appello affinché affronti le discriminazioni e le ingiustizie in modo che i sunniti si sentano liberi e sicuri nello svolgimento dei loro rituali religiosi, compresa la preghiera congregazionale.
Debolezza intrinseca
Quando ha affrontato una seria resistenza, l’Iran ha avuto la tendenza ad arretrare. Dopo che nel 2020 gli Stati Uniti hanno ucciso il generale Qassem Soleimani, comandante della Forza Quds d’élite del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche, nei pressi dell’aeroporto di Baghdad, hanno negoziato con Teheran le modalità di risposta. La rappresaglia iraniana ha preso di mira una base statunitense in territorio iracheno e nessun soldato americano è rimasto gravemente ferito. Allo stesso modo, da quando l’Iran ha iniziato il suo intervento diretto nella guerra siriana, Israele ha lanciato attacchi contro la sua presenza militare nel Paese. Gli attacchi israeliani hanno distrutto le basi della Guardia Rivoluzionaria, ucciso i suoi agenti sul campo e fatto saltare in aria i depositi di armi iraniane vicino agli aeroporti di Damasco e Aleppo, oltre alle spedizioni militari a Hezbollah. L’Iran pubblicizza i funerali dei suoi ufficiali uccisi in questi attacchi, ma non commenta mai gli attacchi israeliani in Siria. Al contrario, contrasta le voci sulla sua debolezza nei confronti di Israele ripetendo la vecchia frase che risponderà quando la situazione lo consentirà.
Ad aprile, Teheran si è sentita in imbarazzo per l’attacco di Israele al suo consolato a Damasco e per l’uccisione di uno dei suoi generali più anziani, responsabile delle operazioni di combattimento della Forza Quds in Siria. L’Iran voleva mettere a tacere i critici che lo accusavano di codardia e dimostrare al mondo di essere in grado di scoraggiare Israele. Teheran ha scelto di colpire direttamente il territorio israeliano, il che ha comportato un’enorme dose di sensibilità perché, nonostante le capacità nucleari di Israele, la sua società è fragile e teme gli attacchi degli attori regionali, indipendentemente dalla loro efficacia. Alla fine, la rappresaglia iraniana non è stata altro che una mascherata. Una coalizione guidata dagli Stati Uniti ha distrutto la maggior parte dei droni e dei missili iraniani prima che raggiungessero lo spazio aereo israeliano; sono apparsi sugli schermi televisivi come costosi fuochi d’artificio. I pochi droni e missili che hanno raggiunto Israele hanno avuto un impatto trascurabile. Ciononostante, la leadership iraniana ha annunciato che i suoi attacchi missilistici avevano raggiunto i loro obiettivi. I suoi seguaci arabi sciiti, sistematicamente perseguitati dai loro stessi regimi oppressivi e inondati di propaganda iraniana per 45 anni, difficilmente lo hanno messo in dubbio. La stampa filo-iraniana di Beirut ha affermato che Teheran ha ristabilito la deterrenza e ha dato a Israele una lezione che non dimenticherà. In realtà, Israele sa cosa osa l’Iran e l’Iran sa che una guerra con Israele gli costerebbe il controllo dei Paesi arabi che domina. Potrebbe persino portare alla caduta del regime iraniano, che è ampiamente disprezzato.
La recente uccisione a Teheran del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, che i funzionari iraniani hanno attribuito a Israele, ha nuovamente messo in imbarazzo la Repubblica islamica. Teheran ha considerato l’assassinio come una violazione della sua sovranità e un colpo al suo onore e si è impegnata a rispondere con una forza senza precedenti. Contrariamente a quanto diffuso dalla macchina propagandistica iraniana, tuttavia, è improbabile che l’Iran rischi un attacco a Israele che scatenerebbe una risposta militare israeliana al di là della sua capacità di contenimento.
L’obiettivo strategico dell’Iran è ottenere l’accettazione da parte di Stati Uniti e Israele del suo status di legittima potenza regionale. L’Iran e le sue ambizioni regionali possono sfidare gli Stati Uniti, ma gli americani riconoscono che Teheran è un potenziale partner regionale grazie al suo pragmatismo. L’Iran ha appoggiato la causa palestinese con il pretesto di difendere la Palestina ed eliminare Israele, ma il suo vero scopo era quello di aggirare i regimi arabi e affermare il proprio potere nella regione. Nel 2014, il suo viceministro degli Esteri ha avvertito che la caduta del regime del presidente siriano Bashar Assad per mano dello Stato Islamico avrebbe distrutto la sicurezza di Israele. Dall’invasione statunitense dell’Iraq, l’Iran ha cercato il coordinamento e la coesistenza con Washington, e lo stesso vale per la presenza iraniana in Siria, che non è entrata in conflitto con la presenza statunitense nel nord-est della Siria. L’Iran vuole costruire sulle conquiste regionali degli ultimi 45 anni, non perpetuare la sua reputazione di Stato paria e di mente dell’asse del male.
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Cina: dove Giorgia Meloni si trovava per la sua prima visita ufficiale da quando è diventata Presidente del Consiglio.
Un viaggio carico di significati, che arriva dopo l’abbandono della tanto discussa Via della Seta.
Ma non illudiamoci: questo non è un ritorno al passato, bensì un tentativo di riscrivere le regole del gioco. Nulla è scontato in geopolitica.
Meloni porta con sé una delegazione d’imprenditori italiani, rappresentanti di quelle oltre 1.600 aziende che in Cina hanno piantato radici. Un esercito economico che ora chiede nuove garanzie, nuovi spazi di manovra. E la premier lo sa bene, il Paese passa da questi asset. Italia che quest’anno cresce ancora più di Francia e Germania e soprattutto a livello di export surclassa Parigi e Berlino.
Il suo obiettivo dichiarato? Rilanciare quel partenariato strategico globale voluto da Berlusconi nel lontano 2004. Una mossa astuta e complessa, che mira a compensare la fine della Via della Seta senza perdere la faccia. Ma attenzione: questo non è un gioco per principianti.
I numeri parlano chiaro, e sono impietosi. Gli investimenti cinesi in Italia sono circa un terzo di quelli italiani in Cina. Un divario che grida vendetta, che Meloni stessa ha definito come qualcosa da “colmare nel modo giusto”. Ma quale sarebbe questo modo giusto?
La risposta sembra essere il nuovo Piano triennale d’Azione, firmato durante questa visita.
Un documento che tocca punti cruciali: – Investimenti – Tutela della proprietà intellettuale e delle indicazioni geografiche – Agricoltura e sicurezza alimentare – Ricerca e formazione – Ambiente – Cultura e turismo – Contrasto della criminalità organizzata
Un elenco ambizioso, non c’è che dire. Ma quanto di tutto ciò si tradurrà in azioni concrete? Quanto peserà davvero sulla bilancia dei rapporti Italia-Cina?
Meloni parla di “relazioni commerciali equilibrate e reciprocamente vantaggiose”, di “parità di condizioni” e “concorrenza leale”. Parole nobili, certo, ma che devono essere seguite da un forte campo legislativo, la potenza economica cinese non scherza.
Non dimentichiamo che l’adesione dell’Italia alla Via della Seta, firmata dal governo Conte, fu vista come un tradimento dagli alleati occidentali. Una mossa che non portò i vantaggi sperati: le esportazioni italiane non crebbero come previsto, mentre quelle cinesi in Italia aumentarono notevolmente. Fu un patto al contrario, estremamente deleterio per l’immagine dell’Italia che pago un dazio doppio: porte chiuse o quasi in Occidente, chiuse in Asia (nel patto infatti non erano previste aree di scambio commerciale da far gestire all’Italia, nonostante il nostro Paese sia, ad esempio, molto presente nelle Filippine).
Ora Meloni si trova a dover ricucire queste relazioni incrinate, a dover trovare un nuovo equilibrio. Da una parte, deve proteggere gli interessi delle aziende italiane in Cina. Dall’altra, deve rassicurare l’Occidente sulla distanza dell’Italia da Pechino, in un momento in cui la diffidenza verso i prodotti cinesi è alle stelle.
Il premier cinese Li Qiang parla ancora dello “spirito della Via della Seta”. Ma quale spirito? Quello di un’espansione economica che rischia di trasformarsi in egemonia?
Il nuovo piano triennale toccherà diversi aspetti dei rapporti economici e politici tra Italia e Cina. Si parla di investimenti, di tutela della proprietà intellettuale, di agricoltura e sicurezza alimentare. Si menzionano ricerca e formazione, ambiente, cultura e turismo. Persino il contrasto alla criminalità organizzata trova spazio in questo documento.
Ma la domanda rimane: sarà sufficiente? Sarà in grado questo piano di raddrizzare decenni di squilibri? Di garantire davvero quella “parità di condizioni” di cui parla Meloni?
La verità è che ci troviamo di fronte ad una partita complessa, dove ogni mossa può avere conseguenze imprevedibili. L’Italia si muove su un terreno scivoloso, tra la necessità di preservare i propri interessi economici e l’esigenza di non alienarsi gli alleati occidentali.
Meloni può anche parlare di “nuova fase” e di “rilancio della cooperazione”. Ma la realtà è che l’Italia si trova in una posizione di debolezza, costretta a un difficile gioco di equilibrismo diplomatico ed economico, con una deterrenza militare non sufficiente ed una Ue insensibile all’espansionismo economico italiano in Asia. Del resto furono Parigi e Berlino i veri interlocutori di Pechino in Europa.
Solo il tempo ci dirà se questa strategia pagherà. Se il nuovo Piano triennale di Azione sarà davvero in grado di riequilibrare i rapporti tra Italia e Cina, o se rimarrà lettera morta come tanti altri accordi internazionali.
Una cosa è certa: in questo grande scacchiere della geopolitica mondiale, l’Italia rischia ancora una volta di essere più pedina che giocatore. E Giorgia Meloni, che lo voglia o no, si trova ora a dover dimostrare di essere all’altezza di una sfida che va ben oltre i confini nazionali.
“Sono molto contenta di essere qui per il primo viaggio ufficiale di questo governo”, aveva dichiarato Meloni all’inizio della visita, “a dimostrazione della volontà di iniziare una fase nuova, di rilanciare la nostra cooperazione bilaterale nell’anno in cui ricorre il ventesimo anniversario della nostra partnership strategica globale”. Parole che suonavano come un tentativo di voltare pagina, di ridefinire le regole del gioco.
Nel mentre quello che sembra un “Piano Mattei globale” prende forma, l’Italia punta al Sahel (che ad oggi è in mano cinese e russa, forse il vero scopo della visita di Meloni è avere mani libere in Africa) per questioni energetiche e di geostrategia (la Francia è fuori dal 2023). Sahel ed Africa Equatoriale sono a forte trazione russa (Mosca ha fatto imbufalire Macron proprio per averlo estromesso, tanto che ora è in bilico anche il Franco Coloniale) e cinese (soprattutto a livello d’infrastrutture). L’Italia (dopo aver parlato con gli Usa) si è posta in Cina come nazione-ponte tra Brics e Occidente, per parlo però serve avere buoni rapporti con Pechino, che in questo momento sorregge le potenze orientali. Stesso gioco degli Usa, che però non riescono più ad incidere in alcune zone del mondo, in altre si sono ritirati ed in altre ancora “appaltano” terzi.
Il viaggio di Meloni in Cina ha quindi avuto un obiettivo primario ben lontano da quello narrato dai maggiori media: un ruolo di primo piano nell’Africa delle materie prime (che però abbiamo scoperto d’avere anche in Italia). I prossimi mesi risulteranno decisivi, soprattutto dopo l’elezione del nuovo presidente Usa avremo un “effetto farfalla” geopolitico che investirà gli schieramenti in gioco.
di Marco Pugliese
Piano d’azione per il rafforzamento del Partenariato Strategico Globale Cina-Italia (2024-2027)
In occasione del 20° anniversario del Partenariato Strategico
Globale tra Cina e Italia, il 28 luglio, 2024, si è svolto a Pechino
un incontro tra il Primo Ministro della Repubblica Popolare
Cinese Li Qiang e il Presidente del Consiglio dei Ministri della
Repubblica Italiana Giorgia Meloni. Le due parti hanno
concordato che le relazioni Cina-Italia hanno raggiunto negli
ultimi anni importanti risultati di cooperazione e godono di un
positivo momento di sviluppo, testimoniato anche dal successo
dell’incontro tra il Presidente Xi Jinping e il Presidente del
Consiglio Giorgia Meloni durante il Vertice G20 di Bali nel 2022
e di quello fra i Capi di Governo delle due Nazioni al Vertice G20
di Nuova Delhi nel 2023.
Italia e Cina intendono mantenere lo slancio delle loro
relazioni bilaterali, anche nello spirito della antica Via della Seta
che da millenni, a partire dalle antiche rotte commerciali, incarna
l’apertura al dialogo e la reciproca conoscenza fra civiltà orientale
e occidentale, e promuoverne lo sviluppo ad un livello più elevato,
perseverando nella pace e nella cooperazione. In tale contesto, le
due parti hanno ribadito la volontà di rafforzare la fiducia
reciproca e di mantenere gli scambi di alto livello istituzionale
sulla base del rispetto dei principi della sovranità e dell’integrità
territoriale. Riconfermano l’impegno a prevedere un incontro
annuale tra i due Primi Ministri, con modalità flessibile, e
concordano di attuare il presente Piano d’azione, di rafforzare il
coordinamento delle loro rispettive strategie di sviluppo e di
approfondire la cooperazione in vari campi rafforzando gli
scambi culturali e tra le rispettive società civili e sviluppando
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pienamente il potenziale del Partenariato Strategico Globale.
Le parti esprimono apprezzamento per lo svolgimento del
24mo Vertice Cina-Ue il 7 dicembre 2023, che ha costituito
l’occasione per promuovere la fiducia reciproca, rafforzare la
cooperazione bilaterale e intensificare il coordinamento
multilaterale, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo di relazioni
stabili, costruttive, reciprocamente vantaggiose e di portata
globale tra Cina e Ue. Le parti sostengono la prosecuzione e
l’intensificazione dei dialoghi di alto livello Cina-Ue nei settori
strategico, economico-commerciale, ambientale, digitale e dei
rapporti tra le società civili, affrontando congiuntamente, con uno
spirito aperto e collaborativo, sfide globali come il cambiamento
climatico e la transizione energetica, la salute pubblica, la
sicurezza e la pace internazionali e la stabilità. Le parti
continuano inoltre a sostenere il dialogo Ue-Cina in materia di
diritti umani, in uno spirito di reciproco rispetto.
Le parti riconoscono l’importanza che Cina e Ue si
impegnino per rendere le relazioni commerciali bilaterali più
certe, prevedibili, equilibrate e reciprocamente vantaggiose ed a
tal fine intendono continuare a lavorare per assicurare parità di
condizioni per le rispettive aziende.
Le parti ribadiscono altresì l’importanza che l’Ue e la Cina
osservino le regole dell’OMC e i principi di mercato, aderiscano
al commercio libero, alla concorrenza leale, all’apertura e alla
cooperazione, si oppongano al protezionismo e all’unilateralismo,
gestendo gli attriti commerciali attraverso il dialogo e la
consultazione, in conformità ai meccanismi previsti dall’OMC.
Cina e Italia intendono intensificare ulteriormente lo
scambio di vedute e il coordinamento sui temi multilaterali,
nonché promuovere una migliore coesione della comunità
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internazionale per rispondere a tali sfide globali nei fori
appropriati. Si impegnano a valorizzare e sostenere il ruolo di
primo piano svolto dal G20 nel migliorare la governance
economica globale, supportando anche il suo funzionamento
nell’affrontare le sfide globali. Continueranno inoltre a
promuovere un efficace contributo del G20 alla stabilità e alla
fluidità delle catene di approvvigionamento globali, alla ripresa
dell’economia mondiale e alla promozione di una crescita stabile
e sostenibile. Le parti ribadiscono il loro sostegno al ruolo
centrale delle Nazioni Unite nel sistema multilaterale globale,
sulla base del rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite,
riconoscendone altresì il contributo positivo alla promozione
della pace, dei diritti umani e dello sviluppo sostenibile, e
continueranno a rafforzare la loro collaborazione riguardo alla
riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per
renderlo più democratico, efficiente, trasparente, ed inclusivo. Le
parti sono disposte a rafforzare il coordinamento in tale ambito e
ad assicurare un contributo sostanziale all’attuazione degli
obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite per il 2030.
Le parti convengono di dare priorità alla cooperazione nei
seguenti settori: 1) commercio e investimenti; 2) finanziario; 3)
innovazione scientifica e tecnologica, istruzione; 4) sviluppo
verde e sostenibile; 5) medico-sanitario; 6) rapporti culturali e
scambi people-to-people.
1. Collaborazione economico-commerciale e investimenti
Sistema commerciale multilaterale. Le parti sostengono
un sistema commerciale multilaterale basato sulle regole, libero,
equo, aperto, trasparente, inclusivo e non discriminatorio, con
l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) al suo centro.
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Le parti sostengono il processo di riforma dell’OMC, compreso
il ripristino della piena operatività del meccanismo di risoluzione
delle controversie, il rafforzamento del ruolo deliberativo e il
rilancio della funzione negoziale dell’OMC. Inoltre le parti
ribadiscono la necessità di rafforzare la resilienza e la stabilità
delle catene del valore e di approvvigionamento globali. Le due
parti accolgono i risultati raggiunti in occasione della 13°
conferenza ministeriale dell’OMC, e continueranno a lavorare
insieme al conseguimento di risultati positivi nell’ambito della 14°
conferenza ministeriale dell’Organizzazione. Promuovono una
globalizzazione economica aperta, inclusiva, equilibrata e a
beneficio di tutti, la liberalizzazione e la facilitazione del
commercio e degli investimenti. Le parti si impegnano a
rafforzare le discussioni sull’agevolazione degli investimenti, sul
commercio digitale, nonché sul tema commercio-ambiente.
Promozione commerciale e investimenti. Le parti
concordano sull’importanza di intensificare e riequilibrare gli
scambi commerciali, esplorare il potenziale del commercio
bilaterale e continuare ad incentivare i flussi di investimento nei
due sensi, in un contesto trasparente e a parità di condizioni.
Sottolineano la necessità di rafforzare ulteriormente il ruolo della
Commissione Economica Mista per favorire la cooperazione
imprenditoriale e il dialogo sulle rispettive politiche economiche
nell’ambito di tale meccanismo. Le due parti concordano anche di
valorizzare il ruolo innovativo e complementare del Business
Forum Italia-Cina, volto a fornire una piattaforma per
promuovere gli scambi tra governi e imprese e favorire lo
sviluppo economico e commerciale bilaterale.
Le parti continueranno a sostenere il lavoro del Consiglio
Cinese per la Promozione del Commercio Internazionale
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(CCPIT), dell’Agenzia ICE e dei loro uffici di rappresentanza a
favore della promozione del commercio e degli investimenti, in
conformità con le loro funzioni. Si impegnano a continuare a
discutere in modo costruttivo della questione dello status degli
uffici dell’Agenzia ICE in Cina.
In questo spirito, forniranno il necessario supporto alle
attività svolte in Italia dalla Camera di Commercio Cinese e in
Cina dalla Camera di Commercio Italiana, sostenendo il ruolo
degli enti di promozione del commercio e degli investimenti e
delle associazioni imprenditoriali dei due Paesi nel rafforzamento
del dialogo e della cooperazione, nella prevenzione dei rischi e
nella risoluzione delle controversie.
Le parti annettono inoltre grande rilevanza allo sviluppo
delle fiere internazionali che hanno luogo in Italia e in Cina e
continueranno a promuovere la partecipazione delle proprie
aziende, riconoscendo le manifestazioni fieristiche come un
volano cruciale per l’internazionalizzazione dei rispettivi mercati
e per la promozione dell’interscambio commerciale bilaterale.
Accesso al mercato. Le parti concordano sulla necessità di
garantire reciprocamente un migliore accesso al mercato e
un’effettiva parità di condizioni tra gli operatori economici, e di
promuovere congiuntamente lo sviluppo equilibrato e stabile del
commercio bilaterale, sfruttandone appieno il potenziale. Le parti
continueranno a collaborare per eliminare gradualmente le
barriere non tariffarie che ostacolano indebitamente il commercio
e offrire un ambiente imprenditoriale e di investimento aperto,
equo, trasparente e non discriminatorio affinché le rispettive
imprese possano investire e svolgere attività commerciali.
Concordano inoltre di sfruttare appieno il ruolo del gruppo di
lavoro per la collaborazione sugli investimenti e di approfondire
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la collaborazione tra Cina e Italia sugli investimenti nello
sviluppo verde e in altri settori, lavorando per un maggiore
sviluppo degli investimenti fra i due Paesi, anche attraverso la
discussione di specifici progetti di comune interesse.
Crescita sostenibile. Le parti concordano sull’importanza
di conciliare la crescita e lo sviluppo economico con gli obiettivi
globali della transizione energetica ed ecologica, in linea con gli
ambiziosi impegni assunti da entrambe le Nazioni. Intendono a
tal fine incrementare le collaborazioni nel settore delle energie
rinnovabili e delle tecnologie ad esse associate.
Proprietà intellettuale. Le parti riconoscono che la
proprietà intellettuale svolge un ruolo importante per supportare
la competitività delle imprese e i processi di innovazione,
convengono di rafforzare ulteriormente gli scambi e la
cooperazione in tale ambito, con l’obiettivo di fornire servizi più
efficienti e convenienti per le entità innovative nei due paesi e
assicurare la tutela della proprietà intellettuale per le imprese di
entrambe le parti, con particolare attenzione alle esigenze delle
piccole e medie imprese e delle start-up. In questo spirito, le parti
si impegnano ad avviare un meccanismo di dialogo bilaterale fra
le competenti Autorità sul tema della tutela della proprietà
intellettuale, finalizzato alla condivisione di informazioni sulle
rispettive politiche settoriali e migliori pratiche e alla facilitazione
degli scambi riguardo ad eventuali criticità o problematiche di
particolare rilevanza.
Indicazioni geografiche (IG). Le parti esprimono la
volontà di collaborare ulteriormente nel campo delle indicazioni
geografiche, convenendo di rafforzare lo scambio di informazioni
e la cooperazione nel quadro dell’Accordo sulle Indicazioni
Geografiche tra Cina e Unione Europea. Accolgono con favore
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l’adozione di due Protocolli d’Intesa volti a rafforzare la
cooperazione per la tutela delle Indicazioni Geografiche e a
facilitare scambi di informazioni, expertise ed eventi congiunti di
promozione in materia.
E-commerce. Nell’ambito dell’e-commerce fra i due Paesi,
le parti concordano di migliorare ulteriormente le capacità delle
piccole e medie imprese di proporsi nelle piattaforme di ecommerce e promuovere i prodotti nazionali assicurando la
necessaria assistenza alla tutela delle indicazioni geografiche e
della proprietà intellettuale. Le parti sono disposte a rafforzare
ulteriormente il dialogo e la cooperazione nella logistica, al fine
di migliorare la qualità e la tempestività del servizio e
promuovere lo sviluppo dell’E-commerce tra i due Paesi.
Agricoltura. Le parti concordano di approfondire la
cooperazione tra i due Paesi in ambito agricolo, anche favorendo
gli scambi di personale, con particolare attenzione al commercio
agroalimentare, allo sviluppo delle aree rurali, alla ricerca e allo
sviluppo tecnologico. Le parti si impegnano a continuare nel
negoziato dei protocolli per l’esportazione di prodotti
agroalimentari con l’obiettivo di favorire l’accesso dei prodotti al
mercato.
Cooperazione sulla sicurezza alimentare. Le parti
intendono rafforzare gli scambi e la cooperazione sulla
regolamentazione della sicurezza alimentare ed esprimono
apprezzamento per la sottoscrizione del Piano d’Azione (2024-
2026) tra l’Amministrazione Statale per la Regolamentazione del
Mercato della Repubblica Popolare Cinese e il Ministero della
Salute della Repubblica Italiana.
Collaborazione nei mercati terzi. Sulla base del
memorandum d’intesa sulla cooperazione nei mercati terzi
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sottoscritto nel 2018, le parti continueranno a offrire sostegno agli
elenchi di progetti prioritari concordati e a supportare le rispettive
aziende che intendono realizzare progetti di cooperazione in Paesi
terzi.
2. Cooperazione economica e settore finanziario
Le parti sostengono lo svolgimento a rotazione del Dialogo
Finanziario tra i Ministri delle Finanze dei due paesi, intendono
approfondire la comunicazione e la cooperazione nei settori della
politica macroeconomica, della governance globale e delle
finanze, continuando ad ampliare le relazioni economiche e
finanziarie sino-italiane.
Le parti condividono l’interesse a sfruttare appieno il
potenziale di cooperazione in materia di investimenti di
portafoglio e ad incoraggiare varie forme di cooperazione, con
particolare riferimento al commercio, all’industria dei servizi e
alla protezione e sviluppo del patrimonio culturale.
Le parti riconoscono l’importanza della Banca Asiatica di
Investimento per le Infrastrutture (AIIB) e delle altre banche
multilaterali di sviluppo nel sostegno agli investimenti in
infrastrutture e connettività e nella promozione di uno sviluppo
sostenibile.
Le parti sono disposte a sostenere la cooperazione e gli
scambi tra gli istituti di credito e di investimento e del relativo
personale. Nel rispetto dei requisiti legali e relativi regolamenti
di vigilanza dei due Paesi, le parti supportano – a condizione di
reciprocità – la creazione di nuove banche e istituti finanziari e
filiali nei rispettivi Paesi e lo svolgimento delle relative attività.
Finanza verde. Le parti esprimono interesse a rafforzare la
cooperazione finanziaria per accelerare la transizione verde,
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facilitare una maggiore aderenza delle rispettive istituzioni
finanziarie ai principi internazionali per la finanza sostenibile, e
promuovere i finanziamenti delle istituzioni finanziarie
internazionali per il contrasto ai cambiamenti climatici e per
ridurre la perdita di biodiversità, nel quadro dei principi
concordati a livello internazionale e nell’ambito della G20
Sustainable Finance Roadmap.
Supervisione dell’audit. Sulla base del rispetto reciproco
della sovranità e delle rispettive leggi e regolamenti interni, le
parti esploreranno la possibilità di negoziare e firmare accordi
bilaterali di cooperazione per la supervisione dell’audit.
Industria. Le parti attribuiscono grande importanza agli
scambi e alla cooperazione nel settore dell’industria e sono
disponibili ad approfondire la cooperazione nei settori di maggior
rilievo per lo sviluppo dell’economia digitale. Esprimono
apprezzamento per la firma del Memorandum d’intesa sulla
cooperazione industriale tra i due Paesi.
3. Innovazione scientifica e tecnologica, istruzione
Le parti sottolineano l’importanza dell’innovazione
scientifica e tecnologica per promuovere lo sviluppo economico
e sociale e valutano con apprezzamento i risultati della
cooperazione bilaterale nel campo dell’innovazione scientifica e
tecnologica, sostengono lo svolgimento con cadenza annuale
della “Settimana Italia-Cina della Scienza, della Tecnologia e
dell’Innovazione”, anche quale occasione per favorire incontri
regolari tra i Ministri competenti per l’innovazione scientifica e
tecnologica.
Concordano sull’opportunità di rafforzare ulteriormente il
ruolo della Commissione mista Cina-Italia per la cooperazione
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scientifica e tecnologica e la cooperazione nella ricerca congiunta
in aree di comune interesse, oltre che sull’importanza di attuare
progetti di formazione superiore congiunti su specifici ambiti
quali ambiente, energia, ricerca polare e sviluppo sostenibile.
Ricerca scientifica. Le parti intendono continuare a creare
condizioni favorevoli per gli scambi di ricercatori in ambito
scientifico e d’istruzione e a facilitare la nascita di nuove
opportunità per la formazione congiunta di talenti di alto livello e
la ricerca scientifica che coinvolgano le rispettive università e gli
istituti di ricerca. Proseguiranno l’attuazione del Programma
esecutivo fra il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione
Internazionale e il Ministero della Scienza e Tecnologia cinese, e
della Dichiarazione Congiunta per la cooperazione scientifica e
tecnologica fra il Ministero degli Affari Esteri e della
Cooperazione Internazionale e la National Natural Science
Foundation of China (NSFC). Le parti continueranno a
promuovere la cooperazione per la manifattura avanzata, le
tecnologie aeronautiche verdi e altri settori di comune interesse.
Le parti concordano sull’opportunità di rafforzare la
cooperazione in ambito polare, soprattutto nell’area del Mare di
Ross in Antartide dove è situata la Stazione di Ricerca italiana
“Mario Zucchelli” e la Stazione di Ricerca cinese “Qin Ling”.
Le parti intendono continuare a collaborare, tanto in ambito
bilaterale, quanto a livello multilaterale, nel settore “mari e oceani”
e in quello afferente alla protezione della biodiversità.
Spazio. Le parti riconoscono l’importanza della
cooperazione nel campo spaziale, anche per affrontare sfide
globali quali il cambiamento climatico, la protezione dagli
asteroidi e la gestione dei detriti spaziali, e concordano
sull’importanza di confrontarsi in materia con particolare
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riferimento alla collaborazione in atto tra la China National Space
Administration (CNSA) e l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Le
parti riconoscono l’importanza del Memorandum d’Intesa sulla
cooperazione per il monitoraggio elettromagnetico del satellite
CSES-02 in vista del lancio nel 2024, e della cooperazione nella
missione di esplorazione degli asteroidi TianWen 2.
Istruzione e rapporti accademici. Le parti concordano di
continuare a rafforzare gli scambi e la cooperazione nel campo
dell’istruzione e della formazione superiore, universitaria e
artistico-musicale, ed esprimono apprezzamento per la firma del
«Programma esecutivo di collaborazione nell’ambito
dell’istruzione tra il Ministero dell’Istruzione Cinese e il
Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale
italiano (2024-2027)». Intendono discutere sull’istituzione del
meccanismo di consultazione periodica tra Ministri
dell’Istruzione, incoraggiano le università dei due Paesi ad
organizzare il Forum dei Rettori delle Università Cina-Italia in
Cina e a rafforzare la cooperazione tra le università dei due Paesi
nella coltivazione di talenti, nella co-organizzazione di corsi
universitari e nella ricerca scientifica congiunta. Concordano di
tenere consultazioni periodiche tra esperti sull’istruzione dei due
Paesi. Sostengono inoltre l’ulteriore espansione degli scambi
reciproci di studenti e studiosi e continueranno a promuovere
l’insegnamento della lingua cinese in Italia e della lingua italiana
in Cina, e a discutere l’introduzione futura dell’italiano negli
esami cinesi. Le parti intendono rafforzare ulteriormente la
cooperazione nel campo dell’istruzione professionale, che
consente di formare tecnici specializzati di alto livello.
4. Sviluppo verde e sostenibile
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Le parti ribadiscono la loro volontà di rafforzare la
cooperazione nell’attuazione della «Convenzione Quadro delle
Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici» e dell’«Accordo di
Parigi», riconoscendo gli ambiziosi obiettivi e le importanti
misure concrete già adottate nei rispettivi Paesi.
Le parti esprimono apprezzamento per lo svolgimento del
primo Global Stocktake alla COP28 di Dubai e ribadiscono
l’obiettivo dell’«Accordo di Parigi» di contenere l’aumento della
temperatura globale ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli
preindustriali e di proseguire gli sforzi per limitare l’aumento
della temperatura a 1.5°C al di sopra dei livelli pre-industriali,
riconoscendo che ciò possa ridurre significativamente i rischi e
gli impatti dei cambiamenti climatici. Nel contempo sottolineano
l’importanza di intraprendere con urgenza azioni di sostegno per
il raggiungimento di tale scopo. A tal fine, le parti concordano di
lavorare insieme per contribuire agli obiettivi globali identificati
al fine di attuare una transizione energetica che consenta di
superare il ricorso ai combustibili fossili giusta, ordinata ed equa,
con particolare attenzione agli sforzi per triplicare l’energia
rinnovabile installata a livello globale e raddoppiare il tasso
medio annuo a livello globale di miglioramento dell’efficienza
energetica entro il 2030.
Le parti concordano di promuovere la cooperazione in settori
quali le politiche e le tecnologie di protezione ambientale, le
materie prime e le tecnologie per l’energia pulita, l’efficienza
energetica, la risposta ai cambiamenti climatici, la conservazione
della biodiversità, l’economia circolare e il capacity-building, e
intendono promuovere congiuntamente la formazione sinoitaliana nell’ambito della protezione dell’ambiente, del contrasto
al cambiamento climatico, dell’abbattimento delle emissioni di
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gas serra e dello sviluppo sostenibile, con particolare attenzione
alle giovani generazioni. Le parti concordano sulla necessità di
continuare ad agire per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030
delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile e sono pronte a
cooperare nei relativi settori correlati.
5. Cooperazione medico-sanitaria
Le parti intendono promuovere lo sviluppo di contatti tra gli
istituti di ricerca medica e le organizzazioni professionali
sanitarie dei rispettivi Paesi, nonché a rafforzare gli scambi di
personale e la cooperazione pratica nei settori della prevenzione,
del trattamento e della riabilitazione delle malattie croniche
(come i tumori e le malattie cardiovascolari), della formazione
del personale sanitario, della gestione ospedaliera, della salute
digitale e della telemedicina, della prevenzione e del controllo
delle malattie infettive e della risposta alle emergenze sanitarie,
dell’assistenza sanitaria di base e della medicina generale, nonché
della salute degli anziani.
Le parti intendono rafforzare la cooperazione nell’ambito del
Piano d’azione per la cooperazione sanitaria 2024-2026 e del
“Memorandum di Intesa tra il Ministero della Salute della
Repubblica Italiana e l’Agenzia Italiana del Farmaco e
l’Amministrazione Nazionale dei Prodotti Sanitari della
Repubblica Popolare Cinese sulla collaborazione normativa in
materia di medicinali, dispositivi medici e cosmetici”. Sono
altresì disposte a rafforzare ulteriormente la cooperazione nella
supervisione dei prodotti farmaceutici.
Le parti sostengono il ruolo centrale delle Nazioni Unite e
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nella salvaguardia
della salute globale e sono pronte a collaborare per promuovere il
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rafforzamento della governance della salute pubblica globale.
6. Rapporti culturali, scambi people-to-people,
patrimonio culturale e collaborazione nel contrasto a
criminalità e nella gestione delle calamità naturali.
Collaborazione culturale. Le due parti convengono
sull’importanza di rafforzare la cooperazione tra le istituzioni
culturali al fine di promuovere la conoscenza reciproca tra le due
civiltà e lo sviluppo di collaborazioni nella creatività
contemporanea. In occasione del 700° anniversario della morte di
Marco Polo, grande promotore della conoscenza reciproca e del
dialogo tra le civiltà italiana e cinese, le parti rinnovano
l’intenzione di dare ulteriore slancio alle relazioni culturali tra le
due Nazioni, dopo il successo dell’Anno della Cultura e del
Turismo Cina-Italia nel 2022. Concordano di lavorare insieme per
accrescere la cooperazione tra musei, siti archeologici, archivi,
teatri d’opera e orchestre sinfoniche, e per sviluppare i rapporti tra
le rispettive accademie d’arte e scuole di musica.
A tal fine, concordano di firmare al più presto un nuovo
protocollo esecutivo della cooperazione culturale tra i due
Governi, che includa anche il settore dell’editoria. Italia e Cina
collaboreranno inoltre alla realizzazione di eventi culturali che
rendano omaggio alla figura di Marco Polo e al suo ruolo nella
storia delle relazioni bilaterali.
Le due parti continueranno a sostenere il ruolo positivo
svolto dal Forum culturale sino-italiano, quale importante
piattaforma di dialogo e cooperazione tra le rispettive istituzioni
culturali e turistiche.
Le parti riconoscono l’importanza della collaborazione nel
campo del cinema-audiovisivo e favoriranno la diffusione delle
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opere cinematografiche e audiovisive della controparte sul
proprio territorio, la partecipazione di artisti ed operatori del
settore ai rispettivi festival del cinema e la collaborazione tra le
due industrie cinematografiche e audiovisive. Concordano inoltre
di accelerare la negoziazione dell’accordo sulle co-produzioni
cinematografiche.
Tutela del patrimonio culturale. Italia e Cina continueranno
a lavorare insieme per intensificare la cooperazione tra musei,
istituti archeologici e siti di patrimonio e altre istituzioni culturali
e museali. Incoraggeranno la cooperazione nei settori della lotta
al traffico illecito di reperti archeologici e del recupero e
restituzione degli stessi, della loro conservazione e restauro, dei
progetti congiunti e della organizzazione di mostre sui
ritrovamenti archeologici.
Si impegnano a promuovere la collaborazione nella tutela e
conservazione del patrimonio culturale materiale e immateriale,
anche attraverso la condivisione di esperienze nel settore
dell’innovazione tecnologica.
Concordano di sviluppare la collaborazione nell’ambito
dell’educazione, della formazione e della ricerca applicata al
patrimonio culturale, favorendo lo scambio di informazioni ed
esperienze nonché organizzando convegni su temi di comune
interesse.
Gemellaggi. Le parti convengono sull’importanza della piena
attuazione del progetto di gemellaggio tra la Cina e l’Italia sui siti
del patrimonio mondiale dell’UNESCO e sono disposte a
promuovere attivamente i gemellaggi tra i siti del Patrimonio
Mondiale dei due Paesi, dando impulso ai nuovi gemellaggi tra il
Palazzo d’Estate di Pechino e Villa Adriana e Villa d’Este a Tivoli,
in Italia, e tra i Giardini Classici di Suzhou e Venezia e la sua
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laguna.
Turismo. Le parti ribadiscono l’importanza del turismo nel
migliorare la comprensione reciproca tra i due popoli e nel
promuovere la ripresa economica post-pandemia. Concordano di
promuovere la crescita sostenibile di alta qualità dei flussi
turistici tra i due Paesi, anche attraverso l’organizzazione di
iniziative di promozione turistica, e la cooperazione tra gli enti e
le industrie del turismo, continuando anche a lavorare,
nell’ambito dei rispettivi quadri normativi, per migliorare
l’efficienza delle procedure in materia di rilascio dei visti.
Nell’ambito delle iniziative finalizzate al rilancio del
turismo, si impegnano a sostenere le rispettive compagnie aeree
al fine di incrementare ulteriormente i collegamenti aerei diretti,
anche attraverso l’ampliamento dei punti di destinazione nei due
Paesi.
Patenti di guida. Le parti confermano il reciproco interesse
a proseguire il negoziato per un accordo sul riconoscimento
reciproco delle patenti di guida.
Sport. La Cina sostiene l’organizzazione da parte dell’Italia
delle Olimpiadi e Paralimpiadi invernali di Milano-Cortina
D’Ampezzo del 2026 e le parti sono disposte a cogliere questa
occasione per approfondire ulteriormente la cooperazione nel
settore sportivo. Incoraggiano in questo contesto i rispettivi
dipartimenti ed organizzazioni sportive a rafforzare i contatti e
sviluppare la loro collaborazione, anche nei preparativi per le
Olimpiadi invernali.
Contrasto a criminalità organizzata. Le parti sono
disposte a rafforzare ulteriormente gli scambi e la cooperazione
nei settori della lotta contro le sostanze stupefacenti, le frodi (sia
nelle telecomunicazioni che in rete), i reati economici e finanziari,
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l’immigrazione clandestina e la criminalità organizzata
transnazionale.
Cooperazione sulla gestione delle calamità. Le due parti
intendono rafforzare la cooperazione nei settori della prevenzione
e mitigazione delle catastrofi e del soccorso in caso di emergenza,
nonché lavorare congiuntamente per migliorare le capacità di
gestione delle catastrofi.
7. Comitato Governativo Cina-Italia
Le parti riconfermano l’importanza del lavoro del Comitato
Governativo Cina-Italia, in raccordo con gli altri meccanismi di
collaborazione e coordinamento bilaterale, ai fini della
realizzazione degli obiettivi previsti dal presente Piano d’azione.
CONTRIBUITE!! AL MOMENTO I VERSAMENTI COPRONO UNA PARTE DELLE SPESE VIVE DI CIRCA € 3.000,00. NE VA DELLA SOPRAVVIVENZA DEL SITO “ITALIA E IL MONDO”. A GIORNI PRESENTEREMO IL BILANCIO AGGIORNATO _GIUSEPPE GERMINARIO
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Domande aperte | Justin Lin Yifu sul terzo plenum cinese, la sovraccapacità e la necessità di evitare il destino del Giappone.
Il professore ed ex economista della Banca Mondiale afferma che la politica industriale cinese è essenziale per alimentare l’innovazione ed evitare una depressione simile a quella giapponese
Justin Lin Yifu è professore di economia all’Università di Pechino ed ex capo economista della Banca Mondiale. Si ritiene che la sua teoria della “nuova economia strutturale” – che consiglia ai governi dei Paesi in via di sviluppo di assumere un ruolo attivo nella costruzione e nell’ottimizzazione della loro base industriale – abbia influenzato le politiche economiche di Pechino nell’ultimo decennio e ha previsto che la Cina “supererà gli Stati Uniti, in base al tasso di cambio di mercato, intorno al 2030” e supererà la trappola del reddito medio “entro due o tre anni”. È stato consigliere del Consiglio di Stato cinese dal 2013 al 2023.
In questa ultima intervista della serie Open Questions, Lin approfondisce le sue proiezioni, analizza i documenti emessi sulla scia dell’attesissimo terzo plenum ed espone il rapporto tra governi e mercati. Per altre interviste della serie Open Questions, cliccarequi.
Un aspetto che sta ricevendo attenzione in Cina è il futuro della riforma orientata al mercato. Anche se il “ruolo decisivo” del mercato nell’allocazione delle risorse è stato menzionato nel testo integrale del documento decisionale del terzo plenum recentemente concluso, l’espressione è stata omessa dalla sintesi iniziale, il cheha suscitato alcune preoccupazioniper un declassamento del ruolo del mercato. Come lo interpreta?
Essendo già stato designato come “ruolo decisivo” nell’allocazione delle risorse, è difficile trovare parole che possano enfatizzare ancora di più il ruolo del mercato.
È noto che il fallimento del mercato è un fenomeno comune nello sviluppo economico. Pertanto, il terzo plenum propone di ottimizzare il ruolo del governo e di garantire una regolamentazione efficace per “rimediare al fallimento del mercato”.
Dove si verifica il fallimento del mercato? Può essere diverso a seconda dei settori e delle fasi di sviluppo. Pertanto, se il governo vuole svolgere un ruolo migliore, deve essere flessibile e adottare misure in base alla situazione.
Non si tratta quindi di un declassamento del ruolo del mercato, ma di un’ulteriore spiegazione e miglioramento del ruolo del governo, il cui scopo ultimo è lasciare che il mercato svolga un ruolo decisivo nell’allocazione delle risorse.
La terza decisione del plenum ha anche detto che il governo dovrebbe “eliminare le restrizioni”, ma quando c’è un fallimento del mercato, o quando si verifica un monopolio, deve “sforzarsi di mantenere meglio l’ordine”.
COME AVVIENE
Avvisi sulle ultime notizie
Le ultime notizie da Hong Kong, dalla Cina e dal mondo – direttamente nella vostra casella di posta elettronica, non appena accadono.
Dal punto di vista della nuova economia strutturale, un governo efficace è la condizione per un mercato efficiente e un mercato efficiente è l’obiettivo di un governo efficace.
Perché un governo efficace è la condizione per un mercato efficiente? Perché se il governo non gestisce o non interviene quando ci sono fallimenti del mercato e monopoli, il mercato non sarà efficiente.
E qual è lo scopo delle azioni del governo? È quello di rendere il mercato più efficiente, quindi un mercato efficiente è l’obiettivo di una governance efficace. I fallimenti del mercato non scompariranno se il governo non fa nulla. Ma se le azioni del governo superano le esigenze di un mercato efficiente, possono impedire al mercato di svolgere un ruolo decisivo nell’allocazione delle risorse. Si tratta quindi di un atto di bilanciamento.
In sintesi, la decisione di migliorare il mercato è stata presa in risposta alle nuove situazioni che si presentano nell’attuale fase di sviluppo economico della Cina. Le politiche governative devono essere flessibili: le restrizioni dovrebbero essere ulteriormente eliminate per aiutare le imprese a cogliere le opportunità di sviluppo. Ma quando si verificano monopoli e rischi sistematici, il governo deve essere in grado di mantenere l’ordine.
Il Partito Comunista Cinese conclude la riunione politica tra crescenti incertezze
Lei è considerato un convinto sostenitore della politica industriale. In base al documento decisionale del terzo plenum, sembra che Pechino continuerà ad assegnare risorse ai settori favoriti. Se da un lato la Cina ha ottenuto successi in settori specifici come quello dei veicoli elettrici (EV), dall’altro si teme una cattiva allocazione o uno spreco,investimenti eccessivi o sovraccapacità. Cosa ne pensate?
Lo sviluppo economico richiede una continua innovazione tecnologica e un aggiornamento industriale, che a loro volta richiedono ricerca e sviluppo. Nel processo di innovazione si verificheranno inevitabilmente molti fallimenti del mercato. Poiché il prodotto della ricerca è un bene pubblico che non produce profitti elevati, le imprese potrebbero non essere disposte a investire se il governo non le sostiene. E se il governo non fornisce una protezione brevettuale alle nuove invenzioni, le imprese non saranno nemmeno disposte a sviluppare nuove tecnologie, in quanto possono essere facilmente copiate da altri.
Per i Paesi in via di sviluppo, dobbiamo continuare a risalire la scala industriale, passando dalle industrie a bassa produttività a quelle ad alta produttività. Naturalmente, se si vuole avere successo in questo processo, c’è un principio fondamentale: deve essere basato sul vantaggio comparativo.
Se si viola il principio del vantaggio comparativo, si può fallire come pionieri e sopportare tutti i costi. Ma il fallimento può mettere in guardia i ritardatari dal lanciarsi in questa impresa.
Quando i pionieri avranno successo, tutti sapranno che questo nuovo settore è in linea con il nostro vantaggio comparato e lo seguiranno, il che porta alla concorrenza. In questa fase, i pionieri possono solo ottenere profitti medi, che sono allo stesso livello di quelli dei ritardatari.
Quindi, indipendentemente dal successo o dal fallimento, i pionieri industriali creeranno informazioni utili per la società. Tuttavia, i costi e i benefici sono asimmetrici. Se il governo non fornisce una compensazione per l’esternalità informativa creata dai first mover, nessuno sarà disposto a diventarlo e il settore non sarà più aggiornato.
La nuova industria può anche avere bisogno di molte cose che gli imprenditori non possono o sono riluttanti a fornire, come ad esempio lavoratori in grado di utilizzare la nuova tecnologia, perché le aziende possono scoprire che i lavoratori che hanno investito enormi quantità di denaro per la formazione possono essere facilmente attratti da ritardatari e concorrenti con salari leggermente più alti. Altri esempi sono le infrastrutture, le istituzioni finanziarie e legali.
Ma le risorse che il governo può sfruttare sono limitate, quindi dovrebbe allocare risorse limitate alle industrie con vantaggi comparativi. Questa azione è la politica industriale.
Anche se la politica industriale è stata considerata sbagliata per molto tempo, non abbiamo visto nessun Paese sviluppato che sia in grado di mantenere la sua posizione di leader nel mondo senza una politica industriale. Se il governo non sostiene la ricerca di base, le innovazioni tecnologiche ristagnano. Si tratta essenzialmente di politica industriale, anche se non lo riconoscono.
La ricerca di base per le varie tecnologie e industrie in cui gli Stati Uniti sono leader a livello mondiale sono state tutte sostenute dal governo americano nella fase iniziale. Mariana Mazzucato, un’economista italiana, ha definito il governo statunitense uno “Stato imprenditore”.
Purtroppo, però, ai Paesi in via di sviluppo è stato detto che non possono utilizzare le politiche industriali se non per sostenere la ricerca di base. A molti è stato fatto il lavaggio del cervello.
Dalla Seconda Guerra Mondiale, sono poche le economie in via di sviluppo che sono state in grado di recuperare il ritardo rispetto ai Paesi sviluppati, poiché la maggior parte di esse è caduta nella trappola della povertà o del reddito medio – ad eccezione di alcune economie dell’Asia orientale e di Israele, che hanno utilizzato politiche industriali attive per sostenere lo sviluppo dei loro vantaggi comparativi.
Gli intellettuali dei Paesi in via di sviluppo hanno la responsabilità di riassumere le nostre esperienze… Non dobbiamo semplicemente aspettare che i Paesi sviluppati ci dicano cosa possiamo o non possiamo fare.
Sostengo la politica industriale non perché mi piaccia. Seguo il principio che, per svilupparsi, qualsiasi economia deve lasciare che il mercato svolga il suo ruolo, dare agli imprenditori sufficienti incentivi e fare leva sul governo per superare i fallimenti del mercato che gli imprenditori non possono risolvere da soli. La politica industriale è uno degli strumenti, e sono felice di vedere che negli ultimi tempi questo è diventato un consenso.
Gli intellettuali dei Paesi in via di sviluppo hanno la responsabilità di riassumere le nostre esperienze e proporre nuove teorie. Non dobbiamo semplicemente aspettare che i Paesi sviluppati ci dicano cosa possiamo o non possiamo fare. Dovremmo fare ciò che riteniamo efficace.
Naturalmente, la maggior parte delle politiche industriali alla fine fallisce. In queste circostanze, credo che gli studiosi non dovrebbero dire che, poiché ci sono dei fallimenti, siamo contrari alla politica industriale. Così come non possiamo dire che non abbiamo bisogno di imprenditori perché la maggior parte delle start-up alla fine fallisce.
Dovremmo invece studiare che tipo di politiche industriali hanno successo, in modo che quando ne formuleremo altre in futuro potremo garantire una maggiore probabilità di successo e una minore probabilità di fallimento.
Lei ha detto che pensa che la Cina diventerà la più grande economia del mondointorno al 2030, e rifiuta l’idea che la Cina possaseguire la strada del Giapponeper una stagnazione economica. Può dirci quali sono le ragioni di questa scelta?
Negli anni ’80, il prodotto interno lordo del Giappone ha raggiunto il 65-70% di quello degli Stati Uniti. Oggi l’economia cinese è tra il 60 e il 70% di quella statunitense, quindi la situazione sembra essere la stessa.
L’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti del Giappone all’epoca era un po’ come quello attuale nei confronti della Cina: non puoi superarmi. Se cercate di superarmi, userò varie scuse per sopprimervi. Negli anni ’80, molte delle aziende leader mondiali nel settore dei semiconduttori si trovavano in Giappone e le auto giapponesi erano migliori, più economiche e di qualità superiore rispetto a quelle americane.
Nel 1985 furono firmati gli Accordi di Plaza. Questo costrinse il Giappone ad aumentare il tasso di cambio dello yen da 260 yen per dollaro USA a 120 yen per dollaro USA, rendendo le esportazioni giapponesi meno competitive.
Per quanto riguarda le esportazioni di auto giapponesi, il governo statunitense ha addotto come scusa l’eccesso di capacità produttiva e ha limitato il numero di auto che potevano essere esportate negli Stati Uniti ogni anno. Allo stesso tempo, le aziende automobilistiche giapponesi sono state obbligate a investire negli Stati Uniti per la produzione.
Gli Stati Uniti hanno anche affermato che i chip prodotti in Giappone avrebbero minacciato la loro sicurezza nazionale, quindi i giapponesi hanno dovuto trasferire la tecnologia attraverso joint venture con aziende americane e la produzione non poteva essere concentrata in Giappone. I chip sono stati quindi trasferiti a Samsung, TSMC o di nuovo negli Stati Uniti.
Di conseguenza, il Giappone ha vissuto una depressione economica durata 30 anni. Negli anni ’80, il PIL pro capite del Giappone era circa il 130% del PIL pro capite degli Stati Uniti. Ora è meno della metà e il PIL totale del Giappone è inferiore al 20% di quello degli Stati Uniti.
Non credo che la Cina seguirà la strada del Giappone.
La Cina ha ancora molti vantaggi da ritardatario nell’aggiornamento delle sue industrie. Il suo attuale PIL pro capite è solo un quarto di quello degli Stati Uniti, se calcolato a parità di potere d’acquisto. Se calcolato con i tassi di cambio di mercato, è circa un sesto.
Inoltre, a causa della quarta rivoluzione industriale, la Cina si trova a competere con i Paesi sviluppati in nuove industrie come l’IA e i big data partendo dalla stessa linea di partenza.
Allo stesso tempo, la Cina ha quattro vantaggi in questi nuovi settori. In primo luogo, queste nuove tecnologie richiedono lavoratori qualificati e la Cina ne ha molti.
In secondo luogo, la Cina dispone di un ampio mercato interno in cui le nuove invenzioni possono entrare immediatamente. Quando si realizzano economie di scala, i costi di produzione sono bassi, il che rafforza la competitività globale.
In terzo luogo, se queste nuove invenzioni richiedono hardware, la Cina ha il miglior ecosistema produttivo.
In quarto luogo, la Cina combina il ruolo di un mercato efficiente con quello di un governo efficace. In Cina abbiamo una politica industriale.
Perché il Giappone è rimasto indietro? Il termine politica industriale è stato coniato dai giapponesi. È stato dopo la Seconda Guerra Mondiale che il Ministero dell’Industria e del Commercio giapponese ha iniziato a usare questa espressione per indicare gli sforzi compiuti dal governo per sostenere lo sviluppo di nuove industrie.
Ma dopo gli Accordi del Plaza, gli Stati Uniti dissero che la politica industriale era sbagliata, visto che c’erano stati molti fallimenti, e che i Paesi non avrebbero dovuto più utilizzarla. Il Giappone ha ascoltato.
Pensateci. Dopo gli anni ’80, quali industrie leader a livello mondiale sono state inventate dal Giappone? Lo sviluppo economico del Giappone è ristagnato perché ha rinunciato alla politica industriale per incubare nuove industrie. Ma la Cina non lo farà e continuerà a svilupparsi.
All’epoca tutti pensavano che l’economia giapponese avrebbe superato quella statunitense, ma alla fine sono stati ingannati. E la Cina non si farà ingannare.
Il sentimento nel settore privato è piuttosto basso, anche se una migliore protezione delle imprese private faceva parte delle dichiarazioni del terzo plenum. In quei documenti si è parlato di legislazione per proteggere il settore privato e si è proposto di permettere loro diassumere la guidadei progetti di ricerca nazionali, ma allo stesso tempo ci si è impegnati a rendere il settore statale “più forte, migliore e più grande”. Qual è il suo punto di vista? Che cosa si dovrebbe fare per aumentare la fiducia delle imprese private?
“Alle imprese private manca la fiducia”, dicono tutti. Ma ora le imprese più performanti in Cina sono aziende private, in settori come i veicoli elettrici, i pannelli solari e le batterie al litio. Non hanno fiducia? In caso contrario, come possono svilupparsi così bene e avere una così grande competitività sui mercati nazionali e internazionali?
Quindi, quando diciamo che le imprese private non hanno fiducia, può dipendere dal settore. Possono essere industrie tradizionali. Possono contare sulle esportazioni. Queste aziende non sono disposte a investire ora, ma qual è il motivo?
Il mercato internazionale non si è ancora ripreso. Prima del 2008, il tasso di crescita economica mondiale era di circa il 4,5% annuo e il tasso di crescita del commercio globale più del doppio. Dopo il 2008, il tasso di crescita economica mondiale è sceso a poco più del 3%, con un calo di un terzo, e il tasso di crescita del commercio è stato inferiore al tasso di crescita economica.
La Cina, in quanto maggiore esportatore mondiale, è stata la più colpita da questo fenomeno. Oltre il 95% delle esportazioni cinesi proviene da imprese private. Quando la crescita annuale delle esportazioni del Paese è scesa da oltre il 15% a solo il 5% circa, è emersa una grande capacità in eccesso.
È vero che molte imprese private non hanno fiducia negli investimenti, perché sono influenzate da questi fattori esterni.
Molti attribuiscono la mancanza di fiducia delle imprese private all’espansione del settore statale. È vero che la percentuale di imprese statali (SOE) nell’economia complessiva è aumentata dal 2008. Ma l’aumento è stato il risultato della compressione delle imprese private? Oppure perché il settore privato non funzionava e le aziende di Stato non avevano altra scelta se non quella di intervenire in modo anticiclico per stabilizzare la crescita economica e l’occupazione?
Negli ultimi anni, tutti i principali progetti di infrastrutture pubbliche, come autostrade, ferrovie ad alta velocità e comunicazioni 5G, sono stati realizzati dalle aziende di Stato. Queste aziende hanno aumentato gli investimenti e la loro quota nell’economia è cresciuta.
Ma questo ha compresso o aiutato le imprese private? In realtà, si è trattato più della seconda ipotesi. Perché quando le aziende di Stato realizzano investimenti, creano posti di lavoro, determinando un aumento del reddito dei residenti e quindi dei consumi. E i prodotti di consumo sono tutti prodotti da imprese private.
Quando le aziende di Stato investono in grandi progetti infrastrutturali, anche l’acciaio, il cemento e le attrezzature sono per lo più prodotti da aziende private, quindi questi investimenti creano nuovi mercati per loro.
Le aziende di Stato cinesi sono concentrate in settori legati alle infrastrutture di difesa o a monopoli naturali come l’energia e le telecomunicazioni. Queste sono essenziali per mantenere la sicurezza economica e lo sviluppo, quindi ovviamente devono essere rese “più grandi e più forti”.
E se diventano più grandi e più forti, possono ridurre i costi di transazione delle imprese private. Ad esempio, le infrastrutture cinesi sono le migliori tra i Paesi in via di sviluppo, ed è per questo che aziende come Meituan, Pinduoduo e JD.com possono crescere così velocemente in Cina.
Quindi, quando parliamo di rendere le aziende di Stato più grandi e più forti, dobbiamo guardare a quali settori. Non sono in concorrenza con le imprese private, ma si rafforzano in settori che servono alle imprese private o alla salvaguardia della sicurezza nazionale, il che in ultima analisi favorisce lo sviluppo del settore privato.
Costruire un “mercato nazionale unificato” è stato portato come obiettivo chiave. Sebbene tale concetto sia presente in documenti governativi risalenti agli anni ’90, ha ricevuto maggiore attenzione negli ultimi anni. In che modo un mercato di questo tipo può aiutare l’economia cinese? Quali sono gli ostacoli e come possono essere superati?
La Cina è una grande economia e la circolazione interna è un vantaggio fondamentale. Se il mercato nazionale è frammentato anziché unificato, questo vantaggio non ci sarà. La riforma e l’apertura sono un processo graduale e a doppio binario. All’inizio, il governo ha mantenuto molti interventi nell’economia.
Ha continuato a ridurre diverse industrie pesanti ad alta intensità di capitale, violando il vantaggio comparativo per mantenere la stabilità. Ha inoltre liberalizzato gli investimenti per le imprese private e straniere in alcune industrie di trasformazione ad alta intensità di lavoro, in linea con il vantaggio comparativo, aiutandole attivamente a risolvere i fallimenti del mercato, come la carenza di infrastrutture, con la costruzione di complessi industriali in cui l’ambiente imprenditoriale poteva essere migliorato immediatamente. Questi settori ad alta intensità di lavoro hanno così potuto svilupparsi rapidamente. Questo è uno dei motivi principali per cui la Cina ha potuto mantenere la stabilità e allo stesso tempo raggiungere un rapido sviluppo.
Tuttavia, a causa degli interventi, il funzionamento del mercato non è stato regolare. Per sovvenzionare le industrie ad alta intensità di capitale, il governo è intervenuto sui prezzi dei fattori, compresi i prezzi delle risorse minerarie e i tassi di interesse.
Ma la graduale riforma cinese a doppio binario è stata molto efficiente. Le industrie con vantaggi comparativi si sono sviluppate rapidamente, accumulando ingenti capitali, e le vecchie industrie ad alta intensità di capitale si sono gradualmente allineate al vantaggio comparativo, non avendo più bisogno di protezioni o sussidi. Per questo motivo il terzo plenum del 2013 ha proposto di lasciare che il mercato giochi un ruolo decisivo nell’allocazione delle risorse, perché non abbiamo più bisogno che il governo intervenga artificialmente sui prezzi.
Questa è solo una delle condizioni per un mercato nazionale unificato. La formazione di un mercato nazionale unificato dipende anche dalla qualità delle infrastrutture. Se le infrastrutture non sono buone, si avranno solo mercati regionali, non un mercato nazionale.
Naturalmente, negli ultimi anni le infrastrutture cinesi sono migliorate. Quindi, che si tratti di liberalizzazione dei prezzi di mercato o di infrastrutture, le condizioni per un mercato nazionale unificato sono gradualmente migliorate, ma sono emerse anche nuove situazioni.
Ad esempio, i dati sono diventati un nuovo elemento. Per assicurarci che i dati possano fluire in base alla domanda del mercato, dobbiamo chiarire chi è il proprietario dei dati e chi può utilizzarli. Devono esserci dei regolamenti.
Per creare un mercato nazionale unificato, la Cina deve migliorare continuamente il contesto politico in base alla nuova situazione.
Innanzitutto, la riforma fiscale e tributaria. Ora, tutti sono molto preoccupati per i debiti degli enti locali. Perché le amministrazioni locali hanno questi debiti? Perché ai nostri governi locali non è stato permesso di avere un deficit nel loro bilancio.
Dopo la crisi finanziaria internazionale del 2008, la Cina ha intrapreso molti progetti infrastrutturali per stabilizzare l’occupazione e la crescita economica. All’interno del pacchetto di stimolo di 4.000 miliardi di yuan (551 miliardi di dollari), il governo centrale ha fornito solo 1.200 miliardi di yuan, mentre i restanti 2.800 miliardi di yuan hanno dovuto provenire dai governi locali.
Ma poiché non potevano avere un deficit, hanno creato piattaforme di investimento locali e preso in prestito denaro dalle banche per costruire questi progetti. Poiché il denaro è stato sottoscritto con il credito del governo locale, è diventato inevitabilmente un debito nascosto. Anche se non sono indicati nel bilancio, la responsabilità appartiene ai governi locali.
Un problema è che questi progetti infrastrutturali sono a lungo termine, ma il denaro preso in prestito è un debito a breve termine, quindi c’è un disallineamento.
Il contenimento economico della Cina da parte degli Stati Uniti creerà certamente delle difficoltà alla Cina, ma anche a se stessi.
Come risolvere questo problema? Innanzitutto, il problema del debito pubblico locale in Cina non è così grave come sembra. Una grande differenza tra il debito delle amministrazioni locali cinesi e quello di altri Paesi è che il debito estero è un debito reale, perché la maggior parte del denaro preso in prestito viene utilizzato per stimolare i consumi o alleviare la disoccupazione. La maggior parte del debito delle amministrazioni locali cinesi, invece, è stata utilizzata per investimenti in infrastrutture, il che significa che ci sono attività sottostanti ai debiti, quindi il debito netto è molto più piccolo di quello nominale.
In secondo luogo, molti Paesi in via di sviluppo prendono in prestito denaro in valuta estera e i debiti delle amministrazioni locali cinesi sono denominati in yuan. Di solito i debiti in valuta nazionale non rischiano di provocare una crisi, poiché il Paese può stampare più denaro.
Quindi non dobbiamo preoccuparci troppo del problema del debito cinese, ma non significa che non sia necessario risolverlo. E la soluzione è proprio quella indicata nei documenti del terzo plenum: far sì che le entrate fiscali dei governi locali corrispondano alle loro responsabilità.
E se il governo centrale dovesse emanare una politica che necessita di infrastrutture, il denaro dovrebbe provenire dalle tasche del governo centrale.
Credo che il terzo plenum dimostri che la riforma fiscale della Cina sta andando nella giusta direzione. Seguiranno dettagli più specifici, forse in occasione della riunione del Politburo, della conferenza annuale del lavoro economico centrale o del 15° Piano quinquennale.
Un’altra riforma degna di nota è quella dell’hukou, il sistema di registrazione delle famiglie. Il processo di sviluppo economico è accompagnato dall’urbanizzazione, con l’ingresso delle popolazioni rurali nelle città.
Ma con il nostro vecchio sistema di hukou, quando le popolazioni rurali si trasferivano in città, potevano lavorare o acquistare proprietà, ma non potevano godere degli stessi servizi pubblici – sanità, istruzione per i bambini – dei residenti urbani. Ora queste restrizioni non ci sono più.
Si tratta quindi di una riforma istituzionale molto importante, che rappresenta un altro elemento chiave per la creazione di un mercato nazionale unificato, come abbiamo detto in precedenza.
Il mercato nazionale unificato cinese è già abbastanza perfetto in termini di flusso di prodotti e materie prime. L’ostacolo principale è il mercato dei fattori, compreso il mercato del lavoro. La riforma dell’hukou è quindi fondamentale per approfondire ulteriormente il sistema economico di mercato.
Con l’inasprimento del contenimento tecnologico da parte degli Stati Uniti e l’aumento delle minacce di aumento delle tariffe, cosa dovrebbero fare il governo cinese e le imprese per mantenere la crescita economica o la crescita delle loro aziende? Se gli Stati Uniti impongonotariffe del 60%su tutte le merci cinesi, o tariffe aggiuntive, come dovrebbe rispondere la Cina?
Truppe per il nemico, terra per le inondazioni: ci sarà sempre una via d’uscita. La Cina dovrebbe continuare a sfruttare i propri vantaggi per sviluppare bene la propria economia, aprire la propria economia e far sì che lo sviluppo della Cina diventi qualcosa su cui gli altri Paesi possano fare affidamento.
Il contenimento economico della Cina da parte degli Stati Uniti creerà certamente difficoltà alla Cina, ma anche a se stessi.
Perché l’inflazione è così alta negli Stati Uniti? Perché è più conveniente importare direttamente dalla Cina. Ora, invece della Cina, importa a costi più elevati dal Messico e dal Sud-Est asiatico, anche se molti beni intermedi provengono ancora dalla Cina. Quindi, anche se le esportazioni cinesi negli Stati Uniti sono diminuite, le nostre spedizioni in Messico, Vietnam, Cambogia, Indonesia e Malesia sono aumentate. Quindi l’impatto complessivo [dei dazi USA] sugli Stati Uniti è maggiore di quello sulla Cina.
Ji Siqi è entrata a far parte del Post nel 2020 e si occupa di economia cinese. Si è laureata alla Columbia Journalism School e all’Università di Hong Kong.
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Un articolo da leggere con attenzione, sotto diversi aspetti. Offre una lettura interessante, ma parziale, delle direttrici che informano le politiche e le dinamiche geopolitiche tracciate dal mondo occidentale a trazione statunitense da una parte e dalle potenze alternative, in primis Cina, India e Russia, ormai progressivamente affermatesi sullo scacchiere. La politica dei “valori” è certamente un veicolo e un biglietto da visita del mondo occidentale tanto più arrogante, quanto sempre meno gradito dalla quasi totalità del resto del mondo. Se da una parte rivela, appunto, l’arroganza e la pretesa di superiorità morale di una parte, dall’altra è una maschera tanto più angusta e tanto più strumentale all’alimentazione dei conflitti di natura tribale e politico-sociali di particolari paesi, quanto più la prosaicità delle dinamiche geopolitiche spinge ad adattare la retorica e l’imposizione e la rimestazione di questi “valori” a fini particolari. Basterebbe evidenziare, a titolo di esempio, il rapporto ambiguo ed ipocrita adottato dai paesi occidentali nei confronti del radicalismo islamico quando si tratta di destabilizzare i regimi in Africa e in Asia o di segmentare le realtà sociali delle proprie formazioni sociali in nome della difesa delle minoranze. L’articolo sfiora solamente un altro aspetto fondamentale destinato a segnare l’esito del confronto geopolitico e geoeconomico: il mondo occidentale ha ormai ben poco da offrire in termini di attività produttive e di partecipazione alle filiere economico-finanziarie, semplicemente perché ne è sempre meno in possesso. Tant’è che la potenza egemone occidentale, gli USA, è sempre più cosciente della necessità di recupero di queste capacità tutt’altro che semplice da realizzare; non lo è altrettanto della necessità di garantire una redistribuzione delle filiere all’interno del proprio “giardino di casa” tale da garantire solidità e sufficiente coesione ad una propria sfera di influenza concorrente con altre in formazione. Un dilemma, quindi, quello del mantenimento della “globalizzazione” che attraversa con modalità ed obbiettivi diversi e contrapposti non solo gli Stati Uniti, ma anche la Cina ed altri paesi, un po’ meno la Russia. Vi è, comunque, un anelito di emancipazione, giustamente sottolineato nell’articolo, che riguarda un numero sempre più ampio di paesi che al momento trovano un comune denominatore nell’individuazione di una propria strada autonoma e nella distinzione più o meno marcata dal mondo occidentale. Da qui alla fondatezza di una retorica di stabile e duratura contrapposizione del “sud globale” al mondo occidentale ce ne corre a dispetto dei partigiani a prescindere degli schieramenti che si stanno profilando. Più probabile che, man mano che il mondo occidentale arriverà a ridimensionarsi, probabilmente e sperabilmente a frammentarsi, ad equipararsi, a meno di tracolli, alla forza delle potenze emergenti, si arrivi ad una forma di multipolarismo che offra a tanti, maggiori opportunità, ma anche maggiori occasioni di conflitto diffuso. Più che di un dilemma tra pace e confronto catastrofico, una alternativa tra confronto catastrofico finale o di nuove forme possibili di bipolarismo opprimente da una parte ed uno stillicidio di focolai con protagonisti diversi ed alternativi in rapporto di cooperazione e/o conflitto connaturati ad una fase di multipolarismo sempre più accentuata dall’altra. Su questa eventualità si dovrà ragionare a dispetto delle stesse intenzioni ripetutamente espresse dal Sud-Globale di diniego di una fase multipolare, in realtà probabilmente ritenuta prematura dai centri decisori più decisivi, per circoscrivere le possibilità e le opportunità dei paesi europei e dell’Italia in particolare, classi dirigenti permettendo. Buona lettura, Giuseppe Germinario
Il “Sud globale” è diventato una parola d’ordine negli affari internazionali, in quanto le nazioni in via di sviluppo chiedono un ordine globale più equo. Ma quanto questa definizione è in grado di cogliere le complesse realtà di regioni come il Sud-Est asiatico?
La rinascita del discorso sul Sud globale è stata alimentata dall’intensificarsi della competizione tra grandi potenze, in quanto Cina, India e altri si contendono l’influenza posizionandosi come suoi campioni.
La Cina è diventata abile nel cooptare il linguaggio del “Sud globale” per criticare l’Occidente e promuovere i propri interessi, propagandando la necessità di un “vero multilateralismo” e di una globalizzazione “universalmente vantaggiosa”. Il primo ministro indiano Narendra Modi ha esortato i leader dell’Asean a “elevare il Sud globale nell’interesse comune di tutti”. E il Giappone ha cercato di essere un ponte tra il Sud globale e il Nord.
Tuttavia, la diversità all’interno del Sud globale stesso sfida le narrazioni semplicistiche. Le nazioni del Sud-Est asiatico, ad esempio, presentano una serie di livelli di sviluppo, preoccupazioni per la sicurezza e legami economici che le distinguono da una visione monolitica del “mondo in via di sviluppo”. Pur condividendo alcune sfide comuni, questi Paesi fanno scelte di politica estera basate principalmente sui loro interessi nazionali, piuttosto che allinearsi completamente alla retorica del Sud globale.
Questa sfumatura si perde spesso tra i grandi pronunciamenti delle grandi potenze. Mentre competono per guidare e rappresentare il Sud globale, rischiano di nascondere l’eterogeneità stessa che lo definisce. La vera solidarietà richiede la comprensione della complessità del Sud globale, non la sua sussunzione in comode categorie geopolitiche.
Il primo ministro indiano Narendra Modi ha già detto che il suo Paese sta “diventando la voce del Sud globale”. Foto: EPA-EFE
Sud globale: cosa c’è in un nome?
Il significato del termine “Sud globale” e la sua rilevanza analitica o politica rimangono controversi, data la varietà di Paesi in via di sviluppo che comprende. Il suo significato è spesso assunto e piegato da diversi Paesi per promuovere le proprie agende, ma in generale indica il divario socio-economico tra il “Nord” industrializzato e il “Sud” in via di sviluppo postcoloniale.
Il termine si è imposto negli anni ’70 e ’80 come alternativa meno dispregiativa al “Terzo Mondo”, usato per distinguere le nazioni in via di sviluppo non allineate dalle democrazie del “Primo Mondo” e dall’ormai defunto blocco comunista del “Secondo Mondo”. Per i suoi sostenitori, il Sud globale significa il desiderio di un ordine mondiale multipolare che sfidi i valori e i privilegi liberali occidentali.
Queste differenze di opinione si sono accentuate negli ultimi anni, a causa dello spostamento del potere globale dall’area transatlantica a quella indo-pacifica, dell’ascesa di potenze non occidentali come la Cina e l’India e del relativo declino dell’Occidente. Tuttavia, il fatto che Cina e India, i due leader autoproclamati del Sud globale, non siano in grado di forgiare una solidarietà asiatica a causa delle loro dispute territoriali e dei loro interessi nazionalistici, sottolinea l’eterogeneità intrinseca del concetto.
Nonostante queste contraddizioni, alcune caratteristiche sono generalmente associate al Sud globale. In primo luogo, rappresenta lo stato di sottosviluppo e il divario economico tra i Paesi in via di sviluppo e quelli industrializzati, come si evince dall’appartenenza al Gruppo dei 77 contro l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico o G7. Questa frattura è percepita dal Sud globale come radicata nell’era coloniale e sostenuta dal capitalismo globale, perpetuato dagli squilibri del sistema internazionale del secondo dopoguerra che favoriscono i Paesi occidentali.
Il termine Sud Globale … fa riferimento a un’intera storia di colonialismo, neo-imperialismo e cambiamenti economici e sociali differenziati.
Storicamente, i Paesi del Sud globale hanno anche condiviso la solidarietà normativa nell’anticolonialismo, nell’anti-neocolonialismo, nell’anti-egemonismo e nella difesa del multipolarismo. Hanno sempre chiesto riforme della governance globale, sottolineando l’importanza della sovranità nazionale, resistendo alle agende occidentali centrate sui diritti umani e sulla democrazia e chiedendo un accesso più equo ai mercati, alle tecnologie e ai finanziamenti. Come giustamente affermato da Nour Dados e Raewyn Connel, “il termine Sud globale funziona più come una metafora per il sottosviluppo. Fa riferimento a un’intera storia di colonialismo, neo-imperialismo e cambiamenti economici e sociali differenziali attraverso i quali sono state mantenute grandi disuguaglianze negli standard di vita, nell’aspettativa di vita e nell’accesso alle risorse”.
Il concetto di Sud globale piace anche alle potenze non occidentali in cerca di maggiore influenza. Fa pressione sull’Occidente affinché si concentri maggiormente sulle esigenze economiche dei Paesi in via di sviluppo, anziché limitarsi a promuovere un’agenda basata sui valori. Sebbene il Sud globale sia un gruppo eterogeneo, l’uso sempre più frequente del termine dimostra che la realtà della sua esistenza conta meno del modo in cui le nazioni lo sfruttano per promuovere i propri interessi.
La Cina, in particolare, è stata attiva nel sostenere il Sud globale. Presentandosi come il più grande Paese in via di sviluppo del mondo, la Cina ha coltivato profondi legami istituzionali con questo gruppo di Paesi attraverso strutture come il “G-77 e la Cina“. Pechino ha anche ampliato strategicamente Brics per includere più Paesi in via di sviluppo. Ciò è in linea con gli sforzi della Cina di riposizionare il Sud globale come centrale nella sua politica estera, come si vede in iniziative come l’Iniziativa per lo sviluppo globale e l’Agenzia cinese per la cooperazione allo sviluppo internazionale.
Gli investimenti della Cina nel Sud globale servono ai suoi obiettivi strategici in un contesto di intensificazione della competizione con gli Stati Uniti e di allontanamento dall’Occidente. L’allineamento con il Sud globale consente alla Cina di sfidare il dominio occidentale e di acquisire maggiore influenza nella formazione dell’ordine globale. Ciò ha anche una forte logica economica, poiché i Paesi in via di sviluppo sono emersi come importanti mercati per i beni, gli investimenti e i finanziamenti cinesi. Di fronte al crescente protezionismo degli Stati Uniti e dei loro alleati, la Cina sta raddoppiando il suo orientamento economico verso il mondo in via di sviluppo.
Il presidente cinese Xi Jinping stringe la mano al presidente sudafricano Cyril Ramaphosa a Pretoria lo scorso anno. Foto: Bloomberg
Sebbene gli Stati Uniti non abbraccino esplicitamente il concetto di “Sud globale”, riconoscono l’imperativo strategico di competere con la crescente influenza della Cina nel mondo in via di sviluppo. Ciò si riflette nei recenti cambiamenti politici, come la nuova strategia nei confronti dell’Africa subsahariana, l’inaugurazione del Partenariato per le Americhe per la prosperità economica e le sostanziali donazioni di vaccini Covid-19 a 116 Paesi in via di sviluppo. La proposta di un bilancio di 63 miliardi di dollari per il Dipartimento di Stato e l’USAID nel 2024 sottolinea questa priorità strategica di “sfidare la Cina” e affrontare le sfide dello sviluppo globale.
Tuttavia, l’approccio statunitense differisce da quello cinese. Mentre la Cina si concentra sulla costruzione di infrastrutture e sull’integrazione economica, l’agenda di sviluppo degli Stati Uniti è più orientata ai valori e pone l’accento su democrazia, parità di genere, lotta alla corruzione e azione per il clima.
Gli Stati Uniti hanno anche cercato di mettere in comune le risorse con i loro partner dell’Indo-Pacifico per offrire una “migliore proposta di valore” ai Paesi in via di sviluppo. Iniziative come il Quad Vaccine Partnership e il Build Back Better World del G7 mirano a soddisfare le esigenze infrastrutturali e ad affrontare le sfide globali. Tuttavia, questi sforzi hanno incontrato dei limiti in termini di risultati tangibili, spesso dovuti alla discrepanza tra piani ambiziosi e finanziamenti insufficienti.
Inoltre, lo spostamento dell’amministrazione Biden verso la sicurezza economica e la rivitalizzazione industriale in patria ha implicazioni per i Paesi in via di sviluppo. Una maggiore enfasi sul reshoring e sul friendshoring comporta maggiori restrizioni all’accesso al mercato, alle tecnologie e agli investimenti statunitensi. Inoltre, la dipendenza degli Stati Uniti dal settore privato per gli investimenti esteri in uscita pone dei limiti strutturali all’adeguamento rispetto agli investimenti statali della Cina nei Paesi in via di sviluppo.
Fuochi d’artificio illuminano il cielo notturno di Singapore. Sebbene il Sud-Est asiatico sia spesso raggruppato con il Sud globale, la regione presenta un’ampia diversità in termini di sviluppo economico. Foto: Xinhua
Punti di convergenza
Sebbene il Sud-Est asiatico sia generalmente classificato come parte del Sud globale, la regione presenta una notevole diversità in termini di livelli di sviluppo. Singapore e il Brunei si distinguono per i livelli di prodotto interno lordo pro capite superiori alla media OCSE e per gli indici di sviluppo umano paragonabili o addirittura superiori ai Paesi OCSE. I restanti Paesi del Sud-Est asiatico, invece, si collocano ben al di sotto della media OCSE, con un PIL pro capite compreso tra 1.000 e 12.000 dollari.
Per quanto riguarda l’appartenenza a istituzioni multilaterali associate al Sud globale, tutti i Paesi del Sud-Est asiatico fanno parte del Movimento dei non allineati (NAM) e del G-77, che difendono gli interessi collettivi delle nazioni in via di sviluppo. In questi forum, i leader del Sud-Est asiatico sottolineano l’importanza della sovranità, della riforma delle istituzioni multilaterali per una maggiore equità, dell’eliminazione delle discriminazioni commerciali e della garanzia di assistenza finanziaria per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Per quanto riguarda il cambiamento climatico, essi sostengono il principio delle “Responsabilità comuni ma differenziate e delle rispettive capacità”, evidenziando il contributo storico dei Paesi sviluppati alle emissioni di gas serra e chiedendo un sostegno climatico per i Paesi in via di sviluppo.
Dal punto di vista politico, i Paesi del Sud-Est asiatico hanno dimostrato un allineamento normativo con il Sud globale – inclusa la Cina – attraverso le loro modalità di voto all’ONU. Hanno sostenuto i “valori asiatici” come alternativa all'”egemonia della democrazia liberale” e appoggiano costantemente risoluzioni allineate con le prospettive del Sud globale in materia di diritti umani e democrazia. Ciò include l’opposizione a misure coercitive unilaterali, la difesa di “approcci alternativi” ai diritti umani e l’affermazione del diritto allo sviluppo. Anche il loro comportamento di voto su questioni come la decolonizzazione, come la condanna degli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati, si allinea al Sud globale, in netto contrasto con la posizione degli Stati Uniti.
Tuttavia, è importante notare che le decisioni di politica estera del Sud-Est asiatico sono guidate principalmente dai rispettivi interessi e priorità nazionali, piuttosto che dalla solidarietà ideologica con il Sud globale. La diversità e l’approccio pragmatico della regione fanno sì che le politiche estere non sempre corrispondano alle aspettative normative associate al Sud globale.
Soldati russi sparano con un cannone semovente da una posizione non rivelata in questo fotogramma di un video pubblicato questo mese durante la guerra in Ucraina. Foto: Servizio stampa del Ministero della Difesa russo via AP
Le risposte del Sud-Est asiatico alle principali questioni globali sono state diverse, sfidando le ipotesi di allineamento uniforme all’interno della regione o con il Sud globale. Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, i Paesi coprono un ampio spettro: Singapore ha imposto sanzioni e sostenuto le risoluzioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che condannano la Russia, le Filippine sono passate dall’astensione al sostegno, mentre l’Indonesia, Malesia, Cambogia e Tailandia mantengono la neutralità, e Vietnam e Laos si sono prevalentemente astenuti.
Allo stesso modo, nonostante la diffusa simpatia per il popolo palestinese e il sostegno alla creazione di uno Stato palestinese indipendente, le risposte del Sud-Est asiatico al conflitto Israele-Gaza sono state diverse tra le nazioni a maggioranza musulmana e quelle non musulmane. Indonesia, Malesia e Brunei hanno condannato l’occupazione e le azioni di Israele, mentre Singapore e le Filippine hanno condannato gli attacchi di Hamas. Tailandia e Vietnam hanno espresso preoccupazione ma sono rimasti più neutrali.
Più vicino a noi, la questione del Mar Cinese Meridionale rivela come le nazioni del Sud-Est asiatico, e più in generale del Sud Globale, abbiano dato priorità ai propri interessi rispetto alla difesa del diritto internazionale contro grandi potenze come la Cina. Nelle recenti riunioni del NAM, l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico ha faticato a raggiungere un consenso sul linguaggio di condanna delle azioni della Cina nel Mar Cinese Meridionale.
I successi economici del Sud-Est asiatico negli ultimi decenni sono stati più legati alle interconnessioni Nord-Sud che alla cooperazione Sud-Sud. La regione si distingue come una storia di successo della globalizzazione economica. Ad eccezione delle Filippine, tutti i Paesi del Sud-Est asiatico hanno aumentato i livelli di reddito dopo la Guerra Fredda. Il loro sviluppo è profondamente legato ad ampi flussi commerciali, di investimenti e di tecnologia sia con i Paesi sviluppati che con quelli in via di sviluppo. L’Asean è sempre stato uno dei principali destinatari di investimenti diretti dall’estero, raggiungendo 224 miliardi di dollari nel 2022, pari al 17% degli IDE globali, nonostante rappresenti solo l’8% della popolazione mondiale.
Una nave portacontainer attracca al porto di Tianjin, nel nord della Cina. Collettivamente, l’Asean è il principale partner commerciale della Cina. Foto: Xinhua
Collettivamente, l’Asean è il primo partner commerciale della Cina, il secondo del Giappone e della Corea del Sud, il terzo dell’UE e il quarto dell’India e degli Stati Uniti. Come ha osservato lo studioso Ian Chong, gran parte di questa prosperità è stata raggiunta grazie all’accesso al capitale e alla tecnologia del Nord globale, che ha permesso al Sud-Est asiatico di integrarsi nelle catene di approvvigionamento globali e di produrre beni destinati principalmente al mercato del Nord globale.
In particolare, l’Asean ha mantenuto un robusto surplus commerciale con i Paesi del Nord globale, con una media di 82,4 miliardi di dollari nel periodo 2013-2022, mentre ha sostenuto un deficit commerciale equivalente di 84 miliardi di dollari con la Cina nello stesso periodo. Questa dinamica commerciale assomiglia sempre di più a un modello Nord-Sud, con la Cina che esporta beni manifatturieri di alto valore e ad alta tecnologia, mentre alcuni Paesi del Sud-Est asiatico esportano principalmente prodotti di base o fungono da luoghi di assemblaggio e confezionamento. In queste relazioni economiche, il perseguimento del potere economico nazionale e la logica del capitalismo hanno la precedenza su qualsiasi nozione astratta di solidarietà Sud-Sud.
Le realtà economiche dei Paesi del Sud-Est asiatico dimostrano che essi sono stati partecipanti attivi e beneficiari dell’attuale sistema economico, e non vittime o passivi sostenitori dei prezzi. Infatti, attraverso l’Asean e altri approcci minilaterali, hanno creato una rete di accordi regionali di libero scambio con i principali partner commerciali, plasmando attivamente regole in linea con i loro interessi. Sebbene esistano delle rimostranze, in particolare per quanto riguarda le condizionalità commerciali imposte dai Paesi sviluppati per motivi ambientali o politici, esse non rappresentano un malcontento generalizzato nei confronti del sistema, come invece sottintende la retorica del Sud globale.
Il Giappone si pone ai Paesi del Sud globale come contrappeso della Cina in Africa e Asia meridionale
La rinascita del discorso sul Sud globale ha amplificato le voci dei Paesi in via di sviluppo, compresi quelli del Sud-Est asiatico, consentendo loro di esprimere le proprie rimostranze e di difendere i propri interessi in modo più assertivo.
Tuttavia, le realtà della politica e dell’economia globale sono molto più complesse, diversificate e ricche di sfumature di quanto suggerisca il semplicistico binomio Nord-Sud. Questa complessità è particolarmente pronunciata nel Sud-Est asiatico, come esemplificato dalla copertura delle scommesse dell’Indonesia tra il Sud e il Nord del mondo.
Da un lato, l’Indonesia ha sostenuto a gran voce il discorso del Sud globale, sostenendo lo sviluppo di industrie a valle nella catena di approvvigionamento EV e criticando le normative dell’UE sulla deforestazione. Dall’altro, ha presentato domanda di adesione all’OCSE, cercando di sfruttare gli standard OCSE e il sostegno dei pari per il suo sviluppo.
Questo approccio pragmatico e inclusivo è emblematico della formula storica del successo del Sud-Est asiatico: la capacità di integrarsi e di creare un ponte tra diversi sistemi di valori, piuttosto che allinearsi rigidamente a un particolare blocco ideologico.
Hoang Thi Ha è Senior Fellow e Coordinatore del Programma di studi strategici e politici regionali, ISEAS – Yusof Ishak Institute. Cha Hae Won è Research Officer presso il Regional Strategic and Political Studies Programme, ISEAS – Yusof Ishak Institute.Questo articolo è stato adattato daISEAS Perspective 2024/45 “Southeast Asia and the Global South: Rhetoric and Reality”pubblicato dall’ISEAS – Istituto Yusof Ishak.
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Al vertice NATO di Washington, la Cina è stata ripetutamente citata nel comunicato finale.Questo deterioramento delle relazioni segna l’aumento delle tensioni tra la Nato e l’Asia.
Le dichiarazioni contraddittorie della NATO dopo il vertice di Washington ricordano le cinque fasi di Kübler-Ross, in particolare la prima: la negazione della realtà. [Il mondo è cambiato, non siamo più nella Guerra Fredda o nell’unipolarismo post-Guerra Fredda. Rifiutando di accettarlo, la NATO si impantana nella menzogna, inventando una realtà alternativa per combattere la sua crescente ansia, ad esempio sognando di stabilire la sua controparte nell’Asia-Pacifico. Tutto ciò è destinato a creare ulteriori disordini e conflitti.
La NATO (Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord) è stata creata nel 1949 per difendere il Nord Atlantico. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, è diventata un’organizzazione obsoleta, ma non vuole riconoscere e accettare questa realtà, cercando disperatamente (inventando) la sua nuova missione e diventando unafonte di problemi.
La NATO ha recentemente celebrato il suo 75° anniversario con grande clamore a Washington. Tuttavia, quando abbiamo letto la dichiarazione emersa dal vertice, siamo rimasti completamente sbalorditi. Non sappiamo se considerarlo un documento geopolitico o un riassunto di sintomi psichiatrici.
La Nato è fermamente convinta di essere un’alleanza difensiva
Curiosamente, durante la Guerra Fredda, la NATO ha sganciato pochissime bombe su Paesi stranieri. Dalla fine della Guerra Fredda, la Nato ha sganciato quantità massicce di bombe su molti Paesi. Tra marzo e giugno 1999, i bombardamenti della NATO hanno ucciso circa 500 civili nell’ex Jugoslavia. Gli attacchi aerei della Nato in Libia nel 2011 hanno sganciato 7.700 bombe e ucciso circa 70 civili[3].
Nonostante le sue azioni offensive e aggressive, la Nato continua a considerarsi e a definirsi un’alleanza difensiva. Alcuni riassumono il tutto come “75 anni di NATO, 75 annidi negazione”[4 ] La NATO non è un’alleanza difensiva e nega la natura del suo comportamento aggressivo, raccontando instancabilmente questa bugia a se stessa e creando un gigantesco divario psichico tra realtà e percezione.
LaNATO designa la Cina, contro ogni evidenza, come il “fattore decisivo” nella guerra in Ucraina.
La Nato è convinta che la Cina “stia ora giocando un ruolo decisivo nella guerra della Russia contro l’Ucraina ‘, sostenendo ’materialmente e politicamente lo sforzo bellico russo ‘, in particolare attraverso il trasferimento di ’ beni a doppio uso, come componenti di armi, attrezzature e materie prime, che vengono poi utilizzati dal settore della difesa russo ”.
La Cina non ha iniziato questa guerra. Non appoggia questo conflitto e sostiene la pace. Il suo commercio con la Russia fa parte del normale commercio tra i due Paesi. Per quanto riguarda le armi russe, è importante notare che il 95% dei loro componenti elettronici proviene dall’Occidente. 5] La Russia rimane un importante fornitore di uranio per gli Stati Uniti. 6] Vale anche la pena di menzionare il ruolo dell’India come grossista di petrolio e gas russo, in particolare per i Paesi europei. 7] Queste accuse contro la Cina sembrano quindi infondate.
La NATO immagina la Cina come il suo principale nemico, sostenendo che essa pone “sfide sistemiche alla sicurezza euro-atlantica”.
A suo avviso, la Cina “mostra ambizioni e persegue politiche coercitive” contrarie agli interessi, alla sicurezza e ai valori della NATO. Questa proiezione delle proprie caratteristiche serve come base per il suo pericoloso sogno ad occhi aperti. Ai suoi occhi, questo nemico immaginario giustifica pienamente la creazione di una NATO Asia-Pacifico.
Si rifiuta di riconoscere i risultati degli sforzi della Cina come costruttore di pace nel mondo, come la mediazione tra Iran e Arabia Saudita, tra le 14 fazioni palestinesi, tra Israele e Palestina e tra Ucraina e Russia.
La NATO vuole globalizzarsi, soprattutto nella regione Asia-Pacifico, stringendo alleanze con Giappone, Corea del Sud, Filippine, Australia e Nuova Zelanda.
La NATO è convinta di vivere ancora in un universo unipolare, con il mondo che obbedisce alla bacchetta del suo direttore d’orchestra. Non importa se la NATO si trova nell’Atlantico settentrionale: se dichiara che la Cina è il nemico principale, può legittimamente portare al confronto in Asia e nell’Indo-Pacifico. Può riunire i leader di Australia, Giappone, Nuova Zelanda, Corea del Sud e Unione Europea per discutere delle sfide di sicurezza comuni e delle aree di cooperazione. Questo è il suo ragionamento, sostenuto da un senso di onnipotenza.
Dov’è la NATO?
Le dichiarazioni e le azioni contraddittorie della NATO ci ricordano le 5 fasi di Kübler-Ross, in particolare la prima fase, quella della negazione.
Il mondo è cambiato, non siamo più in un’epoca unipolare. Anche la Cina è tornata. Ma la NATO si rifiuta di riconoscere e accettare questa realtà. Rimane immersa in una mentalità da Guerra Fredda e in costruzioni paranoiche. Incapace di accettare la realtà, ha inventato una realtà alternativa, una sorta di delirio, per evitare la totale distruzione psichica.
Questo comportamento di negazione può essere pericoloso. La negazione e il panico portano a comportamenti disordinati e paranoici, che a loro volta provocano reazioni politico-militari da parte delle potenze, ad esempio dalla Corea del Nord, dalla Cina e dalla Russia, che sta attivamente facendo perno verso est.
Cosa vuole l’Asia?
Quali sono le reazioni dei Paesi asiatici? I Paesi invitati dalla NATO non sono unanimi: ad esempio, l’Australia non ha inviato il suo Primo Ministro al 75° vertice.
La maggior parte dei Paesi dell’Asean (Malesia, Indonesia, Vietnam, Thailandia, ecc.) si oppone alla prospettiva della Nato in Asia, vedendo la sua eventuale presenza come una fonte di problemi e complicazioni.
Kishore Mahbubani riflette il sentimento generale dei Paesi asiatici, in particolare dell’Asean. Nel suo articolo intitolato “Asia, Say no to Nato”, ripubblicato il 12 luglio, ha affermato molto chiaramente che “ Questo (…) è il pericolo maggiore che corriamo se la Nato estende i suoi tentacoli dall’Atlantico al Pacifico: potrebbe finire per esportare la sua disastrosa cultura militarista nell’ambiente relativamente pacifico che abbiamo sviluppato in Asia orientale. (…) Dati i rischi posti all’Asia orientale dalla potenziale espansione della cultura della Nato, tutta l’Asia orientale dovrebbe parlare con una sola voce e dire no alla Nato “[8].
Un esame di realtà
Le conseguenze di un ingresso della Nato in Asia potrebbero solo aggravare le spirali di escalation esistenti con Cina/Russia e avvicinarle.
D’altra parte, sebbene gli Stati Uniti abbiano dispiegato centinaia di basi militari intorno alla Cina[9] e missili a medio raggio nelle Filippine, la Nato non può competere con la potenza terrestre e marittima della Cina. Gli Stati Uniti non sarebbero vittoriosi in una guerra contro la Cina, che mobiliterebbe tutte le sue risorse per difendere la propria patria, compresi i missili ipersonici della serie DF (DF17, DF21, DF26, DF41…),[10 ] elementi chiave della strategia A2AD (Anti-Access/Area-Denial). È anche possibile che la Russia non rimanga passiva in caso di conflitto.
Allo stesso tempo, abbiamo osservato che alcuni membri della Nato mantengono una certa lucidità, come l’Ungheria, la Turchia e la Francia, che nel 2023 si sono opposti all’apertura di un ufficio di collegamento della Nato in Giappone. È probabile che questo risveglio si estenda gradualmente ad altri membri della Nato, come la Turchia che, rifiutando la logica del blocco, ha espresso il desiderio di aderire ai BRICS e all’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO).
[2] NATO: Dichiarazione del vertice di Washington, 10 luglio 2024.
[3] Kishore Mahbubani, Asia, say no to Nato, The Pacific has no need of the destructive militaristic culture of the Atlantic alliance, Straits Times, 25 giugno 2021 ripubblicato il 12 luglio 2024.
[4] Sevim Dagdelen, 75 anni di Nato, 75 anni di negazione, Consortium News, 9 luglio 2024.
[5] La Tribune, Guerre en Ukraine : 95% des composants électroniques des armes russes proviennent d’Occident, dénonce Kiev, 19 gennaio, 2024
[6]Thomas DESZPOT, Uranium russe : les États-Unis ont-ils doulé leurs importations cette année? TF1 Info, 30 agosto 2023
[7]Clément Perruche, L’Inde importe toujours plus de pétrole russe, à prix bradé, Les Echos, 3 giugno 2023
[8] Kishore Mahbubani, Asia, say no to Nato, The Pacific has no need of the destructive militaristic culture of the Atlantic alliance, Straits Times, 25 giugno 2021 (12 luglio 2024).
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Il 26 luglio di quest’anno abbiamo tenuto l’annuale riunione dei ministri degli Affari esteri dell’ASEAN e della Russia. Abbiamo considerato tutti i settori della nostra cooperazione in modo affidabile, concreto e commerciale. Abbiamo adottato una dichiarazione congiunta sul ventesimo anniversario dell’adesione della Russia al Trattato di amicizia e cooperazione nel sud-est asiatico (Trattato di Bali). L’opinione generale è stata che i principi di uguaglianza, mutuo vantaggio, considerazione degli interessi reciproci e ricerca di un equilibrio in esso contenuti rimangono pienamente validi. Soprattutto ora che la regione Asia-Pacifico sta cercando di introdurre una psicologia di blocco, di creare vari meccanismi chiusi e non inclusivi e di promuovere l’introduzione fisica di infrastrutture NATO nella regione. Ciò contraddice il compito di rafforzare l’architettura di sicurezza aseanocentrica, che si è evoluta nel corso di decenni ed è nell’interesse di tutti i partecipanti.
Le parti hanno preso atto della dinamica del commercio e della cooperazione economica. Il fatturato commerciale è aumentato significativamente nel 2023 e ha raggiunto il livello pre-pandemia. Si è parlato delle aree settoriali di cooperazione sancite nel programma di lavoro congiunto: scienza, tecnologia e innovazione, istruzione, turismo, energia, agricoltura.
L’ultima tappa è il coordinamento dei documenti sulla digitalizzazione (nel 2024). La Russia è diventata un partner digitale dell’ASEAN), nonché sulla lotta al terrorismo e sull’uso sicuro delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Si tratta di aree di grande attualità. L’accordo di lavorare su di essi come piani congiunti tra Russia e ASEAN è stato preso in gran parte su nostra iniziativa.
La formazione del personale non solo nelle specialità civili, ma anche per le forze dell’ordine è sempre popolare nei Paesi dell’ASEAN. La domanda di questi “servizi” è in crescita.
In termini concettuali, si è discusso della necessità di sviluppare sul continente eurasiatico un unico sistema di sicurezza indivisibile aperto a tutti i Paesi eurasiatici e alle organizzazioni che vi hanno sede. La SCO e la EAEU stanno dando il buon esempio sviluppando le loro relazioni con l’ASEAN, anche formalizzandole attraverso documenti pertinenti.
Il Vertice dell’Asia orientale (EAS) e il Forum di sicurezza regionale dell’ASEAN (ARF) si svolgono oggi a livello di ministri degli Esteri. Questi formati si concentrano maggiormente sulla contrapposizione tra le tendenze decennali all’interno dell’architettura Asean-centrica e quelle che l’Occidente sta cercando di portare nella regione accelerando la sua militarizzazione, creando strutture di blocco politico-militare ristrette, dispiegando nuove armi e in generale intensificando il confronto.
L’architettura asianocentrica presuppone l’inclusione. L’EAC e l’ARF sono l’ASEAN più tutti i partner significativi di queste strutture (Cina, Russia, Giappone, Corea del Sud e Paesi occidentali). L’Occidente promuove formati più ristretti con l’obiettivo esplicito (non lo nasconde) di contenere Cina e Russia. I nostri partner dell’Associazione ne sono ben consapevoli e hanno mostrato interesse per la già citata iniziativa del Presidente russo Vladimir Putin di formare un sistema di sicurezza eurasiatico indivisibile e paritario. L’ASEAN è pronta per una conversazione concreta su questo tema.
Le parti hanno parlato della situazione nel Mar Cinese Meridionale. La Russia è favorevole a che le dispute territoriali siano risolte dai Paesi interessati senza interferenze esterne. Ha accolto con favore il dialogo in corso tra l’ASEAN e la RPC per sviluppare un codice di condotta nella regione.
Con i nostri amici cinesi abbiamo parlato della situazione nello Stretto di Taiwan. Lì, sebbene l’Occidente ribadisca a parole il suo impegno per il principio di “una sola Cina”, nella pratica promuove approcci conflittuali: arma Taiwan, organizza vari eventi militari, invia delegazioni di alto livello e ospita rappresentanti dell'”amministrazione” taiwanese. Tutto ciò contraddice il principio di “una sola Cina” e mira a perpetuare efficacemente lo status quo, nel senso che l’Occidente percepisce Taiwan come un’entità separata dalla RPC.
Guardate la situazione in Myanmar. Riteniamo importante che i voti della maggioranza dei partecipanti al vertice siano riusciti a incoraggiare il dialogo sull’attuazione del piano in cinque punti sviluppato dall’ASEAN. Il piano deve essere attuato in stretta collaborazione con le autorità del Myanmar. Purtroppo, l’Occidente sta cercando di contenere il processo politico e di sottoporre la leadership del Myanmar a nuove sanzioni, finanziando e armando allo stesso tempo l’opposizione radicale. Questo non aiuta la causa.
Tra le aree pratiche di lavoro all’interno dell’EAC e dell’ARF, vorrei sottolineare la nostra iniziativa di promuovere la formazione di meccanismi a livello regionale per rispondere alle minacce pandemiche e garantire un’ulteriore crescita economica attraverso la promozione della cooperazione nel settore del turismo. Queste iniziative sono state sostenute.
È stato suggerito di considerare un’altra questione di attualità: il problema del sostegno alle aree remote. Si tratta di una delle priorità nazionali della Russia. Su nostra iniziativa, questo tema è stato inserito nell’agenda dell’APEC. Anche la SCO sta prendendo in considerazione elementi separati del compito di sostenere le aree remote e di creare condizioni di vita confortevoli in tali aree. Le organizzazioni dell’ASEAN possono dare un utile contributo allo sviluppo dei relativi piani.
La risposta di emergenza ai disastri naturali e provocati dall’uomo e la lotta alla criminalità transnazionale sono temi importanti nell’agenda della TRA. Uno degli elementi che tradizionalmente attira molta attenzione è la garanzia della sicurezza marittima. Gli amici cinesi hanno proposto (tutti hanno sostenuto) l’adozione di una dichiarazione ministeriale sul rafforzamento della sicurezza dei servizi di traghetto. Una questione apparentemente privata, ma importante nel contesto del compito di massimizzare la fiducia in mare.
Abbiamo riassunto i risultati della co-presidenza di Russia e Indonesia nel meccanismo delle Riunioni intersessionali della ARF sulla sicurezza delle TIC nel 2022-2024, che abbiamo presieduto per tre anni. Continueremo a partecipare a questo lavoro come membri ordinari.
Domanda: Il forum Russia-ASEAN ha discusso la questione del mantenimento della sicurezza e della stabilità nella regione Asia-Pacifico. Cosa o chi la minaccia oggi, destabilizzando la situazione e quale obiettivo viene perseguito? Cosa possiamo fare da parte nostra?
S.V. Lavrov: Per decenni, l’ASEAN ha formato un circolo di partner di dialogo, che alla fine, insieme all’Associazione, ha creato il Vertice dell’Asia orientale. Questo meccanismo opera al massimo livello e a livello di ministri degli Esteri. Esiste anche un Consiglio dei Ministri della Difesa dell’ASEAN e dei loro partner. È stato istituito un formato più ampio, il Forum di sicurezza regionale.
Tutte queste strutture mirano a rispettare i principi su cui sono state istituite – l’uguaglianza, la ricerca di un equilibrio di interessi, l’adozione di accordi per consenso e la concentrazione di tutti gli sforzi su questioni costruttive e costruttive, evitando (per quanto possibile) la retorica conflittuale.
Per molti decenni questo ha funzionato con soddisfazione di tutti. Negli ultimi anni, soprattutto Washington, insieme a Londra e all’Unione Europea (in una certa misura) hanno iniziato a promuovere elementi di un’infrastruttura di blocco qui, anche con una componente nucleare. Il primo passo è stato fatto con la creazione di AUKUS (Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia). Si tratta di un progetto per la costruzione di sottomarini a propulsione nucleare. L’argomento è rischioso e richiede un controllo totale e costante da parte dell’AIEA, per il quale i membri di questo blocco non sono ancora pronti.
Stiamo cercando di garantire che l’Agenzia per l’energia atomica usi i suoi poteri al massimo e che ci sia assoluta trasparenza su questo tema. Finora non abbiamo avuto molto successo. Vediamo la troika AUKUS, che sta cercando di espandersi, coinvolgendo una serie di altri Paesi, e le cui attività pratiche sono essenzialmente volte a “inoculare la tolleranza” in questa regione per quanto riguarda il dispiegamento di componenti di armi nucleari qui. L’accordo ASEAN sulla zona libera da armi nucleari nel sud-est asiatico è in vigore. E questi piani lavorano per minare la Zona libera da armi di distruzione di massa.
C’è un altro elemento inquietante. Recentemente, gli Stati Uniti hanno stipulato un accordo di pianificazione nucleare congiunta con la Repubblica di Corea. Non siamo ancora riusciti a ottenere una spiegazione del suo significato. Non abbiamo dubbi che ciò sollevi ulteriori preoccupazioni. Inoltre, gli americani stanno cercando di coinvolgere il Giappone in questo schema di pianificazione nucleare congiunta.
Inoltre, si stanno creando varie “troike” e “quadruple”. Ad esempio, gli Stati Uniti, il Giappone e la Corea del Sud stanno attivamente agitando l’atmosfera intorno alla penisola coreana, militarizzando la loro presenza in loco e conducendo esercitazioni per essere pronti ad azioni di forza.
A questo proposito, abbiamo sottolineato l’importanza del trattato firmato durante la visita del Presidente russo Vladimir Putin a Pyongyang tra Vladimir Putin e Kim Jong-un. Il documento prevede l’assistenza militare reciproca in caso (lo abbiamo sottolineato) di aggressione contro una delle parti del trattato. Spero che questo abbia inviato un segnale di avvertimento a coloro che potrebbero avere progetti di questo tipo.
Un altro dal regno delle infiltrazioni straniere. La NATO ha annunciato e ribadito all’ultimo vertice di Washington che la sicurezza dei suoi membri è indissolubilmente legata non solo all’area euro-atlantica ma anche a quella indo-pacifica. Ciò è in diretta contraddizione con le assicurazioni iniziali secondo cui la NATO si occupa esclusivamente della difesa del territorio dei suoi Stati membri. Elementi di questa infrastruttura sono previsti nella regione Asia-Pacifico. Gli australiani, i giapponesi e i sudcoreani ci stanno assistendo. Siamo onesti al riguardo. Ma finora non abbiamo ricevuto spiegazioni chiare sul perché non fossero soddisfatti dell’architettura inclusiva che si era sviluppata intorno all’ASEAN e che permetteva di discutere qualsiasi preoccupazione.
Finora, tutti gli argomenti militari nell’ambito dei meccanismi centrati sull’ASEAN erano discussi esclusivamente nel contesto dello sviluppo di misure universali di rafforzamento della fiducia aperte a tutti gli Stati. Ora il tema degli aspetti militari della sicurezza si sta spostando sul versante del confronto.
Sapete bene che gli Stati Uniti si sono ritirati dal Trattato sui missili a raggio intermedio e hanno iniziato a produrre questi missili terrestri (vietati da questo documento). Ci sono già informazioni sui loro piani per dispiegare tali missili in Europa e nella regione dell’Asia-Pacifico. Spero che i Paesi dell’ASEAN siano ben consapevoli del pericolo rappresentato da una simile “idea” di Washington. In altre parole, ci sono molti segnali e segni che indicano che qui si sta preparando un confronto.
In effetti, se la NATO entra qui, l’alleanza porterà con sé tutti i “vizi” del sistema di sicurezza euro-atlantico, che è incarnato dalla NATO e dalla stessa OSCE. Tale sistema di sicurezza euro-atlantico ha dimostrato da tempo che il suo scopo principale è quello di garantire il dominio degli Stati Uniti e degli alleati su tutti gli altri.
L’esempio più chiaro. L’OSCE ha ripetutamente adottato dichiarazioni di vertice al massimo livello secondo cui nessun Paese dell’organizzazione rafforzerà la propria sicurezza a scapito di quella degli altri. Ma la NATO, guidata dagli Stati Uniti, lo ha fatto per tutti questi anni. Alla fine ha portato la situazione all’attuale processo in Ucraina. Da questo Paese hanno cercato di minacciare militarmente la Federazione Russa.
Il resto lo capite tutti perfettamente. Il Presidente russo Vladimir Putin ha parlato in modo molto dettagliato dell’estrema perniciosità del fatto che i nostri ripetuti avvertimenti per molti anni sono stati ignorati. Gli Stati membri hanno violato gli impegni assunti con l’OSCE. L’organizzazione stessa, con nostro rammarico, è stata completamente screditata in questa situazione. Continueremo a difendere la nostra posizione.
Ma l’Occidente attuale non è pronto e non sa ascoltare e sentire. Non è pronto e non sa negoziare. In Occidente, la diplomazia come mezzo per condurre gli affari tra gli Stati ha lasciato il posto agli ultimatum, alle richieste e alla punizione dei disobbedienti attraverso sanzioni illegittime e unilaterali.
Non vorremmo che tutta questa “eredità” fosse trasferita alla regione Asia-Pacifico. Parlando con i Paesi dell’ASEAN, ci è sembrato che essi si rendano conto dei rischi connessi. In ogni caso, hanno un dovere. Hanno il dovere di sostenere le fondamenta del Trattato di Bali e i principi che sono alla base di un’architettura che è stata creata da decenni.
Domanda: Come commenta il rifiuto dei partecipanti occidentali di fare una “foto di famiglia” durante la riunione dei ministri degli Esteri dell’EAC?
S.V. Lavrov: Forse alcuni di loro temono per la loro fotogenicità. Non do molta importanza a questi aspetti protocollari. Ho già detto che l’Occidente si è allontanato dalla diplomazia. Non ne ha più bisogno. L’Occidente ha bisogno di sanzioni. Ma oltre alla diplomazia, ha bisogno anche di immagini per sostenere le sue pretese di essere al comando di tutto e di tutti.
Quando si è tenuto il “vertice di pace” a Bürgenstock, in Svizzera, nel giugno di quest’anno, molti dei Paesi invitati non sono andati. Molti di quelli che ci sono andati non hanno firmato la dichiarazione finale. So che i miei amici mi hanno raccontato in confidenza come l’Occidente e gli ucraini abbiano convinto varie capitali a inviare qualche rappresentante. In risposta ai dubbi espressi dai Paesi del Sud globale, che non volevano andare perché non pensavano fosse nel loro interesse confrontarsi con la Russia, è stato detto loro: “Risolviamo tutto in modo amichevole. Non avrete bisogno di confrontarvi con la Russia”. Dicono che non firmerete nulla, verrete e faremo una “foto di famiglia”. Tutto qui.
Questo dimostra ancora una volta che l’Occidente ha bisogno di un’immagine così semplice, senza alcun approfondimento, per promuovere la sua narrativa.
Ma personalmente non mi ha turbato il fatto che il servizio fotografico non abbia avuto luogo.
Domanda: Come valutano oggi i Paesi ASEAN il desiderio della NATO di estendere la propria influenza nell’Asia-Pacifico?
S.V. Lavrov: Ne ho appena parlato in dettaglio. È chiaro che i Paesi ASEAN non vogliono impegnarsi in un confronto diretto con gli americani e i loro alleati. Ma allo stesso tempo vedono le minacce che ne derivano, anche per la loro posizione di leader nella sicurezza e nella cooperazione nella regione Asia-Pacifico e nel Sud-Est asiatico. Sapendo quanto siano delicati i Paesi dell’Associazione e quanto siano sottili le loro capacità diplomatiche, vedo il loro desiderio di trovare una soluzione diplomatica a questa situazione e di difendere il loro ruolo di leader nella regione.
Vista la pressione con cui l’Occidente, guidato dagli Stati Uniti, sta agendo, non è un compito facile. Oggi c’è un forte sostegno sia da parte nostra che da parte della RPC a questa linea dell’ASEAN in difesa delle sue conquiste, strutture costruite nel corso di decenni. Ma il confronto si sta intensificando.
Domanda: Il tema dell’Ucraina è già stato menzionato. Lei ha avuto un incontro con il ministro degli Esteri cinese Wang Yi. Hanno discusso dell’iniziativa di pace cinese sull’Ucraina, della sua attuazione e delle sue possibilità? Come può commentare le parole di D.I. Kuleba, secondo cui Pechino sostiene l’integrità territoriale dell’Ucraina e che è impossibile fare pressione su di loro e costringerli a negoziare? Cosa ne pensa?
S.V. Lavrov: Per quanto riguarda D.I. Kuleba. Come dovremmo trattarlo altrimenti? Non è la prima volta che lo dice. A volte ha detto l’esatto contrario. Recentemente si è parlato di negoziati. Il signor Zelensky ha accennato alla sua disponibilità a sedersi al tavolo con i rappresentanti russi. Francamente non li ascolto.
Per quanto riguarda le iniziative cinesi. Non avevamo bisogno di familiarizzare con esse. Li conosciamo bene. Abbiamo ripetutamente espresso il nostro atteggiamento nei loro confronti. A differenza di tutti gli altri, le iniziative cinesi, in accordo con il concetto di sicurezza globale presentato in precedenza dal Presidente Xi Jinping, affermano che l’attenzione principale dovrebbe essere rivolta alla comprensione e all’eliminazione delle cause profonde di ciò che sta accadendo ora.
È proprio di questo che continuiamo a parlare: di come tutto è iniziato, di come volevano fare dell’Ucraina una “anti-Russia”, l’hanno riempita di armi, l’hanno trascinata nella NATO, hanno portato al potere un regime nazista che ha iniziato ad abolire tutti i diritti concepibili della popolazione russofona in violazione della Costituzione ucraina, e molto altro ancora.
Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha raccontato come si sono svolti i suoi colloqui con D.I.Kuleba. Abbiamo sentito che la posizione cinese rimane invariata. Anche in questo caso, si tratta di concentrarsi sulle cause profonde.
Per quanto riguarda il formato. La posizione cinese è chiaramente formulata nei documenti. Possiamo parlare della preparazione di una conferenza o di un evento multilaterale solo se i parametri e le condizioni per la convocazione di questo evento sono accettabili per tutte le parti. E solo se tutte le iniziative disponibili saranno messe in agenda. Questo è un rifiuto diretto a lavorare solo sulla base della “formula di pace” di V.A. Zelensky, utopica e illusoria. Tutti hanno già capito che non si concretizzerà mai. Anche se l’Occidente, per inerzia, sta ancora cercando di menzionarlo definitivamente.
Per quanto riguarda l’integrità territoriale. Tutto questo viene dal maligno. L’Occidente afferma di esigere una soluzione della crisi ucraina sulla base della Carta delle Nazioni Unite, nel rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina.
La Carta dell’organizzazione mondiale contiene molti altri principi. Tra questi c’è il principio dell’autodeterminazione dei popoli, che è menzionato nella Carta molto prima del principio dell’integrità territoriale. Sembrerebbe esserci una contraddizione. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite se ne occupa da tempo. Nel 1970, dopo lunghi negoziati, ha adottato per consenso una dettagliata dichiarazione sull’interpretazione dei principi della Carta delle Nazioni Unite. In essa si afferma che tutti devono rispettare l’integrità territoriale di quegli Stati i cui governi rispettano il diritto dei popoli all’autodeterminazione e quindi rappresentano l’intera popolazione che vive sul territorio del Paese in questione.
Nel febbraio 2014, una cricca di nazisti è salita al potere in Ucraina, ha dichiarato l’annullamento dello status della lingua russa e ha inviato bande armate a prendere d’assalto l’edificio del Consiglio Supremo di Crimea. Non potevano in alcun modo rappresentare la popolazione né della Crimea né del sud-est dell’Ucraina. Tutto questo era chiaro.
Il diritto internazionale stabilisce chiaramente chi deve interpretare questa o quella situazione e come. L’Occidente non lo ascolta. Vive secondo le proprie regole. La Crimea ha tenuto un referendum aperto e trasparente con molti osservatori internazionali. I Paesi occidentali rifiutano il risultato, sostenendo una violazione del principio di integrità territoriale. Allo stesso tempo, quando il Kosovo si è separato senza alcun referendum, l’Occidente ha “applaudito” (esso stesso ha “orchestrato” questa secessione) e ha dichiarato che in questo modo gli albanesi del Kosovo hanno realizzato il principio di autodeterminazione dei popoli. La Russia non si fa illusioni su come l'”Occidente collettivo” continuerà il suo “lavoro”.
Domanda: Il cancelliere tedesco O. Scholz invita la Russia a prendere in parola l’Occidente e a fermare l’operazione militare speciale in Ucraina in cambio del non dispiegamento di missili americani a lungo raggio in Germania. Come reagire a queste condizioni? Qual è la probabilità che, anche se l’operazione militare speciale è terminata, la Germania schieri missili americani a lungo raggio sul suo territorio?
S. V. Lavrov: O. Scholz è noto per queste dichiarazioni semplicistiche ed è famoso per le idee “semplici”. Il problema non è che i sistemi terrestri RSMD, un tempo vietati, saranno dispiegati.
L’ Operazione militare speciale non è stata organizzata a tale scopo. Non è stato questo a costringere il Presidente russo Vladimir Putin a prendere la decisione in questione. Era necessario per eliminare le minacce alla sicurezza della Russia che si stavano creando in Ucraina. Era previsto il dispiegamento di basi militari della NATO in quel Paese, anche sul Mar d’Azov.
Contemporaneamente è stata lanciata un’operazione militare speciale per proteggere la popolazione delle repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk che, contrariamente agli impegni assunti da Kiev con gli accordi di Minsk, sono state costantemente sottoposte a bombardamenti che si sono intensificati giorno dopo giorno. La Russia non aveva alcun diritto di non rispondere alla richiesta di riconoscimento dell’indipendenza e al loro appello a invocare l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite sul diritto all’autodifesa collettiva.
Per quanto riguarda i missili a raggio intermedio e a corto raggio che si prevede di consegnare alla Germania. Nessuno ha chiesto al Cancelliere O. Scholz se i tedeschi volessero o meno questo dispiegamento. Quando la notizia si è diffusa, ha semplicemente dichiarato di accogliere con favore la decisione degli Stati Uniti di schierare i missili in Germania. Non ha nascosto che si trattava di una decisione americana.
Nel dicembre 2021, il Presidente russo Vladimir Putin ha presentato iniziative volte a disinnescare l’escalation delle tensioni e a risolvere il problema in modo pacifico. Esse prevedevano la non adesione dell’Ucraina alla NATO e contenevano garanzie di sicurezza reciprocamente accettabili. Le stesse iniziative sono state discusse più volte tra i rappresentanti di Russia e Stati Uniti, Russia e NATO.
Nel gennaio 2022 a Ginevra, ne ho discusso con il Segretario di Stato americano E. Blinken. Egli ha chiarito che nessuno si sarebbe impegnato con la Russia a far sì che l’Ucraina rimanesse non allineata e non entrasse nell’Alleanza. Ha detto che il massimo che gli Stati Uniti possono fare è contrattare “tetti” quantitativi sul futuro dispiegamento di missili a raggio intermedio e a corto raggio intorno alla Russia. Tutto qui.
L’operazione militare speciale non ha cambiato nulla. I piani c’erano e ci sono. Lo scopo della guerra scatenata contro il nostro Paese dalle “mani” del regime di Kiev è dichiarato come “sconfitta strategica” della Russia sul campo di battaglia. Gli occidentali già vagheggiano che se il nostro Paese vince in Ucraina (e, quindi, l’Occidente perde), si “impadronirà” dell’intero territorio della NATO e gli Stati Uniti indeboliranno la loro influenza e il loro controllo su alcuni Stati europei membri dell’Alleanza Nord Atlantica. Non nascondono che si tratta di preservare il dominio globale, che sta sfuggendo sempre più chiaramente, ma che non vogliono perdere. Ha permesso, e permette ancora in larga misura, di vivere a spese degli altri, utilizzando metodi di coercizione neocoloniali.
Domanda: L’ex Segretario di Stato americano M. Pompeo ha delineato un possibile “piano di pace secondo D. Trump”. Cosa può dire di questo pacchetto di misure?
S.V. Lavrov: Non credo sia necessario commentare le numerose idee che sono “spuntate” come da una cornucopia nel contesto della presa di coscienza da parte dell’Occidente dell’inutilità di calcolare la “sconfitta” della Russia quando i Paesi occidentali sono sempre più consapevoli dell’inutilità di Zelensky e del suo regime. Ci sono molte iniziative di questo tipo. Non ricordo di cosa parlasse esattamente Pompeo. Ho sentito dire che, invece di stanziare soldi all’Ucraina “per niente”, Trump ha suggerito di dare all’Ucraina 500 miliardi di dollari su base lend-lease, in modo da generare reddito per i decenni a venire da coloro che si sarebbero cambiati nelle strutture di potere di Kiev. Un approccio da uomo d’affari. Non posso commentare numerose idee che non sono serie.
Se viene proposto qualcosa di serio, allora, come ha detto il Presidente russo Vladimir Putin, siamo sempre pronti a una conversazione onesta, tenendo conto delle realtà attuali. Si tratta della modifica della Costituzione della Federazione Russa. Il documento cita le quattro regioni della Federazione Russa che hanno votato a favore nel referendum. Questa è una delle principali realtà che dovranno essere prese in considerazione. Ce ne sono anche altre. Tra questi, l’inaccettabilità di mantenere nel centro dell’Europa un regime che stermina la minoranza nazionale russa e i suoi diritti, vietando legislativamente e fisicamente tutto ciò che è russo. Un altro elemento che deve essere preso in considerazione è l’inaccettabilità di mantenere un regime con un carattere apertamente nazista, che promuove legislativamente l’ideologia e le pratiche del nazismo. Si tratta di cose serie.
Non solo in Germania, ma anche in molti altri Paesi d’Europa, l’istinto nazista si sta rianimando. Ricordiamo che Hitler riunì quasi tutta l’Europa sotto i suoi vessilli per attaccare l’URSS. Come fece Napoleone prima di lui, che conquistò mezza Europa vestendo la popolazione di questi Paesi con uniformi militari e dirigendola contro l’Impero russo.
La nostra posizione è stata ribadita più volte. D.I.Kuleba afferma che l’Ucraina è pronta per i negoziati, mentre la Russia no. Il Presidente della Federazione Russa V.V.Putin risponde spesso alle domande sulla possibilità di negoziati. In particolare, richiama l’attenzione sul fatto che Zelensky, con un decreto firmato due anni fa, ha vietato a se stesso e a tutto il suo staff di negoziare con la Russia. Il nostro Presidente ha suggerito di annullare pubblicamente questo decreto, in modo che gli occidentali avessero almeno qualche argomento per rimproverarci la nostra riluttanza a negoziare. Non succede nulla. Lasciano che tutto passi sotto le loro orecchie e continuano a chiederci di adottare un “approccio costruttivo”. Nella loro mente, questo significa capitolare. Questo non accadrà. Tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale saranno raggiunti. Su questo non ci sono dubbi.
Domanda: Oggi è apparso sulla sua agenda un incontro non programmato con il Ministro degli Esteri sudcoreano. Chi l’ha organizzato? Di cosa si discuterà?
S.V. Lavrov: Il nuovo ministro degli Esteri della Corea del Sud, Cho Tae-yeol, ha chiesto questo incontro. Abbiamo scambiato qualche parola con loro ieri durante il ricevimento serale e oggi prima della riunione dei ministri degli Esteri del Vertice dell’Asia orientale.
Dal momento che ha chiesto un incontro, lo ascolterò. Probabilmente ha qualcosa da dire. Da parte mia, esporrò con franchezza la nostra valutazione della situazione in cui Seul viene trascinata sempre più a fondo. Mi riferisco alle manovre americane intorno alla penisola coreana con l’obiettivo di “isolare” e “punire” la RPDC. Sono giochi pericolosi. Citerò l’accordo tra gli Stati Uniti e la Repubblica di Corea sulla pianificazione nucleare congiunta. Si tratta di un passo importante. Lo dico sinceramente.
Tra l’altro, negli ultimi due anni, in occasione di questo tipo di eventi, i ministri degli Esteri sudcoreani ci hanno sempre chiesto di incontrarci. Non abbiamo mai rifiutato. Questo è in contrasto con i partecipanti occidentali sia al G20 che ai vertici dell’Asia orientale. Si nascondono sempre da noi, non vogliono essere fotografati con noi. A quanto pare, perché sono “fotogenici”.
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La Russia ha ridefinito la sua strategia per l’Asia. Ecco come funzionerà
Mosca non è interessata a fare da semplice spettatrice nel conflitto tra Cina e Stati Uniti. Quindi, si sta espandendo.
Da Timofey Bordachev, direttore di programma del Valdai Club
Il modo più sbagliato di sviluppare la politica russa in Asia sarebbe quello di concentrarla sull’interazione con le istituzioni e le piattaforme regionali, “cimiteri fraterni” dove l’espressione individuale si perde nella necessità di trovare un denominatore comune. Ciò è tanto più vero ora che queste istituzioni sono diventate arene di confronto tra Cina e Stati Uniti, che non si limitano a utilizzarle esclusivamente nell’interesse della propria lotta. In precedenza erano solo gli americani a farlo, rendendo la maggior parte delle piattaforme regionali prive di significato come le conferenze internazionali. Ora la Cina si è aggiunta e sta spingendo la propria agenda. Di conseguenza, lo spazio per un’interazione positiva all’interno di entità come l’APEC o il Vertice dell’Asia orientale (EAS) – che fino a pochi anni fa erano considerate importanti per promuovere gli interessi russi in Asia – si sta riducendo. Pertanto, la strategia più promettente per la Russia in Asia oggi è quella di concentrarsi sul dialogo con i singoli Paesi della regione, tenendo conto dei loro interessi e dei propri.
Fin dall’inizio, il perno della Russia verso Oriente è stato visto come un progetto volto non solo ad aumentare il volume delle relazioni commerciali ed economiche con gli Stati asiatici, ma anche importante per la presenza politica di Mosca in questa regione. Va ricordato che il processo è iniziato in un’epoca storica fondamentalmente diversa, quando il mondo continuava a vivere secondo le regole della globalizzazione, create sotto la guida dei Paesi occidentali e principalmente nel loro interesse. Ora, la situazione in Asia e dintorni è cambiata in modo significativo.
In primo luogo, lo stesso spazio di apertura economica globale si sta gradualmente erodendo sotto la pressione della politica di sanzioni dell’Occidente contro la Cina e la Russia.
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In secondo luogo, nel contesto di una serie di gravi crisi militari e politiche che coinvolgono le principali potenze, viene messa in discussione la sostenibilità delle istituzioni internazionali che negli ultimi anni hanno agito come principali agenti della globalizzazione politica.
In terzo luogo, i processi multidirezionali stanno prendendo slancio nella stessa Asia a causa dell’intensificarsi delle contraddizioni sino-americane e della posizione rischiosa delle potenze regionali in queste condizioni.
Infine, negli ultimi anni la Russia stessa ha riorientato in modo significativo le sue relazioni economiche estere verso l’Asia. Ciò è stato stimolato dal conflitto con l’Occidente e dalla pressione delle sue sanzioni, mentre quasi tutti i Paesi asiatici rimangono amichevoli nei confronti della Russia.
Ciò significa che ora, quasi quindici anni dopo che il pivot to the East ha iniziato a prendere forma come componente importante della politica estera russa, è giunto il momento di esaminare criticamente i suoi vari aspetti dottrinali. In ogni caso, la politica russa in Asia non è rimasta invariata rispetto ai tempi in cui la situazione generale del mondo era molto diversa. E alcune disposizioni di questa politica devono essere sostanzialmente chiarite. Innanzitutto, per quanto riguarda i formati della presenza politica in Asia e l’instaurazione di un dialogo con i singoli Stati asiatici. Le recenti visite del Presidente russo in Corea del Nord e in Vietnam non fanno che confermare che la nostra strategia in Asia è sempre più incentrata sul dialogo con i singoli Stati. Ciò non preclude l’attenzione ai grandi formati internazionali. Ma questi non possono più servire come piattaforme primarie per promuovere gli interessi russi.
In entrambi i casi, l’intensificazione del dialogo è un segno dell’alto livello di fiducia tra la Russia e il suo principale partner in Asia, la Cina.
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Per Pechino, tutta l’Asia è un’area in cui la sua influenza culturale è stata dominante per secoli, se non millenni. È la cultura cinese, compresa la sua tradizione politica, ad aver plasmato le basi filosofiche della statualità dei Paesi, anche se le loro relazioni con la Cina non sono state prive di conflitti. Tuttavia, Pechino non è alleata con nessuno dei suoi vicini immediati e molti di loro sono preoccupati per il suo crescente potere. Un altro fattore preoccupante per i Paesi asiatici, che anche i cinesi comprendono, è il crescente conflitto tra Pechino e Washington. Per diversi decenni, quasi tutti i Paesi del Sud-Est asiatico hanno beneficiato della globalizzazione guidata dalla cooperazione sino-americana. Ora la situazione sta cambiando.
Si può ipotizzare che la Cina sia consapevole che un rafforzamento unilaterale della propria posizione nella regione potrebbe portare a un ulteriore avvicinamento tra Stati come il Vietnam e gli Stati Uniti. Questo sarebbe un fattore destabilizzante. La Corea del Nord è un caso diverso, ovviamente. Ma anche in questo caso le opzioni di Pechino sono fortemente limitate. Sebbene il confronto con Washington sia un processo irreversibile e oggettivo, la Cina vuole renderlo il più pacifico possibile. La Russia, invece, è molto più libera nelle sue azioni, come confermano i risultati della visita di Vladimir Putin a Pyongyang. La Cina sembra capire che il problema dell’isolamento della Corea del Nord deve essere risolto in un modo o nell’altro. Ma per ragioni proprie non è disposta a farlo direttamente. Allo stesso tempo, l’impegno e la partnership della Russia con Pyongyang non possono rappresentare una minaccia per gli interessi e la sicurezza di Pechino. Questa è la natura delle relazioni tra Russia e Cina.
Nel caso del Vietnam, il lavoro della diplomazia russa è anche legato al desiderio dei Paesi asiatici di bilanciare l’influenza della Cina e la pressione degli Stati Uniti. Le autorità vietnamite non nascondono che Washington è per loro un partner prioritario nel commercio, nella tecnologia e negli investimenti. E lo sviluppo dei legami politici tra i due Paesi rende chiaro a Pechino che il Vietnam, come l’India, non può considerarsi parte della sfera d’influenza cinese. Allo stesso tempo, anche gli Stati Uniti sembrano rendersi conto che nessuno in Vietnam diventerà un alleato incondizionato di Washington nel confronto con il potente vicino. Questo contraddice in generale la logica del comportamento delle maggiori potenze mondiali, tra le quali il Vietnam occupa un posto di rilievo.
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In questo caso, il rafforzamento dei legami con la Russia diventa l’alternativa più appropriata all’indesiderata scelta tra Cina e Stati Uniti.
Sarebbe certamente un po’ troppo sicuro di sé pensare che la Russia possa sostituire uno dei maggiori partner commerciali ed economici del Vietnam. Ma è un amico indipendente e affidabile in settori importanti come l’energia e il commercio alimentare. La questione della concorrenza con l’UE non si pone nemmeno in questo caso: negli ultimi anni le potenze dell’Europa occidentale hanno pienamente confermato la loro posizione di alleati minori degli Stati Uniti, senza alcun valore geopolitico proprio.
In sintesi, la politica russa in Asia è entrata nella fase successiva del suo sviluppo. Non si basa più sulle idee del passato, quando la cosa più importante era “illuminare” il maggior numero possibile di piattaforme e forum internazionali. Tale illuminazione ha ottenuto ben poco prima – il diritto di essere uno spettatore nel conflitto sino-americano – e ora è diventata completamente priva di significato. Ma il rafforzamento delle relazioni a livello bilaterale è un compito faticoso per i diplomatici e le imprese, e di scarso interesse per l’opinione pubblica e i media. Nei prossimi anni, quindi, il lavoro di avvicinamento agli Stati asiatici sembrerà un processo senza intoppi, ma dietro le quinte ci sarà molto da lavorare.
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