– SONDERWEG – Alle radici del cosmo russo – Terza Roma [cap.2]_di Daniele Lanza
NEBBIA DELLA GUERRA E FAKE-NEWS
Scriveva Clausewitz che la guerra è caratterizzata dalla “nebbia” che non consente o consente con poca chiarezza e distinzione la percezione della situazione effettiva.
Tale nebbia non è però solo quella di Austerlitz, cioè un fenomeno naturale, ma è dovuta ad attività (ed errori) umani: alla confusione, allo scarso o contraddittorio afflusso d’informazioni, agli espedienti del nemico volti ad ingannare. Le informazioni, scriveva il generale prussiano, sono la base per le “nostre idee ed azioni… base fragile ed oscillante, e si comprenderà ben presto quanto pericolosa sia l’impalcatura della guerra, con quanta facilità possa crollare, e schiacciarci sotto le sue macerie”. Le informazioni perciò “in guerra sono in gran parte contraddittorie, in maggior parte ancora menzognere, e quasi tutte incerte”. Tale difficoltà è già importante per chi deve decidere, cioè i comandanti politici e soprattutto militari, gli esperti. Ma è assai peggiore “la cosa per colui che non ha esperienza…ed invece le notizie successive si sostengono, si confermano, s’ingrandiscono, aggiungono”. E il “pubblico” cioè coloro che osservano le descrizioni belliche, sono il massimo della non-esperienza, e non si rendono conto o in misura minima che “la maggior parte delle informazioni è falsa… Ciascuno è disposto a credere più il male che il bene, ciascuno è tentato di esagerare un poco il male: ed i pericoli fittizi che vengono segnalati, in tal modo, pur dissolvendosi in se stessi come le onde del mare, si affacciano, al pari delle onde, senza una causa visibile”. Il capo ha così il difficile compito di valutare e selezionare tra le tante che gli giungono, le notizie più attendibili.
Quando poi le informazioni generosamente distribuite sono dirette al pubblico radio-televisivo e dei media in genere, la nebbia s’infittisce e si amplifica l’interesse a produrle, anche quando la saggezza le rende improbabili. Con ciò si passa alla “guerra psicologica”, definibile come l’insieme delle iniziative volte a controllare l’opinione pubblica e i di essa giudizi ed azioni, agendo – prevalentemente – sul sentimento e l’emotività. Se indirizzato al nemico (in atto o in potenza) lo scopo assolutamente prevalente è di condizionarne e fiaccarne la volontà, inducendolo alla trattativa (a perdere), se la guerra è in atto, o a non farla (o a non intervenire) se è in potenza. Questo è ovvio, perché da un lato la guerra è un mezzo per affermare la propria volontà e potenza, onde il miglior nemico è quello poco determinato a combattere; dall’altra la prima regola dell’agire strategico è ridurre il numero (o almeno la potenza) dei nemici, come ben sapevano i romani. Il generale prussiano, tuttavia, in un’epoca in cui la stampa quotidiana muoveva i primi passi non era in grado di prevedere quanto si sarebbe intensificata col progredire dei media.
La guerra russo-ucraina è connotata, ancor più che le precedenti del XX e XXI secolo, da essere una guerra telematica, combattuta sui media, non meno – anzi di più – che sul campo. Ma sempre caratterizzata dallo scopo, ovvero fiaccare la volontà del nemico e indurlo a sottomettersi – e dei mezzi all’uopo spiegati: una massa d’informazioni false, artate, contraddittorie. Che non reggono, o sono del tutto improbabili una volta verificate o valutate.
Ad esempio il ruolo di Putin, elevato – in mancanza di più acconci interpreti – ad incarnazione del male assoluto. È lo stesso statista che fino a pochi mesi fa interloquiva con tutti i grandi della terra, che stringevano accordi e facevano affari con lui. Mostrandosi così, almeno, un po’ ingenui, facenti parte della razza dei Chamberlain, non dei Bismarck. E anche dimentichi che il nemico non è solo quello cui si fa la guerra, ma anche quello con cui si conclude la pace. Onde è meglio, come nel diritto (romano) e internazionale classico non demonizzarlo, o anche solo criminalizzarlo, perché così si rende ancora più difficile concludere la pace. E la stessa pace diventa così una tregua di briganti.
Altra notizia non falsa, ma costante, è quella sui “danni collaterali”, ossia sui civili morti a causa delle operazioni belliche. É cosa vera, semplicemente perché da millenni a far le spese della guerra sono (anche) gli innocentes (come scrivevano i teologi-giuristi del ‘600). Ancor più nelle guerre moderne dove la straordinaria forza distruttiva delle armi ne ha reso l’uso limitato spesso impossibile, Con la conseguente violazione del principio del diritto “in guerra” di risparmiare gli innocentes, ossia i non combattenti.
Solo che a distinguere tra crimine di guerra e “danni collaterali” è, molto spesso, la natura dell’obiettivo e l’intensità (e potenza) dell’attacco. Ad esempio non risulta che i russi abbiano impiegato l’aviazione per bombardamenti terroristici, tipo quelli di Dresda, Amburgo e Tokio (e di tante altre città dell’Asse) della seconda guerra mondiale. In cui i morti, nella più modesta delle valutazioni furono alcune decine di migliaia (a bombardamento). E dove furono largamente impiegate le bombe al fosforo per causare incendi difficilissimi da spegnere. Cioè proprio ordigni fatti con lo stesso elemento che tanto tiene banco tra le atrocità russe praticate in questa “operazione militare speciale”. Peraltro anche in tal caso qualcuno s’è impancato a docente di chimica bellica, confondendo fenomeni e norme. Le bombe al fosforo sarebbero armi “chimiche” perché… basate su una reazione chimica (produrre la combustione). Ma essendo una reazione chimica altresì l’esplosione causata dalle bombe convenzionali, anche queste, ragionando come certi esperti, sarebbero delle armi chimiche. Sul piano giuridico invece le bombe al fosforo sono classificate armi convenzionali e, per questo, vietate dalla Convenzione di Ginevra del ’98, ma tenute ben distinte dalle armi chimiche vietate da altra convenzione. Per cui reagire all’uso di ordigni al fosforo con un bombardamento di gas nervini sarebbe una rappresaglia sproporzionata.
Soprattutto non si può confondere il nemico con il criminale come fa la propaganda argomentando che l’uno e l’altro uccidono e danneggiano. La Russia – e così l’Ucraina – ha, come qualsiasi Stato lo jus belli, e quindi il diritto di servirsene. Chi la governa non è un animale, un essere non-umano, né un delinquente. Già lo sapevano i romani. Nel Digesto (L, 16, 118) si legge “Hostes’ hi sunt, qui nobis aut quibus nos publice bellum decrevimus: ceteri ‘latrones’ aut ‘praedones’ sunt”; e traducendo “i nemici sono coloro che a noi, o noi a loro, abbiamo dichiarato pubblicamente guerra: gli altri sono briganti o pirati”. Caso mai Putin ha, secondo una moda invalsa da quasi un secolo, fatto la guerra chiamandola diversamente (operazione militare speciale). Ma in ciò è stato preceduto da tanti altri – Nato compresa – che ha condotto guerre denominandole “operazioni di polizia internazionale” (ecc. ecc.). L’ipocrisia non è una pratica peculiare a un contendente ma appare estesa a tutta un’epoca che, vagheggiando un pacifismo integrale, ha cominciato a realizzarlo dal vocabolario. Purtroppo non andando oltre.
Resta da vedere se, diversamente dalle buone intenzioni esternate, una pratica siffatta non faccia crescere d’intensità lo scontro bellico: anzi la creazione del male, del nemico assoluto porta proprio a quello: ad intensificare il sentimento ostile (Clausewitz);e così a popolarizzare la guerra.
Le vie dell’infermo sono lastricate di buone intenzioni.
Teodoro Klitsche de la Grange
Un anno fa la nuova amministrazione democratica americana ha convocato un ambizioso evento, invitando ben 110 nazioni del mondo[1], dal nome “Summit for democracy”[2]. Lo slogan era “la democrazia non accade per caso. Dobbiamo difenderla, lottare per essa, rafforzarla, rinnovarla”. A questo evento, cui ne seguiranno altri e che rappresenta il nucleo di una nuova dottrina internazionale più interventista, come scrivono in modo esemplare ‘adatta al movimento’ in corso, l’amministrazione ha invitato paesi asiatici come il Giappone, la Corea del Sud e Taiwan, ma anche l’India e le Filippine, e non Singapore. In cambio era invitato il cosiddetto “Presidente ad interim” del Venezuela Juan Guaidó, ma anche i leader, o attivisti eminenti, dell’opposizione di Hong Kong, Birmania, Egitto, Bielorussia. Un notevole e sovradimensionato spazio è stato affidato, infine, ai paesi europei nordici che si affacciano sulla Russia: la Lituania, Lettonia, Estonia, Finlandia, Danimarca.
La crisi Ucraina ha prodotto qualche smagliatura su questo schema “noi/loro”. In questi giorni, ad esempio, il governo di Singapore si è mosso verso la coalizione occidentale[3], se pure con qualche dichiarazione rispettosa verso la Cina, mentre l’India si sta chiaramente avvicinando alla Russia[4] e persino alla Cina. D’altra parte, storici alleati Usa come la Thailandia e le Filippine da tempo si stanno avvicinando alla Cina, e, recentemente le Isole Salomone (fronteggianti l’Australia) hanno dichiarato di voler stipulare un accordo di cooperazione militare con il gigante asiatico (ricavandone le minacce del vicino anglosassone). Inoltre, il Pakistan, che fino ad anni recenti era stato alleato degli Stati Uniti, si sta muovendo con decisione verso la Russia e partnership più pronunciate con la Cina (ma è stato fermato, al momento da una severa crisi di governo con probabili nuove elezioni).
Insomma, il mondo è in movimento.
Il tentativo americano è quello di codificare questo movimento secondo una chiave unica che massimizzi quelle che ritiene essere le proprie caratteristiche più profonde: la distinzione tra un “ordine basato sulle regole” ed un semplice ‘stato di fatto basato sul potere’. Dietro questo slogan si cela la convinzione che sia possibile definire un canone universale, fondato su un ordine naturale, e, ovviamente, la certezza di avere uno speciale accesso ad esso. Quindi si cela la pretesa che lo scostamento relativo da questo canone definisca univocamente la legittimazione di ogni azione ed esistenza nazionale. Secondo questa impostazione, ad esempio, la guerra preventiva di Bush in Iraq è più legittima della guerra preventiva della Russia in Ucraina, in quanto la prima mirava all’affermazione della democrazia in Medio Oriente, mentre la seconda mira solo a difendere il potere russo (o a diffonderlo).
Durante il Summit prima citato il Vicepresidente Kamala Harris ha affermato quindi che la democrazia, ovviamente secondo il codice anglosassone, è “la migliore speranza del mondo”; e lo è essenzialmente perché “i sistemi democratici sono in grado di promuovere i diritti umani, la dignità umana e sostenere lo stato di diritto”. La frase, considerando il significato strettamente attinente la dottrina liberale, suona involontariamente tautologica: la democrazia è la speranza del mondo perché promuove la propria visione dell’uomo. Ovvero quella di un uomo slegato; un uomo nel quale, parole conclusive del Presidente Biden, “arde la brace della libertà”.
Vale la pena di sottolineare gli elementi di novità di questa agenda. Lo Statuto dell’Onu, all’art 1, riconosce contemporaneamente ed indissolubilmente il rispetto dei diritti umani (su cui è necessaria una glossa[5]) e dei “diritti all’autodeterminazione dei popoli”. Altre fonti primarie sono i Patti internazionali del 1966 (sui diritti civili e politici e sui diritti economici) e l’Atto finale di Helsinki del 1975, principio VII e VIII. In base ai Patti del 1966, tutti i popoli sono liberi “di determinare, senza intervento dall’esterno, il proprio status politico e seguire il proprio sviluppo economico, sociale e culturale”. In base alla dichiarazione dell’Assemblea generale del 24 ottobre 1970, inoltre, l’attuazione del principio dell’autodeterminazione si esplica nella fondazione di uno Stato sovrano ed indipendente, nella sua libera unione con altri e nella sua libertà di cambiare status politico. Entrambe le dichiarazioni, del 1966 e del 1970, avvengono non per caso in una fase di liberazione dei paesi del Sud dai legami che si erano istituiti nella fase coloniale con le ‘potenze bianche’ del Nord. Il principio di autodeterminazione, così definito, si classifica nella tassonomia Onu come ius cogens, diritto inderogabile a tutela di valori fondamentali. Si tratta di un diritto di libertà dal dominio concreto di un popolo su un altro.
La novità è quindi, precisamente, che la crociata lanciata dall’amministrazione americana, facendo leva su una interpretazione oltranzista e etnograficamente connotata[6] dei “diritti umani”, introduce una deroga al principio di autodeterminazione, nel momento in cui lo sottordina gerarchicamente al principio dell’affermazione della ‘democrazia liberale’ che, attenzione, non è l’unica forma e non è tutta la democrazia. Quest’ultima collassata sulla libertà dell’individuo (sia fatta attenzione, dell’individuo possessore, di quello che dispone dei mezzi di proprietà per esserlo effettivamente).
Ovviamente qui è all’opera un ben prosaico obiettivo: la conservazione con qualsiasi mezzo dell’ordine americano. Ovvero la prosecuzione del “secolo americano” anche quando le condizioni di potenza che lo hanno creato stanno venendo meno.
Questo dispositivo di mobilitazione totale, in altre parole, serve lo scopo della guerra.
È, in questo senso, un occultamento di una più elementare logica di potenza. Potenza e missione, che, in linea con una delle vocazioni dell’occidente, si nutre di universalismo astratto, messianesimo e razzismo. Si, razzismo, in quanto nel sentirsi legittimato a proiettare la propria forma, in quanto universale, sul riottoso mondo, e, soprattutto, nel fondarla su un’antropologia naturalista (ovvero sul riconoscimento che il ‘vero uomo’ è solo l’uomo occidentale o chi ad esso si conforma) non può che implicare il carattere sotto-umano dell’Altro. Razzismo e colonialismo sono, in altre parole, iscritte nel codice genetico della nozione di libertà e democrazia dell’occidente.
Per approfondire occorre soffermarsi. Il termine chiave di questo potentissimo dispositivo è, ovviamente, quello di libertà. Parola vuota, se mai ne è esistita una. Nel senso di parola che acquisisce interamente il suo significato dal contesto nel quale è agita e dal conflitto (la parola libertà implica un movimento e una resistenza) verso il quale è agita. Essa si determina sempre nella situazione concreta e storicamente data e che si può giudicare, prendendo posizione, solo osservando il funzionamento complessivo dei rapporti tra i diversi attori e gli effetti provocati su di essi. Può succedere, ad esempio, che una lotta per la liberazione nazionale sia allo stesso momento, o per i suoi effetti, anche lotta per lo schiacciamento e l’oppressione di altri; oppure può accadere il contrario (come nell’imperialismo politicamente orientato di Disraeli nell’Inghilterra dell’Ottocento, per stare ad un esempio lontano). Quello nel quale si può definire la lotta per la libertà è sempre un “conflitto” policentrico, dunque, e non binario, nel quale occorre sforzarsi sistematicamente di applicare uno sguardo alle determinazioni strutturali e oggettive della situazione. È noto l’esempio ottocentesco della lotta di liberazione, nazionale e quindi interclassista, polacca. Nella situazione data (che non va estrapolata all’oggi), per Marx ed Engels, quando il proletariato polacco si mette alla testa della lotta di indipendenza nazionale, portando con sé anche le altre classi, allora svolge con questo solo fatto un “ruolo internazionalista”. Il ruolo internazionalista ha dunque, per i nostri, basi oggettive, e non soggettive, perché getta le fondamenta necessarie per una cooperazione diversamente impossibile. Il giudizio non viene da una sostanza naturale, quando dalla totalità[7].
Con altre parole, se non si collega, concretamente, la parola “libertà” al conflitto e questo alla dinamica del tutto dal quale solo può essere rischiosamente giudicato, si ricade (come in effetti il dispositivo imperiale americano fa), nella medesima accusa avanzata da questo verso il ‘comunismo’: di essere una ‘utopia capovolta’. Ovvero, di terminare nella catastrofe, rovescio dell’ambizione, di partire per raddrizzare ‘il ramo storto’ dell’umanità ma di risolversi in arbitrio[8]. Chiaramente, se però si accetta una definizione contestuale del termine e un suo intrinseco inserimento nella pluralità dei conflitti, allora si resta presi in un’insopprimibile ambiguità, dunque, si perde l’idoneità del concetto ad essere arma.
Per concludere, l’agenda che si vuole imporre al conflitto egemonico in corso, fondata sulla negazione del principio di autodeterminazione (“westfaliano”) in favore di una separazione tra ‘democratici’ (liberali) e ‘autocratici’ (ma andrebbe bene anche ‘populisti’), serve ad una mobilitazione totale dell’Occidente, inteso come Vera Umanità, contro l’oscurantismo, il sub-umano, il regresso.
Ma, a ben vedere dietro la retorica e l’ipocrisia che l’accompagna, quelle che si scontrano non sono le forme astratte universali di ‘libertà’ e ‘dispotismo’ (in sé vuote, libertà da cosa, dispotismo verso chi), quanto diverse forme concrete di libertà, connesse a diversi conflitti. Ad esempio, tutte le forme di organizzazione sindacale, in modo più o meno diretto, coartano la libertà individuali a breve termine, in favore di una libertà più importante da raggiungere nel futuro: quella dal bisogno e dalla dipendenza dai rapporti ineguali tra lavoratori e capitale. Analogamente, nei rapporti tra le ‘metropoli’ e le ‘colonie’[9], e, più in generale, nelle relazioni internazionali la libertà di taluni può essere in contrasto con regimi oppressivi, più o meno mascherati. È possibile, in sintesi, che la libertà di alcune élite debba essere compressa per garantire quella dei più, o del paese. Che alcuni paesi si debbano fermare davanti a certi confini e/o relazioni. In questo senso si oppongono sempre piuttosto ‘libertà’ a ‘libertà’; il punto è che nel ‘groviglio’ che fattualmente si dà nella realtà sociale si è spesso costretti a scegliere tra queste diverse libertà.
Dunque, si può sinteticamente dire che nel “conflitto delle libertà” bisogna sapere con chi stare, e per saperlo occorre guardare sempre al quadro generale. Quello che dice che la polarizzazione proposta dall’Amministrazione Usa serve i suoi scopi di dominio.
[1] – L’elenco dei paesi e i relativi interventi è disponibile a questo link.
[3] – Anche se fa parte dell’unione eurasiatica di libero scambio (EAEU) nella quale è presente la Russia, l’Armenia, la Bielorussia, il Kazakistan, il Kirghiristan.
[4] – Stipulando addirittura un accordo per replicare il modello che ha fatto grande il dollaro a partire dalla crisi energetica degli anni settanta, per il quale il petrolio russo sarà acquistato in moneta indiana, la quale dai russi sarà depositata in titoli indiani (creando riserve in rupie). Inoltre ha invitato Lavrov a discutere accordi strategici su larga scala, che prevedono anche l’acquisto degli avanzati sistemi missilistici S400.
[5] – La Dichiarazione dei Diritti Umani del 1948 è, ovviamente, una pietra miliare del processo di formalizzazione del concetto. I suoi antecedenti sono la Dichiarazione di indipendenza americana del 1776, dall’altra alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo del cittadino francese del 1789. C’è, però, una importante differenza tra i due antecedenti. La Dichiarazione americana non è una carta dei diritti e il testo è dedicato prevalentemente a motivare le ragioni dell’indipendenza dalla corona britannica, e gli argomenti sui diritti dell’uomo sono inseriti solo come cappello retorico introduttivo e chiave di una legittimazione che si pretende estranea alla fedeltà al re. Si può dire che il famoso preambolo per il quale tutti gli uomini sono creati uguali, cioè dotati di inalienabili diritti, tra cui la vita, la libertà e il perseguimento della felicità, serve, in tutte le Dichiarazioni di questo periodo ad affermare che i governi sono istituiti per garantire questi diritti, e quindi sia diretta ad affermare che il fondamento della vita sociale non deriva dal re, non deriva dalla tradizione, ma deriva da Dio per come viene interpretato nel testo. Compiendo questo rovesciamento del canone fondativo si esprime con la massima chiarezza, e si pone al centro della scena, una mossa emancipativa di primario valore. Ma i contenuti e fondamenti dei diritti inalienabili, su cui si basa quella mossa, sono ridotti al contempo ai minimi termini; non è il caso di ricordare che in tutti gli uomini non erano incluse né le donne né, tantomeno, gli schiavi. Del resto, quando dieci anni dopo viene approvata la Costituzione americana non ci sono in essa Dichiarazioni dei diritti. Queste vengono aggiunte ancora dopo nel 1789 e nel ‘91, anche sulla scorta della Rivoluzione francese, in forma di emendamenti alla Costituzione, e in esse si parla di diritti civili interni alla nazione americana. Invece la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 francese ha una caratterizzazione dei diritti dell’uomo molto particolare. Ci si appella qui a diritti naturali inalienabili e sacri dell’uomo, cioè ad una dimensione universalistica astorica; però, già dal terzo articolo, la Dichiarazione prende una piega storicamente determinata, eminentemente politica, e la libertà individuale viene limitata dalle leggi “espressione della volontà generale”, quindi giustificate dal bene della società verso le quali la resistenza del cittadino è giudicata inammissibile. Dunque, il protagonista della Dichiarazione del 1789 è la legge civile, definita dalla Nazione, all’interno della quale il cittadino trova il suo spazio di libertà. L’intera Dichiarazione si rivolge al cittadino.
Centocinquanta anni dopo, la Dichiarazione del 1948 è diversa. Per la prima volta l’idea di un “Diritto naturale” che appartiene individualmente a ciascun membro della specie umana è effettivamente articolato. Ci si trova di fronte a un tentativo di creare un corpus di diritti nel senso comune del diritto legale che però, diversamente dai codici delle leggi finora conosciute, non dipende da alcun organismo politico. È chiaro che una delle spinte decisive per scrivere questo documento consisteva nel desiderio di trovare un modo per condannare i criminali nazisti che non facesse riferimento alla legge tedesca. Peraltro, atrocità come l’olocausto non sarebbero risultate legali neppure secondo la legislazione razzista del Terzo Reich, ma di fronte a ciò che si presentava come male assoluto e avendo vinto la guerra emergeva con potenza, da entrambe le parti vincitrici, la necessità di trovare un punto di vista superiore astorico che non concedesse alcun terreno di legittimità la legislazione nazista. In questa ottica, storicamente data, l’idea di diritto umano con i suoi antecedenti storici si sposava perfettamente a questa funzione. Naturalmente a questa esigenza storica si univa la tendenza e la cultura individualista e antitradizionalista americana. Ma nelle fasi preparatorie emersero subito notevoli difficoltà. Nell’inquadrare dal punto di vista etico e filosofico il testo, ad esempio, l’Associazione Antropologica Americana mosse critiche molto severe alla possibilità stessa di concepire qualcosa come una ‘dottrina universale dei diritti umani’. Gli antropologi osservarono come fosse impensabile considerare come base di partenza dell’analisi un individuo desocializzato. Ciascun individuo si determina sempre ed inevitabilmente come parte di un gruppo sociale, con una forma di vita sanzionata nei modelli il comportamento. In questa prospettiva una Dichiarazione che pretendesse di applicarsi a tutti i singoli esseri umani, prescindendo dalle appartenenze culturali (e quindi in effetti prescindendo dalle particolarità dello sviluppo della cultura nazista in Germania) rischiava di essere implicitamente imperialista. Come sostenne l’Associazione “e rischia di diventare un’affermazione di diritti concepiti solo nei termini dei valori prevalenti nei paesi dell’Europa occidentale e dell’America”. In sostanza si rischiava di ripetere la mossa del “fardello dell’uomo bianco” che aveva alimentato il colonialismo. Queste ragionevoli considerazioni vennero semplicemente ignorate.
In effetti il progetto non era affatto descrittivo, nessuno pensava che i “diritti umani” fossero una sostanza data, ma espressamente normativo, tutti la ritenevano un’opportuna norma da porre. Secondo le parole di René Casin “poggiava su un atto di fede in un domani migliore”. È ovvio che sul piano logico l’idea che potesse esistere qualcosa come un “diritto di natura” è un esempio sfacciato di fallacia naturalistica che trasforma una presunta naturalità in norma. In natura noi possiamo trovare fatti, ma i valori implicano delle norme. Non le implicano ‘naturalmente’ e senza il passaggio della scelta politica e, quindi, della contingenza storica.
Nell’articolo tre della Dichiarazione troviamo scritto che “ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”. Tutti possiamo leggerla come una considerazione condivisibile: chi potrebbe mai desiderare che gli sia tolta la vita o la libertà. Chi potrebbe mai desiderare di vivere nell’insicurezza. Ma da questi valori ragionevoli non scaturisce alcuna norma. Il fatto che un individuo abbia diritto alla libertà significherebbe che la sua libertà non può mai essere vincolata. Ma evidentemente esistono leggi, carceri, punizioni per i casi nei quali la libertà distrugge il vivere comune e civile. La questione è, piuttosto, sempre quanta libertà e sotto quali condizioni. La questione è quella posta dalla Costituzione francese. Ma se ammettiamo che la libertà di cui si tratta è quella consentita dal diritto positivo dei vari Stati, allora la Dichiarazione è totalmente vuota. Se, viceversa, non facciamo riferimento a nessuna registrazione reale non si sa di che cosa si sta parlando. Peraltro, nella stessa frase è dichiarato, oltre al diritto alla libertà, anche quello alla sicurezza. Dunque, si pone il problema di quanta sicurezza e del conflitto tra la sicurezza di uno e la libertà dell’altro (ad esempio, di costringerlo a lavorare, di rendere insicura la sua vita, per es. aumentando la “flessibilità” e “precarietà”, per ridurne la forza negoziale).
Il tema è sempre, in altre parole, come limitare la libertà o quanta libertà può limitare la sicurezza. Norberto Bobbio osservava che i “diritti naturali” non sono “diritti”, ma al massimo “esigenze” che poi devono essere fatte valere negli ordinamenti normativi positivi. La cosa è particolarmente evidente appena ci si accosta al gruppo dei “Diritti umani” di contenuto sociale (articoli da 22 a 27), qui la situazione è davvero paradossale. Si tratta infatti di “diritti” inseriti inizialmente sotto la pressione dell’Unione Sovietica (la quale comunque si astenne dalla votazione finale). Di norma quando si levano gli scudi per denunciare le violazioni dei “Diritti umani” questi sono sistematicamente ignorati, perché sono ininterrottamente violati ovunque dal ‘48 a oggi. Il fatto è che per essi ogni individuo ha il “diritto umano” al lavoro, o alla “protezione contro la disoccupazione”, o, ancora, ad “una rimunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia un’esistenza conforme alla dignità umana” (art. 23). Oppure ha diritto a “ferie periodiche retribuite” (art. 24). Si tratta evidentemente di un libro dei sogni che conta violazioni innumerevoli anche nei paesi più benestanti. Anzi che è sistematicamente violato, disapplicato e distrutto tanto più quanto più il liberalismo e la sua forma pura neoliberale si afferma.
[6] – Ovvero disegnata secondo il modello storicamente situato (nella forma di vita occidentale e nella versione illuminista di questa) che è abbastanza obiettivamente una potentissima arma ideologica. Una cosa che inizia a prendere forma durante la guerra fredda come arma contro un altro consenso (tramite la sistematica denuncia della violazione dei “diritti umani” da parte degli Stati Uniti a sostegno etico e legittimazione delle proprie iniziative sia contro l’Unione Sovietica e contro la Repubblica Popolare Cinese ed i loro alleati) e da allora viene usata, senza soluzione di continuità, contro chiunque si elevi ad ostacolare il dominio imperiale statunitense. In effetti, già l’idea in sé dei “diritti umani” può essere accusata di individualismo metodologico il quale è, esso stesso, alla base della microfondazione della teoria economica. I diritti sono immaginati come inerenti all’individuo naturale, cioè a un individuo astratto astorico, aculturale e dunque sono utilizzabili come marcatore e punto di riferimento del giudizio sulle azioni e sulle dinamiche collettive. Il dispositivo dei “diritti umani” crea, cioè, un decisivo passaggio teorico in cui richieste individuali che non fanno per sé stesse riferimento a nessun organismo sociale dato (o contesto culturale noto) e che finora nessuno ha riconosciuto possono essere poste come eticamente fondanti ed esistenti in natura e restare lì, in attesa che qualcuno ad un certo punto se ne faccia carico. Magari in appoggio alle sue istanze politico-strategiche.
[7] – Fino a che i paesi sono connessi con una catena di sfruttamento e disprezzo le classi dominanti hanno buon gioco, negli uni e negli altri, di cooptare quelle subalterne distribuendo una parte del ‘dividendo’ del dominio. Ovvero una quota di risorse estratte, sotto forma di migliori salari estratti dalle ragioni di scambio istituite con le colonie (minor prezzo delle materie prime, o del lavoro importato, e maggior prezzo dei prodotti esportati nei mercati ‘captivi’) e, probabilmente principalmente, una parte del senso di superiorità implicato nel rapporto di dominio. Questa strategia di controllo, che al tempo di Marx è messa a punto dai politici della seconda generazione, Disraeli e Napoleone III, ma anche Bismarck, impedisce la rivoluzione nei paesi avanzati e perpetua le condizioni di schiavitù negli uni e negli altri. È, quindi, il vero nodo della situazione, qualunque lotta internazionalista passa di qui.
[8] – Argomento avanzato tra i primi da Edmund Burke, il quale, nel libello “A vindication of natural Society”, che scrisse ancora giovane contro gli scritti postumi del grande politico libertino Henry St. John Visconte di Bolingbroke, pubblicati nel 1754, viene attaccato il tono di astratta teorizzazione fondata sulla mera ragione, che, come un acido corrosivo, scioglie tradizioni e dispone al fuoco della critica le istituzioni e la religione. Per il nostro ciò porta necessariamente, passando per il deismo, all’anarchia e alla critica della società civile ed ogni governo. Come successivamente scriverà la natura umana, piuttosto, è ricca di sentimenti passionali e sentimenti, complessi, di cui la ragione è solo parte e non primaria. La politica ed il governo degli uomini deve quindi essere improntata, più che alla critica astratta e artificiale, alla prudenza e saggezza aristotelica che tenga conto dei valori condivisi, della tradizione e dei costumi e quindi di tutte quelle componenti non razionali che inducono ad agire.
[9] – Per un inquadramento del tema si veda Alessandro Visalli, “Dipendenza. Capitalismo e transizione multipolare”, Meltemi 2020.
LA PROPOSTA VIENE ….DALLA PRESIDENZA ( FEMMINILE) DELLA SVIZZERA E DEL CONSIGLIO D’EUROPA E SI BASA SULLA CONVENZIONE DELL’AIA DEL 1907.
Cominciamo col definire e distinguere, dopo un pò di storia.
COME E’ NATA L’IDEA
La neutralità svizzera – più correttamente l’estraniarsi dalle rivalità e beghe successorie tra i Borbone e gli Asburgo- nasce all’indomani della battaglia di Marignano ( 13/14 settembre 1515) in cui gli svizzeri persero 5.500 uomini su venticinquemila impiegati in combattimento.
Gli svizzeri decisero che del Ducato di Milano potevano fare a meno, ma che non avrebbero potuto permettersi il lusso di un altro salasso di quelle dimensioni senza scomparire dalla carta geografica.
Lo straniamento divenne neutralità, violata solo duecentottanta anni più tardi dalle truppe francesi del Direttorio nel 1798.
Il trattato di Parigi del 20 novembre 1815, offriva ” formalmente e autenticamente la neutralità perpetua della Svizzera” e da allora divenne un articolo di fede.
Identica formula ” stato indipendente e neutrale in perpetuo“fu applicata a proposito del Belgio nei trattati di Londra del 1831 e del 1839. Anche il Belgio ottenne grazie a questi trattati, ottanta anni di pace e scapolò la guerra franco prussiana del 1870.
Era nata un’abitudine ancora non codificata dal diritto internazionale, ma attrattiva per i cosiddetti ” stati cuscinetto” compressi tra due stati più potenti e rivali.
L’inquadramento giuridico prese forma con la Convenzione dell’Aia del 18 ottobre 1907.
https://avalon.law.yale.edu/20th_century/hague05.asp
Meno fortunato il Belgio che nel 1914 fu travolto dal nipote di Von Moltke il vecchio – il brillante vincitore del 1870- inverando ante litteram il detto churchilliano che “i discendenti degli uomini illustri sono come le patate: la parte migliore si trova sottoterra”. L’idiota ( Helmuth Johan Ludwig) non trovò di meglio che la brutale scorciatoia di travolgere il piccolo paese che si era affidato alla sola neutralità e disattendere la raccomandazione del suo predecessore e autore del piano ( Alfred Graf von Schieffen capo di S M) che, morente, raccomandò ” rafforzate l’ala destra”. Lui la indebolì e sappiamo come é finita.
Il feldmaresciallo Alfred Graf von Schlieffen autore dell’omonimo piano che il nipote del maresciallo von Moltke, Ludwig, nominato capo di Stato Maggiore, rovinò apportandovi modifiche che ne vanificarono i risultati e produssero una valanga di morti. Al termine della ” inutile strage”, si giurò che non sarebbe accaduto ” Mai più”. Vent anni dopo, il giuramento fu dimenticato e il numero dei morti passò da trenta milioni a sessanta. Per un residuo di pudore, a Churchill fu dato il premio Nobel per la letteratura. Adesso a Obama, Sharon, Begin, Saadat e qualche altro generale, hanno dato il Nobel ” per la pace”.
IL PROBLEMA SI RISOLVE AL LIVELLO CUI SI PONE:L’EUROPA. VIGILE, ARMATA E NEUTRALE.
Di qui la lezione numero uno : non basta dichiararsi neutrali, ci si deve armare fino ai denti.
La lezione numero due é che un paese neutrale deve disporre della profondità strategica necessaria ad assorbire il primo urto di sorpresa e reagire. La Svezia, che ha entrambe queste caratteristiche, nessuno l’ha mai importunata. La Svizzera supplisce all’esiguità territoriale con l’orografia montagnosa, armamenti di tutto rispetto e la milizia territoriale: ogni soldato si porta l’equipaggiamento a casa pronto per l’uso. La mobilitazione e il raggruppamento é questione di un lampo. Il reclutamento cantonale e la conoscenza del territorio completano i vantaggi di cui usufruire su un ipotetico avversario.
Accecato dal patriottismo inteso come reazione irritata al globalismo provinciale imperante ( glocal…), ho ripetutamente indicato la neutralità come via d’uscita, ma non ho tenuto conto dei due requisiti geopolitici necessari per la riuscita del progetto. L’Italia da sola, anche se governata da leoni – e non lo é- non saprebbe difendersi adeguatamente e l’alleanza con una tripletta di stati cuscinetto ( che improvvidamente abbiamo attirato nella NATO) potrebbe solo ritardare di un paio di giorni l’affacciarsi di un avversario alle porte di Trieste.
A riportarmi sulla via del realismo geopolitico, L’ex presidente della Confederazione svizzera e del Consiglio d’Europa Micheline Calmy-Rey con il suo libro “ Pour une neutralité active” ed Savoir Lausanne 2021.
“Per essere all’altezza dei valori che proclama di difendere e raggiungere l’autonomia strategica, L’Unione Europea dovrebbe diventare una potenza ” neutrale e non allineata”” ” indipendente e non aggressiva” tra i due blocchi.“
Ottenere la stessa convergenza di interessi tra gli stati membri – come fu il caso dei cantoni svizzeri- ” e divenire una potenza politica e militare, gli (alla UE ndt)permetterebbe di non sottomettersi a uno qualsiasi dei blocchi, di resistere meglio alle pressioni anziché subirle, a non annegare tra camomille unicamente lessicali e a non essere messa da parte in una posizione immobilismo e passività.”
LA NEUTRALITÀ HA RIGIDI CONTENUTI MILITARI, E AMPIA FLESSIBILITÀ POLITICA.
La Svezia, l’Austria e la Finlandia pur essendo dichiaratamente e ufficialmente neutrali, appartengono politicamente alla Unione Europea e hanno partecipato a esercitazioni militari NATO, ma senza far parte del dispositivo militare coFinlandia, Nicholas Sarkozy, Sauli Ninme del resto scelse di fare la Francia di De Gaulle, opzione rinnegata dal noto e indegno successore Nicholas Sarkozy, inquisito e già due volte condannato per aver inalato 50 milioni di dollari di finanziamento occulto da Muammar Gheddafi. Tre dei testimoni a carico sono nel frattempo deceduti di una malattia da piombo chiamata raffica di mitra.
In qualche caso, si esagera: la Bielorussia, oltre a dichiararsi ufficialmente neutrale, ha aderito anche all’OTSC ( Organizzazione del trattato di Sicurezza collettiva) così come la Serbia, Russia, Kazakistan, Turkmenistan.
Sul fronte opposto, ai tentativi di provocare un’ondata emotiva a favore di una adesione alla NATO, I il Presidente finlandese Sauli Niinisto, ha invitato i compatrioti a tenere ” i nervi a posto” e la premier svedese ( socialdemocratica) Magdalena Andersson, mentre la Svezia ha ripristinato il servizio militare obbligatorio, ha dichiarato che una adesione alla NATO ” accrescerebbe le tensioni internazionali e destabilizzerebbe ancor più la regione”.
Insomma, é un tiro alla fune da cui dobbiamo sottrarci se non vogliamo sperimentare le follie dello Stranamore di turno.
Svizzera, Austria, Irlanda, Croazia e Serbia sono già, in grado diverso, neutrali. Spagna Portogallo e Turchia lo sono dal 1939 ( gli iberici in realtà dal 1914). La lezione Ucraina ha fatto certamente molti adepti e , più dura, più adepti raccoglierà.
Purtroppo, gli Stati Uniti non sono in grado di comprendere le culture altrui, posto che ne abbiano una loro. Lo lascio dire all’ex capo del Mossad che lo ha scritto su queste colonne undici anni fa e di cui vi allego il link.
L’invasione russa dell’Ucraina è vecchia di quasi un mese e definirlo un cambiamento epocale sembra già un cliché. È la prima guerra di aggressione totale in Europa dal 1945. La Cina sembra avvicinarsi a una Russia ferita. Gli Stati Uniti e i loro alleati non sono stati così uniti da decenni, con persino la Germania che si è resa conto della necessità di riarmarsi.
Ora, lo shock della guerra ha costretto l’amministrazione Biden a riscrivere il suo progetto di sicurezza nazionale. La strategia di difesa nazionale del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, che delinea l’approccio degli Stati Uniti alle sfide di sicurezza a lungo termine, era originariamente prevista per l’uscita a febbraio; ora è stato ritardato fino a nuovo avviso. Quando verrà pubblicata la versione rivista del più importante documento sulla sicurezza di Washington, dovrà riflettere nuove realtà: l’aggressione russa ha cambiato radicalmente la sicurezza europea in modi che non sono ancora chiari mentre la guerra si trascina, anche a causa dell’incertezza sulla misura in cui il conflitto avvicina Pechino a Mosca. Cosa c’è di più,
In che modo la guerra cambierà la grande strategia statunitense, che fino a un mese fa sembrava quasi interamente incentrata sulla Cina e sull’Indo-Pacifico? Abbiamo chiesto a sette eminenti pensatori di politica estera di intervenire.— Stefan Theil, vicedirettore
Di C. Raja Mohan, editorialista di Foreign Policy e ricercatore presso l’Asia Society Policy Institute
A differenza della strategia di sicurezza nazionale del 2017 dell’amministrazione Trump , che considerava sia la Russia che la Cina allo stesso modo come minacce, l’amministrazione Biden si è concentrata principalmente sulla Cina nella sua guida provvisoria del 2021 . Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha persino contattato il presidente russo Vladimir Putin alla ricerca di una relazione stabile e prevedibile che potesse consentire a Washington di concentrarsi sulle sue priorità nell’Indo-Pacifico.
Non sorprende che l’invasione russa dell’Ucraina abbia sollevato interrogativi sulla sostenibilità dell’inclinazione di Biden verso l’Indo-Pacifico. Gli Stati Uniti hanno abbastanza larghezza di banda politica e risorse militari per far fronte alle sfide simultanee sia in Europa che in Asia? Alcuni in Asia ora temono che la minaccia rappresentata dalla Russia in Europa possa costringere Biden ad allentare il confronto con la Cina e tornare a una strategia cinese prioritaria nella regione.
Nonostante i tentativi diplomatici di Washington di ottenere l’aiuto di Pechino per fermare la guerra di Putin, la proclamazione congiunta del 4 febbraio di una partnership sino-russa senza limiti da parte di Putin e del presidente cinese Xi Jinping preclude a Biden di scegliere tra il teatro europeo e quello asiatico. Inoltre, le traiettorie geopolitiche della Russia di Putin e della Cina di Xi si fondano su una profonda sfiducia condivisa nei confronti degli Stati Uniti. Lo spazio per entrambi i leader per negoziare una pace separata con Washington sembra piuttosto piccolo; semmai, la prospettiva di una Russia indebolita potrebbe avvicinarli.
Se Washington ora deve affrontare sfide sia cinesi che russe, deve necessariamente potenziare i suoi alleati e modernizzare gli accordi di condivisione degli oneri in Asia e in Europa. Fortunatamente, la grande strategia dell’amministrazione Biden ha lo spazio per fare entrambe le cose. La sua particolare enfasi sulla costruzione di ciò che il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan chiama un “lavoro a reticolo di partenariati flessibili, istituzioni, alleanze e [e] gruppi di paesi” ha già guadagnato un notevole successo in Asia.
Come ha affermato di recente il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, gli Stati Uniti hanno sviluppato una formazione ” cinque-quattro-tre-due ” in Asia: “dal rafforzamento dei Cinque Occhi al commercio del Quad, dal mettere insieme AUKUS al rafforzamento delle alleanze militari bilaterali. ” Non potrebbe esserci approvazione migliore del reticolo dell’amministrazione Biden in Asia. Grazie alla guerra di Putin in Ucraina, il lungo anno sabbatico dell’Europa dalla geopolitica è terminato. È finalmente pronto a fare di più per la propria difesa, inclusa una storica decisione tedesca di riarmarsi.
Se gli alleati europei degli Stati Uniti si assumono maggiori responsabilità nel proteggere le loro terre d’origine dalla minaccia russa, non ci sono ragioni per cui Washington declassi le preoccupazioni asiatiche per il bene della stabilità europea. A differenza della più recente epifania degli europei, gli alleati e i partner statunitensi nell’Indo-Pacifico, in particolare Australia, India e Giappone, sono stati pronti ad assumersi maggiori responsabilità per la sicurezza asiatica.
Né l’Asia né l’Europa possono bilanciare Cina e Russia da sole per il prossimo futuro. Ma facendo di più per la propria sicurezza, aiutano a rafforzare il sostegno politico interno degli Stati Uniti per un impegno militare sostenuto nelle due regioni. Promuovendo un ruolo più ampio e una maggiore voce politica per i suoi alleati, Washington può costruire equilibri di potere regionali durevoli in Asia e in Europa, sostenuti dalla potenza militare statunitense. Ciò, a sua volta, potrebbe costringere Pechino e Mosca ad adottare approcci più ragionevoli nei confronti dei loro vicini e scartare la convinzione di poter tagliare accordi di superpotenza con Washington al di sopra dell’Asia e dell’Europa. Gli oneri di sicurezza condivisi e le alleanze rafforzate con gli Stati Uniti renderanno più facile per l’Asia e l’Europa esplorare l’equilibrio tra contenimento a breve termine e riconciliazione a lungo termine con Cina e Russia.
Da Robin Niblett, direttore e amministratore delegato di Chatham House
L’invasione dell’Ucraina da parte del presidente russo Vladimir Putin ha rivelato tanto sullo stato debole dell’ordine di sicurezza europeo quanto lo ha cambiato. Putin aveva a lungo pubblicizzato il suo rifiuto dell’allargamento verso est della NATO e dell’Unione Europea e i rischi che riteneva che questa ondata democratica liberale ponesse agli interessi russi. Per due volte ha cercato di fermare la marea: prima in Georgia nel 2008 e poi di nuovo con il suo primo attacco all’Ucraina nel 2014, dopo il rovesciamento del presidente filo-russo dell’Ucraina, Viktor Yanukovich.
I responsabili politici di Washington e delle capitali europee si sono abituati alla risultante ambiguità strategica. Sembrava uno status quo sostenibile, anche se insoddisfacente, mantenere la Russia sotto persistenti lievi sanzioni per l’annessione della Crimea e la guerra per procura nell’Ucraina orientale, aumentando lentamente gli investimenti europei e statunitensi nella NATO e nella difesa nazionale, almeno fino a quando Putin non si è trasferito dal Cremlino . Nel complesso, la Russia sembrava essere un piccolo attore nell’architettura della sicurezza globale, interferendo con le elezioni, continuando con occasionali attacchi informatici e omicidi mirati e reinserindosi in paesi instabili in tutto il mondo.
Ciò ha creato spazio affinché l’amministrazione Biden intraprendesse un serio perno geopolitico verso l’Indo-Pacifico a seguito degli sforzi in stallo durante le amministrazioni Obama e Trump. Questo perno ha rafforzato le relazioni di sicurezza degli Stati Uniti con i suoi principali alleati nella regione, formalizzandole in diversi livelli di intensità, dalla più morbida partnership Quad con Australia, India e Giappone al più duro patto Australia-Regno Unito-Stati Uniti, noto come AUKUS, con le sue dimensioni di sicurezza palesi.
La strategia indo-pacifica degli Stati Uniti ha anche comportato una linea sempre più dura verso la Cina. Washington ha imposto restrizioni al trasferimento di tecnologia e ha imposto sanzioni a Pechino per l’abuso dei diritti umani nello Xinjiang e per la repressione anti-democrazia a Hong Kong. Per l’amministrazione Biden, questo è il momento di riconoscere che il mondo non è entrato in un confronto bipolare sino-americano, ma in una competizione globale tra il mondo democratico e le due autocrazie di ancoraggio, Russia e Cina.
Legare la Cina nell’orbita delle sanzioni occidentali insieme alla Russia, anche se per ragioni non correlate, ha avvicinato queste due grandi potenze, come dimostrato dalla dichiarazione congiunta di Putin e del presidente cinese Xi Jinping a febbraio secondo cui il sostegno reciproco dei loro paesi non avrebbe limiti”. Con il suo sostegno retorico alla guerra russa, la Cina sembra mantenere questo accordo.
Cercare di staccare la Cina dalla Russia in mezzo a questa crisi sarà molto difficile. Le minacce di sanzioni secondarie contro la Cina se fornisce un sostegno economico palese alla Russia comporteranno rischi significativi per la più ampia strategia statunitense. Il mercato cinese continuerà ad essere importante per i paesi europei e asiatici in modi che l’economia russa non lo è. Tenere insieme le alleanze transatlantiche e transpacifiche sarà molto più difficile se il conflitto non sarà solo tra l’Occidente e Putin, ma tra l’Occidente e una Russia e una Cina alleate.
Pochi paesi vorranno seguire gli Stati Uniti in un mondo così nettamente diviso. La sfida rimane quella di mantenere la Russia isolata ed esposta per la sua flagrante e brutale invasione di un vicino sovrano. E per evitare, se possibile, l’onere per la strategia statunitense di dover gestire i rischi di un conflitto a due con gli alleati che sarebbe molto più ambivalente su quello scenario rispetto alla minaccia rappresentata dalla sola Russia in Europa.
Di Kishore Mahbubani, un illustre collega presso l’Asia Research Institute della National University of Singapore
La lezione per la strategia statunitense dalla guerra della Russia in Ucraina è semplice: il pragmatismo geopolitico è migliore nel mantenere la pace rispetto alla visione moralmente assolutista secondo cui ogni paese dovrebbe essere libero di scegliere il proprio destino, indipendentemente dalle conseguenze geopolitiche.
Naturalmente, l’invasione russa deve essere condannata. Tuttavia, coloro che hanno incautamente sostenuto l’adesione alla NATO per l’Ucraina e hanno accelerato le spedizioni di armi occidentali nel paese devono anche assumersi una responsabilità morale per aver condotto al macello l’agnello geopolitico ucraino e per aver creato una massiccia instabilità globale. Tutto questo dolore e questa sofferenza avrebbero potuto essere evitati se coloro che consigliavano il pragmatismo geopolitico, inclusi grandi pensatori strategici come George F. Kennan e Henry Kissinger, che mettevano in guardia su questo preciso problema, fossero stati ascoltati.
In Asia, è altrettanto pericoloso assumere l’opinione moralmente assolutista secondo cui il popolo di Taiwan dovrebbe essere libero di scegliere il proprio destino. L’ex segretario di Stato americano Mike Pompeo lo ha sostenuto in una recente visita a Taiwan quando ha affermato che “il governo degli Stati Uniti dovrebbe prendere immediatamente le misure necessarie e attese da tempo” e offrire a Taiwan “il riconoscimento diplomatico come paese libero e sovrano”.
Ci sono poche certezze geopolitiche nel mondo. Uno di questi è che se Taiwan dichiara unilateralmente l’indipendenza, la Cina gli dichiarerà guerra. Questo è il motivo per cui poche persone in Asia sostengono l’indipendenza di Taiwan.
Altrettanto importante, a differenza della forte risposta occidentale all’invasione russa dell’Ucraina, non ci sarebbe una risposta asiatica similmente unita a un’invasione cinese di Taiwan. La mancanza di una risposta energica non dimostrerebbe che i paesi asiatici sono immorali, solo che non approvano l’incoscienza geopolitica.
Il più grande cambiamento di mentalità richiesto ai politici statunitensi impegnati nella politica indo-pacifica è quello di abbandonare la lente politica in bianco e nero che li porta a lavorare solo con alleati e partner, ad esempio quelli nel patto AUKUS, inclusa l’Australia e il Regno Unito o il dialogo quadrilaterale sulla sicurezza, inclusi Australia, India e Giappone. Invece, gli Stati Uniti devono imparare a essere geopoliticamente pragmatici e lavorare con gruppi in Asia che includono la Cina.
C’è una differenza fondamentale tra l’Europa e l’Asia che i politici statunitensi potrebbero prendere in considerazione mentre modellano la loro strategia futura. Mentre l’economia russa, nonostante il suo ruolo di fornitore di energia, è solo leggermente integrata nello spazio geoeconomico europeo, quella cinese è completamente integrata in Asia. Ad esempio, il commercio dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico con la Cina è stato quasi il doppio di quello con gli Stati Uniti nel 2020.
I critici della strategia indo-pacifica di Washington hanno ragione a indicare il grande buco in questa strategia in cui dovrebbe esserci una politica economica a lungo termine. Ma il buco è ancora più grande: gli Stati Uniti non hanno la capacità di elaborare strategie geopoliticamente pragmatiche che siano in linea con quelle della maggior parte degli stati asiatici, che non hanno problemi a includere la Cina nei loro raggruppamenti regionali. In effetti, riconoscono che vincolare la Cina all’interno di gruppi multilaterali è l’approccio migliore. Se questo tipo di pragmatismo geopolitico impedisce lo scoppio di una guerra in Asia, sia per Taiwan che per un’altra questione, sarà di gran lunga superiore all’assolutismo morale dell’Occidente sull’Ucraina.
Qui sotto la lettera, a firma del Team Manager di Google Ad, indirizzata agli editori con la quale si comunica il taglio degli introiti pubblicitari a coloro i quali affermano e denunciano, tra le altre cose, “che l’Ucraina stia commettendo genocidio o deliberatamente attaccando i propri cittadini”.
Qui sotto la traduzione del testo originale:
Gentile Editore,
a causa della guerra in Ucraina, sospenderemo la monetizzazione dei contenuti che sfruttano, minimizzano o giustificano la guerra.
Si prenda nota che abbiamo già agito contro affermazioni relative alla guerra in Ucraina quando violavano politiche già in vigore (per esempio, la Dangerous or Derogatory Content Policy proibisce di monetizzare contenuti che incitino alla violenza o neghi eventi tragici). Questo aggiornamento intende chiarire, e in certi casi estendere, le nostre linee guida per gli editori per quanto attiene a questo conflitto.
Questa sospensione include, ma non è limitata, ad affermazioni implicanti che le vittime siano responsabili per la loro tragedia o analoghi casi di incolpazione delle vittime, quali affermazioni che l’Ucraina stia commettendo genocidio o deliberatamente attaccando i propri cittadini.
Alla prossima,
The Google Ad Manager Team
Per essere chiari, non è un provvedimento che ci tocca particolarmente. Da due anni abbiamo chiuso gli spazi pubblicitari perché abbiamo scoperto di godere di attenzioni particolari, compreso tra l’altro un algoritmo dedicato, da parte dei gestori dei flussi di dati a vari livelli, tali da inibire e scoraggiare l’accesso ai motori di ricerca, alterare i dati di accesso con evidenti riflessi sia sulla potenziale che reale diffusione del sito, che ovviamente sugli introiti. Per dare un idea dell’andazzo, questo sito ha avuto punte reali anche di 150.000/250.000 accessi, vedendosi riconosciuti introiti al massimo tra i dieci e i quindici euri mensili. Sappiamo comunque di non essere i soli.
Abbiamo scelto al momento di soprassedere al danno economico, sia perché il contrasto a questa manipolazione è possibile, ma comporterebbe un costo economico rilevante ed insostenibile per l’attuale redazione; sia perché i tempi per un eventuale importante investimento economico non sono maturi. Non lo sono almeno sino a quando la pletora di analisti, opinionisti ed intellettuali, per quanto parte di essi acuti ed intelligenti, non comprenderanno che il confronto culturale, necessario ed indispensabile alla formazione di una nuova classe dirigente, sia pure con modalità peculiari è parte integrante di un sempre più acceso conflitto politico da affrontare e del quale far parte superando il narcisismo autoreferenziale e la convinzione della efficacia intrinseca “della forza delle idee”. Sino a quando non si comprenderà che l’agone e il conflitto politico non può riguardare unicamente e genericamente la gente, le classi sociali, gli strati sociali come soggetti e la scadenza elettorale come ambito fondamentale; ma deve avere come obbiettivo altrettanto fondamentale la sensibilizzazione, la conquista e la protezione di élites, centri decisori e parti di classe dirigente i quali operano sotto traccia diffusamente o tacciono cautamente, emergono regolarmente anche diffusamente qua e là, specie nelle situazioni di crisi come l’attuale, ma che regolarmente non trovano la necessaria copertura politica tale da poter esporsi ed agire efficacemente.
In Italia, con la fine dei partiti politici di massa strutturati, è una considerazione, patrimonio ormai dissolto, presente teoricamente in pochi individui ed intellettuali, ma concretamente utilizzato da un numero ancor più insignificante di persone, specie tra intellettuali e politici.
Questa lettera ci rivela solo in parte quali siano gli strumenti di controllo e manipolazione dell’informazione nelle società “democratiche-liberali”.
Non solo!
Come ogni testo ed espressione umana, quella lettera esprime un dato assertivo facilmente intelligibile, ma anche un “non detto” espressione di “un mondo vitale”, come direbbe Habermas, ancora più significativo.
Quella lettera urla a chi vuol sentire che il team manager, come pure il sistema mediatico, come pure i politici di rango, come pure i centri decisori, sanno benissimo come si è arrivati al conflitto russo-ucraino e NATO-Russia. Sanno benissimo cosa sta succedendo sul terreno in Ucraina. Sanno benissimo cosa stanno combinando le bande militari oltranziste e naziste ucraine ai danni non solo dei militari russi, il che potrebbe anche essere comprensibile, ma non giustificabile, ma anche ai danni della propria popolazione in quell’area specifica del paese. Fingono di non saperlo, perché sono disponibili, ma volutamente censurati, innumerevoli filmati delle vessazioni messe in atto oggi e da anni.
Sanno benissimo, lo affermano, che quelle bande elettoralmente rappresentano molto meno del 10% della popolazione; omettono però il fatto che politicamente sono in grado di infiltrarsi nei centri di comando e di controllo degli apparati ucraini e riescono a condizionare, minacciare e ricattare pesantemente anche i politici a loro estranei. Nell’esercito e negli apparati securitari esercitano la funzione di veri propri commissari politici armati tesi a garantire ed imporre con i mezzi anche i più “disinvolti” la disciplina, l’obbedienza e la copertura propagandistica. Come spiegare altrimenti, tra i tanti atti repressivi, la messa fuori legge del partito filorusso, maggioritario prima del colpo di stato del 2014, pur sempre il secondo partito nell’ultimo turno elettorale a dispetto dell’esodo e della separazione di buona parte della popolazione russofona e filorussa avvenuta in questi anni. Per inciso, una delle foto del massacro di Bucha, grazie alla fascia bianca sul braccio, rivela involontariamente che la vittima, se reale, è un filorusso.
A pensarci bene non è però il carattere nazifascista di quella componente ad essere dirimente in quel contesto, giacché il carattere di resistenza che si vuole attribuire alla reazione all’intervento militare russo farebbe cadere in second’ordine la matrice politica dei resistenti. Non lo è dirimente per noi; lo dovrebbe essere, per inciso, per i portabandiera dell’antifascismo senza fascismo che trionfano in Italia e più in generale nel mondo del politicamente corretto e del dirittoumanitarismo. Varrebbe piuttosto considerare il carattere scellerato di una classe dirigente, simile ad una satrapia, incapace di definire un interesse nazionale comprensivo dell’intera popolazione ucraina e della collocazione geografica e geopolitica di quel paese e per questo totalmente dipendente e strumentalizzata dai disegni oltranzisti statunitensi.
Il problema vero è che quei gruppi neonazisti, nella loro brutalità e nel loro furore ideologico, nella loro ambizione di preservare l’integrità territoriale dell’Ucraina ed eventualmente allargarla prescindono dalla popolazione che vi abita da secoli, sino ad annichilirla, perseguitarla ed eliminarla. Si tratta, per inciso, non solo di quella russa, ma anche di quella ungherese e polacca. Divengono quindi un puro strumento, per altro ben foraggiato dalla gran parte delle decine di miliardi di dollari sin qui elargiti, di interessi esterni, direttamente agli ordini di centri decisori esterni. Un modo a dir poco distorto di difendere ed affermare l’interesse nazionale di un paese. Giuseppe Germinario
Mariupoli la lotta tra il bene ed il male
Effettuo la traduzione di una intervista ad un combattente russo di Mariupoli. Tra i tanti scritti, articoli che ho tradotto in questi giorni, questo mi ha colpito per l’intensità e la stridente contronarrazione alle vulgate delle nostre televisioni atlantiste
Buona lettura,
Max Bonelli
Ripulire la città dai nazisti dell’Azov è un lavoro duro ed estenuante. Sei in tensione selvaggia tutto il giorno. Capisci perfettamente che puoi diventare una facile preda per un cecchino, quindi corri tra le case, piegandoti e incassando la testa nelle spalle. il gioco mortale tra gatto e topo. Indossi un elmetto in Kevlar, un’armatura, munizioni. Ognuno di noi è magro come un lavabo ma le gambe di tutti sono come quelle di atleti sollevatori di pesi. Ti senti più calmo sotto la copertura di un carro armato o di un’altra armatura. Prima di correre dall’altra parte della strada, si “scansionano” tutti i grattacieli.
Tutto ruota intorno alla lotta contro i cecchini. Hanno un cecchino scalatore. Si piazza al quinto e sesto piano. E poi scende rapidamente tramite la corda e scappa fino a quando non è scoperto da un carro armato, mortaio o fuoco di artiglieria. I lanciatori di granate dell’AGS hanno imparato a inviare granate direttamente in finestre specifiche. Abbiamo ragazzi che hanno operato in Medio Oriente contro l’ISIS e sono tornati vittoriosi. A Mosul una città di più di un milione di abitanti L’ISIS ne aveva fatto un’area fortificata. Così gli americani la martellarono asfaltandola, con il fuoco dell’artiglieria. Per un membro dell’ISIS, potevano uccidere un centinaio di civili.
Noi invece lavoriamo in modo mirato. Ecco perché è difficile. I carri armati, lavorano solo sui punti di fuoco di cecchino identificati – se non lo centriamo, seppelliamo comunque il tiratore sotto le macerie.
La verità è molto diversa da quella che raccontano gli ucraini. Diversi gruppi di cecchini buriati e tuvani (popolazioni della siberia) sono tra noi. C’è anche un Khanty del distretto di Khanty-Mansiysk. Cacciatori da generazioni Molti sono passati attraverso la Cecenia, l’Ossezia, la Siria… Ma dicono che Mariupol è qualcosa di speciale. Vedere un cecchino nella finestra o nella soffitta di un grattacielo distrutto è estremamente difficile. Passano ore a fissare le case – attraverso un binocolo, in una termocamera e con i propri occhi. Dopo due o tre giorni, gli occhi si infiammano, i volti diventano rossi – come da una costante mancanza di sonno. Li spalmano con un po ‘di grasso di cervo. I cecchini delle Forze per le operazioni speciali lavorano con loro. I loro fucili perforano le pareti. Nel muro dopo il colpo – buchi delle dimensioni di un piatto…
In generale, nel nostro plotone, un terzo dei ragazzi ha cognomi ucraini. Dicono “ puliamo il nostro paese dagli spiriti maligni.” Ci sono quelli nati sotto l’Unione Sovietica – quelli che sono nati in Ucraina, Moldavia, Kazakistan. Le milizie russe in generale sono un’internazionale completa. Russi, ucraini, abkhazi, daghestani. Ci sono molti caucasici in generale. I combattimenti sono il loro elemento. Nella guerra, incrociamo costantemente i ceceni di Kadyrov. A volte loro ci aiutano, a volte noi aiutiamo loro. All’inizio, hanno mostrato uno sfacciato disprezzo per la morte. Poi sono diventati più attenti. La guerra è posizionale. Non c’è combattimento con il pugnale qui, gli attacchi di cavalleria non passano. Puoi diventare una facile preda per un cecchino o un mortaio. I banderiti, tra l’altro, hanno anche ceceni. Ma i nostri li chiamano “Satanisti di lingua cecena”. Li abbiamo raggiunti tramite comunicazione. Vieni fuori, gli dicono, una volta, non spareremo – combatteremo con i pugnali come uomini. Non sono usciti.
Tra le truppe di montagna quelli più anziani – hanno combattuto nella prima guerra cecena. E ora stanno combattendo i Banderisti insieme ai ceceni.
Adesso sono Fratelli in Armi. Il nostro odio per i Banderisti è reciproco in maniera assoluta. Li distruggeremmo tutti con l’artiglieria in un’ora. Ma si nascondono dietro le spalle dei civili. Non lasciano entrare le persone nei corridoi umanitari che abbiamo aperto e strillano al mondo intero che i civili stanno soffrendo per gli occupanti.
Non c’è logica, nessun significato, nessuna idea alta nelle loro azioni. Tutto è costruito su bugie – sia per il clown Zelensky che per se stessi. Ci accusano costantemente di ciò che fanno loro stessi. Bugie, bugie, bugie.
Anche i ceceni vogliono distruggere i neonazisti. Furono i ceceni a carpire il maggior numero di nazisti che cercarono di lasciare la città insieme ai civili lungo il corridoio umanitario. Per prima cosa hanno controllato le spalle – erano contusi dal rinculo del calcio del fucile. Poi controllavano i segni di ginocchiere sulle mie ginocchia. E il casco lascia una striscia rossa sulla testa. Alcuni sono stati persino annusati. Se una persona spara molto, sente odore di polvere da sparo e olio per pistole. Il mestiere del militare militare è una corsa con lo zaino, rimangono tracce sui fianchi. Potrebbe esserci un callo sul pollice dal caricamento del caricatore con le cartucce. Di solito sono tutti leggermente piegati. Sul petto, le munizioni sono costantemente appese. E questo a volte sono più di mille colpi di munizioni. Ci sono segni sulle spalle. Ci sono molte sfumature e segni che un militare trova..
In generale, i soldati di vecchia data gli” highlander “hanno una sorta di intuizione animale per il nemico. Lo sentono con la loro pelle. Indagano con gli occhi su una persona e aspettano che distolga lo sguardo. E i Banderisti non guardano negli occhi. A loro non piace affatto uno sguardo diretto e dal modo in cui reagisce alla presa , il nemico si sente. Molti hanno tatuaggi sulle spalle. O una traccia di acido.per cancellarlo.
Quando i civili furono portati fuori dalla città, non ebbero nemmeno la forza di gioire. Devastati totalmente. Quasi come zombie. Gli occhi di molti sono neri, devastati. Guardano come se fossero sull’abisso. Mi sembra che sia così che i prigionieri dei campi di concentramento non hanno avuto la forza quando i nostri soldati li hanno liberati. Molti sono sull’orlo della follia o di un esaurimento nervoso. Gli anziani che avevano tutti i tipi di piaghe, non appena escono dagli scantinati, muoiono di stress. Sono sepolti proprio in città. I vicini di solito li seppelliscono. Mariupol è costellata di queste fosse comuni.
Dopo aver continuato a correre per la città e sparare, si arriva alla sera morto di fatica. Pensi che oggi questo brutto sogno sia finito. Domani ricominceremo a dare veleno ai bastardi. Ed eccoci qui ad aspettare interi branchi di cani e gatti abbandonati. Si siedono e aspettano che i combattenti condividano la razione secca. Sta scritto : “Condividi con creatura di Dio”.
L’altro giorno è apparsa una gatta incinta. Strisciava, tremava, graffiava il terreno con i suoi artigli e urlava. Il cibo per i gattini è necessario in modo catastrofico. Le ho dato uno stufato. Tutti gli altri cani e gatti che erano in giro non si muovevano nemmeno. Anche se affamati non meno di lei. Anche la bestia capisce che una femmina incinta non può essere offesa. Ha mangiato tutto lo stufato e ha iniziato a leccare la mia scarpa polverosa. Il suo modo di dire “Grazie”. Le abbiamo fatto un “divano” nella scatola delle munizioni. Un piccolo ospedale di maternità felina da campo.
“Lascia che i tuoi gattini nascano”.
Abbiamo davvero bisogno di sostegno e comprensione; sentire che tutta la Russia è dietro di noi. E quando i ragazzi ci hanno mandato la canzone “We bite into Mariupol” – il nostro morale è andato alle stelle.
Chi ha scritto la canzone. Ha fatto una bella cosa, parla noi. Avevo una aureola proprio sopra la mia testa dopo averla ascoltata. Stiamo facendo un ottimo lavoro qui. Insieme, il mondo intero – cristiani, musulmani, buddisti. Salviamo la Russia. Solo questo pensiero ci mantiene in buona forma e non ci permette di rilassarci. Il Signore ci rispetta. Questo è quello che stiamo facendo qui. Quando morirò – ricorderò come abbiamo preso Mariupol.
Sergej Afonin