La toppa e lo sbrego_di Francesco Dall’Aglio

Le dichiarazioni rese ieri dal portavoce del Ministero della Difesa russo sono francamente risibili: e sebbene nessuno ascolti le dichiarazioni del portavoce di un qualsisia Ministero delle Difesa di un paese implicato in un conflitto credendo di trovarci la verità (oddio, qualcuno lo fa e poi lo scrive pure sui giornali), mi aspettavo qualcosa di meglio della riedizione del “gesto di buona volontà” della ritirata dai dintorni di Kiev e Kharkiv di qualche mese fa. Certo, così come allora anche adesso la ritirata è stata pianificata bene: ma questo significa solo che la possibilità che fosse necessaria era stata presa in considerazione, non che la ritirata stessa fosse desiderabile o parte di un piano strategico (quella di Kiev forse sì, ma queste sono altre considerazioni).
Il motivo per cui la ritirata è avvenuta è chiaro, ma non può essere detto ufficialmente: non ci sono gli uomini per tenere tutto il fronte, soprattutto se l’esercito ucraino va all’attacco con tutto quello che ha. E soprattutto se va all’attacco in un settore, quello di Kharkiv, che per mesi ha funzionato da riserva di unità da mandare in altri settori del fronte, dove stoccare unità da rigenerare o dove spedire reparti non proprio eccellenti. La verità è che la “pausa strategica” di questa estate è stata sfruttata bene dall’esercito ucraino, male da quello russo. Le unità non sono state avvicendate, non tutti i settori potenzialmente critici sono stati coperti meglio e la terza armata è stata organizzata in ritardo e con meno mezzi del necessario, ed è arrivata nella zona delle operazioni pochissimi giorni fa – e dal punto di vista russo meno male che ci è arrivata, altrimenti la situazione tra Kharkiv e Izyum sarebbe ancor più catastrofica.
Poche cose sono peggiori, in guerra o nella vita, del ripetere sempre la stessa tattica perché in passato è andata bene. È vero, l’esercito russo ha sempre agito in inferiorità numerica ed è riuscito finora a ottenere buoni risultati sia in attacco che in difesa (vedi Cherson), ma alla fine i nodi vengono al pettine. Se vuoi fare la guerra devi fare la guerra; se non vuoi fare la guerra non devi fare la guerra; ma non puoi fare e non fare la guerra allo stesso momento. Ora si tratta di capire quali saranno le misure che il comando russo prenderà per il prosieguo del conflitto: perché la guerra non è finita, purtroppo, nonostante i commenti di alcuni entusiasti – così come non era finita a marzo, nonostante i commenti di altri entusiasti. La situazione sul campo è peggiorata per l’esercito russo, ma il guadagno territoriale dell’esercito ucraino non basta a risolvere la questione; si dice siano in preparazione altre offensive in altri settori, ma anche qui bisogna vedere in primo luogo se la notizia è vera, e poi considerare che tutti gli altri settori (Donbas, Zaporozhie) sono strategicamente fondamentali per la Russia e meglio difesi. E considerare le perdite subite dall’esercito ucraino, molto elevate sia in uomini che in materiali, e vedere come e quando saranno rimpiazzate. La palla ora passa a Putin, che è chiamato da varie parti a decidere cosa fare dell’operazione speciale. Se lasciarla così com’è (e militari e nazionalisti gli daranno addosso, come stanno già facendo) fidando nel successo delle misure economiche anti-occidentali, del logoramento dell’esercito ucraino in questa serie di avanzate, dell’inverno che sta arrivando eccetera; o se trasformarla in operazione militare, cosa che garantirebbe migliori risultati sul campo ma comporterebbe uno stress molto maggiore per l’economia e la società russa.
PS – intanto Kadyrov ha detto che se le cose non cambiano in 48 ore “sarà costretto ad andare a Mosca e spiegare ai vertici la situazione sul campo”. Annamo bene.
e ancora…
È lunga, se preferite le cavolate propagandistiche dell’una o dell’altra parte (la nostra, occidentale) non perdete tempo.
“Nella notte le truppe russe a Kupyansk si sono ritirate senza combattere oltre il fiume Oskil, lasciando agli ucraini la parte occidentale della città. Se l’offensiva ucraina appena partita da sud, in direzione di Lyman, avrà successo, si procederà alla completa evacuazione del personale militare da tutto il settore di Izyum (io li avrei già fatti partire), il che è in linea con le decisioni prese finora – i russi non hanno bisogno al momento di scambiare vite per chilometri, come invece devono fare gli ucraini, e tutta l’avanzata ucraina in questo settore ha sempre visto lo sganciamento dei reparti russi ogni volta che rischiavano di essere sopraffatti, con l’eccezione di Balaklya dove uno dei due gruppi SOBR si è trincerato, resiste e manda in giro TikTok patriottici.
Alcune considerazioni su quella che ora possiamo tranquillamente considerare una débâcle russa, per quanto su un settore limitato del fronte.
Inutile girare intorno al problema fondamentale per l’esercito russo: schiera su tutto il fronte circa 150.000 uomini. L’esercito ucraino ne ha messi in campo più di 100.000 in due soli settori. A Cherson gli è andata molto male, a Kupyansk-Izyum molto bene. Questa differenza di risultato però ci dice alcune cose su quelle che sembrano essere le priorità strategiche del comando russo, che sa benissimo di non avere uomini a sufficienza. Quando era ovvio che prima o poi sarebbe partita l’offensiva sia verso Cherson che verso Izyum, il comando ha spostato dal fronte di Kharkiv QUATTRO gruppi tattici composti da unità del distretto militare orientale (36a, 37a, 38a e 64a brigata di fanteria motorizzata), rimpiazzati da TRE (quindi già uno in meno) gruppi tattici, DUE dei quali composti da unità della riserva e UN SOLO reparto in servizio attivo, il 752° reggimento della 3 divisione di fanteria motorizzata. Probabilmente l’ipotesi era di mandare in seguito altri reparti, ma questa cosa non è avvenuta. Le conseguenze sono evidenti.
Risulta evidente quindi che il comando russo ha dato la priorità al fronte di Cherson, dove in effetti l’offensiva ucraina è stata più o meno annichilita, a discapito di quello di Kharkiv. Non che fosse disposta a perdere tranquillamente il saliente di Izyum, ma trovandosi nella potenzialità di perdere entrambe le aree, per quella mancanza di personale di cui sopra, si è preferito rinforzare Cherson. E anche questo è in linea con la strategia seguita fino adesso: strategia sulla quale perdurano ancora una serie di incomprensioni che sarebbe il caso di risolvere una volta per tutte. La Russia vuole il Donbas, la Crimea, il territorio che c’è tra Donbas e Crimea, e (probabilmente) una zona di rispetto intorno alle due aree fuori tiro diretto dell’artiglieria. Non vuole Kiev, non vuole Kharkiv, non vuole, probabilmente, nemmeno Odessa. Se gliele regalano se le prende, ovviamente, ma non andrà mai all’assalto delle città, e di certo non lo farà né ha mai pensato di farlo con 150.000 uomini in totale: e senza le città le oblast’ restano in mano ucraina. In quest’ottica è chiaro che Cherson ha una importanza infinitamente maggiore di Izyum. Meglio tenerle tutte e due, ovviamente: ma dovendone perderne una, meglio tenere Cherson. E che una almeno l’avresti persa, viste le forze in campo, era non dico probabile ma certamente possibile. Lo sapevo io che gli ucraini stavano mettendo in campo più di 100.000 uomini per offensive localizzate, figuriamoci se non lo sapeva il comando russo.
La domanda che un po’ tutti si stanno facendo è: che succede ora? Lasciamo perdere la propaganda: i russi diranno che si è trattato di una brillante ritirata tattica che consente di accorciare il fronte e di salvare migliaia di vite (è vero), gli ucraini che si tratta di una brillante avanzata che risolve a loro vantaggio un’area finora molto problematica del fronte (è vero), col vantaggio aggiuntivo che dell’offensiva di Cherson già non si ricorda più nessuno. Perdere Izyum complica la situazione nel Donbas, naturalmente, perché l’area di Lyman torna in mano ucraina. Per tutto il resto, la situazione rimane invariata.
In realtà una variazione significativa c’è: le perdite ucraine. Per mettere in piedi un’altra offensiva del genere servono altri sei mesi, e ulteriori e continui aiuti NATO, e cosa succederà tra sei mesi nessuno lo sa. Certo si arriva all’inverno in una situazione di riequilibrio, che è appunto il trade-off di cui sopra: il nord all’Ucraina, il sud alla Russia. Però questo non risolverà i problemi dell’Ucraina. Altri sei mesi di bombardamenti (che sicuramente aumenteranno), di infrastrutture distrutte, di vite perse, di freddo non aiuteranno certamente: e non penso che l’Occidente possa, o voglia, pagare tutte le spese ucraine, visto che già non ce la fa più. Mentre in Russia da più parti si invoca la dichiarazione di guerra, la mobilitazione di tutta la popolazione, radere al suolo Kiev e bombardare l’aeroporto polacco di Rzeszów, da dove passano tutti i rifornimenti NATO, il comando resta inamovibile. Una cosa va detta degli alti gradi russi: sono immuni all’isteria. Del resto 80 anni fa hanno tranquillamente accettato l’idea che i nazisti potessero prendere Mosca, figuriamoci la perdita di Izyum. Io penso (o forse spero) che non ci saranno variazioni di rilievo, almeno per il momento. La Russia continuerà a spostare il conflitto sul piano economico più che su quello militare, e sul piano globale più che su quello locale, scommettendo sul fatto che resisterà più dell’Occidente. Se alla fine dei giochi hai azzoppato l’Euro e spostato l’asse economico a est, puoi anche perdere Kupyansk. Se però questa cosa non dovesse funzionare; se le sanzioni cominciassero a colpire più profondamente la società russa e la capacità militare russa; se ci fossero altre avanzate ucraine, e minacciassero le aree realmente strategiche e vitali dei territori occupati; allora le cose cambierebbero sicuramente. Quello che di certo cambierà adesso sono i vertici militari del distretto di Kharkiv.
Due PS.
PS 1: le truppe ucraine che avanzano sono addestrate da istruttori NATO, hanno equipaggiamento NATO, rifornimenti NATO, intelligence NATO, satelliti e AWACS NATO che comunicano in tempo reale ogni spostamento di truppe russe, i loro reparti sono coordinati da “volontari” NATO e altri “volontari” NATO si trovano sul campo. Sarebbe forse il caso di smetterla di considerare questo conflitto come una partita tra Russia e Ucraina, sia nella valutazione della performance militare russa (e ucraina) che nella valutazione del nostro ruolo che, ci piaccia o no, è quello di parte attiva nel conflitto. Finora questa cosa è passata in cavalleria. Se un HIMARS ammazza un civile russo in Crimea, non penso continuerà ad esserlo.
PS2: che succede ora a tutti i civili che nelle zone occupate hanno collaborato a vario titolo con i russi?”

 

LA NUOVA TIANXIA: RICOSTRUIRE L’ORDINE INTERNO ED ESTERNO DELLA CINA, a cura di DAVID OWNBY

Xu Jilin (nato nel 1957) è un importante storico e intellettuale pubblico che insegna alla East China Normal University di Shanghai. Come accademico, è specializzato nella storia intellettuale della Cina moderna e contemporanea, ma si occupa anche dei dibattiti che si svolgono all’interno della comunità intellettuale cinese. Come si evince dal testo qui tradotto, Xu scrive come un liberale dalla mentalità aperta, turbato dall’aumento dei sentimenti ultranazionalisti in Cina che accompagna l’ascesa della Cina. Questi sentimenti sottolineano il fatto che solo la Cina sarebbe una vera “civiltà”, alla quale non potrebbero applicarsi i cosiddetti valori “universali” promossi dall’Occidente.

Sebbene i temi principali di questo saggio pubblicato nel 2015 si possano ritrovare in molti altri testi di Xu, sono qui intrecciati in modo originale per affrontare un argomento che Xu non tratta spesso: la politica estera cinese contemporanea. Inizia con una presentazione abbastanza familiare della nozione tradizionale di tianxia 天下 (letteralmente “Tutto ciò che è sotto il cielo”) che, nelle parole di Xu, connotava sia “un ordine di civiltà ideale, sia un immaginario spaziale globale le cui pianure centrali della Cina formare il nucleo. “In un certo senso, quindi, la Cina era la tianxia, ​​cioè l’incarnazione, quando il sistema funzionava al meglio, dell’insieme dei principi che giustificavano il dominio imperiale confuciano. Ma il tianxia era aperto, non chiuso; come il sogno americano del 20° secolo, tianxia era intesa dai cinesi come una sorta di universalismo a cui altre culture potevano aspirare. Xu illustra il suo punto di vista non tanto con una discussione sul tradizionale sistema di tributi della Cina quanto con un’esplorazione delle relazioni storiche tra il popolo Han e i vari “gruppi barbari” non Han alla periferia della Cina. 

Secondo il suo punto di vista, i processi di assimilazione, prestito e integrazione erano molteplici, complessi e non ponevano problemi a livello ideologico. In altre parole, prima dell’avvento della nozione di stato-nazione, “cinese” e “barbaro” non erano intesi in termini di razza ma in termini di civiltà. La tianxia, ​​aperta e universale, accoglieva le “masse ammassate” dell’Asia, a condizione che riconoscessero lo splendore della tianxia.

Xu usa quindi questa lezione di storia per ribaltare la situazione contro i suoi avversari: in questo caso, gli ultranazionalisti cinesi e quelli, come Zhang Weiwei 张维为 (classe 1957) o Pan Wei 潘維 (classe 1964)1, che mobilitano il concetto di “unicità” della Cina per sostenere che dovrebbe ignorare l’Occidente e tornare alla sua unica civiltà. Sostiene che il loro patriottismo e orgoglio nazionale si basano su un’errata interpretazione della storia della Cina: quando la Cina era grande in passato, era aperta, non chiusa. Se la Cina vuole tornare grande, deve adottare lo stesso atteggiamento, perché le civiltà devono per definizione essere universali. Afferma inoltre che anche il patriottismo e l’orgoglio nazionale di coloro che predicano un angusto sogno cinese sono i prodotti della conversione della Cina al modello di stato-nazione e agli obiettivi di ricchezza e potere di quest’ultimo. In altre parole, l’orgoglio ispirato dall’ascesa della Cina sarebbe in gran parte un orgoglio derivante dal suo successo nel gioco dell’Occidente. Il vero “gioco” della Cina resta dimenticato.

Xu tenta quindi di immaginare un mondo in cui una qualche versione di tianxia sostituisca la posizione dello stato contemporaneo cinese. Nel contesto delle relazioni problematiche della Cina con i popoli non Han della periferia – principalmente, ma non esclusivamente, i tibetani e i popoli musulmani dello Xinjiang – Xu suggerisce che la politica di “multiculturalismo” della dinastia Qing che riconosceva l’autonomia dei gruppi minoritari all’interno determinati limiti, hanno funzionato meglio delle politiche attuali, che combinano sia l’integrazione forzata che la modernizzazione. Per quanto riguarda la geopolitica dell’Asia orientale, Xu immagina un mondo basato su valori condivisi derivanti da tianxia piuttosto che su alleanze o antagonismi basati su interessi. E nel mondo in generale,

Infine, va notato che Xu Jilin, che usa un gran numero di riferimenti occidentali in questo testo, legge a malapena l’inglese. È la massiccia industria della traduzione in Cina che rende disponibile quasi da un giorno all’altro tutto ciò che viene da altrove e sembra rilevante in cinese. Si tratta di un notevole vantaggio strategico rispetto al minore sforzo generalmente compiuto in Occidente per comprendere la Cina. Questa serie è un tentativo di innescare una dinamica simmetrica e virtuosa  : capire la Cina leggendo i suoi pensatori.

L’ascesa della Cina potrebbe essere l’evento che avrà il maggiore impatto sul 21° secolo. Eppure, nonostante il potere in espansione della Cina, gli ordini interni ed esterni del Paese sono diventati sempre più rigidi. Sul piano interno, la grandezza nazionale non ha generato una forza centripeta che attrae al centro le diverse nazionalità minoritarie delle regioni di confine. Al contrario, in Tibet e nello Xinjiang esplodono continuamente conflitti etnici e religiosi, tanto che oggi assistiamo a un separatismo estremo e ad attività terroristiche. A livello internazionale, l’ascesa della Cina ha reso nervosi i suoi vicini. I conflitti per le isole del Mar Cinese Meridionale e Orientale rappresentano la minaccia di una guerra in Asia orientale, e lo scoppio delle ostilità militari è un pericolo permanente. Il nazionalismo ha raggiunto nuove vette, non solo in Cina ma anche in tutta l’Asia orientale, in una spirale di reciproco antagonismo. Aumenta la possibilità di una guerra regionale, in un clima simile a quello dell’Europa del XIX secolo.

Ma con l’avvicinarsi della crisi, abbiamo un piano? È abbastanza facile stilare un elenco delle misure adottate a livello nazionale per alleviare la situazione, ma l’importante è scavare alle radici della crisi. E l’origine della crisi non è altro che la mentalità che concede il primato assoluto alla nazione, una mentalità che è stata introdotta in Cina alla fine dell’800 e che da allora è diventata il modo di pensare dominante tra i dipendenti pubblici e la gente comune . Il nazionalismo è sempre stato parte integrante della modernità, ma quando diventa il valore supremo dell’arte di governo può infliggere calamità distruttive al mondo, come nelle guerre mondiali europee.

Per affrontare veramente il problema alla radice, abbiamo bisogno di una forma di pensiero che possa fungere da contrappunto al nazionalismo. Io chiamo questo pensiero la “nuova tianxia”, una saggezza assiale di civiltà della tradizione premoderna cinese, reinterpretata secondo criteri moderni.

I valori universali di Tianxia

Cos’è tianxia? Nella tradizione cinese, il termine tianxia ha due significati essenziali: un ordine di civiltà ideale e un immaginario spaziale globale di cui le pianure centrali della Cina costituiscono il nucleo.

Il sinologo americano Joseph Levenson (1920-1969) sosteneva che all’inizio della storia della Cina “la nozione di “Stato” si riferiva a una struttura di potere, mentre la nozione di tianxia designava una struttura di valori. »2In quanto sistema di valori, il tianxia era un insieme di principi di civiltà a cui corrispondeva un sistema istituzionale. Lo studioso della dinastia Ming Gu Yanwu 顾炎武 (1613-1682) distinse “perdita di stato e perdita di tianxia”. Secondo lui, lo stato era solo l’ordine politico della dinastia, mentre il tianxia era un ordine di civiltà di applicazione universale. Non si riferiva solo a una particolare dinastia o stato, ma soprattutto a valori eterni, assoluti e universali. Lo stato potrebbe essere distrutto senza che la tianxia venga distrutta. Altrimenti, l’umanità si divorerebbe, scomparendo in una giungla hobbesiana.

Se, oggi, il nazionalismo e lo statalismo cinesi hanno raggiunto picchi, dietro queste ideologie si nasconde un sistema di valori che enfatizza il particolarismo cinese. Come se l’Occidente avesse valori occidentali e la Cina avesse valori cinesi, il che significa che la Cina non potrebbe seguire il percorso “tortuoso” dell’Occidente ma dovrebbe seguire il proprio percorso verso la modernità. A prima vista, questo argomento sembra molto patriottico, con una forte attenzione alla Cina, ma in realtà è molto “non cinese” e non tradizionale. In effetti, la tradizione di civiltà cinese non era nazionalista, ma piuttosto basata su un modello di tianxia i cui valori erano universali e umanistici piuttosto che particolari.

I tianxia non appartenevano a nessun popolo o nazione in particolare. Confucianesimo, taoismo e buddismo sono tutte quelle che il filosofo tedesco-svizzero Karl Jaspers (1883-1969) chiamava le “civiltà assiali” del mondo premoderno. Come il cristianesimo o la civiltà dell’antica Roma, la civiltà cinese ha preso come punto di partenza la preoccupazione universale per tutta l’umanità, utilizzando i valori degli altri popoli come una sorta di criterio di autogiudizio. Dopo il periodo moderno3, quando il nazionalismo è entrato in Cina dall’Europa, la visione della Cina è stata notevolmente ristretta e la sua civiltà è stata sminuita. Dalla grandezza di tianxia, ​​dove tutti gli esseri umani possono essere integrati nel cosmo, la civiltà cinese si è ridotta alla meschinità di “questo è occidentale, e questo è cinese”. Mao Zedong una volta ha parlato della “necessità che la Cina dia un contributo maggiore all’umanità”, affermando che “solo quando il proletariato libera tutta l’umanità può liberare se stessa”, rivelando un’ampia visione dell’internazionalismo dietro il suo nazionalismo. Ma tutto ciò che traspare oggi dal Sogno Cinese è il grande rinnovamento della nazione cinese.

In tutto il testo, notiamo i riferimenti su cui Xu Jilin fa affidamento per costruire la sua argomentazione: la maggior parte sono autori occidentali, alcuni dei quali sono ben noti come Karl Jaspers e altri meno. Ciò testimonia la notevole influenza dell’universo concettuale occidentale in Cina, poiché la stessa vita intellettuale cinese è stata ampiamente “globalizzata” durante il periodo di riforma e apertura. Questo è ovviamente particolarmente vero per liberali come Xu Jilin, ma le figure della Nuova Sinistra o dei Nuovi Confuciani non fanno eccezione in questo senso.

Naturalmente, i cinesi premoderni non parlavano solo di tianxia ma anche della differenza tra barbari (yi 夷) e cinesi (xia 夏). Tuttavia, la nozione premoderna di cinese e barbaro era completamente diversa dal discorso binario Cina/Occidente, noi/loro che si trova oggi sulle labbra dei nazionalisti estremisti. Il pensiero binario di oggi è il risultato dell’influenza del razzismo moderno, della coscienza etnica e dello statalismo: cinesi e barbari, noi e altri, esistiamo in un rapporto di assoluta inimicizia, senza spazio di comunicazione o integrazione tra loro.

Nella Cina tradizionale, la distinzione tra cinesi e barbari non era un concetto fisso e razzializzato, ma piuttosto un concetto culturale relativo che conteneva la possibilità di comunicazione e trasformazione. La differenza tra barbaro e cinese è stata determinata esclusivamente sulla base dell’esistenza di una connessione con i valori di tianxia. Mentre tianxia era assoluta, le etichette di barbaro e cinese erano relative. Mentre il sangue e la razza erano innati e immutabili, la civiltà poteva essere studiata e imitata. Come ha affermato lo storico cinese-americano Hsu Cho-yun (nato nel 1930), nella cultura cinese “non ci sono ‘altri’ assoluti, ci sono semplicemente ‘sé’ relazionali”4.

La storia è ricca di esempi della trasformazione dei cinesi in barbari, come quando i cinesi furono equiparati ai “barbari del sud” conosciuti come il popolo Man蛮. Allo stesso modo, la storia fornisce molti esempi del processo inverso, in cui i barbari vengono trasformati in cinesi, come la trasformazione del popolo nomade occidentale Hu胡 in Hua华, o coloro che abbracciarono il tianxia.

Il popolo Han era originariamente un popolo contadino, mentre la maggioranza del popolo Hu era un popolo che viveva nei pascoli: durante i periodi delle Sei Dinastie (222-589), i Sui-Tang (589-907) e gli Yuan- Qing (1271-1911), la Cina agricola e la Cina dei pascoli hanno sperimentato un processo di integrazione a due vie. La cultura cinese ha assorbito gran parte della cultura del popolo Hu. Il buddismo, per esempio, era originariamente la religione del popolo Hu; il sangue del popolo Han ha mescolato al suo interno elementi di popoli barbari; dall’abbigliamento alle abitudini quotidiane, non c’è una sola area in cui la gente delle pianure centrali non sia stata influenzata dai popoli Hu. Nei primi periodi, il popolo Han era persino solito sedersi su stuoie. Più tardi, adottarono gli sgabelli pieghevoli degli Hus, e da sgabelli pieghevoli si evolvettero in sedie con schienali: finirono per cambiare completamente i loro costumi.

Se la civiltà cinese non è ridimensionata in cinquemila anni, è proprio perché non era chiusa e angusta. Al contrario, ha beneficiato della sua apertura e della sua inclusione, e non ha mai smesso di assimilare i contributi delle civiltà esterne nelle proprie tradizioni. Adottando la prospettiva universale di tianxia, ​​la Cina si è occupata solo della questione del carattere di questi valori. Non ha posto domande etniche sul “mio” o sul “tuo”, ma ha assorbito tutto ciò che era “buono”, collegando “tu” e “me” in un tutto integrato che è diventato la “nostra” civiltà. .

Ma i nazionalisti estremisti di oggi vedono la Cina e l’Occidente come nemici assoluti e naturali. Usano distinzioni assolute di razza ed etnia per resistere a tutte le civiltà aliene. Esiste persino una “teoria del peccato originale della conoscenza occidentale” nel mondo accademico, secondo la quale qualsiasi cosa creata dagli occidentali dovrebbe essere respinta. I giudizi di questi estremisti nazionalisti riguardo agli standard di verità, bontà e bellezza non mostrano più l’universalismo della Cina tradizionale. Non resta che la prospettiva ristretta del “mio”: come se, finché una cosa è “mia”, deve essere “buona”, e finché è “cinese”, è un bene assoluto che non devono essere dimostrati.

In apparenza, questo tipo di nazionalismo “politically correct” sembra esaltare la civiltà cinese; in effetti, fa esattamente il contrario: prende l’universalità della civiltà cinese e la svilisce nella cultura particolare di una nazione e di un popolo. C’è una differenza importante tra civiltà e cultura. La civiltà si occupa di “ciò che è buono”, mentre la cultura si occupa semplicemente di “ciò che è nostro”. La cultura distingue il sé dall’altro, definendo l’identità culturale del sé. La civiltà è diversa perché cerca di rispondere alla domanda “che cosa è buono?” da una prospettiva universale che trascende quella di una nazione e di un popolo. Questo “bene” non fa bene solo a “noi”, fa bene anche a “loro” ea tutta l’umanità. All’interno della civiltà universale non c’è distinzione tra “noi” e “l’altro”, solo valori umani universalmente rispettati.

Se l’obiettivo della Cina non è solo rafforzare lo stato-nazione, ma diventare ancora una volta una potenza di civiltà con una grande influenza negli affari mondiali, allora deve adottare in ogni parola e azione la propria comprensione della civiltà universale. Questa comprensione non può essere culturalista. Non può essere basato su argomenti secondo cui “questo è il carattere nazionale speciale della Cina”, o “questo riguarda la sovranità della Cina e nessun altro è autorizzato a discuterne”. Deve usare i valori della civiltà universale per persuadere il mondo e dimostrarne la legittimità.

In quanto grande potenza con influenza globale, la Cina non dovrebbe solo ringiovanire la sua nazione e il suo stato, ma anche reindirizzare il suo spirito nazionalista al mondo. La Cina non deve solo ricostruire una cultura adattata alla sua gente, ma piuttosto una civiltà che porti valori universali. I valori fondamentali della Cina, che toccano la nostra comune natura umana, dovrebbero essere considerati “buoni” da tutta l’umanità. La natura universale della civiltà cinese può essere costruita solo dal punto di vista di tutta l’umanità e non può basarsi esclusivamente sugli interessi e sui valori particolari dello stato-nazione cinese. Storicamente parlando, la civiltà cinese era tianxia. Trasformare tianxia, ​​nell’era della globalizzazione, in un internazionalismo integrato nella civiltà universale è l’obiettivo principale di una potenza di civiltà.

La Cina è una potenza cosmopolita, una nazione globale che incarna lo “spirito del mondo” di Hegel. Deve assumersi la sua responsabilità per il mondo e per lo “spirito del mondo” che ha ereditato. Questo “spirito del mondo” è la nuova tianxia che emergerà sotto forma di valori universali.

Quando i cinesi menzionano il tianxia, ​​i suoi vicini reagiscono con una certa diffidenza ereditata dalla storia e dalle esperienze passate. Gli stati vicini temono che l’ascesa della Cina segnerà il ritorno dell’impero cinese, violento, autoritario e dominante. Questa preoccupazione non è infondata. Accanto ai valori universali, il tianxia tradizionale si riferiva anche a un’espressione spaziale: una “modalità di associazione differenziale 差序格局”, per usare un’espressione del sociologo Fei Xiaotong费孝通 (1910-2005) basata sulle pianure centrali della Cina. Tianxia era organizzata in tre cerchi concentrici: il primo era il cerchio interno, le aree centrali governate direttamente dall’imperatore attraverso il sistema burocratico; il secondo era il cerchio centrale, le regioni di frontiera che erano indirettamente governate dall’imperatore attraverso il sistema dei titoli ereditari, degli stati vassalli e dei capi tribù; e il terzo cerchio corrispondeva al sistema tributario, che stabiliva un ordine gerarchico internazionale che portava molti paesi alla corte imperiale della Cina. Dal centro alle zone di frontiera, dall’interno all’esterno, la tradizionale tianxia stabiliva un mondo concentrico tripartito con la Cina al centro, in cui i popoli barbari si sottomettevano all’autorità centrale.

Xu usa qui l’espressione 谈虎色变 che significa che “chiunque sia stato effettivamente morso da una tigre impallidirà alla menzione di questa parola, mentre altri parlano di tigri senza paura. »

Nel corso della storia della Cina, il processo di espansione dell’impero cinese ha portato religione e civiltà avanzate nelle regioni e nei paesi vicini, pur essendo caratterizzato da violenza, sottomissione e schiavitù. Questo era il caso delle dinastie Han, Tang, Song e Ming, governate dagli imperatori Han, Mongol Yuan e Manchurian Qing, i cui governanti provenivano dalle regioni di frontiera. Oggi, nell’era dello stato-nazione, con il nostro rispetto per l’uguaglianza dei popoli e il loro diritto all’indipendenza e all’autodeterminazione, qualsiasi piano per tornare all’ordine gerarchico tianxia, ​​con la Cina al centro, sarebbe non solo reazionario ma anche illusorio. Per questo, tianxia deve rivitalizzarsi nel contesto della modernità,

In che modo il nuovo tianxia è “innovativo”? Rispetto al concetto tradizionale, la sua novità si esprime attraverso due aspetti: da un lato, la sua natura decentralizzata e non gerarchica; dall’altro, la sua capacità di creare un nuovo senso di universalità.

La tradizionale tianxia costituiva un ordine politico-civiltà concentrico e gerarchico il cui nucleo era la Cina. Ciò che la nuova tianxia dovrebbe rifiutare in primo luogo è proprio questo ordine centralizzato e gerarchico. La nuova tianxia deve rispondere al principio di uguaglianza tra gli stati-nazione. Nel nuovo ordine tianxia non ci sarà più un centro ma solo popoli e Stati indipendenti e pacifici che si rispettano. Il potere gerarchico e le nozioni di dominio e asservimento, protezione e sottomissione non prevarranno più. Emergerà un ordine pacifico di convivenza egualitaria, che rifiuta l’autorità e il dominio.

Ancora più importante, il soggetto del nuovo ordine tianxia ha già subito una trasformazione: non c’è più alcuna distinzione tra cinesi e barbari, né tra soggetti e oggetti. Gli anziani affermarono che “Tianxia è la tianxia del popolo di Tianxia”. Nell’ordine interno della nuova tianxia, ​​il popolo Han e le varie minoranze nazionali godranno dell’uguaglianza reciproca in termini di diritti e status, e l’unicità culturale e il pluralismo delle diverse nazionalità saranno rispettati e protetti. Nell’ordine internazionale esterno, le relazioni della Cina con i suoi vicini e tutte le nazioni del mondo, grandi o piccole che siano, saranno definite dai principi del rispetto dell’indipendenza sovrana, dell’uguaglianza e della pacifica convivenza.

Il principio dell’eguaglianza sovrana degli Stati-nazione è infatti una sorta di “politica del riconoscimento” in cui tutte le parti ammettono reciprocamente l’autonomia e l’unicità dell’altro e accettano l’autenticità di tutti i popoli. La nuova tianxia, ​​che si basa sulla “politica del riconoscimento”, differisce dalla vecchia tianxia. Il motivo per cui l’antica tianxia aveva un centro era dovuto alla convinzione del popolo cinese di aver ricevuto un mandato dal cielo, e quindi la loro legittimità a governare il mondo proveniva da una volontà divina trascendente. Per questo c’era una distinzione tra il centro e le periferie.

Nell’attuale epoca secolare, la legittimità delle nazioni e degli stati non deriva più dall’autorità divina (che sia chiamata “Dio” o “cielo”), ma dal loro carattere intrinseco. La natura autentica di ogni Stato-nazione significa che ognuno ha i suoi valori specifici. Un sano ordine internazionale deve prima richiedere a ciascuna nazione di mostrare rispetto e apprezzamento reciproci verso tutte le altre nazioni. Se accettiamo che la tradizionale tianxia, ​​con fondamento del Mandato del Cielo, si basava sul rapporto gerarchico tra centro e periferia, allora nella nuova tianxia, ​​nell’era secolare della “politica di riconoscimento”, questo rapporto sarà regolato dai principi di uguaglianza sovrana e di rispetto reciproco tra tutti gli Stati nazionali.

La nuova tianxia è una trascendenza della tradizionale tianxia e dello stato-nazione. Va oltre il principio di centralità della tradizionale tianxia, ​​pur conservando i suoi attributi universalistici. Inoltre, incorpora il principio dell’uguaglianza sovrana degli stati-nazione, mentre va oltre la prospettiva ristretta che pone l’interesse nazionale al primo posto, utilizzando l’universalismo per bilanciare i particolarismi. La legittimità e la sovranità dello stato-nazione non sono assolute, ma soggette a vincoli esterni. Il principio della civiltà universale rappresenta questo vincolo integrato nella nuova tianxia. La sua dimensione passiva deriva dalla sua natura decentralizzata e non gerarchica; la sua dimensione attiva cerca di costruire un nuovo universalismo tianxia, ​​che possa essere condiviso da tutti.

Se la tradizionale tianxia era una civiltà universale per l’intera umanità, era come altre civiltà assiali come l’ebraismo, il cristianesimo, l’islam, le antiche religioni dell’India e le civiltà della Grecia e dell’antica Roma: il suo carattere universale prese forma in un momento nella storia per un popolo particolare, quando il senso della santa missione si è espresso attraverso il principio “Il Cielo ha affidato a questo popolo una responsabilità” di salvare un mondo decaduto. È così che la cultura particolare di un popolo è cresciuta fino a diventare una civiltà umana universale.

L’universalità delle antiche civiltà è nata da un popolo e da una regione particolari che sono stati in grado di trascendere la loro unicità facendo affidamento su una fonte santa trascendente (Dio o cielo), creando così un’universalità astratta. Il valore universale espresso dalla tradizionale tianxia cinese trova la sua fonte nell’universalità trascendente della via del cielo, il principio del cielo e il mandato del cielo. La differenza tra la civiltà cinese e l’Occidente è che in Cina sacro e secolare, trascendente e reale non hanno confini assoluti: l’universalità della sacra tianxia è espressa nel mondo reale dalla volontà secolare della gente comune .

Tuttavia, la tianxia cinese era simile ad altre civiltà in quanto tutte centrate su un popolo scelto dal cielo. Quindi la tianxia si è diffusa nelle aree periferiche. La civiltà moderna, che il sociologo israeliano Shmuel Eisenstadt (1923-2010) ha descritto come la “seconda civiltà assiale”, è apparsa prima nell’Europa occidentale e poi si è diffusa nel resto del mondo. Come la tianxia, ​​aveva un carattere assiale: si spostava dal centro ai margini, da un popolo centrale al resto del mondo.

Ciò che la nuova tianxia vuole disfare è proprio questa struttura di civiltà assiale, condivisa sia dalla tradizionale tianxia sia dalle altre civiltà fondatrici, che si muovono tutte dal centro ai margini, di un particolarismo singolare verso un universalismo omogeneo. Il valore universale che persegue la nuova tianxia è una nuova civiltà universale. Questo tipo di civiltà non emerge dalla declinazione di una civiltà particolare; piuttosto, è una civiltà universale che può essere condivisa reciprocamente da molte civiltà diverse.

La civiltà moderna è emersa nell’Europa occidentale, ma nel processo di espansione nel resto del mondo ha subito una diversificazione, stimolando la modernizzazione culturale di vari popoli e civiltà assiali. Nella seconda metà del XX secolo, dopo l’ascesa dell’Asia orientale, lo sviluppo dell’India, le rivoluzioni in Medio Oriente e la democratizzazione dell’America Latina, molte varianti della civiltà moderna hanno visto il giorno. D’ora in poi, la modernità non appartiene più alla civiltà cristiana. Piuttosto, è una modernità polimorfa che si integra con molte civiltà assiali e culture locali. La civiltà universale che cerca la nuova tianxia è proprio quella civiltà moderna che può essere condivisa collettivamente da nazioni e popoli diversi.

Il politologo americano Samuel P. Huntington (1927-2008) ha distinto chiaramente tra due distinte narrazioni della civiltà universale: la prima è apparsa nel quadro analitico binario di “tradizione e modernità”, che ha prevalso durante la Guerra Fredda. In questo quadro, l’Occidente era considerato lo standard della civiltà universale e meritava di essere emulato da tutti i paesi non occidentali. L’altro resoconto utilizzava il quadro analitico delle civiltà plurali, che intendevano il concetto come un insieme di valori comuni e strutture sociali e culturali accumulate che potevano essere reciprocamente riconosciute da varie entità di civiltà e comunità culturali. Questa nuova civiltà universale fa di ciò che è comunemente condiviso la sua caratteristica fondante.

La nuova universalità ricercata dalla nuova tianxia è un’universalità condivisa. In questo senso differisce dall’universalità delle antiche civiltà assiali. I tianxia tradizionali e le antiche civiltà assiali avevano ideali che si sviluppavano dal particolarismo di un dato popolo, in connessione con le credenze di ciascuno di questi popoli. Ora, il carattere universale della nuova tianxia non si fonda su una particolarità, ma su molte particolarità. In quanto tale, non possiede più il carattere trascendentale del tradizionale tianxia e non ha più bisogno dell’approvazione del mandato del cielo, della volontà degli dei o della metafisica morale.

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L’universalità della nuova tianxia poggia sul “sapere comune accumulato” di ogni civiltà e di ogni cultura. In un certo senso, questo è un ritorno all’ideale confuciano mondano dell’“uomo superiore 君子”: “L’uomo superiore agisce in armonia con gli altri ma non cerca di somigliare a loro. I diversi sistemi di valori e perseguimenti materiali di varie civiltà e culture si adattano allo stesso mondo utilizzando metodi rispettosi e condividendo il consenso più fondamentale sui valori reciproci da rispettare.

L'”uomo superiore ( junzi )” è un concetto chiave negli Analetti di Confucio, che rappresenta il risultato finale della cultura confuciana. La citazione completa, nella traduzione di Robert Eno disponibile online , recita: “Il junzi agisce in armonia con gli altri ma non cerca di somigliare a loro; l’omino cerca di essere come gli altri e non agisce in armonia. (13, 23)

L’universalità ricercata dalla nuova tianxia trascende sia il sinocentrismo che l’eurocentrismo. Non cerca di creare un’egemonia di civiltà sulla base di una civiltà assiale e di una cultura nazionale. Non immagina che una particolare civiltà possa rappresentare il 21° secolo, senza nemmeno evocare il futuro dell’umanità. La nuova tianxia comprende razionalmente i limiti interni di tutte le civiltà e culture e accetta che il mondo sia plurale e multipolare. Nonostante i discorsi sul potere e sull’egemonia dell’impero, il vero desiderio dell’umanità non è il dominio di una singola civiltà o sistema, per quanto ideale o grandioso.

Quello che lo studioso russo-francese Alexandre Kojève (1902-1968) ha descritto come uno “stato universalmente omogeneo” è ancora così spaventoso. Il vero ideale, descritto dall’intellettuale illuminista tedesco Johann Herder (1744-1803), era profumato con l’aroma di fiori di varie varietà. Ma perché un mondo pluralistico sfugga ai massacri tra civiltà, sono necessari un universalismo kantiano e un eterno ordine pacifico.

Il principio universale dell’ordine mondiale non può prendere a norma le regole del gioco della civiltà occidentale, né può fondarsi sulla logica della resistenza all’Occidente. Il nuovo universalismo è quello di cui tutti i popoli possono beneficiare e che è emerso da civiltà e culture diverse: il “consenso sovrapposto”, nelle parole dello studioso americano John Rawls (1921-2002).

Nel suo saggio “Come affronta il soggetto l’altro? », il filosofo taiwanese Qian Yongxiang 钱永祥 (nato nel 1949) distingue tre tipi di universalità. La prima sottolinea la lotta tra dominio e asservimento, vita e morte, dove attraverso la conquista si raggiunge l’“universalità della negazione dell’altro”. Il secondo usa l’evitamento per trascendere l’altro, perseguendo una sorta di neutralità tra sé e l’altro e raggiungendo una “universalità che trascende l’altro”. Il terzo è prodotto dal riconoscimento reciproco di sé e dell’altro, basato sul rispetto della differenza e sulla ricerca attiva del dialogo e del consenso, una “universalità che riconosce l’altro”5.

Un universalismo che abbia come centro la Cina o l’Occidente appartiene alla prima categoria del dominio e della “negazione dell’altro”, mentre i “valori universali” promossi dal liberalismo non tengono conto delle differenze interne che esistono tra culture e civiltà diverse . Il liberalismo mira a trascendere il particolarismo del sé e dell’altro per costruire un “universalismo trascendente”. Tuttavia, il liberalismo può portare a una mancanza di riconoscimento e rispetto per l’unicità dell’altro.

L’“universalità reciprocamente condivisa” della nuova tianxia è simile alla terza categoria definita da Qian Yongxiang: una “universalità basata sul riconoscimento dell’altro”. Questa universalità non cerca di stabilire l’egemonia di una particolare civiltà sulle altre, né di denunciare i percorsi intrapresi da altre civiltà. Piuttosto, cerca il dialogo e la definizione di punti in comune attraverso scambi egualitari tra diverse civiltà.

John Rawls ha immaginato un sistema di giustizia universale per gli stati costituzionali e un sistema globale di “diritti dei popoli”, titolo che ha dato al suo libro del 1999 sull’argomento. Secondo lui, lo stato costituzionale potrebbe stabilire un ordinamento interno politicamente liberale basato su una “comprensione” risultante dal “consenso sovrapposto” derivante da diversi sistemi religiosi, filosofici e morali. Negli affari internazionali, un ordine globalmente giusto potrebbe essere costruito sui diritti umani universali.

In questo caso, Rawls potrebbe commettere un errore invertendo l’ordine dei percorsi da seguire. La solidità di un sistema giudiziario nazionale deve basarsi su valori comunemente condivisi e di contenuto sostanziale; un consenso artificiale non può funzionare. Ma per molte civiltà, gli elementi della comunità internazionale che convivono con la cultura nazionale, e l’uso degli standard occidentali sui diritti umani, sono apparsi troppo soggettivi e vincolanti per costituire il valore fondamentale del “diritto”. Popoli”. Internamente, lo stato-nazione richiede una razionalità comune, mentre la società internazionale può stabilire solo un’etica minimalista. Questa etica minimalista può basarsi solo sul “consenso sovrapposto” di diverse civiltà e culture:

L’ordine interno di Tianxia: l’unità nella diversità come principio di governance nazionale

La tianxia era l’anima della Cina premoderna. Il corpo istituzionale di quest’anima era l’impero cinese. L’impero cinese premoderno differisce notevolmente dalla forma di stato-nazione di cui gode oggi la Cina. Lo stato-nazione si basa sull’idea di una nazione per un popolo, con un mercato e un sistema istituzionale internamente unificati, e un’identità e cultura nazionale unificate. I metodi di governo di un impero sono più diversi e flessibili: non richiede uniformità tra le regioni interne dell’impero e le sue aree di confine. Finché le regioni di frontiera mostrano la loro fedeltà al governo centrale, l’impero può consentire ai popoli e alle regioni sotto la sua amministrazione di mantenere le loro religioni e culture,

Tutti gli imperi di successo nella storia, inclusi gli antichi imperi macedone, romano, persiano o islamico, così come il moderno impero britannico, hanno condiviso caratteristiche comuni quando si tratta dei loro principi di governo. L’impero cinese, la cui storia bimillenaria va dal periodo Qin-Han alla fine del periodo Qing, ci ha lasciato in eredità una ricca esperienza di tentativi di governo che merita di essere analizzata.

Sebbene la Cina si sia trasformata in un moderno stato-nazione europeo dopo la fine della dinastia Qing, la vastità della sua popolazione e la diversità dei territori che la componevano (vaste pianure, altopiani, praterie e foreste), fecero sì che la Cina rimanesse un impero, anche se ha preso la forma di un moderno stato-nazione. Dalla Repubblica di Cina alla Repubblica popolare cinese, generazioni di governi centrali hanno cercato di costruire un sistema amministrativo e un’identità unificati, in modo che il popolo cinese si percepisse come un gruppo nazionale omogeneo.

Eppure, dopo cento anni, non solo non è stata raggiunta l’unificazione sistemica, culturale e nazionale, ma al contrario, negli ultimi dieci anni, le questioni religiose ed etniche nelle regioni di confine come il Tibet e lo Xinjiang sono peggiorate, al punto che il separatismo e il terrorismo è apparso. Qual è la causa di questo fenomeno? Com’è possibile che, sotto l’impero tradizionale, i popoli minoritari delle regioni di frontiera abbiano potuto vivere in relativa pace, mentre nel quadro del moderno stato-nazione si manifestano crisi multiformi? L’esperienza del governo sotto l’impero può servire da guida per il moderno stato-nazione cinese?

In termini di concettualizzazione dello spazio, la tianxia costituiva una modalità gerarchica di associazione, con al centro le pianure centrali della Cina. La modalità di governo dell’impero cinese era basata su una serie di sfere concentriche che si sostenevano a vicenda. Nella sfera interna, dove viveva il popolo Han, veniva applicato un sistema burocratico sviluppato dal primo imperatore Qin. Nella sfera esterna, le regioni di confine abitate da minoranze, è stata istituita una varietà di governance locale. I sistemi di titoli ereditari, gli stati vassalli e i leader tribali erano basati su tradizioni storiche, caratteristiche etniche e situazioni territoriali specifiche.

Finché i popoli minoritari erano disposti a riconoscere l’autorità della dinastia centrale, potevano godere di una significativa autonomia e mantenere i loro costumi culturali, credenze religiose e politiche locali che erano state tramandate nel corso della storia. Il concetto di “un paese, due sistemi” proposto da Deng Xiaoping (1904-1997) negli anni ’80 per Macao, Hong Kong e Taiwan ha le sue origini nella saggezza di governo pluralista della tradizione imperiale premoderna.

Nella storia cinese ci sono stati due tipi di monarchie centralizzate: le dinastie Han delle pianure centrali, che videro una successione di Han (206 a.C. – 220 d.C.), i Tang (618-907), i Song (960-1279) ei Ming (1368-1644); e le dinastie dei popoli di frontiera, che includevano i Liao (907-1125), Jin (1115-1234), Yuan (1271-1368) e Qing (1644-1911). Gli Han erano un popolo agricolo che controllava vaste pianure coltivabili. Con l’eccezione di brevi periodi sotto gli Han occidentali e l’altezza del Tang, gli Han non riuscirono mai a stabilire un dominio duraturo, pacifico e stabile sui popoli nomadi delle praterie. Questo perché i modi di vita e le credenze religiose dei popoli agricoli e nomadi differivano ampiamente.

Eppure gli Han non furono in grado di sfruttare il loro successo con la civiltà delle pianure centrali per conquistare i popoli nomadi del nord e dell’ovest. Infatti, solo le dinastie stabilite dai popoli di confine riuscirono a unificare le regioni agricole e le regioni nomadi in un unico impero, formando così il vasto territorio della Cina contemporanea. La dinastia mongola Yuan durò appena 90 anni. La dinastia Manchu Qing, invece, costituiva un impero unificato, multicentrico e multietnico, molto diverso dalle dinastie Han. I Qing riuscirono a integrare in un ordine imperiale i popoli agricoli e i popoli delle praterie che, fino ad allora, erano riusciti a malapena a convivere in pace. Per la prima volta, il potere del governo centrale si estese con successo alle foreste e alle praterie del nord e agli altopiani e ai bacini dell’ovest, ottenendo così una struttura unificata senza precedenti.

Sebbene il popolo Manchu provenisse dalle remote foreste della catena montuosa del Greater Khingan in quella che oggi è la provincia settentrionale dell’Heilongjiang, possedeva un’intelligenza politica di prim’ordine. Per molti anni i Manciù vissero tra i popoli contadini e i popoli delle praterie. Erano stati sconfitti e avevano sconfitto anche altri popoli. Hanno mostrato una profonda comprensione delle differenze tra le civiltà. Una volta entrati nelle pianure e assunto il governo centrale, si misero a ricostruire un grande impero unificato e la loro esperienza storica si trasformò in intelligenza politica impiegata per governare la tianxia. La grande unità stabilita dai Qing era molto diversa da quella stabilita dal primo imperatore Qin.

Sebbene il passaggio citato da Xu sia spesso interpretato come una descrizione degli sforzi di unificazione compiuti dai Qin, in realtà deriva dal Libro dei Riti, che è stato scritto prima dell’unificazione dei Qin.

Nelle diciotto province che costituivano il territorio originario degli Han, la dinastia Qing perpetuò il sistema storico dei riti confuciani, utilizzando la civiltà cinese per governare la Cina. Nelle regioni di frontiera dei popoli manciuriani, mongoli e tibetani, ha usato il buddismo dei lama come un legame spirituale comune e ha impiegato metodi di governo diversi, morbidi e flessibili al fine di preservare una tradizione storica. Gli imperi dinastici conquistatori Mongol-Yuan e Manchu-Qing erano molto diversi dalle dinastie Han-Tang delle pianure centrali. Gli imperi Mongol-Yuan e Manchu-Qing non formarono una tianxia religiosa, culturale e politica unificata. Piuttosto, hanno cercato di costruire un sistema politico di convivenza reciproca basato sulla diversità culturale.

Le differenze inconciliabili nello stile di vita e nella religione tra i popoli agricoli e i popoli nomadi sono stati conciliati, come parte dell’esperienza di governo dell’Impero Qing, attraverso questo doppio sistema. Nella Cina odierna, il popolo agricolo Han e le minoranze nomadi di frontiera si scontrano con una civiltà industriale più potente e secolare. Le conquiste economiche e politiche dei popoli marittimi europei hanno trasformato radicalmente il popolo agricolo Han in modo che ora somiglino agli europei del 19° secolo, con il loro inesauribile desiderio di ricchezza materiale e concorrenza.

Inoltre, il secolarismo fu introdotto nei territori nomadi della Cina occidentale e settentrionale allo stesso modo in cui le potenze imperiali lo avevano portato in Cina. Eppure tendiamo a dimenticare che i popoli nomadi delle praterie sono diversi dai popoli agricoli; la loro concezione della felicità è completamente diversa da quella degli Han secolari. Per un popolo con profonde credenze religiose, la vera felicità non si trova nella soddisfazione dei desideri materiali o nei piaceri della vita secolare; anzi, si trova nella protezione degli dèi e nella trascendenza della sua anima. Quando il governo centrale utilizza la visione unitaria dello Stato-nazione per diffondere i principi dell’economia di mercato, dell’uniformità della gestione burocratica e della cultura laica nelle regioni di confine, incontra una forte reazione da parte di alcuni membri di gruppi minoritari, che resistono ferocemente alla secolarizzazione, simile alla resistenza vista in alcune parti del mondo islamico dell’Asia sudoccidentale e orientale.Nord Africa.

Da un’altra prospettiva, una delle principali differenze tra il moderno stato-nazione e il tradizionale impero cinese è che lo stato-nazione cerca di creare una cittadinanza unificata: il popolo cinese. Costituiti da oltre il 90% della popolazione, gli Han sono l’etnia dominante e principale, e per questo spesso immaginano, consciamente o inconsciamente, che la loro storia e le loro tradizioni culturali rappresentino quelle del popolo cinese. Come gruppo etnico principale, cercano di assimilare gli altri gruppi etnici in nome dello “Stato” o della “cittadinanza”.

Tuttavia, il significato moderno della parola “nazione” non è quello che intendiamo con il senso comune della parola “popolo”, gruppo di persone con usi, costumi e tradizioni religiose, come gli Han, i Manciù, i Tibetani, gli Uiguri , Mongoli, Miao, Dai, ecc. L’idea di “nazione” è intimamente legata al concetto di “stato”. Il popolo riunisce tradizioni storiche e culturali, ma ha anche elementi più recenti che sono emersi contemporaneamente al moderno stato-nazione e sono i suoi prodotti. Questa è la differenza fondamentale tra i cittadini moderni e le persone storiche.

Il “popolo cinese” non è un “popolo” nel senso in cui di solito si intende questo termine. La cittadinanza cinese è stata forgiata, come negli Stati Uniti, con l’apparizione dello stato moderno. Sebbene la nozione di popolo cinese definisca gli Han come soggetti, non sono l’equivalente del popolo cinese. La dinastia Qing creò uno stato multietnico più o meno nei contorni della Cina moderna, ma non tentò di forgiare un popolo cinese uniforme. L’emergere del concetto di popolo cinese arriva solo dopo la fine del periodo Qing, prima nelle discussioni di politici come Yang Du 杨度 (1875-1931) e intellettuali come Liang Qichao 梁启超 (1873-1929).

La Repubblica di Cina fondata nel 1911 era uno stato-nazione basato sul modello di una “repubblica dei cinque popoli”. Ciò significava che il popolo cinese non era limitato agli Han, né le tradizioni culturali storiche degli Han potevano essere utilizzate per creare una narrativa commemorativa e impostarle come standard per il futuro. La Cina premoderna era una Cina diversificata. C’era la Cina della civiltà Han, centrata sulle pianure centrali; c’era anche la Cina delle minoranze etniche delle praterie, delle foreste e degli altipiani. Insieme hanno plasmato la storia della Cina premoderna. I cinquemila anni di storia della Cina sono la storia di interazioni permanenti tra i popoli delle pianure e delle frontiere, i popoli agricoli e i popoli nomadi. Durante questa storia, i cinesi sono diventati barbari ei barbari sono diventati cinesi. Alla fine, cinesi e barbari si fusero in un flusso comune e, durante l’era Qing, permisero l’emergere di un moderno stato-nazione. Cominciarono a riunirsi come un corpo di cittadini noto come il popolo cinese.

È molto più difficile forgiare una cittadinanza multietnica che costruire uno Stato moderno. Il problema non sta nell’atteggiamento dell’etnia dominante, ma nel grado di identificazione delle etnie minoritarie con l’identità dei cittadini. Il professor Yao Dali 姚大力 (n. 1949), studioso delle aree di confine della Cina, ha osservato: “Apparentemente, le richieste estreme del nazionalismo etnico minoritario e del nazionalismo statale sembrano essere completamente antitetiche, ma in realtà sono quasi certamente le stessa cosa. La storia ci ricorda spesso che il nazionalismo statale nasconde il nazionalismo etnico del principale gruppo comunale in un dato stato.6.

Dai primi tentativi di costruire la cittadinanza durante la dinastia Qing fino ad oggi, gli Han sono stati spesso visti come l’equivalente del popolo cinese. L’Imperatore Giallo è considerato il padre della civiltà cinese. Dietro questo nazionalismo cittadino si nasconde il vero volto del nazionalismo etnico. La costruzione di una cittadinanza sulla base di un’unica etnia è destinata al fallimento, perché appena un Paese vive una crisi politica, le minoranze etniche oppresse si ribellano. Il crollo dell’impero sovietico è l’esempio più recente.

Fei Xiaotong ha sviluppato una concezione tradizionale del popolo cinese; lo caratterizza per una “unità nella diversità”. L’unità dei cittadini unisce il popolo cinese. “Diversità” si riferisce all’autonomia culturale reciprocamente riconosciuta e ai diritti all’autonomia politica posseduti da tutte le nazionalità e minoranze etniche. Sebbene l’Impero Manchu Qing non abbia cercato di creare una popolazione unificata, è riuscito a mantenere questa “unità nella diversità”. Ha reso possibile la diversità attraverso il rispetto della pluralità delle religioni e dei modi di governo. Ha raggiunto “l’unità” attraverso un’identità dinastica multietnica condivisa.

Questa “unità” non si basava sull’identificazione civica, ma piuttosto su una dinastia universale. Intellettuali Han, duchi mongoli, lama tibetani e capi tribù del sud-ovest riconobbero tutti il ​​monarca della dinastia Qing. L’unico simbolo di stato, l’imperatore Qing è stato chiamato con nomi diversi da popoli diversi. Gli Han lo chiamavano imperatore, i duchi mongoli lo chiamavano il Gran Khan, il capo dell’alleanza delle praterie, ei tibetani lo chiamavano Manjusri, il Bodhisattva vivente. Il nucleo dell’identità statale dell’Impero Qing poggiava su un’identità politica il cui simbolo era il potere monarchico. Questo potere si basava non solo sulla violenza, ma anche su una cultura multiforme. Quindi c’era davvero un monarca e molteplici espressioni culturali.

L'”unità” cinese creata dalla dinastia Qing della Manciuria non è più adatta all’era dello stato-nazione. Oggi la Cina ha bisogno di un’identità civica unificata. Eppure i problemi che emergono nelle regioni di confine e con le minoranze illustrano il fatto che non abbiamo ancora trovato il giusto equilibrio nella nostra politica di “unità nella diversità”. Nelle aree in cui avevamo bisogno di “unità”, abbiamo definito troppe eccezioni. Ad esempio, nel far rispettare la legge sulle minoranze etniche, siamo stati troppo indulgenti, il che ha generato risentimento tra gli Han che vivono nelle zone di confine. Nelle aree in cui avevamo bisogno di “diversità”, eravamo troppo “rigidi”. Per esempio, non abbiamo sufficientemente rispettato le credenze religiose e le tradizioni culturali delle minoranze etniche e non abbiamo applicato abbastanza il diritto all’autonomia nelle regioni minoritarie. Tutti questi comportamenti testimoniano una propensione allo sciovinismo Han.

Le minoranze etniche non erano obbligate a seguire la “politica del figlio unico” con la quale la Cina sperava di limitare la crescita della popolazione. Alcuni cinesi Han lo trovarono ingiusto.

La tensione tra diversità e unità è una preoccupazione comune a tutte le nazioni multietniche. Sono domande complesse a cui i sistemi democratici non offrono risposte semplici. Secondo alcuni liberali, la questione etnica è una falsa questione. Ritengono che finché le regioni minoritarie godranno di una reale autonomia e un sistema federale si sostituirà al potere politico centralizzato, la questione etnica sarà immediatamente risolta. Tuttavia, sappiamo dagli esempi passati in Cina e in altri paesi che le minoranze etniche a lungo oppresse, in caso di rivolte, utilizzeranno l’indebolimento del potere centralizzato per liberarsi e chiedere l’indipendenza. La nazione unita affronterà così una crisi di disintegrazione.

Va sottolineato che la nuova tianxia qui proposta da Xu Jilin ha per oggetto non il sistema “occidentale” che governerebbe il mondo attuale, ma il nuovo nazionalismo propugnato da molti intellettuali cinesi, nonché il Partito-Stato, che a lui cerca di recuperare il discorso tradizionale su basi errate. Pertanto, Xu Jilin ammette che la Cina gioca un ruolo più importante sulla scena internazionale, ma non come “l’unica civiltà” tra gli stati-nazione minori. La Cina è ormai parte della civiltà moderna (o postmoderna) e deve mostrarsi come tale e assumersi le proprie responsabilità.

In che modo, nel processo di democratizzazione, un Paese può prevenire il separatismo che porta alla disgregazione della nazione, pur garantendo rigorosamente l’autonomia culturale e politica delle minoranze? Chiaramente, un modello di governance nazionale unificata che ponga troppa enfasi sull’integrazione economica, politica e culturale farà fatica a risolvere questo problema intrattabile. Le esperienze di successo degli imperi premoderni con un sistema pluralistico di religione e governo possono ispirarci.

In Cina, il “patriottismo costituzionale” può garantire l’uguaglianza e il rispetto della legge per tutti gli individui, indipendentemente dalla nazionalità o dalla regione di origine. L’affermazione di questi principi rafforzerà l’identità nazionale di ogni gruppo etnico minoritario. L’identità dinastica tradizionale, che era basata sul simbolo del potere monarchico, deve trasformarsi in un’identità nazionale basata su uno Stato-nazione che ne rispetti la Costituzione.

Allo stesso tempo, dovremmo essere ispirati dalla tolleranza religiosa e dal tradizionale sistema di governo dell’impero, consentendo al confucianesimo di simboleggiare l’identità culturale del popolo Han, proteggendo al contempo le particolarità religiose, linguistiche e culturali delle minoranze. diritti e offrendo loro garanzie. L’espressione “un paese, due sistemi” non dovrebbe essere usata solo nei confronti di Hong Kong, Macao e Taiwan. Dovrebbe essere ampliato per diventare un principio guida di governance per le aree di confine autonome. Solo attraverso tali misure si può costruire l’ordine interno della nuova tianxia. Bisogna immaginare una nuova cittadinanza per il popolo cinese che sia insieme “unita” e “diversa”.

Dal 19° secolo, abbiamo assistito all’ascesa degli stati nazionali. La conservazione della sovranità nazionale è stata eretta come un interesse centrale. I confini sono stati chiaramente delineati sulla terra e nel mare… Il primato della sovranità nazionale che sta prendendo piede nella mentalità cinese dei cittadini e dei leader è molto diverso dal tradizionale pensiero tianxia. In Europa, i politici hanno imparato dalle lezioni delle due guerre mondiali e hanno cercato di ridurre il potere dello Stato. Le prime conquiste dell’Unione Europea hanno poi visto la luce nel contesto della globalizzazione. Al contrario, in Asia orientale (compresa la Cina) il nazionalismo ha conosciuto una rinascita senza precedenti con il rischio che emergano nuovi conflitti militari.

La nuova tianxia può servire da antidoto all’ascesa del nazionalismo? Lucien Pye (1921-2008), studioso cinese e politologo americano, una volta disse che la Cina era un impero di civiltà travestito da stato-nazione. Se siamo d’accordo con questo commento, la Cina oggi rimane un impero monarchico tradizionale nella misura in cui lo stato cinese riconosce la diversità culturale delle regioni e delle nazioni di confine. La Cina oggi usa i metodi dello stato-nazione per governare un enorme impero. Negli affari internazionali e nei conflitti in cui sono in gioco i suoi interessi, la Cina fa affidamento su una retorica che attribuisce il primato assoluto alla conservazione della propria sovranità nazionale.

L’ascesa della Cina ha sollevato preoccupazioni tra i suoi vicini. Temono che l’impero cinese rinasca e cercano di esercitare il dominio sulla regione. Gli stati dell’Asia orientale hanno così paura delle ambizioni cinesi che hanno chiesto agli Stati Uniti, uno stato imperialista, di essere coinvolti nell’Asia orientale per bilanciare il crescente potere della Cina. Di recente, in un articolo intitolato “Il significato dell’Asia orientale della teoria dell’impero cinese”, il professore coreano Yông-sô Paek ha osservato che: “L’impero premoderno della Cina non era suddiviso in diversi stati nazione. La Cina contemporanea ha mantenuto le caratteristiche dell’imperialismo medievale fino ad oggi. Allo stesso tempo, se consideriamo che il periodo moderno è caratterizzato da una rapida trasformazione da stato-nazione a impero, allora, in un certo senso si può dire che il carattere imperiale originario della Cina non solo non scomparirà, ma si rafforzerà. »7Anche se la Cina ripete che la sua ascesa è pacifica, perché non riesce a convincere i suoi vicini? Una delle ragioni principali è che l’ente imperiale cinese apprezza soprattutto il rispetto della propria sovranità nazionale. È un impero senza coscienza tianxia.

Sotto l’impero cinese tradizionale e la coscienza tianxia, ​​è stato promosso un intero insieme di valori universali che trascendevano l’interesse individuale. Questa coscienza universale traeva la sua fonte da un’etica morale e serviva da standard per misurare il bene e il male, limitando l’estensione del potere dei governanti e determinando la legittimità di una dinastia a governare. Al contrario, un impero senza coscienza tianxia significa che il corpo imperiale non è più guidato da valori universali. Esistono invece solo calcoli strategici che rispondono ad interessi esclusivamente nazionali.

Il concetto di modernità dall’Europa ha due dimensioni. Il primo, tecnico, mira a rafforzare e arricchire la nazione. Il secondo è legato ai valori, che sono al centro la libertà, lo Stato di diritto e la democrazia. Il primo riguarda la forza, il secondo la civiltà. Se guardi la pagella della Cina dopo mezzo secolo di emulare l’Occidente, si sta praticamente comportando come un bambino prodigio quando si tratta della dimensione tecnica. Ma quando si tratta di valori democratici, ha fallito. Ha persino completamente dimenticato il tradizionale discorso tianxia.

I portavoce del ministero degli Esteri cinese usano spesso le seguenti espressioni per descrivere le politiche interne della Cina: “Questa è una questione di politica interna, non permettiamo agli stranieri di interferire” o “Riguarda la sovranità e gli interessi fondamentali della Cina, come possiamo consentire ai paesi stranieri di intervenire?” In una società internazionale basata su principi comuni, la Cina resta estranea al discorso universalistico e si protegge invocando il primato della sua sovranità nazionale. L’impero cinese tradizionale ha accolto molti paesi alla sua corte nel corso degli anni, non perché i paesi vicini temessero la forza militare dell’impero, ma perché erano attratti dalla sua civiltà e istituzioni avanzate.

Il primato dell’interesse nazionale convincerà solo chi ne trarrà vantaggio; non ha mezzi per convincere l'”altro”. La grandezza del confucianesimo deriva proprio dalla sua capacità di trascendere gli interessi del singolo “piccolo personaggio” o di una dinastia. È al di sopra dello stato e porta i valori universali di tianxia, ​​che è il più grande dei “grandi sé”, il “grande sé” dell’umanità. Gli intellettuali cinesi del periodo del 4 maggio hanno perpetuato lo spirito tianxia che lega l’individuo all’umanità attraverso lo spirito internazionalista dell’era moderna.

Il ricercatore e linguista Fu Sinian 傅斯年 (1896-1950) formulò una nota espressione che riflette la filosofia degli intellettuali del 4 maggio: “Ad alto livello, riconosco solo l’esistenza dell’umanità. Certo, ‘io’ esiste nel mio piccolo mondo, ma le cose che mediano tra me e l’umanità, come le classi, le famiglie, le regioni e lo stato, sono solo idoli. »8Anche Liang Qichao, che fu il primo a introdurre il concetto di stato-nazione in Cina, e che alla fine della dinastia Qing difese ferocemente la supremazia assoluta dello stato-nazione, si arrese improvvisamente durante il Movimento del 4 maggio che ” il nostro patriottismo non può abbracciare la nazione e ignorare l’individuo, né abbracciare la nazione e ignorare il mondo. Dobbiamo fare affidamento sulla protezione della nazione per sviluppare al massimo le capacità innate di ciascuno e di tutti, in modo da dare un grande contributo alla civiltà globale dell’umanità”9.

Il movimento dei cittadini del 4 maggio era basato sull’internazionalismo. Gli studenti sono scesi in piazza non per combattere per ristretti interessi nazionali, ma piuttosto per difendere i valori universali. Piuttosto che usare la forza per far sentire le loro richieste, hanno basato la loro lotta sull’appello al rispetto dei principi universali. Era il cuore della coscienza patriottica tianxia del 4 maggio. Il concetto di stato-nazione arrivò in Cina dall’Europa attraverso il Giappone, e si intrecciava con il principio darwiniano della “sopravvivenza del più adatto”, tanto che alla fine della dinastia Qing era penetrato profondamente nella mentalità dei cinesi . Al contrario, gli intellettuali del 4 maggio hanno cercato di mettere in guardia dalle devastazioni della prima guerra mondiale e hanno cercato di usare l’internazionalismo come rimedio.

Mentre il nazionalismo avanza nell’Asia orientale, guidato dai politici e dall’opinione pubblica, la domanda è come superare la supremazia dello stato-nazione e trovare un nuovo universalismo per l’Asia orientale. L’instaurazione di un nuovo ordine pacifico è diventata una delle principali preoccupazioni di tutti gli intellettuali impegnati nell’Asia orientale. Il centro del mondo del 21° secolo si è già spostato dall’Atlantico al Pacifico. L’Asia orientale che si trova sulla sponda occidentale del Pacifico non può essere divisa. Deve trovare i mezzi per definire una comunità di destino condiviso.

La comunità del destino comune dell’Asia orientale era già visibile, dal XV al XVIII secolo, nella forma del sistema tributario centrato sulla Cina. Lo specialista mondiale dei sistemi Andre Gunder Frank (1929-2005), ha spiegato nel suo libro Re-orient: The Global Economy in the Asian Age, che un'”era asiatica” era prevalsa prima della rivoluzione industriale in Europa. Il tianxia e il sistema affluente cinese attorno al quale erano organizzate le sfere concentriche definivano l’ordine imperiale cinese.

Nel 21° secolo, nell’era della nuova tianxia, ​​bisogna immaginare un nuovo universalismo condiviso, decentrato e non gerarchico. Il sistema affluente ovviamente non è più idoneo. Tuttavia, alcuni fattori del sistema tributario possono essere integrati nel quadro delle relazioni interstatali della nuova tianxia, ​​a condizione che siano decentrati e non gerarchici. Il sistema tributario ha agito come una sorta di complessa rete etica, politica e commerciale. Era totalmente diverso dal dominio a senso unico che definiva l’imperialismo europeo. Nel sistema tributario non c’erano padroni o schiavi, sfruttatori e sfruttati, predoni e depredati. Il sistema cinese ha posto maggiore enfasi sugli interessi condivisi tra i paesi.

Storicamente, l’impero cinese ha utilizzato i vantaggi reciproci del sistema tributario per stringere alleanze con molti paesi, fino a quando non è riuscito a stringere relazioni pacifiche con ex nemici. Tianxia ha una sua civiltà, con la comprensione e il perseguimento di un ordine etico universale. L’impero cinese non aveva bisogno di nemici. Il suo obiettivo era limitare gli antagonismi al fine di costruire relazioni commerciali reciprocamente vantaggiose.

Se l’impero cinese aveva molti alleati, la Cina ora ha nemici ovunque. Alcuni conservatori dell’esercito cinese considerano addirittura che “la Cina è circondata da tutti i lati”. Resta da vedere se questi nemici sono reali o immaginari. Poiché la Cina eleva la propria sovranità nazionale a valore fondamentale, immagina di essere costantemente sotto attacco. Un’altra dimensione del problema è che, sebbene la “supremazia nazionale prima di tutto” sia ora una mentalità universale condivisa dai funzionari cinesi e dal popolo, e la gravità della crisi interna cinese richiede effettivamente la costruzione di una nuova identità nazionale comune, il nazionalismo cinese contemporaneo è stato svuotato del suo significato di civiltà, e non rimane altro che un simbolo enorme e vuoto. È quindi necessario creare nemici esterni per riempire questo vuoto interiore. Il fragile “noi” può così essere protetto dalla minaccia del minaccioso “altro”. È così che si stabilisce l’identità nazionale e statale cinese. Ciò ha reso le relazioni della Cina con i suoi vicini e con il mondo sempre più tese. In passato, Mao Zedong ha proclamato con orgoglio che “abbiamo amici in tutto il mondo”. Oggi la Cina si trova nella situazione opposta: aumentano le controversie con gli altri Paesi. In passato, Mao Zedong ha proclamato con orgoglio che “abbiamo amici in tutto il mondo”. Oggi la Cina si trova nella situazione opposta: aumentano le controversie con gli altri Paesi. In passato, Mao Zedong ha proclamato con orgoglio che “abbiamo amici in tutto il mondo”. Oggi la Cina si trova nella situazione opposta: aumentano le controversie con gli altri Paesi.

Nelle odierne società dell’Asia orientale, in particolare in Cina e Giappone, il sentimento nazionalista è in aumento. Le controversie su varie isole del Mar Cinese Orientale e Meridionale sono diventate aree strategiche che potrebbero scatenare una guerra in caso di incidente. La sovranità è chiaramente definita negli oceani? Nel mondo premoderno dell’Asia orientale, questo non era semplicemente un problema. Il professor Takeshi Hamashita 滨下武志 (n. 1943), un’autorità giapponese sul sistema dei tributi, ha osservato che: “Nella storia dell’Asia orientale, dal punto di vista della cooperazione territoriale, il mare doveva essere utilizzato da tutti. Il mare non poteva essere tagliato e doveva essere accessibile a tutti i marinai. Tuttavia, la prospettiva occidentale riguardo al mare era completamente diversa. I portoghesi e gli spagnoli consideravano il mare un’estensione della terraferma. Tuttavia, le normative occidentali non sono le uniche che esistono e sono state fonte di molti conflitti dall’inizio del periodo moderno.

Nell’Asia orientale storica, mentre il mare separava i paesi l’uno dall’altro, le acque erano comuni a tutti ed erano soggette a reciproco godimento. Il mare e le sue isole erano proprietà collettiva di tutti i paesi che vi avevano accesso. Così i popoli contadini percepivano il mare: solo in epoca moderna, quando i popoli marittimi dell’Europa in espansione cercarono di controllare le risorse del mare per interessi commerciali, imponendo così la loro egemonia sul mondo, che il mare era considerato come un’estensione della terra, come elemento di sovranità nazionale. Così il mare era scolpito e ogni centimetro quadrato di ogni isola era oggetto di conflitto. La logica dei popoli del mare europei ha determinato le regole delle relazioni tra i paesi.

Se consideriamo la sovranità rivendicata dagli Stati che hanno un lungomare in una prospettiva storica, questa affermazione non ha legittimità perché il mare non ha confini. Il diritto marittimo internazionale si basa ovviamente su una logica di potere, che consente e incoraggia la violenza per il controllo del mare, ma se usiamo un altro modo di pensare e ci affidiamo alla concezione tradizionale di mare comune di tianxia, ​​l’intelligenza ‘arretrata’ degli agricoltori può infatti fornire un metodo del tutto innovativo per risolvere i conflitti causati dalle regole dei popoli di mare ‘avanzati’. Nella proposta avanzata da Deng Xiaoping negli anni ’80 per risolvere il conflitto nell’isola di Diaoyutai (chiamata Senkaku in giapponese), “Evitare il conflitto, sviluppare collettivamente”, vediamo l’intelligenza del tianxia tradizionale. Tuttavia, sembra essere stato mantenuto solo il significato strategico della proposta. Tuttavia, la saggezza orientale che si nasconde dietro la tianxia fornisce nuovi principi per risolvere i conflitti internazionali che si svolgono negli oceani.

Sulla possibilità di una comunità di destino condiviso nell’Asia orientale

La costruzione della Cina come nazione di civiltà era intimamente legata all’ordine dell’Asia orientale. Il professor Yông-sô Paek ha osservato che: “se la Cina non fa affidamento sulla democrazia, ma cerca piuttosto di legittimare il proprio potere facendo rivivere la memoria storica di una grande unità, allora ciò che avrà fatto, c sarà seguire il moderno modello di modernizzazione in cui la forza trainante è il nazionalismo. Non sarà stata in grado di creare un nuovo modello in grado di superare questo limite. Quindi, sebbene la Cina voglia guidare un ordine nell’Asia orientale, ha difficoltà a ottenere la partecipazione volontaria dei paesi vicini”10.

Se la Cina riuscirà a stabilire un regime democratico e lo stato di diritto, come applicato negli Stati Uniti o in Inghilterra, ciò consentirà ai paesi vicini di avere più fiducia? Data la potenza e le dimensioni della popolazione cinese, diventerà una grande potenza in grado di dominare. Anche se diventa un “impero di libertà”, spaventerà i paesi vicini, soprattutto quelli piccoli. Corea e Vietnam sono due paesi indipendenti che si sono staccati dal sistema tributario dell’impero cinese. In quanto tali, sono particolarmente diffidenti nei confronti della Cina, che storicamente era il loro signore supremo. In nessun caso sarà disposto a diventare di nuovo uno stato vassallo della Cina, anche se la Cina si trasforma in una nazione democratica.

Tutto ciò suggerisce che ricostruire un ordine pacifico nell’Asia orientale non può essere così semplice come hanno suggerito alcuni liberali cinesi: non tutto può essere ridotto a una questione di riforma politica interna in Cina. Il desiderio di stabilire un ordine pacifico nell’Asia orientale è di per sé una degna causa. Il prerequisito per la sua realizzazione non è che la Cina diventi una democrazia in stile occidentale. Nonostante la Cina sia un Paese non democratico, con un ordine interno basato sullo stato di diritto e un fondamentale rispetto delle regole internazionali, è possibile che possa partecipare alla ricostruzione di un nuovo ordine in Asia orientale.

Nel suo saggio intitolato “Asia’s Territorial Order: Overcoming Empire, Towards an East Asian Community”, Yông-sô Paek sottolinea che storicamente l’Asia orientale ha conosciuto tre ordini imperiali: il primo era il tradizionale sistema tributario con al centro l’impero cinese ; la seconda è stata la Sfera di Co-Prosperità giapponese che ha sostituito la Cina come egemone nella prima metà del 20° secolo; il terzo era l’ordine della Guerra Fredda del dopoguerra stabilito nell’Asia orientale dalla Guerra Fredda11.

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Di recente, con l’ascesa della Cina, il “perno” americano verso l’Asia, ei tentativi del Giappone di ristabilire la sua posizione strategica, nell’Asia orientale è nuovamente sorto un conflitto imperialista per l’egemonia. Questo è il motivo per cui non è improbabile che negli anni a venire emerga un nuovo conflitto nell’Asia orientale. Come suggerisce il professor Paek, la missione comune di tutti i paesi della regione dovrebbe essere quella di rifiutare il centralismo dell’impero e stabilire una comunità con un futuro condiviso nell’Asia orientale basata sull’uguaglianza. Un moderno impero basato sulla supremazia dello stato-nazione, in cui la sovranità domina tutto, si basa su una logica egemonica, considerando i paesi vicini come sudditi. Imparare la pacifica convivenza e riconoscere la soggettività dell’altro è l’obiettivo della nuova tianxia. In effetti, questo obiettivo è il nuovo internazionalismo su cui dovrebbe essere costruita la comunità del destino comune nell’Asia orientale.

Un nuovo ordine di pace nell’Asia orientale richiede l’istituzione di un nuovo insieme di valori universali dell’Asia orientale. Con la fine della Guerra Fredda, l’Asia orientale ha perso ogni senso di identità, anche di tipo oppositivo. Sono rimaste solo alleanze o antagonismi basati su interessi nazionali. Le alleanze non erano basate sulla consapevolezza di valori comunemente condivisi ma su logiche opportunistiche. Da questi conflitti di interesse sono scaturiti gli antagonismi tra gli stati dell’Asia orientale: la lotta per il potere sulle risorse, il commercio e il controllo delle isole ne sono testimonianza. Poiché il mondo dell’Asia orientale non ha più valori universali, alleanze e conflitti sono tutti caratterizzati da disordine, variabilità e instabilità. I nemici di oggi sono gli alleati di ieri, e gli alleati di oggi potrebbero essere i nemici di domani. Dal punto di vista degli interessi, non ci sono nemici eterni, né amici eterni. Questo dramma dei “Tre Regni”, questi giochi infiniti, aumenta solo il rischio di guerra, rendendo l’Asia orientale una delle regioni più instabili del mondo.

Il riferimento è al celebre romanzo, Il romanzo dei tre regni三国演义, attribuito a Luo Guanzhong罗贯中, che ripercorre la storia dei conflitti e delle macchinazioni all’indomani della caduta della dinastia Han.

Il mondo dell’Asia orientale di oggi ricorda l’Europa della prima metà del XX secolo. L’apice degli interessi nazionali, in cui molti paesi hanno intrapreso strategie di confronto, ha portato allo scoppio di due guerre mondiali. L’Europa dopo la seconda guerra mondiale è stata segnata dalla riconciliazione di Francia e Germania, seguita dal lungo periodo della Guerra Fredda, per raggiungere finalmente l’integrazione europea all’inizio del XXI secolo. L’istituzione di una comunità in Europa si basava su due valori universali: la civiltà cristiana storicamente condivisa e i valori dell’Illuminismo del periodo moderno. Senza la civiltà cristiana e i valori universalisti dell’Illuminismo, sarebbe molto difficile immaginare un’Unione europea praticabile. Qualsiasi comunità costituita unicamente sulla base di interessi è sempre temporanea e instabile. Solo la condivisione di valori comuni consente l’instaurazione di un consenso e di una comunità duratura. Anche in presenza di conflitti di interesse, la negoziazione può portare a compromessi e scambi.

Per creare una vera comunità di destino comune nell’Asia orientale, non si possono usare interessi a breve termine, né vedere l’Occidente come l’altro attraverso il quale viene riconosciuto il sé. Questa comunità deve avere una dimensione storica ed essere istituzionalizzata. Da un punto di vista storico, la nozione di ordine comune dell’Asia orientale non è una nozione vuota. Il sistema storico tributario, i movimenti dei popoli, la sfera culturale definita dalla diffusione dei caratteri cinesi, il buddismo e il confucianesimo che si diffondono in tutta l’Asia orientale… tutti questi elementi danno legittimità storica alla comunità dell’Asia orientale.

Il filosofo e critico letterario giapponese Karatani Kôjin 柄谷行人 (n. 1941) ha sottolineato che “anche se le nazioni emerse da un impero comune possono avere forti antagonismi, possiedono comunque punti di convergenza religiosa e culturale. In generale, tutti i paesi moderni sono nati dalla dislocazione degli imperi globali. Così, quando minacciati da altri imperi mondiali, gli stati si sforzano di preservare l’unità che un tempo li legava nel vecchio impero. Questo è chiamato il “ritorno imperiale”12.

Tuttavia, questo non è un semplice ritorno al passato. Nell’era dello stato-nazione, sono necessari nuovi elementi per tentare di stabilire una comunità decentralizzata, persino anti-imperiale, di nazioni pacifiche. L’universalismo dell’Asia orientale deve essere ricostruito sulla base del patrimonio storico della regione. La nuova tianxia è precisamente un nuovo programma universalista che abbraccia e trascende la storia. Sviluppato dalla tradizione imperiale, ha caratteristiche culturali universali. Allo stesso tempo, si sforza di rifiutare il centralismo e la gerarchia dell’impero, preservando la diversità interna religiosa, istituzionale e culturale. Si potrebbe dire che è la rinascita di un impero deimperializzato, di una comunità interna pacifica, multietnica e transnazionale.

La comunità dell’Asia orientale del destino condiviso deve avere un’anima, un valore universale in attesa di essere inventato. Deve avere anche un organo istituzionale. La comunità non può semplicemente fare affidamento sulle alleanze tra le nazioni per formare un’unione pacifica che trascende lo stato-nazione. Ciò che è ancora più necessario è che gli intellettuali ei cittadini dell’Asia orientale si impegnino in un dialogo per consentire l’emergere di un “Asia orientale popolare”, che sarà più in grado degli Stati di superare le barriere tra i diversi Stati nazione. Questa “Asia orientale popolare” supererà la centralizzazione e le gerarchie, perché possederà essa stessa un comune senso di uguaglianza, diventando così la base sociale da cui emergeranno i nuovi valori universali dell’Asia orientale.

Rifiutando ogni forma di gerarchia e ponendo l’uguaglianza al centro delle sue preoccupazioni, la tianxia cerca di stabilire un nuovo universalismo “comunemente condiviso”. La tianxia storica ricorse ai metodi di governo imperiali per formare il suo corpo istituzionale. L’impero tradizionale è diverso dal moderno stato-nazione, che cerca di omogeneizzare e incorporare le popolazioni in un unico sistema. Nell’impero tradizionale, l’ordine interno onorava la diversità nella religione e nel governo istituzionale, e l’ordine esterno costituiva una rete politica, commerciale ed etica integrata, che poneva al centro i vantaggi reciproci del sistema retributivo, partecipando al commercio internazionale.

La tradizionale saggezza tianxia dell’impero può gettare luce sullo stato cinese contemporaneo: la logica unificata dello stato-nazione deve essere combinata con la diversità dei sistemi dell’impero, per garantire l’equilibrio. In sintesi, nelle regioni centrali della Cina dovrebbe essere attuata la politica di “un sistema, diversi modelli”; nelle regioni di confine si dovrebbe applicare “una nazione, culture diverse”; a Hong Kong, Macao e Taiwan si dovrebbe sperimentare “una civiltà, diversi sistemi”; nella società dell’Asia orientale si dovrebbe riconoscere “una regione, interessi diversi”; nella società internazionale dovrebbe essere sviluppato “un mondo, diverse civiltà”. In questo modo si può stabilire l’ordine interno ed esterno della nuova tianxia,

FONTI
  1. Per le opere in inglese di Zhang Weiwei, si veda, tra gli altri, China Wave: Rise of a Civilizational State (Hackensack, NJ: World Century Pub Corp, 2012); per Pan Wei, vedi Sistema occidentale contro sistema cinese (Singapore: East Asian Institute, National University of Singapore, 2010).
  2. Joseph Levenson, La Cina confuciana e il suo destino moderno . Xu cita la traduzione cinese.
  3. “滨下武志谈从朝贡体系到东亚一体化” (Takeshi Hamashi discute del sistema tributario di integrazione dell’Asia orientale) in Ge Jianxiong 葛剑雄, ed., 谁来决定我们是谁? (Chi decide chi siamo?), (Nanchino: Yilin chubanshe, 2013), p. 124.
  4. Vedi Xu Zhuoyun (Cho-yun Hsu) 许倬云, 我者与他者:中国历史上的内外分布 ( Sé e altro: Distinzioni tra interno ed esterno nella storia cinese ), (Pechino: Sanlian shudian, 2010).
  5. Qian Yongxiang 钱永祥, “主体如何面对他者:普遍主义的三种类型” (Come il soggetto tratta gli altri? Tre tipi di universalismo), in Qian Yongxiang, 普遍与牼殊的~政沩辩普遍与牼殊的~政沩辩普政沩辩发掘 (La dialettica dell’universale e del particolare: l’esplorazione del pensiero politico), (Taibei: Taiwan yanjiuyuan renwen shehui kexue yanjiu zhongxin zhengzhi sixiang yanjiu zhuanti zhongxin, 2012), pp. 30-31.
  6. Huang Xiaofeng黄晓峰, “姚大力谈民族关系和中国认同” (Yao Dali discute le relazioni etiche e l’identità cinese), 东方早报, 4 dicembre 2011.
  7. Yông-sô Paek, “Il significato dell’imperialismo cinese nell’Asia orientale”, Open Times 2014: 1.
  8. Fu Sinian 傅斯年, “新潮之回顾与前瞻” (Recensione e prospettive future per la “New Wave”) in Fu Sinian, 傅斯年全集 (Gli scritti completi di Fu Sinian), (Changsha: Hunan jiaoyu chubanshe, 2003), p. 297.
  9. Liang Qichao 梁启超, “欧游心影录” (Record di impressioni da un viaggio in Europa) in Liang Qichao, 梁启超全集 (Gli scritti completi di Liang Qichao), (Pechino: Beijing chubanshe, 1999), vol 5, p. 2978.
  10. Yông-sô Paek, “Regionalismo dell’Asia orientale: trascendendo l’impero, muovendosi verso una comunità dell’Asia orientale”, Ideas 3 (2006). comunità), Idee 3 (2006).
  11. Ibidem .
  12. Estratto dalla conferenza di Karatani Kojin all’Università di Shanghai “世界史之结构性反复” (L’inversione della struttura della storia mondiale), presentata l’8 novembre 2012.
CREDITI

Xu Jilin, “Nuova Tianxia: Ricostruire l’ordine interno ed esterno della Cina”, in Xu Jilin许纪霖 e Liu Qing刘擎, eds. Shanghai: Shanghai renmin chubanshe, 2015), disponibile anche online.

La traduzione inglese originale del testo è stata eseguita da Tang Xiaobing e David Ownby con Mark McConaghy. Può essere trovato nel libro Xu Jilin, Rethinking China’s Rise: A Liberal Critique, David Ownby , tradotto e curato da David Ownby, New York, Cambridge University Press, 2018 o sul sito web di Reading the China Dream .

Perché i soldati ucraini si fanno massacrare da Zelensky che a sua volta prende ordini da Washington e Londra?_Di Claudio Martinotti Doria

Chi mi legge abitualmente s’informa tramite i media indipendenti nel web e quindi presumo sia al corrente dell’offensiva che Zelensky ha lanciato a fine agosto contro l’oblast di Cherson nel sud dell’Ucraina.

Ha voluto essere di parola, anche se ha scelto l’ultimo giorno dopo numerosi rinvii, aveva ripetutamente promesso da mesi una controffensiva entro agosto che avrebbe spazzato via i russi dai territori conquistati, almeno quelle erano le intenzioni.

Tutti gli analisti militari e geopolitici seri e indipendenti lo deridevano, pensando a un bluff, invece anche i comici e buffoni, seppur criminali, corrotti e incapaci, possono essere di parola, soprattutto quando la vita la fanno rischiare ad altri.

Appena sono riusciti a raccogliere il maggior numero possibile di mezzi corazzati (soprattutto polacchi) e concentrare circa 40mila soldati nell’area, Zelensky nonostante la netta contrarietà dello Stato Maggiore Militare che poneva scarsa o nulla fiducia nella riuscita del piano, ha ordinato l’offensiva, commettendo il classico errore dello stratega da salotto, addestrato a giocare a Risiko (forse manco a quello).

Anziché concentrare tutte le forze in un solo punto per avere maggior impatto e possibilità di sfondamento, li ha divisi in cinque aree e quindi cinque direzioni di attacco diverse, disperdendo le forze che già non sarebbero state sufficienti per un solo attacco in un unico punto, considerando la potenza di fuoco dell’artiglieria e aviazione russa. Così ha disperso la forza d’attacco su un fronte di poco meno di 200 km. Considerando che di solito ad attaccare sono il 50% delle forze, l’altra metà rimane di riserva nelle retrovie per compensare le perdite o rinforzare i punti deboli, se dividete per cinque 20mila soldati su 200 km, vi renderete conto che l’impatto non poteva che essere lieve per i russi, i quali applicano la stessa tattica da mesi, a ogni offensiva ucraina.

Arretrano e li lasciano avanzare e poi man mano che si trovano sempre più allo scoperto in un territorio pianeggiante, senza riuscire ad arrivare a centri abitati (l’unico modo che hanno per trovare riparo e trincerarsi), i russi iniziano a bombardarli senza tregua arrecando loro gravissime perdite.

E’ la tecnica militare del “tritacarne”, una tattica di logoramento lenta e inesorabile che riduce gradatamente il numero dei soldati e dei mezzi degli ucraini fino a che saranno costretti alla resa o a far intervenire le forze di altri paesi della NATO, che in questo caso non potrebbero invocare l’articolo 5 del Trattato Atlantico, perché non sono loro a essere attaccati ma ad attaccare.

Com’è possibile che Zelensky ripeta sempre gli stessi errori? E soprattutto come mai gli ucraini si prestano a farsi massacrare, anziché fuggire, per non essere arruolati oppure finire in prigione per essersi rifiutati di indossare la divisa? Cercherò di rispondere a entrambe le domande essenziali per capire l’esito e lo sviluppo di questo conflitto.

Zelensky non ha alcuna capacità strategica, gli unici ordini che sa impartire sono quelli di attaccare e resistere senza cedere un metro, combattere fino all’ultimo uomo. Vi ricorda qualcuno? Un certo Hitler, quando ormai era impazzito e drogato fino al midollo (altra analogia con Zelensky) e psichicamente alterato perché l’esito della guerra non corrispondeva alle sue attese e tutti i suoi comandanti lo deludevano e li sostituiva in continuazione.

Zelensky prende decisioni a scopo politico, per influenzare i suoi sponsor angloamericani e UE, che ultimamente lo stanno sostenendo sempre meno.

Ha assolutamente bisogno di una vittoria, seppur minima, per continuare a mungere i suoi finanziatori, ben sapendo che una cospicua parte di questi finanziamenti non finisce al fronte ma nelle tasche dei numerosi oligarchi e comandanti corrotti, a tutti i livelli, che vendono le armi ricevute facendo finta siano andate distrutte dai bombardamenti russi.

E questo in parte spiega anche la seconda domanda, come vedremo meglio in seguito.

Inoltre una cospicua parte di questi lauti finanziamenti sono utilizzati per pagare tutto l’apparato militare, con stipendi che per i canoni ucraini sono piuttosto elevati.

Zelensky compie scelte ciniche e spietate esclusivamente per motivi economici, personali e del suo entourage di sostenitori interni, neonazisti e nazionalisti in primis. Della vita dei suoi soldati non gliene frega nulla, per cui non esita a mandarli a morte certa.

Ora veniamo al perché i soldati si prestano a farsi massacrare.

L’Ucraina è da parecchio tempo in miseria, in particolare dall’inizio del conflitto che dura ormai da sei mesi, il paese vive prevalentemente di un’economia di guerra, gli unici soldi che arrivano e circolano sono quelli che alimentano la guerra. E per convincere la gente a combattere, occorre prima averli ridotti nella miseria, privi di scelte di lavoro, ai limiti della sopravvivenza, dopo di ché gli fornisci degli incentivi convincenti perché si arruolino, oltre all’obbligo, che però funziona poco, perché molti si sottraggono emigrando e nascondendosi o rifugiandosi all’Estero, Russia compresa (ne ospita circa due milioni).

Quelli rimasti in patria che scelta hanno per sopravvivere economicamente se non arruolandosi?

Per comprendere perché sono disposti a rischiare la vita, facciamo un paragone con la situazione italiana, così vi sarà più chiaro.

Un Carabiniere appena assunto in Italia percepisce uno stipendio netto di circa 1200 euro mensili, un maresciallo maggiore anziano poco meno di 2000 euro mensili e un capitano poco più di 2000, gli scatti di grado non sono particolarmente rilevanti in termini salariali, poche centinaia di euro l’anno.

Nell’esercito ucraino in seguito allo stato di guerra gli stipendi sono tutta un’altra cosa, proporzionalmente al potere di acquisto che si ha nel loro paese. Utilizzando l’esempio italiano sarebbe come se un soldato ucraino prendesse in Italia 2800 euro al mese, un maresciallo maggiore anziano circa 10mila, e un capitano 15mila. A queste somme erogate diciamo legittimamente dalle istituzioni governative, aggiungiamo la corruzione diffusa capillarmente, cioè le rendite che provengono dai saccheggi, dalle estorsioni ai civili, dalla vendita di armi, ecc., e ci rendiamo meglio conto di quanto possano accumulare i combattenti, soprattutto sottufficiali e ufficiali, che riescono a sopravvivere (magari ricorrendo a cinismo, furberie e sotterfugi), facendo perlopiù rischiare la vita ai loro sottoposti.

In due o tre mesi di guerra, se sopravvivono, possono accumulare una piccola fortuna che gli consentirà di vivere agiatamente per tutto il resto della loro vita (inflazione permettendo).

Quindi la motivazione primaria è l’avidità e la mancanza di alternative. Ecco perché gli ucraini combattono una guerra per procura, è l’unico lavoro di cui dispongono, l’Occidente li foraggia per questo scopo, combattere e morire al posto degli occidentali.

Ma c’è un problema che si sta facendo sempre più grave, diventa sempre più difficile sopravvivere alla guerra.

Prendiamo l’esempio degli ultimi due giorni, tra fine agosto e inizio settembre.

Zelensky ha appunto ordinato l’attacco in cinque aree diverse, e inoltre ha ordinato l’incursione notturna alla centrale nucleare di Zaporižžja, da parte delle forze speciali ucraine, per cercare di riprenderla prima che arrivasse la delegazione dell’AIEA dell’ONU che doveva ispezionare la centrale, probabilmente per poi utilizzare la delegazione come scudo umano contro i russi, come fanno abitualmente gli ucraini, che di crimini di guerra ne hanno commessi a iosa.

L’incursione è finita malissimo, nonostante pensassero che il piano fosse ottimo, utilizzando imbarcazioni silenziose con motori elettrici e poi delle chiatte che trasportavano il grosso delle forze e dei mezzi da sbarco.

Tutte le imbarcazioni e le chiatte sono state distrutte e affondate dalle forze aeree russe, la maggioranza degli incursori sono morti o fatti prigionieri. Si stima fossero circa 500, il minimo necessario per compiere un’operazione di questa portata, considerando che la centrale nucleare di Zaporižžja è la più grande d’Europa, estendendosi su una superficie gigantesca.

Anche le forze attaccanti nel resto del fronte non hanno subito una sorte migliore. Si stima che le perdite in vite umane subìte dall’esercito ucraino siano di oltre mille al giorno. Molto probabilmente fra qualche giorno saranno costretti a ritirarsi, lasciando sul campo quasi tutti i mezzi corazzati impiegati.

A Zelensky non rimarrà altro da giocare che la carta della commiserazione: “Avete visto con quale coraggio combattono gli ucraini?” “Come si sacrificano per il bene dell’Occidente?” “Meritano di essere sostenuti di più, dovete aumentare le risorse e i finanziamenti!”

Una carta cinica e ignobile ma l’unica che gli rimane, possibilmente prima che i comandi militari si stanchino di lui e lo facciano fuori con un colpo di stato. Magari con il beneplacito degli anglosassoni. Altrimenti non rimarrà che far combattere anche i polacchi e i baltici, i più fanatici russofobi che ci siano in Europa. I polacchi e i baltici saranno fanatici ma non sono stupidi, sono consapevoli che se non ci sono riusciti gli ucraini a sconfiggere i russi, che dopo otto anni di addestramento e armati fino ai denti erano diventati l’esercito più potente d’Europa, come potrebbero riuscirci loro che sono anche inferiori di numero (militarmente) rispetto agli ucraini? Perché mai dovrebbero seguirne la sorte? Solo per fanatismo? No. Per farlo prima dovrebbero essere ridotti alla fame anche loro, e sono sulla buona strada per riuscirci, dopo le ultime demenziali mosse politiche ed economiche che hanno compiuto contro la Russia e contro la Cina, le cui ritorsioni si stanno facendo sentire pesantemente.

I porti baltici ad esempio non lavorano più. Tra non molto anche loro potranno sopravvivere solo tramite l’economia di guerra. Una tale situazione diverrà insostenibile da mantenere per l’Occidente, diventerà peggiore di un “buco nero” per le finanze già travagliate dei paesi occidentali.

Ormai i paesi occidentali hanno oltrepassato il precipizio e come riferisce l’aneddoto “ se guardi a lungo nell’abisso, l’abisso guarderà dentro di te …”. E probabilmente stiamo già precipitando nell’abisso, dobbiamo solo toccare il fondo.

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

Independent researcher, historiographer, critical analyst, blogger on the web since 1996

La guerra non è ancora iniziata, di Vincenzo Costa

La guerra non è ancora iniziata
Papa Francesco ha parlato di “guerra mondiale”. Un’espressione sulle prime impropria. Si tratta, potremmo dire, di una guerra limitata, per una controversia di confine, al massimo di una guerra tra due paesi, se si vuole di una guerra dettata dalle mire imperiali di Putin. Eppure, forse Papa Francesco vuole invitarci ad allargare lo sguardo, perché è come se questo fosse catturato da due soli pezzi dello scacchiere, e in questo modo non presta attenzione alla posizione degli altri pezzi degli scacchi.
1. Verso una nuova fase della guerra in Ucraina
La guerra in Ucraina è stata segnata sinora da due fasi. Nella prima la Russia mirava, sbagliando, a rovesciare il governo ucraino. Immaginava di trovare un largo consenso tra la popolazione ucraina, che sarebbe stata una sorta di guerra di liberazione. I russi hanno scoperto che non era così, che era una trappola. L’esercito ucraino era pronto, li aspettava, erano stati per anni costruite le necessarie trincee. La macchina della propaganda era già pronta. La Russia ha dovuto modificare i suoi obbiettivi e la sua strategia.
È iniziata una guerra di posizione, in cui la Russia ha svolto una funzione di supporto in una guerra civile interna all’Ucraina. Gli obbiettivi sono stati limitati al Donbass, al riconoscimento della Crimea e alla neutralità dell’Ucraina. I russi pensavano che su questa base un negoziato sarebbe stato possibile e una soluzione diplomatica del conflitto percorribile. Si sbagliavano.
Il governo ucraino ha messo chiaramente in luce che la soluzione era una sola: ritiro dei russi da tutta l’Ucraina, Crimea compresa. Evidentemente, sapevano di poterlo fare.
In questa fase, i russi hanno comunque cercato di limitare l’estensione del conflitto. Non abbiamo visto bombardamenti a tappeto delle città, come avevamo visto a Belgrado per esempio o in Iraq. Anche una certa cautela è stata avanzata. Per esempio, l’Azovstal poteva essere annichilito, senza combattimenti uomo a uomo, che sono molto dispendiosi e comportano perdite. Naturalmente, non ho dubbi che vi siano stati crimini, come so anche che gli ucraini bombardano i mercati delle città, facendo vittime tra i civili. Come del resto sappiamo che l’esercito ucraino usa scuole e ospedali come basi militari. Non è che in guerra vi siano dei crimini: è la guerra ad essere un crimine.
Ma ora è partita una controffensiva massiccia, che sembra abbia spezzato le linee russe, l’esercito ucraino è penetrato per decine di chilometri. Come è stato possibile?
In primo luogo, in virtù del fatto che l’Occidente ha inviato un intero arsenale, miliardi di dollari di armi, ma soprattutto in quanto queste armi vengono usate direttamente dagli occidentali, che forniscono l’intelligence, i dati per orientare i tiri, molte cose che possono essere fatte da remoto. Sul campo sono dispiegati una quantità enorme di “mercenari” e di “volontari”. Al netto significa che unità militari occidentali operano sul suolo ucraino senza le loro divise.
Decine di miglia di soldati ucraini vengono addestrati in Inghilterra e in altri paesi NATO, Borrel ha annunciato che i paesi UE ospiteranno e addestreranno sul loro territorio soldati destinati alle prime linee contro i russi, in modo da familiarizzarli con i sistemi d’arma occidentali.
Attraverso il confine tra paesi UE e Ucraina fluisce un fiume di armi, devastanti, che sta dissanguando le stesse riserve occidentali, al punto che il ministro degli esteri tedesco ebbe a dire: “dopo queste basta perché stiamo esaurendo le nostre scorte strategiche”.
È evidente che la NATO è dentro il conflitto, che lo dirige, lo supporta, lo organizza, fornisce tutte le informazioni (via satellite indica la localizzazione dei militari russi e poi dove dirigere i sistemi d’arma, che gli USA forniscono). La guerra è tra NATO e Russia.
Sinora i russi hanno accennato a ciò, ma hanno evitato di trarne tutte le conseguenze. Probabilmente perché pensavano che si sarebbe giunti a un negoziato. Perché trarne le conseguenze ha conseguenze militari devastanti. Significa rendere obbiettivi strategici luoghi lontani dal fronte, colpire in maniera massiccia parti dell’Ucraina lontani dal fronte. I russi hanno un po’ fatto finta che la guerra fosse limitata al fronte. Ogni tanto qualche missile, ma più per dire “ci siamo” che per qualcosa di significativo.
Adesso questo gioco non può più essere sostenuto. Continuare così significa portare al massacro i propri soldati, demotivarli. La guerra entra in una nuova fase, in una terza fase.
Leggo che settimana prossima Putin effettuerà delle chiamate internazionali, con leaders internazionali. Per dire cosa? Per alzare bandiera bianca?
Non sappiamo che cosa dirà, né lo sapremo. Ma possiamo immaginarlo, sospettarlo. Credo che li metterà sul chi va là, avviserà che il gioco cambia, che è finita l’epoca del far finta.
Vi è del resto un punto che resta oscuro in tutta questa controffensiva. Essa era annunciata da mesi, persino normali cittadini come noi sapevano che vi erano nuovi armi, soldati addestrati. Dovevano saperlo anche i comandi russi. Eppure non è stato rafforzato il fronte. Non è stato fatto niente per prepararsi a questa controffensiva. Inefficienza dei comandi russi? Deficit di intelligence?
Solo quando i buoi sono scappati il ministero della difesa russa ha diffuso video con colonne di camion e armamenti che si dirigevano verso il fronte.
L’impressione che si ha è che sia stato voluto. Perché? Perché si sta per entrare in una nuova fase della guerra in Ucraina, una fase ancora più sanguinosa, più insidiosa, pericolosa, con grandi probabilità di allargamento del conflitto.
La popolazione russa deve sentire che la patria è in pericolo, e lo è davvero, perché se davvero gli ucraini sfondassero in profondità la Russia diverrebbe terra di conquista come lo fu nell’epoca di Yeltsin.
I russi devono capire che si combatte per la patria, che non è più una guerra verso l’esterno.
2. Allargare lo sguardo agli altri pezzi della scacchiera
C’è un fuoco che può divampare, e questo emerge se, sommariamente e senza poter connettere tra loro i puntini allarghiamo lo sguardo agli altri pezzi della scacchiera.
1) C’è un conflitto latente tra Grecia e Turchia e le autorità greche hanno comunicato alla UE e alla NATO che vi è la possibilità di un conflitto altrettanto devastante in Europa, tra Grecia e Turchia. La Turchia è il secondo esercito NATO, ma sta giocando in maniera spregiudicata, su tutti i tavoli. Senza la Turchia la NATO sarebbe monca, sguarnita su un fianco fondamentale. Quale prezzo chiederà Erdogan? Ed Erdogan ha mira molto ambiziose in Asia, che può realizzare solo a due condizioni: o con il disfacimento della Federazione russa o con il suo consenso regolato.
2) La Serbia sta riarmando, soprattuto con sistemi di difesa antiaerea. Comprensibile dopo l’esperienza dei bombardamenti di Belgrado. In quel caso tutto fu reso possibile dalla debolezza russa. Ma ora le cose sono cambiate, e la Serbia si rifiuta di riconoscere il Kossovo. Del resto, perché dovrebbe? I motivi di conflitto crescono. La serbia acquista droni dalla turchia. Il gioco è complesso.
3) L’Ungheria si smarca dall’Occidente, del resto che non ami particolarmente l’Ucraina è comprensibile. Le minoranze ungheresi erano duramente represse ed invitate ad andarsene dai nazionalisti ucraini. Poi, l’Ungheria ha chiaro che gli USA stanno stritolando la UE, capisce che il vento economico gira in un altro modo, e piuttosto che entrare a fare parte degli agnelli sacrificali gioca la sua partita (gas russo a prezzi stracciati, che significa “signori, investite qui che abbiamo costi dell’energia accettabili e producete in maniera concorrenziale”). Le minacce stanno perdendo peso.
4) La Libia è sempre una polveriera, dominata da Russi, turchi, i francesi presi a calci nel sedere dopo avere combinato un mare di guai ai nostri danni (col silenzio di Gentiloni, ma si sa che era un cameriere non un presidente del consiglio italiano)
5) A Taiwan continuano le provocazioni alla Cina, prima le visite, poi la vendita di armi, poi flette giapponesi attorno all’isola. Chiaro che si vuole provocare il dragone, in modo da gridare poi come sempre “c’è un aggressore e c’è un aggredito”. La Cina mostra i muscoli ma sta sulla sue. I cinesi ragionano nell’ordine dei secoli, non reagiscono. Colpiranno quando lo decisono loro, non quando li costringono gli altri. E colpiranno quando avranno sviluppato il loro arsenale nucleare al giusto livello. La cosa è in corso.
6) Il ministero della difesa polacco dice che nel periodo tra “tre e dieci anni” la polonia entrarà in guerra con la Russia. Il riarmo è pesantissimo. Ma la Polonia gioca per sé, non per l’Ucraina. La Polonia ha avviato una disputa persino con la Repubblica Ceca, a cui chiede la restituzione di pezzi di territorio. Figuriamoci con l’Ucraina. I polacchi ragionano in termini di grande Polonia, di cui l’Ucraina è una parte, per non dire che un pezzo di Ucraina la considerano Polonia a tutti gli effetti. Agli ucraini i polacchi dicono più o meno quello che Renzi diceva a Letta: “stai sereno”.
Sono solo alcuni pezzi, ve ne sono molti altri.
Tanti pezzi, ma un unico gioco. Ogni mossa modifica il sistema.
Ognuno sta posizionando i propri pezzi, in vista della guerra, tutti riarmano, anche noi lo facciamo.
La guerra non è ancora iniziata. E’ in cammino, un cammino lento ma deciso, con una direzione chiara

RITORNO ALLA TERRA, di Daniele Lanza

RITORNO ALLA TERRA – (Gorby ed altro, cap. 1)
Un nome sconosciuto tanto all’estero quanto presso la stessa società sovietica del suo tempo. Cognome come tanti (assai popolare), volto mite e tondeggiante – come tanti – costituzione media che tende vagamente alla pinguedine : un ometto semplice dall’accento meridionale che non beve e non fuma, evita relazioni extraconiugali ed altri vizi della nomenclatura di partito. Nel suo appartamento privato non riceve nessuno e la figlia a suo tempo l’ha mandata alla scuola pubblica anziché negli istituti per i figli dell’elite
Queste le sembianze del nuovo leader dell’URSS, che pare materializzarsi dal nulla in un lontano marzo del 1985.
Figura del tutto singolare a modo proprio, nel senso che si distingue per la sua strabiliante ordinarietà : non fosse per la famosa voglia che appare sul capo diradato, sarebbe arduo farne una caricatura per le vignette satiriche a differenza dei suoi più noti predecessori. Dai tempi della rivoluzione d’ottobre che ai massimi livelli di stato non si affaccia una fisionomia tanto ordinaria : potrebbe essere la personificazione dell’iconico uomo qualsiasi di romanzi e film, emerso da chissà quale profondità rurale e temperata del “grande paese”, dal cuore agricolo della patria sovietica. Non a caso, gran parte della sua esistenza l’ha passata tra gli sterminati campi della nativa regione di Stavropol (città del grande sud slavo orientale, a ridosso del Caucaso settentrionale), areale di popolamento ucraino e russo da tempo immemorabile (Gorbachev vanta entrambe le componenti genealogicamente). A dispetto dell’apparenza quasi anonima ha energicamente e sistematicamente scalato tutte le posizioni della gerarchia feudale di partito prevista ai tempi : lo fa placidamente, con “grazia” quasi, senza mai distinguersi né in zelo di partito né in stravaganze e deviazioni dalla linea (…). Presente – come tutti – ai funerali di Stalin, evita tuttavia in seguito (divenuto lui controllore dell’aderenza ideologica) di segnalare alcuno per qualsivoglia infrazione. Il giovanotto che lavorava assieme al padre nei campi per pagarsi studi (e matrimonio), col passare del tempo diventa il “signore” di Stavropol…..piattaforma dalla quale parte il lancio verso i corridoi del Cremlino.
Campi o meno dai quali sia emerso, finirà col viaggiare (per motivi ufficiali) fuori dei confini patri e vedere più mondo della massima parte dei suoi concittadini (e di molti dei suoi rivali). Sul serio, dare anche solo uno sguardo rapido alla biografia del soggetto lascia dietro sé un’impressione dell’incredibile linearità (non dico “tranquillità”, che sarebbe fuorviante) del suo percorso politico e umano : niente urti, niente frizioni, niente punti oscuri, lacune, intrighi e men che meno trame sanguinose (!) . Niente di NIENTE. Il nostro protagonista cresce, si rafforza e procede senza ostacoli (apparentemente), nel massimo silenzio, lentamente e inesorabilmente, di decade in decade per tutto il lasso di tempo della guerra fredda. E’ silenzioso senza essere un’eminenza grigia – anzi, al contrario, sono le eminenze grigie a benvolerlo e raccomandarlo (in primis Andropov, al comando del KGB e poi alla guida del paese nel breve interregno dopo Brezhnev), gli si aprono le porte, quelle che contano e al momento giusto, con un tempismo e disinvoltura da lasciare sorpresi………e il nostro corridore arriva al traguardo (scettro dell’Urss). Sembra quasi – mi si passi l’originale scelta di termini (che a dispetto dell’apparenza non vuole nemmeno essere offensiva) – che Mikhail Gorbachev “filtri” placidamente, come una qualche minuscola nube gassosa, inodore ed invisibile, che filtra traverso le pareti, verso l’altro, di livello in livello sino al massimo vertice, senza che nessuno se ne accorga.
Beh, no….ad accorgersene sono in molti in realtà, ma NON lo ostacolano (tutto il contrario, ed alcuni gli danno pure la “benedizione”) : il fatto è che il personaggio, per la sua natura e le sue caratteristiche…….non incute timore, quelle onde di ambizione e intrigo che solitamente pervadono l’aura dei candidati al trono (…). Laborioso e semplice, dinamico , senza vizi, che non si espone troppo e non scontenta né gli uni né gli altri (non si colloca in alcun ramo estremo dello spettro di correnti della nomenclatura sovietica. Riformista – chi non lo è , idealmente, tra i governanti ?! – ma con moderazione estrema). Per quanti si domandassero come ha fatto costui a scalare la vetta della seconda potenza planetaria, quali qualità esprimesse……..la risposta è questa : abbiamo di fronte la seguente tipologia di protagonista, ovvero l’”uomo qualsiasi” , senza superlative qualità o superpoteri, che riesce sgominare una legione di più vistosi ed accessoriati rivali, con semplicità e volontà.
In realtà, se si vuole andare sino in fondo alla cosa, ’”uomo qualsiasi” seppur sprovvisto di talenti pirotecnici e specifiche genialità , dispone di una formidabile potere : egli è TUTTI e NESSUNO al tempo medesimo. Un’entità in cui massima parte di chi osserva può in qualche modo ritrovarsi. Che non intimorisce chi sta in basso e non suscita perplessità in chi sta in alto (magari convinto quest’ultimo, che sia prevedibile e controllabile. Punto chiave questo).
E’ così che si arriva a quel marzo del 1985. Emerge dalle copertine dei principali settimanali chi non ci si sarebbe aspettato (la storia emerge da angoli inaspettati talvolta), una figura anonima fino a quel momento che tuttavia in un certo senso rappresentava la sintesi di tanti elementi di quel brodo che era la società sovietica lui coeva : tutto il resto è storia, alla base della nostra contemporaneità – uno dei pilastri dell’evoluzione storico-politica della generazione che conduce ai giorni presenti. Una storia raccontata 1000 volte, da infinite angolazioni e differenti luci, filtri (…).
Insomma, nessuno oserebbe affrontare da una bacheca di un social il “caso Gorbachev” e le sue ripercussioni sulla storia mondiale (io tanto meno), eppure un’impressione a prima vista rimane indelebile : il SISTEMA lo ha lasciato passare. Il sistema ha lasciato passare colui che ne avrebbe innescato il disfacimento. Il sistema inconsapevolmente ha rilasciato al proprio interno il virus che raggiunto il nucleo della cellula l’avrebbe alterata, portando poi all’alterazione virale delle milioni attorno ad essa (…). Il sistema lo ha lasciato passare perché si fidava di lui, perché non destava preoccupazione alcuna, perché la sua personalità non suscitava reazioni (se non benevole), perché in qualche modo suggeriva STABILITA’ (niente stravaganze o rischiose avventure) in un momento in cui ve n’era bisogno per superare la stagnazione accumulata dalla generazione precedente e le incertezza del futuro.
E’ chiaramente singolare, emblematico (e tragicomico) sottolineare le ultime due righe alla luce di quanto verrà.
Catturiamo, imbrigliamo il mantra, la cacofonia che si leva da una moltitudine di russi odierni in occasione dei funerali dell’ultimo leader della Cccp……riordiniamo e processiamo l’impasto sino a darvi una forma lineare e allora potremo articolare un discorso che suona nel seguente modo (ascoltare, prego) : “fino alla metà degli anni 80 esisteva una società multinazionale di 300 milioni di abitanti, istruiti, tutelati nella salute, difesi contro minacce esterne. Sostanzialmente felici entro il limite di benessere che la cornice sovietica permetteva : poi un giorno è arrivato LUI e nel giro di un pugno di anni tutto questo si è dissolto, aprendo le porte ad un mare di dolore (…)”.
Tanti la pensano così, cullandosi in reminiscenze di un Eden perduto (tra l’altro anche “bonificato” per i noti effetti della memoria selettiva). Costoro, che umanamente rispetto, hanno le loro ragioni e i loro torti al tempo medesimo.
Hanno torto nella misura in cui rimpiangono una culla che in realtà era già arrivata al suo fisiologico termine, a prescindere dal leader in carica : la stagnazione ereditata sin dai tempi di Brezhnev oramai esprimeva tutti i suoi effetti…..nel contesto di un villaggio globale divenuto più veloce di quanto fosse mai stato in precedenza. L’URSS – così come era concepita e strutturata – NON era oggettivamente in grado di affrontare le sfide del secolo a venire : una colossale creatura novecentesca contro una miriade di rivali ed avversari assai più agili che parlano un differente “linguaggio”, dotati di tecnologie e psicologie di comunicazione del tutto nuove, con economie in rapidissima crescita. Il “paradiso” se lasciato a sé stesso sarebbe rimasto stritolato in un meccanismo globale ancor più titanico, con tutta l’umana comprensione per la nostalgia di molti (…). La patria sovietica del 1985 si trovava già in stato di crisi a prescindere da tutto – senza saperlo – e necessitava assolutamente un mutamento, uno sostanziale, benchè le persone che vivessero non se ne rendessero conto……..occorreva un uomo del cambiamento, un uomo del destino, sì, occorreva una “perestroika” (rifondazione).
Il problema è che questo ”uomo del destino” di cui ci sarebbe stato bisogno non era Mikhail Gorbachev e la rifondazione di cui c’era assoluto bisogno non era quella da lui pianificata : la società sovietica nel suo momento più complicato aveva bisogno di una guida votata al cambiamento e per l’appunto ne ha ricevuta una………che però era quella sbagliata.
L’estesa riflessione sul lato umano di Mikhail Gorbachev nel capitolo precedente è la condizione essenziale per arrivare al cuore più profondo del problema che si affronta : non pretende di essere l’unica chiave di lettura (non lo è) in merito al nodo storico che ha sconvolto la geopolitica a cavallo tra XX e XXI secolo, ma un ulteriore prospettiva sul piano teoretico per quanto concerne la natura dello stato nazionale (o sovranazionale in questo caso).
Andiamo all’essenza senza giri di parole : la frase seguente – “Mikhail Gorbachev a capo dell’Unione Sovietica” – può essere considerata alla stregua di un ossimoro. Questo per una ragione essenziale che potremmo definire ontologica (il problema del fallimento dell’ultimo leader sovietico è ontologico se vogliamo trovare una risposta ai massimi livelli, quelli filosofici per dire). Il nostro protagonista, come osservato, vien su dagli sterminati campi di quel profondo meridione russo che lambisce Caucaso ed Ucraina : un volitivo e dinamico provinciale che CREDE nel proprio sistema, vi crede fedelmente, genuinamente……….forse anche TROPPO (per chi legge da qui in avanti è importante) : Mikhail appartiene a quella generazione nata a cresciuta sotto l’ala dello stato socialista, senza particolari scossoni e crede ai suoi ideali alla sua dottrina. Vi crede al punto da immaginarsi (quasi come la propaganda vuole) uno stato ed una società più forti e stabili di quanto effettivamente non fossero. Il suo essere tutt’uno col sistema vigente l’ha forse portato – in buona fede – a figurarselo come si desiderava che la gente lo immaginasse, apprezzandone le forze ma senza considerarne adeguatamente i punti deboli.
Iniziò riforme di grande spessore senza rendersi conto che il “giocattolo” che aveva per le mani era assai più fragile e sensibile di quanto non volesse credere (paradosso, enormità della cosa).
Mikhail, immaginava lo STATO (questo il punto) talmente solido da poterlo riportare alla madre terra, di poterlo normalizzare, umanizzare, restaurare privandolo di una specificità del quale NON poteva essere privato……
Mikhail Gorbachev, uomo onesto e genuino……pensa tante riforme per la casa sovietica di centinaia di milioni di anime : ognuna di esse meriterebbe un capitolo a sé stante, ma messe tutte assieme assumono un’altra definizione, collettiva, che le ingloba, elevando il tutto ad un altro livello di comprensione che ha a che fare con la filosofia della storia più che non con l’evidenza d’archivio (cioè qualcosa di più astratto, ma sicuramente non banale).
La definizione globale del processo innescato dall’ultimo leader Cccp, verso cui cerco di condurre gradualmente il lettore, potrebbe articolarsi in un’altisonante espressione quale : “PERDITA DELLA DIVINITA’ “.
Il significato ? L’insieme delle riforme, l’entità GLOBALE del cambiamento pensato da Gorbachev, porta ad intravedere la magnitudo della sua visione : egli intendeva in un qualche modo “normalizzare” l’intera macchina (stato), standardizzarla, plasmarla in modo tale da renderla a misura d’uomo……in breve, “RIPORTARE ALLA TERRA” (da qui il titolo di questi capitoli), farlo tornare ad uno status terreno rispetto al grado di eccezionalità che lo pervadeva sin dalla sua lontana e caotica palingenesi rivoluzionaria di quasi 70 anni prima.
Lo stato concepito da Lenin dopo il 1917 USCIVA DALLA STORIA – nella misura in cui il magmatico evento rivoluzionario che ne è alle fondamenta ESCE dalla storia : il consueto corso degli eventi che caratterizzava l’evoluzione della società umana di era in era veniva “spezzato” da questo incredibile accadimento che per forza di cose si poneva al di fuori dei canoni dell’umanità e delle sue leggi ordinarie : la storia naturale (dall’inizio del mondo) era una cosa……mentre la rivoluzione assieme a tutto ciò che essa generava (dal suo inizio in avanti) era un’altra, una dimensione parallela di livello superiore le cui leggi non potevano essere comparate moralmente con quelle del “mondo esterno”. Questo, signori, altro non è che l’indispensabile fondamento messianico dello stato socialista sovietico : altrimenti non può essere, pena un suo ridimensionamento al livello di qualsiasi altro suo vicino. L’eccezionalità morale e storica della rivoluzione socialista (e quindi del primo stato che genera), non può essere messa in discussione…….poichè per battersi e dare la propria esistenza occorre credere di farlo in qualcosa di più grande ancora della propria esistenza : per un IDEALE e non per un ingranaggio burocratico (come spesso purtroppo è).
Non è questa una caratteristica specifica del comunismo, ma di qualsiasi organizzazione che voglia darsi un fondamento solido : più tale organizzazione è grande, maggiore è il bisogno di tale fondamento, implementato e rafforzato da qualsiasi elemento possa tornare utile. Gli STATI…sono tra le organizzazioni più estese che le società umane abbiano elaborato : in quanto detentori del monopolio della forza nei confronti delle proprie microscopiche unità fondanti (cittadini) necessitano giocoforza di un fondamento morale per farlo. Tale principio di interdipendenza tra “dimensione fisica e dimensione morale” rimane attivo anche nella cornice degli stati : più essi sono minuscoli ed omogenei meno sono necessari fondamenti “assoluti” per il loro mantenimento, rivelandosi sufficienti costituzioni e sistemi democratici relativamente semplici (…). Al contrario più uno stato è esteso, maggiore il numero dei suoi abitanti e la complessità della propria composizione etnica, nonché difficoltà a tutelare i propri confini, maggiore sarà la necessità di una dimensione morale che rivaleggi con quella fisica, un fondamento forte, fortissimo, che vada oltre (ahimè) i canoni delle secolarizzate democrazie parlamentari.
L’Unione Sovietica ereditò la sagoma geografica e il peso demografico del secondo impero più esteso sulla faccia del pianeta : quest’ultimo rischiò la disintegrazione territoriale negli anni della guerra civile dopo la rivoluzione (a dimostrazione che lo zarismo di fine XIX secolo, pertinacemente reazionario e ormai secolarizzato era già di per sè inadeguato per il compito di tenere assieme, gestire e controllare lo spazio continentale cucito assieme dai propri predecessori).
Non era più possibile certo, in età contemporanea, credere nel messianismo cristiano ortodosso della prima età moderna (il 500 di Ivan il terribile), ma era tuttavia possibile trovare un nuovo messianismo laico….una fede che andasse oltre la materia, senza per forza scomodare la teologia : per l’appunto il momento delle ideologie.
Una costruzione come lo stato russo è per forza di cose – per le caratteristiche innate conferitegli dalla sua specifica storia – un qualcosa che non è in grado di reggersi su sistemi analoghi suggeriti ed importati dall’occidente. Lo stato russo per la sua natura più intima non può essere “democratico” nel medesimo senso in cui lo sono stati nazionali con parabole storiche differenti. Lo stato russo…….non può esser privato della sua “eccezionalità”, non può essere privata del suo “assoluto” le cui vestigia esteriori cambiano di era in era a seconda dell’esigenza….dalla terza Roma di Ivan IV°, allo stato marxista-leninista e la sua terza internazionale di 4 secoli dopo (in quest’ultimo caso a noi più prossimo cronologicamente, l’”assoluto” non è di stampo religioso chiaramente, quanto hegeliano : l’idea di quel regno di Prussia e della sua macchina statale la cui perfezione è incarnazione dell’incontro tra materia e spirito su questa terra è la premessa ontologica di base trasmessa a Lenin – tra i tanti seguaci di Hegel – il quale da essa parte, quando forgerà il proprio stato al momento debito (…).
Ci siamo spinti molto lontano….ai bordi dell’iperuranio platonico per dire cosa ?
Per far capire (o almeno provarci) la vera entità dell’inadeguatezza del capo di stato che arrivò al vertice nella primavera del 1985 : la tragedia di Mikhail Gorbachev fu di non capire l’essenza più profonda, la VERA natura della struttura che voleva non solo governare, ma modificare. Gorbachev da bravo cittadino sovietico che segue tutte le regole, conosceva la storia del proprio paese, ma solo superficialmente : ignorava la storia DIETRO LA STORIA, ovvero il senso storico alla base del susseguirsi degli eventi. In parole semplici il capo di stato NON conosceva il proprio grande paese nella misura in cui essendone un perfetto figlio difettava della giusta distanza, della giusta prospettiva per poterlo giudicare adeguatamente (come il figlio di genitori benestanti, che non si rende conto di essere “benestante” dato che per lui quella è la normalità). Egli NON vedeva il quadro, quello vero, nemmeno con i mezzi di cui un capo di stato disponeva…..sorvolava invisibili parametri vitali : in questo modo decise di “riportare alla terra” lo stato socialista sovietico (“elevato al cielo” dalla rivoluzione d’ottobre), decise di portarlo a misura d’uomo, attenuandone e alla fine cancellandone quella carica di “assolutezza” originaria. Venne indebolito il suo cuore sacro – il partito – , ritenendo che il corpo dello stato multinazionale sarebbe sopravvissuto senza (!).
Gorbachev, nel suo disegno di amplissimo respiro, si immaginava come lo scienziato di un laboratorio di ingegneria genetica, all’opera nel riformulare il DNA dell’essere che aveva in tutela : scisse con noncuranza il gene (quello dell’”eccezionalità”) che era alla base stessa non solo del sistema sovietico…ma del popolo russo e della civiltà slavo orientale in generale. Agì come un cardiochirurgo il quale nel mentre di operare un intervento per migliorare la funzione circolatoria nelle arterie del paziente, sbaglia rimuovendo anche………il cuore stesso (?!?).
L’eccezionalità di cui si parla, altro non è che il “SONDERWEG” di cui si è fatta menzione infinite volte, ossia la legge ultima che regola lo sviluppo di un’intera civilizzazione. L’ultimo leader sovietico – questa è la tragedia – non aveva nozione alcuna del Sonderweg del proprio popolo (e dei tanti che ne dipendevano), o forse l’aveva, ma falsata : pensò (può essere) di migliorare, aggiustare la traiettoria storica dello stato sbarazzandosi del fardello del comunismo sovietico ovvero spogliandolo della sua sacralità…..senza rendersi conto che proprio in tale sacralità era custodita la scintilla del Sonderweg in questione. Non seppe distinguere tra i vizi del sistema socialista sovietico e quelle caratteristiche profonde che tenevano in piedi l’intero edificio e che sarebbero state indispensabili a prescindere dal sistema in vigore : questo anche perché le due cose erano talmente intrecciate ed amalgamate che era arduo rimuovere una cosa senza danneggiarne altre (una scusante per Gorby).
Il risultato del processo di secolarizzazione (ideologica) promosso da lui, porterà in tempi brevissimi alla decade contraddistinta da anarchia con un altro personaggio – ancor più inadeguato (ed alcolizzato) al potere (il dramma divenne catastrofe…non proseguo).
Non si intende qui né condannare né giustificare il comunismo sovietico, ma solo riflettere. L’Unione Sovietica si trovava in condizione tale che avrebbe avuto bisogno – negli anni 80 – di una SECONDA RIVOLUZIONE, un secondo “1917” per rilanciare il destino di una società intera. Alla fine un evento magmatico l’ha avuto (da Gorby a Eltsin), ma non quella che serviva purtroppo, come si è visto.
—–
Non c’è altro da aggiungere. In questo contesto Lenin si pone come l’ALFA, mentre Gorbachev come l’OMEGA, non solo nel senso che sono stati rispettivamente il primo e l’ultimo leader dello stato sovietico…ma in un senso molto più profondo, filosofico : nel senso che Lenin “eleva all’empireo” (simbolicamente parlando) il sistema…..mentre Gorbachev lo “riporta alla terra” (dove tuttavia quest’ultimo non poteva sopravvivere e pertanto decomponendosi in fretta). Confronto ontologico impietoso, dialogo impossibile.
La terra sia lieve a Mikhail Gorbachev, che era un brav’uomo : in fondo la maggiore giustificazione la suggerisce Goethe forse, quando disse che nessun essere umano può veramente giudicare e valutare un evento di cui egli stesso è generato (…).

https://www.facebook.com/daniele.conti.5203

LO STATO DELLE COSE DELLA GEOPOLITICA, di Massimo Morigi _ 11a di 11 parti

AVVERTENZA

La seguente è la undicesima di undici parti di un saggio di Massimo Morigi. Nella prima parte è pubblicata in calce l’introduzione e nel file allegato il testo di Morigi; nella sua undicesima parte è disponibile la prosecuzione a partire da pagina 130. L’introduzione è identica per ognuna delle undici parti e verrà ripetuta solo nelle prime righe a partire dalla seconda parte.

PRESENTAZIONE DI QUARANTA, TRENTA, VENT’ANNI DOPO A LE
RELAZIONI FRA L’ITALIA E IL PORTOGALLO DURANTE IL PERIODO
FASCISTA: NASCITA ESTETICO-EMOTIVA DEL PARADIGMA
OLISTICO-DIALETTICO-ESPRESSIVO-STRATEGICO-CONFLITTUALE DEL
REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO ORIGINANDO DALL’ ETEROTOPIA
POETICA, CULTURALE E POLITICA DEL PORTOGALLO*

*Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista ora presentate sono
pubblicate dall’ “Italia e il Mondo” in undici puntate. La puntata che ora viene
pubblicata è la prima e segue immediatamente questa presentazione, e questa prima
puntata (come tutte le altre che seguiranno) è preceduta dall’introduzione alla stessa di
Giuseppe Germinario. Pubblicando l’introduzione originale delle Relazioni fra l’Italia
e il Portogallo durante il periodo fascista come prima puntata e che, come da indice,
non è numerata, la numerazione delle puntate alla fine di questa presentazione non
segue la numerazione ordinale originale in indice delle parti del saggio, che è stata
quindi mantenuta immutata, quando questa presente.

UNDICESIMA PUNTATA STATO DELLE COSE

Ucraina, 15a puntata_odio irriducibile Con Max Bonelli e Stefano Orsi

Puntata dai toni particolarmente drammatici che tentano di estrapolare le pulsioni profonde che spingono a questa guerra. L’odio e il risentimento da una parte, frutto anche, ma non solo, dell’indottrinamento ideologico e della spregiudicatezza di una élite; la disponibilità a morire, anche con “leggerezza”, che attraversa gran parte dei contingenti militari. E’ il retroterra che rende possibili le offensive disperate e senza futuro, anche se ultimamente meglio organizzate, degli ucraini e l’azione ostinata e certosina dei russi e dei miliziani delle repubbliche secessioniste. E’ la condizione che rende possibile la sopravvivenza di un regime che per la sua natura scopertamente compradora, predatrice e ostile agli interessi del proprio stesso popolo non avrebbe ragione di esistere dopo tante sconfitte. E’ il nemico che i paesi europei hanno scelto di designare senza ragione che non sia la sudditanza atlantica e la sopravvivenza di un ceto politico decadente; ma anche lo strumento alleato e amico che diventerà la serpe in grado di trascinare ciò che resta dell’Europa nuovamente nel tragico caos conflittuale che ha innescato la sua decadenza a metà ‘900. In questo quadro abbiamo presentato gli sviluppi delle operazioni militari che vengono poi illustrate con maggior dovizia nei filmati di Stefano Orsi. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v1jbofb-ucraina-15a-puntata-odio-irriducibile-con-max-bonelli-e-stefano-orsi.html

La nostra ultima intervista a Jacques Baud_a cura di the postil

La nostra ultima intervista a Jacques Baud

Siamo lieti di presentarvi questa nuova intervista a Jacques Baud, in cui copriamo ciò che sta accadendo ora nella lotta geopolitica che è la guerra Ucraina-Russia. Come sempre, il signor Baud porta una visione profonda e un’analisi chiara alla conversazione.


The Postil (TP): Hai appena pubblicato il tuo ultimo libro sulla guerra in Ucraina — Operazione Z , edito da Max Milo. Per favore, raccontaci qualcosa: cosa ti ha portato a scrivere questo libro e cosa desideri trasmettere ai lettori?

Jacques Baud (JB): Lo scopo di questo libro è mostrare come la disinformazione propagata dai nostri media abbia contribuito a spingere l’Ucraina nella direzione sbagliata. L’ho scritto sotto il motto “dal modo in cui comprendiamo le crisi deriva il modo in cui le risolviamo”.

Nascondendo molti aspetti di questo conflitto, i media occidentali ci hanno presentato un’immagine caricaturale e artificiale della situazione, che ha portato alla polarizzazione delle menti. Ciò ha portato a una mentalità diffusa che rende praticamente impossibile qualsiasi tentativo di negoziare.

La rappresentazione unilaterale e parziale fornita dai media mainstream non ha lo scopo di aiutarci a risolvere il problema, ma di promuovere l’odio nei confronti della Russia. Così, l’esclusione dalle competizioni di atleti disabili, gatti , persino alberi russi , il licenziamento dei direttori d’orchestra, il de-platforming di artisti russi, come Dostoevskij , o anche la ridenominazione dei dipinti mira ad escludere la popolazione russa dalla società! In Francia, i conti bancari di persone con nomi che suonavano in russo sono stati persino bloccati. I social network Facebook e Twitter hanno sistematicamente bloccato la divulgazione dei crimini ucraini con il pretesto di “incitamento all’odio”, ma consentono l’appello alla violenza contro i russi.

Nessuna di queste azioni ha avuto alcun effetto sul conflitto, se non per stimolare l’odio e la violenza contro i russi nei nostri paesi. Questa manipolazione è così grave che preferiremmo vedere la morte degli ucraini piuttosto che cercare una soluzione diplomatica. Come ha recentemente affermato il senatore repubblicano Lindsey Graham , si tratta di lasciare che gli ucraini combattano fino all’ultimo uomo.

Si presume comunemente che i giornalisti lavorino secondo standard di qualità ed etica per informarci nel modo più onesto possibile. Questi standard sono stabiliti dalla Carta di Monaco del 1971. Mentre scrivevo il mio libro ho scoperto che nessun media mainstream di lingua francese in Europa rispetta questa Carta per quanto riguarda Russia e Cina. In effetti, sostengono spudoratamente una politica immorale nei confronti dell’Ucraina, descritta da Andrés Manuel López Obrador, presidente del Messico, come “Noi forniamo le armi, tu fornisci i cadaveri!”

Per evidenziare questa disinformazione, volevo mostrare che le informazioni che permettevano di fornire un quadro realistico della situazione erano disponibili già a febbraio, ma che i nostri media non le hanno divulgate al pubblico. Il mio obiettivo era mostrare questa contraddizione.

Per evitare di diventare io stesso un propagandista a favore di una parte o dell’altra, mi sono affidato esclusivamente a fonti dell’opposizione occidentale, ucraina (di Kiev) e russa. Non ho preso alcuna informazione dai media russi.

TP: Si dice comunemente in Occidente che questa guerra ha “dimostrato” che l’esercito russo è debole e che il suo equipaggiamento è inutile. Sono vere queste affermazioni?

JB: No. Dopo più di sei mesi di guerra, si può dire che l’esercito russo è efficace ed efficiente e che la qualità del suo comando e controllo supera di gran lunga quella che vediamo in Occidente. Ma la nostra percezione è influenzata da una cronaca focalizzata sulla parte ucraina e dalle distorsioni della realtà.

In primo luogo, c’è la realtà sul campo. Va ricordato che quella che i media chiamano “russi” è in realtà una coalizione di lingua russa, composta da combattenti russi professionisti e soldati delle milizie popolari del Donbass. Le operazioni nel Donbass sono svolte principalmente da queste milizie, che combattono sul “loro” terreno, nelle città e nei villaggi che conoscono e dove hanno amici e familiari. Stanno quindi avanzando con cautela per se stessi, ma anche per evitare vittime civili. Così, nonostante le pretese della propaganda occidentale, la coalizione gode di un ottimo appoggio popolare nelle aree che occupa.

Quindi, solo guardando una mappa, puoi vedere che il Donbass è una regione con molte aree edificate e abitate, il che significa un vantaggio per il difensore e una velocità di avanzamento ridotta per l’attaccante in ogni circostanza.

In secondo luogo, c’è il modo in cui i nostri media descrivono l’evoluzione del conflitto. L’Ucraina è un paese enorme e le mappe su piccola scala difficilmente mostrano le differenze da un giorno all’altro. Inoltre, ciascuna parte ha la propria percezione del progresso del nemico. Se prendiamo l’esempio della situazione del 25 marzo 2022, possiamo vedere che la mappa del quotidiano francese Ouest-France (a) non mostra quasi nessun anticipo della Russia, così come il sito svizzero RTS (b). La mappa del sito web russo RIAFAN (c) può essere propaganda, ma se la confrontiamo con la mappa della Direzione dei servizi segreti militari francesi(DRM) (d), vediamo che i media russi sono probabilmente più vicini alla verità. Tutte queste mappe sono state pubblicate lo stesso giorno, ma il quotidiano francese ei media statali svizzeri non hanno scelto di utilizzare la mappa DRM e hanno preferito utilizzare una mappa ucraina. Questo dimostra che i nostri media funzionano come mezzi di propaganda.

Figura 1 – Confronto delle mappe presentate sui nostri media il 25 marzo 2022. È questo modo di presentare l’offensiva russa che ha portato ad affermare che l’esercito russo è debole. Mostra anche che le informazioni fornite dai media russi sembrano più vicine alla realtà di quelle fornite dall’Ucraina.

In terzo luogo, i nostri “esperti” hanno determinato gli obiettivi dell’offensiva russa. Affermando che la Russia voleva impadronirsi dell’Ucraina e delle sue risorse, conquistare Kiev in due giorni, ecc., i nostri esperti hanno letteralmente inventato e attribuito ai russi obiettivi che Putin non ha mai menzionato. Nel maggio 2022, Claude Wild, l’ambasciatore svizzero a Kiev, ha dichiarato su RTS che i russi avevano ” perso la battaglia per Kiev “. Ma in realtà, non c’è mai stata una “battaglia per Kiev”. È ovviamente facile affermare che i russi non hanno raggiunto i loro obiettivi, se non hanno mai cercato di raggiungerli!

In quarto luogo, l’Occidente e l’Ucraina hanno creato un’immagine fuorviante del loro avversario. In Francia, Svizzera e Belgio, nessuno degli esperti militari in televisione ha alcuna conoscenza delle operazioni militari e di come i russi conducono le loro. La loro “competenza” deriva dalle voci sulla guerra in Afghanistan o in Siria, che spesso sono solo propaganda occidentale. Questi esperti hanno letteralmente falsificato la presentazione delle operazioni russe.

Così, gli obiettivi annunciati già il 24 febbraio dalla Russia erano la “smilitarizzazione” e la “denazificazione” della minaccia alle popolazioni del Donbass. Questi obiettivi sono legati alla neutralizzazione delle capacità, non al sequestro di terre o risorse. Per dirla senza mezzi termini, in teoria, per raggiungere i loro obiettivi i russi non hanno bisogno di avanzare: sarebbe sufficiente se gli stessi ucraini venissero e venissero uccisi.

In altre parole, i nostri politici e media hanno spinto l’Ucraina a difendere il terreno come in Francia durante la prima guerra mondiale. Hanno spinto le truppe ucraine a difendere ogni metro quadrato di terreno in situazioni di “ultima resistenza”. Ironia della sorte, l’Occidente ha solo facilitato il lavoro dei russi.

Infatti, come per la guerra al terrore, gli occidentali vedono il nemico come vorrebbero che fosse, non come è. Come disse Sun Tzu 2.500 anni fa, questa è la migliore ricetta per perdere una guerra.

Un esempio è la cosiddetta “guerra ibrida” che la Russia sta presumibilmente conducendo contro l’Occidente. Nel giugno 2014, mentre l’Occidente cercava di spiegare l’intervento (immaginario) della Russia nel conflitto del Donbass, l’esperto di Russia Mark Galeotti “rivelò” l’esistenza di una dottrina che illustrerebbe il concetto russo di guerra ibrida . Conosciuta come la “Dottrina Gerasimov”, non è mai stata definita dall’Occidente per quanto riguarda in cosa consiste e come potrebbe garantire il successo militare. Ma è usato per spiegare come la Russia faccia la guerra nel Donbass senza inviare truppe lì e perché l’Ucraina perde costantemente le sue battaglie contro i ribelli. Nel 2018, rendendosi conto di aver sbagliato, Galeotti si è scusato, con coraggio e intelligenza, in un articolo intitolato “Mi dispiace per aver creato la dottrina Gerasimov” pubblicato suRivista di politica estera .

Nonostante ciò, e senza sapere cosa significasse, i nostri media e politici hanno continuato a fingere che la Russia stesse conducendo una guerra ibrida contro l’Ucraina e l’Occidente. In altre parole, abbiamo immaginato un tipo di guerra che non esiste e abbiamo preparato l’Ucraina ad essa. Questo è anche ciò che spiega la sfida per l’Ucraina di avere una strategia coerente per contrastare le operazioni russe.

L’Occidente non vuole vedere la situazione come è realmente. La coalizione di lingua russa ha lanciato la sua offensiva con una forza complessiva inferiore a quella degli ucraini in un rapporto di 1-2:1. Per avere successo quando sei in inferiorità numerica, devi creare superiorità locali e temporanee spostando rapidamente le tue forze sul campo di battaglia.

Questo è ciò che i russi chiamano “arte operativa” (operativnoe iskoustvo). Questa nozione è poco conosciuta in Occidente. Il termine “operativo” utilizzato nella NATO ha due traduzioni in russo: “operativo” (che si riferisce a un livello di comando) e “operativo” (che definisce una condizione). È l’arte di manovrare formazioni militari, proprio come una partita a scacchi, per sconfiggere un avversario superiore.

Ad esempio, l’operazione intorno a Kiev non aveva lo scopo di “ingannare” gli ucraini (e l’Occidente) sulle loro intenzioni, ma costringere l’esercito ucraino a mantenere grandi forze intorno alla capitale e quindi “bloccarle”. In termini tecnici, questa è quella che viene chiamata “operazione di modellatura”. Contrariamente all’analisi di alcuni “esperti”, non si trattava di una “operazione di inganno”, che sarebbe stata concepita in modo molto diverso e avrebbe coinvolto forze molto più grandi. L’obiettivo era impedire un rafforzamento del corpo principale delle forze ucraine nel Donbass.

La lezione principale di questa guerra in questa fase conferma ciò che sappiamo dalla seconda guerra mondiale: i russi padroneggiano l’arte operativa.

TP: Le domande sull’esercito russo sollevano l’ovvia domanda: quanto è buono l’esercito ucraino oggi? E, soprattutto, perché non sentiamo così tanto parlare dell’esercito ucraino?

JB: I militari ucraini sono certamente soldati coraggiosi che svolgono il loro dovere coscienziosamente e con coraggio. Ma la mia esperienza personale mostra che in quasi ogni crisi il problema è alla testa. L’incapacità di comprendere l’avversario e la sua logica e di avere un quadro chiaro della situazione reale è la ragione principale dei fallimenti.

Dall’inizio dell’offensiva russa, possiamo distinguere due modi di condurre la guerra. Da parte ucraina, la guerra è condotta negli spazi politici e informativi, mentre da parte russa la guerra è condotta nello spazio fisico e operativo. Le due parti non stanno combattendo negli stessi spazi. Questa è una situazione che ho descritto nel 2003 nel mio libro, La guerre asymétrique ou la défaite du vainqueur ( Guerra asimmetrica, o la sconfitta del vincitore ). Il guaio è che alla fine della giornata prevale la realtà del terreno.

Da parte russa le decisioni vengono prese dai militari, mentre da parte ucraina Zelensky è onnipresente e l’elemento centrale nella conduzione della guerra. Prende decisioni operative, apparentemente spesso contro il parere dei militari. Questo spiega le crescenti tensioni tra Zelensky ei militari. Secondo i media ucraini, Zelensky potrebbe licenziare il generale Valery Zoluzhny nominandolo ministro della Difesa.

L’esercito ucraino è stato ampiamente addestrato da ufficiali americani, britannici e canadesi dal 2014. Il problema è che per oltre 20 anni gli occidentali hanno combattuto gruppi armati e avversari dispersi e hanno ingaggiato interi eserciti contro individui. Combattono guerre a livello tattico e in qualche modo hanno perso la capacità di combattere a livello strategico e operativo. Questo spiega in parte perché l’Ucraina sta conducendo la sua guerra a questo livello.

Ma c’è una dimensione più concettuale. Zelensky e l’Occidente vedono la guerra come un equilibrio di forze numerico e tecnologico. Per questo, dal 2014, gli ucraini non hanno mai cercato di sedurre i ribelli e ora pensano che la soluzione verrà dalle armi fornite dall’Occidente. L’Occidente ha fornito all’Ucraina alcune dozzine di cannoni M777 e lanciamissili HIMARS e MLRS, mentre l’Ucraina ha avuto diverse migliaia di pezzi di artiglieria equivalenti a febbraio. Il concetto russo di “correlazione delle forze” tiene conto di molti più fattori ed è più olistico dell’approccio occidentale. Ecco perché stanno vincendo i russi.

Per rispettare politiche sconsiderate, i nostri media hanno costruito una realtà virtuale che attribuisce alla Russia un ruolo negativo. Per coloro che osservano attentamente l’andamento della crisi, potremmo quasi dire che hanno presentato la Russia come un’“immagine speculare” della situazione in Ucraina. Così, quando è iniziato il discorso sulle perdite ucraine, la comunicazione occidentale si è rivolta alle perdite russe (con dati forniti dall’Ucraina).

Le cosiddette “contro-offensive” proclamate dall’Ucraina e dall’Occidente a Kharkov e Kherson in aprile-maggio sono state semplicemente “contrattacchi”. La differenza tra i due è che la controffensiva è una nozione operativa, mentre il contrattacco è una nozione tattica, che ha una portata molto più limitata. Questi contrattacchi furono possibili perché la densità delle truppe russe in questi settori era allora di 1 Battle Group (BTG) per 20 km di fronte. In confronto, nel settore del Donbass, che era l’obiettivo principale, la coalizione russa aveva 1-3 BTG per km. Per quanto riguarda la grande offensiva di agosto su Kherson, che avrebbe dovuto conquistare il sud del paese, sembra non essere stato altro che un mito mantenere il sostegno occidentale.

Oggi vediamo che i presunti successi ucraini sono stati in realtà dei fallimenti. Le perdite umane e materiali attribuite alla Russia erano infatti più in linea con quelle dell’Ucraina. A metà giugno, David Arakhamia, capo negoziatore e stretto consigliere di Zelensky, ha parlato di 200-500 morti al giorno e ha menzionato le vittime (morti, feriti, catturati, disertori) di 1.000 uomini al giorno . Se a questo aggiungiamo le rinnovate richieste di armi da parte di Zelensky, possiamo vedere che l’idea di una vittoria per l’Ucraina appare piuttosto illusoria.

Poiché si pensava che l’economia russa fosse paragonabile a quella italiana , si presumeva che sarebbe stata ugualmente vulnerabile. Pertanto, l’Occidente – e gli ucraini – pensavano che le sanzioni economiche e l’isolamento politico della Russia ne avrebbero rapidamente causato il crollo, senza passare per una sconfitta militare. In effetti, questo è ciò che capiamo dall’intervista di Oleksei Arestovich, consigliere e portavoce di Zelensky, a marzo 2019. Questo spiega anche perché Zelensky non ha lanciato l’allarme all’inizio del 2022, come dice nella sua intervista al Washington Post . Penso che sapesse che la Russia avrebbe risposto all’offensiva che l’Ucraina stava preparando nel Donbass (ecco perché il grosso delle sue truppe si trovava in quella zona) e pensava che le sanzioni avrebbero portato rapidamente al collasso e alla sconfitta della Russia. Questo è ciò cheBruno Le Maire , il ministro dell’Economia francese, aveva “previsto”. Chiaramente, gli occidentali hanno preso decisioni senza conoscere il loro avversario.

Come ha detto Arestovich, l’idea era che la sconfitta della Russia sarebbe stata il biglietto d’ingresso dell’Ucraina alla NATO . Così, gli ucraini furono spinti a preparare un’offensiva nel Donbass per far reagire la Russia e ottenere così una facile sconfitta attraverso sanzioni devastanti. Questo è cinico e mostra quanto l’Occidente, guidato dagli americani, abbia abusato dell’Ucraina per i propri obiettivi.

Il risultato è che gli ucraini non hanno cercato la vittoria dell’Ucraina, ma la sconfitta della Russia . Questo è molto diverso e spiega la narrativa occidentale dei primi giorni dell’offensiva russa, che profetizzava questa sconfitta.

Ma la realtà è che le sanzioni non hanno funzionato come previsto e l’Ucraina si è trovata coinvolta in combattimenti che aveva provocato, ma per i quali non era disposta a combattere per così tanto tempo.

Questo è il motivo per cui, fin dall’inizio, la narrativa occidentale ha presentato una discrepanza tra i media riportati e la realtà sul campo. Ciò ha avuto un effetto perverso: ha incoraggiato l’Ucraina a ripetere i suoi errori e le ha impedito di migliorare la sua conduzione delle operazioni. Con il pretesto di combattere Vladimir Putin, abbiamo spinto l’Ucraina a sacrificare inutilmente migliaia di vite umane.

Fin dall’inizio, era ovvio che gli ucraini ripetevano costantemente i loro errori (e anche gli stessi errori del 2014-2015) e che i soldati morivano sul campo di battaglia. Da parte sua, Volodymyr Zelensky chiedeva sempre più sanzioni, anche le più assurde, perché indotto a ritenerle decisive.

Non sono l’unico ad aver notato questi errori e i paesi occidentali avrebbero sicuramente potuto fermare questo disastro. Ma i loro leader, eccitati dai resoconti (fantasiosi) delle perdite russe e pensando di aprire la strada al cambio di regime, hanno aggiunto sanzioni alle sanzioni, rifiutando ogni possibilità di negoziazione. Come ha affermato il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire, l’obiettivo era provocare il collasso dell’economia russa e far soffrire il popolo russo. Questa è una forma di terrorismo di Stato: l’idea è quella di far soffrire la popolazione per spingerla alla rivolta contro i suoi leader (qui Putin). Non sto inventando. Questo meccanismo è descritto in dettaglio da Richard Nephew, capo delle sanzioni presso il Dipartimento di Stato sotto Obama e attualmente Coordinatore per la lotta alla corruzione globale, nel suo libro intitolato The Art of Sanctions . Ironia della sorte, questa è esattamente la stessa logica che lo Stato Islamico ha invocato per spiegare i suoi attacchi in Francia nel 2015-2016. La Francia probabilmente non incoraggia il terrorismo, ma lo pratica.

I media mainstream non presentano la guerra così com’è, ma come vorrebbero che fosse. Questo è puro pio desiderio. L’apparente sostegno pubblico alle autorità ucraine, nonostante le enormi perdite (alcuni menzionano 70.000-80.000 vittime), si ottiene mettendo al bando l’opposizione , una caccia spietata ai funzionari che non sono d’accordo con la linea del governo e una propaganda “speculare” che attribuisce ai russi gli stessi fallimenti degli ucraini. Tutto questo con il consapevole sostegno dell’Occidente.

TP: Cosa dobbiamo pensare dell’esplosione alla base aerea di Saki in Crimea?

JB: Non conosco i dettagli dell’attuale situazione della sicurezza in Crimea. . Sappiamo che prima di febbraio c’erano cellule di combattenti volontari di Praviy Sektor (una milizia neonazista) in Crimea, pronte a compiere attentati di tipo terroristico. Queste cellule sono state neutralizzate? Non lo so; ma si può presumere di sì, poiché apparentemente c’è pochissima attività di sabotaggio in Crimea. Detto questo, non dimentichiamo che ucraini e russi convivono da molti decenni e ci sono sicuramente dei filo-kieviani nelle zone occupate dai russi. È quindi realistico pensare che potrebbero esserci cellule dormienti in queste aree.

Più probabilmente si tratta di una campagna condotta dal servizio di sicurezza ucraino (SBU) nei territori occupati dalla coalizione di lingua russa. Questa è una campagna terroristica che prende di mira personalità e funzionari ucraini filorussi. Segue importanti cambiamenti nella leadership della SBU , a Kiev , e nelle regioni, tra cui Lvov, Ternopol da luglio. È probabilmente nel contesto di questa stessa campagna che Darya Dugina è stata assassinata il 21 agosto. L’obiettivo di questa nuova campagna potrebbe essere quello di trasmettere l’illusione che ci sia una resistenza in corso nelle aree occupate dai russi e quindi rilanciare gli aiuti occidentali, che comincia a stancare.

Queste attività di sabotaggio non hanno realmente un impatto operativo e sembrano più legate a un’operazione psicologica. Può darsi che si tratti di azioni come quella a Snake Island all’inizio di maggio, intesa a dimostrare al pubblico internazionale che l’Ucraina sta agendo.

Ciò che gli incidenti in Crimea mostrano indirettamente è che la resistenza popolare rivendicata dall’Occidente a febbraio non esiste. È molto probabilmente l’azione di agenti clandestini ucraini e occidentali (probabilmente britannici). Al di là delle azioni tattiche, ciò dimostra l’incapacità degli ucraini di attivare un movimento di resistenza significativo nelle aree occupate dalla coalizione di lingua russa.

TP: Zelensky ha detto notoriamente: “La Crimea è ucraina e non la molleremo mai”. È retorica o c’è un piano per attaccare la Crimea? Ci sono agenti ucraini in Crimea?

JB: Prima di tutto, Zelensky cambia opinione molto spesso. Nel marzo 2022 ha fatto una proposta alla Russia, affermando di essere pronto a discutere un riconoscimento della sovranità russa sulla penisola. È stato su intervento dell’Unione Europea e di Boris Johnson il 2 aprile e il 9 aprile che ha ritirato la sua proposta, nonostante l’interesse favorevole della Russia.

È necessario ricordare alcuni fatti storici. La cessione della Crimea all’Ucraina nel 1954 non è mai stata formalmente convalidata dai parlamenti dell’URSS, della Russia e dell’Ucraina durante l’era comunista. Inoltre, il popolo della Crimea ha accettato di essere soggetto all’autorità di Mosca e non più di Kiev già nel gennaio 1991. In altre parole, la Crimea era indipendente da Kiev anche prima che l’Ucraina diventasse indipendente da Mosca nel dicembre 1991.

A luglio, Aleksei Reznikov, il ministro della Difesa ucraino, ha parlato ad alta voce di una grande controffensiva contro Kherson che ha coinvolto un milione di uomini per ripristinare l’ integrità territoriale dell’Ucraina . In realtà, l’Ucraina non è riuscita a raccogliere le truppe, le armature e la copertura aerea necessarie per questa inverosimile offensiva. Le azioni di sabotaggio in Crimea possono sostituire questa “controffensiva”. Sembrano essere più un esercizio di comunicazione che una vera azione militare. Queste azioni sembrano mirare piuttosto a rassicurare i paesi occidentali che mettono in dubbio l’importanza del loro sostegno incondizionato all’Ucraina.

TP: Ci parli della situazione intorno all’impianto nucleare di Zaporizhzhia?

JB: Ad Energodar, la centrale nucleare di Zaporizhzhia (ZNPP), è stata bersaglio di numerosi attacchi di artiglieria, che ucraini e russi attribuiscono alla parte avversaria.

Quello che sappiamo è che le forze della coalizione russa hanno occupato il sito ZNPP dall’inizio di marzo. L’obiettivo in quel momento era mettere al sicuro la ZNPP in modo rapido, in modo da evitare che venisse coinvolta nei combattimenti e quindi evitare un incidente nucleare. Il personale ucraino che ne era responsabile è rimasto sul posto e continua a lavorare sotto la supervisione della società ucraina Energoatom e dell’Agenzia ucraina per la sicurezza nucleare (SNRIU). Non ci sono quindi combattimenti intorno alla pianta.

È difficile capire perché i russi dovrebbero bombardare una centrale nucleare che è sotto il loro controllo . Questa affermazione è ancora più peculiare dal momento che gli stessi ucraini affermano che ci sono truppe russe nei locali del sito . Secondo un “esperto” francese, i russi attaccherebbero la centrale elettrica che controllano per interrompere il flusso di elettricità in Ucraina . Non solo ci sarebbero modi più semplici per interrompere l’elettricità all’Ucraina (un interruttore, forse?), ma la Russia non ha interrotto la fornitura di elettricità agli ucraini da marzo. Inoltre, vi ricordo che la Russia non ha interrotto il flusso di gas naturale verso l’Ucraina e ha continuato a pagare all’Ucraina le tasse di transito per il gas verso l’Europa. È Zelensky che ha deciso di chiudere l’oleodotto Soyuza maggio.

Inoltre, va ricordato che i russi si trovano in una zona in cui la popolazione è generalmente favorevole a loro ed è difficile capire perché rischierebbero una contaminazione nucleare della regione.

In realtà, gli ucraini hanno motivazioni più credibili dei russi che potrebbero spiegare tali attacchi contro lo ZNPP. , che non si escludono a vicenda: un’alternativa alla grande controffensiva su Kherson, che non sono in grado di attuare, e per prevenire i referendum in programma nella regione. Inoltre, gli appelli di Zelensky a smilitarizzare l’area della centrale elettrica e persino a restituirla all’Ucraina sarebbero per lui un successo politico e operativo. Si potrebbe anche immaginare che cerchino di provocare deliberatamente un incidente nucleare per creare una “terra di nessuno” e rendere così l’area inutilizzabile per i russi.

Bombardando l’impianto, l’Ucraina potrebbe anche cercare di fare pressione sull’Occidente affinché intervenga nel conflitto , con il pretesto che la Russia sta cercando di scollegare l’impianto dalla rete elettrica ucraina prima della caduta. Questo comportamento suicida, come affermato dal segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, sarebbe in linea con la guerra condotta dall’Ucraina dal 2014.

Ci sono prove evidenti che gli attacchi a Energodar siano ucraini. I frammenti di proiettili sparati sul sito dall’altra parte del Dnepr sono di origine occidentale . Sembra che provengano dai missili BRIMSTONE britannici , che sono missili di precisione, il cui utilizzo è monitorato dagli inglesi. Apparentemente, l’Occidente è a conoscenza degli attacchi ucraini alla ZNPP. Questo potrebbe spiegare perché l’Ucraina non sostiene molto una commissione d’inchiesta internazionale e perché i paesi occidentali stanno ponendo condizioni irrealistiche per l’invio di investigatori dall’AIEA, un’agenzia che finora non ha mostrato molta integrità.

TP: È stato riferito che Zelensky sta liberando i criminali per combattere in questa guerra? Questo significa che l’esercito ucraino non è così forte come comunemente si pensa?

JB: Zelensky deve affrontare lo stesso problema delle autorità emerse da Euromaidan nel 2014. A quel tempo, i militari non volevano combattere perché non volevano confrontarsi con i loro compatrioti di lingua russa. Secondo un rapporto del Ministero dell’Interno britannico, i riservisti si rifiutano in modo schiacciante di partecipare alle sessioni di reclutamento. In ottobre-novembre 2017, il 70% dei coscritti non si presenta per il richiamo. Il suicidio è diventato un problema . Secondo il procuratore capo militare ucraino Anatoly Matios, dopo quattro anni di guerra nel Donbass, 615 militari si erano suicidati . Le diserzioni sono aumentate e hanno raggiunto fino al 30% delle forze in alcune aree operative, spesso a favore dei ribelli.

Per questo motivo, è diventato necessario integrare combattenti più motivati, altamente politicizzati, ultranazionalisti e fanatici nelle forze armate per combattere nel Donbass. Molti di loro sono neonazisti. È per eliminare questi combattenti fanatici che Vladimir Putin ha menzionato l’obiettivo della “denazificazione”.

Oggi il problema è leggermente diverso. I russi hanno attaccato l’Ucraina ei soldati ucraini non sono contrari a priori a combatterli. Ma si rendono conto che gli ordini che ricevono non sono coerenti con la situazione sul campo di battaglia. Hanno capito che le decisioni che li riguardano non sono legate a fattori militari, ma a considerazioni politiche. Le unità ucraine si stanno ammutinando in massa e si rifiutano sempre più di combattere. Dicono di sentirsi abbandonati dai loro comandanti e che gli vengono affidate missioni senza le risorse necessarie per eseguirle.

Ecco perché diventa necessario mandare uomini pronti a tutto . Poiché sono condannati, possono essere tenuti sotto pressione. Questo è lo stesso principio del maresciallo Konstantin Rokossovki, condannato a morte da Stalin, ma rilasciato dalla prigione nel 1941 per combattere contro i tedeschi. La sua condanna a morte fu revocata solo dopo la morte di Stalin nel 1956.

Per mettere in ombra l’uso di criminali nelle forze armate, i russi sono accusati di fare la stessa cosa. Gli ucraini e gli occidentali usano costantemente la propaganda dello “specchio”. Come in tutti i conflitti recenti, l’influenza occidentale non ha portato a una moralizzazione del conflitto.

TP: Tutti parlano di quanto sia corrotto Putin? Ma che dire di Zelensky? È lui il “santo eroico” che tutti ci dicono di ammirare?

JB: Nell’ottobre 2021, i Pandora Papers hanno mostrato che l’Ucraina e Zelensky erano i più corrotti d’Europa e praticavano l’evasione fiscale su larga scala. È interessante notare che questi documenti sono stati apparentemente pubblicati con l’aiuto di un’agenzia di intelligence americana e Vladimir Putin non è menzionato. Più precisamente, i documenti menzionano individui “associati” a lui, che si dice abbiano legami con beni non divulgati, che potrebbero appartenere a una donna, che si ritiene abbia avuto un figlio con lui.

Tuttavia, quando i nostri media riferiscono di questi documenti, mettono regolarmente una foto di Vladimir Putin, ma non di Volodymyr Zelensky.

Figura 2 – Sebbene non sia menzionato nei Pandora Papers, Vladimir Putin è costantemente associato a loro. Mentre Volodymyr Zelensky non è mai menzionato nei nostri media, anche se è ampiamente implicato.

Non sono in grado di valutare quanto sia corrotto Zelensky. Ma non c’è dubbio che la società ucraina e il suo governo lo siano. Ho contribuito modestamente a un programma NATO “Costruire l’integrità” in Ucraina e ho scoperto che nessuno dei paesi contributori si faceva illusioni sulla sua efficacia, e tutti vedevano il programma come una sorta di “velina” per giustificare il sostegno occidentale.

È improbabile che i miliardi pagati dall’Occidente all’Ucraina raggiungano il popolo ucraino. Un recente rapporto di CBS News ha affermato che solo il 30-40% delle armi fornite dall’Occidente arriva sul campo di battaglia. Il resto arricchisce le mafie e altri corrotti. Apparentemente, alcune armi occidentali ad alta tecnologia sono state vendute ai russi, come il sistema francese CAESAR e presumibilmente l’americano HIMARS. Il rapporto di CBS News è stato censurato per evitare di minare gli aiuti occidentali, ma resta il fatto che gli Stati Uniti si sono rifiutati di fornire droni MQ-1C all’Ucraina per questo motivo.

L’Ucraina è un paese ricco, eppure oggi è l’unico paese dell’ex URSS con un PIL inferiore a quello che aveva al crollo dell’Unione Sovietica. Il problema quindi non è Zelensky stesso, ma l’intero sistema, che è profondamente corrotto, e che l’Occidente mantiene al solo scopo di combattere la Russia.

Zelensky è stato eletto nell’aprile 2019 con il programma di raggiungere un accordo con la Russia. Ma nessuno gli ha permesso di portare a termine il suo programma. Tedeschi e francesi gli hanno deliberatamente impedito di attuare gli accordi di Minsk. La trascrizione della conversazione telefonica del 20 febbraio 2022 tra Emmanuel Macron e Vladimir Putin mostra che la Francia ha deliberatamente tenuto l’Ucraina lontana dalla soluzione. Inoltre, in Ucraina, le forze politiche di estrema destra e neonaziste lo hanno minacciato pubblicamente di morte. Dmitry Yarosh, comandante dell’esercito volontario ucraino, ha dichiarato nel maggio 2019 che Zelensky sarebbe stato impiccatose ha eseguito il suo programma. In altre parole, Zelensky è intrappolato tra la sua idea di raggiungere un accordo con la Russia e le richieste dell’Occidente. Inoltre, l’Occidente si rende conto che la sua strategia di guerra attraverso le sanzioni è fallita. Con l’aumentare dei problemi economici e sociali, l’Occidente avrà più difficoltà a fare marcia indietro senza perdere la faccia. Una via d’uscita per la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, l’UE o la Francia sarebbe rimuovere Zelensky. Ecco perché, con il deterioramento della situazione in Ucraina, penso che Zelensky inizi a rendersi conto che la sua vita è minacciata.

Alla fine, Zelensky è un povero ragazzo, perché i suoi migliori nemici sono quelli da cui dipende: il mondo occidentale.

TP: Ci sono molti video (raccapriccianti) sui social media di soldati ucraini coinvolti in gravi crimini di guerra? Perché c’è un “punto cieco” in Occidente per tali atrocità?

JB: Prima di tutto, dobbiamo essere chiari: in ogni guerra, ogni belligerante commette crimini di guerra. Il personale militare che commette deliberatamente tali crimini disonora la propria uniforme e deve essere punito.

Il problema sorge quando i crimini di guerra fanno parte di un piano o risultano da ordini impartiti dal comando superiore. Questo è stato il caso quando i Paesi Bassi hanno permesso ai suoi militari di consentire il massacro di Srebrenica nel 1995; le torture in Afghanistan da parte delle truppe canadesi e britanniche , per non parlare delle innumerevoli violazioni del diritto internazionale umanitario da parte degli Stati Uniti in Afghanistan, Iraq, Guantanamo e altrove con la complicità di Polonia, Lituania o Estonia. Se questi sono valori occidentali, l’Ucraina è nella scuola giusta.

In Ucraina, la criminalità politica è diventata un luogo comune, con la complicità dell’Occidente. Così vengono eliminati coloro che sono favorevoli a una trattativa. È il caso di Denis Kireyev, uno dei negoziatori ucraini, assassinato il 5 marzo dal servizio di sicurezza ucraino (SBU) perché ritenuto troppo favorevole alla Russia e come un traditore . La stessa cosa è successa a Dmitry Demyanenko, ufficiale della Sbu, assassinato il 10 marzo, anche perché troppo favorevole a un accordo con la Russia. Ricorda che questo è un paese che considera ” collaboratorio ” ricevere o dare aiuti umanitari russi.

Il 16 marzo 2022, un giornalista del canale televisivo Ucraina 24 ha fatto riferimento al criminale di guerra nazista Adolf Eichmann e ha chiesto il massacro dei bambini di lingua russa . Il 21 marzo, il medico militare Gennadiy Druzenko ha dichiarato sullo stesso canale di aver ordinato ai suoi medici di castrare i prigionieri di guerra russi . Sui social queste affermazioni sono diventate subito propaganda per i russi e i due ucraini si sono scusati per averlo detto, ma non per la sostanza. I crimini ucraini stavano iniziando a essere rivelati sui social network e il 27 marzo Zelensky temeva che ciò avrebbe messo a repentaglio il sostegno occidentale. Questo è stato seguito, piuttosto opportunamente, dal massacro di Bucha il 3 aprile, le cui circostanze rimangono poco chiare.

La Gran Bretagna, che allora aveva la presidenza del Consiglio di sicurezza dell’ONU, rifiutò per tre volte la richiesta russa di istituire una commissione internazionale d’inchiesta sui crimini di Bucha. Il deputato socialista ucraino Ilya Kiva ha rivelato su Telegram che la tragedia di Bucha è stata pianificata dai servizi speciali britannici dell’MI6 e attuata dalla SBU.

Il problema fondamentale è che gli ucraini hanno sostituito “l’arte operativa” con la brutalità. Dal 2014, per combattere gli autonomisti, il governo ucraino non ha mai cercato di applicare strategie basate su “cuori e menti”, che gli inglesi usarono negli anni ’50 e ’60 nel sud-est asiatico, che erano molto meno brutali ma molto più efficace e di lunga durata. Kiev ha preferito condurre un’operazione antiterrorismo (ATO) nel Donbass e utilizzare le stesse strategie degli americani in Iraq e Afghanistan. Combattere i terroristi autorizza ogni tipo di brutalità. È la mancanza di un approccio olistico al conflitto che ha portato al fallimento dell’Occidente in Afghanistan, Iraq e Mali.

Counter-Insurgency Operation (COIN) richiede un approccio più sofisticato e olistico. Ma la NATO non è in grado di sviluppare strategie come quelle che ho visto in prima persona in Afghanistan. La guerra nel Donbass è stata brutale per 8 anni e ha provocato la morte di 10.000 cittadini ucraini più 4.000 militari ucraini. In confronto, in 30 anni, il conflitto in Irlanda del Nord ha provocato 3.700 morti. Per giustificare questa brutalità, gli ucraini hanno dovuto inventare il mito di un intervento russo nel Donbass.

Il problema è che la filosofia dei nuovi leader Maidan era quella di avere un’Ucraina razzialmente pura . In altre parole, l’unità del popolo ucraino non doveva essere raggiunta attraverso l’integrazione delle comunità, ma attraverso l’esclusione delle comunità di “razze inferiori”. Un’idea che senza dubbio sarebbe piaciuta ai nonni di Ursula von der Leyen e Chrystia Freeland! Questo spiega perché gli ucraini provano poca empatia per le minoranze di lingua russa, magiara e rumena del paese. Questo a sua volta spiega perché l’Ungheria e la Romania non vogliono che i loro territori siano usati per la fornitura di armi all’Ucraina.

Ecco perché sparare ai propri cittadini per intimidirli non è un problema per gli ucraini. Questo spiega l’irrorazione di migliaia di mine antiuomo PFM-1 (“farfalla”), che sembrano giocattoli, nella città di lingua russa di Donetsk nel luglio 2022. Questo tipo di mine è utilizzato da un difensore, non da un attaccante nella sua principale area di attività. Inoltre, in questa zona, le milizie del Donbass stanno combattendo “in casa”, con popolazioni che conoscono personalmente.

Penso che crimini di guerra siano stati commessi da entrambe le parti, ma che la loro copertura mediatica sia stata molto diversa. I nostri media hanno ampiamente riferito di crimini (veri o falsi) attribuiti alla Russia. D’altra parte, sono stati estremamente silenziosi sui crimini ucraini. Non sappiamo tutta la verità sul massacro di Bucha, ma le prove disponibili supportano l’ipotesi che l’Ucraina abbia inscenato l’evento per insabbiare i propri crimini. Mantenendo silenziosi questi crimini, i nostri media ne sono stati complici e hanno creato un senso di impunità che ha incoraggiato gli ucraini a commettere altri crimini.

TP: La Lettonia vuole che l’Occidente (America) designi la Russia come “stato terrorista”. Cosa ne pensi di questo? Questo significa che la guerra è effettivamente finita e che la Russia ha vinto?

JB: Le richieste estoni e lettoni rispondono all’appello di Zelensky a designare la Russia come stato terrorista. È interessante notare che vengono nello stesso momento in cui viene scatenata una campagna terroristica ucraina in Crimea, nella zona occupata dell’Ucraina e nel resto del territorio russo. È anche interessante notare che l’Estonia è stata apparentemente complice dell’attacco a Darya Dugina nell’agosto 2022.

Sembra che gli ucraini comunichino in un’immagine speculare dei crimini che commettono o dei problemi che hanno, per nasconderli. Ad esempio, alla fine di maggio 2022, quando la resa dell’Azovstal a Mariupol ha mostrato combattenti neonazisti, hanno iniziato a sostenere che ci sono neonazisti nell’esercito russo. Nell’agosto 2022, quando Kiev stava compiendo azioni di natura terroristica contro la centrale di Energodar in Crimea e in territorio russo, Zelensky ha chiesto che la Russia fosse considerata uno stato terrorista.

Zelensky, infatti, continua a credere di poter risolvere il suo problema solo sconfiggendo la Russia e che questa sconfitta dipenda dalle sanzioni contro la Russia. Dichiarare la Russia uno stato terrorista porterebbe a un ulteriore isolamento. Ecco perché sta facendo questo appello. Ciò dimostra che l’etichetta “terrorista” è più politica che operativa e che coloro che fanno tali proposte non hanno una visione molto chiara del problema. Il problema è che ha implicazioni per le relazioni internazionali. Questo è il motivo per cui il Dipartimento di Stato americano è preoccupato che la richiesta di Zelensky venga attuata dal Congresso.

TP: Uno degli esiti più tristi di questo conflitto Ucraina-Russia è il modo in cui l’Occidente ha mostrato il peggio di sé. Dove pensi che andremo da qui? Più o meno lo stesso, o ci saranno cambiamenti che dovranno essere fatti per quanto riguarda la NATO, i paesi neutrali che non sono più neutrali e il modo in cui l’Occidente cerca di “governare” il mondo?

JB: Questa crisi rivela diverse cose. Primo, che la NATO e l’Unione Europea sono solo strumenti della politica estera statunitense. Queste istituzioni non agiscono più nell’interesse dei loro membri, ma nell’interesse degli Stati Uniti. Le sanzioni adottate sotto la pressione americana si ritorcono contro l’Europa, che è la grande sconfitta di tutta questa crisi: subisce le proprie sanzioni e deve fare i conti con le tensioni derivanti dalle proprie decisioni.

Le decisioni prese dai governi occidentali rivelano una generazione di leader giovani e inesperti (come il primo ministro finlandese Sanna Marin); ignoranti, eppure credendo di essere intelligenti (come il presidente francese Emmanuel Macron); dottrinario (come la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen); e fanatici (come i leader degli Stati baltici). Tutti condividono alcune delle stesse debolezze, non ultima la loro incapacità di gestire una crisi complessa.

Quando la testa non è in grado di comprendere la complessità di una crisi, rispondiamo con coraggio e dogmatismo. Questo è ciò che vediamo accadere in Europa. I paesi dell’Europa orientale, in particolare gli Stati baltici e la Polonia, si sono dimostrati fedeli servitori della politica americana. Hanno anche mostrato una governance immatura, conflittuale e miope. Sono paesi che non hanno mai integrato i valori occidentali, che continuano a celebrare le forze del Terzo Reich ea discriminare la propria popolazione di lingua russa.

Non parlo nemmeno dell’Unione europea, che si è opposta con veemenza a qualsiasi soluzione diplomatica e ha solo aggiunto benzina sul fuoco.

Più sei coinvolto in un conflitto, più sei coinvolto nel suo esito. Se vinci, va tutto bene. Ma se il conflitto è un fallimento, sopporterai il peso. Questo è ciò che è successo agli Stati Uniti nei recenti conflitti e ciò che sta accadendo in Ucraina. La sconfitta dell’Ucraina sta diventando la sconfitta dell’Occidente.

Un altro grande perdente in questo conflitto è chiaramente la Svizzera. Il suo status neutrale ha improvvisamente perso ogni credibilità. All’inizio di agosto, Svizzera e Ucraina hanno concluso un accordo che consentirebbe all’ambasciata svizzera a Mosca di offrire protezione ai cittadini ucraini in Russia. Tuttavia, per entrare in vigore, deve essere riconosciuto dalla Russia. Logicamente, la Russia rifiutò e dichiarò che “la Svizzera aveva purtroppo perso il suo status di Stato neutrale e non poteva agire come intermediario o rappresentante.

Questo è uno sviluppo molto serio perché la neutralità non è semplicemente una dichiarazione unilaterale. Deve essere accettato e riconosciuto da tutti per essere efficace. Eppure la Svizzera non solo si è allineata con i paesi occidentali, ma è stata anche più estrema di loro. Si può dire che in poche settimane la Svizzera ha rovinato una politica riconosciuta da quasi 170 anni. Questo è un problema per la Svizzera, ma può anche essere un problema per altri paesi. Uno stato neutrale può offrire una via d’uscita da una crisi. Oggi i Paesi occidentali cercano una via d’uscita che permetta loro di avvicinarsi alla Russia nella prospettiva di una crisi energetica senza perdere la faccia. La Turchia ha assunto questo ruolo, ma è limitato, in quanto fa parte della NATO.

Figura 3 – Paesi e organizzazioni che hanno applicato sanzioni alla Russia. Sebbene la Svizzera sia un paese neutrale, si trova al primo posto. Secondo le stesse fonti, ciò è stato fatto sotto la pressione e il ricatto degli Stati Uniti. Tuttavia, questo è un duro colpo al principio stesso della neutralità che avrà conseguenze in altri conflitti futuri.

L’Occidente ha creato una cortina di ferro 2.0 che influenzerà le relazioni internazionali negli anni a venire. La mancanza di visione strategica dell’Occidente è sorprendente. Mentre la NATO si allinea alla politica estera statunitense e si riorienta verso la Cina, la strategia occidentale ha solo rafforzato l’asse Mosca-Pechino.

TP: Cosa pensi che questa guerra significhi in definitiva per l’Europa, gli Stati Uniti e la Cina?

JB: Per rispondere a questa domanda, dobbiamo prima rispondere a un’altra domanda: “Perché questo conflitto è più condannabile e sanzionabile dei precedenti conflitti iniziati dall’Occidente?”

Dopo i disastri in Afghanistan, Iraq, Libia e Mali, il resto del mondo si aspettava che l’Occidente aiutasse a risolvere questa crisi con il buon senso. L’Occidente ha risposto esattamente in modo opposto a queste aspettative. Non solo nessuno è stato in grado di spiegare perché questo conflitto fosse più riprovevole dei precedenti, ma la differenza di trattamento tra Russia e Stati Uniti ha mostrato che si attribuisce più importanza all’aggressore che alle vittime. Gli sforzi per realizzare il collasso della Russia contrastano con la totale impunità dei paesi che hanno mentito al Consiglio di sicurezza dell’ONU, praticato torture, causato la morte di oltre un milione di persone e creato 37 milioni di rifugiati.

Questa differenza di trattamento è passata inosservata in Occidente. Ma il “resto del mondo” ha capito che siamo passati da un “ordine internazionale basato sul diritto” a un “ordine internazionale basato su regole” determinato dall’Occidente.

A un livello più materiale, la confisca dell’oro venezuelano da parte degli inglesi nel 2020, dei fondi sovrani dell’Afghanistan nel 2021 e poi dei fondi sovrani russi nel 2022 da parte degli Stati Uniti, ha sollevato la sfiducia degli alleati occidentali. Ciò dimostra che il mondo non occidentale non è più protetto dalla legge e dipende dalla buona volontà dell’Occidente.

Questo conflitto è probabilmente il punto di partenza per un nuovo ordine mondiale. Il mondo non cambierà tutto in una volta, ma il conflitto ha sollevato l’attenzione del resto del mondo. Perché quando diciamo che la “comunità internazionale” condanna la Russia, parliamo in realtà del 18% della popolazione mondiale.

Alcuni attori tradizionalmente vicini all’Occidente se ne stanno gradualmente allontanando. Il 15 luglio 2022 Joe Biden ha visitato Mohammed bin Salman (MbS) con due obiettivi: impedire all’Arabia Saudita di avvicinarsi alla Russia e alla Cina e chiedergli di aumentare la produzione di petrolio. Ma quattro giorni prima, MbS ha fatto una richiesta ufficiale per diventare un membro dei BRICS e una settimana dopo, il 21 luglio, MbS ha chiamato Vladimir Putin per confermare che avrebbe sostenuto la decisione dell’OPEC+. In altre parole: nessun aumento della produzione di petrolio. Fu uno schiaffo in faccia all’Occidente e al suo rappresentante più potente.

L’Arabia Saudita ha ora deciso di accettare la valuta cinese come pagamento per il suo petrolio. Questo è un evento importante, che tende a indicare una perdita di fiducia nel dollaro. Le conseguenze sono potenzialmente enormi. Il petrodollaro è stato istituito dagli Stati Uniti negli anni ’70 per finanziare il proprio deficit. Costringendo altri paesi ad acquistare dollari, consente agli Stati Uniti di stampare dollari senza essere coinvolti in un ciclo inflazionistico. Grazie al petrodollaro, l’economia statunitense, che è essenzialmente un’economia di consumo, è sostenuta dalle economie di altri paesi del mondo. La scomparsa del petrodollaro potrebbe avere conseguenze disastrose per l’economia statunitense, come afferma l’ex senatore repubblicano Ron Paul.

Inoltre, le sanzioni hanno avvicinato Cina e Russia, entrambe prese di mira dall’Occidente. Ciò ha accelerato la formazione di un blocco eurasiatico e rafforzato la posizione di entrambi i paesi nel mondo. L’India, che gli Stati Uniti hanno disprezzato come partner di “seconda classe” del “Quad”, si è avvicinata alla Russia e alla Cina, nonostante le controversie con quest’ultima.

Oggi la Cina è il principale fornitore di infrastrutture nel Terzo Mondo. In particolare, il suo modo di interagire con i Paesi africani è più in linea con le aspettative di questi Paesi. La collaborazione con ex potenze coloniali come la Francia e il paternalismo imperialista americano non è più gradita. Ad esempio, Repubblica Centrafricana e Mali hanno chiesto alla Francia di lasciare i loro Paesi e si sono rivolti alla Russia.

Al vertice dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (ASEAN), gli Stati Uniti hanno annunciato con orgoglio un contributo di 150 milioni di dollari per “rafforzare la loro posizione nella più ampia competizione geopolitica con la Cina”. Ma nel novembre 2021, il presidente Xi Jinping ha offerto 1,5 miliardi di dollari agli stessi paesi per combattere la pandemia e promuovere la ripresa economica. Usando i loro soldi per fare la guerra, gli Stati Uniti non hanno più soldi per stringere e consolidare alleanze.

La perdita di influenza dell’Occidente deriva dal fatto che continua a trattare il “resto del mondo” come “bambini” e trascura l’utilità di una buona diplomazia.

La guerra in Ucraina non è l’innesco di questi fenomeni, iniziati alcuni anni fa, ma è sicuramente un acceleratore e una rivelazione.

TP: I media occidentali hanno spinto affinché Putin potesse essere gravemente malato. Se Putin muore improvvisamente, questo farebbe alcuna differenza per la guerra?

JB: Sembra che Vladimir Putin sia un caso medico unico al mondo: ha un cancro allo stomaco, la leucemia , una malattia sconosciuta ma incurabile e in fase terminale , e secondo quanto riferito è già morto . Eppure, nel luglio 2022, all’Aspen Security Forum, il direttore della CIA William Burns ha affermato che Putin era ” troppo sano ” e che ” non c’erano informazioni che suggerissero che fosse in cattive condizioni di salute”. Questo mostra come lavorano quelli che si dicono giornalisti!

Questo è un pio desiderio e, nella fascia più alta dello spettro, fa eco agli appelli al terrorismo e all’eliminazione fisica di Vladimir Putin.

L’Occidente ha personalizzato la politica russa attraverso Putin, perché è lui che ha promosso la ricostruzione della Russia dopo gli anni di Eltsin. Agli americani piace essere campioni quando non ci sono concorrenti e vedono gli altri come nemici. È il caso di Germania, Europa, Russia e Cina.

Ma i nostri “esperti” sanno poco della politica russa. Perché in realtà Vladimir Putin è più una “colomba” nel panorama politico russo. Dato il clima che abbiamo creato con la Russia, non sarebbe impossibile che la sua scomparsa porti all’emergere di forze più aggressive. Non dobbiamo dimenticare che paesi come Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia o Georgia non hanno mai sviluppato valori democratici europei. Hanno ancora politiche discriminatorie nei confronti della loro etnia russa che sono lontane dai valori europei e si comportano come agenti provocatori immaturi. Penso che se Putin dovesse scomparire per qualche ragione, i conflitti con questi paesi assumerebbero una nuova dimensione.

TP: Quanto è unita la Russia al momento? La guerra ha creato un’opposizione più seria di quella che esisteva in precedenza in Russia?

JB: No, al contrario. I leader americani ed europei hanno una scarsa comprensione del loro nemico: il popolo russo è molto patriottico e coeso. L’ossessione occidentale di “punire” il popolo russo lo ha solo avvicinato ai suoi leader. In effetti, cercando di dividere la società russa nel tentativo di rovesciare il governo, le sanzioni occidentali, comprese quelle più stupide, hanno confermato ciò che il Cremlino ha affermato da anni: che l’Occidente nutre un profondo odio per i russi. Quella che una volta si diceva essere una bugia è ora confermata dall’opinione pubblica russa. La conseguenza è che la fiducia della gente nel governo si è rafforzata.

I gradi di approvazione forniti dal Centro Levada (considerato dalle autorità russe come un “agente straniero”) mostrano che l’opinione pubblica si è irrigidita attorno a Vladimir Putin e al governo russo. Nel gennaio 2022, il tasso di approvazione di Vladimir Putin era del 69% e quello del governo del 53%. Oggi, il tasso di approvazione di Putin è rimasto stabile intorno all’83% da marzo e quello del governo è al 71%. A gennaio il 29% non approvava le decisioni di Vladimir Putin, a luglio era solo il 15%.

Secondo il Centro Levada, anche l’operazione russa in Ucraina gode della maggioranza dei pareri favorevoli. A marzo, l’81% dei russi era favorevole all’operazione; questa cifra è scesa al 74%, probabilmente per l’impatto delle sanzioni di fine marzo, per poi risalire. Nel luglio 2022, l’operazione ha avuto il 76% di sostegno popolare .

Figura 4 – Non tutti i russi sostengono l’operazione speciale in Ucraina, ma tre quarti della popolazione lo fanno. I crimini di guerra ucraini, le sanzioni occidentali e la buona gestione dell’economia da parte delle autorità russe spiegano questo sostegno. [ Fonte ]

Il problema è che i nostri giornalisti non hanno né cultura né disciplina giornalistica e li sostituiscono con le proprie convinzioni. È una forma di complotto che mira a creare una falsa realtà basata su ciò in cui si crede e non sui fatti. Ad esempio, pochi sanno (o vogliono sapere) che Aleksey Navalny ha detto che non avrebbe restituito la Crimea all’Ucraina . Le azioni dell’Occidente hanno completamente spazzato via l’opposizione, non a causa della “repressione di Putin”, ma perché in Russia la resistenza all’interferenza straniera e il profondo disprezzo dell’Occidente per i russi è una causa bipartisan. Esattamente come l’odio dei russi in Occidente. Questo è il motivo per cui personalità come Aleksey Navalny, che non hanno mai avuto una popolarità molto elevata, sono completamente scomparse dal panorama dei media popolari.

Inoltre, anche se le sanzioni hanno avuto un impatto negativo sull’economia russa, il modo in cui il governo ha gestito le cose dal 2014 mostra una grande padronanza dei meccanismi economici e un grande realismo nel valutare la situazione. C’è un aumento dei prezzi in Russia, ma è molto più basso che in Europa, e mentre le economie occidentali stanno alzando i loro tassi di interesse chiave, la Russia sta abbassando i propri.

La giornalista russa Marina Ovsyannikova è stata esemplificata come espressione dell’opposizione in Russia. Il suo caso è interessante perché, come al solito, non diciamo tutto.

Il 14 marzo 2022 ha provocato un applauso internazionale interrompendo il telegiornale russo del Primo Canale con un poster che chiedeva di porre fine alla guerra in Ucraina . È stata arrestata e multata di $ 280.

A maggio, il quotidiano tedesco Die Welt le ha offerto un lavoro in Germania , ma a Berlino attivisti filoucraini hanno manifestato per convincere il giornale a porre fine alla sua collaborazione con lei . Il mediatico Politico ha persino suggerito che potrebbe essere un’agente del Cremlino !

Di conseguenza, nel giugno 2022, ha lasciato la Germania per vivere a Odessa, la sua città natale. Ma invece di essere grati, gli ucraini l’ hanno inserita nella lista nera di Mirotvorets dove è accusata di tradimento, “partecipazione alle operazioni speciali di informazione e propaganda del Cremlino” e “complicità con gli invasori”.

Il sito web di Mirotvorets è una “lista dei risultati” per politici, giornalisti o personalità che non condividono l’opinione del governo ucraino. Molte delle persone sulla lista sono state uccise. Nell’ottobre 2019 l’ONU ha chiesto la chiusura del sito, ma questa è stata rifiutata dalla Rada . Va notato che nessuno dei nostri media mainstream ha condannato questa pratica, che è molto lontana dai valori che affermano di difendere. In altre parole, i nostri media supportano queste pratiche che venivano attribuite ai regimi sudamericani.

Figura 5 – Darya Dugina contrassegnata come “Liquidata”.

Ovsyannikova è poi tornata in Russia, dove ha manifestato contro la guerra , definendo Putin un “assassino”, ed è stata arrestata dalla polizia e posta agli arresti domiciliari per tre mesi. A questo punto, i nostri media hanno protestato.

Vale la pena notare che la giornalista russa Darya Dugina, vittima di un attentato dinamitardo a Mosca il 21 agosto 2022, era nell’elenco di Mirotvorets e il suo fascicolo era contrassegnato come ” liquidato “. Naturalmente, nessun media occidentale ha menzionato di essere stata presa di mira dal sito web Mirotvorets, che è considerato collegato alla SBU, poiché ciò tenderebbe a sostenere le accuse della Russia.

La giornalista tedesca Alina Lipp, le cui rivelazioni sui crimini ucraini e occidentali nel Donbass sono inquietanti, è stata pubblicata sul sito web Mirotvorets . Inoltre, Alina Lipp è stata condannata in contumacia a tre anni di carcere da un tribunale tedesco per aver affermato che le truppe russe avevano “liberato” aree in Ucraina e quindi “glorificato attività criminali”. Come si può vedere, le autorità tedesche funzionano come gli elementi neonazisti in Ucraina. I politici di oggi sono un vanto per i loro nonni!

Si può concludere che anche se ci sono alcune persone che si oppongono alla guerra, l’opinione pubblica russa è in modo schiacciante dietro il suo governo. Le sanzioni occidentali hanno solo rafforzato la credibilità del presidente russo.

In definitiva, il mio punto non è adottare lo stesso approccio dei nostri media e sostituire l’odio per la Russia con quello per l’Ucraina. Al contrario, è per dimostrare che il mondo non è né bianco né nero e che i paesi occidentali hanno portato la situazione troppo oltre. Coloro che sono compassionevoli per l’Ucraina avrebbero dovuto spingere i nostri governi ad attuare le soluzioni politiche concordate nel 2014 e nel 2015. Non hanno fatto nulla e ora stanno spingendo l’Ucraina a combattere. Ma non siamo più nel 2021. Oggi dobbiamo accettare le conseguenze delle nostre non decisioni e aiutare l’Ucraina a riprendersi. Ma questo non deve essere fatto a spese della sua popolazione di lingua russa, come abbiamo fatto finora, ma con la popolazione di lingua russa, in modo inclusivo. Se guardo ai media in Francia, Svizzera e Belgio, siamo ancora molto lontani dall’obiettivo.

TP: Grazie mille, signor Baud, per questa discussione molto illuminante.

 

Dare un senso alla pausa russa in Ucraina, di: Ekaterina Zolotova

Per la chiusura del cerchio occorrerebbe dedicare l’attenzione anche alla regione artica e dello stesso Polo Nord. L’ingresso di Finlandia e Svezia nella NATO, l’entusiasmo manifestato dalla leadership dei due paesi e le premure statunitensi, vanno viste anche e soprattutto in questa ottica. L’articolazione e l’estensione degli spazi rispetto ai mezzi disponibili sono comunque un problema comune a tutte le grandi potenze. Per questo più che l’arroccamento sulle posizioni, varrà la capacità di manovra. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Dare un senso alla pausa russa in Ucraina

Il Cremlino sa che è meglio che gettare troppe risorse in un’area a lungo.

Di: Ekaterina Zolotova

La sua offensiva in Ucraina si è fermata, l’esercito russo il 1 settembre inizierà le esercitazioni in un luogo improbabile: l’Estremo Oriente. Il Vostok 2022, che si svolgerà nei campi di addestramento del distretto militare orientale russo, nel Mare di Okhotsk e nel Mar del Giappone, coinvolgerà più di 50.000 persone e più di 5.000 armi e attrezzature, inclusi 140 aerei e 60 navi. Con la guerra in Ucraina che si trascina più a lungo del previsto, l’apparente rallentamento delle operazioni russe – iniziato poche settimane fa intorno alla centrale nucleare di Zaporizhzhia – potrebbe essere intenzionale. Il Cremlino potrebbe fermarsi per un ripensamento strategico.

Uno stato delle dimensioni della Russia, con un insieme eterogeneo di suoi vicini, è destinato a essere trascinato in più direzioni di volta in volta. Partendo da est e procedendo in senso orario, Mosca deve affrontare l’ascesa della Cina, il terrorismo e l’instabilità generale in Asia centrale e Medio Oriente, la guerra cronica nel Caucaso, l’ascesa della Turchia, la guerra in Ucraina, l’instabilità nei Balcani e il risveglio della NATO e il probabile allargamento. La guerra della Russia in Ucraina offre opportunità ai nemici del Cremlino e agli attori regionali insoddisfatti di sconvolgere lo status quo in altre parti della periferia russa.

Russia
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Caucaso

La prima regione al confine con la Russia a destabilizzarsi dall’inizio della guerra è stata il Caucaso, un punto critico di intersezione tra il Mar Nero e il Mar Caspio, e tra la Russia e il Medio Oriente. Subito dopo l’inizio della guerra, i rappresentanti armeni e azeri iniziarono a fare viaggi più frequenti a Bruxelles, che vide l’opportunità di soffiare l’iniziativa da una Mosca distratta e mediare in una disputa territoriale di lunga data . In definitiva, tuttavia, l’attività occidentale nella regione rimane un diversivo e la Russia ha ancora forze di pace lì e molte altre leve. L’altro giorno Mosca ha assicurato un accordo a tre con Armenia e Azerbaigian che è stato rispettato. L’accordo ha visto le forze azerbaigiane assumere il controllo dalle forze di pace russe della città di Lachin nel Nagorno-Karabakh e di due villaggi nella regione di Lachin.

Corridoio Lachin
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Medio Oriente

In Medio Oriente, tutti gli occhi sono puntati sull’Iran, dove sono in corso tentativi per rilanciare il Piano d’azione globale congiunto. Molti alti funzionari statunitensi ed europei affermano che un accordo è vicino e potrebbero passare settimane. Questa è una cattiva notizia per i funzionari russi, per i quali la scarsità di energia è un elemento chiave di leva. Sarebbe una cattiva notizia se il petrolio e il gas naturale iraniani dovessero inondare il mercato mentre l’Occidente sta cercando di soffocare le esportazioni di energia russe.

La Siria è un altro punto problematico. In seguito ai recenti attacchi missilistici alle basi americane nel paese, gli Stati Uniti hanno lanciato attacchi aerei contro posizioni paramilitari filo-iraniane nella provincia di Deir el-Zour. Israele conduce occasionalmente anche attacchi aerei in Siria. E la Turchia, membro della NATO, ha minacciato per mesi un’altra operazione militare nel nord della Siria. Per la Russia, la Siria è un’importante porta di accesso al Mediterraneo e l’estensione dell’influenza russa all’Africa e alle parti più remote del Medio Oriente, ma può fare solo così tanto mentre è contemporaneamente in guerra in Ucraina.

Balcani

Nei Balcani, la Russia, uno stretto alleato della Serbia, ha assistito con ansia mentre l’ Occidente cercava di metterla da parte . Alla fine di luglio, le relazioni tra Kosovo e Serbia si sono nuovamente deteriorate dopo che Pristina ha dichiarato che avrebbe rilasciato documenti di ingresso e uscita ai serbi al confine. Gli Stati Uniti e l’UE sono intervenuti per disinnescare temporaneamente la situazione. L’Occidente ha anche aumentato le consegne di armi al Kosovo, con il Regno Unito che ha inviato più di 50 sistemi anticarro Javelin e NLAW e ha annunciato piani per addestrare i soldati del Kosovo sulle armi. Inoltre, le sanzioni occidentali sulle consegne di petroliere russe impediranno alla Serbia di ricevere petrolio russo a partire dal 1° novembre.

Asia centrale

L’Asia centrale non è importante per gli Stati Uniti e l’Europa come altre aree, ma gli Stati Uniti possono ancora causare problemi nella alla Russia in quella regione. Ad esempio, il Kirghizistan ha avvertito che nei prossimi mesi i gruppi terroristici afgani potrebbero lanciare attacchi nella regione, in particolare in Tagikistan. Il regime dei talebani è uno strumento per gli Stati Uniti per destabilizzare l’Asia centrale, ha affermato. Nel frattempo, il governo tagiko ha riferito di una triplicazione del traffico di droga attraverso il suo territorio nell’ultimo anno e ha affermato che i gruppi terroristici che si radunano a Badakhshan, nel nord-est dell’Afghanistan, rappresentano una minaccia per se stesso e per la regione.

La preoccupazione della Russia è che gli Stati Uniti possano tentare di intervenire e presentarsi come leader e mediatore alternativo nella regione. È un punto dolente in particolare per il Cremlino, che ha visto la Cina e la Turchia erodere la sua influenza economica e sociale, lasciandogli solo la sua influenza militare – Mosca gestisce basi in Tagikistan e Kirghizistan – su cui ripiegare comodamente. E ci sono già i primi segni di invasione occidentale. Da febbraio gli Stati Uniti hanno notevolmente intensificato la loro cooperazione con l’Asia centrale . Particolarmente preoccupanti per Mosca sono state le esercitazioni di cooperazione regionale 2022 di agosto, che hanno coinvolto Stati Uniti, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. Separatamente, la Guardia nazionale dell’Uzbekistan ha annunciato un’espansione della cooperazione militare con gli Stati Uniti, compreso l’addestramento di specialisti militari uzbeki.

Pertanto, dovremmo aspettarci che il Cremlino dia la priorità ai legami con l’Asia centrale attraverso la diplomazia, esercitazioni congiunte e iniziative congiunte. L’Asia centrale è un grande mercato per le merci russe e un hub di transito per aggirare le sanzioni occidentali, ma la Russia ha bisogno di un’influenza significativa nella regione per trarne vantaggio. Questo è il motivo per cui le autorità russe hanno trascorso la scorsa settimana alla riunione dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai richiamando l’attenzione sul problema. Il ministro della Difesa Sergei Shoigu ha affermato che Mosca sta aumentando la sua prontezza al combattimento nelle basi in Kirghizistan e Tagikistan a causa della situazione in Afghanistan. Ha anche annunciato un’esercitazione antiterrorismo della SCO, la Missione di pace 2023, che si terrà il prossimo anno in Russia, e ha riaffermato i piani per le esercitazioni dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva in autunno in Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan.

Conclusione

Mosca non si aspettava di rimanere bloccata così a lungo in Ucraina, quindi è naturale che possa sospendere le sue operazioni per far fronte alle minacce periferiche. La guerra sta esaurendo gravemente la Russia, prosciugando le munizioni e consumando le armi d cui avrebbe bisogno per reagire, ad esempio, al terrorismo in Asia centrale. Ma dopo aver appreso le lezioni della storia, il Cremlino si sta assicurando di non gettare tutte le sue forze e la sua attenzione in una direzione. La Russia dovrà conservare parte delle sue forze per la lunga lotta che sembra prospettarsi.

 

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La grande disillusione: sogni liberali e realtà internazionali – John Mearsheimer

La grande disillusione: sogni liberali e realtà internazionali – John Mearsheimer

Un estratto dal libro di John Mearsheimer del 2018 (la cui sostanza rimane terribilmente attuale).

Fonte: The National Interests, John J. Mearsheimer
Tradotto dai lettori del sito web Les-Crises

Nota del redattore: questo è un estratto dal nuovo libro The Great Delusion: Liberal Dreams and International Realities di John Mearsheimer.

L’egemonia liberale è una strategia ambiziosa mediante la quale uno stato mira a trasformare il maggior numero possibile di paesi in democrazie liberali a sua immagine, promuovendo al contempo un’economia internazionale aperta e istituendo istituzioni internazionali. In sostanza, lo stato liberale cerca di diffondere i propri valori il più ampiamente possibile. Il mio obiettivo in questo libro è descrivere cosa succede quando uno stato potente persegue questa strategia a spese di controlli e contrappesi politici.

Molti in Occidente, specialmente tra le élite di politica estera, vedono l’egemonia liberale come la saggia politica che gli stati dovrebbero adottare costantemente. La diffusione della democrazia liberale nel mondo è vista come eminentemente sensata, sia moralmente che strategicamente. In primo luogo, è visto come un mezzo eccellente per proteggere i diritti umani, che a volte sono gravemente violati negli stati autoritari. E poiché questa politica sostiene che le democrazie liberali non vogliono entrare in guerra tra loro, alla fine detiene una chiave per trascendere il realismo e promuovere la pace internazionale. Infine,

Questo credo ufficiale è sbagliato. Le grandi potenze raramente sono in grado di condurre una politica estera liberale su larga scala. Finché ce ne sono due o più sul pianeta, non hanno altra scelta che prestare molta attenzione alla loro posizione nell’equilibrio di potere globale e agire secondo i dettami del realismo. Le grandi potenze di tutte le parti si preoccupano molto della loro sopravvivenza, e in un sistema bipolare o multipolare corrono sempre il rischio di essere attaccate da un’altra grande potenza. In queste circostanze, i maggiori poteri liberali di solito nascondono il loro comportamento intransigente sotto la retorica liberale. Parlano liberamente e si comportano come realisti. Se adottano politiche liberali che vanno contro la logica realista, finiscono invariabilmente per pentirsene. Ma capita che una democrazia liberale si trovi di fronte a un equilibrio di potere così favorevole da essere in grado di portare avanti una politica egemonica liberale. È molto probabile che questa situazione si verifichi in un mondo unipolare, in cui la singola grande potenza non deve preoccuparsi di essere attaccata da un’altra grande potenza poiché non ce n’è. Quindi, nella maggior parte dei casi, questo unico polo liberale abbandonerà il realismo e adotterà una politica estera liberale. Gli stati liberali hanno una mentalità crociata difficile da spezzare. Ma capita che una democrazia liberale si trovi di fronte a un equilibrio di potere così favorevole da essere in grado di portare avanti una politica egemonica liberale. È molto probabile che questa situazione si verifichi in un mondo unipolare, in cui la singola grande potenza non deve preoccuparsi di essere attaccata da un’altra grande potenza poiché non ce n’è. Quindi, nella maggior parte dei casi, questo unico polo liberale abbandonerà il realismo e adotterà una politica estera liberale. Gli stati liberali hanno una mentalità crociata difficile da spezzare. Ma capita che una democrazia liberale si trovi di fronte a un equilibrio di potere così favorevole da essere in grado di portare avanti una politica egemonica liberale. È molto probabile che questa situazione si verifichi in un mondo unipolare, in cui la singola grande potenza non deve preoccuparsi di essere attaccata da un’altra grande potenza poiché non ce n’è. Quindi, nella maggior parte dei casi, questo unico polo liberale abbandonerà il realismo e adotterà una politica estera liberale. Gli stati liberali hanno una mentalità crociata difficile da spezzare. in cui l’unica grande potenza non deve preoccuparsi di essere attaccata da un’altra grande potenza poiché non ce n’è. Quindi, nella maggior parte dei casi, questo unico polo liberale abbandonerà il realismo e adotterà una politica estera liberale. Gli stati liberali hanno una mentalità crociata difficile da spezzare. in cui l’unica grande potenza non deve preoccuparsi di essere attaccata da un’altra grande potenza poiché non ce n’è. Quindi, nella maggior parte dei casi, questo unico polo liberale abbandonerà il realismo e adotterà una politica estera liberale. Gli stati liberali hanno una mentalità crociata difficile da spezzare.

Poiché il liberalismo apprezza il concetto di diritti inalienabili o naturali, i liberali impegnati sono fortemente sfidati dai diritti di praticamente ogni individuo sul pianeta. Questa logica universalistica è un potente incentivo per gli stati liberali a farsi coinvolgere negli affari di paesi che violano gravemente i diritti dei loro cittadini. Per andare ancora oltre, il modo migliore per garantire che i diritti degli stranieri non vengano violati è farli vivere in una democrazia liberale. Questa logica porta direttamente a una politica attiva di cambio di regime, in cui l’obiettivo è rovesciare gli autocrati e sostituirli con democrazie liberali. I liberali non si sottraggono a questo compito, principalmente perché spesso hanno grande fiducia nella capacità del loro stato di fare ingegneria sociale, sia a livello nazionale che all’estero. La creazione di un mondo governato solo da democrazie liberali è vista anche come una garanzia di pace internazionale, che non solo eliminerebbe la guerra, ma ridurrebbe notevolmente, se non eliminerebbe, la doppia piaga della proliferazione nucleare e del terrorismo. In definitiva rappresenta un mezzo ideale per proteggere il liberalismo in patria. ma ridurrebbe significativamente, se non eliminerebbe, i due flagelli della proliferazione nucleare e del terrorismo. In definitiva rappresenta un mezzo ideale per proteggere il liberalismo in patria. ma ridurrebbe significativamente, se non eliminerebbe, i due flagelli della proliferazione nucleare e del terrorismo. In definitiva rappresenta un mezzo ideale per proteggere il liberalismo in patria.

A parte questo entusiasmo, l’egemonia liberale non raggiungerà i suoi obiettivi e il suo fallimento avrà inevitabilmente un costo enorme. Lo stato liberale molto probabilmente finirà per condurre guerre senza fine, che aumenteranno anziché ridurre il livello di conflitto nella politica internazionale e quindi aggraveranno i problemi della proliferazione e del terrorismo. Inoltre, e questo è quasi certo, il comportamento militaristico dello Stato finirà per minacciare i propri valori liberali. Il liberalismo all’estero porta all’illiberalismo in patria. Infine, anche se lo stato liberale riuscisse a raggiungere i suoi obiettivi – stabilire una democrazia vicina e lontana, promuovere gli scambi economici e creare istituzioni internazionali – non porterebbe la pace.

La chiave per comprendere i limiti del liberalismo è riconoscere la sua relazione con il nazionalismo e il realismo. Questo libro parla in definitiva di questi tre ismi e di come interagiscono per influenzare la politica internazionale.

Il nazionalismo è un’ideologia politica estremamente potente. Ruota attorno alla divisione del mondo in un’ampia varietà di nazioni, che sono unità sociali formidabili, ciascuna con una cultura distinta. Praticamente tutte le nazioni preferirebbero avere il proprio stato, ma non tutte possono. Eppure, viviamo in un mondo composto quasi esclusivamente da Stati nazione, il che significa che il liberalismo può coesistere solo con il nazionalismo. Gli stati liberali sono anche stati nazione. Non c’è dubbio che liberalismo e nazionalismo possono coesistere, ma quando si scontrano, il nazionalismo vince quasi sempre.

L’influenza del nazionalismo spesso mina una politica estera liberale. Ad esempio, il nazionalismo enfatizza l’autodeterminazione, il che significa che la maggior parte dei paesi resisterà agli sforzi di una grande potenza liberale di interferire nella loro politica interna – che, ovviamente, è proprio lo scopo dell’egemonia liberale. Questi due ismi si scontrano anche sulla questione dei diritti individuali. I liberali credono che tutti abbiano gli stessi diritti, indipendentemente dal paese in cui vivono. Il nazionalismo è un’ideologia fondamentalmente individualistica, il che significa che non considera i diritti come inalienabili. In realtà, la stragrande maggioranza delle persone nel mondo non si preoccupa molto dei diritti degli individui in altri paesi. Sono molto più preoccupati per i diritti dei loro concittadini e anche quell’impegno ha dei limiti. Il liberalismo sopravvaluta l’importanza dei diritti individuali.

Anche il liberalismo non può competere con il realismo. Fondamentalmente, il liberalismo presuppone che gli individui che compongono una società a volte abbiano profonde differenze su ciò che costituisce un buon vivere e che queste differenze possano portarli a cercare di uccidersi a vicenda. Uno Stato è quindi necessario per garantire la pace. Ma non esiste uno stato mondiale che tenga sotto controllo i paesi quando hanno profondi disaccordi. La struttura del sistema internazionale è anarchica, non gerarchica, il che spiega perché il liberalismo applicato alla politica internazionale non può funzionare. I paesi quindi non hanno altra scelta che agire secondo il principio dell’equilibrio di potere se sperano di sopravvivere. Ci sono, tuttavia, casi speciali in cui un paese è così ben protetto da potersi liberare dalla realpolitik e perseguire politiche genuinamente liberali. Le conseguenze sono quasi sempre sfortunate, soprattutto perché il nazionalismo ostacola la crociata liberale.

Il mio punto, formulato in poche parole, è il seguente: il nazionalismo e il realismo prevalgono quasi sempre sul liberalismo. Il nostro mondo è in gran parte definito da questi due potenti ismi, non dal liberalismo. Cinquecento anni fa, l’universo politico era incredibilmente eterogeneo; aveva città-stato, ducati, imperi, principati e ogni sorta di altre entità politiche. Questo mondo ha lasciato il posto a un globo popolato quasi esclusivamente da stati nazione. Sebbene ci siano molti fattori dietro questa grande trasformazione, due delle principali forze trainanti del sistema statale moderno sono il nazionalismo e la politica dell’equilibrio di potere.

Adesione americana all’egemonia liberale

Questo libro è anche guidato dal desiderio di comprendere la recente politica estera americana. Gli Stati Uniti, un paese profondamente liberale, sono usciti dalla Guerra Fredda essendo di gran lunga lo stato più potente del sistema internazionale. 1 Il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 li ha posti in una posizione ideale per portare avanti la loro politica di egemonia liberale. 2 L’establishment della politica estera americana ha intrapreso questa politica ambiziosa senza troppe esitazioni e con schiacciante ottimismo sul futuro degli Stati Uniti e del mondo. All’inizio, almeno, il grande pubblico condivideva questo entusiasmo.

Lo spirito dei tempi (zeitgeist) è stato immortalato nel famoso articolo di Francis Fukuyama, “The End of History? pubblicato proprio mentre la Guerra Fredda stava volgendo al termine. 3 Secondo lui, il liberalismo ha sconfitto il fascismo nella prima metà del XX secolo e il comunismo nella seconda, e ora non ci sono più alternative credibili. Il mondo sarebbe finito per essere composto interamente da democrazie liberali. Secondo Fukuyama, queste nazioni non dovrebbero subire praticamente controversie significative e le guerre tra grandi potenze dovrebbero cessare. Il problema più grande che le persone dovrebbero affrontare in questo nuovo mondo, ha affermato, potrebbe essere solo la noia.

All’epoca si credeva anche che la diffusione del liberalismo avrebbe posto fine alla politica dell’equilibrio di potere. L’aspra rivalità in materia di sicurezza che ha caratterizzato a lungo i grandi rapporti di potere scomparirebbe e il realismo, che per lungo tempo è stato il paradigma intellettuale dominante nelle relazioni internazionali, sarebbe consegnato alla pattumiera della storia. “In un mondo di libertà, non di tirannia”, ha detto Bill Clinton durante la campagna per la Casa Bianca nel 1992, “il cinico ragionamento della pura strategia del potere semplicemente non regge. Non è adatto a una nuova era in cui idee e informazioni vengono trasmesse in tutto il mondo prima ancora che gli ambasciatori possano vedere i loro cablogrammi. »

Probabilmente nessun recente presidente ha appoggiato la missione di mainstreaming liberalism con più entusiasmo di George W. Bush, che in un discorso del marzo 2003, due settimane prima dell’invasione dell’Iraq, ha dichiarato: “L’attuale regime iracheno ha dimostrato che il potere della tirannia può diffondere discordia e violenza in Medio Oriente. Un Iraq liberato può dimostrare che la libertà ha il potere di trasformare questa regione vitale, portando speranza e progresso nella vita di milioni di persone. Gli interessi di sicurezza dell’America, e la fede dell’America nella libertà, puntano nella stessa direzione: un Iraq libero e pacifico. Nello stesso anno, il 6 settembre, proclamò: «Il progresso verso la libertà è la vocazione della nostra epoca; è quello del nostro paese. Since the Fourteen Points [Wilson’s Fourteen Points è il nome dato al programma del trattato di pace dal presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson per porre fine alla prima guerra mondiale e ricostruire l’Europa in un clamoroso discorso, l’8 gennaio 1918 davanti al Congresso degli Stati Uniti, NdT] fino alle Quattro Libertà [la libertà di espressione; libertà di religione; libertà di vivere liberi dal bisogno; la libertà di vivere liberi dalla paura, presentata come fondamentale da Franklin D. Roosevelt nel 1941, NdT], attraverso il discorso di Westminster [Discorso di Obama davanti alle due Camere del parlamento britannico, 2011, in cui sottolineava le sfide che la contemporaneità deve affrontare mondo in generale, e il mondo occidentale in particolare, NdT],

Crediamo che la libertà sia il design della natura; crediamo che la libertà sia il senso della storia. Crediamo che la realizzazione e l’eccellenza umana dipendano dall’esercizio responsabile della libertà. E crediamo che la libertà – quella che ci sta a cuore – non sia riservata a noi, ma che sia un diritto e un dovere per tutta l’umanità. »

Qualcosa è andato storto. L’opinione che la maggior parte delle persone ha della politica estera americana oggi, nel 2018, è radicalmente diversa da quella del 2003, per non parlare dell’ottimismo dei primi anni ’90, che predomina nella maggior parte delle analisi della performance americana durante i suoi anni lontani dal realismo. Ai tempi dei presidenti Bush e Barack Obama, Washington ha svolto un ruolo chiave nel seminare morte e distruzione nel grande Medio Oriente e non ci sono prove che questo caos finirà presto. La politica degli Stati Uniti nei confronti dell’Ucraina, guidata dalla logica liberale, è la principale responsabile dell’attuale crisi tra Russia e Occidente. Dal 1989, gli Stati Uniti sono in seconda guerra su tre anni e hanno combattuto sette guerre diverse. Questo non dovrebbe sorprenderci. Contrariamente alla saggezza prevalente in Occidente, una politica estera liberale non è una chiave per la cooperazione e la pace, ma per l’instabilità e il conflitto.

Nel mio libro, mi sono concentrato sul periodo tra il 1993 e il 2017, quando le amministrazioni Clinton, Bush e Obama, ciascuna responsabile della politica estera americana per otto anni, erano pienamente impegnate nel perseguimento dell’egemonia liberale. . Sebbene il presidente Obama abbia espresso alcune riserve su questa politica, queste hanno contato poco nel modo in cui la sua amministrazione ha effettivamente lavorato all’estero. Ignoro l’amministrazione Trump per due ragioni. In primo luogo, mentre stavo finendo questo libro, non era chiaro come sarebbe stata la politica estera del presidente Trump, anche se è chiaro dal suo discorso durante la campagna 2016 che riconosce che l’egemonia liberale è stata un amaro fallimento e che vorrebbe abbandonare alcuni degli elementi chiave di questa strategia. In secondo luogo, ci sono buone ragioni per credere che con l’ascesa della Cina e la rinascita del potere russo che ha rimesso sul tavolo la grande politica di potere, Trump alla fine non avrà altra scelta che dirigersi verso una grande strategia intrisa di realismo, anche se in così facendo, incontra una notevole resistenza nel suo paese.

John J. Mearsheimer è il Distinguished Professor di Scienze Politiche R. Wendell Harrison presso l’Università di Chicago. Tra i suoi numerosi libri ci sono La tragedia della grande potenza politica e la deterrenza convenzionale .

Immagine: Flickr/Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti

Fonte: Gli interessi nazionali, John J. Mearsheimer , 05-10-2018

Tradotto dai lettori del sito Les-Crises

https://www.les-crises.fr/la-grande-desillusion-reves-liberaux-et-realites-internationales-john-mearsheimer/#comment-716561

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