COSTITUZIONE E CANZONETTE, di Teodoro Klitsche de la Grange

COSTITUZIONE E CANZONETTE

A vedere l’omelia di Benigni a Sanremo sulla “Costituzione più bella del mondo” (di cui è l’interprete certificato), mi è venuto in mente quello che scriveva della sovranità del popolo Massimo Severo Giannini – e può essere adattato alla Costituzione nel frangente – che il popolo sovrano esiste solo nelle canzonette. Non posso dire con certezza quale dei molti significati possibili tale espressione volesse privilegiare.

Se quello dei realisti politici, che a governare è sempre la classe dirigente e non le norme né le “masse”; ovvero che il giurista pensasse alla tesi di Lelio Basso (e non solo) che la sovranità (del popolo) italiano fosse andata persa con la sconfitta in guerra e la subordinazione al vincitore più potente; ovvero all’incapacità del popolo di dirigere una macchina così complessa (e altro).

Tuttavia resta il fatto che il pistolotto sul palco dell’Ariston ha collocato la Costituzione nel posto  dall’ironia di Giannini assegnato alla sovranità: nelle (o almeno tra) le canzonette. E anche il ritornello che la Costituzione è la più bella del mondo esprime una (profonda) verità, da collegare per l’appunto (anche) alle canzonette.

Attribuire il predicato della bellezza è un giudizio estetico: si può legittimamente dire che è bella la Vittoria di Samotracia, ma è più bella un’auto di Formula 1 (come sosteneva Marinetti), che lo è la Carmen o la Nona Sinfonia; può piacere il Giudizio Universale di Michelangelo e l’Entierro del Senor de Orgas di El Greco. Tuttavia nessuno attribuirebbe, al contrario, quale (primo) giudizio positivo a un sant’uomo che è bello; o che S. Francesco e S. Martino donando beni ai poveri avessero fatto una bella azione anziché buona. Ovvero che era bello il Piano Marshall e brutte le riparazioni del Trattato di Versailles. Per il diritto che è bello il corpus juris e brutto l’Editto di Rotari. A seconda delle attività umane vi sono delle qualificazioni – positive o negative – appropriate alla natura delle stesse. Per le costituzioni da Polibio in poi, passando per de Bonald il giudizio positivo è dato (prevalentemente) dalla durata e dall’aver contribuito all’indipendenza e potenza dell’unità politica. Ci sono anche costituzioni belle; ma così belle che non furono mai applicate come la costituzione giacobina francese o quella polacca del 1791 (tra l’altro la prima costituzione europea scritta – che durò pochi mesi). Onde dare un attributo positivo (e improprio) di bellezza non le distingue (e non le santifica).

Tuttavia nel chiamare bella la costituzione vigente c’è qualcosa di vero e di necessitato. Vero perché se non la più bella del mondo, quella italiana è un compromesso, tuttora appetibile, almeno sul piano dei principi tra diritti umani, sociali ed economici, cui hanno contribuito le più influenti culture politiche del XX secolo; dell’altro, dati i risultati degli ultimi trent’anni, non resta che riferirsi al testo piuttosto che alla sua “applicazione”, in particolare a quella più recente. E ai partiti che si sono più “intestati” la difesa della Costituzione, come il PD, riportando un consenso deludente che dimostra, semmai, come l’entusiasmo verso la stessa è variegato, ma ormai minoritario.

C’è un’altra ragione perché il giudizio sulla bellezza della Costituzione abbia comunque un significato. Le opere d’arte definite belle sono un frutto dell’immaginazione umana, del poeta, del musicista o del pittore. La Divina Commedia è una straordinaria costruzione dell’immaginazione e non un atlante del pianeta e dell’universo. Come gli orologi di Dalì non sono un prodotto della tecnica o la Venere di Botticelli un disegno di anatomia. O che Astolfo sia stato sulla Luna a cercare il cervello di Orlando. Tutti tali artisti hanno immaginato mondi, uomini, cose (ed imprese). La fantasia poetica e la bellezza hanno compensato l’irrealtà di queste.

Ma in politica vale come principio generale quello di Machiavelli, da me spesso citato, che è “più conveniente andare dietro alla verità effettuale della cosa che alla immaginazione di epsa”. Ma proprio la “verità effettuale”, così modesta costringe ad illudersi, scambiando l’immaginario (bello) per il reale “brutto”. Come d’altra parte, abitudine consolidata negli ultimi decenni.

Teodoro Klitsche de la Grange

Massimo Morigi, Lo Stato delle Cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo 4a parte

Massimo Morigi (per chi non volesse rileggere l’introduzione passare direttamente al link da pag 72)

LO STATO DELLE COSE DELL’ULTIMA RELIGIONE POLITICA ITALIANA: IL MAZZINIANESIMO

UNA RIFLESSIONE TRANSPOLITICA PER IL SUO LEGITTIMO EREDE: IL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO. PRESENTAZIONE DI TRENT’ANNI DOPO ALLA DIALETTICA OLISTICO-ESPRESSIVA-STRATEGICA-CONFLITTUALE DE ARNALDO GUERRINI. NOTE BIOGRAFICHE, DOCUMENTI E TESTIMONIANZE PER UNA STORIA DELL’ ANTIFASCISMO DEMOCRATICO ROMAGNOLO

INTRODUZIONE

Se accostiamo «Io sono una forza del Passato./Solo nella tradizione è il mio amore./Vengo dai ruderi, dalle chiese,/dalle pale d’altare, dai borghi/abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,/dove sono vissuti i fratelli.» che è la definizione della poetica e della Weltanschauung di Pier Paolo Pasolini con «Mi fanno male i capelli, gli occhi, la gola, la bocca… Dimmi se sto tremando!» criptica, surreale ma al tempo stesso lancinante e terribilmente espressiva dichiarazione del disagio del personaggio di Giuliana, interpretata da Monica Vitti, nel film Il deserto rosso di Michelangelo Antonioni e citazioni entrambe impiegate in questo Lo Stato delle Cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo. Una riflessione transpolitica per il suo legittimo erede: il Repubblicanesimo Geopolitico. Presentazione di trent’anni dopo alla dialettica olistico-espressiva-strategica-conflittuale de Arnaldo Guerrini. Note biografiche, documenti e testimonianze per una storia dell’antifascismo democratico romagnolo, abbiamo immediatamente l’immagine del particolare metodo dialettico impiegato da Massimo Morigi e di cui si aveva avuto una prova anche nello Stato delle Cose della Geopolitica. Presentazione di Quaranta, Trenta, Vent’anni dopo a le Relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista. Nascita estetico-emotiva del paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico originando dall’eterotopia poetica, culturale e politica del Portogallo, anche questo pubblicato a puntate sull’ “Italia e il Mondo”, che è, oltre ad essere un metodo dialettico che, come più occasioni ribadito da Morigi, oltre a non riconoscere alcuna validità gnoseologico-epistemologica alla suddivisione fra c.d. scienze della natura e scienze umane storico-sociali, entrambe unificate, secondo Morigi, nel paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico, proprio in ragione del suo approccio olistico, non distingue nemmeno fra dato storico-sociale e fra il suo stesso dato biografico e cercando di capire, assieme ai destinatari dei suoi messaggi, come questo dato biografico lo abbia portato alle sue odierne elaborazioni teoriche. A questo punto si potrebbe obiettare che in Morigi prevale sull’analisi teorica una sorta di deteriore biografismo, dove il momento dell’analisi viene travolto da una non richiesto lirismo. Niente di più errato. Comunque si voglia giudicare il del tutto inedito paradigma dialettico del Nostro, e noi comunque lo giudichiamo come l’unico tentativo veramente serio compiuto dalla fine del grande idealismo italiano di Gentile e Croce di far rivivere in Italia e nel resto del mondo il metodo dialettico, la manifestazione lirica cui Morigi rende conto a sé stesso prima ancora che ai lettori non sono assolutamente le sue interiori ed intime inclinazioni che giustamente egli ritiene non debbano interessare a nessuno ma si tratta del rendere conto, anche pubblicamente, del suo culturale Bildungsroman, dove nello Stato delle Cose della Geopolitica veniva focalizzato nella cultura portoghese, nella saudade di questo paese e, infine nella filmografia di Wim Wenders, in specie in quella che aveva come sfondo il Portogallo, Lo Stato delle Cose e Lisbon Story, mentre ora, Nello Stato delle Cose dell’ultima religione politica: il Mazzinianesimo si tratta della filmografia d’autore degli anni Sessanta del secolo che ci ha lasciato, cioè di quella di Federico Fellini, di Michelangelo Antonioni e di Pier Paolo Pasolini. E se è vero, come è vero, che il ricorso a questo strumento per l’interpretazione della crisi politica non solo del movimento mazziniano e del partito che tuttora vuole presentarsi come la sua attuazione politica è stata anche indotta dal fatto che sulla crisi della religione politica del mazzinianesimo e del partito che ancora vuole esprimere ed intestarsi questa ideologia non è stato, in fondo, scritto praticamente alcunché di veramente interessante e significativo (e non è questa la sede per contestare questa definizione di identità politica del PRI ed anche Morigi, anche per una sorta di rispetto verso un partito politico in cui militò in un lontano passato – e di cui, fra l’altro, dimostra in questo saggio introduttivo di essere un profondissimo conoscitore e, quindi, inevitabilmente quasi un “appassionato”–, è tutt’altro che acido rispetto a questa autodefinizione identitaria) ma anche della crisi politico-sistemica più generale che ha investito il nostro paese è, sulla scorta della sua dialettica totalizzante del tutto giustificata e conseguente, a noi lettori appare chiaro – ma anche Morigi, ne siamo sicuri ne è pienamente consapevole – che la filmografia espressamente citata in questo scritto di Morigi è anch’essa una parte importante del romanzo di formazione culturale di Morigi che, proprio in virtù della particolare dialettica totalizzante da lui elaborata può essere impiegata per dare conto sia del suo metodo dialettico che della crisi politica del sistema politico Italia, filmografia italiana che, sottintende sempre è stato quindi anche decisiva, insieme alle suggestioni portoghesi e wendersiane, per la definizione del paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico.

Un’ultima notazione. Come da sottotitolo Lo Stato delle Cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo è l’introduzione del saggio di Massimo Morigi, Arnaldo Guerrini. Note biografiche, documenti e testimonianze per una storia dell’antifascismo democratico romagnolo, edito nel 1989 e che oltre ad essere la biografia dell’antifascista repubblicano e mazziniano Arnaldo Guerrini, già più di trent’anni fa esprimeva, come ci dice il suo autore e come potranno vedere i lettori dell’ “Italia e il Mondo” la consapevolezza della crisi del sistema politico italiano che sarebbe esplosa con Mani pulite. Questa biografia, assieme ovviamente al suo scritto introduttivo sullo Stato delle cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo, su espresso desiderio dell’autore viene pubblicata in quattro puntate a partire da questo mese di gennaio del 2023, in una sorta di augurio di buon anno nuovo per l’acquisizione di una rinnovata consapevolezza politica per terminare con l’ultima puntata da pubblicarsi in occasione del IX Febbraio, data dell’anniversario della nascita della Repubblica Romana del 1849 e che per tutti i mazziniani, siano o no ancora facenti parte del Partito Repubblicano Italiano, è la ricorrenza più importante di tutto il calendario, ancora più importante, siano o no questi repubblicani credenti nelle varie denominazioni del cristianesimo, del Natale cristiano. Ci sarebbe così allora ancora molto da dire sulle religioni politiche e su come il Repubblicanesimo Geopolitico nel suo olismo dialettico, voglia essere, come dice espressamente Morigi, una prosecuzione ed evoluzione per i nostri tempi dei principi repubblicani di Giuseppe Mazzini…

Buona lettura

Giuseppe Germinario

QUARTA PARTE DELLO STATO DELLE COSE DELL’ULTIMA RELIGIONE POLITICA

 

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Come l’America ha eliminato il gasdotto Nord Stream, di Seymour Hersh (a cura di Roberto Buffagni e segnalazione di Antonio de Martini)

La firma “Seymour Hersch” vi ricorda qualcosa o qualcuno? Queste due foto vi aiuteranno a scavare nella vostra memoria ad oltre cinquanta anni fa. Quella inchiesta gli è valso il

premio Pulitzer nel 1970, quando quel riconoscimento aveva una sua autorevolezza. Dopo quella, seguirono altre inchieste clamorose: il coinvolgimento statunitense nel golpe di Pinochet in Cile nel 1973, lo scandalo delle sevizie nella prigione di Abu Ghraib in Iraq, l’attacco chimico a Ghuta in Siria nel 2013, attribuito ad Assad e in realtà orchestrato dalla Turchia e dai ribelli integralisti siriani. Sono solo una parte dei suoi scoop esplosivi. Con questo articolo, appena tradotto, Hersch, a 85 anni, non ha perso lo smalto e la sua azione dissacrante. Speriamo che riesca a provocare lo stesso effetto. Gli indizi non mancano. Intanto fissiamo alcuni punti fermi:

  • L’attentato è stato pianificato ben prima dell’attacco russo all’Ucraina
  • L’amministrazione americana sapeva del successo della sua politica di istigazione all’intervento russo
  • l’attentato si sarebbe probabilmente comunque compiuto a prescindere dal conflitto ucraino perché l’obbiettivo principale è colpire la Germania nel suo ruolo di leadership europea e nelle sue tentazioni di politica autonoma
  • il totale asservimento delle leadership europee e tedesca in particolare e la cointeressenza economica di alcuni paesi implicati nell’azione terroristica, in particolare la Norvegia e quella più ampia di uno stuolo di paesi europei.  

Buona lettura, Giuseppe Germinario

 

https://seymourhersh.substack.com/p/how-america-took-out-the-nord-stream

Come l’America ha eliminato il gasdotto Nord Stream

Il New York Times l’ha definita un “mistero”, ma gli Stati Uniti hanno eseguito un’operazione marittima segreta, fino ad oggi.

Seymour Hersh

5 ore fa

Il Diving and Salvage Center della Marina degli Stati Uniti si trova in un luogo oscuro come il suo nome, in quello che una volta era un viottolo di campagna nella zona rurale di Panama City, una città di villeggiatura ora in piena espansione nel panhandle sud-occidentale della Florida, 70 miglia a sud del confine con l’Alabama. Il complesso del centro non è descrittivo come la sua ubicazione: una struttura in cemento scialbo del secondo dopoguerra che ha l’aspetto di una scuola superiore professionale nella zona ovest di Chicago. Una lavanderia a gettoni e una scuola di danza si trovano dall’altra parte di quella che ora è una strada a quattro corsie.

Il centro ha addestrato per decenni sommozzatori altamente qualificati che, una volta assegnati alle unità militari americane in tutto il mondo, sono in grado di effettuare immersioni tecniche per fare il bene – utilizzando esplosivi C4 per liberare porti e spiagge da detriti e ordigni inesplosi – e il male, come far saltare in aria piattaforme petrolifere straniere, sporcare le valvole di aspirazione delle centrali elettriche sottomarine, distruggere le chiuse di canali di navigazione cruciali. Il centro di Panama City, che vanta la seconda piscina coperta più grande d’America, era il luogo perfetto per reclutare i migliori, e più taciturni, diplomati della scuola di immersione che l’estate scorsa hanno fatto con successo ciò che erano stati autorizzati a fare a 260 piedi sotto la superficie del Mar Baltico.

Lo scorso giugno, i sommozzatori della Marina, operando sotto la copertura di un’esercitazione NATO di metà estate ampiamente pubblicizzata, nota come BALTOPS 22, hanno piazzato gli esplosivi innescati a distanza che, tre mesi dopo, hanno distrutto tre dei quattro gasdotti Nord Stream, secondo una fonte con conoscenza diretta della pianificazione operativa.

Due dei gasdotti, noti collettivamente come Nord Stream 1, hanno fornito alla Germania e a gran parte dell’Europa occidentale gas naturale russo a basso costo per oltre un decennio. Una seconda coppia di gasdotti, denominata Nord Stream 2, era stata costruita ma non era ancora operativa. Ora, con le truppe russe che si ammassano al confine con l’Ucraina e con l’incombere della più sanguinosa guerra in Europa dal 1945, il presidente Joseph Biden vedeva i gasdotti come un veicolo per Vladimir Putin per armare il gas naturale per le sue ambizioni politiche e territoriali.

Alla richiesta di un commento, Adrienne Watson, portavoce della Casa Bianca, ha risposto in un’e-mail: “Questa affermazione è falsa e completamente inventata”. Tammy Thorp, portavoce della Central Intelligence Agency, ha scritto: “Questa affermazione è completamente e totalmente falsa”.

La decisione di Biden di sabotare gli oleodotti è arrivata dopo oltre nove mesi di discussioni segretissime all’interno della comunità di sicurezza nazionale di Washington su come raggiungere al meglio l’obiettivo. Per gran parte del tempo, il problema non è stato se compiere o meno la missione, ma come portarla a termine senza alcun indizio evidente su chi fosse il responsabile.

C’era una ragione burocratica vitale per affidarsi ai diplomati della scuola di immersione del centro a Panama City. I sommozzatori erano solo della Marina e non membri del Comando per le operazioni speciali americano, le cui operazioni segrete devono essere comunicate al Congresso e informate in anticipo alla leadership del Senato e della Camera, la cosiddetta Gang of Eight. L’amministrazione Biden stava facendo tutto il possibile per evitare fughe di notizie mentre la pianificazione si svolgeva tra la fine del 2021 e i primi mesi del 2022.

Il presidente Biden e la sua squadra di politica estera – il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, il segretario di Stato Tony Blinken e Victoria Nuland, sottosegretario di Stato per la politica – hanno manifestato in modo esplicito e coerente la loro ostilità ai due oleodotti, che si snodano uno accanto all’altro per 750 miglia sotto il Mar Baltico, partendo da due porti diversi nel nord-est della Russia, vicino al confine con l’Estonia, passando vicino all’isola danese di Bornholm prima di terminare nella Germania settentrionale.

La via diretta, che evita il transito in Ucraina, è stata una manna per l’economia tedesca, che ha goduto di un’abbondanza di gas naturale russo a basso costo, sufficiente per far funzionare le fabbriche e riscaldare le case, consentendo ai distributori tedeschi di vendere il gas in eccesso, con profitto, in tutta l’Europa occidentale. Un’azione che potesse essere ricondotta all’amministrazione avrebbe violato le promesse degli Stati Uniti di ridurre al minimo il conflitto diretto con la Russia. La segretezza era essenziale.

Fin dai primi giorni, Nord Stream 1 è stato visto da Washington e dai suoi partner anti-russi della NATO come una minaccia al dominio occidentale. La holding che ne è alla base, la Nord Stream AG, è stata costituita in Svizzera nel 2005 in partnership con Gazprom, una società russa quotata in borsa che produce enormi profitti per gli azionisti ed è dominata da oligarchi noti per essere al soldo di Putin. Gazprom controllava il 51% della società, mentre quattro aziende energetiche europee, una francese, una olandese e due tedesche, condividevano il restante 49% delle azioni e avevano il diritto di controllare le vendite a valle del gas naturale a basso costo ai distributori locali in Germania e in Europa occidentale. I profitti di Gazprom sono stati condivisi con il governo russo e, secondo le stime, in alcuni anni le entrate statali di gas e petrolio sono state pari al 45% del bilancio annuale della Russia.

I timori politici dell’America erano reali: Putin avrebbe avuto un’ulteriore e necessaria fonte di reddito, e la Germania e il resto dell’Europa occidentale sarebbero diventati dipendenti dal gas naturale a basso costo fornito dalla Russia, diminuendo la dipendenza europea dall’America. In realtà, questo è esattamente ciò che è accaduto. Molti tedeschi hanno visto il Nord Stream 1 come parte della realizzazione della famosa teoria dell’Ostpolitik dell’ex cancelliere Willy Brandt. Ostpolitikteoria della che avrebbe permesso alla Germania del dopoguerra di riabilitare se stessa e altre nazioni europee distrutte dalla Seconda Guerra Mondiale utilizzando, tra le altre iniziative, il gas russo a basso costo per alimentare un mercato e un’economia commerciale prospera nell’Europa occidentale.

Il Nord Stream 1 era già abbastanza pericoloso, secondo la NATO e Washington, ma il Nord Stream 2, la cui costruzione è stata completata nel settembre del 2021, se approvato dalle autorità di regolamentazione tedesche, raddoppierebbe la quantità di gas a basso costo disponibile per la Germania e l’Europa occidentale. Il secondo gasdotto fornirebbe inoltre gas sufficiente per oltre il 50% del consumo annuale della Germania. Le tensioni tra la Russia e la NATO, sostenute dall’aggressiva politica estera dell’amministrazione Biden, erano in costante aumento.

L’opposizione al Nord Stream 2 è esplosa alla vigilia dell’insediamento di Biden nel gennaio 2021, quando i repubblicani del Senato, guidati da Ted Cruz del Texas, hanno ripetutamente sollevato la minaccia politica del gas naturale russo a basso costo durante l’udienza di conferma di Blinken come Segretario di Stato. A quel punto un Senato unificato aveva approvato con successo una legge che, come disse Cruz a Blinken, “ha fermato [il gasdotto] sul nascere”. Il governo tedesco, allora guidato da Angela Merkel, avrebbe esercitato enormi pressioni politiche ed economiche per mettere in funzione il secondo gasdotto.

Biden si opporrebbe ai tedeschi? Blinken ha risposto di sì, ma ha aggiunto di non aver discusso i dettagli delle opinioni del Presidente entrante. “So che è fermamente convinto che questa sia una cattiva idea, il Nord Stream 2”, ha detto. “So che vorrebbe che usassimo tutti gli strumenti di persuasione di cui disponiamo per convincere i nostri amici e partner, compresa la Germania, a non andare avanti”.

Pochi mesi dopo, mentre la costruzione del secondo gasdotto si avvicinava al completamento, Biden ha battuto ciglio. Nel maggio dello stesso anno, con un sorprendente dietrofront, l’amministrazione rinunciò alle sanzioni contro Nord Stream AG, mentre un funzionario del Dipartimento di Stato ammise che cercare di fermare il gasdotto attraverso le sanzioni e la diplomazia era “sempre stato un azzardo”. Dietro le quinte, i funzionari dell’amministrazione avrebbero esortato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che a quel punto stava affrontando la minaccia di un’invasione russa, a non criticare la mossa.

Le conseguenze sono state immediate. I repubblicani del Senato, guidati da Cruz, hanno annunciato un blocco immediato di tutte le nomine di Biden in politica estera e hanno ritardato l’approvazione della legge annuale sulla difesa per mesi, fino all’autunno. In seguito Politico ha descritto il dietrofront di Biden sul secondo gasdotto russo come “l’unica decisione, probabilmente più del caotico ritiro militare dall’Afghanistan, che ha messo in pericolo l’agenda di Biden”.

L’amministrazione era in difficoltà, nonostante avesse ottenuto una tregua dalla crisi a metà novembre, quando le autorità tedesche di regolamentazione dell’energia hanno sospeso l’approvazione del secondo gasdotto Nord Stream. I prezzi del gas naturale hanno subito un’impennata dell’8% nel giro di pochi giorni, tra i crescenti timori in Germania e in Europa che la sospensione del gasdotto e la crescente possibilità di una guerra tra Russia e Ucraina avrebbero portato a un inverno freddo molto indesiderato. A Washington non era chiaro quale fosse la posizione di Olaf Scholz, il cancelliere tedesco appena nominato. Mesi prima, dopo la caduta dell’Afghanistan, Scholtz aveva pubblicamente appoggiato l’appello del presidente francese Emmanuel Macron per una politica estera europea più autonoma in un discorso a Praga, suggerendo chiaramente una minore dipendenza da Washington e dalle sue azioni mercuriali.

In tutto questo, le truppe russe si sono costantemente e minacciosamente accumulate ai confini dell’Ucraina e alla fine di dicembre più di 100.000 soldati erano in grado di colpire dalla Bielorussia e dalla Crimea. A Washington cresceva l’allarme, compresa una valutazione di Blinken secondo cui il numero delle truppe avrebbe potuto essere “raddoppiato in breve tempo”.

L’attenzione dell’amministrazione si è nuovamente concentrata su Nord Stream. Finché l’Europa continuerà a dipendere dal gasdotto per ottenere gas naturale a basso costo, Washington temeva che Paesi come la Germania sarebbero stati riluttanti a fornire all’Ucraina il denaro e le armi necessarie per sconfiggere la Russia.

È stato in questo momento di incertezza che Biden ha autorizzato Jake Sullivan a riunire un gruppo interagenzie per elaborare un piano.

Tutte le opzioni dovevano essere prese in considerazione. Ma solo una sarebbe emersa.

PIANIFICAZIONE

Nel dicembre del 2021, due mesi prima che i primi carri armati russi entrassero in Ucraina, Jake Sullivan convocò una riunione di una task force appena costituita – uomini e donne dello Stato Maggiore, della CIA, dei Dipartimenti di Stato e del Tesoro – e chiese raccomandazioni su come rispondere all’imminente invasione di Putin.

Sarebbe stato il primo di una serie di incontri top-secret, in una stanza sicura all’ultimo piano dell’Old Executive Office Building, adiacente alla Casa Bianca, che era anche la sede del President’s Foreign Intelligence Advisory Board (PFIAB). Ci furono i soliti botta e risposta che alla fine portarono a una domanda preliminare cruciale: La raccomandazione trasmessa dal gruppo al Presidente sarebbe stata reversibile – come un altro strato di sanzioni e restrizioni valutarie – o irreversibile – cioè azioni cinetiche, che non potevano essere annullate?

Secondo la fonte con conoscenza diretta del processo, ciò che è apparso chiaro ai partecipanti è che Sullivan intendeva che il gruppo elaborasse un piano per la distruzione dei due gasdotti Nord Stream e che stava realizzando i desideri del Presidente.

I GIOCATORI Da sinistra a destra: Victoria Nuland, Anthony Blinken e Jake Sullivan.

Nel corso delle successive riunioni, i partecipanti discussero le opzioni per un attacco. La Marina propose di utilizzare un sottomarino di recente costruzione per attaccare direttamente l’oleodotto. L’aeronautica discuteva di sganciare bombe con spolette ritardate che potessero essere innescate a distanza. La CIA sosteneva che qualsiasi cosa si facesse, avrebbe dovuto essere segreta. Tutti i partecipanti capirono la posta in gioco. “Non si tratta di roba da bambini”, ha detto la fonte. Se l’attacco fosse riconducibile agli Stati Uniti, “sarebbe un atto di guerra”.

All’epoca, la CIA era diretta da William Burns, un mite ex ambasciatore in Russia che era stato vice segretario di Stato nell’amministrazione Obama. Burns autorizzò rapidamente un gruppo di lavoro dell’Agenzia i cui membri ad hoc includevano, guarda caso, qualcuno che aveva familiarità con le capacità dei sommozzatori della Marina a Panama City. Nelle settimane successive, i membri del gruppo di lavoro della CIA iniziarono a elaborare un piano per un’operazione segreta che avrebbe utilizzato i sommozzatori per innescare un’esplosione lungo l’oleodotto.

Qualcosa di simile era già stato fatto in passato. Nel 1971, la comunità dei servizi segreti americani apprese da fonti ancora non rivelate che due importanti unità della Marina russa comunicavano attraverso un cavo sottomarino interrato nel Mare di Okhotsk, sulla costa dell’Estremo Oriente russo. Il cavo collegava un comando regionale della Marina al quartier generale continentale di Vladivostok.

Una squadra selezionata di agenti della Central Intelligence Agency e della National Security Agency è stata riunita da qualche parte nell’area di Washington, sotto copertura, e ha elaborato un piano, utilizzando sommozzatori della Marina, sottomarini modificati e un veicolo di salvataggio sottomarino, che è riuscito, dopo molti tentativi ed errori, a localizzare il cavo russo. I sommozzatori hanno piazzato sul cavo un sofisticato dispositivo di ascolto che ha intercettato con successo il traffico russo e lo ha registrato su un sistema di registrazione.

L’NSA venne a sapere che gli alti ufficiali della marina russa, convinti della sicurezza del loro collegamento, chiacchieravano con i loro colleghi senza crittografia. Il dispositivo di registrazione e il nastro dovevano essere sostituiti mensilmente e il progetto andò avanti allegramente per un decennio, finché non fu compromesso da un tecnico civile della NSA di quarantaquattro anni, Ronald Pelton, che parlava correntemente il russo. Pelton fu tradito da un disertore russo nel 1985 e condannato alla prigione. I russi gli pagarono solo 5.000 dollari per le sue rivelazioni sull’operazione, oltre a 35.000 dollari per altri dati operativi russi da lui forniti che non furono mai resi pubblici.

Quel successo subacqueo, chiamato in codice Ivy Bells, fu innovativo e rischioso, e produsse informazioni preziose sulle intenzioni e i piani della Marina russa.

Tuttavia, il gruppo interagenzie era inizialmente scettico sull’entusiasmo della CIA per un attacco segreto in mare aperto. C’erano troppe domande senza risposta. Le acque del Mar Baltico erano pesantemente pattugliate dalla marina russa e non c’erano piattaforme petrolifere che potessero essere usate come copertura per un’operazione subacquea. I sommozzatori sarebbero dovuti andare in Estonia, proprio al di là del confine con le banchine di carico del gas naturale della Russia, per addestrarsi alla missione? “Sarebbe una scopata da capre”, è stato detto all’Agenzia.

Nel corso di “tutti questi piani”, ha raccontato la fonte, “alcuni funzionari della CIA e del Dipartimento di Stato dicevano: “Non fatelo. È stupido e sarà un incubo politico se verrà fuori”.

Tuttavia, all’inizio del 2022, il gruppo di lavoro della CIA riferì al gruppo interagenzie di Sullivan: “Abbiamo un modo per far saltare gli oleodotti”.

Quello che è successo dopo è stato sbalorditivo. Il 7 febbraio, meno di tre settimane prima dell’apparentemente inevitabile invasione russa dell’Ucraina, Biden si è incontrato nel suo ufficio alla Casa Bianca con il Cancelliere tedesco Olaf Scholz, che, dopo qualche tentennamento, era ora saldamente nella squadra americana. Durante il briefing con la stampa che ne è seguito, Biden ha affermato con tono di sfida: “Se la Russia invade… non ci sarà più un Nord Stream 2. Metteremo fine a tutto questo“.

Venti giorni prima, il Sottosegretario Nuland aveva trasmesso essenzialmente lo stesso messaggio durante un briefing del Dipartimento di Stato, con poca copertura da parte della stampa. “Voglio essere molto chiara con voi oggi”, ha detto in risposta a una domanda. “Se la Russia invade l’Ucraina, in un modo o nell’altro il Nord Stream 2 non andrà avanti“.

Molti di coloro che hanno partecipato alla pianificazione della missione dell’oleodotto sono rimasti sconcertati da quelli che hanno considerato come riferimenti indiretti all’attacco.

“È stato come mettere una bomba atomica a Tokyo e dire ai giapponesi che la faremo esplodere”, ha detto la fonte. “Il piano prevedeva che le opzioni fossero eseguite dopo l’invasione e non pubblicizzate pubblicamente. Biden semplicemente non l’ha capito o l’ha ignorato”.

L’indiscrezione di Biden e della Nuland, se di questo si è trattato, potrebbe aver frustrato alcuni dei pianificatori. Ma ha anche creato un’opportunità. Secondo la fonte, alcuni alti funzionari della CIA hanno stabilito che far saltare l’oleodotto “non poteva più essere considerata un’opzione segreta perché il Presidente aveva appena annunciato che sapevamo come farlo”.

Il piano per far saltare in aria Nord Stream 1 e 2 è stato improvvisamente declassato da un’operazione segreta che richiedeva l’informazione del Congresso a un’operazione di intelligence altamente classificata con il supporto militare degli Stati Uniti. Secondo la legge, ha spiegato la fonte, “non c’era più l’obbligo legale di riferire l’operazione al Congresso. Tutto ciò che dovevano fare ora era farlo e basta, ma doveva essere ancora segreto. I russi hanno una sorveglianza superlativa del Mar Baltico”.

I membri del gruppo di lavoro dell’Agenzia non avevano contatti diretti con la Casa Bianca e non vedevano l’ora di scoprire se il Presidente intendeva dire quello che aveva detto, cioè se la missione era ormai avviata. La fonte ha ricordato: “Bill Burns torna e dice: “Fatelo””.

“La marina norvegese è stata rapida nel trovare il punto giusto, nelle acque poco profonde a poche miglia dall’isola danese di Bornholm…”.

L’OPERAZIONE

La Norvegia era il luogo perfetto per la missione.

Negli ultimi anni di crisi Est-Ovest, le forze armate statunitensi hanno ampliato notevolmente la loro presenza in Norvegia, il cui confine occidentale corre per 1.400 miglia lungo l’Oceano Atlantico settentrionale e si fonde sopra il Circolo Polare Artico con la Russia. Il Pentagono ha creato posti di lavoro e contratti altamente remunerativi, tra qualche polemica locale, investendo centinaia di milioni di dollari per aggiornare ed espandere le strutture della Marina e dell’Aeronautica americane in Norvegia. Le nuove opere comprendevano, soprattutto, un radar avanzato ad apertura sintetica, in grado di penetrare in profondità in Russia, entrato in funzione proprio quando la comunità di intelligence americana ha perso l’accesso a una serie di siti di ascolto a lungo raggio all’interno della Cina.

Una base sottomarina americana recentemente ristrutturata, in costruzione da anni, è diventata operativa e più sottomarini americani sono ora in grado di lavorare a stretto contatto con i loro colleghi norvegesi per monitorare e spiare un’importante ridotta nucleare russa a 250 miglia a est, nella penisola di Kola. L’America ha anche ampliato notevolmente una base aerea norvegese nel nord e ha consegnato alle forze aeree norvegesi una flotta di aerei da pattugliamento P8 Poseidon, costruiti dalla Boeing, per rafforzare lo spionaggio a lungo raggio di tutto ciò che riguarda la Russia.

In cambio, lo scorso novembre il governo norvegese ha fatto arrabbiare i liberali e alcuni moderati del suo parlamento approvando l’Accordo supplementare di cooperazione per la difesa (SDCA). In base al nuovo accordo, in alcune “aree concordate” del Nord, il sistema giuridico statunitense avrà giurisdizione sui soldati americani accusati di crimini fuori dalla base, così come sui cittadini norvegesi accusati o sospettati di interferire con il lavoro della base.

La Norvegia è stata uno dei primi firmatari del Trattato NATO nel 1949, agli inizi della Guerra Fredda. Oggi, il comandante supremo della NATO è Jens Stoltenberg, un convinto anticomunista, che è stato primo ministro norvegese per otto anni prima di passare alla sua alta carica alla NATO, con il sostegno americano, nel 2014. Si trattava di un duro su tutto ciò che riguardava Putin e la Russia, che aveva collaborato con la comunità di intelligence americana fin dai tempi della guerra del Vietnam. Da allora si è fidato completamente di lui. “È il guanto che si adatta alla mano americana”, ha detto la fonte.

A Washington i pianificatori sapevano che dovevano andare in Norvegia. “Odiavano i russi e la marina norvegese era piena di marinai e sommozzatori eccellenti, con generazioni di esperienza nell’esplorazione di petrolio e gas in acque profonde altamente redditizie”, ha detto la fonte. Inoltre ci si poteva fidare di loro per mantenere la missione segreta. (I norvegesi potrebbero aver avuto anche altri interessi. La distruzione di Nord Stream, se gli americani riuscissero a portarla a termine, consentirebbe alla Norvegia di vendere una quantità molto maggiore del proprio gas naturale all’Europa).

A marzo, alcuni membri del team si recarono in Norvegia per incontrare i servizi segreti e la marina norvegese. Una delle domande chiave era dove esattamente nel Mar Baltico fosse il posto migliore per piazzare gli esplosivi. Nord Stream 1 e 2, ciascuno con due serie di condotte, erano separati per gran parte del percorso da poco più di un miglio, mentre si dirigevano verso il porto di Greifswald, nell’estremo nord-est della Germania.

La marina norvegese è stata rapida nel trovare il punto giusto, nelle acque poco profonde del Mar Baltico, a poche miglia dall’isola danese di Bornholm. Le condutture correvano a più di un miglio di distanza l’una dall’altra, su un fondale profondo solo 260 piedi. Si trattava di un’area ben raggiungibile dai sommozzatori che, operando da un cacciamine norvegese della classe Alta, si sarebbero immersi con una miscela di ossigeno, azoto ed elio che usciva dalle loro bombole e avrebbero piazzato cariche di C4 sagomate sulle quattro condutture con coperture protettive in cemento. Sarebbe stato un lavoro noioso, lungo e pericoloso, ma le acque al largo di Bornholm avevano un altro vantaggio: non c’erano grandi correnti di marea, che avrebbero reso il compito di immergersi molto più difficile.

Dopo un po’ di ricerche, gli americani erano tutti d’accordo.

A questo punto, entrò di nuovo in gioco l’oscuro gruppo di immersione profonda della Marina a Panama City. Le scuole d’altura di Panama City, i cui allievi hanno partecipato alle Ivy Bells, sono viste come un’indesiderata zona d’ombra dall’élite dei diplomati dell’Accademia Navale di Annapolis, che di solito cercano la gloria di essere assegnati come Seal, piloti di caccia o sommergibilisti. Se uno deve diventare una “scarpa nera”, cioè un membro del meno desiderabile comando di navi di superficie, c’è sempre almeno un incarico su un cacciatorpediniere, un incrociatore o una nave anfibia. La meno affascinante di tutte è la guerra di mine. I suoi sommozzatori non appaiono mai nei film di Hollywood o sulle copertine delle riviste popolari.

“I migliori sommozzatori con qualifiche per immersioni profonde sono una comunità ristretta e solo i migliori vengono reclutati per l’operazione e viene detto loro di prepararsi a essere convocati dalla CIA a Washington”, ha detto la fonte.

I norvegesi e gli americani avevano il luogo e gli operatori, ma c’era un’altra preoccupazione: qualsiasi attività subacquea insolita nelle acque al largo di Bornholm avrebbe potuto attirare l’attenzione della marina svedese o danese, che avrebbe potuto segnalarla.

Anche la Danimarca era stata uno dei primi firmatari della NATO ed era nota nella comunità dei servizi segreti per i suoi legami speciali con il Regno Unito. La Svezia aveva presentato domanda di adesione alla NATO e aveva dimostrato una grande abilità nella gestione dei suoi sistemi di sensori sonori e magnetici sottomarini, che riuscivano a rintracciare con successo i sottomarini russi che di tanto in tanto comparivano nelle acque remote dell’arcipelago svedese e venivano costretti a salire in superficie.

I norvegesi si unirono agli americani insistendo sul fatto che alcuni alti funzionari in Danimarca e Svezia dovevano essere informati in termini generali sulle possibili attività subacquee nell’area. In questo modo, qualcuno più in alto poteva intervenire e tenere un rapporto fuori dalla catena di comando, isolando così l’operazione dell’oleodotto. “Quello che veniva detto loro e quello che sapevano erano volutamente diversi”, mi ha detto la fonte (l’ambasciata norvegese, interpellata per commentare questa storia, non ha risposto).

I norvegesi sono stati fondamentali per risolvere altri ostacoli. È noto che la marina russa possiede una tecnologia di sorveglianza in grado di individuare e attivare le mine sottomarine. I dispositivi esplosivi americani dovevano essere camuffati in modo da apparire al sistema russo come parte dello sfondo naturale, cosa che richiedeva un adattamento alla salinità specifica dell’acqua. I norvegesi avevano una soluzione.

I norvegesi avevano anche una soluzione alla questione cruciale di quando l’operazione avrebbe dovuto avere luogo. Ogni giugno, negli ultimi 21 anni, la Sesta Flotta americana, la cui nave ammiraglia è basata a Gaeta, in Italia, a sud di Roma, ha sponsorizzato una grande esercitazione della NATO nel Mar Baltico che coinvolge decine di navi alleate in tutta la regione. L’attuale esercitazione, che si terrà a giugno, sarà nota come Baltic Operations 22, o BALTOPS 22. I norvegesi hanno proposto che questa fosse la copertura ideale per piazzare le mine.

Gli americani fornirono un elemento fondamentale: convinsero i pianificatori della Sesta Flotta ad aggiungere al programma un’esercitazione di ricerca e sviluppo. L’esercitazione, come reso noto dalla Marina, coinvolgeva la Sesta Flotta in collaborazione con i “centri di ricerca e di guerra” della Marina. L’evento in mare si sarebbe svolto al largo delle coste dell’isola di Bornholm e avrebbe coinvolto squadre di sommozzatori della NATO che avrebbero piazzato mine, mentre le squadre concorrenti avrebbero utilizzato le più recenti tecnologie subacquee per trovarle e distruggerle.

Si trattava di un esercizio utile e di una copertura ingegnosa. I ragazzi di Panama City avrebbero fatto il loro dovere e gli esplosivi C4 sarebbero stati posizionati entro la fine di BALTOPS22, con un timer di 48 ore. Tutti gli americani e i norvegesi sarebbero spariti prima della prima esplosione.

I giorni erano contati. “Il tempo scorreva e ci stavamo avvicinando alla missione compiuta”, ha detto la fonte.

E poi: Washington ci ripensò. Le bombe sarebbero state comunque piazzate durante il BALTOPS, ma la Casa Bianca temeva che una finestra di due giorni per la loro detonazione sarebbe stata troppo vicina alla fine dell’esercitazione e che sarebbe stato evidente il coinvolgimento dell’America.

La Casa Bianca ha invece avanzato una nuova richiesta: “I ragazzi sul campo possono escogitare un modo per far saltare gli oleodotti in seguito al comando?”.

Alcuni membri del team di pianificazione erano arrabbiati e frustrati per l’apparente indecisione del Presidente. I sommozzatori di Panama City si erano ripetutamente esercitati a piazzare il C4 sulle condutture, come avrebbero fatto durante BALTOPS, ma ora la squadra in Norvegia doveva trovare un modo per dare a Biden quello che voleva: la possibilità di emettere un ordine di esecuzione di successo in un momento a sua scelta.

Essere incaricati di un cambiamento arbitrario e dell’ultimo minuto era qualcosa che la CIA era abituata a gestire. Ma ha anche rinnovato le preoccupazioni di alcuni sulla necessità e la legalità dell’intera operazione.

Gli ordini segreti del Presidente evocavano anche il dilemma della CIA ai tempi della guerra del Vietnam, quando il Presidente Johnson, di fronte al crescente sentimento contrario alla guerra del Vietnam, ordinò all’Agenzia di violare il suo statuto – che le impediva specificamente di operare all’interno dell’America – spiando i leader contrari alla guerra per determinare se fossero controllati dalla Russia comunista.

Alla fine l’Agenzia acconsentì, e nel corso degli anni Settanta divenne chiaro fino a che punto fosse disposta a spingersi. In seguito agli scandali Watergate, i giornali rivelarono che l’Agenzia spiava i cittadini americani, era coinvolta nell’assassinio di leader stranieri e aveva minato il governo socialista di Salvador Allende.

Queste rivelazioni portarono a una drammatica serie di audizioni a metà degli anni ’70 al Senato, guidate da Frank Church dell’Idaho, che chiarirono che Richard Helms, l’allora direttore dell’Agenzia, accettava l’obbligo di fare ciò che il Presidente voleva, anche se ciò significava violare la legge.

In una testimonianza inedita e a porte chiuse, Helms ha spiegato con amarezza che “si ha quasi un’Immacolata Concezione quando si fa qualcosa” su ordine segreto di un Presidente. “Che sia giusto che sia così o che sia sbagliato che sia così, [la CIA] lavora con regole diverse e regole di base rispetto a qualsiasi altra parte del governo”. In sostanza, stava dicendo ai senatori che lui, come capo della CIA, aveva capito di lavorare per la Corona e non per la Costituzione.

Gli americani al lavoro in Norvegia operavano secondo la stessa dinamica e iniziarono doverosamente a lavorare sul nuovo problema: come far esplodere a distanza l’esplosivo C4 su ordine di Biden. Si trattava di un compito molto più impegnativo di quanto non avessero capito a Washington. La squadra in Norvegia non aveva modo di sapere quando il Presidente avrebbe premuto il pulsante. Sarebbe stato tra poche settimane, tra molti mesi o tra mezzo anno o più?

Il C4 collegato alle condutture sarebbe stato attivato da una boa sonar sganciata da un aereo con breve preavviso, ma la procedura richiedeva la più avanzata tecnologia di elaborazione dei segnali. Una volta posizionati, i dispositivi di temporizzazione ritardata attaccati a uno qualsiasi dei quattro oleodotti potrebbero essere accidentalmente innescati dalla complessa miscela di rumori di fondo dell’oceano in tutto il Mar Baltico, molto trafficato, provenienti da navi vicine e lontane, trivellazioni sottomarine, eventi sismici, onde e persino creature marine. Per evitare ciò, la boa sonar, una volta posizionata, emetterebbe una sequenza di suoni tonali unici a bassa frequenza – simili a quelli emessi da un flauto o da un pianoforte – che verrebbero riconosciuti dal dispositivo di temporizzazione e, dopo un ritardo di ore prestabilito, innescherebbero gli esplosivi. (“Si vuole un segnale abbastanza robusto, in modo che nessun altro segnale possa accidentalmente inviare un impulso che faccia esplodere gli esplosivi”, mi ha detto il dottor Theodore Postol, professore emerito di scienza, tecnologia e politica di sicurezza nazionale al MIT. Postol, che è stato consulente scientifico del capo delle operazioni navali del Pentagono, ha detto che il problema che il gruppo in Norvegia deve affrontare a causa del ritardo di Biden è una questione di probabilità: “Più a lungo gli esplosivi rimangono in acqua, maggiore è il rischio che un segnale casuale possa lanciare le bombe”).

Il 26 settembre 2022, un aereo di sorveglianza P8 della Marina norvegese ha effettuato un volo apparentemente di routine e ha sganciato una boa sonar. Il segnale si diffuse sott’acqua, inizialmente verso Nord Stream 2 e poi verso Nord Stream 1. Poche ore dopo, gli esplosivi C4 ad alta potenza sono stati innescati e tre dei quattro gasdotti sono stati messi fuori uso. Nel giro di pochi minuti, è stato possibile vedere le pozze di gas metano rimaste nelle condutture chiuse diffondersi sulla superficie dell’acqua e il mondo ha capito che era avvenuto qualcosa di irreversibile.

FALLIMENTO

All’indomani dell’attentato all’oleodotto, i media americani l’hanno trattato come un mistero irrisolto. La Russia è stata ripetutamente citata come probabile colpevole, spinta da calcolate fughe di notizie dalla Casa Bianca, ma senza mai stabilire un chiaro motivo per un tale atto di autosabotaggio, al di là della semplice vendetta. Qualche mese dopo, quando è emerso che le autorità russe si erano procurate in sordina i preventivi di spesa per la riparazione degli oleodotti, il New York Times ha descritto la notizia come “complicante le teorie su chi ci fosse dietro” l’attacco. Nessun grande giornale americano ha approfondito le precedenti minacce agli oleodotti avanzate da Biden e dal Sottosegretario di Stato Nuland.

Sebbene non sia mai stato chiaro il motivo per cui la Russia avrebbe cercato di distruggere il proprio lucroso oleodotto, una motivazione più eloquente per l’azione del Presidente è arrivata dal Segretario di Stato Blinken.

In una conferenza stampa dello scorso settembre, Blinken ha parlato delle conseguenze dell’aggravarsi della crisi energetica in Europa occidentale, Blinken ha descritto il momento come potenzialmente positivo:

“È un’opportunità straordinaria per eliminare una volta per tutte la dipendenza dall’energia russa e quindi per togliere a Vladimir Putin la possibilità di armare l’energia come mezzo per portare avanti i suoi progetti imperiali. Questo è molto significativo e offre un’enorme opportunità strategica per gli anni a venire, ma nel frattempo siamo determinati a fare tutto il possibile per assicurarci che le conseguenze di tutto questo non siano sopportate dai cittadini dei nostri Paesi o, se è per questo, di tutto il mondo”.

Più recentemente, Victoria Nuland ha espresso soddisfazione per la scomparsa del più recente dei gasdotti. Alla fine di gennaio, in occasione di un’audizione del Comitato per le Relazioni Estere del Senato, ha dichiarato al senatore Ted Cruz: “Come lei, sono molto soddisfatta, e credo che lo sia anche l’Amministrazione, di sapere che Nord Stream 2 è ora, come lei ama dire, un pezzo di metallo in fondo al mare”.

La fonte ha avuto una visione molto più spicciola della decisione di Biden di sabotare più di 1500 miglia di gasdotto Gazprom all’approssimarsi dell’inverno. “Beh”, ha detto parlando del Presidente, “devo ammettere che il ragazzo ha un paio di palle.  Ha detto che l’avrebbe fatto e l’ha fatto”.

Alla domanda sul perché pensasse che i russi non avessero risposto, ha risposto cinicamente: “Forse vogliono avere la capacità di fare le stesse cose che hanno fatto gli Stati Uniti”.

“Era una bella storia di copertura”, ha proseguito. “Dietro c’era un’operazione segreta che prevedeva la presenza di esperti sul campo e di apparecchiature che funzionavano con un segnale segreto.

“L’unica pecca è stata la decisione di farlo”.

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Ucraina 27a puntata, primi importanti scricchiolii_Con Max Bonelli e Stefano Orsi

La coperta disponibile per le forze armate ucraine comincia a restringersi troppo per poter coprire l’intero fronte. Le difficoltà emergono su numerosi punti di contatto e con esse i primi segnali di sbandamento. Più la situazione tende a sfuggire, tanto più la morsa del regime si stringe sulla propria popolazione e lo scontro politico assume i contorni di una vera e propria faida. La realtà di un regime che ha sempre meno a che fare con gli interessi di un popolo che pretende di rappresentare comincia ad emergere anche tra i più ferventi sostenitori. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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Stati Uniti! Politica nel pallone_con Gianfranco Campa

Improvvisamente, consuetudini tollerate diventano l’occasione e il pretesto per creare non ancora il casus belli, certamente l’ostacolo alla realizzazione di trame ed obbiettivi politici degli avversari. Negli Stati Uniti il caso dell’aerostato vagante è stato lo strumento e l’occasione sollevata ad arte per rimescolare le carte secondo tre linee di riferimento. Ad una componente decisa a condurre il confronto geopolitico ostile contestualmente con la Russia e la Cina si giustappone una componente russofoba ed una sinofoba. Tutte e tre imbevute di un trasporto ideologico che porta spesso a forzare l’interpretazione politica degli atti e conseguentemente il merito degli atti politici. Il tutto in un contesto di opinione pubblica sempre più ostile nei confronti della leadership cinese, ritenuta responsabile del processo di degrado economico e sociale negli Stati Uniti. Una partita a tre che espone sempre più le scelte politiche statunitensi ad una schizofrenia incapace di definire chiaramente le priorità. Una situazione che rischia di trascinare una parte significativa del movimento MAGA verso una deriva neocon suscettibile di ricreare su nuove basi avventuriste i vecchi equilibri interni. Un contesto nel quale sono fondamentali gli intrecci e le interrelazioni esterne di queste fazioni con parte dei centri decisori stranieri. Sempre più labili questi ultimi con quelli russi, ancora significativi e determinanti con quelli cinesi. Il contrasto sul “palloncino” ha per oggetto una contesa su scelte ben più impegnative: il raddoppio delle basi statunitensi nel Pacifico ed una separazione dei legami economici sino-statunitensi il più graduale e meno dirompente possibile per i due paesi. Un intrico della cui complessità rischia di sfuggire il bandolo a qualcuno dei tanti attori protagonisti nello scenario politico interno e geopolitico. Buon e attento ascolto, Giuseppe Germinario

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LA STRATEGIA USA NEL MONDO RACCONTATA DA GEORGE FRIEDMAN NEL 2015 E DA ME NEL 2022, di Antonio de Martini

George Friedman é il miglior analista strategico vivente negli USA, fondatore e direttore per parecchi lustri dell’agenzia STRATFOR che ha offerto i migliori approfondimenti fino a che l’ha diretta personalmente.

Nel 2015 in una conferenza a Chicago, tra esperti, ha spiegato la strategia generale degli Stati Uniti per mantenere l’egemonia mondiale. Ecco in inglese, con sottotitoli in francese, in un filmato You tube estratti della sua visione, mai contestata da alcuno. Lascio a lui il compito della illustrazione dei principi che considero realistica e solidamente fondata.

Una prova di quanto qui detto e previsto é certamente il conflitto ucraino e il successivo atteggiamento americano nei confronti della Unione Europea e della Brexit. Se ne deduce che interpretare correttamente gli avvenimenti e le scelte riguardanti il conflitto ucraino é di importanza vitale per noi e per il futuro del continente.

CAPIRE LE LEZIONI DELLA NUOVA GUERRA UCRAINA

L’alluvione di chiacchiere, sovente mendaci, vanitose o inconcludenti, specie in Italia da parte di coloro che non sono riusciti a collocarsi come esperti di pandemia, ha impedito a una pubblica opinione distratta dall’endemico qualunquismo, di ascoltare le poche considerazioni logiche e a mente fredda sulle ragioni dello scontro, sulle strategie e sulle tattiche impiegate e identificare, distinguendo, quali siano gli interessi rispettivamente degli USA, dell’Europa ( EU) e dell’Italia.

Si naviga a vista, annaspando tra l’etica a buon mercato e la speranza di non essere creduti. Sempre più vero il detto che ” é difficile far capire qualcosa ad un uomo quando il suo stipendio dipende dal non capire.”

Di conseguenza abbiamo i “no war “che si affiancano ai “no vax” e i possibilisti che non comprano più i quotidiani per non farsi imbottire di comunicati – diretti e indiretti- emessi da scarti di leva anche professionale, privi di esperienza militare, digiuni di geografia, di storia e privi di conoscenza delle lingue più utili ( inglese, ucraino e russo), senza quindi accesso diretto alle fonti.

I cattolici, guerrafondai per non perdere il posto in Rai, stati messi in fuori gioco dall’intervento del Papa e i fautori della NATO hanno strillato tanto tempestivamente e tanto in falsetto da far capire a tutti che i ragazzi del coro erano stati istruiti con cura, ma con tonalità da stadio.

Proviamo a mettere ordine nel buio in cui brancoliamo noi italiani ?

GLI ANTEFATTI

Per facilitare la comprensione di fatti e antefatti sfuggiti ai più, ecco qui sotto, a disposizione per consultazione, una serie di links di questo blog ( ma ce ne sono anche altri che mi sono stancato di radunare. Potete cercarli clikkando in alto a sinistra nella finestra ” cerca”) che vi riportano al 2014 e alle omissioni dei media italiani. La crisi era prevista e prevedibile, l’intervento armato russo più volte minacciato. Nessuno se ne é preoccupato. Nessuno ha capito che una guerra in Europa, avrebbe significato la perdita dell’ubi consistam della Unione Europea, diventata l’avatar della NATO.

La disinvolta smentita al primo solenne ” mai più guerre in Europa” pronunziato dal 1945 in poi da ogni singolo politico del continente, implica fatalmente una perdita di credibilità anche dell’altro “ mai più” che in questi giorni riecheggia per ogni dove sulla shoà. Presto tradiranno anche quello.

https://corrieredellacollera.com/2014/02/25/ucraina-prima-pedina-della-teoria-del-domino-o-prova-di-una-nuova-yalta-a-geometria-variabile-di-antonio-de-martini/

https://corrieredellacollera.com/2014/02/28/ucraina-tra-usa-e-russia-con-germania-mezzana-dalla-ribellione-alla-secessione-a-di-antonio-de-martini/

https://corrieredellacollera.com/2014/02/15/la-sfida-usa-russia-per-lucraina-intanto-pagano-i-paesi-brics-con-svalutazioni-selvagge-brasile-india-cina-sud-africa-di-antonio-de-martini/

https://corrieredellacollera.com/2014/03/14/la-russia-riponde-allamerica-con-una-proposta-globale-di-sfruttamento-economico-sostenibile-dellasia-sebastopoli-e-ormai-come-sagunto-ma-questa-volta-io-tifo-per-annibale-di-antonio-de-marti/

https://corrieredellacollera.com/2014/03/02/crisi-ucraina-in-crescendo-per-supplire-alla-impossibilita-militare-di-intervento-n-a-t-o-e-soddisfare-la-fazione-bellicista-di-antonio-de-martini/

https://corrieredellacollera.com/2014/03/08/ancora-su-ucraina-italia-stati-uniti-ma-scomodiamo-carl-schmitt-e-la-grande-bellezza-scegliete-di-antonio-de-martini-e-massimo-morigi/

Le ragioni della scelta del punto di attacco all’impero russo

A) La ragione principale é che l’Ucraina si prestava come zona di scontro ideale per via dell’esistenza di una resistenza ed un odio sordo accumulati durante gli anni della industrializzazione forzata che ha distrutto la piccola proprietà agricola e il latifondo, per dare vita a grandi complessi industriali ormai cadenti; l’esistenza di reduci della guerra mondiale che avevano combattuto con la Wehrmacht e anche con le SS contro l’odiato Stalin (oltre 250.000 uomini, ottocentomila se consideriamo logistica e retrovie), la continuità nel tempo dell’organizzazione Gehlen e dei partigiani nazionalisti, che fornirono subito dopo la concessione dell’indipendenza, una base storica e politica all’aspirazione, legittima, dell’Ucraina ad allontanarsi dalla sua ex potenza coloniale. Meglio avere il padrone a novemila Km da Kiev che a novecento. Il contrasto tra queste due Ucraine ha fornito il brodo di coltura dello scontro cui ha contribuito la generale corruttela del paese, la sua relativa vicinanza a Mosca, gli errori politici di Nikita Krusciov che fece tutta la sua carriera politica come segretario del partito ucraino e che cercò di ammansire gli ucraini con particolari riconoscimenti e annacquare il loro nazionalismo con attribuzioni di territori russofoni ( Crimea e e Donbass ) all’Ucraina con una rettifica delle frontiere verso est immettendo alcuni milioni di russi. Riteneva impensabile una secessione.

Anche il fatto che l’urto militare sia stato iniziato – e maldestramente- dai russi ha giovato alla narrativa propagandistica americana, lungamente preparata e ammirabilmente dispiegata.

B) I rapporti privilegiati dell’URSS ( che fu il primo paese a riconoscere il nuovo stato ebraico) con lo stato di Israele e il via vai creatosi con l’autorizzazione all’emigrazione, rese il paese facilmente permeabile in entrambi i sensi quella frontiera rispetto ad altre ( es il Caucaso) da parte di elementi estranei. Anche la presenza sul territorio ucraino di significative minoranze polacche , rumene e ungheresi facilitavano la creazione di spinte centrifughe.

C) la vicinanza – a partire dal 1990/91- delle frontiere occidentali e segnatamente quella polacca.

D) La riconosciuta validità della “ strategia Schulenburg“, dal nome del capo del “Dipartimento 13” del ministero degli esteri del Reich incaricato di amministrare i territori russi occupati che ha costituito un precedente. Si legga ( editore SugarCo) “Fra Hitler e Stalin” di Hans von Herwarth, segretario di Schulenburg miracolosamente scampato alla forca.

Schulenburg, dopo anni di vita in Russia, dove era nato, elaborò e mise in opera l’idea che “per battere i russi, servono altri russi e ogni guerra alla Russia, per riuscire deve essere trasformata da guerra in guerra civile”. La strategia ebbe successo, tanto che Hitler ne frenò il reclutamento per eccesso di riuscita perché – contrastava con la filosofia nazista degli untermenschen slavi – e, scoperto che Friederik Schulenburg ( e il suo interfaccia militare Claus Von Stauffenberg) erano anche l’anima dell’attentato del 20 luglio 1944 , impiccò tuttifornendo un alibi antinazista postumo agli USA per utilizzare le reti clandestine create durante la guerra dai tedeschi.

In questa mia intervista a un canale you tube di qualche settimana fa, cerco di illustrare la situazione.

n parole povere entrambi i contendenti sul terreno hanno accettato la sfida ed entrambi hanno fallito nella speranza di realizzare vittorie lampo. Siamo allo stallo. Nel primo conflitto mondiale i contendenti impiegarono quattro anni ad accorgersene.Nel secondo i tempi si allungarono per via dell’imposizione della resa senza condizioni che costrinse a combattere fino alla fine. Oggi si cerca di prolungare la guerra fornendo armi e illusioni all’Ucraina, ma evitando il coinvolgimento diretto.

Lo scopo degli USA é provocare un salasso di uomini e denari fatale alla Russia, farla diventare – uso le parole che Winston Churchill pronunziò a proposito nelle rappresaglie provocate dagli inutili attentati del SOE britannico – “ il popolo più odiato d’Europa” con drammatici resoconti di “bombardamenti sulla popolazione inerme” ( che però la propaganda dipinge come intrepido e destinato alla vittoria) e soprattutto – come spiegato da Friedman nel suo video– per scavare un abisso di morti e inimicizia tra la Germania e la Russia che abbinando tecnologie e risorse naturali relegherebbero gli USA a potenza di terza fila.

COSA SUCCEDE ADESSO: L’ALLARGAMENTO?

Nel suo sforzo di far durare la guerra gli USA rischiano di estenderla in direzioni non volute distruggendo quel che resta della Unione Europea, già mutilata della secessionista Gran Bretagna, certamente incoraggiata dal governo d’oltreatlantico. Altri sono pronti a seguire, come il gruppo di Visegrad ( filo britannico, composto da Repubblica Ceca ( che ha appena eletto presidente ìl’ex comandante NATO, Slovacchia, Polonia e l’Ungheria) e l’Italia che litigando con pretesti speciosi con la Francia, tendono a isolare Francia e Germania che sono state il nucleo motore della maldestra costruzione europea che va smantellata per evitare che seguano la Germania nella marcia verso est. Quanto conti l’Europa per gli USA, é dimostrato dall’ormai famoso ” fuck Europe” della plenipotenziaria del Dipartimento di stato, Victoria Nuland intercettata durante la predisposizione del governo filo NATO uscito dalla ” rivolta di piazza Maidan.

Continuare ad alimentare la guerra anche con sole armi e denari, comporta – oltre al pericolo di sfaldamento della coalizione occidentale – il rischio concreto di essere bombardati proprio come é accaduto nei giorni scorsi all’Iran che é apparso – negano, ma non vengono creduti – come il fornitore di armi ( Droni a basso costo e in gran numero per saturare le difese elettroniche) della Russia. Chi la fa, l’aspetti e l’anello più debole della NATO ( siamo chiamati a Bruxelles, ” l’anello di spaghetti”) siamo noi italiani.

Le punzecchiature polemiche di Putin e Medvevdev all’Italia servono a polemizzare senza attaccare la Germania che viene trascinata quasi a forza nel campo occidentale, mentre Svezia e Finlandia , consce di rappresentare un possibile prossimo fronte, hanno di molto raffreddato il loro entusiasmo verso l’adesione alla NATO e hanno inscenato roghi del Corano – e ammesso ufficialmente di finanziare il PKK – per passare la patata bollente del rifiuto a Erdogan che pur di essere protagonista accetta anche parti di ” cattivo”. La Turchia, bastione militare dell’ala destra dello schieramentoNATO, é già ostentatamente neutrale e l’unica che si adopera per trovare scappatoie negoziali. Al pericolo di allargamento dello scontro al contenzioso Serbia-Kosovo, ho dedicato un articolo tre giorni fa. In Israele sono ripresi gli scontri cruenti coi palestinesi e il Papa , quando invoca la cessazione delle ostilità ormai chiede tregua ” su tutti i fronti”.

IL RIDIMENSIONAMENTO USA?

Per parte loro, i russi hanno dato cenno, prima di volontà di prolungamento dello scontro con il reclutamento di 300.000 riservisti, adesso di prepararsi all’allargamento del conflitto con la chiamata alle armi di altri cinquecentomila uomini, ma dettaglio trascurato volutamente dagli occidentali, l’allarme nucleare lo ha dato alle truppe del Pacifico, dando a intendere che mira a rappresaglie casomai verso gli Stati Uniti e non verso l’Europa.

Gli resta da capire che gli USA non possono essere colpiti nel portafoglio, dato che stampano dollari senza limiti, ma che devono essere colpiti nell’immagine e nel prestigio come fece Ben Laden con un attacco nel cuore di Manhattan.

La Marina americana si vanta di essere la regina degli oceani come l’Inghilterra di un tempo, ma non vedo nuovi Nelson all’orizzonte. Il comandante della V flotta USA ( di stanza a Bahrein) si é suicidato di recente e la flotta del Pacifico é in ristrutturazione dopo una serie di incidenti degni della scoperta della tomba di Tutankamon.

Una iniziativa, la meno cruenta possibile, che chiuda il canale di Panama separando flotte e oceani, oppure nello stretto di Hormuz ( golfo persico) che interrompa il 30% dei flussi di greggio del mondo, distruggerebbe la politica dell’embargo e il presto dell’America in uno con le residue speranze di Biden di restare alla Casa Bianca.

SCELTE PER L’EUROPA E L’ITALIA.

Tra una Europa strutturata come oggi e gli USA, credo la scelta di giocare la carta americana sia obbligata, a condizione che sia a fronte di contropartite militari, politiche ed economiche concrete e non promesse all’inglese.. Diversa sarebbe la situazione in cui il direttorio franco tedesco si rendesse conto della necessità di riconoscere l’importanza politica, strategica ed economica di spostare il baricentro verso il sud e il mediterraneo con un ruolo centrale a Italia, Spagna, eTurchia, nonché al Maghreb che secoli di corteggiamento e le presenti risorse minerarie rendono omogeneo con noi.

L’Italia potrebbe intanto dare un segnale di serietà rinunziando da subito all’accordo con Inghilterra e Giappone per progettare l’aero da combattimento del futuro. Che senso ha dire che siamo un paese serio che tiene fede alla parola con gli alleati, quando si progetta “l’aereo del futuro” con due paesi estranei alla UE mentre si progetta contemporaneamente di “diventare l’hub energetico del centro europa? Che senso ha privarsi di una delle cinque( inadeguate e insufficienti) batterie antiaeree con cui dovremmo difendere l’intero territorio italiano per regalarla a un paese che viene bombardato da oltre un anno ( stando a quanto detto dai media)…Che senso ha annunziare previsioni economiche quando si sono sbagliate tutte quelle fatte negli ultimi venti anni? Che senso ha che il Consiglio supremo di Difesa chieda alla NATO un rafforzamento dell’ala sud dell’alleanza quando in contemporanea mandiamo i nostri carri armati nel nord Europa e i nostri aerei in Romania?

Ecco , la nostra presidente del Consiglio Meloni, fa bene a non voler scimmiottare il fascismo, ma dio ci salvi se intende (o intendono?) scimmiottare il ” La guerra continua” di Pietro Badoglio buonanima.

https://corrieredellacollera.com/2023/01/31/la-strategia-usa-nel-mondo-raccontata-da-george-friedman-nel-2015-e-da-me-nel-2022/

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La funzione adattativa della cultura sistemico-complessa ad un mondo sempre più complesso, di Pierluigi Fagan

La funzione adattativa della cultura sistemico-complessa
ad un mondo sempre più’ complesso

di Pierluigi Fagan

Studioso indipendente. Independent scholar.

Sommario

Negli ultimi settanta anni il mondo ha subito una inflazione di complessità. Né le nostre
forme istituzionali, né quelle culturali corrispondono in senso adattivo a questo mutato
scenario. Analizzeremo quindi le necessità di trasformazione delle une e delle altre alla
luce della cultura della complessità e di come questa si riflette sugli “studi sul mondo”.

Parole chiave

Era complessa, cultura della complessità, onto-gnoseologia complessa, mondologia,
adattamento.

Summary

Over the past seventy years, the world has undergone an inflation of complexity.
Neither our social nor cultural forms correspond positively in an adaptive sense to this
changed scenario. We will therefore analyze the transformation needs of both in the
light of the culture of complexity and how this is reflected in ‘world studies’.

Keywords

Complex Age, complexity culture, complex onto-gnoseology, worldology, adaptive
system.

L’invito a partecipare alla riflessione sistemico-complessa di questo numero della rivista
chiedeva di analizzare, in senso critico, le forme del nostro mentale rispetto al “nostro
stare al mondo”. Il mondo è il contesto ultimo, lì dove l’estrema varietà dei vari modi
individuali e collettivi, mentali, comportamentali ed istituzionali, intessuti assieme
(cum-plexus), formano la realtà. Mondo-realtà oggi in sempre più rapida e profonda
trasformazione, evento che impone a tutti i soggetti individuali e collettivi umani, di
verificare il loro adattamento.

La prima edizione dell’Origine delle specie di Darwin (1859) non conteneva il concetto
di “evoluzione”, stante che il termine introdotto poi da Herbert Spencer, era mutuato dal
latino ciceroniano dove aveva il semplice significato di “svolgimento”. Si trattava dello
svolgimento dei due rotoli della pergamena che contenevano testi scritti. Lungo qui
sarebbe ripercorrere le avventure del concetto che da descrittivo è poi diventato

Riflessioni Sistemiche – N° 27 dicembre 2022 55
teleologico, quasi che l’evoluzione fosse una scala di progresso (Gee H., 2016). In
effetti, H. Spencer non fu solo il coniatore del concetto di evoluzione come poi inteso in
biologia evolutiva e più in generale nella nostra immagine di mondo generale, ma anche
quello di progresso (Spencer, H., 2018). Quest’ultimo fu poi assunto nello Zeitgeist
della fine XIX secolo ed inizio XX, come cifra dell’epoca della grande esplosione delle
attività economiche moderne e della affermazione di potenza della modernità
occidentale a guida anglo-britannica.

Ebbe grandi meriti concettuali l’opera di Darwin. Innanzitutto, ponendo il problema del
tempo, del tempo molto lungo. È noto che nella mente di Darwin, i diversi pezzi della
sua nuova immagine di mondo rispetto al problema delle specie, fecero un salto anche
in seguito alle prime scoperte fatte in geologia da Charles Lyell. Il concetto di “tempo”
ai tempi di Darwin era limitato alle verità bibliche, nella versione precisata dai calcoli
del vescovo anglicano James Ussher che tra creazione e contemporaneità di metà
Ottocento, contava poco meno di 6000 anni. Questo era lo spazio mentale del “tempo
del mondo” a metà Ottocento e solo lungo i successivi decenni, a fatica, la geologia lo
allargò sino agli attuali 4,5 miliardi del tempo della Terra e poi la cosmologia agli
attuali 13,8 miliardi di anni dell’Universo.

Nel tempo, e questo è il secondo apporto decisivo dell’Opera dell’inglese, si svolge il
cambiamento. Sembra strano dover sottolineare tale banalità oggi per lo più acquisita,
ma va ricordato quale fosse lo stato della mentalità generale della nostra area culturale,
l’area occidentale, ancora solo un secolo e mezzo fa. La creazione era perfetta, quindi
non aveva alcuna ragione per cambiare. Ci sono due concezioni principali della metrica
del cambiamento: continuo o a salto e Darwin poggiava la sua idea di formazione anche
di strutture molto complesse, ad esempio l’occhio, proprio sulla lunga estensione
temporale e quindi sommatoria di micro-cambiamenti adattivi. Negli anni ’70 invece, in
paleontologia, coi lavori di S. Jay Gould e N. Eldredge, si fa strada la Teoria degli
equilibri punteggiati ovvero improvvisi e radicali cambiamenti ad esempio dei piani
corporei, ove le novità si concentrano su geni strutturali. Salti di strutturazione di un
sistema possono avvenire per cumulo continuato di piccole modifiche, come per
cambiamenti puntiformi di nodi delle reti particolarmente determinanti.

Cambiamento del contesto generale che è il mondo fisico, di cui poi abbiamo scoperto
lentamente la storia fatta di chimica emergente in biologia, ecologia e dipanatasi in un
clima altalenante tra lunghi periodi glaciali e più brevi stagioni miti, tra cui il nostro,
l’Olocene, “solo” 13.000 anni in un tempo di 4,5 miliardi di anni. In questo tapis roulant
sempre in movimento che è il contesto, si ambienta la vita delle specie, da circa 3
milioni di anni anche il nostro genere e da 300.000 anni circa quella della nostra specie
Sapiens. Il vivere invece in grandi forme di vita associata con estranei, la civiltà, conta
poco più di 5/6000 anni. Il gioco dell’esistenza è appunto esistere per un tratto di tempo
nel più generale flusso cangiante del contesto che è il mondo. Noi come individui, come
gruppi informali, come gruppi formali istituzionalizzati, come umanità, assieme a tutte
le altre specie animali e vegetali, adattandoci gli uni con gli altri, come individui e come

Riflessioni Sistemiche – N° 27 dicembre 2022 56
sistemi, e adattandoci tutti al più generale contesto di un mondo in cambiamento fisico-
chimico-termodinamico perenne con moto costante o a volte a salto.

Tempo, cambiamento, adattamento. Questi, tra gli altri, i tre concetti che ci ha portato in
dote il sistema di pensiero di Darwin. Ma come per la “relatività” di Einstein, non
sempre i concetti di un sistema di pensiero o l’intero sistema, in questo caso un sistema
interno al pensiero naturalistico, percolano velocemente ed in maniera precisa
all’interno delle nostre immagini di mondo generali. A volte non percolano affatto, a
volte lo fanno in tempi piuttosto lunghi, asincroni, contrastati, a volte se ne estraggono
concetti che partono con certi significati e nell’interpretazione delle nostre immagini di
mondo dominanti e più ampiamente condivise, prendono significati diversi. Si adattano
anche loro essendo il linguaggio e la sua sottostante trama di significati anch’esso un
sistema nel tempo, in cambiamento adattivo.

Possiamo ora passare alla verifica del “nostro modo di stare al mondo”, rispetto ad un
mondo descritto per tempo, cambiamento e problema adattivo che pone.

Come per il tempo, anche il concetto di mondo andrebbe analizzato criticamente. A
parte segnalare la molto complessa composizione di sfere di sistema tra il nostro ambito
più prossimo (amici-famiglia) e quelle sociali ed istituzionali, varrà la pena sottolineare
un tipico errore di percezione da mentalità occidentale ovvero identificare il mondo col
nostro mondo. Per andar a vie brevi, segnalo solo che tutta l’Unione europea conta
meno del 6% della popolazione mondiale, l’intero Occidente (Europa più Anglosfera)
arriva intorno al 13% del mondo umano nella sua interezza. Tra l’altro il “nostro”
mondo ha sempre crescenti tassi di anzianità e sempre minori tassi di natalità; quindi, va
a contrarsi come peso percentuale nelle previsioni per i prossimi trenta anni. Dovendo
revisionare la nostra percezione di consistenza, dovremmo anche moderare la nostra
sfrenata passione per le dichiarazioni di universalità. Queste, semmai possibili,
richiederebbero quantomeno una minima conoscenza etno-antropo-geostorica e quindi
culturale delle varietà umane sul pianeta. Tendiamo spesso a dire cose anche con una
certa presunzione di verità ultima, pur non avendo mai aperto -ad esempio- il Corano
(1,8 mld di credenti) o ignorando i principi della cultura sinica (anche oltre i cinesi
propriamente detti somma anche altri popoli-culture, ad occhio 1,6-1,7 mld di individui)
o indiana o africana. Tendiamo un po’ troppo spesso a far coincidere il nostro limitato
mondo col mondo esteso e questa errata percezione del contesto non può che generare
immagini di mondo idealistiche, autocentrate e prive di realistico portato adattativo.

Ma veniamo al contesto ultimo a cui dobbiamo adattarci, il mondo nel suo complesso,
in quanto tempo e come è cambiato. Il mondo umano, nei soli ultimi settanta anni, si è
triplicato. Eravamo circa 2,5 miliardi negli anni ’50, oggi siamo secondo gli statistici
delle Nazioni Unite, 8 miliardi a novembre ‘22. Si stima tra 9,3 e 10,0 miliardi al 2050,
ma sulla precisione delle stime c’è inesauribile dibattito (Dorling D., 2021). L’intero
registro della storia umana non nota alcuna triplicazione in soli settanta anni e
comunque mai partendo dalla già rilevante cifra di 2,5 miliardi. Ciò non porti a credere
si voglia qui iniziare un lamento malthusiano sul “siamo troppi”, il problema è lo stile di

vita. Ad esempio, il pianeta basterebbe ed avanzerebbe in termini di spazio e risorse se
vivessimo tutti all’indiana, ce ne vorrebbero cinque se vivessimo tutti all’americana
(Butera F.M., 2021). Poiché sembra difficile poter convincere noi stessi e gli americani
a vivere all’indiana, ma anche convincere gli indiani ed in genere gli asiatici (l’Asia è il
60% della popolazione umana) e poi gli africani a non aspirare all’agio di vita
occidentale per quanto reinterpretata a modo loro, si comincerà anche a capire quale
lungo elenco di problemi adattivi in termini di reciproca convivenza e generale
compatibilità con lo stesso limitato pianeta abbiamo, in questa fase storica.

Non sono solo aumentati gli individui in questa che possiamo definire “grande
inflazione” recente, dove inflazione qui ha il significato che ha in cosmologia, sono
aumentate ovviamente anche tutte le forme istituzionali. Gli stati si sono altresì
triplicati. Da circa 70 ad anni ’50, oggi ne contiamo poco più di 200 all’Assemblea
generale delle Nazioni Unite. Del resto, sono cinquemila anni che in varie forme (regno,
impero, città-Stato, Comune, principato, khanato, califfato e via così) si stabiliscono
domini giuridici, politici ed amministrativi con bordi più o meno precisati e sovranità
interna. Sistemi cioè, noi viviamo in forme associate creando sistemi di diritto oltreché
di fatto (Buckley W., 1998). E lo facciamo per l’ottima ragione che, com’è noto,
l’intero è qualcosa più delle parti (Aristotele, 2000, pag. 387). Infatti, noi ci
adattiamo ai sistemi di vita associata ed usiamo questi come veicoli adattivi. Questi
sistemi sono i nostri riduttori di complessità che danno ordine e prevedibilità, nonché la
“forza” delle unioni. Questa grande esplosione varietale di accompagno alla grande
inflazione umana, oltre agli Stati, ha contato molte altre forme, da quelle delle
organizzazioni multilaterali, le multinazionali, le ONG, le organizzazioni criminali e
molte altre tipologie. Per lasciare sempre una quantificazione del nostro specifico
mondo, l’Europa conta poco meno di un quarto del totale degli stati del mondo (23%),
come detto con ben meno del 10% della popolazione. Se ne deduce un certo nanismo
stato-nazionale, figlio della nostra complessa geostoria. Ma la nostra geostoria che era
ad ambiente interno locale (il nostro sub-continente) per lungo tempo, ha poi
approfittato del resto del mondo con colonie ed imperi, mentre oggi deve trovare forme
di convivenza mondiale con soggetti molto più massivi in un sistema-mondo di vastità
planetaria. Sono dunque amentate di molto le varietà componenti il “sistema umano
planetario” e di conseguenza sono molto aumentate le interrelazioni grazie a nuovi
mezzi e modi di usarli. Nei trasporti, nelle telecomunicazioni, negli scambi di persone,
di idee, di prodotti e servizi, di reciproci investimenti (Vegetti M., 2017).

Infine, e per limitare al canonico “tre” (Johnson N., 2009) l’elenco dell’inventario della
radiografia della “grande inflazione” in breve tempo occorsa a livello umano-planetario,
va segnalato che ormai, in tutto il pianeta, più o meno ogni comunità umana e sempre in
descrizione a grana grossa, organizza la propria attività economica con le forme
moderne. La forma moderna di economica (tecnica-scienza, mercato, capitale) è detta
anche capitalismo ma di capitalismo esiste un numero di definizioni poco minore di
“complessità”, qualche decina abbondante (Ingham G., 2010). Su “modo economico
moderno” si deve considerare la dipendenza delle condizioni iniziali e dal percorso. Le

Riflessioni Sistemiche – N° 27 dicembre 2022 58
condizioni iniziali erano quelle di una isola (l’Inghilterra del XVII secolo, la Gran
Bretagna del XVIII, il Regno Unito del XIX) inizialmente con scarsi cinque milioni di
abitanti, piena di energia fossile (carbone), quindi potente energia a basso costo, del cui
utilizzo ignoravamo limiti ed impatti eco-ambientali, con una certa propensione
all’andare a rapinare genti e risorse altrui in giro per il mondo, con navi, armi a scoppio
ed armi ideologiche non meno potenti. Lo si segnala non per ragioni etico-morali, ma
funzionali, ciò era funzione della viabilità del sistema di economia moderna. Va da sé
che anche in forme mutate, il sistema di economia moderna potenziato dai nostri
avanzamenti tecno-scientifici che però risponde per lo più alla logica interna del sistema
(quindi il profitto ad ogni costo), esteso a grandi parti di un mondo ad 8-10 mld di
persone, con grandi parti di esso che per altro hanno appena cominciato a fare quello
che noi abbiamo fatto per duecento anni e che aspirano, legittimamente, a livelli di
benessere simili ai nostri, crea un irrisolvibile problema adattivo. Tra tutti noi e tra noi
ed il pianeta.

È in ragione di questa appena accennata descrizione dei tempi recenti e logica dei
sistemi che compongono il mondo umano, che vediamo in emersione una
fenomenologia appena un gradino prima del fatidico caos. Che sia problema virologico,
ecologico, climatico, demografico-migratorio, culturale (es: “scontro di civiltà”),
economico, finanziario, valutario, politico interno e politico esterno ovvero il grande
problema delle relazioni internazionali o geopolitico. Con relativo seguito di cascate di
nuovi problemi concettuali, dal mai da noi considerato concetto di “limite”, alle
interdipendenze, alle democrazie in assenza di consapevolezza diffusa e relativa
partecipazione politica, alla salute mentale media, alla dogmatica sulla “crescita” del
valore economico, allo stress per i treni di perturbazioni (dalla crisi dei mutui subprime
al Covid, dalla guerra attuale alla nuova fase di de-globalizzazione o annunciata grande
guerra tra “democrazie ed autocrazie” promossa dall’attuale amministrazione
americana). Il tutto, quanto a società occidentali, con società allungate da livelli inediti
di vari tipi di diseguaglianze (Innerarity D., 2022). Siamo al compiersi di una parabola
di modernità alla fine della quale sembra noi non sia più in grado di immaginare il
“dopo che si fa?”, prorogando ormai da qualche decennio, il precario utilizzo del
prefisso “post…”. Un lungo funerale del moderno che non riesce a voltare pagina.

Potremmo dire, in sintesi, che il mondo oggi è di una complessità cresciuta
enormemente in poco tempo, le nostre forme sociali ed istituzionali provengono da un
passato molto meno complesso e così le nostre immagini di mondo. Tempo ristretto,
cambiamento vasto e profondo, adattamento problematico. La diagnosi è quindi
semplice: severo rischio di disadattamento all’Era complessa. Prima di preoccuparci
dell’universo mondo dispensando consigli agli altri sette miliardi di condomini planetari
dovremmo forse cominciare dal mettere ordine al nostro sistema, concreto e mentale,
poiché il rischio disadattivo è prevalentemente nostro visto che gli ultimi quattro secoli
ci hanno visto in posizione dominante. La stessa nostra credibilità a discutere con gli
altri condomini planetari è fortemente intrisa di sfiducia nei confronti della nostra onestà

Riflessioni Sistemiche – N° 27 dicembre 2022 59
intellettuale e delle stesse nostre intenzioni (Mahbubani K., 2019). Nelle comunità la
reputazione conta.

L’invito che mi è stato fatto a partecipare alle riflessioni di questo numero della rivista,
chiedeva altresì di mostrare come quanto detto criticamente a proposito del mondo, si
riflette nel mio lavoro di studio, che è ciò che ho fatto sull’oggetto “mondo” in questi
anni. Per farlo dovremo prima inquadrare più precisamente quella che qui chiamo
“cultura complessa”, poi vedere come applicarla agli studi sul mondo.

Dal mio punto di vista la cultura sistemico-complessa è una onto-gnoseologia. È una
ontologia in quanto si tratta di inquadrare a priori ogni oggetto del discorso (ed ogni
discorrente e ricevente del discorso o co-dialogante) come un sistema, parti in
interrelazione che creano un qualcosa che ha coerenza interna maggiore di quanto si
abbia con l’esterno. Esterno che è fatto da altri sistemi con cui si hanno interrelazioni e
che più in generale si può anche dire contesto o ambiente. Non solo le interrelazioni e
relative interdipendenze tra sistemi sono importanti e modificanti, ma anche quella più
generale col contesto. Da qui l’importanza del concetto di adattamento o viabilità
direbbe Ernst von Glasersfeld (1995). Ogni sistema ha una storia, un tempo. Varietà
(parti, meglio se varie nella loro comparazione relativa), interrelazioni (ad una, due,
molte vie, rientranti o meno, portanti segnali lineari o non lineari, feedback, ricorsività
etc.), sistemi maggiori che nascono dall’interrelazione tra sistemi minori, tempo (breve
medio-lungo), queste le coordinate di una ontologia sistemica.

Tale apriori, applicato al mondo concreto, non mostra eccezioni di corrispondenza
ovvero tutto può esser descritto come un sistema. Non abbiamo idee chiare sul livello
primo, semmai esista (il livello micro, precedente i quark), o del livello ultimo (uno o
più universi e varie problematiche della sua/loro definizione spazio-temporale), ma tutto
ciò che sta in mezzo, risponde a questa descrizione sistemica. Che siano quark che
fanno adroni o adroni ed elettroni che fanno atomi o atomi che fanno molecole o
molecole che fanno qualsiasi altra cosa, minerale, gassosa, liquida, vegetale, animale,
umano-sociale, dalla goccia d’acqua agli ammassi di galassie, tutto risponde ad una
descrizione sistemica. Vale per il mondo materiale, ma vale anche per quello ideale dai
caratteri agli alfabeti, le lingue, le idee, i concetti, i paradigmi, le teorie, le ideologie, le
credenze, i discorsi, le immagini di mondo, le culture che nel tempo diventano
tradizioni. Nonché i nostri vari tipi di istituzioni sociali. Lo stesso nostro
cervello/mente, l’organo adattivo per eccellenza, è fatto di varietà e sistemi neuronali
collegati a breve (dendriti) ed a lungo (assoni), con molte strutture a rientro (feedback)
su cui viaggiano segnali elettrochimici, nel contesto corporeo e sociale, cambiando nel
tempo.

Come credo molti ben sanno tra coloro che condividono questa impostazione, fertile e
distintiva è questa forma di inquadramento degli enti. Evita l’eccessiva semplificazione
(riduzionismo) che non è dote di natura del mondo sebbene sia spesso richiesta specifica
della nostra povera mente che cerca di catturarla, mostra la pluralità di strati emergenti
costitutiva tutti i sistemi-enti, immunizza dell’eccesso di aspettativa di precisione

Riflessioni Sistemiche – N° 27 dicembre 2022 60
definitoria (determinismo), dinamizza l’essere, convoca la relazioni come ingrediente
primo dell’essere stesso, le interdipendenze, porta a leggere il testo col contesto, il
diretto e l’indiretto, la grana fine e la grana grossa, i limiti che le cose hanno (tutte), al
contempo le aperture sempre presenti in ogni presunta chiusura, il relativo al posto del
sempre vagheggiato assoluto, il tempo, quindi il cambiamento nelle sue varie metriche,
l’imperativo adattivo e molto altro.

Se questa è la breve definizione dell’ontologia, studio delle forme dell’ente in generale,
la gnoseologia attingerà più direttamente al grande sviluppo del pensiero complesso. Il
termine “gnoseologia” non è molto usato, si usa in genere epistemologia. Lunga e
complicata la storia del perché il secondo termine che è restrittivo rispetto al primo, è
l’unico ad esser usato. Non la possiamo qui sviluppare, diremo solo che dipende molto
dalla logica delle immagini di mondo tipicamente anglosassoni che sono dominanti in
Occidente. Le forme di conoscenza umane (gnosi) sono ben più ampie delle sole forme
di conoscenza scientifica (episteme), quindi se epistemologia alla fine è una filosofia
della scienza, gnoseologia è la riflessione sulle forme di conoscenza non solo scientifica
ma anche umano-sociale ed umanistiche.

In gnoseologia complessa, si usano ovviamente logiche di deduzione ed induzione, ma
anche spesso di abduzione (Bonfantini M., 1987). Le forme duali di categorizzazione
saranno plurali e non solo dialettiche nel senso neoplatonico-hegeliano. Il sistema
categoriale andrebbe analizzato a parte rivedendo le sistematizzazioni date da Aristotele
e Kant, ma particolar rilievo avrà il concetto di “relazione” che modifica
dinamizzandolo il concetto di ente al suo interno e nel suo rapporto con l’esterno.
Ampio lo sciame dei concetti trovati nell’indagine sistemico-complessa degli ultimi
settanta anni. A puro titolo di esempio citiamo: emergenza, auto-organizzazione, non
linearità, strutture ricorsive, dipendenza dalle condizioni iniziali e dal percorso,
approssimazione statistica, vari principi di indeterminazione etc.

Un aspetto specifico è decisivo soprattutto quando inquadriamo oggetti molto grandi e
complessi come “uomo” o “mondo”. Si tratta del necessario sviluppo di una seconda
forma di conoscenza accanto a quella verticale delle discipline e delle sotto-
specializzazioni delle varie discipline tipica del moderno, una forma orizzontale che
unisce più discipline tra loro (interdisciplinare), le attraversa (transdisciplinare), ne usa
più d’una al contempo per indagare l’oggetto (multidisciplinare). Le due forme,
specialismo-verticale e generalismo-orizzontale, sono legate da un principio di
indeterminazione per cui la prima va più vicino agli oggetti ma ha difficoltà ad
inquadrarli nell’insieme e nei rapporti col contesto, la seconda pagherà in precisione
avvantaggiandosi però dell’ampiezza di inquadratura. Anche se questa seconda, in
fondo, usa al contempo tutti i guadagni specifici delle varie specifiche discipline e non è
solo uno sfocato “olismo”. Proveniamo da almeno quattro secoli di sviluppo della
conoscenza mono-disciplinare e la forma multi-inter-transdisciplinare è ancora tutta da
sviluppare, provare e correggere, formalizzare creando tradizioni di metodo, corpo
teorico stratificato, nuovi concetti e sintesi di sintesi. Lascia francamente sbigottiti il

Riflessioni Sistemiche – N° 27 dicembre 2022 61
nostro attuale metodo di studio del mondo. Economisti che scorporano l’economico
dall’ambiente si alternano ad ecologhi esperti di ambiente ma non di economico, che
sopravvengono ad analisti politici che sanno tutto del dentro gli Stati ma niente di
politica internazionale così come i secondi nulla sanno degli oggetti e fenomeni che
studiano gli altri. Analisi di entità non ambientate in geografia, non pesate con
demografia, con nessuna conoscenza geostorica o geoeconomica, ignara almeno dei
contorni delle principali culture e mentalità del mondo, incluso almeno un minimo di
storia del pensiero religioso che tanta importanza ha ancora nella composizione delle
immagini di mondo non europee. Così c’è sembrato che il mondo fosse un unico grande
mercato globale imponendoci le totali aperture dei mercati delle merci, dei servizi e del
lavoro quando dominava il sacerdote economico. Poi abbiamo scoperto che ciò sta
rendendo parimenti ricca una parte del mondo diversa dalla nostra, una parte che
minaccia di chiederci di partecipare a pari grado almeno nelle definizioni e gestioni dei
regolamenti del mondo. Cosa che non ci conviene. Allora ecco che con un ribaltamento
sconcertante la globalizzazione stile WTO è archiviata e con essa i sacerdoti economici,
è il momento dei dai sacerdoti geopolitici che ci istruiscono sulle insidie minacciose
dell’eterno conflitto di potenza. Da Smith siamo retrocessi ad Hobbes. Con breve
intermezzo degli inquietanti sacerdoti virologici. Avevamo di recente appena
cominciato a prestare orecchio ai lamenti dei sacerdoti ecologico-climatici (dopo averli
ignorati per decenni), ma ecco che quelli economici ci avvertono che ora è il momento
di tornare a scavare ed usare carbone perché il nostro fornitore di gas in Europa è
diventato un “nemico”. Adattarsi all’era complessa con questa confusione nell’area
della conoscenza, per non parlare della sua distribuzione e condivisione, non sembra
proprio alla nostra portata.

L’adattamento al mondo cambiato e che cambia non può che richiedere un adeguamento
delle immagini di mondo e queste rispondono primariamente all’inquadramento degli
enti (ontologia) e le modalità con cui tentiamo di conoscerli (gnoseologia).

Per chiudere questo breve auto-esame della cultura sistemico-complessa sarà utile dire
qualcosa sulla sua breve e recente storia. Non è forse un caso che tale forma mentale si è
andata sviluppando praticamente in corrispondenza con la “grande inflazione” umana,
sociale e politica, degli ultimi settanta anni (McNeill J.R., 2018). Cambia il mondo,
cambia il nostro modo di osservarlo prima che di viverlo. I due fondamenti teorici che
più di altri si riconoscono tali provengono da un biologo teoretico, Ludwig von
Bertalanffy quanto a Teoria Generale dei Sistemi (2004) e da un fisico matematico,
Norbert Wiener, quanto alla Cibernetica (2001). Il metodo pluridisciplinare, già
teorizzato come necessario da Bertalanffy, si manifesta nelle famose Conference Macy
dove il primo set di concetti contamina antropologia, psicologia, economia, sociologia
oltreché biologia e fisica. La cibernetica sarà poi la base dello sviluppo di ricerca in
scienze cognitive fino ai progetti di Artificial Intelligence, a vari tipi di modellizzazioni
(automi informatici). La matematica della complessità diventa geometria (frattali),
teoria del caos, fisica computazionale, network e reti. Ingegneria, urbanistica, teorie
dell’organizzazione e quindi management ne sono fortemente attratte. Abbiamo prime

Riflessioni Sistemiche – N° 27 dicembre 2022 62
ricezioni in psicologia (Piaget) a cui seguono quelle in sociologia (Luhmann), che
comunque nasce sistemica già di suo. Anche la linguistica nasce come sistemica anche
se, per via di altre vicende, verrà poi identificata con il concetto di struttura. Gli studi
storici si arricchiscono del contributo epistemico della scuola francese delle Annales, in
pratica fondazione della geo-storia (Braudel F., 1988) coi suoi fenomeni di “lunga
durata”. Stranamente impermeabili risultano l’economia ed in parte la stessa filosofia.
Esistono oggi studi e sviluppi di economia delle complessità (Hidalgo C., 2016) ma si è
dovuto attendere la lunga sequenza di fallimenti teorico-pratici recenti (bolle, crisi
mutui subprime, crisi della crescita, disordini da globalizzazione), prima che la ricerca
cercasse di capire cosa evidentemente non aveva capito del suo oggetto di studio. A
partire dalla surreale definizione di “uomo economico” (Hirschman A.O., 2011) che è
però base di tutto lo sviluppo successivo delle teorie principali dal campo. L’economia è
oggi la disciplina dal più forte connotato ideologico essendo le sue pratiche ciò che
ordina i nostri sistemi di vita associata, da qui la resistenza teorica all’auto-revisione con
fissazione dogmatica come sempre avviene quando un sistema è recalcitrante al
cambiamento. Quanto alla filosofia il discorso è ovviamente molto complesso in sé.
Diremo solo che il grande lavoro di Edgar Morin (1977-2004), non ha al momento più
di tanto figliato in senso sistemico-complesso generale. Ma qui dovrebbe intervenire
una più specifica analisi della crisi storica che investe il “pensiero che pensa sé stesso”
(Aristotele, 2000), forse già dalla seconda metà del XIX secolo. La teoria del paradigma
di T. Khun (1969-99), nel campo delle immagini di mondo generali, porta a pensare
molto idonea l’idea di poter dare questo ruolo al concetto sistemico/complesso.
Sociologia della conoscenza e politica (a vari livelli) sono però sistemi di attrito che
condizionano lo sviluppo di nuove forme di immagini di mondo.

Come si vede, la stessa cultura della complessità è un fenomeno emergente, come se la
complessità intrinseca del mondo, dei suoi oggetti, dei suoi fenomeni, del nostro
sguardo individuale e collettivo, fosse un modo di esser dell’ontologia generale che però
le nostre forme storiche di pensiero hanno per lungo tempo evitato di riconoscere,
semplificandole. Almeno fino a che la “complessità” del mondo non ha cominciato ad
esplodere nella recente “grande inflazione”.

Su questo ultimo punto, mi permetto una breve osservazione sulla differenza tra
complicato e complesso. Personalmente, credo che ripetere questa differenziazione per
cercar di comunicare all’esterno il campo del pensiero sistemico-complesso, renda la
questione più complicata del necessario, in senso occamiano. Dal mio punto di vista,
semplicemente “tutto” è complesso visto che l’ontologia, che è filosofia prima, è
sistemica in senso universale. Al suo interno si potranno avere differenti gradi quali
quelli che per comodità chiamiamo “semplici” e quelli più prevedibili ed ordinati che
chiamiamo “complicati”. Ma poiché l’impianto complesso, essendo una onto-
gnoseologia, afferisce alle forme fondamentali del pensiero umano che poi si estrinseca
in immagine di mondo che applichiamo all’immensa varietà di oggetti e fenomeni del
mondo, dell’essere umano, della relazione tra uomo (individuale ed associato, mentale e
materiale) e mondo (fisico, biologico, sociale, politico), converrebbe darlo come

Riflessioni Sistemiche – N° 27 dicembre 2022 63
paradigma generale (in senso kuhniano) e trattare le altre come regioni specifiche
piuttosto che chiedere ai pensanti di domandarsi se e quando applicare l’impianto
complesso, quando quello complicato o quando quello semplificato quasi avessimo un
intero armadio di abiti mentali da scegliere secondo occasione ed umore. La mente
umana non funziona così, l’immagine di mondo ha un paradigma centrale che per lungo
tempo ha orientato alla “semplificazione” mentre oggi, in termini adattivi, è richiesto
l’orientamento alla complessità. Il complesso è nativo dell’ambito della vita, quindi
dalla biologia in su. Ma lo è altrettanto della chimica (Kauffman S., 2005), disciplina
che ha avuto purtroppo pochi epistemologi (Bencivenga-Giuliani, 2014) che ne
vantassero la mitologia specifica che invece è ricchissima ed assai istruttiva di cos’è la
complessità del reale a livelli molto basici ed universali. Per non parlare di quanta
complessità emerge obiettivamente dalla fisica (Gell-Mann M., 1996). È il paradigma
dell’immagine di mondo settata sui principi del XIX secolo basati sulla Rivoluzione
industriale (le “macchine”), a sua volta figlia della meccanica newtoniana e coordinato
con i principi dell’economia moderna, che va relativizzato. Meglio allora fare la
rivoluzione paradigmatica fino in fondo e stabilire che il sistema mentale legge
complessità ovunque ed egli stesso ne dovrebbe assumere forme e principi stante che il
singolo oggetto più complesso che conosciamo è proprio il cervello/mente umano
(Tononi G., 2014).

Nel mio specifico campo di studio che è una forma di geopolitica complessa che diventa
nei fatti una nuova disciplina, la mondologia, applico quindi di default l’ontologia
sistemica che siano Stati o sistemi regionali o sistemi economici e valutari, culturali o
quant’altro. Ne leggo l’ambientazione geografica. Ne debbo però anche leggere la
sostanza in geografia umana che spesso è demografia: quanto grandi o piccoli, con
quante e quali fasce di età, con quale momento dinamico (anzianità, natalità) etc. Per
evitare la trappola determinista-riduzionista è bene poi ricordarsi che gli umani
interpretano le condizioni date in geografia in molti modi da cui la geostoria specifica
dei vari popoli o aree continentali o subcontinentali. Così per la geoeconomia che oltre
ai grandi concetti sfocati come “globalizzazione” impone la conoscenza di minima del
suo numero-peso-misura generale. Questo quanto a “geo” (Cerreti-Marconi-Sellari,
2019). Quanto a “polis”, va da sé la necessaria conoscenza delle metriche di politica
estera ed internazionale, ma non meno quella delle varie politiche interne che
condizionano le scelte di politica estera dei decisori. Se non proprio l’impossibile
conoscenza di tutto ciò, almeno il possesso di buone mappe sul dove andar a reperire le
informazioni necessarie all’analisi specifica. Il conflitto tra attori nel mondo può spesso
prender forme belliche; quindi, nozioni di militare e strategia (polemologia) sono
necessari. Ovvia la necessità di conoscere più nello specifico le forme economiche,
finanziarie, valutarie dell’unità metodologica base che per il campo è lo Stato, per “n”
Stati e loro interrelazioni. Così per le necessarie nozioni aggiornate in campo
tecnologico, a sua volta oggi in grande accelerazione che impatta militare ed economia,
ma spesso anche sociologia e politica. Poiché però la sostanza dell’unità metodologica

Riflessioni Sistemiche – N° 27 dicembre 2022 64
statale sono gli umani, occorre conoscere anche le principali forme delle varie culture.
La nostra ignoranza dell’Asia (60% del mondo umano) o dell’Africa (sarà il 25% nel
2050) è vasta e profonda. Infine, poiché lo scenario è il mondo, non si può prescindere
da considerazioni ambientali, ecologiche, climatiche stante che queste scienze sono
giovani, i loro consolidati sono ancora incerti e precari, la loro sensibilità agli interessi
dominanti e sfidanti massima, la loro complessità intrinseca altrettanto alta. Impossibile
iniziare un dibattito in questi campi se non si accetta per convenzione una comune
logica abduttiva. Tutto questo lo abbiamo dato ad elenco, ma va messo a sistema
facendo interferire i vari saperi tra loro, conoscendo anche gli statuti epistemologici
delle varie discipline che ci forniscono idee e modi di organizzarle oltreché i famosi
“dati”, con loro impostazioni sempre criticabili e rivedibili. Se l’avalutatività weberiana
è un miraggio, occorrerà però star ben attenti a non abusare di tagli ideologici a priori
(politici, filosofici o anche solo epistemici di questa o quella disciplina) che distorcono
la nostra percezione del mondo nel suo complesso.

Se questo è l’oggetto mondo ovvero “spazio” va ricordato anche il suo “tempo”.
Sempre settanta anni fa circa, nasceva una nuova disciplina che è la futurologia (Gidley
J.M., 2017). Questa è una disciplina vera e propria, con sue cattedre universitarie,
metodo, letteratura, dibattito epistemico. Cercar di prevedere i corsi principali di
sviluppo del cambiamento complesso del mondo è sempre più necessario, se non altro
come ipotesi abduttive. Più o meno quello che oggi sappiamo sul cambiamento
climatico, lo sapevamo anche negli anni Ottanta. Avessimo allora preso sul serio queste
conoscenze, avremmo avuto quaranta anni per spalmare gli interventi di adeguamento.
Ora ci rimangono per lo più quelli di mitigazione degli effetti irreversibili. Il mondo è
diventato un sistema denso occorre prevederne gli andamenti per rilasciare nel tempo
azioni di cambiamento adattativo. In un mondo così complesso, quando si manifestano i
problemi è sempre troppo tardi per risolverli.

Il fine di tutto ciò, di questa richiesta nuova “mondologia”, è l’adattamento all’era
complessa. Il concetto di adattamento in biologia prevede una lotteria di copiatura con
errore e ricombinazione genica da cui scaturirebbe la novità che può poi diventare
elemento adattativo che si espande nelle popolazioni tramite riproduzione. A livello di
specie umana, già da tempo si studia l’adattamento in termini di novità culturale che
porta poi gli umani a trasferirla ai loro sistemi di vita associata (Cavalli Sforza L.L.,
2004). Per altro anche in biologia, si sta tentando di uscire dai dogmi individualistici,
deterministici e riduzionisti, (Jablonka E., Lamb M.J., 2007), inserendo la complessità
epigenetica ed il ruolo delle popolazioni, dei livelli emergenti che dal genoma porta
all’individuo o al gruppo, plasticità e selezione multilivello, biologia dello sviluppo etc.
Conseguente è stata la comparsa, ad esempio, del concetto di “costruzione di nicchia”
ovvero non solo l’accettazione passiva, l’adeguamento per autotrasformazione al dettato
del contesto cui adattarsi. In logica adattiva, molte specie cambiano il proprio ambiente,
la nostra più di tutte le altre, modificando i nostri modi di pensare ed agire, ma anche i
sistemi istituzionali in cui viviamo e l’ambiente stesso cui dovremmo adattarci. Queste
auspicate trasformazioni intenzionali richiedono oggi, senza eccezioni, di saper dove

Riflessioni Sistemiche – N° 27 dicembre 2022 65
metter le mani. Siamo passati dal credere che l’ordine del mondo avesse garanzie
divine, per poi affidarci alla “mano invisibile” del mercato, sarà il caso di diventare un
po’ meno infantili, consapevoli e responsabili.

La grande inflazione degli ultimi settanta anni, oltretutto generatrice di metriche
accelerate a cascate sempre più intrecciate di fenomeni inusuali, ci dice che il contesto è
e sta cambiando profondamente. Dovremmo cambiare anche il nostro modo di stare al
mondo. Ma prima dobbiamo forse cambiare il modo con cui pensiamo di conoscere il
mondo ed il modo con cui pensiamo di progettare non solo i meccanismi ma anche i
sistemi sociali ed istituzionali, le interrelazioni economiche, sociali e politiche che
fanno il nostro modo di stare al mondo. Progettare qui significa curare le “condizioni di
possibilità”. In metafora, un po’ meno ingegneria, un po’ più agricoltura. Portare la
cultura sistemico-complessa a candidarsi come paradigma subentrante il razionalismo
modernista che nacque in altro tempo e condizione del mondo, è forse la via politica più
utile e saggia per evitare la lunga sequenza di catastrofi cui saremo destinati (Servigne
et alt., 2020) se non saremo in grado di rimanere al di qua del caos che si prospetta con
il serio rischio di fallimento adattivo.

Bibliografia

Aristotele, 2000. Metafisica. Bompiani-RCS, Milano.

Bencivenga E., Giuliani, A. 2014. Filosofia chimica. Editori Riuniti Roma.

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Braudel F., 1988. La dinamica del capitalismo. Il Mulino, Bologna.

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Butera F.M., 2021. Affrontare la complessità. Edizioni Ambiente Milano.

Cavalli Sforza L.L. 2004. L’evoluzione della cultura. Codice edizioni Torino.

Cerreti C., Marconi M., Sellari P., 2019. Spazi e poteri. Geografia politica, geografia
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Darwin C., 2006. L’origine delle specie, 1859. Edizione Bollati Boringhieri, Torino.

Dorling D., Rallentare, 2021. Raffaele Cortina editore, Milano.

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Innerarity D. 2022. Una teoria della democrazia complessa. Castelvecchi, Roma.

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Il ritorno della guerra industriale, di Alex Veršinin

L’Occidente può ancora fornire l’arsenale della democrazia?

La guerra in Ucraina ha dimostrato che l’era della guerra industriale è ancora qui. Il massiccio consumo di attrezzature, veicoli e munizioni richiede una base industriale su larga scala per il rifornimento: la quantità ha ancora una qualità propria. Il combattimento su vasta scala ha contrapposto 250.000 soldati ucraini, insieme a 450.000 soldati cittadini recentemente mobilitati, contro circa 200.000 truppe russe e separatiste . Lo sforzo per armare, nutrire e rifornire questi eserciti è un compito immane. Il rifornimento di munizioni è particolarmente oneroso. Per l’Ucraina, ad aggravare questo compito ci sono le capacità russe di incendi profondi, che prendono di mira l’industria militare ucraina e le reti di trasporto in tutta la profondità del paese. Anche l’esercito russo ha subito transfrontalieri attacchi e atti di sabotaggio ucraini , ma su scala minore. Il tasso di consumo di munizioni e attrezzature in Ucraina può essere sostenuto solo da una base industriale su larga scala.

Questa realtà dovrebbe essere un monito concreto per i paesi occidentali, che hanno ridimensionato la capacità industriale militare e sacrificato scala ed efficacia per l’efficienza. Questa strategia si basa su ipotesi errate sul futuro della guerra ed è stata influenzata sia dalla cultura burocratica dei governi occidentali sia dall’eredità di conflitti a bassa intensità. Attualmente, l’Occidente potrebbe non avere la capacità industriale per combattere una guerra su larga scala . Se il governo degli Stati Uniti sta pianificando di diventare ancora una volta l’ arsenale della democrazia , allora le capacità esistenti della base militare-industriale degli Stati Uniti e le ipotesi fondamentali che ne hanno guidato lo sviluppo devono essere riesaminate.

Stima del consumo di munizioni

Non sono disponibili dati esatti sul consumo di munizioni per il conflitto Russia-Ucraina. Nessuno dei due governi pubblica dati, ma una stima del consumo di munizioni russo può essere calcolata utilizzando i dati ufficiali sulle missioni di fuoco forniti dal Ministero della

Difesa russo durante il suo briefing quotidiano.

Numero di missioni antincendio quotidiane russe, 19-31 maggio

Sebbene questi numeri mescolino razzi tattici con artiglieria convenzionale a guscio duro, non è irragionevole presumere che un terzo di queste missioni sia stato lanciato da truppe missilistiche perché formano un terzo della forza di artiglieria di una brigata di fucilieri motorizzati, con altri due battaglioni che sono tubi artiglieria. Ciò suggerisce 390 missioni giornaliere sparate dall’artiglieria a tubo. Ogni colpo di artiglieria a tubo è condotto da una batteria di sei cannoni in totale. Tuttavia, è probabile che i guasti durante il combattimento e la manutenzione riducano questo numero a quattro. Con quattro cannoni per batteria e quattro colpi per cannone, l’artiglieria a tubo spara circa 6.240 colpi al giorno. Possiamo stimare un ulteriore spreco del 15% per i proiettili posizionati a terra ma abbandonati quando la batteria si è mossa in fretta, i proiettili distrutti dagli attacchi ucraini sui depositi di munizioni o i proiettili sparati ma non segnalati ai livelli di comando superiori. Questo numero arriva fino a 7.176 colpi di artiglieria al giorno. Va notato che il Ministero della Difesa russo riporta solo missioni di fuoco da parte delle forze della Federazione Russa. Questi non includono le formazioni delle repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk, che sono trattate come paesi diversi. I numeri non sono perfetti, ma anche se sono inferiori del 50%, ciò non cambia comunque la sfida logistica complessiva.

La capacità della base industriale dell’Occidente

Il vincitore in una guerra prolungata tra due potenze alla pari si basa ancora su quale parte ha la base industriale più forte. Un paese deve avere la capacità produttiva per costruire enormi quantità di munizioni o avere altre industrie manifatturiere che possono essere rapidamente convertite alla produzione di munizioni. Sfortunatamente, l’Occidente sembra non avere più nessuno dei due.

Attualmente, gli Stati Uniti stanno riducendo le scorte di munizioni di artiglieria. Nel 2020, gli acquisti di munizioni di artiglieria sono diminuiti del 36% a 425 milioni di dollari . Nel 2022, il piano è di ridurre la spesa per i colpi di artiglieria da 155 mm a 174 milioni di dollari. Ciò equivale a 75.357 colpi “stupidi” di base M795 per l’artiglieria regolare, 1.400 colpi XM1113 per l’M777 e 1.046 colpi XM1113 per i cannoni di artiglieria rotonda estesa. Infine, ci sono $ 75 milioni dedicati alle munizioni a guida di precisione Excalibur che costano $ 176K per round, per un totale di 426 round. In breve, la produzione annuale di artiglieria statunitense durerebbe nel migliore dei casi solo da 10 giorni a due settimane di combattimento in Ucraina. Se la stima iniziale dei proiettili russi sparati fosse superiore del 50%, estenderebbe l’artiglieria fornita solo per tre settimane.

Gli Stati Uniti non sono l’unico paese ad affrontare questa sfida. In un recente gioco di guerra che ha coinvolto forze statunitensi, britanniche e francesi, le forze britanniche hanno esaurito le scorte nazionali di munizioni critiche dopo otto giorni .

Sfortunatamente, questo non è solo il caso dell’artiglieria. Giavellotti anticarro e Stinger di difesa aerea sono nella stessa barca. Gli Stati Uniti hanno spedito 7.000 missili Javelin all’Ucraina , circa un terzo delle sue scorte, con altre spedizioni in arrivo. Lockheed Martin produce circa 2.100 missili all’anno, anche se questo numero potrebbe salire a 4.000 in pochi anni. L’Ucraina afferma di utilizzare 500 missili Javelin ogni giorno.

La spesa per missili da crociera e missili balistici da teatro è altrettanto massiccia. I russi hanno lanciato tra 1.100 e 2.100 missili . attualmente Gli Stati Uniti acquistano 110 missili da crociera PRISM, 500 JASSM e 60 Tomahawk all’anno, il che significa che in tre mesi di combattimento, la Russia ha bruciato quattro volte la produzione annuale di missili degli Stati Uniti. Il tasso di produzione russo può solo essere stimato. La Russia ha iniziato la produzione di missili nel 2015 in tirature iniziali limitate, e anche nel 2016 le corse di produzione sono state stimate a 47 missili . Ciò significa che aveva solo da cinque a sei anni di produzione su vasta scala.

 

Se la competizione tra autocrazie e democrazie è davvero entrata in una fase militare, allora l’arsenale della democrazia deve migliorare radicalmente il suo approccio alla produzione di materiale in tempo di guerra

La scorta iniziale nel febbraio 2022 è sconosciuta, ma considerando le spese e l’obbligo di trattenere scorte sostanziali in caso di guerra con la NATO, è improbabile che i russi siano preoccupati. In effetti, sembrano avere abbastanza per spendere missili da crociera a livello operativo su obiettivi tattici . L’ipotesi che ci siano 4.000 missili da crociera e balistici nell’inventario russo non è irragionevole. Questa produzione probabilmente aumenterà nonostante le sanzioni occidentali. Ad aprile, ODK Saturn, che produce motori missilistici Kalibr, ha annunciato ulteriori 500 posti di lavoro . Ciò suggerisce che anche in questo campo l’Occidente ha solo parità con la Russia.

Ipotesi sbagliate

Il primo presupposto chiave sul futuro del combattimento è che le armi a guida di precisione ridurranno il consumo complessivo di munizioni richiedendo un solo colpo per distruggere il bersaglio. La guerra in Ucraina sta sfidando questa ipotesi. Molti sistemi di fuoco indiretto “stupidi” stanno raggiungendo una grande precisione senza una guida di precisione, e tuttavia il consumo complessivo di munizioni è enorme. Parte del problema è che la digitalizzazione delle mappe globali, combinata con una massiccia proliferazione di droni, consente la geolocalizzazione e il targeting con maggiore precisione, con prove video che dimostrano la capacità di mettere a segno colpi di primo impatto con fuochi indiretti.

Il secondo presupposto cruciale è che l’industria può essere attivata e disattivata a piacimento. Questo modo di pensare è stato importato dal settore degli affari e si è diffuso attraverso la cultura del governo statunitense. Nel settore civile, i clienti possono aumentare o diminuire i loro ordini. Il produttore può essere danneggiato da un calo degli ordini, ma raramente tale calo è catastrofico perché di solito ci sono più consumatori e le perdite possono essere ripartite tra i consumatori. Sfortunatamente, questo non funziona per gli acquisti militari. C’è solo un cliente negli Stati Uniti per i proiettili di artiglieria: i militari. Una volta che gli ordini diminuiscono, il produttore deve chiudere le linee di produzione per tagliare i costi per rimanere in attività. Le piccole imprese potrebbero chiudere del tutto. Generare nuova capacità è molto impegnativo, soprattutto perché è rimasta così poca capacità produttiva da cui attingere lavoratori qualificati. Ciò è particolarmente impegnativo perché molti vecchi sistemi di produzione di armamenti richiedono molta manodopera al punto da essere praticamente costruiti a mano e ci vuole molto tempo per addestrare una nuova forza lavoro. I problemi della catena di approvvigionamento sono anche problematici perché i sottocomponenti possono essere prodotti da un subappaltatore che cessa l’attività, con perdita di ordini o riattrezzature per altri clienti o che fa affidamento su parti dall’estero, possibilmente da un paese ostile.

Il quasi monopolio della Cina sui materiali delle terre rare è una sfida ovvia qui. La produzione di missili Stinger non sarà completata fino al 2026, in parte a causa della carenza di componenti . statunitensi I rapporti sulla base industriale della difesa hanno chiarito che aumentare la produzione in tempo di guerra può essere difficile, se non impossibile, a causa dei problemi della catena di approvvigionamento e della mancanza di personale addestrato a causa del degrado della base manifatturiera statunitense.

Infine, vi è un’ipotesi sui tassi di consumo complessivo di munizioni. Il governo degli Stati Uniti ha sempre minimizzato questo numero. Dall’era del Vietnam ad oggi, le fabbriche di armi leggere si sono ridotte da cinque a una sola. Ciò è stato evidente al culmine della guerra in Iraq , quando gli Stati Uniti hanno iniziato a scarseggiare le munizioni per armi leggere, costringendo il governo degli Stati Uniti ad acquistare munizioni britanniche e israeliane durante la fase iniziale della guerra. Ad un certo punto, gli Stati Uniti dovettero attingere al Vietnam e persino alle scorte di munizioni dell’era della seconda guerra mondiale di . Munizioni calibro 50 per alimentare lo sforzo bellico . Questo è stato in gran parte il risultato di presupposti errati sull’efficacia delle truppe statunitensi. In effetti, il Government Accountability Office ha stimato che ci sono voluti 250.000 colpi per uccidere un ribelle . Fortunatamente per gli Stati Uniti, la loro cultura delle armi ha assicurato che l’industria delle munizioni per armi leggere abbia una componente civile negli Stati Uniti. Questo non è il caso di altri tipi di munizioni, come mostrato in precedenza con i missili Javelin e Stinger. Senza l’accesso alla metodologia del governo, è impossibile capire perché le stime del governo degli Stati Uniti fossero sbagliate, ma c’è il rischio che gli stessi errori siano stati commessi con altri tipi di munizioni.

Conclusione

La guerra in Ucraina dimostra che la guerra tra avversari alla pari o vicini alla pari richiede l’esistenza di una capacità di produzione tecnicamente avanzata, su larga scala, dell’era industriale. L’assalto russo consuma munizioni a tassi che superano di gran lunga le previsioni statunitensi e la produzione di munizioni. Affinché gli Stati Uniti fungano da arsenale della democrazia in difesa dell’Ucraina, è necessario uno sguardo approfondito al modo e alla scala con cui gli Stati Uniti organizzano la propria base industriale. Questa situazione è particolarmente critica perché dietro l’invasione russa c’è la capitale manifatturiera mondiale, la Cina. Mentre gli Stati Uniti iniziano a spendere sempre più scorte per mantenere l’Ucraina in guerra, la Cina non ha ancora fornito alcuna assistenza militare significativa alla Russia. L’Occidente deve presumere che la Cina non permetterà la sconfitta della Russia, soprattutto a causa della mancanza di munizioni. Se la competizione tra autocrazie e democrazie è davvero entrata in una fase militare, allora l’arsenale della democrazia deve prima migliorare radicalmente il suo approccio alla produzione di materiale in tempo di guerra.

Le opinioni espresse in questo Commento sono dell’autore e non rappresentano quelle della RUSI o di qualsiasi altra istituzione.

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Ucraina, il conflitto attraverso le immagini La propaganda 4a puntata Con Max Bonelli

Nella quarta puntata di immagini della guerra ucraina volgeremo l’attenzione ad alcune caratteristiche della propaganda che, nelle circostanze drammatiche di una guerra, assume regolarmente il ruolo principale di comunicazione anche nelle sue forme più paradossali ed estreme. Buona visione, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v28c75u-ucraina-il-conflitto-attraverso-le-immagini-la-propaganda-con-max-bonelli.html

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IMMUNITÁ E GIURISDIZIONE ORDINARIA, di Teodoro Katte Klitsche de la Grange

Nota introduttiva

Questo saggio era stato pubblicato sul n. 1/2003 della rivista
“Palomar”. I problemi che tratta non sono per nulla cambiati. Anzi sono
stati aggravati dalla c.d. “legge Severino” onde è ancora un lavoro per
il ministro Nordio.

 

IMMUNITÁ E GIURISDIZIONE ORDINARIA

  1. È merito – non dei minori – di Berlusconi aver posto, dopo la decisione della Cassazione sul legittimo sospetto, il problema dell’immunità degli organi apicali dello Stato in termini politici concreti e reali – ovvero di potere – ciò che a finire tra Commissioni (parlamentari), leggine, codicilli, causidici, girotondi e “mozioni degli affetti” ha tutto da perdere in chiarezza e importanza. In sostanza le questioni poste dal presidente del Consiglio sono semplici: se le persone preposte o componenti gli organi supremi dello Stato possano essere giudicate, con la conseguenza, possibile, della condanna e detenzione mentre sono in carica. E, correlativamente, se la loro permanenza o rimozione nella carica non sia di competenza esclusiva del corpo elettorale, cioè dell’ “organo” in cui si esercita, primariamente, quella sovranità del popolo, fondamento della Costituzione repubblicana (art. 1).

A sentire il coro che si leva dai girotondi e dalla nomenklatura del centrosinistra, la risposta è semplice: i ladri devono stare in galera. Il che, in concreto, significa che in tale (scomoda) posizione deve stare chi le Procure – e spesso qualche Tribunale – giudicano tale. Il fatto che, forse per caso, ma forse no, i suddetti “ladri” siano coloro che occupano le poltrone da cui hanno da poco allontanato molti dei coristi, non li turba. Evidentemente la maestà della Giustizia è, in questi casi, considerata, la migliore delle derivazioni (nel senso di Pareto) perché copre, col suo ingombro, il più evidente e umano tra i residui: quello di potere, in termini filosofici elevato da Nietzsche a Wille zur macht, e che con saggezza pari all’efficacia dell’espressione il buon senso siciliano ha riassunto nel detto: cumannari è megghiu cà….

A confutare quanto ripetuto dall’opposizione basterebbe, forse, tale constatazione. Ma dato che, indipendentemente da chi occupa certe posizioni di potere, il pensiero politico e costituzionale moderno, praticamente unanime, sostiene proprio il contrario di ciò ch’è urlato “in tondo”, e, in particolare, che quanto è auspicato (per Berlusconi e i suoi sodali, s’intende), è escluso in uno Stato ben ordinato, ci sembra utile ricordarne le ragioni.

  1. A ricercare i motivi per cui un organo sovrano, e chi vi è preposto, sia “protetto” (cioè sia, in misura e modi variabili, sottratto alla giurisdizione) si ha l’imbarazzo della scelta. Si può partire dall’immunità degli organi sovrani, o dal principio politico della democrazia; dalla distinzione dei poteri o dal carattere rappresentativo degli organi (in maggiore o minore misura) immuni.

Prendendo le mosse dal principio (liberale) della distinzione dei poteri, recepito da tutte le Costituzioni borghesi (in caso contrario, non sarebbero liberali), come il potere legislativo non può cassare o riformare sentenze o provvedimenti di Giudici, così quello giudiziario non può intervenire né sulle Camere, né sui loro atti e procedimenti, né sulle persone dei deputati (senza autorizzazione della Camera stessa). La prima costituzione europea moderna, cioè quella francese del 1791, già lo disponeva (titolo III, cap. I, art. 3) prescrivendo che i tribunali non potessero interferire nell’esercizio del potere legislativo né sospendere l’attuazione delle leggi: prescrizioni similari, e quelle sull’immunità dei parlamentari da arresti e processi erano riportate praticamente in tutte le costituzioni europee successive, degli Stati liberali prima e (poi) democratico-liberali. La ragione era semplice e chiara: la libertà politica non sopporta sovrapposizioni e concentrazioni di poteri (o di atti) riconducibili a due funzioni distinte. È per quella altrettanto pericoloso un Parlamento il quale riformi una sentenza o ordini un arresto che un Giudice il quale disapplichi una legge e mandi in carcere un deputato, perché ambedue queste “invasioni” concentrano in un solo potere atti pertinenti a diverse e distinte funzioni. Per cui al principio (liberale) della distinzione dei poteri è connaturale impedire che questi interferiscano tra loro, se non in casi tassativi e limitati (basati sulla distinzione di Montesquieu tra pouvoir de statuer e pouvoir d’empêcher).

Anche se il senso è diverso, dal principio politico democratico si desume la stessa “interdizione”. Qui non viene tanto in rilievo – anche se comunque ha un peso – la circostanza che i giudici, in un ordinamento come il nostro, o, in generale, degli Stati continentali europei, costituiscono un corpo burocratico di funzionari reclutati per concorso, e quindi, per tale carattere, disomogeneo al principio della democrazia, come scrive Carl Schmitt[1], e ripetuto da Berlusconi. Perché una giurisdizione esercitata da magistrati elettivi (come in molti stati U.S.A.) è legittimata dal “popolo” quanto il deputato[2].

Piuttosto in tal caso viene in considerazione, per l’appunto, la contrapposizione tra giudizio di uno o più funzionari, e quello del “popolo” stesso. In fondo l’aveva acutamente notato Machiavelli[3]quando scriveva che “lo accusare uno potente a otto giudici in una repubblica non basta; bisogna che i giudici siano assai, perché i pochi sempre fanno a modo de’ pochi. Tanto che se tali modi vi fussono stati, o i cittadini lo arebbono accusato, vivendo lui male, e per tale mezzo, senza far venire l’esercito spagnolo, arebbono sfogato l’animo loro; o, non vivendo male, non arebbono avuto ardire operargli contro”. Il Segretario fiorentino aveva capito che, in una Repubblica (da intendersi nel caso come una forma costituzionale se non democratica, con elementi di democrazia) un tribunale “ordinario” che giudichi un politico configura un potenziale (ma assai probabile) caso di conflitto costituzionale e, ancor più facilmente, origina un conflitto politico. Perché delle due l’una: o il giudizio del Tribunale è conforme a quello della maggioranza e allora i partigiani dell’eventuale accusato potranno sempre additare come esempio di giustizia estranea all’ordinamento democratico il verdetto di alcuni funzionari su un uomo comunque popolare; o non lo è, e si apre un contrasto, assai più grave, tra la volontà di tutti (o quasi) e il giudizio di pochissimi. Perciò occorre trovare “alcuno modo di accuse contro all’ambizione de’ potenti cittadini”, ovvero una strada che possa evitare i conflitti che la giustizia ordinaria genera quando oggetto del giudizio è un affare (e/o un uomo) politico.

L’impossibilità, in grandi democrazie come quelle moderne, di giudizi nell’areopago, ha determinato che la giustizia “politica” sia normalmente esercitata, con procedure (e da organi speciali) o comunque presenti vistose deroghe od eccezioni agli “ordini” comuni. In genere le Carte costituzionali delle democrazie borghesi prevedono la competenza a giudicare di una seconda Camera (il modello ne è stato la Camera dei Lords inglese) come il Senato U.S.A., o il nostro nello Statuto albertino o quello della Terza Repubblica Francese; ovvero di un giudice speciale (come talvolta le Corti costituzionali); l’esercizio dell’azione penale è riservato ad organi politici (la Camera dei rappresentanti negli U.S.A., o quella dei deputati in Italia; ambedue le camere in Francia nella Costituzione vigente).

Immunità dalla giustizia ordinaria, variamente configurate, accompagnano di solito tali “status” e “ordini” eccezionali[4]; anche le norme definenti i crimini “politici” di solito sono formulate in guisa che l’interprete abbia una certa “discrezionalità” nel determinarne l’ambito[5]. Per cui si può agevolmente constatare come, nelle democrazie moderne, è normale che la giustizia “politica” esercitata su ministri, Capi di Stato, parlamentari e talvolta funzionari, lo sia in forme e procedure extra-ordinem: l’unico connotato comune ai vari ordinamenti, invero, è quello, negativo, di escludere (in tutto o in parte) la competenza dei Tribunali ordinari. Nessuno prevede che ministri, deputati o Capi di Stato possano essere giudicati da una Corte ordinaria con il comune procedimento. In questo può affermarsi che l’intuizione di Machiavelli ha avuto successo. La natura “politica” del processo, delle parti e del suo oggetto (e il suo collegamento con decisioni popolari) prevale sul principio democratico dell’isonomia; il rapporto con la volontà e le scelte popolari è tuttavia, per lo più confermato dal ruolo giudiziario che vengono ad assumere organi politici, spesso legittimati anch’essi democraticamente, perché elettivi.

Alle stesse conclusioni ai può giungere partendo dal principio – e dal concetto – di rappresentanza politica. Questa comporta la distinzione, già chiaramente formulata nella Costituzione francese del 1791 (tit. III, cap. IV, sez. 2, art. 2) in base alla quale non tutti i poteri dello Stato sono rappresentativi, e non tutti i funzionari dello Stato sono dei rappresentanti. L’uno e l’altro sono riservati a uno o pochissimi organi (e loro titolari): il Capo dello Stato, le Camere, il Governo.

Ad esser rappresentata è l’unità politica, intesa come totalità; funzione della rappresentanza è far esistere ed agire la comunità. Senza rappresentanza – o senza l’opposto principio di forma, cioè l’identità – una società politica non può agire. Senza i poteri rappresentativi, che la Costituzione italiana vigente identifica esplicitamente nel Capo dello Stato e nelle Camere, la Repubblica non esisterebbe neppure: ancor meno ciò che non esiste (e viene ad esistenza solo quando c’è una rappresentanza) potrebbe agire. Da una parte, ma con ciò entriamo nel profilo successivo, ciò comporta che coloro che rappresentano (anche se a giudizio di taluni indegnamente) l’unità e la totalità, non possono essere giudicati da chi non è rappresentante, ma esercita soltanto un pouvoir commis; dall’altra che un G.I.P. che ordinasse l’arresto o un Tribunale che condannasse un solo deputato, e più ancora il Capo dello Stato o un congruo numero di parlamentari, decapiterebbe lo Stato, togliendogli – nei casi più gravi – la capacità di agire, e negli altri, influendo sulle decisioni degli organi rappresentativi[6].

L’argomento decisivo per spiegare l’ “immunità” di determinati organi (e dei loro titolari e componenti) è comunque di essere “sovrani”. Senza voler entrare nella tematica della sovranità moderna (cioè della sovranità tout-court) fin dal medioevo è stato individuato un organo (o un soggetto) il quale decideva in ultima istanza; anche prima che il concetto moderno di sovranità fosse elaborato, l’identificazione di tale organo (o soggetto) era assai importante, perché legittimante o meno lo justum bellum[7]. Tale criterio d’identificazione dell’organo “sovrano” era ripetuto spesso nella filosofia e nel diritto pubblico moderno. Era sviluppato da Hobbes e da de Maistre, ma in effetti presente in altri pensatori, tra cui Kant e Locke, in quest’ultimo nella forma negativa dell’impossibilità che vi sia un sovrano laddove una controversia non è decidibile da un’autorità. Corollario della stessa era che non può esistere, in un’unità politica, la compresenza di più poteri “sovrani”. Tra tutti coloro che hanno sostenuto l’impossibilità di concepire più sovrani in un’unità politica, è importante ricordare, per l’estrema chiarezza, il pensiero del giovane Marx, secondo il quale “è proprio del concetto di sovranità che questa non possa avere doppia e addirittura opposta esistenza”, per cui la questione che si pone in concreto è “sovranità del popolo o del monarca”: infatti “se la sovranità esiste nel monarca, è una sciocchezza parlare di una sovranità contraria esistente nel popolo”[8]. Nucleo di tale teoria è che vi è nello Stato un organo (un soggetto) che giudica ma non può essere giudicato da alcuno; che ha “tutti i diritti e nessun dovere (coattivo)”[9].

Marx sintetizzava così in poche parole il profilo più importante del pensiero politico  sulla sovranità: che di (organi o soggetti) sovrani, in una unità politica, ve ne può essere uno solo. Questa è la ragione decisiva per ritenere che se a un altro potere (o soggetto) fosse consentito esercitare una coazione sul sovrano, questo non sarebbe più tale, ma lo sarebbe l’altro. Onde evitare questa “traslatio imperii” (la quale peraltro potrebbe assumere anche moto …pendolare), gli organi sovrani sono sottratti (in tutto o in parte) alla giurisdizione ordinaria. E’ quanto sosteneva (tra gli altri) un Presidente del Consiglio italiano, e fine giurista, come Vittorio Emanuele Orlando, in un saggio di settant’anni orsono. Scriveva infatti: “Che fra gli organi onde lo Stato manifesta la sua volontà e la attua, uno ve ne sia che su tutti gli altri sovrasta, superiorem non recognoscens, e che non potendo appunto ammettere un superiore (chè allora la potestà suprema si trasporterebbe in quest’altro) deve essere sottratto ad ogni giurisdizione e diventa, per ciò stesso, inviolabile ed irresponsabile, è noto[10] (il corsivo è nostro). Analoga spiegazione era stata data da Thomas Hobbes “ Infine, dal fatto che ciascuno dei cittadini sottomette la sua volontà alla volontà di colui che ha il potere supremo sullo Stato, così da non potere usare delle proprie forze contro di lui, segue evidentemente che qualunque cosa costui faccia, non può essere punito[11] (il corsivo è nostro). E alla stessa conclusione si arriva a leggere Bodin: secondo il quale “Le prerogative sovrane devono essere tali da non poter convenire altro che al principe sovrano; se anche i sudditi possono essere partecipi, esse cessano di essere tali” perché “ciò significa che questo, da suo servitore che era, diverrà suo compagno, e così facendo egli rinuncerà alla sovranità; perché la qualifica di sovrano, ossia posto al di sopra di tutti i sudditi, non può convenire a chi di un suo suddito faccia un compagno”[12].

D’altra parte una delle “marques de souvraineté” secondo Bodin non è rendere giustizia, ma giudicare in ultima istanza. Chi giudica in ultima istanza non può – in tutta evidenza – essere utilmente giudicato perché un eventuale giudizio sarebbe comunque sottoposto alla revisione sovrana. Ammettere poi che si possa giudicare in ultima istanza in modo difforme dal sovrano, significa dividere la sovranità. Anche se Bodin viveva agli albori dello Stato moderno, così diverso dall’attuale, si rinviene anche nel suo pensiero la soluzione (negativa) del problema: che cioè, ad essere decisivo, è sempre il giudizio del (popolo) sovrano. E che questo non può essere oggetto di riesame da altri perché, in tal caso non sarebbe più sovrano; o, se altri giudica, il relativo giudizio è ininfluente rispetto a quello del sovrano.

L’immunità, indipendentemente dalla dibattuta questione se ad essere sovrano sia un potere costituito, o il potere costituente, l’organo o il popolo – che, relativamente alla questione qui esaminata, è ininfluente – compete, come sosteneva Orlando, a quell’organo (o organi) apicali, superiorem non recognoscens nell’ordinamento dello Stato. E, come riteneva Santi Romano, relativamente alle immunità parlamentari, “Il fondamento di tutte queste immunità dei senatori e dei deputati è da ricercarsi non soltanto nel bisogno di tutelare il potere legislativo da ogni attentato del potere esecutivo e nella convenienza di non distrarre senza gravi motivi i membri del Parlamento dall’esercizio delle loro funzioni, ma nel principio più generale dell’indipendenza e dell’autonomia delle Camere verso tutti gli altri organi e poteri dello Stato: di tale principio esse costituiscono una delle varie applicazioni o, meglio, una particolare guarentigia”[13]; per cui non costituiscono eccezioni, ma applicazione di un “principio più generale”.

Il pregio di questa concezione, nelle sue varie formulazioni e articolazioni, è di spiegare la ragione dell’immunità per qualsiasi tipo e forma di Stato, indipendentemente dai principi, valori e forme di governo di ciascuno: non è possibile che in uno Stato (ben) ordinato un giudice, anche “supremo”, possa giudicare e condannare un componente dell’organo “sovrano”, sia che si tratti del parlamentare o del Capo dello Stato in una democrazia borghese, del componente del Soviet Supremo in una delle (defunte) democrazie popolari, ovvero del Fürher, Caudillo o Duce in uno Stato fascista o nazista. Se lo fa, ciò significa soltanto che ad essere “sovrano” è il Tribunale e non il Soviet Supremo, il Parlamento, o il Conducator.

Cosa d’altra parte non ignota al diritto pubblico: in talune costituzioni non moderne, l’autorità “suprema” competeva a un organo le cui funzioni originarie (e prevalenti) erano giudiziarie; sviluppando le quali aveva assunto un primato politico. E’ il caso, ad esempio, del Consiglio dei Dieci a Venezia.

  1. A cercare le ragioni (politiche) per cui la regola generale è quella esposta da Orlando e non l’eccezione criticata si ha l’imbarazzo della scelta. Ma il motivo principale è la situazione d’indipendenza in cui deve trovarsi l’organo sovrano, per garantire quella della comunità rappresentata. Senza l’indipendenza da altri poteri, dall’esterno ma anche all’interno, di quello, non è possibile garantirla di questa: e lo stesso vale per la libertà di agire che ne è la prima, necessaria, conseguenza. Un organo dipendente e perciò non libero di agire non è in grado di tutelare l’esistenza della comunità.

In una democrazia politica l’unica dipendenza che quell’organo può avere è verso il popolo, organizzato nel corpo elettorale. Se dipende – in tutto o, verosimilmente, anche solo in parte – da altri (a parte le inidoneità oggettive degli uffici e dei procedimenti giudiziari, aggravate dal non essere legittimati dal suffragio popolare), ciò costituisce una grave vulnus al principio democratico, perché la volontà e la scelta del sovrano sarebbero soggette al consenso di chi da quello non dipende.

In termini politici la soluzione è semplice: vuol dire rispondere alle domande conseguenti all’alternativa di Marx: chi comanda? Il popolo o i Tribunali? La risposta suggerita (anche se talvolta timidamente, e soprattutto indirettamente) è quella che si può ascoltare da (alcuni) esponenti del centrosinistra: se condannato si deve dimettere. Il che significa, in senso proprio ed esplicito, che a decidere chi deve governare non è il corpo elettorale, ma i Tribunali. I quali così vedono riconoscersi un potere di veto  sulle scelte popolari. La seconda alternativa – meno frequentata, e il perché lo si capisce bene – è sostenere che i processi facciano il loro corso, e il condannato, legittimato dai suffragi, rimanga al suo posto. Era la soluzione formulata che un noto giurista come Léon Duguit e sulla quale il nostro Orlando ironizzava: perché la conseguenza sarebbe che il Presidente del Consiglio dovrebbe ricevere gli ambasciatori e i premiers stranieri invece che a Palazzo Chigi, a Rebibbia. Dove presiederebbe anche il Consiglio dei Ministri. La comicità delle conseguenze evidenzia quella della tesi che le presuppone.

La quale, malgrado il protestar contrario, e proprio nella sua formulazione “il condannato dovrebbe dimettersi” manifesta il suo carattere politico, nel senso specifico di “politica di partito” o “politicante”. Perché risponde da un lato alla questione nel senso più comodo per chi si trova in sintonia con certi (e non pochi) uffici  giudiziari; dall’altro, e più importante, ne costituisce la risposta inversa, che a decidere non debba essere il popolo, ma il potere giudiziario. Stravolgendo così sia il principio democratico in modo radicale, sia la governabilità, per il conflitto che genera tra poteri, uno dei quali legittimato dal suffragio e l’altro no.

  1. Insistendo nel considerare la tesi criticata come non strumentale, essa può essere ricondotta al tentativo, tante volte ripetuto, di giuridificare la politica (quindi la sovranità). Anzi di questa tesi, ne costituisce una parte, un paragrafo piccolo perché profondamente incoerente: quello consistente nel giudiziarizzare la politica, diametralmente opposto al carattere peculiare della sovranità: di essere al di là del diritto. Ovvero, in altri termini, di potervi rientrare ma come assoluto. Già tale connotato era stato individuato da Bodin: la sovranità è “il potere assoluto e perpetuo di uno Stato”, rafforzato dal ricordato paragone tra Dio e Sovrano. Kant ne da poi la definizione (giuridicamente) più corretta: colui che “Nello Stato ha verso i sudditi soltanto diritti e nessun dovere (coattivo)” (anche questa analoga alla definizione che da di Dio)[14] e specifica che “non può essere contenuto nella costituzione nessun articolo che renda possibile… a un potere di opporsi a colui che possiede il comando supremo … che renda possibile limitarne il potere” perché “allora non è quello, ma questo il supremo detentore del comando: il che è contraddittorio”[15]. Ora il diritto ha una dimensione relativa: ai soggetti, anche se diversi in diritti, facoltà, obblighi, competono sia situazioni giuridiche attive che passive. A ogni potere corrisponde un obbligo, un dovere o una responsabilità. Il sovrano, in questo senso è l’eccezione che tuttavia rende possibile (anche) la vigenza di un sistema di norme e rapporti formali, attraverso (l’instaurazione e) il mantenimento dell’ordine. L’assolutezza del comando sovrano (e del concetto) ha indotto il costituzionalismo (liberale) a ricercare i sistemi per bilanciarlo con il diritto: tentativo in gran parte riuscito, ma non totalmente, perché è impossibile giuridificare tutto[16]. In fondo proprio a Locke, uno dei “padri” del costituzionalismo moderno, dobbiamo l’affermazione che in certi casi non v’è giudice sulla terra, ma si ha il diritto di appellarsi al cielo: cioè di ribellarsi e risolvere la controversia con la forza. La contraria tesi si fonda sull’illusione che il diritto sia co-estensivo alla politica: che possa regolare tutto, inquadrandola in un sistema di norme applicabili e “calcolabili”. Ma come per la sovranità (e i suoi atti) così non è in tutti i casi più importanti e politicamente decisivi: per esempio la guerra e la pace. Si può prevedere nella Costituzione chi ha il diritto di dichiarare la guerra, e il procedimento relativo, ma non ciò che più conta: l’identificazione del nemico e l’obiettivo politico. Del pari per la pace: la decisione se concluderla – e a quali condizioni – è necessariamente rimessa all’arbitrio del competente potere costituito (che in democrazia risponde verso il corpo elettorale); ma non è certo concepibile prevedere per legge come, quando e con chi concluderla.

Di questa utopia, la giudiziarizzazione è il capitolo più incoerente: perché se non può esistere una legge per i “casi alti” della politica, tantomeno può esistere un Tribunale che giudichi in base a norme  “misurabili” (cioè come ci si aspetta che giudichi). Se, d’altra parte, il Tribunale decidesse (rettamente) applicando norme di diritto comune non è detto che gli effetti del giudizio siano politicamente opportuni; se invece tenendo d’occhio la convenienza politica e non i “sillogismi” giudiziari, tale attività costituirebbe giustizia politica (e non un giudizio “ordinario”), in cui l’aggettivo, com’è noto, prevale sempre sul sostantivo. E non sarebbe così il rimedio auspicato ma – al contrario – inutile e quasi sicuramente dannoso[17]. Che il tutto sia comunque sostenuto ed auspicato non deve meravigliare, perché rientra in quella tendenza prevalente nella sinistra (ma non soltanto di questa) d’immaginare dei modelli di società e/o di Stato ideali e di misurare la realtà in base ai medesimi. Già un simile modo d’agire era stigmatizzato da Machiavelli “E molti si sono immaginati repubbliche e principati che non si sono mai visti e conosciuti essere in vero; perché elli è tanto discosto da come si vive a come si dovrebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si dovrebbe fare, impara piu tosto la ruina che la preservazione sua”.

Perché così si prende a misura della realtà il proprio arbitrio soggettivo e non la ragione oggettiva.

Molto meglio seguire Hegel, il quale, com’è noto oltre a ritenere quello (l’arbitrio) capace solo di gonfiare le teste[18], scriveva che la scienza dello Stato non sia altro “se non il tentativo d’intendere e presentare lo Stato come cosa razionale in se…..deve restar molto lontano dal dover costruire uno Stato come dev’essere” perché “intendere ciò che è, è il compito della filosofia, perché ciò che è, è la ragione”[19]. A prescindere da come (e in che misura) si voglia considerare la “coincidenza” di razionale e reale, è un fatto che nessun ordinamento democratico-liberale prevede che un Tribunale ordinario condanni un Capo dello Stato o di Governo, o anche un parlamentare, come se si trattasse di un caso ordinario, secondo il diritto comune. E compito dell’interprete è di comprenderne le ragioni. Piuttosto che erigere il proprio arbitrio (e i propri interessi) a massima dell’agire universale, è più (umile e)  utile  chiedersi perché l’agire universale è del tutto opposto alle proprie valutazioni soggettive .

Teodoro Klitsche de la Grange

[1] Verfassungslehre, trad. it., Milano 1984, p. 357 ss. 360 ss.

[2] Anche se in tal caso c’è da chiedersi se sia da considerare “popolo” nel senso della democrazia politica, il collegio elettorale che sceglie il giudice o il deputato. Ma il problema ci porterebbe lontano ed               esula dei limiti del presente scritto.

[3] Discorsi I, 7.

[4] Ricordiamo alcune disposizioni costituzionali europee sull’immunità dei parlamentari: art. 26 Cost. francese; art. 46 Cost. tedesca; art. 71 Cost. spagnola; art. 45 Cost. belga.

[5] V. Benjamin Constant, ora in Principi di Politica, Roma 1970, p. 121, secondo il quale la “discrezionalità” e l’istituzione di Tribunali speciali avevano (anche) la funzione di preservarli da tutte le pressioni popolari.

[6] Machiavelli (op. cit.) sostiene che senza quei rimedi straordinari, la conclusione dei conflitti  può essere la chiamata di “forze estranee” cioè degli stranieri. Machiavelli non conosceva il concetto di rappresentanza politica (in nuce nella Riforma, sviluppato poi nei secoli XVII e XVIII), ma quanto prefigura potrebbe ripetersi in un conflitto che veda poteri “commis” contrapposti a quelli rappresentativi, impossibilitati dai primi a funzionare, con un terzo “esterno” che se ne giova.

[7] Già è cennato in S. Tommaso Summa Th., II, II, p. 40, art. 1; è sviluppato nella Tarda Scolastica v. tra gli altri F. Suarez De charitate disp. 13 De bello Sectio II, S. Roberto Bellarmino ora in Scritti politici, Bologna 1950, p. 260.

[8] V. Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, Roma 1983, p. 40.

[9] V. Kant, Die Methaphysik der Sitten, trad. it., Bari 1973, p. 149.

[10] V. E. Orlando Immunità parlamentari ed organi sovrani, Rivista di diritto pubblico,  XXV Roma 1933, ora in Diritto pubblico generale, Milano 1954, p. 487. E prosegue: “circa gli attributi ed i caratteri dell’organo sovrano come furono definiti di sopra, non vi sono gravi difficoltà, quando l’ordinamento ne riconosce ed ammette uno solo: e non importa se questo unico organo sovrano sia, in relazione alle varie forme di governo, una persona fisica (monarchia), o un collegio, e questo sia costituito da componenti di una classe privilegiata o dalla universalità dei cittadini (aristocrazie o democrazie assolute)” e specifica: “Si giustifica pertanto la nostra teoria la quale può riassumersi così: non si può dare organo sovrano senza che esso sia coperto della garanzia della inviolabilità, la quale importa: essere sottratto ad ogni giurisdizione capace di esercitare una coazione fisica sulla persona. Naturalmente, come avviene sempre nel mondo del diritto, questo principio generale deve, nell’applicazione, adattarsi alle manifestazioni concrete della realtà costituzionale, assumendo forme diverse senza però venir mai meno in se stesso”.

Se si tratta di organo collegiale “come sono le assemblee parlamentari, l’inviolabilità fisica non può normalmente porsi se non in via indiretta, attraverso l’inviolabilità dei membri; ma, d’altra parte, non è necessario e sarebbe anzi sconveniente, che questa forma di inviolabilità del collegio nelle persone dei suoi membri fosse così assoluta e così rigida come deve essere in rapporto a una persona fisica”. Per cui “Attraverso tutte queste differenze, per quanto importanti possano essere, è però sempre lo stesso principio che si applica, riaffermando l’inviolabilità  come qualità inseparabile dell’organo sovrano: diritto comune e non diritto di eccezione, poiché deriva per virtù di semplice logica giuridica dalla stessa maniera di essere dell’ordinamento” perché ad essere “rigorosamente esatti” non è tanto che il Parlamento (e gli altri organi sovrani) si sottraggono ad ogni giurisdizione “ ma bensì, che compete ad esso (comprendendo il Re) la giurisdizione suprema e che tale sua qualità sia sufficiente perché possa risolvere senza concorso di un’altra autorità, le questioni della sua prerogativa”, op. cit. p. 495 ss..

[11] De Cive, trad it., Roma 1981, p. 135.

[12] Six livres de la Republique, I, X, trad. it., Torino 1988, pp. 482 e 483 e prosegue “come il gran Dio sovrano non può fare un altro Dio simile a lui, poiché egli è infinito e non vi possono essere due infiniti, come si dimostra secondo ragioni naturali e necessarie, così possiamo dire che quel principe che abbiamo detto essere l’immagine di Dio non può rendere un suddito uguale a se stesso senza con ciò annullare il suo stesso potere”.

[13] Corso di diritto costituzionale, Padova 1928, p. 222.

[14] Op. cit. p. 49.

[15] Op. cit. p. 149-150.

[16] Come scrive De Maistre sul diritto di resistenza “quando si è deciso … che si ha diritto di resistere al potere sovrano … non si è concluso ancora nulla, perché resta da sapere quando può esercitarsi tale diritto, e chi ha il diritto di esercitarlo…” e prosegue “Quale potere nello Stato ha diritto di decidere che è giunto il momento di resistere? Se tale Tribunale preesiste è già parte della sovranità, e contestandone l’altra parte l’annienta. Se non esiste prima, da quale Tribunale questo Tribunale sarà costituito?” Du Pape, lib. II, cap. 2.

[17] Ciò era stato visto distintamente da De Maistre, quando scriveva che in una Costituzione “ Que ce qu’il y a de plus essentiel, de plus intrinsèquement constitutionnel et de véritablement fondamental, n’est j’amais écrit, et même ne saurait l’être” v. Des constitutions politiques Paris 1814 p. 26.

[18] V. Die Phänomenologie des Geistes V, B, C.

[19] Prefazione a Grundlienien der Philosophie des Rechts.

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