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CINA e STATI UNITI, due piani di sicurezza nazionale a confronto_di Giuseppe Germinario

CINA e STATI UNITI, DUE PIANI DI SICUREZZA NAZIONALE A CONFRONTO

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Il dibattito politico-strategico internazionale di quest’ultimo mese si è incentrato quasi esclusivamente sul NSS (National Security Strategy) statunitense. È passato infatti in secondo piano il fatto che anche i governi cinese, nel maggio scorso e  russo, due mesi fa, hanno a loro volta presentato un documento analogo. Il corollario di questa relativa “attenzione” è stato una produzione asfittica di analisi comparate dei tre documenti delle tre principali realtà geopolitiche.

Una disattenzione in qualche modo comprensibile nei riguardi di quello russo, tutto incentrato sulla situazione interna e sulla gestione in particolare delle differenze etniche e di nazionalità presenti nella Federazione Russa. Non che l’amministrazione russa abbia trascurato i temi della coesione sociale, dello sviluppo economico e della diversificazione produttiva interni al paese, della postura geopolitica e della strategia militare. Tutt’altro! Li ha semplicemente esposti in documenti nettamente separati e a se stanti.

Colpisce, invece, l’enfasi all’approccio “olistico” che promana dai due documenti cinese e statunitense, nel primo ostentato e dichiarato continuamente, quasi ossessivamente, nel secondo più sotteso.

Tre impostazioni diverse quindi  che, a loro modo, rivelano tre impostazioni ed urgenze diverse: quella russa, apparentemente più regionale, se così si può parlare di un paese diffuso in quattro continenti, non fosse altro perché assillato fondatamente dalla sicurezza  dei propri confini e confortato ormai da una economia sviluppata  e dinamica che può e potrà contare su risorse proprie addirittura ridondanti.

Le altre due dal carattere esattamente speculare nella loro acuta attenzione alla collocazione geopolitica e al nesso tra politica estera e situazione interna.

Della situazione russa continueremo ad approfondire in altre occasioni.

Il sito, per altro, ha riservato una attenzione costante e originale, sin dalla sua nascita, alla situazione e alle posizioni e tendenze presenti negli Stati Uniti.

L’attuale leadership statunitense, tornata al governo da circa un anno, ma non ancora saldamente al potere, se mai ci riuscirà pienamente e stabilmente, ha compreso il nesso tra la sua insostenibile sovraesposizione internazionale, così poco selettiva, l’approccio universalistico dell’eccezionalismo americano, il globalismo predicato e la allarmante fragilità interna della propria formazione sociale. Una fragilità provocata ed alimentata dalle precedenti leadership al governo, ma detentrici ancora di significative leve di potere, le quali hanno consentito di “parassitare” il proprio paese ad opera di forze esterne di cui sono espressione. Una narrazione, quella di un paese parassitato, per altro poco credibile agli occhi del resto del mondo, con qualche fondamento in situazioni di decadenza imperiale, tesa comunque ad identificare e additare un nemico esterno, anche se, per il momento, di natura diversa rispetto alle narrazioni precedenti e ad additare e delegittimare, pur con buone ragioni, l’avversario politico interno come nemico.

Ne consegue un radicale cambiamento, almeno nelle intenzioni, delle priorità e delle modalità di esercizio dell’impegno politico e di ottenimento dei risultati, quindi, in ordine decrescente:

  1. Difesa ed impermeabilità dei propri confini nazionali ed epurazione degli immigrati illegali e in condizione precaria. Ricostruzione della base industriale del paese fondata sui primati tecnologici dei quali dispone il paese e ripristino su basi nuove della coesione sociale fondata sulla valorizzazione dei ceti produttivi
  2. Delimitazione, nei limiti del possibile, dell’intervento diretto e proattivo e nelle sue più svariate forme al proprio “giardino di casa”, esteso dalla Groenlandia all’America Latina. Dovrebbe essere questo, quindi, lo spazio di confronto più diretto con Russia e Cina, ma in condizioni molto diverse rispetto solo a pochi decenni fa. La Russia e soprattutto la Cina hanno avuto il tempo di tessere importanti relazioni politiche ed economiche con i paesi di quel continente, grazie anche alla “complicità” statunitense nei passati processi di deindustrializzazione di quelle aree; le élites politiche locali non sono più, per altro, di stretta e totale emanazione nordamericana
  3. Il confronto con le maggiori potenze emerse, Cina e Russia, viene, per meglio dire si vorrebbe trasformare in un rapporto di accesa competizione però  di lunga durata e di cooperazione tattica in attesa del riaccumulo delle forze necessarie a sostenere un eventuale confronto aperto
  4. Sussunzione sempre più rigorosa delle strategie e politiche economiche, delle stesse catene di produzione alle strategie politiche, geopolitiche e militari. Di fatto le catene di produzione dei settori strategici devono coinvolgere la sola cerchia dei paesi più fidati, lasciando libero il commercio e le catene di produzione dei soli settori complementari

Da questo la riconsiderazione di una nuova stratificazione del sistema di alleanze, di un ruolo più proattivo, nelle rispettive aree, dei soggetti da aggregare e/o riaggregare, di una qualità diversa delle modalità operative e di esercizio della politica estera, diplomatica, economica e militare.

Tutti propositi e schemi attuativi che prevedono una fase transitiva di scompaginamento del sistema consolidato di relazioni inquadrabile in una definizione particolare e spregiudicata, tipicamente trumpiana, di multilateralismo.

Si osserva curiosamente l’utilizzo di un primo termine comune, il multilateralismo, alle due opzioni strategiche speculari  cinese e statunitense.

L’altro tratto comune a quello cinese, che risalta nella NSS, è la trasformazione della cosiddetta politica di aiuti, legata alla famigerata attività delle ONG,  in quella di investimenti produttivi, a quanto pare anche con forme di compartecipazione delle élites locali nella gestione. L’Africa e l’America Latina sono i continenti maggiormente deputati a ricevere queste attenzioni. Se per i cinesi, la pratica degli investimenti produttivi ed infrastrutturali sono stati sin dall’inizio fondativi delle relazioni economiche, per gli Stati Uniti potrebbe rivelarsi un ritorno al passato remoto, rispetto alle politiche quasi esclusivamente  direttamente finanziarie-predatorie o assistenziali dei tempi recenti. Resteranno da verificare quote, modalità e pretese a svelare le reali intenzioni.

Ci sono, però degli aspetti che in qualche maniera caratterizzano diversamente questi due tratti “comuni”:

  1. Se è vero che la NSS presuppone una iniziale, scompaginante dinamica molecolare e variabile delle relazioni con i singoli paesi, è altrettanto vero che l’obbiettivo dell’attuale leadership statunitense è quello di ricostruire il più rapidamente possibile nuove reti  di alleanze a strutture concentriche con i paesi e le leadership più affini politicamente e culturalmente, il documento parla appunto di civiltà di fatto giustapposte, nella fascia più prossima al centro di gravità. Gli esempi di questa prima fascia sono sicuramente l’AUKUS, l’area della “pax silica” ( Giappone, Olanda, Gran Bretagna, Taiwan in via ufficiosa, Corea del Sud, Singapore, Australia, Emirati Arabi Uniti, Israele e, presumo, Arabia Saudita). Sono paesi, in quest’ultimo caso,  ai quali è riservato il privilegio a vario titolo e grado  della compartecipazione ai grandi progetti strategici economico-scientifici-militari, quali l’intelligenza artificiale e il ciclo di hardware connesso. Sono paesi che sono particolarmente istigati e che sono delegati ad assumere un ruolo di guida periferica e regionale delle gestione della competizione e dello scontro in primo luogo con la Cina, ma sempre sulla base di relazioni primarie strategiche di tipo bilaterale tra il paese capofila, gli Stati Uniti e ciascuno di essi. E sempre con la consapevolezza dell’incertezza e mutevolezza, della diffidenza che caratterizza questa fase di transizione. A sottolineare quanto questa contezza sia ben più radicata di come traspaia nel NSS può essere sufficiente questa rivelazione: il documento del NSS  sottolinea più volte il rischio concreto, a causa delle élites che lo governano e dei conseguenti processi migratori incontrollati, che i paesi dell’Europa e della UE, in particolare i più rilevanti (Regno Unito, Francia, Germania, Italia) cambino di natura e perdano l’impronta specifica della loro civiltà, allontanandole, grazie al prevalere di forze islamiche radicali ormai annidate,  in maniera ostile dagli attuali profondi legami che consentono strette collaborazioni e sinergie anche militari. Due di questi, Regno Unito e Francia, dispongono di arsenale atomico proprio. Ebbene, la Casa Bianca e il Dipartimento della Guerra hanno incaricato il Dipartimento di Stato di preparare un piano di sicurezza entro il 1928 cui seguirà un piano operativo del Pentagono e dei servizi segreti , da completare entro il 1935, che prevede l’utilizzo di un gran numero di forze speciali, già presenti in loco, per sequestrare e rimuovere l’arsenale atomico intero, intanto del Regno Unito. Se ne parlerà più diffusamente in altre occasioni.  A corollario, già adesso gli Stati Uniti stanno limitando pesantemente i visti di accesso dalla Gran Bretagna. Il recente divieto di ingresso negli USA dell’ex commissario UE, Breton, rappresenta un altro indizio della fondatezza di questi propositi
  2. Esiste una seconda fascia, in fase avanzata di formazione, di “alleati” deputati ad essere particolarmente spremuti e spogliati, nella loro doppia funzione di paesi tributari e di paesi di prima linea disposti ad assumere il ruolo suicida ed autolesionista di gestione diretta del confronto militare regionale. I paesi della UE, nella quasi totalità, sono deputati consapevolmente ad immolarsi a questo sacrificio!
  3. La terza fascia è costituita dai terreni di caccia: 1)- l’Africa in particolare, dove sarà possibile una competizione ed un conflitto con non tracimi in uno scontro generalizzato incontrollato, ma con un fattore di ulteriore imprevedibilità rispetto a qualche decennio fa: la presenza di élites locali più indipendenti e consapevoli degli spazi di agibilità offerti dalla presenza di forze multipolari;e le regioni artiche 2)- la regione caucasica, turcomanna (kazaki, ect) ed artica, pericolosamente vicine queste tre ultime ai confini delle potenze competitrici
  4. Una quarta fascia, quella destinata ad assumere un ruolo di comprimari di un mondo multipolare e ad arricchire gli spazi di agibilità ed imprevedibilità, costituita al momento in particolare da India, Turchia, Iran, Brasile(?), interessata a protrarre il più possibile, in questo tendenzialmente più consonanti  con Russia e Cina, una fase di transizione scevra da alleanze politiche rigidamente ben definite

La sottolineatura, sia pure ancora approssimativa di questi quattro punti,  serve a definire meglio i fondamenti culturali, le caratteristiche comuni e le differenze dell’impostazione “olistica” dei due documenti e delle terminologie e degli schemi adottati, ma anche delle “ipocrisie” presenti soprattutto nel documento cinese.

  • Se la natura sottesa, sotto traccia, dell’impostazione olistica del documento statunitense deriva dal fondamento pragmatico-empirico del bagaglio culturale anglosassone, l’impostazione ribadita continuamente  nel documento cinese, deriva dall’attenzione e dall’appartenenza al “tutto” del bagaglio culturale confuciano e dalla schema peculiare del bagaglio comunista di procedere rigorosamente nell’esposizione e nello schema mentale dal generale al particolare. Impostazioni corroborate dalla formazione professionale stessa delle due classi dirigenti e in particolare dei due presidenti
  • La maggiore insistenza, di fatto l’ossessione, che spinge i redattori cinesi ad affermare la dinamica multilaterale di soggetti atomizzati non vincolati specificatamente in alleanze consolidate nasce da una aspirazione, probabilmente al momento genuina, e consapevolezza che un sistema rigido di alleanze, specie in uno schema tripolare, costituisca il prodromo di un conflitto generalizzato catastrofico
  • Il multilateralismo nella accezione cinese consiste in una relazione paritaria tra stati che consenta rapporti compromissori e diplomatici non condizionati da alleanze politico-militari e da identità ideologiche, ma regolati da istituzioni internazionali rette da procedure consensuali. La visione di un paese in espansione che deve alimentare con le esportazioni il suo imponente apparato produttivo industriale e il suo fabbisogno di materie prime ed energetiche da importare. La natura e i limiti dei BRICS sono il prodotto più evidente di questa visione, tipica di una élite libera dai cascami interni di un retaggio imperialistico recente e nutrita, quindi, di una visione progressiva di sviluppo della propria formazione sociale
  • Una visione che induce e funge da supporto  ad una contrapposizione dualistica e semplicistica, di fatto impregnata di ipocrisia, tra le forze positive propugnatrici della globalizzazione foriera di vantaggi comuni e relazioni regolamentate pacifiche, di cui la Cina si pone come paladina e le forze protezionistiche, fautrici di azioni unilaterali e arbitrarie, de stabilizzatrici, impersonate in particolare dagli Stati Uniti. Da qui la riesumazione delle mirabilie della teoria dei vantaggi comparati di Adam Smith che consente di proclamare tutti vincitori nell’agone internazionale. La realtà impone una interpretazione più prosaica del sistema di relazioni di un paese e della sua classe dirigente, la Cina, capace di utilizzare con grande abilità pratiche protezionistiche e aperture di mercato selettive in funzione delle esportazioni e di sfruttare  gli spazi offerti  dal contesto di una globalizzazione alimentata da una classe dirigente statunitense talmente presuntuosa ed accecata dalla propria missione da ritenere possibile il controllo egemonico globale grazie al proprio complesso e sofisticato predominio militare, tecnologico, politico-culturale, finanziario e di direzione manageriale, rinunciando alla propria base produttiva nazionale e ad una sufficiente coesione della propria formazione sociale nazionale. Una dinamica che sta producendo nel mondo nuovi perdenti e nuovi vincitori nonché nuovi squilibri destabilizzanti che non tarderanno a produrre nuovi conflitti e nuove ricomposizioni pur in un quadro tendenziale  di sviluppo medio. Un paese, gli Stati Uniti, che fonda la propria esistenza e predominio su un debito colossale e su una rendita militar finanziaria, e un paese che fonda gran parte della sua potenza detenendo il 40% delle esportazioni mondiali, con tutti gli scompensi che tale attivo comporta e tutte le dipendenze dalle rotte commerciali e dalle basi di estrazione che induce sono entrambi, per il momento a diverso grado, fattori che alimentano nuovi squilibri, contraddizioni e conflitti nonché nuove gerarchie.
  • A leggere tra le righe del documento cinese la nebbia degli enunciati irenici è attraversata ampiamente, anche se in maniera strisciante, dalla luce del realismo di una classe dirigenze che sottolinea il tema del controllo interno flessibile e pone, nello stesso documento,  allo stesso livello il tema della sicurezza e dell’espansione, del controllo e dello sviluppo interno delle attività e delle tecnologie strategiche, del controllo e della sicurezza delle rotte commerciali, della regolamentazione con una propria giurisdizione delle relazioni internazionali specifiche, di una selettiva apertura interna consentita dall’acquisizione sufficiente di potenza e predominio tenologico-finanziario. Anche se sottaciuti, i problemi creati dal procedere difficoltoso della “belt and road”, dal recupero di ingenti crediti ai paesi terzi e delle garanzie draconiane imposte, dalla natura ovviamente interessata degli investimenti infrastrutturali all’estero esistono ed indurranno prima o poi alla accentuazione di politiche di influenza.

Per concludere, ferma restando la diversa natura e qualità delle attuali politiche estere dei due paesi, sono innegabili le affinità presenti nei due documenti. Entrambi colgono il nesso tra politica estera e politica interna, ma uno, quello cinese, per affermarlo pienamente, l’altro per liberarsene e ricostituirlo su nuove basi. Entrambi fautori di una politica listiana (da Friedrich List); per uno, quello statunitense, è una grande novità averla  enunciata  e praticata apertamente e violentemente, piuttosto che in maniera subdola; con dinamiche e condizioni operative diverse dovute ad una realtà espansiva più lineare, quella cinese, e una di arretramento e riassestamento, quella statunitense.

Oltre che per le ragioni culturali già citate, il nesso è apertamente proclamato in quello cinese perché il confronto e scontro politico è più controllato grazie alla fase espansiva del sistema e alla attuale maggiore funzionalità dell’assetto istituzionale, più flessibile di quanto la narrazione occidentale racconti, in grado però di nascondere potenzialmente anche a se stesso per troppo tempo le pecche e le tare; un tema, comunque, ben presente nella dirigenza cinese, sempre più attenta ai criteri di selezione e di verifica dei risultati. E’ presente, ma sottinteso, in quello statunitense preda di un violento scontro politico interno dall’esito incerto  e di un crescente disordine e riassetto  istituzionale.

Gli Stati Uniti, dal canto loro, devono trattare se non risolvere un paradosso ed affrontare un rischio supplementare.

  • Il paradosso è  determinato dagli strumenti disponibili per innescare e realizzare il processo di reindustrializzazione. Parte di questi sono gli stessi che hanno determinato questa situazione e che dovranno essere a loro volta ridimensionati e ricondotti a modalità di controllo e funzioni diverse: i circuiti finanziari e la funzione del dollaro. Un paradosso di per sé, ma anche perché contribuisce a rendere fluida ed instabile la composizione del blocco sociale che sostiene l’attuale amministrazione
  • Il rischio è legato alla parziale consegna, alla porticina lasciata socchiusa, obtorto collo, della gabbia entro cui vivono i propri uccellini, alias i propri alleati. Si sa che gli uccellini abituati in gabbia, difficilmente riescono ad apprezzare il valore della libertà ed approfittare delle opportunità, la porticina socciusa, appunto, di quella gabbia. I paesi europei sono l’esempio più deprimente. Non è detto, però, che le attuali dinamiche interne alla NATO, così oltranziste e legate ad una fazione precisa dello schieramento politico statunitense, non producano una propria nemesi. Qualche uccellino potrebbe tentare l’avventura in proprio.

La Cina, d’altro canto, corre rischi di diversa natura, in primo luogo che sorgano rapidamente altri paesi intenzionati a perseguire, con altri strumenti, le stesse finalità di riorganizzazione e di riequilibrio perseguite dagli Stati Uniti e con questo rimettere in discussione i tempi e le modalità di riequilibrio della postura decisi dalla dirigenza cinese. Il contenzioso che si sta riaprendo nelle aree “periferiche” del mondo potrebbe aprire nuovi spazi in questa direzione.

Per concludere, una visione conciliativa ed irenica di una classe dirigente, pur nella sua probabile ipocrisia, è sostenuta sicuramente dall’humus culturale e dalla tradizione del paese, ma può essere “aggiustata” e capovolta dalle dinamiche geopolitiche esterne suscettibili di cambiare la direzione e ribaltare gli equilibri interni alla stessa classe dirigente.

Una preoccupazione latente nel documento cinese. Una preoccupazione, quindi, di stabilità interna, anch’essa, che accomuna i due paesi, l’uno, la Cina, impegnata a costruire un welfare universale quanto meno carente e discriminatorio al momento, l’altro, gli Stati Uniti, a ricostruire attraverso il tentativo di reindustrializzazione quel ceto medio produttivo indispensabile a garantire dinamismo e coesione. Una preoccupazione mascherata da un trionfalismo da “magnifiche sorti e progressive” tipiche della sicumera statunitense.

Due documenti che annunciano di fatto una progressiva separazione di aree e standard operativi, una competizione accesa e ambiti di cooperazione condizionata, piuttosto che di accordi strategici.