Perché i Paesi arabi sono riluttanti a inviare forze di pace a Gaza?_ di ANDREW KORYBKO

Perché i Paesi arabi sono riluttanti a inviare forze di pace a Gaza?

ANDREW KORYBKO
20 NOV 2023

Il ministro degli Esteri giordano ha detto che ritengono che, così facendo, verrebbero “visti come il nemico”. Da qui si può giungere a due conclusioni: o 1) pensano sinceramente che sarebbero considerati occupanti dai palestinesi; o 2) c’è un secondo fine in gioco che non vogliono rivelare.

Il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi ha dichiarato nel fine settimana che i Paesi arabi non metteranno gli stivali sul terreno a Gaza. Le sue parole esatte sono state le seguenti: “Lasciatemi essere molto chiaro. So che parlo a nome della Giordania, ma avendo discusso la questione con molti, con quasi tutti i nostri fratelli, non ci saranno truppe arabe che andranno a Gaza. Nessuna. Non saremo visti come il nemico”. Nonostante siano solo alcune brevi frasi, Safadi ha rivelato molto sui calcoli dei Paesi arabi riguardo a questo conflitto.

Per cominciare, le sue osservazioni confermano che i Paesi arabi hanno effettivamente discusso questo scenario, ma hanno tutti concordato di non mettere gli stivali sul terreno. Il perché porta al secondo punto: questo insieme di Paesi ritiene che, così facendo, verrebbero “visti come il nemico”. Da qui si può giungere a una delle due conclusioni: o 1) pensano sinceramente che sarebbero considerati occupanti dai palestinesi; o 2) c’è un secondo fine in gioco che non vogliono rivelare.

Per quanto riguarda la prima ipotesi, è possibile che la popolazione locale li veda in questo modo se vengono dispiegati come parte di una forza di pace delle Nazioni Unite che include membri dell’Occidente pro-israeliano, soprattutto se queste truppe abusano dei palestinesi come abusano degli africani e/o li disarmano con la forza in modo che siano indifesi contro Israele. Per quanto riguarda la seconda ipotesi, questi Paesi potrebbero rifiutare l’invio di una forza di pace interamente araba, anche se Gaza lo richiedesse, per paura che eventuali attacchi israeliani possano portare a una guerra più grande a causa di un errore di calcolo.

È questo scenario che probabilmente è il più responsabile della posizione dei Paesi arabi sulla questione. Indipendentemente da qualsiasi autorità possa tentare di parlare a nome dei gazani per richiedere una forza di pace puramente regionale per proteggerli da attacchi non provocati da parte di Israele, queste parti interessate potrebbero comunque rifiutare di inviarne una, poiché potrebbero scommettere che i potenziali costi non valgono i benefici. Dopo tutto, a Israele basterebbe colpire le loro truppe una volta con un pretesto antiterroristico per provocare un’altra crisi.

In realtà, potrebbe anche accadere che le cellule dormienti di Hamas si sveglino nello scenario dell’arrivo di una forza di pace regionale a Gaza e provochino Israele proprio allo scopo di mettere in moto la catena di eventi che potrebbe portare a una tale crisi, che potrebbero poi cercare di sfruttare per portare avanti i loro interessi. I Paesi arabi, alcuni dei quali considerano Hamas inaffidabile a causa dei suoi legami con i Fratelli Musulmani che hanno designato come terroristi, comprensibilmente non vogliono correre questo rischio.

Ciò non significa, tuttavia, che non possano cambiare idea, dal momento che la discussione sulle “garanzie di sicurezza” per Israele e la Palestina, attualmente in corso tra la Russia e la Turchia, potrebbe portare a una soluzione diplomatico-militare creativa se si coinvolgono più parti interessate. Non si può quindi escludere che alcuni Paesi arabi accettino di garantire la sicurezza della Palestina, inviando a tal fine una forza di pace regionale con l’intento di scoraggiare le aggressioni israeliane non provocate.

In questo caso, però, tali forze dovrebbero agire con molta cautela e rimanere in stretto coordinamento con Israele, per evitare lo scenario di cellule dormienti di Hamas che si risvegliano per seminare il caos attraverso attacchi false flag volti a provocare una crisi regionale. Le relazioni pragmatiche tra questi due paesi potrebbero essere interpretate come una presunta prova che le forze arabe sono “occupanti” e quindi presumibilmente costituiscono “obiettivi legittimi”, il che potrebbe portarle a combattere un’insurrezione contro Hamas e i suoi alleati.

Tuttavia, senza una sorta di garanzie di sicurezza credibili, come la presenza di forze alleate sul suo territorio, è molto difficile immaginare come Gaza possa mai essere in grado di scoraggiare un’aggressione israeliana non provocata e di difendersi in caso di aggressione. Questo porta al dilemma per cui la rioccupazione di Gaza da parte di Israele è probabilmente un fatto compiuto, ma nessuno riesce a mettersi d’accordo su cosa fare dopo, perpetuando così per inerzia la suddetta rioccupazione a tempo indeterminato, anche se questo non è ciò che Israele vuole veramente.

Un modo possibile per superare questa situazione di stallo potrebbe essere che la Turchia, il cui leader è allineato con gli alleati dei Fratelli Musulmani di Hamas, assuma la guida di questa futura missione di pace regionale, insieme ad alcuni alleati arabi che la pensano allo stesso modo, come il Qatar e il governo libico riconosciuto dalle Nazioni Unite. La Turchia controllava Gaza durante l’epoca ottomana, mentre i due Paesi arabi precedenti sono guidati da figure che condividono più o meno la stessa visione del mondo di Hamas.

È ancora rischioso, ma le possibilità di successo sono più alte rispetto a quelle che si avrebbero se a prendere l’iniziativa fossero Paesi arabi allineati con Israele, come la Giordania, o con legami speculativamente stretti con l’autoproclamato Stato ebraico, come i sauditi. Quelli allineati con Hamas non sarebbero presi di mira da quel gruppo come potrebbero esserlo questi ultimi, il che riduce la probabilità di provocazioni false flag che portino a una guerra regionale per errore di calcolo. In un modo o nell’altro, è necessario trovare una soluzione a questo dilemma, affinché la Palestina diventi indipendente.

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