Italia e il mondo

La personalità da uomo forte di Trump porta inevitabilmente a bugie e guerra_di Glenn Diesen

La personalità da uomo forte di Trump porta inevitabilmente a bugie e guerra

Prof. Glenn Diesen

Glenn Diesen17 ottobre
 
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L’affermazione di Trump secondo cui il primo ministro Modi avrebbe promesso di porre fine all’acquisto di petrolio russo era ovviamente falsa; in realtà, sembra che non ci sia stata alcuna telefonata tra i due leader. Queste invenzioni, che descrivono i leader mondiali come deferenti nei suoi confronti e pronti a lodare la sua grandezza, costituiscono un modello ricorrente, parallelo al suo approccio militaristico alla pace.

In qualità di presidente di una potenza egemone in declino, Trump è convinto che la debolezza dei suoi predecessori sia stata la causa di tale declino. Trump ha quindi concluso che mostrare forza possa invertire l’erosione del potere americano. Costruendo la propria immagine di uomo forte per eccellenza, presumibilmente rispettato da tutti, si posiziona come l’unico salvatore degli Stati Uniti. L’immagine di un leader potente, deciso e rispettato, in grado di ripristinare il dominio degli Stati Uniti, funziona anche a livello interno per consolidare il sostegno politico e proiettare stabilità durante la difficile transizione del Paese da un ordine internazionale unipolare a uno multipolare. L’opinione pubblica americana sembra disposta a chiudere un occhio o a giustificare la disonestà e le deviazioni morali come il prezzo da pagare per un ritorno alla grandezza.

Il problema principale dell’immagine dell’uomo forte è che alimenta aspettative irrealistiche di un ritorno alla supremazia degli Stati Uniti, invece di adattarsi alle realtà di un mondo multipolare. Il risultato è un modello di inganno e conflitto che alla fine indebolisce, anziché rafforzare, gli Stati Uniti.

Quando l’uomo forte non riesce a costringere i suoi omologhi alla sottomissione, l’unica risorsa è rifugiarsi nella fantasia. In questo mondo immaginario, gli altri leader si pentono delle loro decisioni di non essersi allineati, tremano quando Trump agita il dito, lo ricoprono di complimenti, rendono omaggio agli Stati Uniti e, secondo le parole dello stesso Trump, fanno la fila per “baciargli il culo”. All’interno della bolla trumpiana del cosplay da superpotenza, queste scene di deferenza sono celebrate come segni di un ritorno alla grandezza, ma nel mondo reale la credibilità americana declina e la decadenza si approfondisce. Man mano che il divario tra fantasia e realtà si allarga, Trump diventa sempre più spericolato. Un esempio calzante è rappresentato dalle minacce contro l’India di recidere i legami con la Russia e l’India, che hanno avuto un effetto boomerang spettacolare, poiché il primo ministro Modi si è invece recato in Cina per consolidare le relazioni dell’India con la Russia, la Cina e la SCO.

Le grandi potenze e gli Stati indipendenti non possono semplicemente allinearsi, perché farlo porterebbe inevitabilmente alla loro distruzione o sottomissione. L’obiettivo finale di un aspirante egemone non è quello di conciliare le differenze nel perseguimento di una coesistenza pacifica, ma di sconfiggere le potenze rivali e conquistare gli Stati indipendenti. L’obiettivo del confronto economico con la Cina non è quello di rinegoziare gli accordi commerciali, ma di minare la capacità tecnologica della Cina e contenerla militarmente per ripristinare la supremazia degli Stati Uniti. Lo scopo della guerra per procura contro la Russia non è la pace in termini di ricerca di un nuovo status quo pacifico, ma piuttosto quello di usare gli ucraini e, sempre più, gli europei per dissanguare e indebolire la Russia fino a quando non sarà più in grado di mantenere il suo status di grande potenza. Allo stesso modo, l’obiettivo del confronto con l’Iran non è quello di raggiungere un nuovo accordo nucleare – Teheran ha già accettato tali condizioni in passato – ma di ottenere la capitolazione e il disarmo dell’Iran collegando la questione nucleare alle restrizioni sui missili e alle alleanze regionali. Qualsiasi potenza che ceda anche solo marginalmente alle pressioni degli Stati Uniti si ritrova alla fine in una posizione più debole e vulnerabile, che l’aspirante egemone inevitabilmente sfrutterà. Qualsiasi accordo di pace è quindi, nella migliore delle ipotesi, temporaneo, in quanto rappresenta un’opportunità per riorganizzarsi.

L’India rappresenta un caso interessante, poiché non è una potenza antagonista. Il suo impegno nei confronti del non allineamento rende auspicabili relazioni solide con gli Stati Uniti, ma proprio questo non allineamento richiede una diversificazione strategica per ridurre l’eccessiva dipendenza da Washington. Se l’India fosse persuasa a recidere i legami con altre grandi potenze come la Cina e la Russia, rischierebbe di diventare troppo dipendente dagli Stati Uniti e di essere assorbita in un sistema geopolitico basato sui blocchi. La subordinazione a un impero in declino sarebbe pericolosa, poiché gli Stati Uniti utilizzerebbero prevedibilmente l’India come prima linea contro la Cina e, contemporaneamente, esigerebbero tributi economici e cannibalizzerebbero le industrie indiane nel perseguimento di un rinnovato dominio. In sostanza, l’India deve evitare di diventare un’altra Europa.

L’atteggiamento da uomo forte è più efficace con gli Stati più deboli e dipendenti, come quelli europei, che sono disposti a subordinarsi completamente per preservare l’impegno americano nel continente. Gli Stati europei non hanno la capacità economica, l’autonomia in materia di sicurezza e l’immaginazione politica necessarie per immaginare un mondo multipolare in cui gli Stati Uniti esercitano meno influenza e hanno altre priorità rispetto a una stretta partnership con l’Europa. Di conseguenza, i leader europei sembrano disposti a sacrificare gli interessi nazionali fondamentali per preservare l’unità dell'”Occidente politico” ancora per un po’ di tempo. In privato, possono esprimere disprezzo per Trump; in pubblico, rendono omaggio a “papà” e si mettono diligentemente in fila davanti alla sua scrivania per ricevere elogi o scherni. Tuttavia, questa sottomissione è intrinsecamente temporanea: i leader che ignorano gli interessi nazionali fondamentali vengono, col tempo, spazzati via proprio dalle forze che cercano di sopprimere.

Il mantra della “pace attraverso la forza” può essere tradotto in pace attraverso l’escalation, con il presupposto che l’avversario si siederà al tavolo delle trattative e si sottometterà alle richieste degli Stati Uniti. Tuttavia, le grandi potenze rivali che non hanno alcuna via di fuga risponderanno all’escalation con una reazione reciproca. Le illusioni dell’uomo forte in declino egemonico scateneranno quindi inevitabilmente grandi guerre.

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La coda e il cane_di WS

Chi ha visto il film  “wag  the  dog”   capisce   subito    di  quale   relazione   geopolitica parlerò qui

Ora  questo intervento di Morigi  è stimolante  per parlarne , anzi     meriterebbe pure una  critica   articolata anche  su altri spunti  qui contenuti.

Innanzitutto  però mi si perdoni una  critica formale, perché questo pur eccellente contributo è  poco  leggibile sia per la sua grafia ( il neretto)   che per la sua  stesura senza  stacchi e  per l’ affastellamento di tanti interessanti spunti i quali   tutti  meriterebbero una trattazione più estesa.

 Ragion per cui, premettendo  che  forse    potrei  aver  frainteso   quanto  in esso  volesse  essere  scritto   dall’autore,   di   questi  spunti ne commento brevemente solo quello che mi pare  dovrebbe rappresentare l’essenza di questo articolo,  laddove  cioè solleva      la   relazione  U$A -Israele  con una  similitudine “tripla”:

Biden: netanyau= Alessadro V : Cesare Borgia= Trump: Giulio II 

 La trovo  molto stimolante ma errata .

Innanzitutto perché la vera similitudine dovrebbe essere semplicemente

  Democratici: Sionisti globalisti = Repubblicani : Sionisti israeliani 

 In quanto sia i Democratici e Repubblicani che le due branche del Sionismo sono  rispettiva espressione di due ” partiti unici” : l “americanismo” e il “sionismo” appunto.

E poi perché    nemmeno i termini mi sembrano  esatti.

 Infatti  se Biden e Trump possono essere considerati due papi della ” chiesa americana”, almeno i loro frontmen, Netaniahu è solo un “braccio” del Sionismo , paragonabile   ad un Cesare Borgia, ma  solo in quanto   anch’esso  un “avventurista” , in questo caso  mosso  però anche   dalla visione  “messianica” che pervade da sempre “la destra” del Sionismo.

  E  qui posso garantire che, al contrario   del Borgia, non ci sarà nessuna “rovina personale” per Bibi; semplicemente  “ a tempo debito” sarà “posato” ( per usare, non a  caso ,un termine mafioso) cosa che era già calcolata fin da l’ inizio della “operazione Gaza” .

C’ è  appunto nel sionismo una “cupola”  più efficiente che in quella “americana” e che evita che la “dialettica interna” sfoci mai in qualcosa di realmente  e platealmente “punitivo” per i  membri  perdenti della    tribù; pure per  quelli dannosi.

La “  carità”  interna   alla  “ nota etnia”  è  non solo  molto  forte   ma anche profondamente   astuta nell’ assunto che per   consolidare   la propria tenuta    ed  estendere  il proprio potere   non devono  essere  né  abbandonati,   né  esemplarmente puniti  non solo  gli “incapaci” ma pure i “transfughi”  e perfino  anche i “rinnegati”.

Ad  esempio dopo il 1945  nessuno   dei  nazisti   di  “sangue  ebreo”  fu    realmente punito, nemmeno  chi fu   sempre leale    ad “ Herr H “   e  il “nazismo”  non lo abiurò mai.

  Poi perdipiù  le  due entità : U$A e Israele sono ormai così tanto simbiotiche da mostrarsi sempre di più come una sola entità : U$rael. 

Di questa  si può certamente  definire chi  per stazza  sia “il cane ” e chi ” la coda”, ma mi sembra incontestabile che sia quest’ultima a far ” scodinzolare il cane “.

Trump non è un Giulio II che è andato a “punire” un borgia- netaniahu . Trump è stato solo chiamato a tirare fuori Netaniahu dai pasticci in cui si era cacciato.

 E qui si può discutere solo se “l’ ordine ” sia stato impartito direttamente dalla ” destra sionista” americana che sostiene  sia Netaniahu  che  Trump o dalla cupola sionista tramite la cupola americana in cui essa è  comunque pesantemente presente, e dalla quale comunque Trump è dipendente.

La ” pace di trump” serviva solo   a questo, pur  condito  con un  teatrino in  cui si è cercato di narrare che U$rael ha vinto.

Ma non è una “pace “, è  solo una pausa tra un “round” e il successivo ed è pure discutibile che U$real   questo  round lo abbia realmente vinto.

Certo parecchi “punti”  U$rael li ha segnati, ma al prezzo di  aver  smascherato al mondo  la  complicità  che esso riceve  da lunga  data  da  pressoché tutti   gli  stati   arabi  e sunniti .

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LA PACE DI TRUMP – Campa & GERMINARIO

LA PACE DI TRUMP – Campa & GERMINARIO_Al momento della pubblicazione di questa conversazione è in corso a Sharm el-Sheikh la firma di un memorandum tra oltre venti paesi a garanzia della cessazione delle ostilità e del processo di ricostruzione di Gaza. Non sono presenti, significativamente, i due contendenti del conflitto: Israele e Hamas. Dal numero e dalla qualità dei garanti, difficilmente i due contendenti, a cominciare da Nethanyahu, potranno sfuggire alla morsa di un accordo che potrà cambiare gli equilibri e il peso dei vari paesi di quell’area. Difficile, ma non impossibile. Difficile per il peso politico dei garanti, per la stanchezza dell’esercito israeliano e la relativa vulnerabilità del suo sistema di difesa; non impossibile per l’incertezza dell’esito dello scontro politico negli Stati Uniti e per i tempi stretti di cui dispone l’attuale presidenza statunitense. Un accordo che non tarderà a mettere a nudo la natura e l’evoluzione dei rapporti tra le varie élites del mondo occidentale, i centri di Israele e quelli del Medio Oriente- Un tassello della grande complessità e ambiguità entro la quale si trova ad agire Trump e il suo composito schieramento. Un dato certo permane: l’assenza di una adeguata rappresentanza politica dei palestinesi. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Skyler Adleta: la base di Trump sta perdendo la pazienza?

Dove sta andando il mondo del lavoro organizzato nell’era Trump e nel contesto di radicali cambiamenti tecnologici? Sean M. O’Brien, presidente generale dell’International Brotherhood of Teamsters, si unisce a Oren Cass nell’ultimo episodio di The American Compass Podcast.


Skyler Adleta: la base di Trump sta perdendo la pazienza?

La Nuova Destra rischia di perdere la sua alleanza con la classe operaia.

Skyler Adleta25 settembre∙Post di un ospite
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“Voglio credere nella nuova spinta dei conservatori a rappresentare la classe operaia”, mi ha detto il mio amico Luke verso la fine di una conversazione qualche giorno fa. “Ma”, ha aggiunto, “temo che i conservatori faranno solo quello che i politici hanno fatto alla classe operaia americana per decenni”.

E cos’è?, chiesi.

“Presentano un sacco di mezze misure, si annoiano di noi e alla fine ci fregano tutti”, ha detto.

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Questa conversazione è nata dopo aver detto a Luke che sarei andato a Washington DC alla fine di questo mese. Luke è un artigiano qualificato e abilitato che lavora nel settore edile. Ha votato per Trump nel 2016, Biden nel 2020 e di nuovo per Trump nel 2024. La nostra conversazione riguardava il tentativo di Luke di capire se crede che l’amministrazione Trump porterà cambiamenti significativi per la classe operaia americana.

“A me e a te è sempre stato detto che l’America è il posto più bello del mondo. Che una bella vita è possibile se lavori duro e persegui le cose giuste. Se sei disciplinato e attento, e chissà cosa…” smise di parlare per un attimo e sospirò, “ma non sembra così. E ho la sensazione che tutti questi idioti a Washington e al potere nelle aziende possano fare storie per qualcosa e che gli ingranaggi del potere girino per rispondere alle loro storie. Non sembra che quegli ingranaggi si muovano allo stesso modo, o per niente, per persone come noi. L’accesso diffuso dei colletti blu al Sogno Americano sembra solo un unicorno. Una specie di cosa mitologica. Ma amico, anche solo dire ad alta voce che non credo che il Sogno Americano sia ampiamente raggiungibile per i colletti blu americani mi fa sentire una stronza. E, di solito, gli idioti a Washington e la nobiltà aziendale saranno i primi a dirci che ci stiamo solo lamentando. Che probabilmente stiamo facendo qualcosa di stupido che rende difficile trovare conforto. Ma non è vero.”

Luke ha continuato spiegando che la chiave per qualsiasi partito politico che intenda mantenere un sostegno costante da parte della classe operaia sarà dimostrare di sapere come funziona “la macchina” e di essere disposto a usarla per incoraggiare la mobilità della classe operaia americana “perennemente stagnante”.

“Tu ed io non siamo andati all’università”, ha continuato. “Ogni adulto nella nostra vita ci ha praticamente detto che saremmo morti se non fossimo andati all’università. Ma, a prescindere da qualsiasi motivo, io non ci sono andato. Ma non ho nemmeno bighellonato, né fatto festa, né mi sono comportato come un bambino per un decennio in più. Ho lavorato. Mi sono sposato giovane. Ho messo su famiglia. Ma mi sento come se non mi muovessi.”

Luke e sua moglie hanno due figli e vorrebbero averne un altro, ma sono oberati dai costi dell’assistenza all’infanzia. Vogliono lasciare la loro prima casa, ma i tassi di interesse e i costi degli alloggi sono troppo alti. Ha anche detto che i costi dell’assistenza all’infanzia ostacolerebbero comunque un trasloco, anche se le condizioni del mercato immobiliare fossero favorevoli. Lui e sua moglie vorrebbero anche che lei potesse stare a casa con i bambini, ma hanno sostanzialmente rinunciato a questa prospettiva. Vuole vedere un partito politico che si impegni concretamente per creare un ambiente economico favorevole alla mobilità della classe operaia. Mi ha detto che questo è stato l’unico motivo per cui ha votato per Trump nel 2024. Riteneva che Trump avesse le carte in regola per provare a cambiare lo status quo.

Gli ho chiesto se, in definitiva, le sue frustrazioni derivano dalla sensazione di non essere in grado di fare scelte significative.

“Sì”, disse esitante, continuando a procedere con cautela per paura di sembrare lagnoso o ingrato. “Ho la sensazione che appartenere alla classe operaia nel nostro Paese significhi che al massimo si può vivere in un piccolo ranch con due o, se si è fortunati, tre camere da letto. Tu e tua moglie lavorerete entrambi a tempo pieno e potrete permettervi di avere due figli. Avrete cibo da mangiare e la TV per guardare cazzate. Ma i soldi sono sempre pochi.”

Luke non è insoddisfatto o insoddisfatto di ciò che ha. Ama la sua vita e ama la sua famiglia. Ma vuole offrire alle persone a lui più vicine più opportunità e scelte migliori. Luke teme che l’attuale amministrazione possa essere un po’ ingenua, o miope, nel suo disperato tentativo di creare condizioni di mercato adeguate per la crescita industriale, senza avere un piano per affrontare e potenziare la forza lavoro sottovalutata e impreparata necessaria per capitalizzare su tale crescita. “Sappiamo tutti degli accordi commerciali e dei dazi doganali che stanno arrivando. Ma cosa succederà dopo?”, chiede Luke. “Se si avvicina un'”età dell’oro”, abbiamo bisogno di una leadership politica che comunichi la propria visione per la classe operaia americana. Semplicemente non sembra esserci un piano per preparare i lavoratori americani alla crescita che questi accordi commerciali e i cambiamenti politici sperano di portare”.

Gli ho detto che ero d’accordo, ma che al momento non sembra esserci un piano chiaro sul tavolo. Non che non lo creda possibile , ma che non credo che venga comunicata alla forza lavoro americana una visione coerente per colmare la realtà di un’America deindustrializzata e raggiungere un futuro di reindustrializzazione. Qual è il piano per formare e mobilitare l’enorme forza lavoro necessaria per aumentare drasticamente la capacità industriale americana? Qual è il piano per migliorare la mobilità, affrontare l’alto costo della vita e incoraggiare la crescita familiare per la classe operaia? Certamente una forza lavoro industriale pronta e disponibile è qualcosa che le aziende manifatturiere che aprono un’attività in America desiderano vedere. Non sono preoccupato solo per la mancanza di una visione chiara su come formare la forza lavoro di cui abbiamo bisogno. Temo che stiamo faticando anche solo a costruire i luoghi in cui manderemmo quella forza lavoro, se esistessero. Ad esempio, Luke e io abbiamo discusso dello stato di caos dello stabilimento Intel in costruzione non lontano da dove viviamo. Inizialmente il progetto prometteva di raggiungere un certo livello di operatività entro il 2025. Ora la sua entrata in funzione è stata posticipata al 2030 o forse al 2031 .

“Come diavolo fanno lo Stato e il governo federale a non impazzire per questo?” chiese Luke, menzionando gli ingenti sussidi pubblici di Intel. La prospettiva di posti di lavoro come quelli che sviluppi come la fabbrica Intel offrono a persone come Luke è incredibilmente allettante.

“Se quel progetto fosse completato e aprissero le porte all’assunzione di artigiani come me per diversi dollari in più all’ora di quanto guadagno ora, mi cambierebbe la vita. Qual è il piano per rimettere in carreggiata i tempi di costruzione della fabbrica? E l’attuale fiasco nel tentativo di costruire la struttura in Ohio scoraggerà altri produttori dallo sviluppare qui? Quante illusioni c’erano quando Intel ha firmato quell’accordo con il nostro governo?”, si è lamentato Luke. Politici e burocrati, che potrebbero non comprendere nemmeno i vincoli della costruzione o le sfide amministrative dello sviluppo, stanno liberando miliardi di dollari dei contribuenti e stanno mancando l’obiettivo operativo di sei anni.

Ho detto a Luke che non dovremmo disperare del tutto a questo proposito. Ho accennato al fatto che ci sono esempi di sviluppo manifatturiero attraverso i percorsi del CHIPS Act che stanno dando i loro frutti – come la fabbrica di TSMC in Arizona, ora operativa – ma il fiasco di Intel è un aspetto importante da osservare. Solo perché la politica sta creando l’ambiente per lo sviluppo della produzione in America non significa che dovremmo aspettarci una rinascita manifatturiera improvvisa o graduale. Faremo fatica a costruire strutture e a formare la nostra forza lavoro per un po’. Quindi dovremmo stare attenti a non aspettarci troppa fretta nel realizzare la seconda “età dell’oro” della produzione manifatturiera americana voluta da Trump. Questa realtà potrebbe far sì che la classe operaia come Luke abbia la sensazione che Trump abbia deluso le aspettative quando ha promesso un posto migliore al tavolo delle trattative per i lavoratori americani.

“‘Aspetta solo dieci anni e vedrai’ non era ciò che Trump aveva promesso durante la campagna elettorale”, ha detto Luke, “e guarda, se sarò io quello che finirà per essere stressato nei prossimi dieci o vent’anni affinché i miei figli abbiano una vita più flessibile e prospera una volta che questi cambiamenti daranno i loro frutti, allora così sia. Ma sono stanco dei politici che promettono immediatezza solo per farci sentire degli sciocchi creduloni e troppo ansiosi quando le cose non vanno come dovrebbero”.

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Luke ha anche affermato di essere un grande sostenitore di leggi e programmi che offrano reali e concrete opportunità di scelta alle famiglie lavoratrici. Quando gli ho chiesto esempi di politiche che offrano queste concrete opportunità, ha tirato in ballo la scelta della scuola. Programmi come EdChoice qui in Ohio hanno offerto l’opportunità a persone che altrimenti sarebbero escluse dai distretti scolastici privati ​​o pubblici di qualità, a causa del livello di reddito o del codice postale, di mandare i propri figli in quelle scuole, se lo desiderano. Ma EdChoice è minacciato dalla sentenza di un giudice della contea di Franklin, che ha dichiarato il programma ” incostituzionale “. EdChoice rimarrà attivo in Ohio durante il processo di appello, ma se la sentenza verrà confermata, potrebbe costringere i bambini a tornare in sistemi scolastici che migliaia di genitori ritengono non rappresentino i migliori interessi, la cultura o i desideri delle famiglie locali.

“EdChoice è stata la prima politica pubblica che, secondo me, ha dato a me e alla mia famiglia una libertà immediatamente godibile”, ha detto Luke. “So che è più una questione statale, ma è un esempio del tipo di scelte che il governo può concedere alle famiglie, che rafforzano l’idea che tutto questo sia a nostro favore, e non contro di noi”.

Per Luke e milioni di persone come lui, la preoccupazione è che l’attuale amministrazione si concentri pesantemente sui necessari cambiamenti a livello macroeconomico, necessari per preparare il terreno alla crescita industriale, trascurando invece i necessari cambiamenti a livello micro. Cambiamenti che offrirebbero un miglioramento socioeconomico alla classe di persone a cui continuano a chiedere ulteriore pazienza e che, alla fine, sperano possano stimolare nuove ambizioni industriali negli Stati Uniti. Luke non è certo l’unico tra gli elettori della classe operaia che conosco, sempre più frustrati da quella che percepiscono come parte di un gruppo demografico “truccato”. A cui è stato promesso il mondo se solo si fossero recati alle urne e avessero votato. La maggior parte è consapevole di sé e autoironica; esita a incolpare chiunque tranne se stessa. Ma vogliono anche credere che l’America sia il posto che gli è sempre stato detto che fosse. Un posto dove, se lavori sodo, ami le cose giuste e adotti un certo grado di frugalità nelle tue pratiche finanziarie, allora avrai una reale possibilità di vivere una vita felice e prospera.

A mio avviso, ci sono molte strade politiche che l’amministrazione Trump può intraprendere per risollevare significativamente la classe operaia americana. Un’idea che aiuterebbe direttamente americani come Luke è un sussidio in denaro per le famiglie lavoratrici, come il Family Income Supplemental Credit (o Fisc). A differenza di altri programmi di sussidi in denaro, il Fisc richiede alle famiglie di lavorare per poterne beneficiare. Include una struttura a livelli (800 dollari al mese per figlio a partire dal quinto mese di gravidanza, che scende a 400 dollari al mese dalla nascita ai 6 anni e poi a 250 dollari al mese dai 6 ai 18 anni), un tetto massimo al sussidio non superiore a un dodicesimo del reddito totale dell’anno precedente e una graduale eliminazione man mano che il reddito familiare aumenta. Questo potrebbe aiutare una persona come Luke a permettersi l’asilo nido, a risparmiare per un acconto per una casa e a far crescere la famiglia senza preoccuparsi dell’indigenza.

L’amministrazione Trump potrebbe anche fare di più per affrontare la crisi immobiliare. Trump sta già flirtando con questo concetto dichiarando un’emergenza abitativa nazionale, in seguito alle segnalazioni di una carenza di circa 4 milioni di case negli Stati Uniti. Le rate medie dei mutui sono aumentate del 59% tra il 2020 e il 2023 , poi i tassi di interesse sono schizzati alle stelle e ora molte famiglie della classe operaia americana sentono di non poter reggere il confronto con l’attuale situazione economica. Una legislazione che impedisca alle aziende di accaparrarsi le case come immobili “da investimento” sarebbe un primo passo importante, e probabilmente bipartisan. Anche l’aumento delle agevolazioni fiscali o dei sussidi per chi acquista una prima casa, esenzioni tariffarie temporanee sui materiali da costruzione e normative urbanistiche più flessibili sarebbero d’aiuto. Un altro concetto toccato da Trump è la liberazione di terreni federali per lo sviluppo edilizio. Ci sono molte altre strade creative che possono essere intraprese per affrontare la questione della disponibilità e dell’accessibilità economica delle case, ma resta da vedere cosa faranno l’amministrazione Trump e il Congresso.

In fin dei conti, persone come Luke non sono nichiliste, arrabbiate o antipatriottiche nelle loro lamentele. Sono solo alla disperata ricerca di condizioni che consentano loro di godere appieno delle comodità che derivano dal realizzare il Sogno Americano attraverso il duro lavoro e la partecipazione produttiva agli obiettivi della nostra società e della nostra economia. Se i Repubblicani vogliono essere il partito che garantisce queste condizioni alla classe operaia, devono impegnarsi con altrettanta dedizione nell’affrontare le preoccupazioni reali, a livello di tavola, così come nel creare condizioni di mercato che riportino l’industria sul suolo americano.

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Un post ospite diSkyler AdletaCattolico / Scritti su politica, cultura, industria, ecc. / Elettricista / Responsabile di progetti edili / Marito e padre

Stati Uniti: il fondo sovrano di Trump Con Chiara Nalli e Marco Pugliese

Su Italia e il Mondo: Si Parla del fondo sovrano istituito da Trump. Una tappa importante del tentativo avviato da Trump di ricostruzione dell’economia industriale statunitense.
Se ne parla sulla base di un articolo apparso su www.italiaeilmondo.com: https://italiaeilmondo.com/2025/08/24/come-un-fondo-sovrano-potrebbe-reindustrializzare-lamerica-di-julius-krein/_Giuseppe Germinario

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Charlie Kirk e la violenza politica: negli Usa è iniziata una guerra civile a bassa intensità_di Federico Sangalli

Charlie Kirk e la violenza politica: negli Usa è iniziata una guerra civile a bassa intensità

L’uccisione di Charlie Kirk alimenta una violenza politica che non accenna a placarsi. Per l’America il fronte interno resta la sfida più insidiosa

Federico Sangalli

11 Set, 2025

In questo report:

  • La dinamica dell’attentato
  • L’America è sempre più divisa
  • Una guerra civile a “bassa intensità”

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10 min

L’articolo, pur con qualche inesattezza, centra l’obbiettivo, ma a grana grossa. L’assassinio di Kirk ha obbiettivi più mirati e selettivi. Non è uno degli episodi di una guerra civile a bassa intensità. E’ una provocazione, una pesante istigazione a scatenare la guerra civile prossima ventura, esattamente come avvenuto in Ucraina e in Siria; è il tentativo di bloccare la possibilità di intaccare quel fondamentale serbatoio di consenso e di formazione di idee e trame, il brodo di coltura, proprio dell’ambiente accademico e studentesco, in particolare universitario, vero e proprio bacino di coltura di quadri, attivisti di stampo sorosiano, wokista e radical-progressista. L’ultima roccaforte rimasta ancora intatta di quell’arcipelago esclusivo, una volta costituito dalle minoranze etniche, sottoproletariato e ceto medio “riflessivo”. Un colpo diretto a Trump e a quella componente dell’amministrazione e del movimento che più sta cercando di divincolarsi dalle lusinghe neocon; un modo per trattenere Trump nell’ambiguità che rischia sempre più di perderlo. Le vicende in Medio Oriente, l’ultimo attentato a Doha, rischiano di essere il suo punto di perdizione irreversibile. Giuseppe Germinario

L’assassinio di Charlie Kirkavvenuto lo scorso 10 settembre a Salt Lake City, nei pressi del campus dell’Università dello Utah, ha riacceso negli Stati Uniti l’incubo della violenza politica. Il gesto brutale – il cui autore rimane al momento a piede libero – ha infatti nuovamente posto l’America di fronte alla guerra che più di tutte rischia di perdere, quella per il fronte interno.

Kirk, 31 anni, era da tempo un popolare influencer attivista politico conservatore, oltre che una stella nascente della cosiddetta Magasfera, cioè il movimento mediatico dei sostenitori del presidente Donald Trump. Sebbene il movente del suo assassino sia ancora ignoto, è verosimile che questo sia legato a ragioni politiche.

Non solo. Da ciò che è emerso finora, è presumibile che si sia trattato di un atto di violenza ben organizzato e compiuto da un attentatore esperto. Il colpo è stato sparato da grande distanza – probabilmente almeno 150 metri – con un fucile adatto allo scopo e ha colpito il bersaglio mentre questi si trovava seduto dietro un tavolino, sotto un gazebo e circondato da centinaia di persone. È probabile che un tiro di questo tipo richieda una certa esperienza, frutto di background militari o di esercizio da autodidatta.

Dopo il colpo, l’attentatore è riuscito ad allontanarsi dal campus indisturbato, avendo scelto come luogo per colpire il tetto di un edificio chiuso per ristrutturazione. Il fatto denota non solo la scarsa professionalità delle forze dell’ordine americane (che per due volte – una delle quali per bocca del direttore dell’Fbi Kash Patel in persona – hanno annunciato la cattura dell’assassino salvo poi doversi smentire) ma anche come l’omicida si fosse accuratamente preparato una via di fuga dopo un attento studio del terreno.

Non si tratterebbe, dunque, di qualcosa di simile a una delle molte stragi per armi da fuoco tipiche degli Stati Uniti, ma di un gesto pensato e studiato. Ne consegue, logicamente, che Kirk non sia stato scelto a caso ma individuato appositamente, un elemento che rafforza la pista politica.

Il luogo dell’omicidio, all’interno del campus dell’Università dello Utah, a Salt Lake City.

Il giovane attivista era divenuto famoso per il suo format incentrato sul libero dibattito: seduto su una semplice sedia, compiva tour nei campus universitari americani per dibattere liberalmente con chiunque volesse contestare le sue idee conservatrici. Lo stile apertamente provocatorio e il suo orientamento nazionalista lo avevano trasformato in un idolo per la destra americana e in una nemesi dei progressisti.

L’intento dichiarato delle iniziative di Kirk era quello di reclamare lo spazio della discussione pubblica negli atenei, a suo dire egemonizzato dagli studenti e dagli accademici di sinistra, e di stimolare il dibattito di idee. Le ripetute contestazioni contro le sue apparizioni, specie dopo il suo avvicinamento a Trump e alle sue posizioni, lo avevano reso un simbolo della lotta conservatrice per la libertà di parola contro la “censura” del politicamente corretto progressista.

Nel suo messaggio di cordoglio alla nazione, il presidente statunitense Donald Trump ha sostenuto di condividere i valori di Kirk (prontamente assurto a martire del mondo conservatore) per quanto riguarda la libertà di parola, l’apertura al confronto, il rispetto per lo stato di diritto e la legalità. Parole forse poco consone a un leader che della provocazione retorica ha fatto la propria cifra.

La minaccia del “nemico autoritario” alimenta la spirale violenta

Trump ha anche puntato il dito contro «la sinistra radicale», evocando una serie di azioni violente riconducibili a questo schieramento: il ferimento del capogruppo repubblicano alla Camera Steve Scalise da parte di un sostenitore di Bernie Sanders nel 2017; il fallito omicidio dello stesso Trump nel luglio 2024 a Butler, in Pennsylvania; l’uccisione – sempre nel 2024 – di un importante Ceo newyorkese da parte dell’italo-americano Luigi Mangione.

Ma la lista potrebbe continuare, per esempio con il fallito complotto per assassinare il giudice conservatore della Corte suprema Brett Kavanaugh da parte di un attivista pro-aborto nel 2022 o il secondo fallito attentato alla vita di Trump nel settembre 2024. Gesta che vengono ricondotte dai conservatori non a una banale fase di violenza, bensì al desiderio degli attivisti progressisti di annientare i propri avversari di destra.

L’intensificarsi di atti di violenza contro esponenti conservatori ha rafforzato la convinzione in molti americani che esista una fazione di violenti disposta all’eliminazione fisica dell’avversario per poter imporre il proprio modello di vita all’americano medio. Le istituzioni, in questa visione, sarebbero complici o comunque negligenti nell’affrontare la minaccia.

Le violente proteste di piazza che accompagnarono il movimento Black Lives Matter (Blm), con città come Portland in mano agli attivisti antagonisti per settimane, e i cittadini di molti quartieri costretti a formare spontanee ronde urbane per difendere le proprie attività dai facinorosi hanno sedimentato il senso di abbandono (il libro “La tempesta è qui“, del reporter di guerra Luke Mogelson, offre una buona panoramica di questo sentimento). Terreno fertile su cui Trump ha coltivato l’ostilità verso le istituzioni tradizionali.

Da sinistra, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump insieme a Charlie Kirk, assassinato lo scorso 10 settembre a Salt Lake City, nello Utah

Dall’altra parte, tuttavia, lo schieramento liberal-progressista osserva una realtà completamente rovesciata. Dalla fine delle proteste degli Anni Settanta, con il loro carico di attivismo violento afferente soprattutto alla sinistra extra-parlamentare, tradizionalmente è infatti stata l’estrema destra anti-sistema a commettere ripetuti atti di terrore nei confronti della popolazione americana. L’episodio più grave fu l’attentato del 1995 a Oklahoma City, quando un’autobomba distrusse la sede dell’Fbi causando 168 vittime.

Altro casi significativi in tal senso includono l’uccisione di una parlamentare democratica e del marito e il ferimento di un altro deputato in Minnesota lo scorso luglio; l’aggressione a martellate di Paul Pelosi, anziano marito della Speaker della Camera democratica Nancy Pelosi, vero bersaglio del raid; l’uccisione di una contro-manifestante progressista durante un raduno di estrema destra Charlottesville, Virginia, nel 2017undici persone assassinate in una sinagoga Pittsburgh, Pennsylvania, nel 2018, da un terrorista neofascista.

In questa prospettiva, l’ascesa di Donald Trump, con la sua retorica divisiva, i legami con ambienti della destra radicale e il sostegno di settori della grande borghesia americana, ha rafforzato l’idea che una corrente di stampo autoritario stia prendendo il controllo della repubblica americana. Le istituzioni tradizionali – dalla magistratura al congresso passando per la polizia e i militari – sarebbero inermi di fronte a questo stravolgimento e, anzi, starebbero venendo strumentalizzate per consolidare l’autoritarismo del tycoon e dei suoi complici.

L’assalto al Campidoglio, la militarizzazione dell’ordine pubblico, l’impiego del personale paramilitare dell’Ice (l’agenzia anti-immigrazione americana) per realizzare l’espulsione di migliaia di famiglie di immigrati irregolari vengono letti, in questo contesto, come tappe di una deriva autoritaria. Per la galassia anti-trumpista, quindi, le crescenti azioni violente non sono altro che una risposta legittima a quella che percepiscono come una minaccia esistenziale.

La violenza americana e la “guerra civile a bassa intensità”

Gli Stati Uniti sono sempre stati una nazione la cui cultura ha conferito alla violenza un posto preminente nel proprio pantheon nazionale.  Ciò vale tanto per la capacità di esercitarla (contro altri popoli e tra americani stessi) quanto per l’attitudine a tollerarla senza prendere particolari provvedimenti (si pensi sulla sostanziale accettazione dei costanti school shootings). È un atteggiamento che sembra afferire a quello che lo storico Richard Hofstadter definiva «The Paranoid Style in American Politics», un modo di fare politica naturalmente incline alla demagogia e dunque alla violenza politica.

Un trend a cui lentamente l’America si sta abituando. Il fenomeno, a lungo latente con fasi di diffusione anche molto intense, è nuovamente esploso dopo il 2020, quando si sovrapposero tre eventi particolarmente significativi: l’epidemia di Covid-19, le proteste Black Lives Matter che sconvolsero tutto il Paese e le contestate elezioni presidenziali, con il mancato riconoscimento dei risultati da parte dello stesso Trump.

L’occupazione del Campidoglio, sede del Congresso americano, il 6 gennaio 2021, da parte dei sostenitori di Donald Trump.

Nell’agosto dello stesso anno, un 17enne dell’Illinois – Kyle Rittenhouse – aprì il fuoco con un fucile d’assalto AR-15 a Kenosha, Wisconsin, durante un tumulto di piazza generato da una protesta Blm, uccidendo due persone. La sua successiva assoluzione da parte della giuria mostrò come una fetta importante di americani fosse ormai disposta ad assecondare il ricorso alla violenza politica come mezzo di imposizione del proprio punto di vista o come strumento di auto-difesa contro i propri nemici politici. Il pericolo che questo sentimento si manifesti nella formazione di gruppi armati più o meno irregolari è già realtà.

La discussione su una ipotetica seconda guerra civile domina i media alimentata da una retorica ansiogena. Gli Stati Uniti non sono arrivati al punto da poter prospettare una tale frantumazione interna, ma questo non significa che non sia possibile una situazione di conflitto, sebbene diversa da come tradizionalmente viene rappresentata.

In un certo senso, infatti, la guerra civile (cioè uno stato di ostilità in cui paramilitari civili si combattono fra loro senza riconoscere le istituzioni governative) è già iniziata, ma a bassa intensità. In maniera similare a certi trend sperimentati in Europa durante gli Anni Settanta, in Italia con la lotta al terrorismo neofascista e brigatista oppure in Irlanda del Nord con cosiddetti Troubles.

L’assalto al Campidoglio americano da parte dei sostenitori di Donald Trump il 6 gennaio 2021 è stato verosimilmente il punto di svolta di questo processo. Per il mondo Maga è stato sia un successo sia una sconfitta, una cause célèbre dietro cui radunarsi dopo la perdita del potere, ma anche la dimostrazione di poter agire quasi indisturbati. Per molti progressisti è invece stata la conferma delle aspirazioni golpiste dei loro avversari e dell’incapacità delle istituzioni di contenerle (Trump ha ricevuto l’immunità dalla Corte suprema e ha potuto ritornare alla Casa Bianca senza problemi).

Simbolicamente, l’occupazione della sede del parlamento ha rappresentato qualcosa di più ampio per entrambi gli schieramenti: l’idea che la sede del potere istituzionale americano potesse essere occupata da una fazione politica considerata nemica. Una presa di coscienza che ha spinto vari individui, sia a destra che a sinistra, a rafforzare il proprio impegno, talvolta anche con metodi violenti, e a organizzarsi in maniera più strutturata. L’attentato a Charlie Kirk, con le sue modalità, sembra inserirsi in questa direzione.

Immagine in evidenza: https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=134982611; Immagini presenti nell’articolo: “Charlie Kirk shooting scene from front” by KSL News Utah; “Donald Trump & Charlie Kirk (51335308796)” by Gage Skidmore from Surprise, AZ, United States of America; “2021 storming of the United States Capitol 16” by Tyler Merbler

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Modi-Trump, e le Quattro Chiamate Fantasma, di Cesare Semovigo

Modi-Trump, e le Quattro Chiamate Fantasma 

Il Circo Multipolare a Scuola dal Mainstream

Il Paradiso delle aspettative va pazzo per il fascino irresistibile delle voci di corridoio geopolitiche da social, quelle che si diffondono come un virus glamour in un party esclusivo, promettendo scandali succosi e rivelazioni epiche, ma lasciando solo hangover di disinformazione. 

Sembra che quel brivido effimero che fa impazzire le masse digitali sia più di moda delle orride ballerine che vestivano le ragazze qualche anno fa , sinonimo azzeccato per tutti coloro che scambiano il dramma per amore crepuscolare  per il trash-grottesco del mille non più mille al plutonio . 

In questo teatrino multipolare dove tutti fingono di ballare la rumba sul palco – ma in quello quello vero, però, c’è poco del movimento virtuale, solo coreografie goffe e sincopate – e tutti finiscono per pestarsi i piedi in un caos di alleanze precarie e egoismi nazionali e ricatti del vorrei ma non posso . 

Come da pronostici, spunta la chicca della settimana enigmistica multipolare (quella poco sopra ai lividi sulle mani di Trump, sì, quel new sangue di cervo di Putin che macchia le pagine della diplomazia):

 Narendra Modi, il leone indiano con la criniera di saggezza orientale ( scherzo ) , avrebbe snobbato quattro chiamate dal bulldozer atlantico Donald Trump, in mezzo a una tempesta di tariffe e insulti sull’economia “morta”.

Una narrazione succulenta un po’ Bollywood e un po’ serie tratta da Asimov su Apple TV ( ma scritta da un team di sceneggiatori Lgbt woke ) , amplificata da media indiani come India Today e WION, con un tocco internazionale dal Daily Express britannico( lo avreste mai detto? ) , tutti a citare il solido Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ) come se fosse il Vangelo secondo Adenauer . 

Peccato che una verifica OSINT su faz.net riveli un vuoto cosmico: nessun articolo originale, solo un echo chamber semi-artificiale, gonfiato per clickbait anti-Modi, con un retrogusto pro-Pakistan o anti-BRICS che puzza di calcolo predatorio. 

Modi “offeso”? Trump il persuasore seriale? O forse è frizione tattica in un partenariato strategico che resiste da 25 anni, dove l’India bilancia autonomia energetica senza isolarsi come un eremita in Himalaya. In un quadro multipolare moderato, evitiamo le favole BRICS-friendly: qui si gioca a scacchi, non a Monopoli con quel gioco che sembra domino al quale il maschio medio cinese sputtana gli stipendi in un ora . 

Verifica e l’Effetto Echo Chamber: Un Circo di Specchi Deformanti

La bufala parte da resoconti secondari che invocano FAZ come un totem sacro, ma ricerche mirate su faz.net – con query tipo “Trump Modi Anrufe abgelehnt” – producono solo echi di nulla, deviando su festival cinematografici o altre amenità frivole, come se il mondo della diplomazia fosse un sideshow al carnevale di Venezia. Invece, il web pullula di cloni: The Telegraph India, Tasnim News Agency, tutti a rimbalzare la palla senza un link diretto, come in una partita di ping-pong truccata dove la pallina è invisibile e il punteggio truccato. 

Su X, la viralità è da manuale: post sensazionali con immagini di Modi e Trump, condivisi da Deccan Chronicle e affini, creano un loop di feedback che amplifica il nulla, un vortice digitale che succhia credulità come un buco nero di fake news. Bias evidenti? Pro-Pakistan, con enfasi sulle cene ovali di Trump con generali pakistani, o anti-BRICS, dipingendo l’India alla deriva verso la Cina per “provocazioni” yankee.

 È l’economia del clickbait al suo meglio: sfrutta frizioni indo-americane per minare Modi, il decisore che non si piega ai capricci atlantici. In un’era multipolare, dove l’informazione è guerra ibrida – un cocktail letale di propaganda e pixel – queste voci erodono fiducia come acido su un’armatura arrugginita – senza un briciolo di fatti, lasciando solo residui di sospetto e manipolazione.

Distorsioni e Frizione Commerciale: Le Tariffe sono Vere ma gli Insulti sono Fantasma

Le chiamate ignorate? Pura fantasia, un’illusione evanescente come un miraggio nel deserto del Rajasthan. Gli insulti trumpiani sull’“economia morta”? Fantasie effimere , volatili come un tweet cancellato all’alba sostenendo di avere subito un attacco hacker .

E le tariffe ? Quelle sì sono reali , assestate come un pugno nello stomaco: 25% per surplus commerciale, più 25% per petrolio russo, totalizzando 50% su tessili e auto parts, effettive dal 27 agosto 2025. 

L’amministrazione Trump le vede come punizione per chi finanzia la “macchina da guerra di Putin”, ma Nuova Delhi ribatte: “Ingiuste, ingiustificate, irragionevoli”, difendendo una diversificazione energetica che è linfa vitale in un mondo volatile, un balletto di forniture che evita la dipendenza da un solo ballerino. 

Quindi qual’è l’ultimo contatto confermato? 

È la chiamata del 17 giugno 2025, con Modi a chiarire: nessuna mediazione USA post-Operation Sindoor tra India e Pakistan. Frizione tattica, non frattura: surplus da 30 miliardi annui, un quinto delle esportazioni indiane verso USA – interdipendenza che resiste, come un matrimonio di convenienza dove si litiga ma non si divorzia, rafforzando i vincoli attraverso le tempeste vere o media-virtuali che siano . 

La Complessità: Multipolare ma senza Illusioni sui BRICS

Per non ridurci a spettatori rumorosi e impotenti come l’UE di Ursula la disgregatrice – quella maestra di divisioni eleganti, che trasforma unioni in frammenti con un sorriso burocratico – aggiungiamo strati di complessità, come veli su un antico manoscritto indiano. 

Post-Cipro (giugno 2025, Modi insignito della Grand Cross Makarios III, un “collare blu”( Grand Cross Makarios III, un “collare blu” per legami UE-Medio Oriente), l’India flirta con venture UK nella City of London: 6 miliardi di sterline in tech verdi, allineandosi a neocon USA e globalisti dem, lontana da una “mentalità BRICS completa” che sa di trappola cinese, un labirinto di promesse che celano catene. Spaccature Cina-India: Galwan 2020 evolve in dialoghi sussurrati, ma CPEC pakistano – con progetti idrici e militari in Kashmir – è una spina nel fianco, come un vicino che ti ruba l’acqua dal rubinetto, prosciugando risorse con un ghigno diplomatico. 

Trump e big tech? Apple sposta fabbriche anti-Cina in India, decoupling che attira Nuova Delhi senza rompere con Mosca – energia low-cost contro sanzioni atlantiche, un equilibrio che profuma di pragmatismo orientale.

 Modi multi-allineato ( cosa altro potrebbe fare ): evita binari ideologici, usa frizioni per diversificare, in un multipolarismo moderato che non è egemonia “zen” cinese né caos yankee, ma un mosaico di opportunità intrecciate con cautele antiche.

Prospettive Macro Predittive: Pivot Fluido e nessun Eldorado

Avanti, con realismo kissingeriano – quel genio degli equilibri precari, che orchestrava superpotenze come un direttore d’orchestra in un concerto di tuoni –: 60% status quo, bilancia BRICS-Occidente per autonomia, un ponte sospeso tra Oriente e Occidente; 30% escalation trade war, crescita al 5,5% con perdite export, un rallentamento che morde ma non azzoppa; 10% breakthrough via dialoghi Cina-USA, un’alba di compromessi che dissolve nubi. Non un Eldorado BRICS – che puzza di foto di famiglia male assortita, con sorrisi forzati e coltelli nascosti – ma equilibrio precario: rischi polarizzazione vs opportunità tech, un giardino di possibilità dove i fiori sbocciano tra le spine.

 Disseminiamo complessità, schivando semplificazioni propagandistiche che riducono la geopolitica a un dramma da social media o scuola media ( analista rappresentate istituto con Kefia ), un palcoscenico di dove i fili sono tirati da burattinai invisibili che giocano tutti allo stesso gioco .

Quello che conviene alla Ragion di Stato . 

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La guerra in Iran di Trump, di Andrew Day…e altro

La guerra in Iran di Trump

Il Presidente avrà presto un’altra possibilità di evitare la trappola di sabbia di una guerra in Medio Oriente.

A giugno, il presidente Donald Trump ha esaudito un desiderio di lunga data del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu;

Per decenni Netanyahu ha fatto pressione ai presidenti americani affinché bombardassero l’Iran. Ognuno di loro ha resistito, compreso Trump nel suo primo mandato, quando ha grippato che il premier israeliano era “disposto a combattere l’Iran fino all’ultimo soldato americano”. Ma nel secondo mandato di Trump, Bibi ha finalmente ottenuto ciò che voleva. Due mesi fa, mentre infuriava la guerra tra Israele e Iran, il presidente ha autorizzato attacchi aerei e navali contro gli impianti nucleari di Teheran.

Ora Netanyahu vuole che Trump attacchi di nuovo l’Iran, e questa volta in modo massiccio. Se il presidente intende ancora tenersi fuori dalle guerre per sempre in Medio Oriente – come ha promesso di fare – allora deve tenere a freno Netanyahu e segnalare preventivamente il rifiuto di combattere i nemici di uno Stato cliente fuori controllo, che è quello che Israele è palesemente diventato. A giugno, Trump è riuscito a evitare di rimanere invischiato in un conflitto prolungato e in escalation. La prossima volta potrebbe non essere così fortunato.

Trita Parsi, analista veterana delle relazioni tra Stati Uniti e Iran, ha previsto che Israele probabilmente lancerà un’altra guerra quest’anno, forse prima di settembre. A differenza dell’ultima volta, scrive Parsi in Foreign Policy, l’Iran risponderà subito con forza per dimostrare la sua resistenza;

Di conseguenza, la prossima guerra sarà probabilmente molto più sanguinosa della prima. Se il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump cederà di nuovo alle pressioni israeliane e si unirà alla lotta, gli Stati Uniti potrebbero trovarsi di fronte a una guerra totale con l’Iran che, al confronto, farà sembrare l’Iraq facile.

Ovviamente, una guerra in Iraq 2.0 comporterebbe notevoli rischi per gli Stati Uniti e per Trump, che è uscito dalla “guerra dei 12 giorni” per lo più indenne. Solo un’esigua maggioranza di americani si è opposta agli attacchi statunitensi di giugno, anche se una supermaggioranza – il 78% – ha espresso la preoccupazione che l’America possa essere trascinata in una guerra diretta con l’Iran, secondo il sondaggio di Quinnipiac. Un altro sondaggio ha rilevato che gli americani erano più favorevoli agli attacchi dopo che gli era stato detto che erano limitati alle strutture nucleari dell’Iran. Questi risultati suggeriscono che molti americani sono contrari alla guerra con l’Iran, ma hanno tollerato il bombardamento discreto e mirato di Trump.

Gli elettori, in sostanza, hanno dato a Trump un lasciapassare, una ripetizione o, in termini da golfista, un mulligan. Presto il presidente avrà un’altra occasione per evitare la trappola di sabbia di una guerra in Medio Oriente. Questa volta non potrà permettersi di sbagliare e avrà meno spazio di manovra.

Sia i funzionari israeliani che quelli iraniani sembrano considerare l’attuale momento come una sorta di intervallo, una tregua nei combattimenti, piuttosto che un periodo stabile post-bellico. “Non siamo in una tregua, ma in una fase di guerra”, ha dichiarato la scorsa settimana un alto consigliere della Guida suprema iraniana Ali Khamanei. “Nessun protocollo, regolamento o accordo è stato scritto tra noi e gli Stati Uniti o Israele”.

In Israele, l’ex ufficiale dei servizi segreti Jacques Neriah ha avvertito questa settimana di un incombente “secondo round” della guerra dei 12 giorni. “C’è la sensazione che una guerra stia arrivando, che la vendetta iraniana sia in atto”, ha detto Neriah in un programma radiofonico israeliano. “Gli iraniani non potranno convivere a lungo con questa umiliazione”. L'”umiliazione” di Teheran non deriva solo dai danni subiti durante la guerra di giugno, ma anche dai più ampi guadagni geopolitici ottenuti da Israele negli ultimi due anni. Questi potrebbero presto includere un riavvicinamento con la Siria, un tempo partner iraniano e avversario di Israele fino al rovesciamento di Bashar al-Assad lo scorso dicembre.

Con Teheran in agitazione e la percezione della minaccia aumentata, “Israele deve lanciare un attacco preventivo contro l’Iran nel suo stato attuale, poiché gran parte delle sue capacità militari sono paralizzate”, ha aggiunto Neriah e. Gli alti funzionari israeliani sono d’accordo. Il ministro della Difesa Israel Katz ha avvertito i leader iraniani di un’imminente offensiva israeliana. Katz ha persino suggerito che questa volta Israele assassinerà Khamenei, consigliando al leader iraniano di “alzare gli occhi al cielo e ascoltare attentamente ogni ronzio”. Anche altri funzionari israeliani, tra cui il ministro degli Esteri Gideon Saar e il capo di Stato Maggiore Eyal Zamir, hanno accennato a ulteriori attacchi per neutralizzare la minaccia percepita dall’Iran.

Israele non solo sta preparando piani per un’altra guerra preventiva, ma sta anche sollecitando l’amministrazione Trump a partecipare, secondo Asharq Al-Awsat, un quotidiano panarabo, che ha citato fonti di sicurezza israeliane senza nome. Il giornale ha affermato che se Trump rifiuterà, Israele cercherà il via libera del Presidente per andare avanti da solo.

Il problema è che Israele non può andare in guerra da solo contro l’Iran. Come minimo, ha bisogno che gli Stati Uniti estendano il loro scudo di superpotenza sul piccolo Paese, intercettando missili e droni lanciati dall’Iran. E poiché Trump ha già dimostrato la volontà di bombardare l’Iran per conto di Israele quando scoppierà la guerra tra i due Paesi, il governo Netanyahu si aspetta un’azione offensiva. Netanyahu gioca a fare il duro, ed è piuttosto bravo ad architettare crisi geopolitiche che generano pressioni su Washington affinché intervenga a favore di Israele.

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Netanyahu potrebbe presto mettere alla prova queste capacità, perché sa che il tempo sta per scadere per assicurarsi l’egemonia nella regione – un obiettivo ovvio degli integralisti israeliani – con il sostegno popolare per Israele che sta crollando in Occidente. All’inizio di quest’anno, Netanyahu ha detto a un comitato israeliano per gli affari esteri che il Paese dovrà “svezzarsi” dagli aiuti militari statunitensi. Mentre Washington gli copre ancora le spalle, Israele vuole decapitare la Repubblica islamica e trasformare l’Iran in uno Stato fallito, e ha bisogno che gli Stati Uniti si uniscano alla guerra per il cambio di regime. “L’impegno limitato probabilmente non è più un’opzione”, scrive Parsi. “Trump dovrà unirsi completamente alla guerra o starne fuori”.

Il Presidente dovrebbe fare quest’ultima cosa. Dovrebbe infatti comunicare ora, senza mezzi termini, che gli Stati Uniti, con le loro scorte di missili intercettori allarmantemente esaurite, non solo si asterranno dall’unirsi agli attacchi israeliani contro l’Iran, ma addirittura rinunceranno alla difesa aerea. Un simile avvertimento indurrebbe Netanyahu a pensarci due volte prima di attaccare l’Iran.

Gli interessi americani e israeliani sono diversi: Washington vuole un accordo per limitare il programma nucleare di Teheran e Gerusalemme vuole dare un colpo di grazia al suo regime. Forse Trump non può impedire a Israele di lanciare una guerra contro l’Iran. Ma può almeno chiarire che sarebbe una guerra di Israele, non dell’America e certamente non sua.

L’autore

Andrew Day headshot

Andrew Day

Andrew Day è redattore senior di The American Conservative. Ha conseguito un dottorato di ricerca in scienze politiche presso la Northwestern University. Può essere seguito su X @AKDay89.

Il controllo dell’Amministrazione della Pace

Il signor Pace è delirante quasi quanto il signor Guerra.

European Leaders Join Ukrainian President Zelensky For White House Meeting With Trump

jude

Jude Russo

27 agosto 202512:03

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Uno dei motivi ricorrenti della retorica del Presidente Donald Trump in questi giorni è che lui è Mr. Peace, che risolve guerre a destra e a manca in tutto il mondo. Certamente è meglio che presentarsi come Mr. War, un personaggio che negli ultimi decenni si è rivelato insoddisfacente e la cui uscita di scena non è stata molto compianta.

Certo, c’è un po’ di slittamento tra stile e sostanza. Sì, le guerre sono state risolte, anche se il contributo americano è oggetto di dibattito. (L’India nega categoricamente il coinvolgimento americano nella risoluzione della sua breve guerra con il Pakistan, e l’accordo tra Azerbaigian e Armenia è poco più che un semplice riconoscimento della vittoria dell’Azerbaigian). E, mentre le gloriose dispute di confine tra Cambogia e Thailandia o tra Congo e Ruanda sono senza dubbio episodi deplorevoli da deplorare, il contribuente americano può essere perdonato per essersi chiesto cosa abbiano a che fare con gli Stati Uniti e perché il nostro Presidente ne pubblicizzi gli esiti come trionfi della politica statunitense. Possiamo essere contenti che siano finiti, ma anche dubitare che siano la sostanza di un’eredità. Fa ridere anche vedere chi candida Trump al Premio Nobel per la Pace, che è già di per sé una battuta. Chi dubita della bona fides pacifica del regime azero di Aliyev, di Benjamin Netanyahu e del governo del Pakistan?

D’altra parte, nei primi otto mesi della seconda amministrazione Trump, gli Stati Uniti hanno bombardato a tappeto gli Houthi dello Yemen (in modo inefficace) e sono stati indotti da un partner junior a bombardare a tappeto l’Iran (anch’esso in modo inefficace, per quanto se ne possa dire); stiamo ancora finanziando e armando gli ucraini e gli israeliani, e ora stiamo minacciando direttamente vari potentati sudamericani con navi da guerra e piani d’attacco. (Per non parlare del business as usual all’AFRICOM, che è forse più disfunzionale persino del CENTCOM). Tutte le aspirazioni umane superano la realtà, certo, ma si tratta comunque di cose piuttosto sorprendenti per il signor Pace;

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Ma c’è un problema più grande nell’essere Bizarro Bush (come Mr. Peace è conosciuto dai suoi amici). I negoziati per la guerra in Ucraina sono esemplificativi. I due protagonisti stanno combattendo una guerra perché ritengono che sia nei loro rispettivi interessi nazionali farlo. Senza un cambiamento fondamentale delle condizioni di fondo – ad esempio, il crollo dell’economia russa o la rottura della linea difensiva ucraina – sembra che continueranno ad andare avanti. Gli Stati Uniti non possono fare nulla di particolare, se non urlare a squarciagola da bordo campo. (A quanto pare, staccare la spina agli armamenti americani per l’Ucraina, che ora vengono riciclati con denaro europeo, è considerato un’opzione politica non praticabile). Allo stesso modo, non è chiaro se gli Stati Uniti possano fare molto per concludere la guerra tra Israele e Gaza, anche se certamente potremmo smettere di alimentarla attivamente. Il signor Pace è un grande personaggio televisivo, ma in realtà le sue pretese di dare ordini al resto del mondo sono quasi altrettanto deliranti di quelle del signor Guerra. In effetti, il signor Pace è solo l’inversione amichevole del signor Guerra: non il poliziotto del mondo, ma il terapeuta del mondo.

Tutto questo per dire che il quadro non è così completo come sembra. I due testi classici per comprendere l’America di questo secolo sono la Guerra Giugurtina di Sallustio e l’Ercole Furenti di Seneca. Inutile dire che nessuno dei due è molto letto. (“Il pensiero di come sarebbe l’America / Se i classici avessero un’ampia diffusione…”). / Oh, bene! / Mi turba il sonno”). Il primo riguarda un’apparente nota a piè di pagina della storia militare romana, una guerra nel deserto del Nord Africa, in cui Sallustio trova sia i sintomi che le ulteriori cause della decadenza repubblicana. Nel secondo, un eroe apparentemente invincibile, all’apice della sua carriera, è reso folle da poteri che sfuggono al suo controllo e distrugge la sua stessa casa. Se dovessimo declinare queste opere in piccole lezioni, la prima è che l’impero ha conseguenze indesiderate; la seconda è che nessuna entità umana è onnipotente e che il peggior tipo di danno è autoinflitto. Queste condizioni non sono cambiate. Mettere un sorriso invece di un cipiglio sul volto dell’imperialismo americano non lo rende più efficace.

L’orientamento dell’America non dovrebbe essere quello di gestire affari che non riguardano il nostro interesse nazionale. Non è che non abbiamo problemi a casa nostra. Risolvere i problemi del mondo è costoso e distrae, certo, ma peggio ancora non funziona. L’obiettivo di portare la pace sulla terra e la buona volontà verso gli uomini è meno macabro di molte alternative, ma forse non meno fuorviante. Questo è particolarmente vero se lungo la strada ci assumiamo obblighi non compensati – garanzie di sicurezza in regioni periferiche, per citare un esempio. Il presidente non dovrebbe essere Mr. Peace o Mr. War, ma Mr. America.

L’autore

jude

Jude Russo

Jude Russo è redattore capo di The American Conservative e collaboratore del The New York Sun. È un James Madison Fellow 2024-25 presso l’Hillsdale College ed è stato nominato uno dei Top 20 Under 30 dell’ISI per il 2024.

La Resa dei Conti – John Bolton nel mirino dell’FBI – Con Gianfranco Campa

NOTIZIA bomba : John Bolton perquisito alle sei di mattina dall’Fbi

Un segnale che dimostra come i “ visionari “, come noi avevano intuito che fossero dietro le quinte Tulsi Gabbard , il discreto vicepresidente JD Vance e Pete Hegseth stessero lavorando alacremente e con riservatezza per proteggere Trump da se stesso e dagli attacchi cercando così di conservare l’unità di Maga . In particolare Gabbard, oltre a desecretare documenti particolarmente compromettenti le leadership precedenti, sta procedendo ad un ridimensionamento del 40% del personale della DNA, ha revocato le autorizzazioni agli accessi a notizie riservate ad oltre trenta alti funzionari, ha imposto la cessazione del passaggio di informazioni riservate sulle trattative con la Russia ai servizi di intelligence di Regno Unito, Australia, Canada e Nuova Zelanda (i big five eyes), sta ripristinando la gerarchia e la funzione di controllo della DNA sui servizi specifici di intelligence, a cominciare dalla CIA. Intanto Roger Stone prende in giro Bolton pubblicando la notoria immagine di quando ricevette la visita dell’Fbi nella vicenda che segnò la parabola discendente della sua carriera politica .

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La “pace” di Trump è una truffa elaborata?, di Mark Wauck

La “pace” di Trump è una truffa elaborata?

Mark Wauck19 agosto
Una tesi perspicace, al netto dell’enfasi e della confusione tra ebraismo e sionismo, che, però, a parere dello scrivente, confonde la dinamica oggettiva che potrebbe prendere, nella sua sintesi, il conflitto interno negli Stati Uniti con la volontà soggettiva di una componente essenziale di esso_Giuseppe Germinario
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Ho accennato a questo costrutto negli ultimi giorni e ho deciso di provare a formulare l’idea in una forma un po’ più lunga. Ma non troppo. Queste considerazioni nascono da una semplice domanda: cosa sta succedendo con l'”offensiva di pace” di Trump? Si è improvvisamente reso conto che la Russia sta vincendo la guerra – di fatto, l’ ha vinta , quindi è ora di trovare una via d’uscita? Oppure, nonostante tutte le prove contrarie, vuole sinceramente fermare le uccisioni in Ucraina – ma in nessun’altra parte del mondo? E perché la “pace” deve avvenire questa settimana , quando prima non aveva poi così tanta fretta?

Naturalmente, in un mondo razionale, Trump ha molteplici buone ragioni per voler porre fine alla guerra dell’America contro la Russia. Anche per giungere a una pace globale con la Russia che includa la nuova architettura di sicurezza in Europa tanto desiderata dai russi. Con l’imminente contraccolpo commerciale a seguito dello shock tariffario e del timore reverenziale – previsti per questo autunno – e con le imminenti difficoltà monetarie dovute alla dissolutezza fiscale, nonché all’esaurimento delle nostre armi da guerra, porre fine a una guerra di vasta portata ha senso. Non che la dissolutezza fiscale sembri essere una preoccupazione importante per Trump. Epstein, Epstein, Epstein? La pace come distrazione da tutto questo? Tutto sembra indicare che Trump sia sotto il controllo dei nazionalisti ebrei, quindi una distrazione sembrerebbe opportuna, visto che non è una bella prospettiva per un POTUS.

La mia teoria – solo una teoria – è che ciò a cui stiamo assistendo sia un’elaborata truffa. Il concetto di base è coinvolgere la Russia in qualcosa che Trump possa chiamare “pace” – cioè, di cui possa rivendicare il merito – al punto che la Russia si ritroverà di fatto con le mani legate al punto da trovare difficile affrontare le molteplici guerre che Trump potrebbe avere in mente. Considerate. La Russia ha vinto la sua guerra contro gli anglo-sionisti sul fronte ucraino e si sta affermando come una potenziale sfida militare per l’Impero americano. Ma attuare qualcosa di simile a una “pace” – lo dico perché un “cessate il fuoco” sembra ancora essere sul tavolo – potrebbe rivelarsi più impegnativo per la Russia che semplicemente dichiarare guerra. Nota bene: Trump non ha effettivamente interrotto il sostegno militare all’Ucraina – vuole solo che gli euro lo paghino. Dal mio punto di vista, Trump sta in realtà agendo in modo piuttosto cauto. Posso immaginare Putin dire a Lavrov o Ushakov (o a entrambi): “Sai, ogni volta che parlo con Donald, è sempre molto educato e disponibile, sembra sinceramente voler porre fine alla carneficina in Ucraina, ma la cosa successiva che so è che il suo esercito sta aiutando gli ucraini a uccidere altri russi”.

Ok, alcuni dati.

  • Gli Stati Uniti hanno messo una taglia di 50 milioni di dollari sulla testa di Maduro. E ora Trump ha schierato 3 cacciatorpediniere lanciamissili Aegis e 4.000 soldati sulle coste del Venezuela, apparentemente per combattere il narcotraffico. Mentre allo stesso tempo sta valutando la possibilità di riclassificare la cannabis negli Stati Uniti come “droga meno pericolosa”. Il Venezuela gode di ottimi rapporti con i BRICS e con l’Iran in particolare. È anche una spina nel fianco per Israele.
  • Gli Stati Uniti si stanno inserendo attivamente nel Caucaso – di nuovo – e stanno ridistribuendo le risorse militari tra il Golfo e l’Iraq. Quasi come se una nuova guerra fosse imminente. Naturalmente, il Caucaso – l’Azerbaijan – è stato un elemento chiave del precedente attacco a sorpresa di Trump all’Iran. Nel frattempo, Netanyahu sta tenendo discorsi al popolo iraniano esortandolo a rovesciare il governo – il solito preludio a un attacco a sorpresa israeliano. Netanyahu ha anche un disperato bisogno di una guerra per evitare di finire in prigione.
  • Gli Stati Uniti sono attivi anche in quella che un tempo era la Siria, sostenendo al-Qaeda/ISIS/HTS mentre massacrano cristiani, alawiti e drusi. Trump sta anche fomentando la guerra civile in Libano.
  • Trump continua anche a dare il via libera al genocidio nazionalista ebraico contro Gaza e alla pulizia etnica dei palestinesi. Nessuna lettera di Melania a Netanyahu. Sono sicuro che Putin ne abbia preso nota.
  • Infine, ma non per questo meno importante, gli Stati Uniti hanno fatto navigare un cacciatorpediniere nelle acque rivendicate e controllate dalla Cina nel Mar Cinese Meridionale, provocando una reazione furiosa e azioni da parte del PLAN.

Quale aspetto della pace mi sfugge? Torniamo alla Russia.

Per anni la Russia ha espresso con assoluta chiarezza le sue preoccupazioni e il suo desiderio di un piano globale per la gestione delle relazioni con la NATO. Putin ha anche chiarito che ciò equivale a un accordo globale con gli Stati Uniti, poiché gli altri stati della NATO sono semplicemente vassalli che devono fare ciò che gli Stati Uniti dicono loro di fare. In vista della fase cinetica della guerra anglo-sionista contro la Russia, Putin ha incarnato le idee russe in due “bozze di trattato” presentate all’Occidente nel dicembre 2021, solo per essere poi sdegnosamente ignorate. Da allora i russi sono rimasti fermi nelle loro richieste.

Per gli otto mesi circa, finora, di Trump 2.0, Trump ha sostanzialmente abbracciato – di fronte alla ferma insistenza della Russia sulle sue preoccupazioni in materia di sicurezza – il “piano” Kellogg di minacciare e intimidire la Russia, con l’obiettivo di convincere Putin ad accettare la sconfitta, perché questo è ciò che significherebbe un “cessate il fuoco incondizionato”. Ora, sappiamo che l’incontro con Putin è stato probabilmente organizzato circa due settimane prima dell’evento effettivo. Eppure, fino a poche ore prima dell’incontro con Putin in Alaska, Trump continuava a invocare un “cessate il fuoco”, un notorio fallimento per i russi. Poi è arrivato l’incontro, e Trump è emerso parlando di passare direttamente alla “pace”, saltando qualsiasi cessate il fuoco. Questo rappresenterebbe uno smantellamento totale della precedente politica statunitense, se non fosse che Trump stava anche promuovendo un incontro tra Putin e Zelensky entro la fine di questa settimana. Un altro fallimento per i russi, per ovvie ragioni: Zelensky non è nemmeno un presidente legale.

Poi c’è stato l’incontro di ieri alla Casa Bianca, con Zelensky e i vari nani europei:

E Trump è tornato a fare ambigui riferimenti a “cessate il fuoco” e a telefonate a Putin per organizzare un incontro Putin-Zelensky. Questo nonostante il fatto palesemente ovvio, ben espresso da Chas Freeman questa mattina, che solo un trattato di sicurezza globale sarebbe la soluzione giusta, mentre un “cessate il fuoco” non lo sarebbe affatto.

Signore della guerra in poltrona @ArmchairW

Se questo è ciò che hanno fatto, è screditante per Trump il fatto che non abbia riservato a Zelensky lo stesso trattamento di Hyman Rickover e non lo abbia costretto a stare in un armadio finché non fosse riuscito a elaborare un piano di pace che non fosse stupido da morire.

Citazione

Russi con carattere @RWApodcast

21 ore

Il FT afferma di aver visto la “proposta di pace” ucraina portata da Zelensky a Washington: insistono ancora su un cessate il fuoco incondizionato, senza alcuna concessione territoriale; vogliono 300 miliardi di dollari di riparazioni di guerra dalla Russia e l’acquisto di 100 miliardi di dollari in armi dagli Stati Uniti, pagati dall’UE.

18:28 · 18 agosto 2025

·

DD Geopolitica @DD_Geopolitica

6 ore

 Il presidente Trump su Fox & Friends:

Ho risolto 7 guerre. Abbiamo concluso 7 guerre. Pensavo che questa sarebbe stata una delle più facili, e invece si è rivelata la più difficile…

Spero che Putin si comporti bene, altrimenti la situazione sarà dura . Anche il presidente Zelensky deve mostrare un po’ di flessibilità.

.

Trump ha affermato che Francia, Germania e Regno Unito vogliono schierare le proprie forze in Ucraina e che ciò non creerà problemi con la Russia .

Questa affermazione da sola dimostra che nessuno fa sul serio ed è chiaro che nessuno ascolta la Russia.

.

Megatron @Megatron_ron

21h

ULTIMA ORA:

Secondo quanto riportato dal Financial Times, l’Europa acquisterà armi americane per l’Ucraina, nell’ambito di uno sforzo per ottenere garanzie di sicurezza dagli Stati Uniti.

.

Will Schryver @imetatronink

20m

 La Casa Bianca sta ora ventilando la prospettiva di “garanzie di sicurezza” per l’Ucraina sotto forma di “stivali sul terreno” europei abbinati al supporto aereo statunitense.

Questa, ovviamente, è una sciocchezza assurda. Non accadrà.

Questo è stato particolarmente interessante:

Caitlin Doornbos @CaitlinDoornbos

18 agosto

“Se pensate che gli ucraini rinunceranno a Kramatorsk e Sloviansk, vi consiglio di chiedere a un texano se Davy Crockett avrebbe dovuto rinunciare ad Alamo”, mi ha detto oggi un portavoce americano della 3a Brigata d’assalto ucraina.

.

Saagar Enjeti @esaagar

18 agosto

Perché c’è un portavoce americano per una brigata ucraina?

Come se i russi non sapessero che l’esercito di Trump è direttamente coinvolto nella guerra contro la Russia?

Capite cosa intendo? Sembra proprio un’esca . L’unica domanda è: a quale scopo? La mia teoria, come sopra, è che l’obiettivo sia quello di intrappolare Putin in un “processo di pace” mentre Trump vira verso la guerra altrove, ovunque vogliano i nazionalisti ebrei. Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov sembra capirlo. Non sorprende. Di seguito una citazione tratta dal giudice Nap che ha parlato oggi con Bill Astore . La mia interpretazione è che Lavrov, presente in Alaska, stia indicando che, durante l’incontro con Trump, i russi hanno nuovamente espresso il loro desiderio e la loro richiesta di un piano globale per una nuova architettura di sicurezza in Europa. Ma non è affatto questo che è emerso dall’incontro della Casa Bianca. In quest’ottica, Lavrov esprime la sua delusione per il fatto che le cose sembrino tornare al punto di partenza. Trump NON ha imposto la legge a Zelensky o agli europei, tutt’altro.

La mia impressione è che Trump sperasse di abboccare i russi (nell’esca) e poi tenerli coinvolti mentre lui e l’Occidente anglo-sionista attuano il cambio. L’idea sembra essere che, una volta che i russi saranno coinvolti, saranno riluttanti a ritirarsi. Ma non funzionerà così. Lavrov è perfettamente educato e non chiama in causa Trump, ma i russi non abboccheranno all’amo:

Giudice: Vorrei farvi ascoltare un altro estratto del Ministro degli Esteri Lavrov. Si tratta di un’intervista che ha rilasciato ieri o oggi a Mosca, in cui afferma – se è stato ieri, è stato a fine giornata, perché sta commentando quanto accaduto a Washington – che “il Presidente Trump e le persone che lo circondano sono molto seri e desiderano la pace. Purtroppo, non posso dire lo stesso della leadership dei Paesi europei”.

Lavrov: Certamente. Sì, era più che evidente che l’illustre capo degli Stati Uniti e il suo team dedicato volessero innanzitutto e soprattutto raggiungere un risultato completo e duraturo, che fosse a lungo termine, intrinsecamente stabile e realmente affidabile , a differenza delle controparti europee, che in quel particolare momento continuavano a insistere ovunque sulla necessità assoluta di un cessate il fuoco immediato. E dopodiché, avrebbero continuato a fornire armi incessantemente all’Ucraina. In secondo luogo, è importante notare che sia il presidente Trump che l’intero team possedevano una comprensione molto chiara e completa del fatto che questo particolare conflitto, nella sua stessa essenza, ha davvero le sue cause profonde e le sue origini profondamente radicate. Inoltre, riconoscono che i discorsi e le affermazioni di alcuni presidenti e primi ministri europei, specificamente in merito al presunto attacco immotivato e del tutto ingiustificato della Russia contro l’Ucraina, non sono altro che chiacchiere infantili. Non esiste assolutamente altro modo accurato o appropriato per esprimerlo o descriverlo se non con queste parole.

La risposta russa era prevedibile.

Branislav Slantchev @slantchev

22 ore

Ushakov (l’assistente di Putin per la politica estera) ha affermato che Trump e Putin hanno avuto una chiamata molto “franca” mentre gli europei erano ancora alla Casa Bianca. In termini diplomatici, questo significa che ai russi non è piaciuto affatto ciò che hanno sentito. Ushakov ha anche affermato che il Cremlino avrebbe inviato negoziatori di alto livello, ma ha omesso qualsiasi riferimento a Putin. Questo va contro l’iniziativa di colloqui trilaterali di Trump, a cui Zelenskyj ha aderito. …

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ayden @squatsons

18 agosto

Sono in volo 3 bombardieri Tu-95.

Il teatro delle trattative è finito.

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Questa mattina missili e droni russi hanno colpito la raffineria di petrolio di Kremenchuk, nella regione di Poltava.

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RussiaNews @mog_russEN

UNA NOTTE DOLOROSA PER L’UCRAINA, L’OCCIDENTE E L’AZERBAIGIAN

Massicci attacchi russi incendiano i serbatoi di petrolio azero a Kremenchug: Aliyev esce dall’attività in Ucraina in fiamme.

La raffineria strategica è paralizzata, i depositi di munizioni distrutti, la logistica chiave distrutta.

1/

03:14 · 19 agosto 2025

I prossimi mesi potrebbero essere… interessanti.

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