QUALE IDEA DI EUROPA? PROSIEGUO_BOTTA E RISPOSTA gambescia/buffagni_1a PUNTATA
Una replica all’ interessante articolo di Roberto Buffagni
http://italiaeilmondo.com/2018/11/08/elezioni-europee-2019-quale-idea-deuropa-di-roberto-buffagni/
Da Tiglatpileser a Hitler, di Carlo Gambescia
fonte originaria
Partendo da una serrata critica alle riflessioni pseudo-teologiche di Massimo Cacciari, Roberto Buffagni spiega perché questa Europa, quella dell’UE per intendersi, non gli piace (*) .
Il suo ragionamento ruota intorno a due principi: quello politico dell’amico-nemico e quello religioso di un cattolicesimo controrivoluzionario, più o meno fermo alla condanna del 1789. Buffagni combatte, ideologicamente, l’UE, puntando su due cavalli di razza: Carl Schmitt e Joseph de Maistre. Ovviamente, cito, andando oltre l’articolo, solo due nomi presi “a caso”, ma idealmente emblematici, dalle sue sterminate letture.
In buona sostanza, sfrondando il pur agguerrito esercito di argomentazioni filosofico-teologiche schierato da Buffagni, l’UE è da lui considerata l’ultima reincarnazione di uno spirito moderno, molle e decadente che sta portando alla rovina l’Europa ( e ovviamente l’Occidente).
A dire il vero, la posizione di Buffagni è più intellettualmente onesta di quella di Cacciari, che invece usa il cristianesimo contro il cristianesimo, come Lenin usava la democrazia contro la democrazia. Evidentemente, comunisti si muore, ci si chiami Lenin o Cacciari. Ma questa è un’altra storia.
Scorgo però nel discorso di Buffagni una contraddizione cognitiva. Egli sostiene, sulla scia di Carl Schmitt, che in politica, senza un nemico, non si può fare politica. Il che è vero, solo però se si intende quest’ultima, come pura e semplice continuazione della guerra con altri mezzi. Ciò, ovviamente, è coerente con la visione antimoderna di Buffagni – e qui spunta Joseph de Maistre – che respinge il contratto in quanto prolungamento della modernità. Ma non è coerente, dispiace dirlo, con la visione scientifica della politica ( o meglio metapolitica) che è sì, fondata sulla relazione amico-nemico, quindi sullo status, dettato dalla spada, ma che include anche il contratto, ossia le procedure, per evitare la spada puntando sulla civilizzazione del nemico, attraverso una proceduralizzazione (il contratto), capace di trasformare il nemico in avversario. Ovviamente, il contratto non esclude la spada, e viceversa: i sociologi, sulla scia di Simmel (e prima ancora di Kant, ma si potrebbe andare ancora più indietro), parlano di socialità insociale. Senza l’una (la spada) non c’è l’altro( il contratto).
In realtà, e qui storia e scienza si congiungono, la storia della Chiesa, o se si preferisce del cristianesimo o cattolicesimo sociologicamente applicato, è la storia del sapiente e secolare uso di status e contratto, come del resto prova la storia degli imperi più longevi. Dal momento che gli imperi che sono durati di meno – parlo della pratica, non dell’idea – sono proprio gli imperi, o comunque le macro-forme politiche, fondate solo sulla spada: dai feroci Assiri, agli imperi romano-barbarici (con vari pendant narrativo-evocativi medievali); da Tamerlano a Napoleone e Hitler, che aspirava addirittura a fondare un Reich millenario.
Di più: Roma, la Chiesa cattolica e le moderne, e ancora giovani, democrazie liberal-parlamentari sono un buon esempio, anche prescindendo dalla forma di regime politico, di come fare saggio uso dello status e del contratto. E le prime due lo sono anche di vecchiaia.
Il gracile Occidente liberale ha battuto la Germania di Hitler sul campo di battaglia e l’Unione sovietica su quello economico. Come dire? Ha sconfitto due muscolosi colossi politici, sul terreno dello status e su quello del contratto. Perché sottovalutare tutto ciò, privilegiando una visione univoca della dicotomia amico-nemico? Asserendo – parliamo del succo del discorso di Buffagni, esposto anche altrove – che sul piano cognitivo esiste solo il nemico, incarnato, su quello filosofico-politico – quando si dice il caso – dalla cattiva modernità?
Probabilmente perché, come appena accennato, nel pensiero di Buffagni, condanna del mondo moderno e visione univoca del politico sono la stessa cosa. Sicché l’UE, essendo il portato di un mondo impolitico e corrotto, non può non incorrere nella sua “scomunica”, che, forse proprio perché tale, si regge argomentativamente, come per i suoi due maestri ideali, sul solo concetto di status. Altrimenti detto, solo sulla spada. Di qui, il peccato cognitivo di unilateralità.
Di conseguenza, secondo Buffagni, questa Europa, per salvarsi, dovrebbe rinnegare il contratto e puntare sullo status. Insomma, sulla spada. Ma per andare dove? A fare compagnia a Tiglatpileser, fondatore del caduco impero Assiro?
Carlo Gambescia
L’Europa e la questione del costruttivismo, di Roberto Buffagni
Caro Carlo,
Rispondo con piacere alla tua acuta critica [1] al mio recente commento a un discorso di Massimo Cacciari sull’idea di Europa[2]. La tua critica è brevissima e chiarissima, e dunque non la riassumo, pregandovi di leggerla con attenzione prima della mia replica.
Cerco d’essere altrettanto breve e chiaro. Concordo volentieri con te sulla sua obiezione principale, e cioè che “la politica…è sì, fondata sulla relazione amico-nemico, quindi sullo status, dettato dalla spada, ma…anche [sul] contratto, ossia le procedure, per evitare la spada puntando sulla civilizzazione del nemico, attraverso una proceduralizzazione (il contratto), capace di trasformare il nemico in avversario.” Verissimo. Il problema dell’attuale situazione europea e occidentale, però, è che il “contratto” capace di trasformare il nemico in avversario non è un’obbligazione sinallagmatica privata, per la quale bastano legge positiva e amministrazione capace di applicarne il comando. Il contratto capace di trasformare il nemico in avversario è il contratto, o meglio patto politico, il foedus (lo auspica anche M. Cacciari nell’intervento che ho commentato).
Un foedus presenta due aspetti: uno, analogo al contratto privato, e cioè la composizione degli interessi in un compromesso accettabile e vitale; e un altro, che dal contratto privato lo differenzia qualificandolo, e cioè la condivisione un progetto politico-culturale e di un’etica. Ora, a mio avviso questo secondo aspetto, che differenzia il foedus politico dal contratto privato, nell’Europa e nell’Occidente odierno non si dà e non si può dare.
Non si dà né si può dare condivisione di un progetto politico-culturale e di un’etica, perché l’Unione Europea, la forma che l’odierna Europa tenta di darsi, ha ripreso in toto la pretesa illuministico-liberale di innalzare la ragione umana individuale a legislatrice assoluta, a unica determinante della condotta personale e collettiva. La società stessa, in questa prospettiva, diviene il teatro in cui le singole volontà individuali vengono a incontrarsi, ciascuna col proprio insieme di insindacabili preferenze e atteggiamenti. Risultato: il mondo diventa “l’arena dove combattere per il raggiungimento dei propri scopi personali”, per dirla con Alasdair MacIntyre[3]. Di conseguenza, all’interrogazione riguardante i fini, personali e sociali, si sostituisce la razionalità burocratica, che weberianamente consiste nell’adeguare i mezzi agli scopi in maniera economica ed efficace.
Il dibattito intorno ai fini, infatti, è sempre anche dibattito intorno ai valori. E non appena si dibatte intorno ai valori, la razionalità weberianamente intesa non può far altro che tacere. Non solo. Quando la razionalità weberianamente intesa si insedia al posto di comando politico, non appena si apre il dibattito intorno ai valori essa non può far altro che far tacere le voci che dissentono dal suo presupposto: essere i valori frutto di decisioni soggettive; così rovesciandosi in dispotismo, conforme l’eterogenesi dei fini vichiana. Secondo il presupposto della razionalità weberiana, infatti, ogni scelta individuale è buona: sciolte da ogni vincolo oggettivo nella comunità, nella struttura metafisica del reale o nella trascendenza, tutte le fedi e le valutazioni sono ugualmente irrazionali, perché puramente soggettive. Detto per inciso, è per questo che la coscienza moderna è soggettivista, relativista ed emotivista: nella formulazione teologica di Amerio, in breve illustrata nel mio precedente scritto, la coscienza moderna mette l’amore al posto del Logos, la volontà prima dell’intelletto, la libertà in luogo della legge, il sentimento sopra la ragione.
Questa, a mio avviso, l’origine ideale del conflitto di crescente asprezza tra legittimazione popolare e legittimazione razional-burocratica dell’Unione Europea. Conflitto insolubile, perché la crisalide di Stato europeo difetta della forza sufficiente a imporre dispoticamente il principio ordinatore razional-burocratico: ci prova, ma invano, perché non può revocare la democrazia rappresentativa a suffragio universale, che resta la “formula politica” [4] (Mosca) degli Stati che la compongono, anche se non conviene all’entità politica in fieri dell’UE; mentre la legittimazione popolare, rispecchiando i divergenti interessi, culture, persuasioni etiche di popoli, nazioni e ceti europei, affermandosi non può far altro che disarticolare il progetto razionalista di (ri)costruzione della Torre di Babele 2.0 europea, che si profila destinata a far la fine della Torre biblica 1.0.
Sul piano ideale, sarebbe possibile uscire da questo vicolo cieco, riconducendo la costruzione europea alle sue “radici cristiane”. Sottolineo “radici” piuttosto che “cristiane”, perché nelle radici cristiane c’è anche la filosofia classica greca, anzitutto platonica e aristotelica, che afferma con vigore e perspicuità il concetto di “natura umana” e della sua intrinseca socialità; e la rappresenta in una forma altamente differenziata che consentirebbe di conservare insieme sia la legittimazione dell’universalismo spirituale perenne (eguale dignità di tutti gli esseri umani) sia la legittimazione delle comunità particolari transeunti (eguale dignità nella differenza di culture, nazioni, popoli europei). Sempre sul piano ideale, su queste basi sarebbe possibile quella condivisione di un progetto politico-culturale e di un’etica che costituisce la condizione necessaria, benché non sufficiente, per il foedus politico europeo (scrivo “non sufficiente”, perché a questa condivisione di valori dovrebbe congiungersi il difficile compromesso tra gli interessi e il precipitato delle vicende storiche di nazioni, popoli e ceti europei).
Il cristianesimo che potrebbe farsi promotore di questo “ritorno alle radici europee”, dunque, non sarebbe il cattolicesimo reazionario, “maistriano” e seccamente negatore della modernità e dell’illuminismo, ma un cattolicesimo che in mancanza di altro termine definirò “tradizionista”, piuttosto che “tradizionalista”; perché non pretenderebbe il ritorno all’endiadi Trono/Altare, né l’adesione confessionale degli Stati e dei cittadini: non vivo su Marte né sono coetaneo di S. Tommaso, e mi ci troverei molto a disagio io stesso; ma il ritorno, o meglio il ritrovamento, di quel modo di intendere l’uomo e le sue comunità politiche e sociali con il quale il cristianesimo si confrontò al suo affermarsi, e poi riprese e parzialmente integrò ispirando e costruendo la civiltà europea. E’ questa, la base etica e filosofica che costituisce la “legge naturale” che, se per i cristiani coincide con i “preambula fidei”, per tutti gli europei potrebbe (sottolineo potrebbe) coincidere con la tavola dei valori comune: comune perché fondativa della civiltà europea.
Probabilmente, è con questa speranza che papa Benedetto XV incentrò la sua riflessione teologica intorno a una ripresa e a un aggiornamento della filosofia aristotelica, come base di dialogo con i non credenti e con le istituzioni politiche occidentali. E’ senz’altro in questa prospettiva che un gruppo di studiosi conservatori di chiara fama, tra i quali d’altronde alcuni amici personali di papa Ratzinger, ha elaborato la “Dichiarazione di Parigi”[5], che per quel che vale la mia adesione (poco) volentieri sottoscrivo nella sostanza.
L’11 febbraio 2013[6] s’è visto quali concrete possibilità di affermazione ha questo progetto (per ora non tante, diciamo).
E’ un serio problema, e non perché io, papa Ratzinger o i firmatari della Dichiarazione di Parigi ne siamo delusi.
E’ un serio problema perché osservando la logica del conflitto in corso, in Europa e in Occidente, è probabile avvenga quanto segue. Radicalizzazione e polarizzazione crescenti tra un campo che ha per minimo comun denominatore universalismo politico, mondialismo, razionalismo, scientismo, soggettività individuale dei valori; e un campo che ha per minimo comun denominatore identitarismo, nazionalismo, nei casi peggiori anche tribalismo e/o razzismo; e che con il campo nemico condivide il peggio, cioè razionalismo, scientismo e soggettività dei valori: perché sostituisce, come fonte della scelta volontaristica e arbitraria dei valori, all’individuo liberale-illuminista la comunità nazionale, o addirittura tribale e/o razziale; motiva la preferenza per il noi identitario rispetto all’ io illuminista-liberale con l’identico scientismo (superiorità genetica di una razza sull’altra, leggi etologiche del comportamento animale, etc.); e come il campo avverso persegue il suo fine – inevitabilmente, di potenza e supremazia – con il criterio della razionalità weberiana. In buona sostanza, due campi così configurati sarebbero l’uno il positivo, l’altro il negativo fotografico dell’impasse culturale e politico non dell’Unione Europea, ma dell’Europa e dell’ intera civiltà occidentale; che confliggendo al calor bianco la sprofonderebbero nel cimitero della storia, lasciandone per giunta un pessimo ricordo che magari ci meriteremmo noi, ma certo non i nostri padri.
Deus avertat. Per fortuna, probabile non vuol dire certo. L’uomo resta libero, e dunque tutto resta possibile. Meglio darsi da fare, però: aiutati che il Ciel t’aiuta.
Un abbraccio,
Roberto Buffagni
Caro Roberto,
Io ti ho inviato una cartolina, tu mi hai risposto con una enciclica. Quindi mi perdonerai, se rispondo, come mio stile, con un’altra cartolina.
Non entro nel merito della tua argomentazione, che comunque conferma il rigetto della modernità, quanto meno così com’è. E qui però vengo al punto che mi interessa: il tuo costruttivismo.
Vedi Roberto, dal punto vista storico – della storia come flusso di eventi – nessuno ha costruito a tavolino i concetti di impero romano, feudalesimo, mercato, liberalismo, modernità, solo per fare alcuni esempi.
Prima, si è avuta la realizzazione dei fenomeni storici ricordati, poi la loro teorizzazione: realizzazione che è frutto – mai dimenticarlo – di meccanismi sociali selettivi che sono il portato di una mano invisibile, che condensa le scelte di milioni e milioni di uomini, che, perseguendo individualmente i propri interessi, non sanno, nel preciso momento in cui agiscono, che cosa stiano realizzando collettivamente.
Per contro, un classico esempio di costruttivismo, cioè di teoria che precede la realtà, e pretende di piegarla, è rappresentato proprio dal comunismo. E i tristi risultati sono ancora sotto gli occhi di tutti. Come vedi non sei in buona compagnia… Lo stesso concetto si può estendere al nazionalsocialismo e al fascismo, frutto di un comune humus teorico, se vuoi culturale, che si proponeva, sempre a tavolino, la costruzione di forme alternative di postmodernità o antimodernità, ottenendo, in quest’ultimo caso, il beneplacito, come per il fascismo italiano, delle gerarchie cattoliche più retrive ed estranee o nemiche della modernità.
Sicché quando tu dici, appellandoti all’autorità di questo o quel dotto pensatore, potremmo fare questo, potremmo fare quello, ti comporti da perfetto costruttivista. Vuoi cambiare una realtà che non ti piace, costruendone un’altra a tavolino. E mettendo dentro di essa, quel che più ti aggrada o conforta la tua tesi. Anch’io potrei fare la stessa cosa, ma, a differenza di te, so, da sociologo, che la mano invisibile, che regola i fenomeni sociali, finisce sempre per vendicarsi degli ingegneri delle anime. Pertanto, in qualche misura, se mi perdoni l’inciso, tra noi due, l’individualista accanito sei tu, pur professando l’esatto contrario.
Certo – sarebbe inutile negarlo – anche l’unificazione europea è un fenomeno costruttivista, con una differenza – direi, fondamentale – rispetto al comunismo e alle altre forme di costruttivismo totalitario. Quale? Non prevede l’uso della violenza, ma si appella al contratto. Qui la sua forza e al tempo stesso la sua debolezza. In questo senso, però, siamo davanti, e per la prima volta nella storia, a una “formula politica”, o per meglio dire a un esperimento politico e sociale, che si propone di unificare l’Europa in modo pacifico, dove altri invece hanno fallito, usando la pura forza, se non la violenza più atroce.
Cosa c’è di male in tutto questo?
Ricambio l’abbraccio,
Carlo Gambescia
[1] https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2018/11/una-replica-all-interessante-articolo.html?spref=fb&fbclid=IwAR2pXredeFLtvbnTzIO-Qx94OxMztLk_JqNA4DU8HRZXp-8PiBTwEHtK-E0
[2] http://italiaeilmondo.com/2018/11/08/elezioni-europee-2019-quale-idea-deuropa-di-roberto-buffagni/#disqus_thread
[3] In: After virtue: a Study in Moral Theory (1981).
[4] http://www.treccani.it/enciclopedia/gaetano-mosca_%28Dizionario-Biografico%29/
[5] https://thetrueeurope.eu/uneuropa-in-cui-possiamo-credere/
[6] https://youtu.be/tuuUcIrd2AU
13 novembre 2018
Telegramma a Carlo Gambescia
Caro Carlo,
tu mi hai mandato due cartoline, io un’enciclica. Per pareggiare ti invio un telegramma:
SE LA UE E’ UN CONTRATTO E’ UN PESSIMO CONTRATTO, RIVEDERE STOP
ANTICA PERO’ QUESTA MODERNITA’ CHE VA RATIFICATA IN BLOCCO MI RICORDA IL SALTO DELLA FEDE STOP
INDIVIDUALISTA LO SONO ECCOME INFATTI SOPPORTO LE IMPOSIZIONI “PER IL MIO BENE” [SIC] SOLO SE AUTORIZZATE DA UN DIO IN CUI CREDO ANCHE IO STOP
Riabbraccio affettuoso, Tuo Roberto
Al quale rispondo con un mio telegramma :
Telegramma a Roberto Buffagni
CONCORDO SUL RIVEDERE CONTRATTO STOP
SENZA PISTOLE ALLA MANO STOP
TRATTASI DI ESPERIMENTO STOP
ASTENERSI FIDEISTI STOP
Un abbraccio di cuore, Tuo Carlo