L’ultimo imperatore, di Gianfranco Campa
Trump ha perso! E’ stato annientato dagli apparati di potere di Washington e globalisti. Il magnate newyorkese era entrato in politica con i fuochi d’artificio e con i fuochi di artificio ne sta uscendo; oscurato e bannato dai giganti dell’High tech, tradito dall’establishment repubblicano.
Trump lascia la Casa Bianca combattendo “to the bitter end”, fino all’annientamento senza resa. Mi vengono in mente le parole del generale tedesco Paul Conrath, il salvatore dei tesori di Montecassino, comandante della divisione Hermann Göring, che così risponde alla richiesta del suo superiore, il Field Marshal Albert Kesselring “Conrath gli alleati stanno sbarcando in Sicilia, sei pronto?”: “Vuoi un’immediata, spericolata offensiva contro il nemico? Sono il tuo uomo!” L’atteggiamento di Conrath era in linea con la filosofia del vecchio esercito prussiano: “Non chiedere quanti sono i nemici, chiedi solo dove sono.” Lo slogan aveva senso per un esercito abituato a combattere nemici più grandi e più ricchi e non aveva quindi altra scelta che enfatizzare la forza di volontà sulle armi, il cuore sull’alta tecnologia. Gli ufficiali prussiani non dovevano ponderare troppo sulle probabilità, ma piuttosto combattere in inferiorità numerica e vincere, dando tutto ciò che avevano. Trump, forse, nella sua stirpe ha qualcosa di Prussiano. Resta il fatto che ha combattuto un nemico infinitamente superiore; più grande, più ricco (Establishment politico/Apparati del Potere/Multinazionali/Istituzioni bancarie e finanziarie/ Establishment scientifico e medico) e tecnologicamente superiore (Mass Media/Silicon Valley). Ha combattuto per tutto il suo mandato in inferiorità numerica pur se guidato da grande volontà e cuore; in stile prussiano appunto.
Si è avuta comunque sempre la convinzione, in questi ultimi quattro anni, che Trump non avesse mai realmente capito chi fossero i suoi veri nemici. C’è sempre stata la netta sensazione che giocava a un gioco più grande di lui, un pivello alle prime armi in un mondo pieno di squali e vipere. Detto questo, Trump non ha completamente fallito. Non ha avuto la possibilità di terminare l’opera, ma il partito Repubblicano del vecchio establishment politico non esiste più; ora è il partito non tanto di Trump, quanto del movimento di Trump. Quel movimento nato sulle ceneri dei Tea Party e che aveva adottato Trump come un viatico per picconare il sistema dei poteri. Trump esce di scena, ma il Trumpismo è qui per rimanerci. Cambierà nome, si evolverà, ma non sarà mai più allineato ai vertici del partito Repubblicano. L’establishment ha vinto la guerra con Trump ma nel corso di questa lunga e sanguinosa guerra ha perso il popolo dal quale quel partito è sostenuto; in altre parole i vertici Repubblicani sono ora nudi senza che ci sia una base consistente che li segua. Il loro destino è segnato, in pochi verseranno lacrime al loro crepuscolo.
Trump è uno uomo imperfetto che ha commesso molti errori e con molte lacune; ha però anche portato a compimento molte opere titaniche soprattutto nelle circostanze in cui ha dovuto operare, ostacolato com’era dai centri del potere Americano e internazionale, uniti sotto la bandiera dell’antitrumpismo. La storia, si dice che sia narrata e scritta dai vincitori non dai vinti e sicuramente in questo contesto il mondo accademico, anche questo ostile a Trump, non esalterà di certo le lodi nella narrazione storica delle azioni del presidente Trump. Si spera che fra cento o mille anni, quando la nazione a stelle e strisce sarà un pallido ricordo studiato solo nei libri e nei resoconti didattici, gli storici saranno più obbiettivi nel giudicare uno degli ultimi imperatori di questo tardo impero americano.
Sono molte le imprese compiute da Trump in questi quattro anni, ma la maggior parte della gente, quella che lo scienziato politico Samuel Popkin definisce “Low information voters”, cioè gli elettori (la maggior parte) con una basso livello di conoscenza, nutriti e indottrinati dai mass media e dall’establishment politico, non ne è a conoscenza.
Trump esce e rientra alla Casa Bianca Joe Biden; questa volta nelle vesti del nuovo imperatore, visto che l’ultima volta che bazzicava alla Casa Bianca ne era il vice, secondo solo a sua maestà, bombarolo maximus, il distruttore di mondi, Barack Obama.
Inizia ora il regno dell’imperatore nudo, politicamente corrotto. 47 anni di vita politica nelle stanze del potere di Washington. Che tipo di imperatore sara Biden? Un imperatore fantasma, una figura di facciata, la vera presidente sarà Kamala Harris, la favorita di Obama; per molti versi questa sarà la terza amministrazione Obama in 12 anni. Biden, prevedo che durerà si e no, non più di due anni, poi sarà costretto a dimettersi per motivi di salute. Il futuro della repubblica americana è sprofondato in acque torbide; quello che ne uscirà dall’altra sponda sarà una America completamente diversa da quella vista finora. Si avvererà quello che la teoria generazionale di Strauss-Howe chiama “the Fourth Turning”, la Quarta Svolta, che descrive un ciclo generazionale ricorrente teorizzato nella storia americana e nella storia globale.
I prossimi mesi e anni saranno di grande tumulto e i cambiamenti si accelereranno a velocità vertiginosa. Non sarà solo l’America, ma di riflesso, tutto il mondo occidentale diventerà testimone, vittima e terreno di azione di cambiamenti epocali, probabilmente non tutti positivi. La storia futura identificherà in Donald Trump uno di quei personaggi che hanno contribuito a distruggere il sistema attuale ormai corrotto e decadente dei poteri politici e geopolitici; a quel punto forse, dico forse, Trump verrà riconosciuto come un protagonista positivo e non negativo. Chi vivrà vedrà!