Le conseguenze dell’allargamento dell’UE all’Ucraina, di Maxime Lefebvre

Le conseguenze dell’allargamento dell’UE all’Ucraina

Maxime Lefebvre

27 luglio 2023

Dalla rivoluzione arancione del 2004 all’invasione russa del 2022, l’Ucraina ha costantemente bussato alla porta dell’Unione Europea. Ma a differenza della NATO, l’UE non ha mai offerto all’Ucraina la prospettiva di adesione, come invece ha fatto con i Paesi dei Balcani occidentali (nel 2000) e con la Turchia (nel 1963). L’UE ha riconosciuto le “aspirazioni europee” dell’Ucraina e ha accolto con favore la sua “scelta europea”, ma non le ha mai concesso una “prospettiva europea”, nonostante le pressioni del Regno Unito (che nel frattempo ha lasciato l’Unione), della Svezia e degli Stati membri dell’Europa orientale. I Paesi Bassi hanno persino subordinato la ratifica dell’accordo di associazione nel 2016 a una dichiarazione referendaria che non prevedeva alcuna prospettiva di adesione.

Tutto è cambiato con la guerra in Ucraina nel 2022. Per solidarietà con gli ucraini, è diventato impossibile negare a questo popolo martire e a questo “Paese europeo” (riconosciuto come tale in una dichiarazione UE-Ucraina del 2008 adottata sotto la presidenza francese, ma non come “Stato europeo” ai sensi dell’articolo 49 del TUE) la prospettiva di entrare un giorno nell’Unione. Per non creare divisioni sgradite in questo contesto, il Consiglio ha passato la palla alla Commissione, che si è affrettata a esprimere un parere favorevole, e il Consiglio europeo ha accettato la domanda ucraina a tempo di record, già a giugno (la Turchia aveva aspettato fino al 1999 per essere ufficialmente accettata). Contemporaneamente, è stata accettata anche la domanda della Moldavia (geopoliticamente legata al destino dell’Ucraina) e la Georgia ha ottenuto una prospettiva europea.

La questione non è più se si apriranno i negoziati di adesione, ma quando e quali saranno le conseguenze di questi nuovi allargamenti. Le cose possono accadere rapidamente, visto che sono passati appena dieci anni tra la prospettiva di adesione dei Paesi dell’Europa centrale e orientale (PECO) a Copenaghen (1993) e il grande allargamento a Est (2004).
Uno spostamento dell’Unione verso est

Supponiamo che l’allargamento alla Turchia rimanga congelato (i negoziati sono fermi dal 2020) e che l’Unione si espanda “solo” ai sei Paesi dei Balcani occidentali in attesa di adesione e ai tre nuovi candidati a Est. L’Unione passerebbe da 27 a 36 membri, la maggior parte dei quali (20) sarebbero ex “Paesi del blocco orientale” e insieme soddisferebbero uno dei criteri per la maggioranza qualificata nel Consiglio (55% degli Stati). Questo criterio numerico è importante anche per la Commissione, dove la maggioranza dei commissari proverrebbe dall’Europa orientale.

Dal punto di vista demografico, i nuovi membri non hanno molto peso rispetto ai 450 milioni di abitanti dell’Unione Europea a 27: 20 milioni per i Balcani e appena 40 milioni per l’Ucraina. L’Unione Europea non riacquisterebbe nemmeno la popolazione precedente alla Brexit. Con una maggioranza in Consiglio secondo il criterio della maggioranza numerica, i Paesi dell’Europa orientale nel loro insieme non raggiungerebbero la minoranza di blocco secondo il criterio demografico (35% della popolazione). Le decisioni dovranno quindi tenere conto degli interessi dell’Est, ma si può prevedere che l’influenza dei Paesi occidentali più popolosi e ricchi rimarrà predominante, soprattutto perché i parlamentari e i funzionari europei vengono assunti più o meno in proporzione alla popolazione degli Stati interessati.

La divisione tra Est e Ovest può tuttavia essere problematica sotto molti aspetti. Secondo il criterio religioso, che è alla base dell’approccio delle “civiltà” di Samuel Huntington (Clash of Civilisations, 1996), alcuni degli attuali PECO appartengono alla civiltà dell’Europa occidentale (caratterizzata dal cristianesimo cattolico e protestante), mentre Grecia, Bulgaria, Romania, Moldavia, Ucraina, Georgia, Serbia, Macedonia e Montenegro hanno una tradizione ortodossa e tre Paesi hanno una maggioranza musulmana (Albania, Bosnia e Kosovo). Sulle questioni migratorie, il rifiuto del gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia) dell’immigrazione non cristiana e non europea potrebbe trovare un sostegno più ampio.

Il sociologo Henri Mendras (L’Europe des Européens, 1997) ha teorizzato il divario tra i Paesi dell’Europa occidentale e quelli dell’Europa orientale, i quali non hanno sperimentato, o hanno sperimentato solo con ritardo, i processi di individualizzazione, costituzione di Stati nazionali, industrializzazione e democratizzazione tipici dell’Occidente. I problemi con lo Stato di diritto in Ungheria e Polonia (e altrove), o con la corruzione endemica (in particolare in Ucraina), sono difficili da superare e potrebbero non essere mai superati.
Convergenza economica o rapporto centro/periferia?

Il divario è anche economico. L’Ucraina è un Paese povero per gli standard dell’UE: il 25% del PIL pro capite della Polonia (erano allo stesso livello nel 1990), il 10% di un Paese come la Francia. E gli altri futuri Paesi dell’allargamento non se la passano molto meglio. L’adesione di 60 milioni di poveri comporterà un maggiore bisogno di solidarietà, attraverso gli aiuti della Politica agricola comune e della politica regionale, che saranno finanziati a spese degli aiuti ricevuti dagli altri Paesi meno sviluppati della periferia orientale e mediterranea dell’UE, oppure dovranno essere finanziati dai Paesi più ricchi.

Tuttavia, la capacità redistributiva dell’UE è minata dall’uscita del Regno Unito (che rappresentava un contributo netto significativo), dalla ricaduta dei Paesi mediterranei in seguito alla crisi dell’eurozona e dalla riluttanza di diversi Paesi ricchi ad aumentare la spesa per l’UE in un contesto di debito eccessivo e di rigore di bilancio. Inoltre, come ha dimostrato il caso delle importazioni ucraine di cereali che hanno provocato richieste di salvaguardia da parte di alcuni Paesi dell’Europa orientale, il libero scambio con l’Ucraina ha effetti problematici anche per l’UE.

È possibile ipotizzare uno scenario ottimistico di convergenza in cui l’Ucraina seguirebbe lo sviluppo economico della Polonia e di altri Paesi dell’Europa centrale e orientale, il che ridurrebbe a lungo termine la necessità di solidarietà. Tuttavia, il caso della Grecia dopo il 2010 dimostra che non si possono escludere arretramenti in Paesi in cui lo Stato di diritto non è ben consolidato, e il caso dell’Italia dimostra che il Mezzogiorno non è mai stato in grado di recuperare il ritardo rispetto al Nord del Paese.

È ipotizzabile un altro scenario in cui la periferia orientale e mediterranea dell’Unione rimarrebbe permanentemente sottosviluppata. Ciò si accompagnerebbe a un esodo delle forze vitali di questi Paesi verso un futuro migliore in Germania o in altri Paesi dell’Europa occidentale, come abbiamo visto dopo l’adesione dei Paesi dell’Europa orientale, che si stanno spopolando drammaticamente (cfr. Ivan Krastev, Le Destin de l’Europe, 2018). Creando 8 milioni di rifugiati (il 20% della popolazione), la guerra in Ucraina ha accelerato un processo che era già iniziato.

L’Unione Europea sarà abbastanza forte da imporre profondi cambiamenti strutturali allo Stato di diritto nel lungo periodo? Nessuno ha la risposta. È possibile che si debba tornare all’idea di un’integrazione a più velocità, con una zona euro più integrata che deve essere strutturata all’interno di un’Unione europea più grande che non sarebbe in grado di applicare le sue politiche più ambiziose (unione monetaria, zona Schengen senza controlli alle frontiere) a tutti i suoi membri. È anche possibile che un rafforzamento dei partiti nazionalisti in tutta Europa finisca per mettere a repentaglio l’intero progetto europeo.
Effetti sulla politica estera dell’Unione

L’adesione dell’Ucraina all’UE confermerebbe lo sviluppo auspicato dal politologo americano Zbigniew Brzezinski (Le Grand échiquier. L’Amérique et le reste du monde, 1997): il consolidamento di una “spina dorsale geostrategica” comprendente Francia, Germania, Polonia e Ucraina. Questo scenario prevede l’unificazione dell’Europa contro la Russia, con tutte le istituzioni europee più o meno geopoliticamente allineate (UE, NATO, Consiglio d’Europa, Comunità politica europea avviata nel 2022). La guerra in Ucraina ha spinto l’Europa verso questo scenario e oggi è difficile capire come si possa tornare al progetto di un’architettura di sicurezza europea che includa la Russia.

Ma garantire la sicurezza a lungo termine dell’Ucraina in un confronto senza fine con la Russia è una sfida importante. Come ha dimostrato il recente vertice di Vilnius, non è facile estendere la NATO all’Ucraina, un Paese in guerra con la Russia e in parte occupato da quest’ultima, senza scontrarsi con il dilemma della garanzia dell’articolo 5 (assistenza nel quadro della difesa collettiva): o questo articolo non sarà applicato e sarà demonetizzato, o sarà applicato e la NATO sarà trascinata in una guerra potenzialmente nucleare. L’UE non si trova di fronte allo stesso dilemma, in quanto la propria clausola di difesa collettiva (articolo 42-7 del TUE) non ha la portata operativa dell’articolo 5 del Trattato di Washington: inoltre, l’adesione di una Cipro divisa non ha portato a un conflitto con la Turchia.

Qualunque sia la soluzione alla questione delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina (attraverso la NATO, l’UE o il sostegno bilaterale come avviene oggi), un’UE allargata all’Ucraina sarà ancora più anti-russa e dovrà inquadrare maggiormente la sua politica estera in un quadro transatlantico e occidentale, con il rischio che l’UE non emerga più autonoma e più capace di far valere i propri interessi, in particolare nelle relazioni con gli Stati Uniti.

L’adesione dell’Ucraina e degli altri Paesi attualmente candidati potrebbe quindi portare a un’Unione più eterogenea, la cui unità dipenderebbe dall’unità e dalla forza del quadro liberale occidentale guidato dagli Stati Uniti e incarnato in particolare dalla NATO. Se questo quadro dovesse indebolirsi, anche a causa degli sviluppi oltre Atlantico, e se le forze nazionaliste centrifughe dovessero continuare a rafforzarsi all’interno dell’Unione, il progetto europeo potrebbe essere pericolosamente indebolito. Ciò rende ancora più urgente e necessaria la riscoperta di un asse franco-tedesco forte e trainante al centro dell’Unione.

https://www.telos-eu.com/fr/les-consequences-dun-elargissement-de-lue-a-lukrai.html

ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)

SITREP 6/30/23: I venti si addensano prima del vertice NATO _ di SIMPLICIUS THE THINKER

SITREP 6/30/23: I venti si addensano prima del vertice NATO

Dopo gli eventi della Rivolta di Prigozhin, c’è stata un po’ di tregua, come un calo post-maniacale. In parte, ciò è dovuto a quello che la stampa occidentale sostiene essere il maltempo in prima linea questa settimana, che ha ostacolato ulteriori tentativi ucraini di fare nuove avanzate. Le hanno fatte a sprazzi e sono state per lo più respinte con grandi perdite, come al solito.

Col senno di poi, finora la maggior parte delle mie previsioni sull'”offensiva” sono state abbastanza accurate. Un paio di mesi fa, una volta che mi sono sentito a mio agio con le mie sensazioni sulle reali disposizioni e condizioni delle truppe dell’AFU, ho detto che molto probabilmente non ci sarà alcuna vera offensiva, né si raggiungerà alcun tipo di sfondamento. Questo mentre altre personalità della sfera russa condizionavano comprensibilmente il loro pubblico a prevedere almeno importanti sfondamenti fino al secondo o terzo livello. Alla fine ho concluso che non ci sarà una vera e propria offensiva, perché la annulleranno dopo essere stati distrutti e sosterranno che si trattava solo di “sondaggi”.

Ora, come previsto, stanno spostando la narrazione sulla necessità di una forza aerea. Non solo ho pubblicato di recente l’intervista di Arestovich, in cui ridicolizzava l’ipocrisia della NATO nel pretendere che l’Ucraina facesse enormi progressi senza copertura aerea, in contrasto con le dottrine della NATO stessa, ma ora una nuova intervista con il riemerso Zaluzhny riecheggia gli stessi sentimenti:

Il comandante in capo delle forze armate ucraine, Zaluzhny, si è lamentato in un’intervista al Washington Post, affermando che i partner occidentali li spingono ad avanzare per assalti di carne, senza fornire aviazione e rifornimenti:”… gli alleati occidentali si aspettano successi rapidi, anche se loro stessi non partirebbero mai senza la superiorità aerea – mentre l’Ucraina non ha ricevuto caccia moderni”.
Ma dal momento che l’ottenimento di jet da combattimento non è realistico nel prossimo futuro, il dialogo continua a spostarsi verso una negoziazione. L’emittente tedesca ARD ha dichiarato che giorni fa, il 24 giugno, si è tenuto a Copenaghen un incontro internazionale segreto sull’Ucraina, in cui i diplomatici di vari Paesi occidentali si sono incontrati con i rappresentanti dei BRIC nel tentativo di trovare un modo per convincere la Russia a risolvere pacificamente il conflitto. ARD conclude che i negoziati ufficiali per la risoluzione del conflitto potrebbero avvenire già a luglio:

Secondo il canale televisivo ARD, il 24 giugno si è tenuto a Copenaghen un incontro internazionale sull’Ucraina “in gran segreto” con la partecipazione di diplomatici dei Paesi occidentali e di rappresentanti di Brasile, India, Cina e Sudafrica. I colloqui si sono svolti su iniziativa di KievI negoziati ufficiali per risolvere il conflitto ucraino inizieranno il mese prossimo, secondo il canale televisivo tedesco ARD.Particolare attenzione in questo contesto è rivolta alla partecipazione dei Paesi BRICS, che finora sono rimasti neutrali rispetto alla situazione in Ucraina. Secondo il canale televisivo ARD, i negoziati sono stati avviati da Kiev. Questo fa sperare in un progresso nella risoluzione della questione ucraina, perché i negoziati ufficiali tra le parti potrebbero avere luogo già a luglio. Al momento, i dettagli dei prossimi negoziati e i tempi specifici del loro svolgimento rimangono sconosciuti. Tuttavia, a quanto pare, entrambe le parti stanno dimostrando la disponibilità a un dialogo produttivo e il desiderio di trovare il modo di risolvere le contraddizioni esistenti tra loro.

È impossibile sapere quanto questo sia vero, tuttavia è in linea con le mie precedenti previsioni e quindi gli attribuisco una fiducia abbastanza elevata. In questo momento, la fase in cui ci troviamo è l’alba della dura realtà per i cittadini occidentali e i loro amministratori. Hanno già iniziato a vedere l’inutilità del tentativo dell’Ucraina di riconquistare il territorio e, allo stesso modo, vedono la crescente minaccia di una grande catastrofe nucleare.

Non che io sia d’accordo, ma solo per dare un esempio dall’altra parte, ecco cosa dice il dissidente ucraino Leonid Vershinin su quanto sopra. Sostiene che Mosca sta conducendo negoziati segreti ed è disposta a cedere la ZNPP come ulteriore “gesto di buona volontà”. Tuttavia, egli afferma che tale accordo non è stato raggiunto e che quindi l’Ucraina è pronta ad attaccare lo ZNPP:

“All’inizio di maggio, non ricordo il giorno esatto, ho scritto che avrei scritto raramente fino al 22 giugno, e così è stato. Ho scritto raramente, e ho semplicemente buttato nel carrello le cose più interessanti con cui ero d’accordo, non vedendo l’utilità di ripetere l’ovvio più e più volte. Il fatto è che circa un mese e mezzo fa persone di cui mi fido mi hanno detto che ci sono trattative molto serrate ai vertici tra Mosca e i suoi partner e Mosca è pronta a fare le più ampie concessioni, mentre i partner chiedono come gesto di buona volontà di cedere la ZPP a Kiev promettendo che in questo caso Kiev guarderà alla restituzione di Energodar come a una “vittoria” e passerà dalla rabbia alla pietà e accetterà di parlare. Secondo i loro dati, la scadenza è stata fissata al 22 giugno. E nel caso in cui i moscoviti rifiutassero questo gesto di buona volontà, l’Occidente “offrirà volontariamente” la seconda ondata del “contrattacco” – tutte le forze dell'”Ucraina”, puntando allo stretto di Crimea e a Energodar, e organizzando parallelamente colpi alla regione di Kherson e alle regioni di confine della Russia. Ormai, credo, è chiaro che non è stato raggiunto alcun accordo, e le prossime due settimane prima del vertice della NATO saranno, diciamo, non facili.Solo in base alle mie sensazioni, posso prevedere gli eventi principali del 26-29 giugno, ma non posso prevederne l’esito, anche se credo nell’esercito russo. Se non sarà tradito ai vertici, resterà in piedi. Ma temo che se resisterà, i moscoviti lo useranno per fare un affare disastroso.
Ma ricordiamo che in Occidente ci sono due campi contrapposti: gli integralisti e i “sani di mente”. Gli integralisti continueranno a spingere per un’escalation, perché i loro padroni in cima alla piramide dell’élite non permetteranno mai alla Russia di ottenere un qualsiasi tipo di vittoria decisiva, non importa quante persone moriranno, perché per loro è esistenziale. La vittoria della Russia comporterà il collasso finale dell’intero ordine occidentale, ovvero della cabala bancaria centenaria che ha governato il mondo con il pugno di ferro. Quelle antiche famiglie al vertice non possono permettere che la Russia vinca.

Tuttavia, contrariamente ai teorici della cospirazione, queste élite non sono “onnipotenti”. Possono essere ostacolate e la loro voce può essere sopraffatta dalle grida della guardia “sana”. Non lo dico nel senso di una sorta di QAnon con la carta stagnola “i camici bianchi/le forze della luce vinceranno il male!”, ma piuttosto in un senso logico e di realpolitik. I “cattivi” sono in qualche modo ostacolati dal fatto che devono stare al gioco e non possono togliersi completamente la maschera nel rivelare le loro vere intenzioni. Così, quando vengono messi alle strette da un punto di vista ideologico, dove l’andare controcorrente espone il loro vero programma malvagio, possono essere costretti – almeno temporaneamente – a fare marcia indietro e a riorganizzarsi.

Purtroppo, per ora, gli integralisti, almeno all’interno dell’Ucraina, continuano a spingere per un’escalation totale. Lo scenario della falsa bandiera nucleare di Zaporozhye è ancora in corso, più forte che mai con una serie di nuovi sviluppi.

In primo luogo, il regime ucraino starebbe conducendo esercitazioni nucleari a Nikopol, proprio dall’altra parte di Energodar e dell’area dello ZNPP:

Per non parlare del fatto che anche i funzionari polacchi stanno distribuendo volantini sulla sicurezza dalle radiazioni, in chiara preparazione a “qualcosa”:

E il seguente rapporto:

Alcuni canali di telegramma ucraini hanno ricevuto informazioni che i militari della 124ª e 126ª brigata della Brigata di Difesa Teroboron, così come la 406ª Brigata di Artiglieria Indipendente dell’AFU hanno condotto esercitazioni di protezione radiochimica e biologica sul territorio della parte destra della regione di Kherson.
Il ministro della Sanità ucraino Viktor Lyashko è andato in televisione per mitigare le preoccupazioni degli ucraini, dicendo loro che Kiev non sarebbe stata colpita da un disastro nucleare della ZNPP, ma avvertendoli comunque di fare attenzione e di seguire le linee guida:

Per non parlare del fatto che è stata annunciata l’installazione di nuovi rilevatori di radiazioni nei dintorni di Kiev per monitorare la situazione potenziale, come se questo non fosse affatto un presagio.

A Kiev sono stati installati altri sensori per misurare il livello di radiazioni. Due nuovi dispositivi sono stati installati nei distretti di Goloseevsky e Svyatoshinsky, ha dichiarato Alexander Vozniy, direttore del Dipartimento di protezione ambientale dell’Amministrazione statale della città di Kiev. Attualmente a Kiev sono in funzione sette sensori, che trasmettono informazioni sul livello di radiazioni in tempo reale all’applicazione Kiev Digital.
Le evacuazioni sarebbero state ordinate nell’area di Nikopol, di fronte alla ZNPP, sulla base di un evento radiologico:

Zelensky ha anche avuto una telefonata con il canadese Trudeau, in cui lo ha avvertito dell’imminente attacco della Russia:

Zelensky ha discusso con il Primo Ministro canadese Trudeau della situazione intorno alla centrale nucleare di Zaporozhye “Ho avuto la prima di una serie di importanti conversazioni telefoniche con il Primo Ministro canadese Justin Trudeau… Ho richiamato l’attenzione del Primo Ministro sulla situazione di minaccia che… si è creata alla centrale nucleare di Zaporozhye… I partner dell’Ucraina dovrebbero dimostrare una reazione di principio, in particolare al vertice NATO di Vilnius”, ha scritto Zelensky nel suo canale di telegrammi.
Da parte loro, però, gli Stati Uniti hanno dichiarato di non aver ancora visto alcun segnale che indichi l’intenzione della Russia di attaccare la centrale nucleare di ZNPP:

Gli Stati Uniti non vedono alcuna prova che vi sia una minaccia di minare la centrale nucleare di Zaporozhye da parte delle forze della Federazione Russa, come sostiene Kiev”. Lo ha annunciato lunedì in un briefing il coordinatore per le comunicazioni strategiche presso il Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, John Kirby: “Non abbiamo visto alcun segno che questa minaccia [di minare la centrale nucleare da parte delle forze russe] sia imminente, ma la stiamo osservando molto da vicino”, ha detto Kirby, secondo cui gli Stati Uniti hanno la possibilità di monitorare la situazione delle radiazioni nei pressi della centrale nucleare, ma non hanno informato sullo stato attuale del fondo di radiazioni. Allo stesso tempo, il 23 giugno, ha anche detto che “gli Stati Uniti non stanno attualmente registrando un aumento dei livelli di radiazione nell’area della centrale nucleare di Zaporozhye”.
Potrebbe trattarsi di un tentativo di disinnescare e/o prendere le distanze dalla situazione, come hanno cercato di fare con gli attacchi al Nordstream. Ma potrebbe anche essere un segnale all’Ucraina: “Non ti copriamo le spalle, non farlo”. Come ho scritto in precedenza, ritengo che l’Ucraina potrebbe essere disonesta su questo piano e di fatto usarlo per “ricattare” gli Stati Uniti/UE/NATO per ottenere le forniture di armi e le garanzie di sicurezza che desidera, tenendo il pugnale nucleare su di loro come una spada di Damocle, con la minaccia che “se non ci date quello che vogliamo, vi costringeremo alla terza guerra mondiale contro la Russia”.

Detto questo, non lasciatevi ingannare dalla mia affermazione che gli Stati Uniti e l’Ucraina sono necessariamente in contrasto. È molto più complicato di così. Vedete, ci sono molte fazioni diverse all’interno degli stessi Stati Uniti, molte delle quali operano in completo isolamento e con indipendenza rispetto al livello superiore e agli organi di “governo” apparente. La CIA e tutti i vari gruppi SCIF compartimentati all’interno del governo degli Stati Uniti, che rappresentano lo “Stato profondo” nel vero senso della parola, sono probabilmente coinvolti in questi piani, facilitandoli, coordinandoli o progettandoli, senza l’approvazione o la supervisione degli apparati di governo superficiale di alto livello.

Forse è di questo che si è parlato nel recente viaggio?

È lo stesso modo in cui è stato portato a termine l’11 settembre e in cui è stato creato l’ISIS, da questi gruppi sepolti in profondità nelle pieghe dello Stato dell’intelligence statunitense, in totale segretezza e isolamento, lontano dai funzionari di alto livello.

E come i miei lettori ricorderanno, ho messo in guardia dai collaboratori occidentali del MSM, che si prestano al regime e lo aiutano a coprire l’imminente falsa bandiera nucleare. Abbiamo finalmente assistito al primo vero sforzo in questo senso, dato che Sky News ha inventato un servizio fraudolento per condizionare le masse sul fatto che la Russia ha una presa debole sulla centrale nucleare di ZNPP e che le sue truppe stanno già iniziando a ritirarsi da essa, il che è completamente falso:

Sky NewsLe forze russe stanno iniziando a lasciare la centrale nucleare più grande d’Europa, dice l’UcrainaLe forze russe stanno iniziando a lasciare la centrale nucleare di Zaporizhzhia, secondo il principale dipartimento ucraino di intelligence per il ministero della Difesa.Le truppe di Mosca hanno occupato l’impianto dal marzo dello scorso anno e l’Ucraina ha recentemente effettuato esercitazioni di risposta ai disastri nucleari in previsione di un potenziale attacco. Un certo numero di lavoratori ha ricevuto istruzioni di lasciare l’impianto entro il 5 luglio, ha dichiarato la principale direzione dell’intelligence di Kiev in un post su Telegram: “Secondo gli ultimi dati, il contingente di occupazione sta gradualmente lasciando il territorio della centrale nucleare di Zaporizhzhia. Tra i primi a lasciare l’impianto ci sono tre dipendenti di Rosatom, responsabili delle azioni dei russi”. “Anche ai dipendenti ucraini che hanno firmato un contratto con Rosatom è stato consigliato di evacuare. Secondo le istruzioni ricevute, dovrebbero lasciare l’impianto entro il 5 luglio”, sottolineando che il numero di pattuglie militari “sta gradualmente diminuendo” intorno all’impianto.
Ricorderete che ho spiegato che queste tattiche sarebbero state utilizzate dalla stampa occidentale per vendere una narrazione distorta della crescente “disperazione” della Russia man mano che la sua presa sulla centrale si indebolisce, il che porterà all’ovvia conclusione del “colpo disperato” di Putin per distruggere la centrale che non può avere in un tentativo di “se non posso averla io non può averla nessuno”.

Come si può vedere, stanno già gettando le basi per questo condizionamento.

‼️☢️Il nemico sta preparando una provocazione nucleare: il Ministero della Sanità ucraino ha iniziato a preparare la popolazione a un possibile incidente nella centrale nucleare di Zaporozhye. Il Ministero della Sanità chiarisce che le informazioni riguardano i residenti della zona di 50 chilometri intorno alla ZNPP. Preparare un kit di pronto soccorso con il seguente contenuto: ioduro di potassio – riduce l’effetto negativo dello iodio radioattivo sulla tiroide; sorbenti di alluminio-antiacido – per accelerare la neutralizzazione e la rimozione dei radionuclidi dall’organismo; alginato di sodio – crea una barriera protettiva sulla superficie del contenuto liquido dello stomaco e impedisce l’assorbimento di sostanze pericolose da parte dell’organismo; maschera – per ridurre l’ingresso di sostanze pericolose nell’organismo. 

 


La situazione è arrivata al punto che il rappresentante permanente della Russia alle Nazioni Unite ha presentato un appello urgente all’ONU, affermando che la Russia non intende in nessun caso distruggere l’impianto. Leggetelo per farvi un’idea del tono serio:

Un’altra buona notizia è che anche l’AIEA ha rilasciato una dichiarazione de-escalatoria, affermando di non aver visto alcun segno di “estrazione” della centrale nucleare di Zaporizhia da parte della Russia:

Gli esperti dell’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) non hanno ancora registrato segni di estrazione della centrale nucleare di Zaporizhia – ha dichiarato il capo dell’AIEA Raphael Grossi -. Gli esperti dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) non hanno registrato ad oggi alcun segno di estrazione della centrale nucleare di Zaporozhye. Lo afferma il messaggio del direttore generale dell’agenzia Rafael Grossi, pubblicato venerdì sul sito web dell’organizzazione. “Gli esperti dell’AIEA non hanno ancora trovato segni visibili di mine o altri esplosivi attualmente installati presso la centrale nucleare di Zaporizhia <… >Secondo Grossi, gli esperti dell’agenzia nell’ultima settimana non hanno registrato alcun bombardamento o esplosione nell’area della centrale. alcune notizie ucraine dicono che la Russia si sta già ritirando dall’area di ZNPP

Ecco la vista aggiornata del lago artificiale dal lato ucraino:

Questi sviluppi convergono con la pressione sempre più forte sull’Ucraina affinché produca qualche risultato prima che la stagione offensiva si concluda quest’anno. Secondo alcuni, mancano più di 4 mesi, anche se potrebbe essere molto prima, dato che ottobre potrebbe portare un’altra mini-Rasputitsa che inizierà a ostacolare tutte le operazioni offensive.

Come si può vedere dalla selezione di titoli del MSM qui sopra, l’implausibilità della vittoria dell’Ucraina sta diventando abbastanza accettata nei circoli occidentali.

“Gli ucraini hanno ancora 3-4 mesi per dimostrare i progressi della controffensiva” – ha dichiarato il deputato polacco Witold Waszczykowski – “Se dopo 3-4 mesi la controffensiva fallisce, l’Europa inizierà a spingervi a congelare il conflitto e ad avviare i negoziati con la Russia, come è stato fatto nel 2015. Questo è il mio pensiero pessimistico… La maggior parte dei Paesi europei, come Germania e Francia, non ha bisogno dell’Ucraina. Hanno bisogno della Russia per tornare nell’economia mondiale. Hanno bisogno del gas russo”, ha detto Waszczykowski.
Ma il rovescio della medaglia è che anche alla Russia restano solo pochi mesi quest’anno per sferrare un colpo “decisivo” che possa davvero piantare il chiodo finale nella bara e indurre l’Ucraina o l’Occidente a considerare la pace. Non fraintendetemi, credo che durante l’inverno la Russia abbia un arsenale molto più ampio di capacità che continueranno a danneggiare gravemente l’Ucraina. Rasputitsa e l’inverno significano semplicemente immobilità, che è paralizzante per l’Ucraina ma non per i complessi d’attacco russi. Quindi, anche durante l’inverno, mi aspetto che la Russia si affidi maggiormente alle sue capacità di attacco a lungo raggio e continui a colpire le infrastrutture ucraine. In effetti, l’Ucraina ha già segnalato di temere proprio questo e si sta preparando:

L’Ucraina si sta preparando a possibili attacchi energetici già in autunno. Lo ha riferito Vadym Skibitskyy, rappresentante del Dipartimento di controllo statale del Ministero della Difesa ucraino: “Nella prima campagna di questo tipo, non hanno ottenuto il loro risultato, perché il nostro sistema di alimentazione (grazie all’URSS), la produzione di energia ha resistito. Siamo sopravvissuti all’inverno normalmente, ma ci stiamo preparando. Per questo si stanno adottando tutte le misure per rafforzare il nostro sistema di difesa aerea e per dotarci di nuovi sistemi di difesa aerea. Questo era anche l’obiettivo della conferenza di Ramstein”, dice Skibitsky.
Quindi, si prevede che in autunno la Russia riprenderà i grandi attacchi di decapitazione contro le infrastrutture energetiche per stressare il sistema durante l’inverno. Ma a parte gli attacchi a lungo raggio, se la Russia intende fare qualche incursione territoriale importante, le rimane poco tempo per l’anno.

Personalmente, non credo che la Russia abbia intenzione di compiere a breve una grande offensiva con le grandi frecce. Non solo perché trova redditizio distruggere i tentativi di controffensiva dell’Ucraina, ma anche per i numeri che ho snocciolato nei rapporti precedenti, che a mio avviso dimostrano che la Russia non ha abbastanza truppe per andare “all out” in grandi attacchi lampo, soprattutto se è vero che Shoigu ha intenzione di usare le oltre 150 mila truppe appena mobilitate come esercito di riserva.

Quindi, per ora mi aspetto che la Russia mantenga lo status quo e continui la sua strategia di pressione costante e schiacciante su tutti i fronti, piuttosto che cercare un grande sfondamento. Questo mette a dura prova i sistemi logistici dell’AFU e per ora sembra essere una strategia accettabile per il comando russo.

L’anno prossimo, forse, potrò vedere la Russia che finalmente metterà il piede in fallo e lancerà grandi offensive perché, come ho già detto in precedenza, per allora mi aspetto che abbia mobilitato furtivamente abbastanza nuove truppe da avere vere riserve di sfondamento di secondo livello.

Il deputato della Duma di Stato russa Konstantin Zatulin ha detto ieri che potrebbe essere necessaria un’altra mobilitazione in futuro:

“Sconfiggere l’Ucraina richiederà una nuova mobilitazione” – Konstantin Zatulin, deputato della Duma di Stato “Non escludo affatto che saranno necessari altri sforzi, altre mobilitazioni. Non sono affatto convinto che riusciremo a far fronte alle forze che abbiamo oggi, e che non sarà necessario fare altri sacrifici da parte nostra” – ha dichiarato Zatulin.
Non sono in disaccordo con questo sentimento. Forse la Russia potrebbe scegliere di farne una anche quest’autunno, in modo da avere i mesi invernali per addestrare le truppe ed essere pronta per le offensive del prossimo anno. Personalmente, dubito che ciò accadrà, poiché la Russia probabilmente non si mobiliterà a meno che la situazione non diventi in qualche modo disastrosa, ma non è fuori dal campo delle possibilità.

Per ora, credo che il comando russo sia soddisfatto del tipo di perdite massicce che sta infliggendo all’AFU. E le menzogne senza senso di Prigozhin sulle carenze russe hanno dato alla gente una psicosi temporanea, che ha portato a una percezione distorta dell’attuale realtà del campo di battaglia, dove la Russia sta infliggendo un logoramento così massiccio all’AFU da dover lanciare un’intera nuova mobilitazione a livello nazionale con regole rilassate.

Detto questo, c’è una crescente tempesta all’orizzonte. Continuano ad esserci nuovi sviluppi per quanto riguarda il rafforzamento della NATO in Polonia e in altri Stati dell’orbita dell’ex Patto di Varsavia e dell’URSS che odiano la Russia. Vediamo alcuni dei più recenti.

In primo luogo, ecco una voce persistente su Twitter, anche se questa è estremamente poco attendibile, dato che ho cercato di indagare e non ho trovato alcuna attribuzione reale. Tuttavia, nelle ultime due settimane è apparsa in diverse versioni:

Prendetela con un granello di sale. Tuttavia, anche se l’indiscrezione di cui sopra è falsa, ci sono altre voci molto attendibili. Per esempio:

La Polonia sta costruendo attivamente una potente forza di carri armati in direzione della Bielorussia/Kaliningrad, diventando il Paese con l’esercito terrestre più forte d’Europa. Attualmente, il loro primo livello comprende 366 Abrams, 230 Leopard e fino a 180 carri armati K2GF, con un totale di 1000 carri K2GF in contratto. Per creare formazioni d’assalto, la Polonia forma brigate di quattro battaglioni. La 19a brigata della 18a divisione motorizzata polacca è stata la prima a passare a questa nuova struttura. Oggi, le divisioni d’assalto nella direzione orientale della Polonia hanno sei battaglioni di carri armati ciascuna, portando il numero di carri armati vicino ai confini bielorussi e di Kaliningrad a quasi 1000. In base ai trattati internazionali, alla Polonia è concesso un massimo di 1.730 carri armati, ma questi contratti vengono rapidamente annullati. Pertanto, non sarà difficile per la Polonia costruire un secondo livello di forze d’attacco a est, fino a raggiungere altri 1.000 carri armati. Restate sintonizzati sulla loro prossima mossa!
Questo thread illustra nei dettagli la massiccia militarizzazione senza precedenti che la Polonia intende attuare:

Poland’s military transformation is mind-boggling:

– Military expenses as a % of GDP: 2,4% in 2022
– 4% in 2023 probably 5% in 2024 (~$40bn)
– Personnel: from 110K to 250K professional soldiers
– Ordered equipment: $85bn!

Tenete presente, però, che si tratta di un dato altamente idealistico. Alcuni hanno correttamente ipotizzato che la Polonia potrebbe non raggiungere nemmeno una frazione di questo risultato; vedremo.

Ma per ora le notizie continuano senza sosta. Un esperto militare russo e redattore di una rivista di difesa nazionale ritiene quanto segue:

NEWSFLASH #Polonia Il giornalista e analista militare Igor Korochenko ha annunciato che “la Polonia intende occupare #Kaliningrad e la Bielorussia. Per questo si sta preparando un esercito di 500.000 uomini”. “Gli stati maggiori bielorusso e russo hanno informazioni precise sul fatto che la Polonia ha elaborato un piano operativo per la condotta della guerra. Esso prevede, secondo vari scenari, l’occupazione della regione di Kaliningrad e della Repubblica di Bielorussia. Hanno intenzione di farlo dopo aver schierato il loro gruppo di 500.000 uomini”, ha osservato I. Korochenko.Bene! Questa dichiarazione porterà sicuramente i wagneriani a tornare in questo nuovo teatro di operazioni militari sul versante bielorusso. Se ciò si concretizzerà, l’esercito russo dovrà lanciare la sua grande offensiva e iniziare a tagliare in due l’Ucraina, bloccando di fatto tutte le linee di rifornimento NATO-Ucraina sul fronte di #Zaporozhye. Nel processo, Odesa sarà annessa. Idealmente, se questo scenario prendesse davvero forma, l’esercito russo dovrebbe logicamente insediarsi sul lato del confine ucraino-polacco con l’appoggio di truppe militari bielorusse sostenute dall’aviazione russa.
Alla luce di queste voci, la decisione di schierare Wagner in Bielorussia inizia a sembrare sempre più strategica.

Il fatto è che le menti dello Stato profondo che siedono in cima alla piramide a cui ho fatto riferimento in precedenza stanno sicuramente progettando un “pacchetto a lungo termine” per la Russia, che includerà le contingenze di legare un conflitto all’altro come parte della strategia in stile RAND di pressione implacabile come uno stivale sul collo, per soffocare la crescita potenziale della Russia. Porteranno l’attuale conflitto ucraino al limite e quando l’Ucraina sarà strizzata come un panno usato, daranno il via alle provocazioni dei Paesi che si prevede saranno i prossimi vettori di guerra contro la Russia.

Naturalmente, non è certo che si arrivi a questo punto. Credo che ci siano ancora buone possibilità che la Russia disinneschi questi piani, ma non bisogna sbagliarsi sul fatto che questi piani vengono architettati ogni giorno, pezzo per pezzo. Kaliningrad, in particolare, è un punto di pressione che può essere messo sotto pressione in qualsiasi momento per costringere la Russia a reagire nel modo desiderato dai “progettisti”. Ma questo non significa che la Russia rimarrà inattiva. Per ora, queste mosse rimangono come minacce lontane per spingere la Russia ad allentare i suoi obiettivi massimalisti, come a dire: “Arrenditi ora o questo è ciò che dovrai affrontare in futuro”.

Questo è uno dei motivi per cui alcuni integralisti russi sostengono sempre più spesso che la Russia debba usare le sue armi nucleari prima che perdano tutto il loro potenziale di deterrenza. Ricorderete che l’ultima volta ho pubblicato l’articolo di Karaganov che ha fatto scalpore, in cui sosteneva l’uso delle armi nucleari. Ora ha scritto un nuovo articolo di follow-up in cui taglia i ponti e lo rende ancora più chiaro: se la situazione continua a degenerare, la Russia dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di bombardare non l’Ucraina, ma l’Europa.

C’è una piccola chicca che mi fa diffidare delle sue intenzioni:

Karaganov è membro della Commissione Trilaterale dal 1998 e ha fatto parte del Comitato consultivo internazionale del Council on Foreign Relations. Dal 1983 è anche vicedirettore dell’Istituto d’Europa dell’Accademia delle Scienze dell’URSS (ora russa).
In ogni caso, la mia ultima nota su questi sviluppi è che, in assenza di potenziale militare, l’Ucraina probabilmente entrerà nella modalità di “turnazione” che ho previsto in precedenza. Alcuni si aspettano che compiano presto un’altra grande incursione offensiva, quando il tempo si rasserena, e continuiamo a sentire forti proclami occidentali su come “solo una piccola parte” del nuovo potenziale offensivo ucraino addestrato dalla NATO sia stato finora sprecato dall’inizio di giugno. Mi aspetto che facciano un altro o due grandi tentativi, ma alla fine dovranno ridursi a una guerra statica e posizionale, mentre ricostituiscono le loro brigate malconce.

Yuri Podolyaka ritiene che si stiano riorganizzando per lanciare un altro grande tentativo entro il grande vertice NATO di Vilnius, a metà luglio:

All’inizio o a metà della prossima settimana, alla vigilia del vertice NATO, le forze armate ucraine cercheranno di sfondare le nostre difese. Ora è in corso una battaglia di ricognizione, di riorganizzazione. 10 corpi d’armata si sono spostati dalla direzione di Orekhovsky presumibilmente verso Kamenskoye, stanno cercando di confonderci su dove sarà l’attacco principale. Non appena il terreno si asciugherà, se ne andranno.
Altre fonti hanno dichiarato che il 5 luglio sarà la data di un’altra grande spinta offensiva. L’obiettivo è quello di effettuare almeno una cattura importante entro il vertice della NATO come merce di scambio, in modo che l’Ucraina possa dimostrare ai partecipanti al vertice che vale ancora la pena di combattere e di essere finanziata con centinaia di miliardi.

Ma l’Occidente si trova ora in un grave dilemma e non riesce a capire come guidare strategicamente l’Ucraina verso la vittoria. Lo confermano una serie di nuovi articoli e dichiarazioni ufficiali. Dal NYTimes, che denuncia l’uso scorretto da parte della Russia di cinture forestali difensive e campi minati:

Questo reportage ironico di New Resistance coglie con umorismo lo spirito della contestazione:

FLORESBERG – “Trees” : Il New York Times scopre la ragione del fallimento della controffensiva ucraina: l’ultima tecnologia russa di nascondersi dietro gli alberi fa salire il conflitto a livelli vietnamiti di follia e confusione nel vivo della battaglia. Mentre i genieri ucraini neutralizzano le mine, devono affrontare un intenso bombardamento di artiglieria, carri armati e persino elicotteri, reso possibile dall’uso cinico e criminale degli alberi. “Nascondersi dietro gli alberi certamente estende qualsiasi interpretazione delle regole di guerra, dell’ingaggio corretto, al di là di qualsiasi cosa abbiamo visto prima”, ha detto il comandante generale in pensione degli Stati Uniti Benjamin Hodges.Un gruppo di lavoro dell’amministrazione Biden prevede di presentare un rapporto alle Nazioni Unite giovedì.
Mentre questo nuovo articolo di Forbes esprime incredulità per la portata dei fallimenti:

Leggete l’articolo qui sopra se volete un buon resoconto di come è andata l’offensiva fallita. Include perle come l’ammissione che i favolosi e “superiori” aratri da mina dell’Occidente sono in realtà inferiori alle aspettative:

Ma gli aratri di fabbricazione britannica dei Leopard 2R e dei Wisent hanno chiaramente mancato più di qualche mina. Tre Leopard 2R e un Wisent hanno colpito delle mine, così come diversi M-2. Intrappolato e sotto il fuoco, il gruppo di battaglia è andato in pezzi. Gli equipaggi si sono lanciati dai loro veicoli disabilitati, trascinando con sé morti e feriti. Una forza di soccorso a bordo di M-2 ha raccolto molti dei sopravvissuti.
I pianificatori della NATO sono essenzialmente a corto di idee. I loro thinktank stanno facendo gli straordinari per cercare di capire come superare la famosa difesa in profondità della Russia.

Questo nuovo articolo, ad esempio, proclama la fine degli assalti offensivi, lamentando che “la dottrina della NATO si è scontrata con la realtà”:

💥🇺🇸🇺🇦 “L’editorialista di American Greatness Christopher Roach scrive che la perdita delle Forze armate ucraine durante i tentativi di offensiva sarà una “lezione importante” per gli Stati Uniti, osservando che gli ucraini “non usano troppo abilmente” l’equipaggiamento occidentale e il comando commette costantemente errori tattici. Secondo Roach, l’alleanza ha poca esperienza nel condurre questo tipo di ostilità, gli equipaggi dei carri armati e dei veicoli blindati addestrati secondo gli standard NATO non manovrano bene, quindi le forze ucraine “difficilmente possono avanzare”.

Infatti, un nuovo articolo del Washington Post afferma che all’Ucraina resta poco tempo prima che si arrivi a una situazione di stallo:

If Ukrainian forces are no more successful in the weeks ahead than they have been so far, Ukraine will not recapture all of its territory for 16 years.

A

Seymour Hersh ha detto che, al ritmo attuale, l’Ucraina impiegherà 117 anni per riconquistare il proprio territorio:

 

Anche se Mark Milley continua a sostenere che ci vorrà qualche settimana in più:

“La controffensiva dell’UAF è più lenta di quanto previsto da “calcoli al computer o da altre persone””, ha dichiarato Mark Milley, capo del Comitato di Stato Maggiore degli Stati Uniti “Vi avevo detto che ci sarebbero volute dalle 6 alle 10 settimane, che sarebbe stato molto difficile e molto lungo e molto, molto sanguinoso”, ha ricordato”.
Tenete presente che sono già passate 4 settimane, quindi credo che non ci sia più molto tempo.

Il punto è che la NATO è completamente bloccata. Stufi della loro dottrina “Air-Land Battle” che privilegia la potenza aerea e gli attacchi in profondità nelle retrovie, non hanno la minima idea di come combattere questo tipo di guerra. È per questo che è inevitabile che l’Ucraina si chiuda presto in un angolo e riprenda a occuparsi degli aspetti politici e psicologici della guerra ibrida e di guerra civile. Questo, ovviamente, ruoterà principalmente attorno a nuovi attacchi terroristici e false flag come il previsto attacco allo ZNPP.

Un altro nuovo vettore che voglio menzionare è la direzione di Sumy. Ci sono molte notizie che ruotano intorno alle concentrazioni di truppe dell’AFU in quella zona, così come ai contrattacchi russi. Dopo essere stata respinta nella regione di Belgorod, ora protetta da una forza sempre più consistente, l’Ucraina tenterà una nuova incursione nella regione di Kursk, più a nord-ovest. Hanno persino iniziato a evacuare i villaggi in preparazione.

Rybar riferisce:

La dichiarazione del comandante delle Forze congiunte delle Forze armate dell’Ucraina sull’evacuazione dei residenti delle zone di confine della regione di Sumy è un’altra chiara indicazione dei piani di attivazione delle Forze armate dell’Ucraina in questa zona. All’inizio della settimana, le formazioni ucraine sono state dispiegate nella zona di Seredina-Buda, Znob-Novgorodsky e Krasnopol, insieme a veicoli blindati e artiglieria. Il nemico effettua costantemente ricognizioni con i droni e i suoi DRG operano vicino al confine.
Al momento, sembra che le Forze armate ucraine intendano lanciare un attacco diversivo nella regione di Kursk prima della prossima fase dell’offensiva. Molto probabilmente, il comando ucraino utilizzerà nuovamente i militanti del GUR che operano sotto la leggenda di Vyrusya del cosiddetto “Corpo dei volontari russi”. (Rybar)
E ci sono state voci interessanti da parte russa, come quella che indica il primo utilizzo in assoluto da parte della Russia del drone d’attacco stealth UCAV S-70 Ohotnik.

Canale “Legittimo”: la nostra fonte riferisce che i russi hanno recentemente testato una sorta di drone stealth da attacco/ricognizione pesante. È stato osservato in direzione di Sumy. Al momento non si capisce di che tipo di UAV si tratti, ma secondo le versioni che circolano, potrebbe trattarsi dell’UAV “cacciatore” S-70 o di una “copia modificata” del Simorgh Shahed 171. È noto da tempo che i russi stanno conducendo test significativi di nuove armi anche nel contesto della crisi ucraina.
Così come:

I media turchi hanno annunciato che questa notte è stato utilizzato per la prima volta un drone pesante russo S-70 “Ohotnik”, che ha colpito un bersaglio nella zona di Kiev con una bomba ad alta precisioneSecondo queste affermazioni, questa notte c’è stata una forte esplosione in città senza che venisse lanciato un allarme aereo. I media turchi affermano che i russi hanno utilizzato questo velivolo in una missione di ricognizione sulla regione di Sumy nei giorni scorsi per testare gli apparati di difesa aerea ucraini che non hanno rilevato l'”Ohotnik”: si tratta di un drone realizzato secondo il concetto aerodinamico di “ala volante” e invisibile ai radar nemici (tecnologia “stealth” applicata).* Mosca non ha ancora confermato queste informazioni.
Ecco l’S-70 per chi non lo conoscesse:

Per fare un po’ di ordine su altre notizie, citerò alcuni degli altri aggiornamenti di minore urgenza. A proposito, c’è ancora molto da dire sulla saga Wagner/Prigozhin, ma forse lo terrò per la prossima volta.

Per ora, la notizia più importante è stata il successo dell’attacco russo a un raduno di mercenari di Kramatorsk, secondo quanto riferito con missili Iskander, che non ha dato agli obiettivi il tempo di reagire o di essere avvertiti dal loro prezioso ISR della CIA.

Le cifre ufficiali del Ministero della Difesa russo includono due generali e più di 20 mercenari:

Ministero della Difesa russo: due generali, fino a 50 ufficiali e fino a 20 mercenari e consiglieri sono stati eliminati a Kramatorsk a seguito dell’attacco al punto di dispiegamento temporaneo dell’AFUIl Ministero ha anche riferito che le perdite dell’AFU durante la giornata sono state fino a 530 militari uccisi e feriti nella direzione di Donetsk (zona SMO).
Sugli elmetti sono state notate molte bandiere americane, comprese varie patch di unità americane come i Rangers e le Screaming Eagles. La più interessante è stata questa:

Si dice che sia la patch del 1° battaglione del 1° reggimento americano AD di Okinawa, il che implica che gli specialisti americani stanno presidiando le difese aeree della NATO in Ucraina. Anche se potrebbe trattarsi di “istruttori”.

Non conosco l’araldica della toppa in sé, ma il motto Primus Inter Pares è in linea con il vero battaglione.

A proposito di Iskander, un altro sviluppo è che l’Ucraina ha continuato a trincerarsi sotto il ponte Antonovsky sul lato russo:

Tuttavia, le forze russe hanno lasciato che si accumulassero lì per un po’, poiché era difficile sradicarli da sotto la campata del ponte dove si nascondevano sulla riva. Ma una volta che si sono accumulati fino a circa 50-100 persone, le unità russe hanno ordinato un attacco Iskander mirato, che ha colpito esattamente il bersaglio:

Ancora una volta, non hanno avuto alcun preavviso. Ecco le conseguenze:

Una cosa importante e adiacente da notare: ricordiamo che l’Ucraina ha passato mesi a bombardare il ponte Antonovsky di costruzione sovietica con gli HIMAR, colpendolo forse centinaia di volte, solo per fare piccoli buchi. Questo dimostra che un presunto attacco Iskander può per lo più abbattere l’intera campata, o almeno metà di essa, in un solo colpo. Questo è importante da notare per le potenziali decisioni future di abbattere tutti i ponti sul Dnieper. Ora abbiamo i primi indizi di quanta potenza di fuoco potrebbe essere necessaria. I miei primi lettori ricorderanno che una volta avevo calcolato che si trattava di 200-400 missili da crociera e forse anche molto di più, ma sembra che gli Iskander possano farlo in modo molto più rapido.

Inoltre, come alcuni potrebbero aver visto di recente, è stato pubblicato un nuovo video che mostra la devastazione e l’orrore del fallito assalto dell’AFU a Zaporozhye in direzione di Orekhov. Si tratta di uno dei video più grafici della guerra fino ad ora, ma è estremamente illuminante in termini di come gli ormai famosi campi minati russi abbiano veramente distrutto l’elite della 47a brigata. Attenzione, è brutale ma mostra l’orrore intrattabile della guerra di mine e come nemmeno i loro preziosi M2 Bradley abbiano potuto aiutarli: Link al video.

Un ultimo punto: è stato riportato che la popolarità di Putin è ironicamente salita alle stelle dopo gli eventi della scorsa settimana. Nessuno sembra sapere perché, dato che i commentatori occidentali e gli scagnozzi della quinta colonna sostengono che Putin abbia “perso il potere” e sia stato gravemente indebolito. Io stesso ho avanzato l’idea che in teoria potrebbe essere indebolito solo se le cose si svolgessero in un certo modo sotto la superficie. Purtroppo, non sappiamo ancora cosa sia successo esattamente e quali siano stati gli accordi con Prigozhin, ma un nuovo rapporto afferma che la popolarità di Putin è salita al 90%.

Sebbene non abbia fonti, è facile crederci guardando il nuovo filmato della visita di Putin a Derbent, in Daghestan, per l’Eid, alcuni giorni fa:

Quanti leader occidentali possono ricevere un’accoglienza simile, per di più nell’entroterra del loro Paese? Un luogo in cui la CIA ha investito molti soldi per cercare di fomentare l’odio e la divisione contro la Russia e il suo leader.

Certamente non Trudeau, questi sono stati i suoi due più recenti ricevimenti: Video 1, Video 2.

La copertina di Time del 2001 è stata profetica:

E il risultato di questo nuovo interessante sondaggio è in linea con questo:

Sondaggio Campo Russo: se Vladimir Putin annuncia un attacco a Kiev domani: il 64% dei russi lo sosterrà
Il 39% lo sosterrà sicuramente
Se domani il Presidente della Federazione Russa firmerà un accordo di pace e fermerà il NWO, il 73% lo sosterrà.
il 47% lo sosterrà sicuramente
e il 26% lo sosterrà piuttosto.
Sebbene il sondaggio di cui sopra sia stato condotto da un gruppo filo-ucraino, i risultati sono comunque interessanti. Il 74% della popolazione ritiene che l’andamento dell’OMU sia stato finora un “successo”.

D’altra parte, ecco un nuovo sondaggio ucraino:

Il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha dichiarato che Kiev è pronta a continuare il conflitto militare con la Russia per molti anni. Il Ministro degli Affari Esteri ucraino ha fatto notare che è stato condotto un sondaggio secondo il quale il 58% degli ucraini si è detto pronto a resistere alla Russia per anni. “Gli ucraini hanno capito che la guerra è una questione esistenziale”, ha detto Kuleba, aggiungendo che lavora ogni giorno per porre fine al conflitto il prima possibile. Si è anche rifiutato di fare previsioni sulla fine delle ostilità.
Se questi risultati hanno un qualche valore, sembra che le popolazioni di entrambe le parti siano destinate a durare a lungo. Quindi, mettetevi al lavoro, potrebbe volerci un po’ di tempo.


If you enjoyed the read, I would greatly appreciate if you subscribed to a monthly/yearly pledge to support my work, so that I may continue providing you with detailed, incisive reports like this one.

Alternatively, you can tip here: Tip Jar

https://simplicius76.substack.com/p/sitrep-63023-winds-gather-before?utm_source=post-email-title&publication_id=1351274&post_id=132017516&isFreemail=false&utm_medium=email

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

La NATO riprende il vantaggio nel suo braccio di ferro con l’UE, di HajnalkaVincze

Proseguiamo ad approfondire il tema cruciale della politica estera e di difesa del mondo occidentale. Il link dei precedenti articoli: http://italiaeilmondo.com/2021/08/12/stati-uniti-nato-e-unione-europea-lillusione-di-un-addio-il-miraggio-dellautonomia_di-giuseppe-germinario/

http://italiaeilmondo.com/2021/08/12/il-modo-giusto-per-dividere-cina-e-russia-washington-dovrebbe-aiutare-mosca-a-lasciare-un-cattivo-matrimonio-di-charles-a-kupchan/

Qui sotto un interessante e documentato saggio, con testo originale in calce, sulle dinamiche in via di trasformazione tra la NATO e la UE. Molto accurato e del tutto condivisibile tranne che per l’auspicio irrealizzabile che la Unione Europea sia lo sbocco naturale di una politica autonoma di difesa. La traduzione e l’impaginazione non sono perfette. Il tempo disponibile è poco. I contenuti meritano sicuramente una dose aggiuntiva di pazienza vista la scarsità di testi critici ma documentati sull’argomento. Buona lettura_Giuseppe Germinario

La NATO riprende il vantaggio nel suo braccio di ferro con l’UE
Hajnalka
Vincze  https://hajnalka-vincze.com/list/etudes_et_analyses/600-lotan_reprend_lavantage_dans_son_bras_de_fer_avec_lue
Senior Fellow presso il Foreign Policy Resarch Institute (FPRI)

1
Non abbiamo mai parlato così tanto e così pubblicamente di autonomia strategica europea come durante l’anno 2020, e raramente in precedenza i limiti politici di detta autonomia erano
apparsi anche senza mezzi termini. Un paradosso ampiamente in linea con l’oscillazione della postura americana: mentre sotto l’amministrazione Trump, anche il più atlantista degli europei
non poteva più sfuggire a una certa consapevolezza, dopo l’arrivo dell’amministrazione Biden, invece, gli sforzi sono mirati soprattutto per provvedere che nelle relazioni transatlantiche
cambiasse solo il tono. Con il brutale passaggio tra il “cattivo ragazzo” Donald Trump e il “benevolo” Joseph Biden, le costanti sono tanto più evidenti. Il comportamento degli europei
appare per quello che è, di una ossequiosità infallibile e comunque davanti all’alleato americano. Sotto Trump, si fanno concessioni per paura, per placare il presidente degli Stati Uniti, sotto Biden, è per sollievo, per ringraziarlo di non non mettere in discussione apertamente i fondamenti della
alleanza.
Lo sviluppo parallelo, nel periodo 2021-2022, di due documenti chiave – la bussola strategica dell’UE e il nuovo concetto strategico della NATO – sarà quindi fatto alla luce di questa esperienza recente. Entrambi testimoniano lo stesso tentativo di “Adattamento” al nuovo ambiente internazionale, segnato dalla ricerca di un modus vivendi, finora non trovato, tra gli sforzi dell’autonomia europea e la leadership americana ereditata dalla Guerra Fredda. Il tutto in un contesto caratterizzato dal risorgere dell’idea di autonomia: dal
Strategia globale dell’UE che ne ha fatto il suo principio guida nel 2016 fino alla nuova Commissione che si autodefinisce “Geopolitica”
2
. Il prestigioso istituto di ricerca paneuropeo, il Consiglio europeo per le relazioni internazionali (European Council on Foreign Relations: ECFR), aveva avviato, nell’estate 2018, un programma su “Sovranità europea” e autonomia strategica. Da allora non contiamo più le analisi e i discorsi dedicati a questo argomento. Quello che un tempo era il termine tabù per eccellenza, è diventata la parola d’ordine di cui parliamo sempre.
La pandemia di coronavirus ha rafforzato questa tendenza aggiornando vulnerabilità europee nude di ogni tipo; tanti segni di avvertimento sui pericoli della dipendenza. A prima vista, questa evoluzione dovrebbe portare a un riequilibrio tra le due parti dell’Oceano Atlantico: un’acquisizione europea che andrebbe insieme a una rifocalizzazione sugli elementi essenziali della NATO.

Guardando bene gli sviluppi concreti, nulla è però meno certo.
Da un lato, l’Alleanza Atlantica aggiunge ai suoi attributi militari una dimensione politica che sconfina sempre più nella libertà di manovra dell’Unione e dei suoi Stati membri. Dall’altro, il
il concetto di autonomia strategica europea si sta allontanando gradualmente dal dominio militare: un aggiornamento benvenuto e quanto mai necessario, ma che, nelle presenti circostanze, può venire al costo di una diluizione della base originale. Quegli sviluppi simultanei portano al perpetuarsi di una situazione malsana: una disalleanza transatlantica dove gli europei figurano non alleati per convinzione ma alleati per debolezza.
1- La marcia in avanti della NATO
Le linee principali dello sviluppo futuro dell’Alleanza sono sviluppate nel rapporto intitolato NATO 2030: United for a nuova era3, che servirà da base per le proposte del Segretario Generale per il nuovo Concetto Strategico (l’ultimo risale al 2010). Il think tank responsabile della stesura del rapporto era in sintonia con i tempi: i dieci partecipanti sono stati scelti con cura irreprensibile: cinque uomini e cinque donne… (N.B. Stati Uniti, Francia, Germania, Regno Unito e la Turchia hanno lasciato ad altri la gloria di far vibrare lo spirito di parità). In ogni caso, la riflessione tra alleati ha uno solo di importanza molto relativa. L’ex ministro degli Esteri Hubert Védrine, in rappresentanza della Francia, ha descritto il risultato come un “buon compromesso”. Il che significa, in termini diplomatici, che le proposte americane non furono prese alla lettera, ma leggermente riformulate. Lo stesso Védrine ha ammesso: “Ho potuto verificare quanto le idee francesi fossero isolate all’interno dell’Alleanza Atlantica”
1
. In effetti, il rapporto conferma solo le tendenze già all’opera su iniziativa degli Stati Uniti.
11- Un’espansione a tutto campo.
È soprattutto un’estensione di competenze allo stesso tempo negli aspetti geografici e funzionali dell’Alleanza Atlantica2
. Il rapporto
La NATO 2030 considera già i problemi posti da “Una Russia ostinatamente aggressiva” e “l’ascesa della Cina “. Alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco nel 2021, il segretario generale della NATO inserisce formalmente la Cina al primo posto delle sfide3. Jens Stoltenberg dice, non senza ragione,
che “la Cina è una sfida per tutti gli alleati”, ma lo è per confermare che, quindi, “la NATO è ancora più importante di prima “4.

Tuttavia, a meno che tu non voglia fare un remake della guerra fredda – con gli europei in un ruolo ausiliario di fronte a un avversario che non è nemmeno, questa volta, nella loro prossimità
immediato – risulta difficile capire perché. Consultazione tra alleati sarebbe utile, anche il coordinamento tra le politiche sovrane dove è fattibile, ma per questo la NATO guidata dagli Stati Uniti non è certamente l’altoparlante ideale.
Il rapporto NATO 2030 sostiene anche il continuo rafforzamento di competenze dell’Alleanza in campi così diversi e vari come clima, comunicazione, pandemie, energia e spazio. Nel luglio 2018, gli alleati europei hanno già concordato “consultazioni regolari” e un ruolo rafforzato per la NATO
in termini energetici, anche se l’oggetto del gasdotto Nord Stream 2 ha evidenziato, per anni, il conflitto tra interessi europei e americani in questo settore1
. In dicembre 2019, per assicurarsi ulteriormente le grazie del presidente Trump, gli alleati hanno riconosciuto, su insistenza degli Stati Uniti, lo spazio esterno come un ambiente operativo della NATO2.

Dettaglio gustoso: il nuovo Centro di Eccellenza NATO per lo spazio sarà situato a Tolosa -nell’edificio dedicato al futuro centro operativo del comando spaziale militare (CDE) nazionale, entro il 2025.
Una situazione che ricorda quella del Comando Centro di trasformazione della NATO (ACT) con sede a Norfolk, Virginia nel 2003, nelle immediate vicinanze del Comando delle forze congiunte statunitensi. Questo comando nazionale americano era responsabile di sviluppare, per gli Stati Uniti, i concetti e le dottrine “Trasformazionale” – ma la co-locazione ha solo rafforzato la sua influenza decisiva sul lavoro della NATO. La dinamica dello scenario, visto l’equilibrio di forze, rischia di ripetersi in direzione opposta a Tolosa. Il Centro di eccellenza della NATO sarà
sotto una forte influenza americana – come a Tallinn dove il Centro per la difesa informatica è sotto costante pressione per adottare standard e progetti d’oltreAtlantico.3
La vicinanza al centro spaziale della NATO, responsabile dello sviluppo di dottrine e convalida di concetti, rischia di essere come il tarlo nel frutto e influenzare il lavoro del CDE francese. Non senza evocare lo spettro di una “fagocitosi concettuale e teorica”» di cui ha parlato Hubert Védrine nella sua relazione al Presidente sul ritorno della Francia nelle strutture NATO integrate4
.
La Francia potrebbe, ha detto, “mescolarsi” con il pensiero della Nato e perdere la propria capacità di riflessione e di analisi. è un rischio anzi – per la Francia come per gli europei nel suo insieme – in tutte le aree che l’Alleanza decide attirare nel suo campo. Tuttavia, un numero crescente di settori è
nel suo mirino. Secondo il Segretario Generale: “La NATO dovrebbe
effettuare consultazioni più ampie, anche su questioni importanti per la nostra sicurezza, ma che non sempre sono puramente militari. Ad esempio, problemi economici che hanno chiare conseguenze sulla sicurezza sono aspetti sui quali ci dovremmo consultare”. Con questo in mente, sarebbe necessario, secondo lui, «convocare non solo i ministri della difesa, ministri degli esteri e capi di stato e governo come facciamo regolarmente, ma anche, per esempio, consiglieri per la sicurezza nazionale, ministri dell’interno, al fine di ampliare l’agenda della NATO e rafforzare le consultazioni all’interno dell’Alleanza”1

12- Una camicia di forza politica
Non contento di estendere le proprie competenze a nuove aree aree geografiche (soprattutto l’Indo-Pacifico) e nuovi settori (come lo spazio e l’energia), l’Alleanza interferisce sempre di più direttamente anche nelle politiche interne degli Stati membri. Il Segretario Generale della NATO si è arrogato il diritto di intervenire nella controversia tra i partiti della coalizione di governo in Germania sull’uso (o meno) dei droni armati, dichiarando: “Questi droni [armati] possono supportare le nostre truppe sul campo e, ad esempio, ridurre il numero di piloti che stiamo mettendo in pericolo”
2
Più in generale, con l’arrivo dell’amministrazione Biden l’idea finora congelata di una NATO per monitorare il rispetto dei “valori” democratici “negli Stati membri è ancora una volta rilevante.
Il Centro per la resilienza democratica è stato offerto nel 2019 in una relazione dell’Assemblea parlamentare della NATO, firmata dal deputato democratico degli Stati Uniti Gerald Connolly, allora presidente della delegazione americana e da allora è diventato presidente dell’assemblea. Egli afferma: “Le minacce ai valori della NATO provengono non solo dai suoi avversari. Movimenti politici con scarso rispetto per le istituzioni della democrazia o lo stato di diritto stanno guadagnando slancio in molti paesi membri dell’Alleanza. Questi movimenti sostengono la preferenza nazionale alla cooperazione internazionale. Le democrazie liberali sono minacciate da movimenti e personaggi politici ostili all’ordine costituito che si trovano a destra e sinistra nello spettro politico”. Il rapporto suggerisce quindi che “la NATO deve dotarsi dei mezzi necessari a
rafforzare i valori in questione nei paesi membri”, istituendo “un centro di coordinamento della resilienza democratica”
1
.
L’idea sta prendendo forma. Un mese dopo l’assunzione della funzione di presidente di Biden, Connolly insiste: “Dobbiamo rafforzare e proteggere costantemente la democrazia contro chi tenta di indebolirla – sia all’interno che all’esterno. La NATO ha un meccanismo ben oliato incentrato su
questioni militari, ma manca un corpo che sia interamente dedito alla difesa della democrazia. Deve
cambiare ”
2
. L’Assemblea finì per costituire un gruppo di lavoro dedito alla creazione di questo “centro NATO per la resilienza democratica”
3
.
Il concetto è presente anche nel rapporto NATO 2030, ma questo va oltre e considera tutti i tipi di differenze politiche – interno ed esterno – tra alleati così come problematico: “Differenze politiche all’interno della NATO rappresentano un pericolo perché consentono ad attori esterni, e più in particolare alla Russia e alla Cina, di continuare a giocare nei dissensi interni e nelle manovre con alcuni paesi tra i membri dell’Alleanza in un modo che compromette la sicurezza e gli interessi collettivi. »Le differenze quindi non si vedono neanche come espressione di situazioni geografiche, tradizioni, scelte elettorali storiche diverse, ma come pericoloso disallineamento. E il rapporto conclude: “Perché possano le sfide del prossimo decennio essere vinte, tutti gli alleati devono inequivocabilmente fare del mantenimento della coesione una priorità politica, che modella il loro comportamento, anche a prezzo di eventuali vincoli”1.

13 – Un’integrazione sempre più stretta
Per incoraggiare questa disciplina, si fa appello a ciò che l’anziano ambasciatore di Francia presso l’Alleanza identifica come “la logica integrazionista a cui la Nato è spesso incline”.
2
Detta logica si è ritirata durante gli anni di Trump ma sta facendo un forte ritorno oggi in due aree in particolare:
rafforzamento dei finanziamenti in comune e flessione della regola del consenso, con il pretesto dell’efficienza. Quanto all’aumento e all’estensione del finanziamento collettivo, la domanda si ripresenta tanto più facilmente a partire dal 2021 in quanto la quota degli Stati Uniti in questo finanziamento passa dal 22% al 16%, a seguito di una concessione ottenuta dal presidente Trump. Senza sorpresa, il Segretario Generale della NATO sceglie quindi questo momento per proporre di estendere questo finanziamento congiunto alle attività di deterrenza e difesa. Sostituirà così, in parte, la regola secondo la quale “le spese sono a carico dei loro autori”, in virtù della quale chi dispiega una capacità si fa carico di tutti i relativi costi.
La Francia si è sempre opposta a tale sviluppo. Finanziare implementazioni ed esercitazioni da un budget comune favorirà soprattutto quelli tra gli alleati che sono riluttanti a spendere, a livello nazionale, per la loro difesa, ma chi si precipiterà a fare dimostrazioni di fedeltà a spese, principalmente, di altri Stati membri. Inoltre, l’espansione del perimetro di finanziamento in comune della NATO ha il rovescio della medaglia (o il vantaggio) di deviare la spesa per la difesa dei paesi europei direttamente all’Alleanza. Una volta in pentola comune, questi soldi saranno spesi secondo le priorità americano-NATO. Quindi ci sono così tante risorse in meno a cui dedicare ambizioni autonome (sia all’interno di un quadro europeo, sia attraverso ciascuna Nazione). Jens Stoltenberg ha ragione quando dice: “Pagando insieme di più, noi rafforziamo la nostra coesione”1.
L’altro modo per rafforzare la coesione della NATO è rivisitare le regole del processo decisionale. Certo, il Segretario Generale conferma che “la NATO rimarrà un’organizzazione basata sul consenso”, ma il diavolo sta nell’aggiungere un piccolo dettaglio: “noi cerchiamo modi per prendere decisioni in maniera più efficiente “2. Tranne che l’argomento dell’efficienza del processo decisionale nasconde male l’intenzione principale che è quella di passare oltre alle riserve politiche e alla riluttanza di un particolare paese membro e garantire così un allineamento di fatto con la posizione del “garante” definitivo”. Questo è quindi un argomento cardine, e il rapporto NATO 2030 gli dedica una parte significativa. Il testo afferma che in “Un’era segnata da una crescente rivalità sistemica”, l’Alleanza deve accelerare e razionalizzare il suo meccanismo di decisione se vuole mantenere la sua rilevanza e utilità agli occhi dei suoi Stati membri.
A tal fine, raccomanda diverse strade: ridurre il potere di veto da parte di un determinato Stato membro (limitando questo diritto al livello ministeriale e vietandolo in fase di esecuzione); la possibilitàdi creare coalizioni di volenterosi (chi può schierarsi sotto la bandiera della NATO anche se tutti i paesi membri non aderiscono); aumentare i poteri del Segretario Generale (può prendere decisioni da solo in domande di routine ed emettere solleciti all’ordine, in caso di blocco politico, in nome della coesione). Queste proposte non segnano, da soli, un cambio di paradigma, ma riflettono un movimento fondamentale: nel contesto particolare la NATO riesce come minimo a erodere le prerogative degli Stati membri e rafforza il controllo dei più potenti di loro nel corso di tutta l’Alleanza. Inoltre, con le critiche alla lentezza e all’inefficienza vediamo ricomparire la ben più esplosiva questione della delega di autorità, in tempo di crisi, al comandante supremo di NATO (SACEUR, un generale americano che riceve i suoi ordini direttamente dal Pentagono e dalla Casa Bianca) 1.

Un tema molto delicato su cui l’amministrazione Obama ha continuato a insistere, ma che è stato poi congelato durante i quattro anni della presidenza Trump. I successivi rapporti all’Assemblea parlamentare della NATO mostrano chiaramente la pressione per ampliare il “grado di autonomia operativa” del Comandante dell’Alleanza Suprema. Così, dal 2015, apprendiamo che “SACEUR ha l’autorità di allertare, organizzare e preparare le truppe in modo che siano pronte a intervenire una volta che la decisione politica viene presa dal CAN [Consiglio Nord Atlantico]. SACEUR ha, tuttavia, proposto di poter avviare il dispiegamento delle forze prima di ricevere l’autorizzazione dal CAN, perché ritiene che sarebbe prudente, da un punto di vista militare, disporre di una capacità di reazione così rapida. Questa misura di «Attenzione, preparazione e distribuzione “è stata rifiutata da CAN, che ha chiaramente affermato che la decisione di procedere con qualsiasi movimento
di forza rimarrà una decisione politica”
2
.
Un anno dopo, “Il Consiglio prosegue il dibattito sulla questione del
sapere fino a che punto potrebbe, pur mantenendo il suo status dell’ultima autorità politica, delegata al comandante supremo delle Forze alleate in Europa (SACEUR) il processo di allerta, attesa e dispiegamento delle forze”3. Alla conferenza di Riga nel 2019, l’ex vicesegretario generale della NATO sottolinea che la regola del consenso alla CAN pone problemi di reattività in caso di conflitto. Tuttavia, Vershbow è rassicurante: un certo grado di autorità è già stato delegato alla SACEUR, che permette di avviare la preparazione delle truppe, le misure di pre-dispiegamento anche se la CAN a Bruxelles esita. Il SACEUR, ha detto, non è solo lì seduto a non fare nulla, in attesa del semaforo verde da CAN.4
Resta da vedere se tale agitazione, nel pieno di un periodo di tensione, a monte di una decisione collettiva e sotto l’esclusivo ordine degli Stati Uniti, non rischi di porre i rappresentanti degli altri paesi membri di fronte a un fatto compiuto.
L’Alleanza Atlantica, attraverso il suo movimento simultaneo di espansione e integrazione può rapidamente spingere l’UE fuori dai giochi.La NATO è in arrivo sempre più apertamente su terreni normalmente riservati a livello nazionale o dell’UE, trovando i mezzi di integrare sempre più strettamente i suoi paesi membri. Almeno coloro che gli avevano quasi completamente delegato la loro difesa, quindi tutti, ad eccezione di Stati Uniti, Turchia e Francia.1
In queste circostanze, è difficile vedere come il PSDC (Politica di sicurezza e di difesa comune dell’Unione Europea) potrebbe ritagliarsi un posto a fianco di una NATO sempre più avvolgente e assorbente.
2- La svalutazione del PSDC
La preparazione del documento dal titolo “Bussola strategica”, in corso dal 2020 con adozione prevista per l’inizio del 2022, mostra i suoi obiettivi di “rafforzamento dell’autonomia strategica” dell’UE.
Tuttavia, dall’inizio del 2020 abbiamo assistito a un cambiamento del concetto di autonomia strategica, originariamente apparso nel PSDC, ad altri settori non militari. Allo stesso tempo, il
tentativo di conciliare apertura e interdipendenza consustanziale al progetto europeo con l’imperativo dell’autonomia strategica appare sempre più chiaramente come la quadratura
del cerchio. Da qui l’ultima scoperta del volapük di Bruxelles: il concetto di “autonomia aperta”
21 – Il concetto di “autonomia strategica” emergente dalla difesa
La pandemia di Covid-19 ha fatto luce sui legami tra i diversi settori come la prosperità, la salute, l’industria, la tecnologia, sicurezza e commercio. Divenne chiaro che di fronte a ricatti e pressioni geoeconomiche, l’UE, a causa del mercato unico e dei poteri che le erano stati trasferiti,
sarebbe in linea di principio particolarmente ben posizionata per reagire.
Parallelamente, l’aggravarsi delle tensioni internazionali (con la Turchia, Russia, Cina) e il comportamento unilaterale dell’alleato americano (sotto il presidente Biden e sotto l’amministrazione Trump) sollecitano un ripensamento del ruolo dell’Unione in un mondo caratterizzato dal ritorno trionfante delle relazioni su basi di forza. Come afferma uno studio del Parlamento europeo: “L’Unione rischia infatti di diventare il ‘campo da gioco’ per le grandi potenze mondiali, in un mondo sempre più dominato dalla geopolitica. Costruire autonomia strategica in modo orizzontale e trasversale gli permetterebbe di
rafforzare la sua azione multilaterale e ridurre la sua dipendenza da attori esterni”1.

Il testo esamina quindi la necessità di autonomia strategica in settori diversi e diversificati come clima, energia, mercati finanziari, commercio, euro, industria, tecnologia digitale oltre al settore tradizionalmente associato che è la difesa. Specifica inoltre che è necessario “rafforzare la capacità dell’Unione di agire in autonomia, non solo con la Cina, ma anche con altri partner”. Gli autori sembrano ispirati dalla visione francese, e in particolare dai recenti discorsi del presidente Emmanuel Macron, quando affermano: “L’autonomia strategica, sostenuta dal linguaggio del potere, un linguaggio che richiama chiaramente gli interessi dell’Unione. e ne tutela i valori, nonché i mezzi e gli strumenti per rendere credibile questo linguaggio, sono condizioni necessarie per evitare che l’Unione sia coinvolta, suo malgrado, nella rivalità strategica sempre esacerbata tra Stati Uniti e Stati Uniti. La Cina, e la loro rispettivi valori e interessi”. 2 Salvo che il “linguaggio” del potere e dell’indipendenza è diametralmente opposto al DNA stesso della costruzione europea, per non parlare della maggioranza degli Stati membri che sono diventati impermeabili a questo tipo di considerazioni a forza di affidarsi ad essa esclusivamente alla NATO. Per fare il punto delle difficoltà, anche in un contesto di consapevolezza, basta leggere la “Nota ispano-olandese sull’autonomia strategica e la conservazione dell’apertura economica” del marzo 20211. Entrambi i paesi riconoscono i rischi di dipendenze asimmetriche nei settori strategici, ma per rimediare a questa offerta offrono un’autonomia strategica aperta che descrivono come segue: “Piuttosto che l’indipendenza, l’autonomia strategica deve promuovere una maggiore resilienza e sviluppo. ‘l’interdipendenza, nel contesto della globalizzazione, dove l’interoperabilità deve prevalere sull’uniformità”. Capire chi può. Il Consiglio europeo, dal canto suo, si accontenta di affermare: “Raggiungere l’autonomia strategica preservando un’economia aperta è un obiettivo chiave dell’Unione”. 2 Certamente, l’identificazione dei rischi legati alla “eccessiva dipendenza” e l’obiettivo di “riduzione delle vulnerabilità”, il tutto in un quadro che vuole essere geopolitico, è un nuovo approccio a livello europeo che può essere salutato. Testimonia una sorta di “consapevolezza”. Ci sono però due avvertimenti da fare. In primo luogo, gli eventi recenti mostrano che, in una situazione di crisi, o siamo pienamente autonomi in tutti i settori e settori cruciali, oppure siamo in balia delle decisioni degli altri. Non è “un certo grado di autonomia”, come la formulano i testi europei, che farà dell’Europa una potenza e la libererà dalla scelta fatale tra diverse tutele straniere. Per parafrasare Marie-France Garaud, consigliere dei presidenti Pompidou e Chirac: “essere indipendenti è come essere incinta, o lo sei o non lo sei”. Inoltre, la proliferazione della parola rischia di nascondere la cancellazione della cosa. Anche se nell’Ue il termine “autonomia strategica”, un tempo tabù, è oggi citato senza ritegno e nei più svariati settori, il suo dominio originario, quello della difesa, si sta visibilmente atrofizzando. Le iniziative della PSDC sono ostinatamente prive di ambizione e alcune si spostano addirittura al di fuori dell’Unione. Potrebbe essere questo un segno che i forum di Bruxelles a 27 (sia essa la Commissione o il Consiglio) non sono in definitiva il livello giusto per cooperare in un campo che coinvolge il cuore stesso della sovranità delle Nazioni?

22 – Il magro primato della PSDC e la sua fuga fuori dall’UE

Dal rilancio nel 2016, una serie di iniziative nell’ambito della PSDC dovrebbero dare sostanza alla nozione di autonomia europea. Sono impressionanti per ingegnosità istituzionale e per numero, ma è chiaro che dal punto di vista di qualsiasi autonomia il PSDC è lontano dal segno. Non è nemmeno necessariamente diretto nella giusta direzione. Come rileva il citato studio del Parlamento europeo: “È possibile che le soluzioni tecniche si dimostrino insufficienti se gli Stati membri non ampliano il consenso politico esistente per concordare l’obiettivo e le esigenze di uno strumento di difesa europeo”. Insomma, nonostante il proliferare di iniziative, la difesa europea è tornata al punto di partenza: bloccata dall’assenza di una visione condivisa e dalla mancanza di volontà politica. In termini di capacità operative, l’UE resta ben al di sotto dell'”obiettivo globale” fissato a Helsinki nel dicembre 1999, sulla base della dichiarazione di Saint-Malo che prevedeva “una capacità di azione autonoma, sostenuta da forze militari credibili, con la significa utilizzarli ed essere pronti a farlo per rispondere alle crisi internazionali”. Riguardo alle circa 40 operazioni avviate da allora, l’Institut Montaigne osserva: “le missioni e le operazioni del PSDC forniscono solo risposte molto parziali alle crisi attuali” 1. Possono aver avuto effetti benefici molto limitati qua e là, ma certamente non sono all’altezza delle sfide internazionali. Per questo, dovranno cambiare la loro natura e logica. Jolyon Howorth, il massimo esperto di difesa europea e relazioni transatlantiche ha recentemente osservato correttamente: le operazioni dell’UE “fanno poco per far avanzare la causa dell’autonomia” 2. Quanto al magnifico terzetto di iniziative post 2016 che avrebbero dovuto galvanizzare la PSDC, su ciascuno dei tre aspetti le ambizioni sono state riviste al ribasso, gli obiettivi iniziali stemperati. La Coordinated Annual Defense Review (CARD) è solo un’ulteriore variazione sul tema dello “sviluppo delle capacità”, con l’obiettivo di identificare e colmare le lacune nelle capacità militari degli Stati membri degli Stati Uniti. Con i risultati che conosciamo: sono le stesse carenze che sono state elencate sin dal primo esercizio di questo tipo, 20 anni fa. Secondo Sven Biscop dell’Istituto Egmont, il piano di capacità dell’UE non è vincolante quanto quello della NATO, “quindi non sorprende che abbiano solo un’influenza marginale sulla pianificazione della difesa nazionale”1. Ignorare le priorità di CARD, aggiunge, non comporta nemmeno i pochi scomodi momenti di autogiustificazione come accade nell’Alleanza. La Cooperazione Strutturata Permanente (PSC), nata originariamente per creare una sorta di avanguardia di paesi volontari con mezzi capaci, ha perso ogni suo significato a causa della richiesta di “inclusività” formata dalla Germania. . Pertanto ora conta 25 dei 27 Stati membri (tutti tranne Malta e Danimarca). Infine, anche il Fondo europeo per la difesa (FES), concepito per fornire il cofinanziamento di progetti europei di armamenti in cooperazione, ha visto ridimensionarsi i propri obiettivi. Sia in termini di denaro (dei 13 miliardi di euro inizialmente previsti per il periodo 2021-2027, il Fondo ne avrà solo 7 miliardi) sia in termini di ambizioni strategiche (contraddette dal rifiuto di stabilire la preferenza europea e dalla tolleranza verso l’entrismo da parte paesi terzi). Contemporaneamente a questo disfacimento della PSDC, si nota uno spostamento di alcune iniziative al di fuori del quadro dell’UE. Anche senza Londra, i 27 hanno difficoltà a trovare un accordo e spesso è impossibile per loro trovare una risposta comune a questa o quella situazione. O perché alcuni sono riluttanti a dare troppa importanza all’Ue in materia militare (per paura di licenziare la Nato), o perché altre divergenze politiche complicano i negoziati sul mandato, sui mezzi per ingaggiare o sul comando. In tale contesto, per evitare che tutte le iniziative operative sfuggano all’UE, il Consiglio ha avviato il progetto pilota del “concetto di presenze marittime coordinate” nel Golfo di Guinea. Questo nuovo concetto è espressamente “distinto dalle missioni e operazioni PSDC”. L’idea è quella di designare “un’area di interesse marittimo” e garantire un migliore coordinamento delle attività nazionali degli Stati membri1. Da parte loro, Germania, Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Italia, Paesi Bassi e Portogallo hanno preso l’iniziativa di creare, nel gennaio 2020, la Missione europea di sorveglianza marittima nello Stretto di Hormuz (EMASOH) con l’intenzione di contribuire alla riduzione dell’instabilità e alla messa in sicurezza del traffico marittimo. Come promemoria, gli otto paesi hanno tutti aderito all’Iniziativa di intervento europea (EII), lanciata da Parigi al di fuori della PSDC. Dodici paesi hanno già aderito all’IEI, tra cui Danimarca e Regno Unito, nella speranza di rendere operativa la cooperazione in materia di difesa tra i paesi europei. Questo è un ulteriore segno del pragmatismo imperante, e riflette la volontà di preservare le questioni militari lontane dalle istituzioni del 27, in quadri flessibili, tra volontari “capaci e pronti”. Lo European Air Transport Command (CTAE/EATC) che raggruppa sette paesi è l’esempio più riuscito in termini di condivisione in una logica rispettosa delle sovranità nazionali. Inaugurato nel settembre 2010, il CTAE ha consentito alla Francia, già nel dicembre dello stesso anno, di inviare tre compagnie da combattimento in Costa d’Avorio utilizzando aerei olandesi, belgi e tedeschi. Secondo la cosiddetta procedura di Reverse Transfer of Authority, “in assenza di un impegno nazionale, tali risorse possono essere messe a disposizione dei partner a termini e condizioni che prevedano, se necessario, un subentro sotto comando nazionale” 2. Un rapporto del Senato sull’autonomia strategica europea commenta sul CTAE: “il principio dovrebbe essere esteso ad altri settori (elicotteri, assistenza medica, per esempio)” 3. Insomma, Realpolitik sta tornando forte, sia nella consapevolezza, più o meno, della necessità di un’autonomia strategica su scala europea per i settori più diversi, sia nella rivalutazione delle logiche intergovernative nella cooperazione tra Stati. Resta però un grosso problema. Per quanto riguarda il campo stesso della difesa, i partner europei della Francia rifiutano di pensarci davvero in termini di autonomia, sia nell’ambito dell’UE che in formazioni multilaterali. Tuttavia, finché l’autonomia strategica non diventerà il principio guida in materia di difesa, i loro sforzi in altri settori rimarranno quindi effimeri e vani. Come sottolinea Charles A. Kupchan, direttore degli affari europei presso il Consiglio di sicurezza nazionale sotto i presidenti Clinton e Obama, “la supervisione della sicurezza è il fattore decisivo nel determinare chi è al comando”1.

3- Il ritorno in vigore dell’eterno trittico delle relazioni NATO-UE Dal 2016, la cooperazione tra UE e NATO si è notevolmente intensificata, come testimoniano due dichiarazioni congiunte (nel 2016 e nel 2018) e l’individuazione di ben 74 azioni per essere attuato congiuntamente. Questa impennata delle attività di conciliazione non è estranea alla ripartenza, proprio nel 2016, della difesa europea. Come ha rilevato l’ultimo rapporto dedicato a questo argomento all’Assemblea parlamentare della NATO: uno dei principali fattori alla base di questo “boom nella cooperazione” è “il nuovo ciclo di iniziative di sicurezza europee al di fuori dell’UE. Quadro NATO ”2. Infatti, poiché l’autonomia strategica europea diventa il leitmotiv di queste nuove iniziative, l’Alleanza cerca di non lasciarle sfuggire alla sua morsa. Il Segretario Generale si oppone apertamente alle due: “solidarietà strategica con la NATO” è preferibile ad “autonomia strategica con l’UE” 1. Tornano dunque alla ribalta i limiti politici posti fin dall’inizio alla Psdc dagli Stati Uniti. Certo, queste restrizioni, note come 3D, sono state un colpo da maestro da parte della diplomazia americana. Il requisito della non duplicazione copre tutte le aree critiche dal punto di vista dell’autonomia: pone limiti rigorosi alla capacità di azioni autonome degli europei sia a livello operativo (pianificazione e gestione) che strutturale (industria degli armamenti e della tecnologia) e strategico (difesa collettiva). Il non disaccoppiamento serve alla prevenzione: agli europei viene chiesto di non pensare e decidere nemmeno insieme, al di fuori della NATO, su queste questioni. La non discriminazione funziona come un blocco di sicurezza. Nel caso in cui, nonostante tutte queste precauzioni, un’iniziativa europea assumesse dimensioni inaspettate, l’obbligo di includere alleati extracomunitari consente di intervenire direttamente per richiamare all’ordine i recalcitranti.

31 – Non disaccoppiamento?

Il criterio del non disaccoppiamento del processo decisionale ha rivelato ancora una volta i suoi limiti durante le tensioni greco-turche nel 2020

2. Dato il grado di conflitto tra questi due paesi membri della NATO – di cui uno fa parte dell’Unione Europea, l’altro no – la distinzione tra i due fori assume tutto il suo significato. Si ricorda, quando è stata lanciata la PSDC, qualsiasi progresso istituzionale nella nascente politica di difesa europea è stato sospeso alla conclusione degli accordi tra l’UE e la NATO, conclusione a sua volta ritardata dalla controversia tra Grecia e Turchia. Una delle condizioni poste da Ankara era la promessa che le forze dell’Unione Europea non saranno mai usate contro uno Stato membro dell’Alleanza. La Turchia voleva impedire alla Grecia, poi affiancata da Cipro dopo la sua adesione all’UE, di poter coinvolgere militarmente l’intera Unione nelle loro controversie. Dopo due anni di trattative, è stata fatta la promessa, con lo strano impegno, richiesto dalla Grecia in nome del principio di reciprocità, che la Nato non attaccherà mai nemmeno un Paese dell’Unione Europea. Ad ogni modo, questi dettagli dicono molto sulla netta distinzione tra le due organizzazioni. Nonostante il fatto che 21 Stati siano membri di entrambi allo stesso tempo, l’UE e la NATO non sono la stessa cosa, un fatto dimostrato in modo spettacolare durante le recenti tensioni sulle riserve di idrocarburi nel Mediterraneo orientale. Essendo Grecia e Cipro membri dell’Unione Europea, ogni tentativo di rosicchiare i loro confini, marittimi e non, mette in discussione quelli dell’UE. Di conseguenza, a seguito delle azioni turche nella regione, il ministro degli Esteri greco ha potuto argomentare: “La Grecia difenderà i suoi confini nazionali ed europei, la sovranità ei diritti sovrani dell’Europa”. 1 Una comunità di destini sottolineata anche dal Segretario di Stato francese per gli affari europei, Clément Beaune: “La Turchia persegue una strategia che consiste nel mettere alla prova i suoi immediati vicini, Grecia e Cipro e, attraverso di loro, l’intera Unione Europea”. 2 Va da sé che l’Alleanza non è la sede ideale per difendere l’integrità territoriale degli Stati europei contro un paese alleato. Fin dall’inizio, la Francia vede quindi in essa un’opportunità per affermare una politica europea di solidarietà “verso qualsiasi Stato membro la cui sovranità possa venire contestata” 3. Questa nota ufficiale dell’Eliseo ricorda, sullo sfondo, l’implicita difesa collettiva che è stata nascosta nei trattati europei sin da quello di Amsterdam del 1997. Tra gli obiettivi di politica estera e di sicurezza c’è già la “salvaguardia dell’Unione europea “.integrità dell’Unione”, ovvero la difesa delle frontiere esterne. Questo elemento – spesso ignorato, eppure pieno di possibili ramificazioni – fu aggiunto a suo tempo su esplicita richiesta di Atene, con il pieno appoggio di Parigi.

32 – Non duplicazione?

Il criterio di non duplicazione tra NATO e UE prevede tradizionalmente tre divieti: non può esserci “duplicazione” funzionale (la PSDC non deve toccare il monopolio della NATO sulla difesa collettiva); nessuna duplicazione di capacità (in termini di armamenti, si chiede agli europei di continuare a privilegiare l’acquisto di armamenti americani, invece di pensare in termini di autonomia per il BITDE – base industriale e tecnologica per la difesa europea); né duplicazione delle risorse progettuali e gestionali (in altre parole, nessuna Sede per il PSDC) 1. I primi due temi – difesa collettiva e acquisto di armi – sono sempre stati, più o meno implicitamente, intrecciati tra loro. Perché è un dato di fatto: fin dalla creazione della Nato, gli alleati che si sentono protetti dall’ombrello americano, come ha osservato l’amministratore delegato di Dassault Aviation, «un vero desiderio di comprare americano qualunque sia il prezzo, qualunque sia l’esigenza operativa»2. Tuttavia, la recente incertezza sull’affidabilità delle garanzie americane sta mettendo a dura prova questa logica transazionale. Il rilancio della PSDC nel 2016 ha sollevato preoccupazioni negli ambienti della NATO, in particolare per quanto riguarda una possibile ricaduta della nuova dinamica europea verso la difesa collettiva, appannaggio dell’Alleanza. Da allora, il segretario generale della Nato ha passato la maggior parte del suo tempo a lanciare avvertimenti ea insistere sul fatto che “l’Europa non può difendersi”. Per sua sfortuna, per quattro anni ha dovuto farlo mentre il presidente Trump, dal canto suo, non ha mai smesso di dubitare della garanzia di difesa della Nato. Questa messa in discussione dell’articolo 5, da parte del presidente americano, ha chiarito anche al più atlantista degli europei che, appunto, potrebbe venire un giorno in cui si troveranno soli a difendersi. Un’ipotesi che suscita aspre polemiche pubbliche, ma anche un abbondante dibattito di esperti di entrambe le sponde dell’Atlantico. Uno degli scambi più interessanti si è sviluppato sulle colonne della rivista britannica Survival, nota pubblicazione sotto l’egida dell’IISS, International Institute for Strategic Studies. Nell’aprile 2019, un team dell’IISS ha pubblicato uno studio secondo cui gli alleati europei della NATO non sarebbero stati in grado di far fronte all’aggressione russa: gli Stati Uniti dovrebbero venire in loro soccorso. Alla fine del 2020, Barry R. Posen, direttore del Security Studies Program presso il prestigioso Massachusetts Institute of Technology (MIT), ha espresso il punto di vista opposto alle ipotesi e alle affermazioni di questo studio in un articolo dal titolo eloquente: “L’Europa può difendersi” 2. Il dibattito non è stato senza suscitare reazioni, quali mettere in discussione la pertinenza degli scenari scelti, quali mettere in discussione le motivazioni ei messaggi politici dei giornali. Da un lato, lo studio dell’IISS è stato visto da alcuni come tempestivo per screditare qualsiasi idea di autonomia. Posen, invece, è stato accusato di essere indulgente verso le debolezze europee solo per sostenere meglio la tesi del suo recente libro che auspica una politica estera di “restrizione” per gli Stati Uniti3. Comunque sia, tre elementi del dibattito meritano attenzione. In primo luogo, gli oratori di entrambe le parti concordano sul fatto che l’importo necessario per colmare le lacune di capacità degli europei (in vista di una minaccia russa convenzionale) è di circa 300 miliardi di euro. Tuttavia, come sottolineano anche i ricercatori dell’IISS: solo colmando il gap con l’obiettivo del 2% del PIL che gli alleati europei si erano impegnati nel quadro della NATO, spenderebbero 100 miliardi di euro in più… all’anno.4 Secondo, François Heisbourg ha introdotto nel dibattito la dimensione nucleare, che fino ad allora era stata del tutto messa da parte. Come giustamente rimarca: “il rischio di una guerra in Europa non può essere analizzato indipendentemente dal fattore nucleare [perché] la Russia non prevede alcuna operazione nel teatro europeo senza qualche legame che una minaccia nucleare russa implicava”. Pertanto, la “dissuasione estesa” sarebbe “un elemento indispensabile di qualsiasi sforzo per contrastare l’aggressione militare russa” 5. Un’occasione d’oro per Posen per ricordare la fragilità del concetto stesso di deterrenza estesa: “Anche il rapporto di deterrenza estesa tra Stati Uniti ed Europa è sempre stato un’ipotesi problematica”1. Infine, il dibattito sulla difesa dell’Europa si concentra solo sulle carenze europee e ignora la questione della capacità degli Stati Uniti di venire in aiuto. Dopo la Guerra Fredda, il documento di base del Pentagono, il Quadrennial Defense Review (QDR) ha stabilito che gli Stati Uniti devono essere in grado di combattere (e vincere) due guerre alla volta, la condizione sine qua non dello status di superpotenza 2. Questo approccio è stato la posizione ufficiale fino alla Strategia del 2012, dove l’amministrazione Obama ha sostituito la cosiddetta dottrina del “due meno”: l’obiettivo di vincere una guerra, imponendo costi inaccettabili a un aggressore su un altro teatro3. In definitiva, la Strategia del 2018, sotto il presidente Trump, ha tratto conclusioni dall’ascesa al potere della Cina e ora mira a una sola guerra alla volta, facendo affidamento sulla deterrenza in un secondo teatro. Uno sviluppo che non è certo vicino a rassicurare gli alleati europei. Tanto più che non fa che rafforzare i dubbi, già espressi nel Rapporto della British Trident Commission – composta da ex ministri della Difesa e degli Esteri, ex ambasciatori e capi di stato maggiore – sulla volontà e la capacità degli Stati Uniti di difendere l’Europa5. Tuttavia, l’altro grande aspetto del divieto di non duplicazione, l’armamento, è direttamente legato alla percezione delle garanzie di difesa. Il senatore degli Stati Uniti Chris Murphy ha chiarito la logica del dare e avere quando si è preoccupato sotto il presidente Trump per l’impatto della sfida all’articolo 5 sulla vendita di armi. Questo democratico eletto nel Connecticut ha spiegato, durante una conferenza, come la garanzia della Nato porti un vantaggio economico al suo Stato, a patto che gli europei ci credano: “grazie a questa stretta alleanza, è molto più probabile che gli europei acquistino prodotti da Sikorsky e Pratt & Whitney”. Murphy critica Donald Trump per aver messo in dubbio l’impegno americano per la difesa collettiva, perché a seguito di ciò “gli alleati europei stanno iniziando a esplorare altre opzioni per l’acquisto del loro equipaggiamento militare, comprese iniziative preoccupanti. che escluderebbero gli Stati Uniti”1. Si tratta del Fondo europeo per la difesa destinato, come abbiamo visto, a cofinanziare i progetti europei di armamento a carico del bilancio comunitario. La partecipazione di terzi – soprattutto quella di potenti industriali americani sostenuti dal loro governo – sarebbe controproducente rispetto all’obiettivo dichiarato dell’autonomia. Le divisioni tra europei in questo senso si riflettono nello spettacolare taglio del budget (da 13 miliardi a 7 miliardi per il prossimo quadro pluriennale). Fino a quando gli Stati Uniti non otterranno l’accesso alle proprie condizioni, i suoi più stretti alleati europei si opporranno al rafforzamento di questo strumento. Al contrario, se hanno successo e gli Stati Uniti diventano ammissibili ai finanziamenti del FES (in un modo o nell’altro, ad esempio attraverso la partecipazione al CSP), è la Francia che dovrebbe normalmente ridurre il proprio impegno nei suoi confronti. Perché questo trasformerebbe il budget del FES in un setaccio che consente alle aziende di paesi terzi, in particolare americani, di dirottare la spesa europea come meglio credono. Tanto più che questa logica si applica già agli acquisti di armi in generale. Come sottolinea un recente rapporto dell’Institut Montaigne, “Oggi non c’è ancora nessuna preferenza europea per l’acquisizione di attrezzature (…) l’acquisizione di attrezzature americane consuma i bilanci della difesa degli Stati. i budget rimanenti per gli industriali europei e consente alcune interferenze americane negli affari della difesa dell’UE ”2. Il rapporto fa l’esempio degli aerei da combattimento: “Nel settore aereo, ad esempio, la partecipazione al programma F35 di paesi come l’Italia, i Paesi Bassi o più recentemente il Belgio indebolisce l’industria europea” 3. Per la cronaca, è questo stesso aereo che il ministro Florence Parly ha evocato per rifiutare il legame stabilito da Washington tra garanzie della difesa e acquisto di armi: “La clausola di solidarietà della NATO si chiama Articolo 5, e non Articolo F-35”1.

33 – Non discriminazione? 

Il campo degli armamenti continua ad essere il tema principale della terza D, quella del divieto di ogni discriminazione nei confronti degli alleati non membri dell’UE. Trattandosi di un argomento delicato, questo divieto è, per una volta, invocato direttamente e pubblicamente per garantire la presenza degli Stati Uniti nelle iniziative europee. La saga dell’accesso al FES è proseguita, in questo spirito, per tutto il 2020.2 Come osserva un rapporto dell’Assemblea nazionale: “Le discussioni sono particolarmente tese sulla questione dell’ammissibilità delle imprese di paesi terzi, in particolare quelle del Regno Unito e del Stati Uniti, all’EDF. Gli Stati membri sono divisi sulla questione e, per alcuni che ospitano filiali di società statunitensi, sotto forte pressione da parte degli Stati Uniti per una maggiore flessibilità nei criteri di ammissibilità”. E agli autori del rapporto di spiegare: “Va da sé che se il FES dovesse essere ampiamente aperto alle imprese di paesi terzi, tanto meno sarebbero i finanziamenti per raggiungere l’obiettivo dell’autonomia strategica” 3. Pochi mesi dopo, il Segretario di Stato per gli Affari Europei, Clément Beaune, rassicura: “Il Fondo europeo per la difesa sta finanziando i nostri progetti per l’autonomia strategica europea. È impossibile finanziare paesi terzi. La cooperazione strutturata permanente, che è la cooperazione a progetto, prevede la possibilità di integrare paesi terzi a bordo di determinati progetti, con regole per l’approvazione da parte dei paesi dell’Unione europea caso per caso ”4. In effeti, in base al compromesso messo insieme sotto la Presidenza tedesca dell’UE, “Stati terzi” possono entrare in un particolare progetto di PSC a condizione che vi sia una decisione politica in merito e finché non ci sono fondi comuni europei a posta in gioco – almeno in linea di principio. Come promemoria, il CSP e la FED sono stati creati per essere complementari l’uno all’altro. Il CSP può essere visto da alcuni attori esterni come una possibile porta d’ingresso o un diritto di blocco nei confronti del FES: sia per accedervi in ​​qualità di terzi, sia per riuscire a escluderne un determinato programma come risultato. la propria partecipazione al progetto corrispondente. Inoltre, il Segretario di Stato Beaune si guarda bene dal precisare se la Francia sia riuscita a imporre, come sine qua non, le sue due condizioni iniziali per l’accesso di terzi al CSP. Vale a dire: considerare come presupposto non negoziabile il fatto che la proprietà intellettuale ei diritti di esportazione debbano rimanere, senza alcuna ambiguità, sotto il controllo europeo. O, invece, sono state ridotte le condizioni generali, come suggerisce il comunicato Ue, che il terzo partecipante “deve condividere i valori su cui si fonda l’Unione, non deve ledere gli interessi dell’Unione e dei suoi Stati membri in materia di sicurezza”. e difesa e deve aver concluso un accordo per lo scambio di informazioni classificate con l’UE.”1 Perché se così fosse, l’obiettivo iniziale di non dipendenza è obsoleto e il CSP si svuota definitivamente della sua sostanza. Il rischio è tanto maggiore dato che l’approccio scelto dalla nuova amministrazione Biden è straordinariamente intelligente. Gli Stati Uniti usano il “nuovo inizio” nelle relazioni transatlantiche, dopo gli anni di Trump, come pretesto per ribaltare la situazione e presentare la propria domanda di accesso come segno di un nuovo impegno. È quindi per il desiderio di rafforzare i legami tra gli alleati che desiderano onorare le iniziative europee con la loro presenza. La manovra è ancora più abile dal momento che Washington avanza a tappe. Invece di puntare immediatamente alle questioni più delicate, gli Stati Uniti si collegheranno prima al progetto di mobilità militare, che è anche uno dei circa 50 progetti di CSP2. Ma la portavoce del Pentagono ammette che questo è solo il primo passo: “Un passo cruciale per identificare come gli Stati Uniti e l’UE possono lavorare insieme in altri progetti PUC e per esplorare la possibile cooperazione tra gli Stati Uniti e l’UE in altre iniziative di advocacy. l’UE”. Jessica Maxwell aggiunge che Washington vede la tempestiva approvazione della partecipazione degli Stati Uniti da parte dell’UE come un segno promettente di “impegno dell’UE e degli Stati membri a mantenere aperte le iniziative di difesa dell’UE agli Stati Uniti”1. Messa è stata detta.

 4- Unione, quale unione?

 Più l’Ue parla di autonomia, più si moltiplicano le richieste di “più integrazione”. In questa narrazione, il passaggio alla maggioranza qualificata creerebbe, con il colpo di una bacchetta magica, un’Europa potente che parla con una sola voce, in grado di svolgere il proprio ruolo nello scacchiere geopolitico. Ma una visione così semplicistica tende a confondere forma e sostanza. Non è a causa della regola dell’unanimità che l’UE è incapace di avere una politica di potere indipendente, al contrario. La posizione maggioritaria tra i partner europei è sempre stata quella di ignorare o addirittura diffamare i concetti di potere e indipendenza. Se dipendesse da loro, l’Europa sarebbe, per molto tempo, un 51° Stato americano o addirittura, domani, una 24° provincia cinese. Il requisito dell’unanimità è l’unica salvaguardia che resta per i pochi, spesso la sola Francia, che sono attaccati all’idea di essere padroni del proprio destino e di fare le proprie scelte. L’eccellente articolo di Hubert Védrine “Advancing with open eyes” (scritto nel 2002, ma chi non è invecchiato un po’ da allora) riassume perfettamente le opzioni. L’ex ministro degli Esteri invoca “onestà intellettuale” prima di avviare le prossime tappe della costruzione europea: “Una delle due cose: o accettiamo, perché crediamo che l’ambizione europea prevalga su tutte le altre o perché crediamo che l’Europa quadro è ormai l’unico che ci permette di difendere i nostri interessi, di fonderci gradualmente in questo insieme. E così stiamo giocando a pieno titolo la partita europea, rafforzando le istituzioni europee e comunitarie, generalizzando il voto a maggioranza. E accettiamo in anticipo tutte le conseguenze. Oppure, considerando che non potremo conservare con il 9% dei voti in Consiglio, il 9% dei membri del Parlamento, un commissario su 25, posizioni e politiche che riteniamo fondamentali, rifiutiamo questo salto istituzionale”1. Tra queste posizioni fondamentali, impossibili da preservare in un’Europa sovranazionale governata dalla logica della maggioranza, c’è la richiesta di autonomia e di potere. Un episodio recente illustra perfettamente la solitudine della Francia ei pericoli per lei di cedere alle sirene europeiste nella speranza di una potenza immaginaria dell’Europa. Questo è il passaggio d’armi, alla fine del 2020, tra il presidente Macron e il ministro della Difesa tedesco Annegret Kramp-Karrenbauer (AKK) 2. Quest’ultimo dichiara, alla vigilia delle elezioni presidenziali americane, che “devono finire le illusioni sull’autonomia strategica europea” 3. Su cosa, ribatte il presidente francese: Soprattutto non dobbiamo perdere il filo europeo e questa autonomia strategica, questa forza che l’Europa può avere per se stessa. Si tratta di pensare i termini della sovranità europea e dell’autonomia strategica, per poterci pesare e non diventare vassalli di questo o quel potere e non dire più la nostra». 4. L’Akk insiste e firma: “L’idea di autonomia strategica europea va troppo oltre se implica che saremmo in grado di garantire la sicurezza, la stabilità e la prosperità dell’Europa senza la Nato e senza gli Stati Uniti. È un’illusione”5. Come prevedibile, altri paesi europei si sono schierati con la Germania. Il ministro della Difesa polacco Mariusz Błaszczak ha concluso che “dobbiamo essere più vicini che mai agli Stati Uniti”, e il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez ha chiarito: “Sono con la visione tedesca”. Il ministro della Difesa italiano, Lorenzo Guerini, vede nell’autonomia strategica europea la “conferma del ruolo dell’Europa come pilastro dell’architettura di sicurezza collettiva basata sul patto transatlantico”. Il suo omologo portoghese, João Gomes Cravinho, avverte: “Cercare di far diminuire l’autonomia strategica dell’Ue all’interno della Nato o tentare di separarsi dalla Nato sarebbe, a nostro avviso, un grave errore”. Difficile non vedere, dietro questi discorsi, il posizionamento l’uno dell’altro rispetto a Washington. Così come ognuno è determinato secondo la propria visione del mondo in relazione a Pechino, Ankara o Mosca. I ricercatori dell’istituto tedesco SWP, che consiglia il governo federale sulle questioni di sicurezza, trovano: le relazioni bilaterali tra gli Stati membri dell’UE e le grandi potenze sono guidate da “lealtà disparate e interessi in competizione”, il che rende difficile un approccio comune all’autonomia strategica, se non inconcepibile1. Lo scrittore-filosofo inglese GK Chesterton espose brillantemente, cento anni fa, la vacuità degli argomenti a favore di un’unione tra entità diverse: “L’unione è forza, l’unione è anche debolezza. Trasformare dieci nazioni in un impero può essere tanto realizzabile quanto trasformare dieci scellini in un semi-sovrano [oggi: dieci pence in una sterlina]. Ma può anche essere assurdo come trasformare dieci tane in un unico mastino. La questione in ogni caso non è una questione di unione o disunione, ma di identità o mancanza di identità. Per certe cause storiche e morali, due nazioni possono essere così unite che nel complesso si sostengono a vicenda. Ma per certe altre cause morali e per certe altre cause politiche, due nazioni possono unirsi e solo ostacolarsi a vicenda; le loro linee si scontrano e non sono parallele. Abbiamo quindi uno stato di cose che nessun uomo sano di mente si sognerebbe mai di voler continuare se non fosse stato stregato dal sentimentalismo della semplice parola ‘unione’”2. Nell’Europa di oggi, continuare significa il livellamento verso il basso e la diluizione delle ambizioni

pag 1

1 Vision partagée, action commune: Une Europe plus forte – Une stratégie globale pour la politique étrangère et de sécurité de l’Union européenne, juin 2016. 2 Lettre de mission de la part de la présidente de la Commission, Ursula von der Leyen au Commissaire Thierry Breton, 1er décembre 2019. 3 OTAN 2030 : Unis pour une nouvelle ère, Analyse et recommandations du Groupe de réflexion constitué par le secrétaire général de l’OTAN, 25 novembre 2020.

Pag 2

1 Jean-Dominique Merchet, « Hubert Védrine: ‘J’ai pu vérifier que les idées françaises étaient isolées au sein de l’Alliance atlantique’ », L’Opinion, 15 décembre 2020. 2 Sur le sujet de l’extension géographique et fonctionnelle, voir de l’auteur: « Une OTAN de plus en plus englobante », Note IVERIS, 18 octobre 2019. 3 Remarks by NATO Secretary General Jens Stoltenberg at the Munich Security Conference 2021, 19 février 2021. 4 Presenting the POLITICO 28 Class of 2021, POLITICO Events, Entretien filmé de David Herszenhorn avec le Secrétaire général Jens Stoltenberg, 7 décembre 2020.

pag 3

1 Déclaration du sommet de Bruxelles par les chefs d’État et de gouvernement participant à la réunion du Conseil de l’Atlantique Nord tenue à Bruxelles les 11 et 12 juillet 2018 (Par.78). 2 Déclaration de Londres par les dirigeants des pays de l’OTAN, Londres les 3 et 4 décembre 2019 (Par.6). 3 Audition du contre-amiral Arnaud Coustillière, officier général en charge de la cyberdéfense à l’état-major des armées, Commission de la défense nationale et des forces armées de l’Assemblée nationale, 12 juin 2013. 4 Hubert Védrine, Rapport pour le Président de la République française sur les conséquences du retour de la France dans le commandement intégré de l’OTAN, sur l’avenir de la relation transatlantique et les perspectives de l’Europe de la défense, 14 novembre 2012.

pag 4

1 Conférence de presse du Secrétaire général de l’OTAN Jens Stoltenberg, 15 février 2021. 2 NATO chief wades into fiery German debate on armed drones, Defense News, 23 décembre 2020

pag 5

1 Gerald E. Connolly, « 70 ans de l’OTAN : Pourquoi l’Alliance demeure-t-elle indispensable ? », Rapport de l’Assemblée parlementaire de l’OTAN, septembre 2019. 2 Plus de 60 législateurs se penchent sur le nouvel agenda pour les relations transatlantiques et l’OTAN, Assemblée parlementaire de l’OTAN, 26 mars 2021. 3 La commission permanente crée un groupe de travail sur la création d’un centre de l’OTAN pour la résilience démocratique, Assemblée parlementaire de l’OTAN, 29 mars 2021.

pag 6

1 OTAN 2030 : Unis pour une nouvelle ère, Analyse et recommandations du Groupe de réflexion constitué par le secrétaire général de l’OTAN, 25 novembre 2020, p.10. 2 Audition de M. Philippe Errera, ambassadeur, représentant permanent de la France à l’OTAN, Commission des affaires étrangères, de la défense et des forces armées du Sénat, 22 janvier 2013.

pag 7

1 Conférence de presse du Secrétaire général de l’OTAN Jens Stoltenberg, 15 février 2021. 2 Entretien du Secrétaire général de l’OTAN, Jens Stoltenberg, avec Politico, 7 décembre 2020

pag 8

1 Pour davantage de détails sur cette épineuse question, voir de l’auteur : L’OTAN cherche à contourner la règle du consensus, Note IVERIS, 25 août 2015 et Après Varsovie : l’OTAN au sommet de ses contradictions, in Défense & Stratégie n°40, automne 2016. 2 Xavier Pintat, Le plan d’action ‘Réactivité’ de l’OTAN: assurance et dissuasion pour la sécurité après 2014, Rapport, Assemblée parlementaire de l’OTAN, 10 octobre 2015. 3 Joseph A. Day, La nouvelle posture de dissuasion de l’OTAN : du Pays de Galles à Varsovie, Projet de rapport général, Assemblée parlementaire de l’OTAN, 19 septembre 2016. 4 The Rīga Conference 2019, Coffee break conversation between Alexander Vershbow and Julian Lindley-French, 14 octobre 2019, enregistrement vidéo

pag 9

1 Comme l’a expliqué le Secrétaire général adjoint de l’Alliance, Camille Grand : «C’est frappant lorsqu’on arrive dans l’OTAN en tant que Français que pour 26 alliés sur 29, la politique de sécurité et de défense se fait à l’OTAN à 90 % ou à 99 %. Il y a trois exceptions : les États-Unis, la France, et la Turquie qui a toujours gardé la volonté de disposer d’un outil de défense qui puisse fonctionner en dehors de l’Alliance atlantique ». Propos tenus à la Table ronde à l’Assemblée nationale : « Avenir de l’Alliance atlantique », 27 novembre 2019. NB : Avec l’adhésion du la Macédoine du Nord depuis, en mars 2020, l’Alliance compte 30 pays membres aujourd’hui

pag 10

1 Sur le chemin de l’autonomie stratégique – L’Union européenne dans un environnement géopolitique en mutation, Etude du Service de recherche du Parlement européen, septembre 2020. 2 Idem. Emmanuel Macron parle de retrouver « la grammaire de la puissance » dans son interview à The Economist en novembre 2019 et précise que « l’Europe, si elle ne se pense pas comme puissance, disparaîtra ». A la conférence des ambassadeurs en 2019, il met en garde : « Nous aurons le choix entre des dominations », soit américaine, soit chinoise

pag 11

1 Spain-Netherlands non-paper on strategic autonomy while preserving an open economy, Gouvernement des Pays-Bas www.rijksoverheid.nl , 25 mars 2021. 2 Conclusions du Conseil européen, 1er et 2 octobre 2020.

pag 12

1 Défense européenne : le défi de l’autonomie stratégique, Rapport d’information N°626 du Sénat (par R. Le Gleut et H. Conway-Mouret), 3 juillet 2019. 2 Jolyon Howorth, “Europe and Biden –Towards a New Transatlantic Pact? ”, Wilfried Martens Center, janvier 2021

pag 13

1 Sven Biscop, EU and NATO Strategy: A Compass, a Concept; and a Concordat, Egmont Institute, Security Policy Brief n°141, mars 2021

pag 14

1 Conclusions du Conseil portant lancement du projet pilote du concept de présences maritimes coordonnées dans le golfe de Guinée, 25 janvier 2021 : « Les Etats membres continuent d’améliorer la coordination sur une base volontaire des actions menées par les moyens qu’ils déploient dans la zone d’intérêt maritime sous le commandement national ». 2 Voir de l’auteur : « Les politiques d’armement en Europe à travers l’exemple de l’affaire BAE Systems-EADS », Défense & Stratégie n°33, automne 2012 3 Défense européenne : le défi de l’autonomie stratégique, Rapport d’information N°626 du Sénat (par Ronan Le Gleut et Hélène Conway-Mouret), 3 juillet 2019. L’échange de droits au sein de l’EATC se fait dans un cadre multilatéral d’ensemble et est basé sur la notion d’EFH (Equivalent Flying Hour). La référence est le prix de revient d’une heure de vol de C130 ou C160 (EFH = 1). D’après l’exemple donné par le CTAE/EATC : « Le néerlandais KDC-10 exécute une mission de ravitaillement en vol au nom de l’Espagne ; en parallèle l’espagnol KC130 propose une mission de parachutage en Allemagne ; tandis que le personnel militaire allemand et le fret italien sont transportés par un A400M français ; un Learjet luxembourgeois procède à une évacuation aéromédicale d’un soldat belge blessé dans des zones de crise ; l’italien C27J transporte une cargaison hollandaise ; et le belge Embraer transporte les soldats français ». Source : www.eatc-mil.com

pag 15

1 Charles A. Kupchan, The End of the American Era, Vintage Books, 2003, p.267. 2 Le partenariat OTAN-UE dans un contexte mondial en mutation, Rapport de l’Assemblée parlementaire de l’OTAN, par Sonia Krimi, 19 novembre 2020, §16.

pag 16

1 Laurent Lagneau, « Le secrétaire général de l’Otan critique l’idée d’autonomie stratégique européenne, 5 mars 2021 », site Zone militaire Opex360.com ; ‘The EU cannot defend Europe’: NATO chief, AFP, mars 2021. 2 Voir de l’auteur : La Turquie dans l’OTAN, entre utilité et hostilités, Note IVERIS, 26 novembre, 2020.

pag 17

1 Les alliés de l’OTAN s’affrontent en Méditerranée, Fr24news, 26 août 2020. 2 Audition de Clément Beaune, secrétaire d’État chargé des affaires européennes, à la Commission des Affaires européennes de l’Assemblée nationale, 17 septembre 2020. 3 Communiqué de l’Elysée, 12 août 2020.

pag 18

1 Sur ce dernier point, peu de changements sont à signaler depuis l’état des lieux dressé dans le dernier numéro de Défense & Stratégie (n°44, pp23-24). L’exercice qui aurait dû valider la Capacité militaire de planification et de conduite (MPCC en anglais) pour des missions dites « exécutives », avec emploi de la force militaire, fut reporté en raison de la pandémie de Covid-19. Voir : Lt. Colonel Stylianos Moustakis, “Military Planning and Conduct Capability – A Review of 2020”, in Impetus n°30, hiver-printemps 2021, p.18. 2 Voir de l’auteur : « Dassault Aviation, Eric Trappier ironique sur l’achat des F-35 par les Etats européens », Theatrum Belli, 17 mars 2014.

pag 19

1 Douglas Barrie et al, Defending Europe : Scenario-based Capability Requirements for NATO’s European Members, IISS Research Paper, avril 2019. 2 Barry R. Posen, « Europe Can Defend Itself », Survival vol.62 n°6, décembre 2020 – janvier 2021. 3 Barry R. Posen, Restraint – a New Foundation for U.S. Grand Strategy, Cornell University Press, 2015. 4 Douglas Barrie et al, « Europe’s Defence Requires Offence », Survival, vol.63 n°1, février-mars 2021. 5 François Heisbourg, « Europe Can Afford the Cost of Autonomy », Survival, vol.63 n°1, février-mars 2021.

pag 20

1 Barry R. Posen, « In Reply: To Repeat, Europe Can Defend Itself », Survival, vol.63 n°1, février-mars 2021. 2 Quadrennial Defense Review, Département de la Défense des Etats-Unis, 1997. 3 Sustaining U.S. Global Leadership: Priorities for 21st Century Defense, Département de la Défense, 2012. 4 National Defense Strategy, Département de la Défense, 2018. Pour une analyse de cette nouvelle approche, voir Hal Brands – Evan Braden Montgomery, « One War Is Not Enough: Strategy and Force Planning for Great-Power Competition », Texas National Security Review, vol.3, n°2 printemps 2020. 5 The Trident Commission, Concluding Report, juillet 2014.

pag 21

1 L’intervention du sénateur américain Chris Murphy au CSIS (Center for Strategic and International Studies): The Midterm Elections’ Implications for the Transatlantic Agenda, Washington, le 14 novembre 2018. 2 Repenser la défense face aux crises du 21e siècle, Rapport de l’Institut Montaigne, février 2021, p.141. 3 At the Vanguard – European Contributions to NATO’s Future Combat Airpower, RAND Report, 2020

pag 22

1 Discours de Florence Parly à l’Atlantic Council: “The US- French relationship in a changing world”, Washington, 18 mars 2019. 2 Sur les antécédents de ce bras de fer, voir « Le double anniversaire OTAN – Défense européenne : « Plus ça change et plus c’est la même chose ! », in Défense & Stratégie n°44, hiver 2019, pp. 27-30. 3 Françoise Dumas & Sabine Thillaye, Rapport d’information sur la relance dans le secteur de la défense, N°3492, Commission de la défense nationale et des forces armées de l’Assemblée nationale, le 6 novembre 2020. 4 Audition à la commission des affaires étrangères, de Clément Beaune, secrétaire d’État chargé des affaires européennes, 16 février 2021

pag 23

1 Coopération de l’UE en matière de défense: le Conseil fixe les conditions de la participation d’États tiers à des projets CSP, Communiqué du Conseil de l’UE, 5 novembre 2020. 2 “U.S. ready to help EU speed up troop movement to meet Russia challenge”, Reuters, 2 mars 2021. La mobilité militaire est un des initiatives phares de l’UE. Elle vise à « lever les obstacles entravant les mouvements d’équipements et de personnel militaires dans l’ensemble de l’UE, afin de faciliter et d’accélérer leur mobilité, leur permettant ainsi de réagir rapidement et efficacement à des crises internes et externes ». Elle comporte trois volets: un projet CSP mené par les Pays-Bas, une communication conjointe de la Commission européenne relative à la mobilité militaire dans l’UE financée par le mécanisme pour l’interconnexion en Europe, et une initiative commune de l’Union et de l’OTAN

pag 24

1 Sebastian Sprenger, “Pentagon pushes to partake in EU military mobility planning”, Defense News, 2 mars 2021; “US-EU cooperation pitch on military mobility gets positive response”, Defense News, 15 mars 2021.

pag 25

1 Hubert Védrine, Europe : avancer les yeux ouverts, Le Monde, 27 septembre 2002. 2 Voir de l’auteur, Germany’s Transatlantic Ambiguities, FPRI Analysis, 5 mars 2021. 3 Annegret Kramp-Karrenbauer, Europe still needs America, Politico, 2 novembre 2020. 4 La doctrine Macron : une conversation avec le Président français, Le Grand Continent, 16 novembre 2020. 5 Allocution de la ministre allemand de la défense Annegret KrampKarrenbauer à l’Université Helmut Schmidt à Hambourg, 19 novembre 2020.

pag 26

1 B. Lippert, N. von Ondarza, V. Perthes (eds.), European Strategic Autonomy – Actors, Issues, Conflicts of Interests, The German Institute for International and Security Affairs (SWP), Research Paper, mars 2019. 2 Gilbert Keith Chesterton, Heretics, recueil d’essais publié en 1905.

L’OTAN reprend l’avantage dans son bras de
fer avec l’UE
Hajnalka Vincze
Senior Fellow au Foreign Policy Resarch Institute (FPRI)1
Jamais on n’a autant parlé et aussi publiquement de l’autonomie
stratégique européenne que pendant l’année 2020, et rarement
auparavant les limites politiques de ladite autonomie étaient
apparues aussi crûment. Un paradoxe largement en phase avec
l’oscillation de la posture américaine : tandis que sous
l’administration Trump même les plus atlantistes des Européens ne
pouvaient plus échapper à une certaine prise de conscience, après
l’arrivée de l’administration Biden, en revanche, les efforts visent
surtout à escamoter le fait que dans les relations transatlantiques
seul le ton change. Avec la bascule brutale entre le « méchant »
Donald Trump et le « bienveillant » Joseph Biden, les constantes
sont d’autant plus flagrantes. Le comportement des Européens
apparaît pour ce qu’il est, d’une obséquiosité à toute épreuve, et en
toutes circonstances, devant l’allié américain. Sous Trump, les
concessions se font par peur, pour amadouer le président des EtatsUnis, sous Biden, c’est par soulagement, pour le remercier de ne
pas remettre ouvertement en question les fondamentaux de
l’Alliance.
L’élaboration en parallèle, durant 2021-2022, de deux documents
clés – la Boussole stratégique de l’UE et le nouveau Concept
stratégique de l’OTAN – se fera donc à la lumière de cette
expérience récente. Les deux témoignent d’une même tentative
« d’adaptation » au nouvel environnement international, et sont
marquées par la recherche d’un modus vivendi, jusqu’ici introuvable,
entre les efforts d’autonomie européenne et le leadership américain
hérité de la guerre froide. Le tout dans un contexte qui se
1
Nota: Le contenu de l’article n’engage que son auteur et ne reflète pas
nécessairement la position du Foreign Policy Research Institute.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
7
caractérise par la recrudescence de l’idée d’autonomie : depuis la
Stratégie globale de l’UE qui en a fait son fil directeur en 20161
,
jusqu’à la nouvelle Commission qui se décrit comme étant
« géopolitique »
2
. Le prestigieux institut de recherche pan-européen,
le Conseil européen pour les relations internationales (European
Council on Foreign Relations : ECFR), avait initié, dès l’été 2018, un
programme sur la « souveraineté européenne » et l’autonomie
stratégique. Depuis, on ne compte plus les analyses et les discours
dédiés à ce sujet. Ce qui fut naguère le terme tabou par excellence,
est devenu le mot à la mode que l’on évoque à tout bout de champ.
La pandémie du coronavirus a renforcé cette tendance par la mise à
nu des vulnérabilités européennes en tous genres, autant de signaux
d’alerte sur les dangers de la dépendance. Au prime abord, cette
évolution devrait conduire à un rééquilibrage entre les deux côtés
de l’océan Atlantique : une reprise en main européenne qui irait de
pair avec un recentrage sur l’essentiel de l’OTAN. A bien regarder
les développements concrets, rien n’est moins certain pourtant.
D’un côté, l’Alliance atlantique ajoute à ses attributs militaires une
dimension politique qui empiète toujours davantage sur la liberté de
manœuvre de l’Union et de ses Etats membres. De l’autre, le
concept de l’autonomie stratégique européenne s’éloigne
progressivement du domaine militaire : un aggiornamento bienvenu et
ô combien nécessaire, mais qui, dans les circonstances actuelles,
risque de se faire au prix d’une dilution du socle originel. Ces
évolutions simultanées entraînent la perpétuation d’une situation
malsaine : une mésalliance transatlantique où les Européens font
figure non pas d’alliés par conviction mais d’alliés par faiblesse.
1- La marche en avant de l’OTAN
Les grandes lignes de l’évolution future de l’Alliance sont
développées dans le rapport intitulé OTAN 2030 : Unis pour une
nouvelle ère3
, qui servira de base aux propositions du Secrétaire
général pour le nouveau Concept stratégique (le dernier datant de
2010). Le groupe de réflexion chargé de l’élaboration du rapport fut
dans l’air du temps : les dix participants ont été choisis avec un soin
1 Vision partagée, action commune: Une Europe plus forte – Une stratégie globale pour la
politique étrangère et de sécurité de l’Union européenne, juin 2016. 2 Lettre de mission de la part de la présidente de la Commission, Ursula von
der Leyen au Commissaire Thierry Breton, 1er décembre 2019.
3 OTAN 2030 : Unis pour une nouvelle ère, Analyse et recommandations du
Groupe de réflexion constitué par le secrétaire général de l’OTAN, 25
novembre 2020.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
8
au-dessus de tout reproche : cinq hommes et cinq femmes… (N.B.
les Etats-Unis, la France, l’Allemagne, le Royaume-Uni et la
Turquie ont laissé aux autres la gloire de faire vibrer l’esprit de
parité). De toute manière, la réflexion entre alliés n’a qu’une
importance toute relative. L’ancien ministre des affaires étrangères
Hubert Védrine, représentant la France, a qualifié le résultat de
« bon compromis ». Ce qui signifie, en termes diplomatiques, que
les propositions américaines n’ont pas été reprises mot à mot, mais
légèrement reformulées. Védrine a lui-même admis : « J’ai pu
vérifier que les idées françaises étaient isolées au sein de l’Alliance
atlantique »
1
. En effet, le rapport ne fait que confirmer les
tendances déjà à l’œuvre à l’initiative des Etats-Unis.
11- Une expansion tous azimuts
Il s’agit avant tout d’une extension des compétences à la fois
géographiques et fonctionnelles de l’Alliance atlantique2
. Le rapport
OTAN 2030 considère déjà à parts égales les problèmes posés par
« une Russie obstinément agressive » et « la montée en puissance de
la Chine ». A la Conférence de sécurité de Munich de 2021, le
Secrétaire général de l’OTAN nomme formellement la Chine en
première place des défis3
. Jens Stoltenberg affirme, non sans raison,
que « la Chine constitue un défi pour tous les alliés », mais il s’en
sert pour dire que, par conséquent, « l’OTAN est encore plus
importante qu’avant »4
. Or, à moins de vouloir faire un remake de la
guerre froide – avec les Européens en rôle d’auxiliaires face à un
adversaire qui n’est même pas, cette fois-ci, dans leur proximité
immédiate – difficile de voir pourquoi. La consultation entre alliés
serait utile, voire la coordination entre politiques souveraines là où
c’est faisable, mais pour cela l’OTAN dirigée par les Etats-Unis
n’est certainement pas l’enceinte idéale.
Le rapport OTAN 2030 soutient aussi le renforcement continu des
compétences de l’Alliance dans des domaines aussi divers et variés
que le climat, la communication, les pandémies, l’énergie et l’espace
extra-atmosphérique. En juillet 2018, les alliés européens ont déjà
1
Jean-Dominique Merchet, « Hubert Védrine: ‘J’ai pu vérifier que les idées
françaises étaient isolées au sein de l’Alliance atlantique’ », L’Opinion, 15
décembre 2020.
2
Sur le sujet de l’extension géographique et fonctionnelle, voir de l’auteur:
« Une OTAN de plus en plus englobante », Note IVERIS, 18 octobre 2019.
3 Remarks by NATO Secretary General Jens Stoltenberg at the Munich Security
Conference 2021, 19 février 2021.
4
Presenting the POLITICO 28 Class of 2021, POLITICO Events, Entretien
filmé de David Herszenhorn avec le Secrétaire général Jens Stoltenberg, 7
décembre 2020.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
9
accepté des « consultations régulières » et un rôle accru de l’OTAN
en matière énergétique, alors même que le sujet du gazoduc Nord
Stream 2 met en évidence, depuis des années, le conflit entre
intérêts européens et américains dans ce domaine1
. En décembre
2019, pour s’assurer encore les bonnes grâces du Président Trump,
les alliés ont reconnu, sur l’insistance des Etats-Unis, l’espace extraatmosphérique comme milieu d’opérations de l’OTAN2
. Détail
savoureux : le nouveau Centre d’excellence de l’OTAN pour
l’espace sera localisé à Toulouse – dans le bâtiment dédié au futur
centre opérationnel du commandement militaire de l’espace (CDE)
national, d’ici 2025.
Une situation qui n’est pas sans rappeler celle du Commandement
de la Transformation de l’OTAN (ACT) installé à Norfolk, en
Virginie en 2003, dans le voisinage immédiat de l’US Joint Forces
Command. Ce Commandement national américain était chargé de
développer, pour les Etats-Unis, les concepts et doctrines
« transformationnels » – or, la co-localisation n’a fait que renforcer
son influence déterminante sur les travaux de l’OTAN. Compte
tenu des rapports de force, le scénario risque de se reproduire en
sens inverse à Toulouse. Le Centre d’excellence de l’OTAN sera
soumis à une forte influence américaine – comme à Tallin où le
Centre pour la cyberdéfense subit une pression constante pour
adopter les normes et conceptions d’outre-Atlantique.3
La
proximité de centre otanien pour l’espace, chargé de l’élaboration
des doctrines et la validation des concepts, risque d’être comme le
ver dans le fruit et influer sur les travaux du CDE français. Non
sans évoquer le spectre d’un « phagocytage conceptuel et théorique
» dont Hubert Védrine parlait dans son rapport au Président sur le
retour de la France dans les structures intégrées de l’OTAN4
.
La France pourrait, disait-il, « se fondre » dans la pensée de
l’OTAN et perdre sa propre capacité de réflexion et d’analyse. En
1 Déclaration du sommet de Bruxelles par les chefs d’État et de gouvernement
participant à la réunion du Conseil de l’Atlantique Nord tenue à Bruxelles les
11 et 12 juillet 2018 (Par.78).
2 Déclaration de Londres par les dirigeants des pays de l’OTAN, Londres les 3
et 4 décembre 2019 (Par.6).
3 Audition du contre-amiral Arnaud Coustillière, officier général en charge de la
cyberdéfense à l’état-major des armées, Commission de la défense nationale et
des forces armées de l’Assemblée nationale, 12 juin 2013.
4
Hubert Védrine, Rapport pour le Président de la République française sur les
conséquences du retour de la France dans le commandement intégré de l’OTAN, sur l’avenir
de la relation transatlantique et les perspectives de l’Europe de la défense, 14 novembre
2012.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
10
effet, c’est un risque – pour la France comme pour les Européens
dans leur ensemble – dans tous les domaines que l’Alliance décide
d’attirer dans son champ. Or, un nombre croissant de secteurs est
dans son viseur. D’après le Secrétaire général : « l’OTAN devrait
mener des consultations plus larges, aussi sur des questions
importantes pour notre sécurité, mais qui ne sont pas toujours
purement militaires. Par exemple, les questions économiques ayant
des conséquences claires sur la sécurité sont des questions sur
lesquelles nous devrions nous consulter ». Dans cet esprit, il
faudrait, selon lui, « convoquer non seulement les ministres de la
défense, les ministres des affaires étrangères et les chefs d’État et de
gouvernement comme nous le faisons régulièrement, mais aussi,
par exemple, des conseillers à la sécurité nationale, des ministres de
l’intérieur, afin d’élargir l’agenda de l’OTAN, et de renforcer les
consultations au sein de l’Alliance »
1
.
12- Un carcan politique
Non contente d’étendre ses compétences à de nouvelles aires
géographiques (notamment l’Indopacifique) et à de nouveaux
secteurs (tels l’espace et l’énergie), l’Alliance s’immisce de plus en
plus directement jusque dans les politiques internes des Etats
membres. Le Secrétaire général de l’OTAN s’est arrogé le droit
d’intervenir dans la polémique entre les partis de la coalition
gouvernementale en Allemagne sur l’utilisation (ou pas) de drones
armés, en déclarant : « Ces drones [armés] peuvent soutenir nos
troupes sur le terrain, et, par exemple, réduire le nombre de pilotes
que nous mettons en danger»
2
Plus généralement, avec l’arrivée de
l’administration Biden l’idée – jusqu’ici gelée – d’un centre de
l’OTAN pour la surveillance du respect « des valeurs
démocratiques » dans les Etats membres redevient d’actualité.
Le Centre pour la résilience démocratique fut proposé en 2019 dans
un rapport de l’Assemblée parlementaire de l’OTAN, signé du
député démocrate américain Gerald Connolly, alors président de la
délégation américaine et devenu président de l’Assemblée depuis. Il
y affirme : «Les menaces qui pèsent sur les valeurs de l’OTAN ne
proviennent pas seulement des adversaires de celle-ci. Des
mouvements politiques peu respectueux des institutions
démocratiques ou de la primauté du droit prennent de l’ampleur
dans de nombreux pays membres de l’Alliance. Ces mouvements
1 Conférence de presse du Secrétaire général de l’OTAN Jens Stoltenberg, 15
février 2021.
2 NATO chief wades into fiery German debate on armed drones, Defense News,
23 décembre 2020.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
11
préconisent la préférence nationale à la coopération internationale.
Les démocraties libérales sont menacées par des mouvements et
des personnalités politiques hostiles à l’ordre établi qui se situent à
droite comme à gauche sur l’échiquier politique». Le rapport
suggère donc que « l’OTAN doit se doter des moyens nécessaires
pour renforcer les valeurs en question dans les pays membres », en
établissant « un centre de coordination de la résilience
démocratique»
1
.
L’idée est en train de prendre forme. Un mois après la prise de
fonction du président Biden, Connolly insiste : « Nous devons
constamment renforcer et protéger la démocratie contre les
tentatives visant à la miner – que celles-ci soient internes ou
externes. L’OTAN dispose d’une machinerie bien huilée axée sur
les questions militaires, mais il lui manque un organe qui soit
pleinement consacré à la défense de la démocratie. Cela doit
changer »
2
. L’Assemblée a fini par mettre sur pied un groupe de
travail sur la création de ce « centre de l’OTAN pour la résilience
démocratique »
3
.
Le concept est présent dans le rapport OTAN 2030 aussi, mais
celui-ci va plus loin et considère toute sorte de différences
politiques – internes et externes – entre alliés comme
problématique : « Les divergences politiques au sein de l’OTAN
représentent un danger car elles permettent à des acteurs extérieurs,
et plus particulièrement à la Russie et à la Chine, de jouer sur les
dissensions internes et de manœuvrer auprès de certains pays
membres de l’Alliance de façon à compromettre la sécurité et les
intérêts collectifs. » Les divergences sont donc vues non plus
comme l’expression de situations géographiques, traditions
historiques, choix électoraux différents, mais comme une
dangereuse absence d’alignement. Et le rapport de conclure : « Pour
que les défis de la prochaine décennie puissent être surmontés, tous
les Alliés doivent, sans ambiguïté, faire du maintien de la cohésion
1
Gerald E. Connolly, « 70 ans de l’OTAN : Pourquoi l’Alliance demeure-t-elle
indispensable ? », Rapport de l’Assemblée parlementaire de l’OTAN,
septembre 2019.
2
Plus de 60 législateurs se penchent sur le nouvel agenda pour les relations
transatlantiques et l’OTAN, Assemblée parlementaire de l’OTAN, 26 mars
2021.
3 La commission permanente crée un groupe de travail sur la création d’un
centre de l’OTAN pour la résilience démocratique, Assemblée parlementaire de
l’OTAN, 29 mars 2021.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
12
une priorité politique, qui façonne leur comportement, même au
prix d’éventuelles contraintes »
1
.
13 – Une intégration de plus en plus étroite
Pour encourager cette discipline, on fait appel à ce que l’ancien
ambassadeur de la France auprès de l’Alliance identifie comme « la
logique intégrationniste à laquelle l’OTAN est souvent encline ».
2
Ladite logique s’est mise en retrait pendant les années Trump mais
revient en force aujourd’hui dans deux domaines en particulier : le
renforcement du financement en commun et les entorses à la règle
du consensus, sous prétexte d’efficacité. Pour ce qui est de
l’augmentation et l’extension des financements en commun, la
question réapparaît d’autant plus facilement qu’à partir de 2021 la
part des Etats-Unis dans ces financements passe de 22% à 16%,
suite à une concession obtenue par le président Trump. Sans
surprise, le Secrétaire général de l’OTAN choisit donc ce moment
pour proposer d’étendre ce financement en commun aux activités
de dissuasion et de défense. Il se substituera ainsi, en partie, à la
règle selon laquelle « les coûts sont imputés à leurs auteurs », en
vertu de laquelle celui qui déploie une capacité prend en charge tous
les frais y afférents.
La France s’est toujours opposée à une telle évolution. Financer les
déploiements et les exercices à partir d’un budget commun
favorisera surtout ceux des alliés qui rechignent à dépenser, au
niveau national, pour leur défense, mais qui se précipiteront pour
faire des démonstrations d’allégeance aux frais, majoritairement, des
autres Etats membres. De surcroît, l’accroissement du périmètre du
financement en commun de l’OTAN a l’inconvénient (ou
l’avantage) de détourner les dépenses de défense des pays
européens directement vers l’Alliance. Une fois dans le pot
commun, cet argent sera dépensé suivant les priorités américanootaniennes. C’est donc autant de moyens en moins à consacrer à
des ambitions autonomes (soit dans un cadre européen, soit par
chaque Nation). Jens Stoltenberg ne s’y trompe pas quand il
1 OTAN 2030 : Unis pour une nouvelle ère, Analyse et recommandations du
Groupe de réflexion constitué par le secrétaire général de l’OTAN, 25
novembre 2020, p.10.
2 Audition de M. Philippe Errera, ambassadeur, représentant permanent de la
France à l’OTAN, Commission des affaires étrangères, de la défense et des
forces armées du Sénat, 22 janvier 2013.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
13
déclare : « En payant ensemble pour plus de choses, nous
renforçons notre cohésion »
1
.
L’autre manière de renforcer la cohésion à l’OTAN est de revisiter
les règles de la prise de décision. Certes, le Secrétaire général
confirme que « l’OTAN restera une organisation basée sur le
consensus », mais le diable est dans l’ajout d’un petit détail: « nous
allons chercher des moyens pour rendre la prise de décision plus
efficace »2
. Sauf que l’argument de l’efficacité du processus de prise
de décision dissimule mal l’intention principale qui est de passer
outre les réserves et réticences politiques de tel ou tel pays membre,
et garantir ainsi un alignement de fait sur la position du « garant
ultime ». Il s’agit donc d’un sujet cardinal, et le rapport OTAN 2030
lui consacre une part non négligeable. Le texte affirme que dans
« une époque marquée par une rivalité systémique croissante »,
l’Alliance doit accélérer et rationaliser son mécanisme de prise de
décision si elle veut conserver sa pertinence et son utilité aux yeux
de ses Etats membres.
A cet effet, il préconise plusieurs pistes : la réduction du pouvoir de
blocage de tel ou tel Etat membre (en confinant ce droit au niveau
ministériel et l’interdisant dans la phase d’exécution) ; la possibilité
de mettre en place des coalitions de volontaires (qui pourront se
déployer sous la bannière de l’OTAN même si tous les pays
membres ne sont pas partants) ; l’accroissement des pouvoirs du
Secrétaire général (celui-ci pourra prendre seul des décisions sur les
questions de routine et lancer des rappels à l’ordre, en cas de
blocage politique, au nom de la cohésion). Ces propositions ne
marquent pas, à elles seules, un changement de paradigme, mais
elles traduisent un mouvement de fond : dans le contexte particulier
de l’OTAN même le moindre grignotage sur les prérogatives des
Etats membres renforce l’emprise du plus puissant d’entre eux sur
l’ensemble de l’Alliance.
Qui plus est, avec les reproches sur la lenteur et l’inefficacité on voit
réapparaître la question, autrement plus explosive, de la délégation
d’autorité, en temps de crise, vers le commandant suprême de
l’OTAN (le SACEUR, un général américain qui reçoit ses ordres
1 Conférence de presse du Secrétaire général de l’OTAN Jens Stoltenberg, 15
février 2021.
2 Entretien du Secrétaire général de l’OTAN, Jens Stoltenberg, avec Politico, 7
décembre 2020.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
14
directement du Pentagone et de la Maison Blanche)1
. Un sujet
éminemment sensible sur lequel l’administration Obama n’avait pas
cessé d’insister, mais qui fut gelé ensuite pendant les quatre années
de la présidence Trump. Les rapports successifs à l’Assemblée
parlementaire de l’OTAN montrent clairement la pression
américaine pour élargir « le degré d’autonomie opérationnelle » du
Commandant suprême de l’Alliance. Ainsi, dès 2015, on apprend
que « Le SACEUR dispose de l’autorité pour alerter, organiser et
préparer des troupes afin qu’elles soient prêtes à intervenir une fois
la décision politique prise par le CAN [Conseil de l’Atlantique
Nord]. Le SACEUR a toutefois proposé de pouvoir entamer le
déploiement des forces avant de recevoir l’autorisation du CAN, car
il estime qu’il serait prudent, d’un point de vue militaire, de disposer
d’une telle capacité de réaction rapide. Cette mesure ‘Alerte,
Préparation et Déploiement’ a été refusée par le CAN, qui a
clairement déclaré que la décision de procéder à tout mouvement
de forces demeurera une décision politique »
2
.
Un an plus tard, « Le Conseil poursuit le débat sur la question de
savoir jusqu’à quel point il pourrait, tout en conservant son statut
d’autorité politique ultime, déléguer au commandant suprême des
forces alliées en Europe (SACEUR) le processus de mise en alerte,
de mise en attente et de déploiement des forces »
3
. A la conférence
de Riga de 2019, l’ancien Secrétaire général adjoint de l’OTAN
souligne que la règle du consensus au CAN pose des problèmes de
réactivité en cas de conflit. Toutefois, Vershbow se veut rassurant :
un certain degré d’autorité a déjà été délégué au SACEUR, ce qui lui
permet de commencer la préparation des troupes, les mesures de
pré-déploiement même si le CAN à Bruxelles hésite. Le SACEUR,
dit-il, n’est pas juste là tranquillement assis à ne rien faire, en
attendant le feu vert du CAN.4
Il reste à savoir si une telle agitation,
en pleine période de tensions, en amont de la décision collective et
1
Pour davantage de détails sur cette épineuse question, voir de l’auteur :
L’OTAN cherche à contourner la règle du consensus, Note IVERIS, 25 août 2015 et
Après Varsovie : l’OTAN au sommet de ses contradictions, in Défense &
Stratégie n°40, automne 2016. 2
Xavier Pintat, Le plan d’action ‘Réactivité’ de l’OTAN: assurance et
dissuasion pour la sécurité après 2014, Rapport, Assemblée parlementaire de
l’OTAN, 10 octobre 2015.
3
Joseph A. Day, La nouvelle posture de dissuasion de l’OTAN : du Pays de
Galles à Varsovie, Projet de rapport général, Assemblée parlementaire de
l’OTAN, 19 septembre 2016.
4
The Rīga Conference 2019, Coffee break conversation between Alexander
Vershbow and Julian Lindley-French, 14 octobre 2019, enregistrement vidéo.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
15
sous l’ordre exclusif des Etats-Unis, ne risquerait-elle pas de placer
les représentants des autres pays membres devant le fait accompli.
L’Alliance atlantique, de par son mouvement simultané d’expansion
et d’intégration pourra vite écarter l’UE du jeu. L’OTAN s’aventure
de plus en plus ouvertement sur des terrains normalement réservés
soit à l’échelon national soit à l’UE, tout en trouvant le moyen
d’intégrer toujours plus étroitement ses pays membres. Du moins
ceux qui lui avaient presque complètement délégué leur défense,
donc tous, à l’exception des Etats-Unis, de la Turquie et de la
France.1
Dans ces circonstances, il est difficile de voir comment la
PSDC (la Politique de sécurité et de défense commune de l’Union
européenne) pourrait se tailler une place à côté d’une OTAN de
plus en plus englobante et absorbante.
2- La dévaluation de la PSDC
L’élaboration du document intitulé « Boussole stratégique », en cours
depuis 2020 avec adoption prévue début 2022, affiche parmi ses
objectifs « le renforcement de l’autonomie stratégique » de l’UE.
Or, depuis le début de l’année 2020 on assiste à un déplacement du
concept d’autonomie stratégique, originellement apparue dans la
PSDC, vers d’autres secteurs non-militaires. Parallèlement, la
tentative de concilier l’ouverture et l’interdépendance
consubstantielles au projet européen avec l’impératif d’autonomie
stratégique apparaît de plus en plus clairement comme la quadrature
du cercle. D’où la dernière trouvaille du volapük bruxellois : le
concept de « l’autonomie ouverte ».
21 – Le concept d’ « autonomie stratégique » sorti de la
défense
La pandémie de Covid-19 a mis en lumière les liens entre différents
domaines tels la prospérité, la santé, l’industrie, la technologie, la
sécurité et le commerce. Il est clairement apparu que face aux
chantages et pressions de type géoéconomique, l’UE, du fait du
1
Comme l’a expliqué le Secrétaire général adjoint de l’Alliance, Camille Grand :
«C’est frappant lorsqu’on arrive dans l’OTAN en tant que Français que pour
26 alliés sur 29, la politique de sécurité et de défense se fait à l’OTAN à 90 %
ou à 99 %. Il y a trois exceptions : les États-Unis, la France, et la Turquie qui a
toujours gardé la volonté de disposer d’un outil de défense qui puisse
fonctionner en dehors de l’Alliance atlantique ». Propos tenus à la Table ronde
à l’Assemblée nationale : « Avenir de l’Alliance atlantique », 27 novembre 2019.
NB : Avec l’adhésion du la Macédoine du Nord depuis, en mars 2020,
l’Alliance compte 30 pays membres aujourd’hui.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
16
marché unique et des compétences qui lui avaient été transférées,
serait en principe particulièrement bien placée pour réagir.
Simultanément, l’aggravation des tensions internationales (avec la
Turquie, la Russie, la Chine) et le comportement unilatéral de l’allié
américain (sous le président Biden tout autant que sous
l’administration Trump) incitent à repenser le rôle de l’Union dans
un monde caractérisé par le retour en triomphe des rapports de
force. Comme le formule une étude de Parlement européen :
« L’Union court en effet le risque de devenir le ‘terrain de jeu’ pour
les grandes puissances globales, dans un monde de plus en plus
dominé par la géopolitique. Construire l’autonomie stratégique
européenne de façon horizontale et transversale lui permettrait de
renforcer son action multilatérale et de réduire sa dépendance
envers les acteurs externes »
1
.
Le texte examine donc le besoin d’autonomie stratégique dans des
secteurs divers et variés comme le climat, l’énergie, les marchés
financiers, le commerce l’euro, l’industrie, le numérique en outre du
domaine traditionnellement y associé qu’est la défense. Il précise
aussi qu’il convient de « renforcer la capacité de l’Union à agir de
manière autonome, non seulement avec la Chine, mais aussi avec
d’autres partenaires ». Les auteurs semblent inspirés par la vision
française, et notamment par0 les récents discours du président
Emmanuel Macron, lorsqu’ils affirment : « L’autonomie stratégique,
appuyée par le langage de la puissance, un langage qui rappelle
clairement les intérêts de l’Union et protège ses valeurs, ainsi que
les moyens et les outils pour rendre ce langage crédible, sont des
conditions nécessaires pour éviter que l’Union ne se trouve
impliquée, malgré elle, dans la rivalité stratégique sans cesse
exacerbée entre les États-Unis et la Chine, et leurs valeurs et
intérêts respectifs ».
2
Sauf que « le langage » de la puissance et de l’indépendance est
diamétralement opposé à l’ADN même de la construction
européenne, sans parler de la majorité des Etats membres devenus
imperméables à ce genre de considérations à force de s’en remettre
1 Sur le chemin de l’autonomie stratégique – L’Union européenne dans un environnement
géopolitique en mutation, Etude du Service de recherche du Parlement européen,
septembre 2020.
2
Idem. Emmanuel Macron parle de retrouver « la grammaire de la puissance »
dans son interview à The Economist en novembre 2019 et précise que « l’Europe,
si elle ne se pense pas comme puissance, disparaîtra ». A la conférence des
ambassadeurs en 2019, il met en garde : « Nous aurons le choix entre des
dominations », soit américaine, soit chinoise.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
17
exclusivement à l’OTAN. Pour prendre la mesure des difficultés,
même dans un contexte de prise de conscience, il n’y a qu’à lire la
« Note hispano-néerlandaise sur l’autonomie stratégique et la
préservation de l’ouverture économique » de mars 20211
. Les deux
pays y reconnaissent les risques des dépendances asymétriques dans
les secteurs stratégiques, mais pour y remédier proposent
l’autonomie stratégique ouverte qu’ils décrivent ainsi : « Plutôt que
l’indépendance, l’autonomie stratégique doit favoriser une plus
grande résilience et l’interdépendance, dans le contexte de la
mondialisation, où l’interopérabilité doit prévaloir sur l’uniformité ».
Comprenne qui pourra. Le Conseil européen, de son côté, se
contente d’affirmer : « Parvenir à une autonomie stratégique tout en
préservant une économie ouverte est un objectif clé de l’Union ».
2
Certes, l’identification des risques liés à la « dépendance excessive »
et l’objectif de « réduction des vulnérabilités », le tout dans une
grille de lecture qui se veut géopolitique, est une approche nouvelle
à l’échelle européenne qu’il convient de saluer. Elle témoigne d’une
sorte de « prise de conscience ». Il y a deux réserves à émettre,
néanmoins. Premièrement, les événements récents montrent que,
dans une situation de crise, soit on est pleinement autonome sur
l’ensemble des secteurs et des filières cruciaux, soit on est à la merci
des décisions des autres. Ce n’est pas « un certain degré
d’autonomie », comme le formulent les textes européens, qui va
faire de l’Europe une puissance et la libérer du funeste choix entre
différentes tutelles étrangères. Pour paraphraser Marie-France
Garaud, conseillère des présidents Pompidou et Chirac : « être
indépendant, c’est comme être enceinte, soit on l’est, soit on ne l’est
pas ».
De surcroît, la prolifération du mot risque de cacher l’effacement de
la chose. Alors même que dans l’UE le terme « autonomie
stratégique », jadis tabou, est maintenant évoqué sans retenue et
dans les secteurs les plus variés, son domaine originel, celui de la
défense, s’atrophie à vue d’œil. Les initiatives de la PSDC manquent
obstinément d’ambition, et certaines se déplacent même en dehors
de l’Union. Serait-ce un signe que les enceintes bruxelloises à 27
(que ce soit la Commission ou le Conseil) ne sont finalement pas le
bon échelon pour coopérer dans un domaine qui engage le cœur
même de la souveraineté des Nations ?
1 Spain-Netherlands non-paper on strategic autonomy while preserving an
open economy, Gouvernement des Pays-Bas www.rijksoverheid.nl , 25 mars
2021.
2 Conclusions du Conseil européen, 1er et 2 octobre 2020.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
18
22 – Le maigre bilan de la PSDC et sa fuite hors de l’UE
Depuis la relance de 2016, une série d’initiatives dans le cadre de la
PSDC sont censées donner corps à la notion d’autonomie
européenne. Elles sont impressionnantes en ingéniosité
institutionnelle et en nombre, mais force est de constater que du
point de vue d’une quelconque autonomie la PSDC est loin du
compte. Elle ne se dirige même pas forcément dans la bonne
direction. Comme le remarque l’étude précitée du Parlement
européen : « Il est possible que les solutions techniques se révèlent
insuffisantes si les États membres n’élargissent pas le consensus
politique existant pour convenir de l’objectif et des besoins d’un
instrument de défense européen ». En somme, malgré la
prolifération des initiatives la défense européenne se retrouve à la
case départ : bloquée par l’absence de vision partagée et le manque
de volonté politique.
En matière de capacités opérationnelles, l’UE reste très en deçà de
« l’objectif global » fixé à Helsinki en décembre 1999, sur la base de
la déclaration de Saint-Malo qui prévoyait « une capacité autonome
d’action, appuyée sur des forces militaires crédibles, avec les
moyens de les utiliser et en étant prête à le faire afin de répondre
aux crises internationales ». Au sujet des quelque 40 opérations
lancées depuis, l’Institut Montaigne constate : « les missions et
opérations de la PSDC n’apportent que des réponses très partielles
aux crises actuelles »
1
. Elles ont, certes, pu avoir des effets
bénéfiques très circonscrits ici ou là, mais elles ne font certainement
pas le poids face aux enjeux internationaux. Il leur faudra, pour cela,
changer de nature et de logique. Jolyon Howorth, l’éminent
spécialiste de la défense européenne et des relations transatlantiques
a récemment fait remarquer à juste titre : les opérations de l’UE «
ne font pas grand-chose pour faire avancer la cause de
l’autonomie »
2
.
Pour ce qui est du magnifique trio d’initiatives post-2016 qui
auraient dû galvaniser la PSDC, sur chacun des trois volets les
ambitions ont été revues à la baisse, les objectifs initiaux dilués.
L’examen annuel coordonné en matière de défense (CARD en
anglais) n’est qu’une énième variation sur le thème du
« développement des capacités », en vue de déterminer et de
1 Défense européenne : le défi de l’autonomie stratégique, Rapport d’information N°626
du Sénat (par R. Le Gleut et H. Conway-Mouret), 3 juillet 2019. 2
Jolyon Howorth, “Europe and Biden –Towards a New Transatlantic Pact? ”,
Wilfried Martens Center, janvier 2021.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
19
combler les failles dans les capacités militaires des États membres
de l’Union. Avec les résultats que l’on connaît : ce sont les mêmes
lacunes qui sont énumérées depuis le premier exercice de ce type, il
y a 20 ans. D’après Sven Biscop, de l’Institut Egmont, le plan de
capacités de l’UE est tout aussi non-contraignant que celui de
l’OTAN, « il n’est donc pas surprenant qu’ils n’ont qu’une influence
marginale sur les planifications nationales de défense »
1
. Ignorer les
priorités du CARD, ajoute-t-il, n’entraîne même pas les quelques
inconfortables moments d’auto-justification comme c’est le cas
dans l’Alliance.
La Coopération structurée permanente (CSP), originellement mise
en place pour créer une sorte d’avant-garde de pays volontaires
avec des moyens capacitaires, a perdu tout son sens du fait de
l’exigence « d’inclusivité » formée par l’Allemagne. Elle compte
donc aujourd’hui 25 des 27 Etats membres (tous sauf Malte et le
Danemark). Finalement, le Fonds européen de défense (FED),
conçu pour assurer un cofinancement aux projets d’armement
européens en coopération, a aussi vu ses objectifs réduits. Tant sur
le plan pécuniaire (des 13 milliards d’euros initialement prévus pour
la période 2021-2027, le Fonds n’aura que 7 milliards) qu’en matière
d’ambitions stratégiques (contredites par le refus d’instaurer la
préférence européenne et par la tolérance envers l’entrisme de pays
tiers).
Simultanément à ce détricotage de la PSDC, on remarque un
déplacement de certaines initiatives hors du cadre de l’UE. Même
sans Londres, les 27 ont du mal à se mettre d’accord et il leur est
souvent impossible de trouver une réponse commune à telle ou
telle situation. Soit parce que certains rechignent à confier trop
d’importance à l’UE en matière militaire (de peur de rendre
l’OTAN redondante), soit parce que d’autres divergences d’ordre
politique compliquent les négociations sur le mandat, sur les
moyens à engager ou sur le commandement. Dans ce contexte,
pour éviter que toutes les initiatives opérationnelles ne fuissent
l’UE, le Conseil a lancé le projet pilote du « concept de présences
maritimes coordonnées », dans le golfe de Guinée. Ce nouveau
concept est expressément « distinct des missions et opérations
PSDC ». L’idée est de désigner « une zone d’intérêt maritime » et y
1
Sven Biscop, EU and NATO Strategy: A Compass, a Concept; and a Concordat,
Egmont Institute, Security Policy Brief n°141, mars 2021.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
20
assurer une meilleure coordination des activités nationales des Etats
membres1
.
De leur côté, l’Allemagne, la Belgique, le Danemark, la France, la
Grèce, l’Italie, les Pays-Bas, et le Portugal ont pris l’initiative de
créer, en janvier 2020, la Mission européenne de surveillance
maritime dans le détroit d’Ormuz (EMASOH) avec l’intention de
contribuer à la réduction de l’instabilité et sécuriser le trafic
maritime. Pour rappel, les huit pays ont tous adhéré à l’Initiative
européenne d’intervention (IEI), lancée par Paris en dehors de la
PSDC. Douze pays ont déjà adhéré à l’IEI, y compris le Danemark
et le Royaume-Uni, dans l’espoir d’opérationnaliser la coopération
de défense entre pays européens. C’est un signe supplémentaire du
pragmatisme ambiant, et traduit la volonté de préserver les
questions militaires à l’écart des institutions à 27, dans des cadres
souples, entre volontaires « capables et prêts ».
Le Commandement du transport aérien européen (CTAE/EATC)
regroupant sept pays est l’exemple le plus abouti en matière de
mutualisation dans une logique respectueuse des souverainetés
nationales. Inauguré en septembre 2010, le CTAE a permis à la
France, dès le mois de décembre de la même année, d’envoyer trois
compagnies de combat en Côte d’Ivoire en utilisant des avions
néerlandais, belges et allemands. Conformément à la procédure dite
de Reverse Transfer of Authority, « en l’absence d’engagement national,
ces moyens peuvent être mis à la disposition de partenaires selon
des modalités prévoyant une reprise sous commandement national
en cas de besoin »2
. Un rapport du Sénat sur l’autonomie
stratégique européenne remarque au sujet du CTAE : « le principe
mériterait d’être étendu à d’autres domaines (hélicoptères, soutien
médical, par exemple) »
3
.
1
Conclusions du Conseil portant lancement du projet pilote du concept de
présences maritimes coordonnées dans le golfe de Guinée, 25 janvier 2021 : «
Les Etats membres continuent d’améliorer la coordination sur une base
volontaire des actions menées par les moyens qu’ils déploient dans la zone
d’intérêt maritime sous le commandement national ».
2
Voir de l’auteur : « Les politiques d’armement en Europe à travers l’exemple
de l’affaire BAE Systems-EADS », Défense & Stratégie n°33, automne 2012
3 Défense européenne : le défi de l’autonomie stratégique, Rapport d’information N°626
du Sénat (par Ronan Le Gleut et Hélène Conway-Mouret), 3 juillet 2019.
L’échange de droits au sein de l’EATC se fait dans un cadre multilatéral
d’ensemble et est basé sur la notion d’EFH (Equivalent Flying Hour). La
référence est le prix de revient d’une heure de vol de C130 ou C160 (EFH =
1). D’après l’exemple donné par le CTAE/EATC : « Le néerlandais KDC-10
exécute une mission de ravitaillement en vol au nom de l’Espagne ; en parallèle
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
21
En somme, la Realpolitik revient en force, à la fois dans la prise de
conscience, peu ou prou, de l’exigence d’autonomie stratégique à
l’échelle européenne pour les secteurs les plus divers, et dans la
revalorisation de la logique intergouvernementale dans la
coopération entre les Etats. Il reste, néanmoins, un problème de
taille. Pour ce qui est du domaine de la défense proprement dite, les
partenaires européens de la France refusent de le penser réellement
en termes d’autonomie, que ce soit dans le cadre de l’UE ou dans
des formations multilatérales. Or, tant que l’autonomie stratégique
ne devient pas le principe directeur en matière de défense, leurs
efforts dans d’autres domaines resteront donc éphémères et vains.
Comme le souligne Charles A. Kupchan, directeur des affaires
européennes au Conseil de sécurité nationale sous les présidents
Clinton et Obama, « le contrôle en matière de sécurité est le facteur
décisif pour déterminer qui est aux commandes »
1
.
3- Le retour en force de l’éternel triptyque des
relations OTAN-UE
Depuis 2016, la coopération entre l’UE et l’OTAN s’est
remarquablement intensifiée, comme en témoigne deux
déclarations conjointes (en 2016 et 2018) et l’identification de non
moins de 74 actions à mettre en œuvre en commun. Cette
recrudescence des activités de rapprochement n’est pas sans lien
avec le redémarrage, en 2016 justement, de la défense européenne.
Comme le note le dernier rapport consacré à ce sujet à l’Assemblée
parlementaire de l’OTAN : un des facteurs principaux à l’origine de
cet « essor de la coopération » est « le nouveau cycle d’initiatives
européennes de sécurité en dehors du cadre de l’OTAN »
2
. En
effet, à mesure que l’autonomie stratégique européenne devient le
leitmotiv de ces nouvelles initiatives, l’Alliance cherche à ne pas les
laisser échapper de son emprise. Le Secrétaire général oppose

l’espagnol KC130 propose une mission de parachutage en Allemagne ; tandis
que le personnel militaire allemand et le fret italien sont transportés par un
A400M français ; un Learjet luxembourgeois procède à une évacuation
aéromédicale d’un soldat belge blessé dans des zones de crise ; l’italien C27J
transporte une cargaison hollandaise ; et le belge Embraer transporte les
soldats français ». Source : www.eatc-mil.com. 1
Charles A. Kupchan, The End of the American Era, Vintage Books, 2003, p.267. 2 Le partenariat OTAN-UE dans un contexte mondial en mutation, Rapport de
l’Assemblée parlementaire de l’OTAN, par Sonia Krimi, 19 novembre 2020,
§16.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
22
ouvertement les deux : « la solidarité stratégique à l’OTAN » est
préférable à « l’autonomie stratégique à l’UE »
1
.
Les limites politiques fixées à la PSDC dès le départ par les EtatsUnis reviennent donc sur le devant de la scène. Il faut admettre que
ces restrictions, connues sous le nom des 3D, ont été un coup de
maître de la part de la diplomatie américaine. L’exigence de nonduplication couvre tous les domaines critiques du point de vue de
l’autonomie : elle met des limites strictes à la capacité d’actions
autonomes des Européens à la fois sur le plan opérationnel (la
planification et conduite), structurel (l’industrie d’armement et
technologie) et stratégique (la défense collective). Le non-découplage
sert la prévention : les Européens sont priés de ne même pas
réfléchir et décider ensemble, hors OTAN, sur ces questions. La
non-discrimination, elle, fonctionne comme un verrou de sécurité.
Dans l’hypothèse où, malgré toutes ces précautions, une initiative
européenne prendrait une ampleur inattendue, l’exigence de
l’inclusion des alliés non-UE permet d’intervenir directement pour
rappeler à l’ordre les récalcitrants.
31 – Non-découplage ?
Le critère de non-découplage de la prise de décision a, une fois de
plus, révélé ses limites lors des tensions gréco-turques en 20202
.
Compte tenu du degré de conflictualité entre ces deux pays
membres de l’OTAN – dont l’un fait partie de l’Union européenne,
l’autre non – la distinction entre les deux enceintes prend,
justement, tout son sens. Pour rappel, au moment du lancement de
la PSDC, toute avancée institutionnelle de la politique de défense
européenne naissante fut suspendue à la conclusion d’accords entre
l’UE et l’OTAN – cette conclusion étant elle-même retardée par la
dispute entre la Grèce et la Turquie. Une des conditions posées par
Ankara était la promesse que les forces de l’Union européenne ne
seront jamais employées contre un Etat membre de l’Alliance. La
Turquie voulait éviter que la Grèce, rejointe plus tard par Chypre
après l’adhésion de celle-ci à l’UE, ne puisse impliquer l’ensemble
de l’Union, de manière militaire, dans leurs disputes. Au bout de
deux ans de négociations, la promesse a été faite, avec l’engagement
étrange, exigé par la Grèce au nom du principe de réciprocité, que
1
Laurent Lagneau, « Le secrétaire général de l’Otan critique l’idée d’autonomie
stratégique européenne, 5 mars 2021 », site Zone militaire Opex360.com ; ‘The
EU cannot defend Europe’: NATO chief, AFP, mars 2021.
2
Voir de l’auteur : La Turquie dans l’OTAN, entre utilité et hostilités, Note
IVERIS, 26 novembre, 2020.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
23
l’OTAN non plus n’attaquera jamais un pays de l’Union
européenne.
Quoi qu’il en soit, ces détails en disent long sur la nette distinction
entre les deux organisations. Malgré le fait que 21 Etats sont
membres des deux à la fois, l’UE et l’OTAN ne se confondent
point – un fait démontré de façon spectaculaire à l’occasion des
tensions récentes autour des réserves d’hydrocarbures en
Méditerranée orientale. La Grèce et Chypre étant membres de
l’Union européenne, toute tentative de grignotage sur leurs
frontières, maritimes ou autre, revient à remettre en cause celles de
l’UE. Par conséquent, suite aux agissements turcs dans la région, le
ministre grec des affaires étrangères a pu faire valoir : « La Grèce
défendra ses frontières nationales et européennes, la souveraineté et
les droits souverains de l’Europe ».
1
Une communauté de destin
soulignée aussi par le secrétaire d’Etat français aux affaires
européennes, Clément Beaune : « La Turquie mène une stratégie
consistant à tester ses voisins immédiats, la Grèce et Chypre et, à
travers eux, l’ensemble de l’Union européenne ».
2
Il va de soi que l’Alliance n’est pas l’enceinte idéale pour défendre
l’intégrité territoriale des Etats européens contre un pays allié.
D’emblée, la France y voit donc une occasion pour affirmer une
politique européenne de solidarité « envers tout Etat membre dont
la souveraineté viendrait à être contestée »
3
. Cette remarque
officielle de l’Elysée rappelle, en filigrane, la défense collective
implicite qui se cache dans les traités européens depuis celui
d’Amsterdam de 1997. Parmi les objectifs de la politique étrangère
et de sécurité y figure déjà la « sauvegarde de l’intégrité de l’Union »,
autrement dit la défense des frontières extérieures. Cet élément –
souvent ignoré, et pourtant plein de ramifications possibles – fut
ajouté à l’époque à la demande explicite d’Athènes, avec le plein
soutien de Paris.
32 – Non-duplication ?
Le critère de la non-duplication entre l’OTAN et l’UE comporte
traditionnellement trois interdictions : il ne peut pas y avoir de
« dédoublement » fonctionnel (la PSDC ne doit pas toucher au
monopole de l’OTAN sur la défense collective) ; pas de duplication
1
Les alliés de l’OTAN s’affrontent en Méditerranée, Fr24news, 26 août 2020.
2
Audition de Clément Beaune, secrétaire d’État chargé des affaires
européennes, à la Commission des Affaires européennes de l’Assemblée
nationale, 17 septembre 2020.
3
Communiqué de l’Elysée, 12 août 2020.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
24
capacitaire (en matière d’armement, les Européens sont priés de
continuer à prioriser l’achat d’armements américains, au lieu de
réfléchir en termes d’autonomie pour la BITDE – base industrielle
et technologique de défense européenne) ; ni duplication des
moyens de planification et de conduite (autrement dit, pas de
Quartier général pour la PSDC)1
. Les deux premiers sujets – la
défense collective et les achats d’armement – ont toujours été, plus
ou moins implicitement, imbriqués l’un dans l’autre. Car c’est un
fait : depuis la création de l’OTAN, les alliés qui se sentent protégés
par le parapluie américain, affichent comme l’a remarqué le PDG
de Dassault Aviation, « une vraie volonté d’acheter américain quels
que soient les prix, quel que soit le besoin opérationnel »2
. Or
l’incertitude, ces derniers temps, autour de la fiabilité des garanties
américaines met à rude épreuve cette logique transactionnelle.
La revigoration en 2016 de la PSDC a suscité des inquiétudes, dans
les milieux de l’OTAN, en particulier quant à un éventuel
débordement de la nouvelle dynamique européenne vers la défense
collective, chasse gardée de l’Alliance. Depuis, le Secrétaire général
de l’OTAN passe le gros de son temps à lancer des mises en garde
et martèle que « l’Europe ne peut pas se défendre ». A son malheur,
pendant quatre ans il a dû le faire alors que le président Trump, de
son côté, n’a cessé de jeter des doutes sur la garantie de défense de
l’OTAN. Cette remise en cause de l’Article 5, par le président
américain, a fait comprendre même aux plus atlantistes des
Européens que, justement, il pourra bien arriver un jour où ils se
retrouveront tous seuls pour se défendre. Une hypothèse qui donne
lieu à d’âpres polémiques publiques, mais aussi à un foisonnant
débat d’experts de part et d’autre de l’Atlantique.
L’un des échanges les plus intéressants s’est développé sur les
colonnes de la revue britannique Survival, une publication de renom
sous l’égide de l’IISS, International Institute for Strategic Studies. En avril
2019, une équipe de l’IISS a publié une étude estimant que les alliés
européens de l’OTAN ne seraient pas capables de faire face à une
1
Sur ce dernier point, peu de changements sont à signaler depuis l’état des
lieux dressé dans le dernier numéro de Défense & Stratégie (n°44, pp23-24).
L’exercice qui aurait dû valider la Capacité militaire de planification et de
conduite (MPCC en anglais) pour des missions dites « exécutives », avec
emploi de la force militaire, fut reporté en raison de la pandémie de Covid-19.
Voir : Lt. Colonel Stylianos Moustakis, “Military Planning and Conduct
Capability – A Review of 2020”, in Impetus n°30, hiver-printemps 2021, p.18. 2
Voir de l’auteur : « Dassault Aviation, Eric Trappier ironique sur l’achat des
F-35 par les Etats européens », Theatrum Belli, 17 mars 2014.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
25
agression russe – les Etats-Unis devraient venir à leur rescousse1
.
Fin 2020, Barry R. Posen, le directeur du Programme d’Etudes de
Sécurité au prestigieux Massachusetts Institute of Technology (MIT), a
pris le contre-pied de l’hypothèse et des affirmations de cette étude
dans un article au titre parlant : « L’Europe peut se défendre »
2
. Le
débat n’était pas sans susciter des réactions, qui pour mettre en
cause la pertinence des scénarii choisis, qui pour questionner les
motivations et les messages politiques des papiers. D’un côté,
l’étude de l’IISS fut vue par certains comme tombant à pic pour
discréditer toute idée d’autonomie. De l’autre, Posen fut accusé
d’être indulgent envers les faiblesses européennes uniquement pour
mieux étayer la thèse de son récent livre qui préconise une politique
étrangère de « retenue » pour les Etats-Unis3
.
Quoi qu’il en soit, trois éléments du débat méritent que l’on s’y
arrête. Premièrement, les intervenants des deux côtés s’accordent
pour dire que le montant nécessaire pour combler les lacunes
capacitaires des Européens (en vue d’une menace russe de type
conventionnel) se situe aux alentours de 300 milliards d’euros. Or,
comme le font remarquer même les chercheurs de l’IISS : rien
qu’en comblant l’écart avec l’objectif de 2% du PIB sur lequel les
alliés européens s’étaient engagés dans le cadre de l’OTAN, ils
dépenseraient 100 milliards d’euros de plus… par an.4
Deuxièmement, François Heisbourg a introduit dans le débat la
dimension nucléaire jusqu’alors complètement mise de côté.
Comme il remarque, à juste titre : « le risque d’une guerre en
Europe ne peut pas être analysée indépendamment du facteur
nucléaire [car] la Russie n’envisage pas la moindre opération sur le
théâtre européen sans un certain lien avec un menace nucléaire
russe implicite ». Par conséquent, une « dissuasion élargie » serait
« un élément indispensable de tout effort pour contrer une
agression militaire russe »
5
. Une occasion en or, pour Posen, de
rappeler la fragilité du concept même de dissuasion élargie : « La
1
Douglas Barrie et al, Defending Europe : Scenario-based Capability Requirements for
NATO’s European Members, IISS Research Paper, avril 2019. 2
Barry R. Posen, « Europe Can Defend Itself », Survival vol.62 n°6, décembre
2020 – janvier 2021.
3
Barry R. Posen, Restraint – a New Foundation for U.S. Grand Strategy, Cornell
University Press, 2015.
4
Douglas Barrie et al, « Europe’s Defence Requires Offence », Survival, vol.63
n°1, février-mars 2021.
5
François Heisbourg, « Europe Can Afford the Cost of Autonomy », Survival,
vol.63 n°1, février-mars 2021.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
26
relation de dissuasion élargie entre les Etats-Unis et l’Europe a
toujours été, elle aussi, une hypothèse problématique »
1
.
Finalement, le débat sur la défense de l’Europe se focalise
uniquement sur les lacunes européennes et fait abstraction de la
question de la capacité des Etats-Unis de venir en aide. Après la
guerre froide, le document de référence du Pentagone, le
Quadrennial Defense Review (QDR) a déterminé que les Etats-Unis
devaient être en mesure de mener (et de remporter) deux guerres à
la fois, la condition sine qua non du statut de superpuissance2
. Cette
approche fut la position officielle jusqu’à la Stratégie de 2012, où
l’administration Obama y substitua une doctrine dite de « deuxmoins » : l’objectif de remporter une guerre, tout en imposant des
coûts inacceptables à un agresseur sur un autre théâtre3
. Finalement,
la Stratégie de 2018, sous le président Trump, a tiré les conclusions
de la montée en puissance de la Chine et ne vise plus qu’une seule
guerre à la fois, s’en remettant à la dissuasion sur un second
théâtre4
.
Une évolution qui n’est certainement pas près de rassurer
les alliés européens. D’autant qu’elle ne fait que renforcer les
doutes, déjà exprimés dans le Rapport de la Commission Trident
britannique –composée d’anciens ministres de la défense et des
affaires étrangères, d’ex-ambassadeurs et chefs d’état-major – sur la
volonté et la capacité des Etats-Unis de défendre l’Europe5
.
Or, l’autre grand volet de l’interdiction de la non-duplication,
l’armement, est directement lié à la perception des garanties de
défense. Le sénateur américain Chris Murphy a clairement exposé la
logique du donnant-donnant lorsqu’il s’est inquiété, sous le
président Trump, de l’impact de la remise en cause de l’Article 5 sur
les ventes d’armement. Cet élu démocrate du Connecticut a
expliqué, lors d’une conférence, comment la garantie de l’OTAN
apporte un bénéfice économique à son Etat, à condition que les
Européens y croient : « grâce à cette alliance étroite, il est beaucoup
plus probable que les Européens achètent des produits de Sikorsky
et de Pratt & Whitney ». Murphy reproche à Donald Trump d’avoir
1
Barry R. Posen, « In Reply: To Repeat, Europe Can Defend Itself », Survival,
vol.63 n°1, février-mars 2021. 2 Quadrennial Defense Review, Département de la Défense des Etats-Unis, 1997.
3 Sustaining U.S. Global Leadership: Priorities for 21st Century Defense, Département
de la Défense, 2012.
4 National Defense Strategy, Département de la Défense, 2018. Pour une analyse
de cette nouvelle approche, voir Hal Brands – Evan Braden Montgomery,
« One War Is Not Enough: Strategy and Force Planning for Great-Power
Competition », Texas National Security Review, vol.3, n°2 printemps 2020.
5
The Trident Commission, Concluding Report, juillet 2014.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
27
jeté des doutes sur l’engagement américain pour la défense
collective, car suite à cela « les alliés européens commencent à
explorer d’autres options pour l’achat de leurs équipements
militaires, y compris des initiatives préoccupantes qui excluraient les
Etats-Unis »
1
.
Il fait référence au Fonds européen de défense conçu, comme on l’a
vu, pour cofinancer les projets d’armement européens à partir du
budget communautaire. La participation de tiers – surtout celle des
puissants industriels américains appuyés par leur gouvernement –
serait contre-productive par rapport à l’objectif affiché
d’autonomie. Les divisions entre Européens à cet égard sont
reflétées dans la coupe spectaculaire du budget (de 13 milliards à 7
milliards pour le prochain cadre pluriannuel). Tant que les EtatsUnis n’obtiendront pas d’accès selon leurs propres termes, ses alliés
européens les plus proches s’opposeront au renforcement de cet
instrument. Inversement, s’ils obtiennent gain de cause et que les
Etats-Unis deviennent éligibles au financement du FED (d’une
manière ou d’une autre, par le truchement de la participation à la
CSP par exemple), c’est la France qui devrait normalement y réduire
son engagement. Car cela transformerait le budget du FED en une
passoire permettant aux entreprises d’Etats tiers, en particulier
américains, de siphonner à leur guise les dépenses européennes.
Ceci d’autant plus que cette logique s’applique déjà pour les achats
d’armement en général. Comme le souligne un rapport récent de
l’Institut Montaigne « Il n’existe toujours pas aujourd’hui de
préférence européenne lors de l’acquisition d’équipement (…)
l’acquisition de matériels américains consomme les budgets de
défense des États, impacte les budgets restants pour les industriels
européens et permet une certaine ingérence américaine dans les
affaires de défense de l’UE »
2
. Le rapport donne l’exemple des
avions de combat : « Dans le domaine aérien par exemple, la
participation au programme F35 de pays comme l’Italie, les PaysBas ou plus récemment la Belgique fragilise l’industrie
européenne »
3
. Pour mémoire, c’est ce même avion que la ministre
Florence Parly évoqua pour refuser le lien établi par Washington
1
L’intervention du sénateur américain Chris Murphy au CSIS (Center for
Strategic and International Studies): The Midterm Elections’ Implications for
the Transatlantic Agenda, Washington, le 14 novembre 2018. 2 Repenser la défense face aux crises du 21e siècle, Rapport de l’Institut Montaigne,
février 2021, p.141.
3 At the Vanguard – European Contributions to NATO’s Future Combat
Airpower, RAND Report, 2020.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
28
entre garanties de défense et achats d’armement : « La clause de
solidarité de l’OTAN s’appelle Article 5, et non pas Article F-35 »
1
.
33 – Non-discrimination ?
Le domaine de l’armement continue d’être l’enjeu majeur du
troisième D, celui de l’interdiction de toute discrimination envers
les alliés non membres de l’UE. S’agissant d’un sujet névralgique,
cette interdiction est, pour une fois, directement et publiquement
invoquée pour assurer la présence des Etats-Unis dans les initiatives
européennes. La saga de l’accès au FED s’est poursuivie, dans cet
esprit, tout au long de l’année 2020.2
Comme le note un rapport de
l’Assemblée nationale : « Les discussions sont particulièrement
tendues sur la question de l’éligibilité des entreprises des pays tiers,
notamment celles du Royaume-Uni et des États-Unis, au FED. Les
États membres sont divisés sur la question et, pour certains qui
hébergent des filiales d’entreprises américaines, soumis à une forte
pression des États-Unis pour une plus grande souplesse dans les
critères d’éligibilité ». Et aux auteurs du rapport d’expliquer : « Il va
de soi que si le FED devait être largement ouvert aux entreprises
des pays tiers, c’est autant de financement en moins pour atteindre
l’objectif de l’autonomie stratégique »
3
.
Quelques mois plus tard, le Secrétaire d’Etat aux affaires
européennes, Clément Beaune, se veut rassurant : « Le fonds
européen de défense vient financer nos propres projets
d’autonomie stratégique européenne. Il est exclu de financer les
pays tiers. La coopération structurée permanente, qui est une
coopération de projet, inclut la possibilité d’intégrer des pays tiers à
bord de certains projets, avec des règles d’approbation par les pays
de l’Union européenne au cas par cas »
4
. En effet, aux termes du
compromis bricolé sous la présidence allemande de l’UE, des
« Etats tiers » peuvent entrer dans tel ou tel projet CSP à condition
qu’il y ait pour cela une décision politique, et tant qu’il n’y a pas de
fonds commun européen en jeu – du moins en principe. Pour
1 Discours de Florence Parly à l’Atlantic Council: “The US- French relationship
in a changing world”, Washington, 18 mars 2019.
2
Sur les antécédents de ce bras de fer, voir « Le double anniversaire OTAN –
Défense européenne : « Plus ça change et plus c’est la même chose ! », in
Défense & Stratégie n°44, hiver 2019, pp. 27-30.
3
Françoise Dumas & Sabine Thillaye, Rapport d’information sur la relance dans le
secteur de la défense, N°3492, Commission de la défense nationale et des forces
armées de l’Assemblée nationale, le 6 novembre 2020.
4
Audition à la commission des affaires étrangères, de Clément Beaune,
secrétaire d’État chargé des affaires européennes, 16 février 2021.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
29
rappel, la CSP et le FED ont été créés pour être complémentaires
l’un de l’autre. La CSP peut être vue par certains acteurs extérieurs
comme une éventuelle passerelle vers, ou un droit de blocage
contre, le FED : soit pour accéder à celui-ci en tant que tiers, soit
pour parvenir à en exclure tel ou tel programme du fait même de sa
propre participation au projet correspondant.
De surcroît, le Secrétaire d’Etat Beaune se garde bien de préciser si
la France avait réussi à imposer, en tant que critère sine qua non,
ses deux conditions initiales pour l’accès d’un tiers à la CSP. A
savoir : considérer comme un préalable non négociable le fait que la
propriété intellectuelle et le droit d’exportation doivent rester, sans
ambiguïté aucune, sous contrôle européen. Ou bien, au lieu de cela,
les conditions générales ont été réduites, comme le laisse penser le
communiqué de l’UE, à ce que le participant tiers « doit partager les
valeurs sur lesquelles l’Union est fondée, ne doit pas porter atteinte
aux intérêts de l’Union et de ses États membres en matière de
sécurité et de défense et doit avoir conclu un accord pour échanger
des informations classifiées avec l’UE »
.1
Car si c’est le cas, l’objectif
initial de non-dépendance est caduc et la CSP définitivement vidée
de sa substance.
Le risque est d’autant plus grand que l’approche choisie par la
nouvelle administration Biden est remarquablement intelligente. Les
Etats-Unis tirent prétexte du « nouveau départ » dans les relations
transatlantiques, après les années Trump, pour retourner la situation
et présenter leur revendication d’accès comme le signe d’un nouvel
engagement. C’est donc par désir de resserrer les liens entre alliés
qu’ils souhaitent honorer de leur présence les initiatives
européennes. La manœuvre est encore plus habile puisque
Washington avance par paliers. Au lieu de viser tout de suite les
questions les plus sensibles, les Etats-Unis vont se connecter
d’abord au projet sur la mobilité militaire, qui fait lui aussi partie des
quelque 50 projets de la CSP2
. Mais la porte-parole du Pentagone
1
Coopération de l’UE en matière de défense: le Conseil fixe les conditions de
la participation d’États tiers à des projets CSP, Communiqué du Conseil de
l’UE, 5 novembre 2020.
2
“U.S. ready to help EU speed up troop movement to meet Russia challenge”,
Reuters, 2 mars 2021. La mobilité militaire est un des initiatives phares de l’UE.
Elle vise à « lever les obstacles entravant les mouvements d’équipements et de
personnel militaires dans l’ensemble de l’UE, afin de faciliter et d’accélérer leur
mobilité, leur permettant ainsi de réagir rapidement et efficacement à des crises
internes et externes ». Elle comporte trois volets: un projet CSP mené par les
Pays-Bas, une communication conjointe de la Commission européenne relative
à la mobilité militaire dans l’UE financée par le mécanisme pour
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
30
admet que ce n’est que le premier pas : « une étape cruciale pour
identifier comment les États-Unis et l’UE peuvent travailler
ensemble dans d’autres projets de la CSP, et pour explorer une
éventuelle coopération entre les États-Unis et l’UE dans d’autres
initiatives de défense de l’UE ». Jessica Maxwell ajoute que
Washington voit dans l’approbation rapide par l’UE de la
participation américaine un signe prometteur quant aux
« engagements de l’UE et des États membres à garder les initiatives
de défense de l’UE ouvertes aux États-Unis »
1
. La messe est dite.
4- Union, quelle union ?
Plus l’UE parle d’autonomie, plus les appels à « plus d’intégration »
se multiplient. Dans cette narration, le passage à la majorité
qualifiée créerait, d’un coup de baguette magique, une Europepuissance parlant d’une seule voix, à même de jouer son propre rôle
sur l’échiquier géopolitique. Mais une telle vision simpliste a
tendance de confondre la forme et le fond. Ce n’est pas du fait de la
règle de l’unanimité que l’UE est incapable d’avoir une politique de
puissance indépendante, bien au contraire. La position majoritaire
parmi les partenaires européens a toujours été d’ignorer, voire
vilipender les concepts de puissance et d’indépendance. S’il ne
tenait qu’à eux, l’Europe serait, depuis fort longtemps, un 51ème
Etat américain voire, demain, une 24ème province chinoise.
L’exigence de l’unanimité est le seul garde-fou qui reste pour les
quelques-uns, souvent la France seule, qui sont attachés à l’idée
d’être maîtres de leur destin et faire leurs propres choix.
L’excellent article d’Hubert Védrine « Avancer les yeux ouverts »
(écrit en 2002, mais qui n’a pas pris une ride depuis) résume
parfaitement les options. L’ancien ministre des affaires étrangères y
plaide pour « l’honnêteté intellectuelle » avant d’entamer les
prochaines étapes de la construction européenne : « De deux choses
l’une : ou bien nous acceptons, parce que nous estimons que
l’ambition européenne prévaut sur toutes les autres ou parce que
nous jugeons que le cadre européen est désormais le seul qui nous
permette de défendre nos intérêts, de nous fondre progressivement
dans cet ensemble. Et alors nous jouons à fond le jeu européen, le
renforcement des institutions européennes et communautaires, la

l’interconnexion en Europe, et une initiative commune de l’Union et de
l’OTAN.
1
Sebastian Sprenger, “Pentagon pushes to partake in EU military mobility
planning”, Defense News, 2 mars 2021; “US-EU cooperation pitch on military
mobility gets positive response”, Defense News, 15 mars 2021.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
31
généralisation du vote à la majorité. Et nous en acceptons par
avance toutes les conséquences. Ou bien, considérant que nous ne
pourrons pas préserver avec 9 % des voix au Conseil, 9 % des
membres du Parlement, un commissaire sur 25, des positions et des
politiques que nous jugeons fondamentales, nous refusons ce saut
institutionnel »
1
.
Parmi ces positions fondamentales, impossibles à préserver dans
une Europe supranationale régie par la logique de la majorité, se
trouve l’exigence d’autonomie et de puissance. Un épisode récent
illustre à la perfection la solitude de la France et les dangers pour
elle à céder aux sirènes européistes dans l’espoir d’une Europepuissance imaginaire. Il s’agit de la passe d’arme, fin 2020, entre le
président Macron et la ministre allemande de la défense Annegret
Kramp-Karrenbauer (AKK)2
. Celle-ci déclare, à la veille de la
présidentielle américaine, que les « illusions d’autonomie stratégique
européenne doivent cesser »3
. Sur quoi, le président français
rétorque : « Il ne faut surtout pas perdre le fil européen et cette
autonomie stratégique, cette force que l’Europe peut avoir pour
elle-même. Il s’agit de penser les termes de la souveraineté et de
l’autonomie stratégique européennes, pour pouvoir peser par nousmêmes et non pas devenir le vassal de telle ou telle puissance et ne
plus avoir notre mot à dire.»
4
. AKK persiste et signe : « L’idée de
l’autonomie stratégique européenne va trop loin si elle implique que
nous serions capables de garantir la sécurité, la stabilité et la
prospérité de l’Europe sans l’OTAN et sans les Etats-Unis. C’est
une illusion »
5
.
Comme on pouvait s’y attendre, les autres pays européens se sont
rangés du côté de l’Allemagne. Le ministre polonais de la défense
Mariusz Błaszczak en a conclu que « nous devons être plus proches
des Etats-Unis que jamais », et le Premier ministre espagnol Pedro
Sánchez a fait savoir sans équivoque : « Je suis avec la vision
allemande ». Le ministre italien de la défense, Lorenzo Guerini, voit
1
Hubert Védrine, Europe : avancer les yeux ouverts, Le Monde, 27 septembre
2002.
2
Voir de l’auteur, Germany’s Transatlantic Ambiguities, FPRI Analysis, 5 mars
2021.
3
Annegret Kramp-Karrenbauer, Europe still needs America, Politico, 2
novembre 2020.
4 La doctrine Macron : une conversation avec le Président français, Le Grand
Continent, 16 novembre 2020.
5 Allocution de la ministre allemand de la défense Annegret KrampKarrenbauer à l’Université Helmut Schmidt à Hambourg, 19 novembre 2020.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
32
dans l’autonomie stratégique européenne la « confirmation du rôle
de l’Europe en tant que pilier de l’architecture de sécurité collective
basée sur le pacte transatlantique ». Son homologue portugais, João
Gomes Cravinho, met en garde : « Essayer de faire en sorte que
l’autonomie stratégique de l’UE fasse moins au sein de l’OTAN ou
tenter de se séparer de l’OTAN serait, à notre avis, une grave
erreur ». Difficile de ne pas voir, derrière ces discours, le
positionnement des uns et des autres par rapport à Washington.
Tout comme chacun se détermine en fonction de sa propre vision
du monde par rapport à Pékin, Ankara ou Moscou. Les chercheurs
de l’institut allemand SWP, qui conseille le gouvernement fédéral
sur les questions de sécurité, constatent : les relations bilatérales
entre les États membres de l’UE et les grandes puissances sont
guidées par des « loyautés disparates et des intérêts
contradictoires », ce qui rend une approche commune de
l’autonomie stratégique difficile, pour ne pas dire inconcevable1
.
L’écrivain-philosophe anglais, G. K. Chesterton a brillamment
exposé, il y a cent ans, la vacuité des arguments en faveur d’une
union entre entités différentes : « L’Union c’est la force, l’union
c’est également la faiblesse. Transformer dix nations en un seul
empire peut s’avérer aussi réalisable que de transformer dix shillings
en un demi-souverain [aujourd’hui : dix pièces de dix pence en un Pound].
Mais cela peut également être aussi absurde que de transformer dix
terriers en un seul mastiff. La question dans tous les cas n’est pas
une question d’union ou d’absence d’union, mais d’identité ou
d’absence d’identité. En raison de certaines causes historiques et
morales, deux nations peuvent être si unies que dans l’ensemble
elles se soutiennent. Mais à cause de certaines autres causes morales
et de certaines autres causes politiques, deux nations peuvent être
unies et ne faire que se gêner l’une l’autre; leurs lignes entrent en
collision et ne sont pas parallèles. Nous avons alors un état de
choses qu’aucun homme sain d’esprit ne songerait jamais à vouloir
continuer s’il n’avait pas été ensorcelé par le sentimentalisme du
seul mot ‘union’ »
2
. Dans l’Europe d’aujourd’hui, continuer signifie
le nivellement par le bas et la dilution des ambitions.
1
B. Lippert, N. von Ondarza, V. Perthes (eds.), European Strategic Autonomy –
Actors, Issues, Conflicts of Interests, The German Institute for International and
Security Affairs (SWP), Research Paper, mars 2019.
2
Gilbert Keith Chesterton, Heretics, recueil d’essais publié en 1905.

Rumor di sciabole, di Giuseppe Germinario

Il 29 aprile scorso abbiamo pubblicato una lettera appello di militari francesi in pensione, sottoscritta ormai da centinaia di migliaia di cittadini francesi, gran parte dei quali militari: http://italiaeilmondo.com/2021/04/29/lettera-al-presidente-lettre-au-president_di-e-a-cura-di-giuseppe-germinario/ .

Il 13 maggio, nel corso della consueta conversazione con GC, abbiamo pubblicato in lingua un appello di venti alti ufficiali americani in pensione (ammiragli e generali), sottoscritto inizialmente dal oltre cento graduati. http://italiaeilmondo.com/2021/05/13/stati-uniti-aggrappati-al-potere-lontani-dalla-realta_con-gianfranco-campa/

https://thefederalist.com/2021/05/10/more-than-120-retired-flag-officers-call-on-americans-to-save-america-our-constitutional-republic-and-hold-those-currently-in-office-accountable/?utm_campaign=ACTENGAGE.

L’11 maggio è apparsa, sul settimanale “Valeurs Acctuelles”, un secondo appello questa volta sottoscritto da militari cadetti francesi  https://www.valeursactuelles.com/societe/exclusif-signez-la-nouvelle-tribune-des-militaires 

Qui sotto la traduzione dei due ultimi documenti e alcune considerazioni:

 I francesi.

 Signor Presidente della Repubblica,
Signore e Signori, Ministri, Membri del Parlamento, Ufficiali Generali, nei vostri ranghi e qualità,

Non cantiamo più la settima strofa della marsigliese, conosciuta come la “strofa dei bambini”. Eppure è ricco di lezioni. Lasciamo che sia lui a prodigarli su di noi:

 

“Entreremo in carriera quando i nostri anziani non saranno più lì. Là troveremo la loro polvere e le tracce delle loro virtù. Molto meno gelosi di sopravvivere loro che di condividere la loro sepoltura, avremo il sublime orgoglio di vendicarli o di seguirli “

I nostri anziani sono combattenti che meritano di essere rispettati. Questi sono ad esempio i vecchi soldati di cui avete calpestato l’onore nelle ultime settimane. Sono queste migliaia di servi della Francia, firmatari di una piattaforma di buon senso, soldati che hanno dato i loro anni migliori per difendere la nostra libertà, obbedendo ai tuoi ordini, per intraprendere le tue guerre o per attuare le tue restrizioni di bilancio, che hai sporcato mentre il popolo della Francia li ha sostenuti.
Queste persone che hanno combattuto contro tutti i nemici della Francia, le hai trattate come faziose quando la loro unica colpa è amare il loro paese e piangere la sua caduta così evidente.

In queste condizioni spetta a noi, da poco entrati in carriera, entrare nell’arena semplicemente per avere l’onore di dire la verità.

Veniamo da quella che i giornali hanno chiamato “la generazione del fuoco”. Uomini e donne, soldati attivi, di tutti gli eserciti e di tutti i ranghi, di tutte le sensibilità, amiamo il nostro Paese. Queste sono le nostre uniche pretese di fama. E se non possiamo, per legge, esprimerci a faccia scoperta, è altrettanto impossibile per noi tacere.

Afghanistan, Mali, Repubblica Centrafricana o altrove, molti di noi hanno subito il fuoco nemico. Alcuni hanno lasciato compagni lì. Hanno offerto la loro pelle per distruggere l’islamismo a cui stai facendo concessioni sul nostro suolo.

Quasi tutti noi abbiamo conosciuto l’operazione Sentinel. Abbiamo visto con i nostri occhi le periferie abbandonate, gli accomodamenti con la delinquenza. Abbiamo subito i tentativi di strumentalizzazione di diverse comunità religiose, per le quali la Francia non significa nulla, nient’altro che un oggetto di sarcasmo, disprezzo o persino odio.

Abbiamo marciato il 14 luglio. E questa folla benevola e diversificata, che ci ha acclamato perché ne siamo l’emanazione, ci è stato chiesto di guardarla per mesi, vietandoci di circolare in divisa, rendendoci potenziali vittime, su un terreno che siamo comunque capaci di difendere.

Sì, i nostri anziani hanno ragione sulla sostanza del loro testo, nella sua interezza. Vediamo la violenza nelle nostre città e nei nostri villaggi. Vediamo il comunitarismo prendere piede nello spazio pubblico, nel dibattito pubblico. Vediamo l’odio per la Francia e la sua storia diventare la norma.

Sosterrete che potrebbe non essere compito dei militari dirlo. Al contrario: poiché siamo apolitici nelle nostre valutazioni della situazione, è un’osservazione professionale che forniamo. Perché questo declino lo abbiamo visto in molti paesi in crisi. Precede il crollo. Annuncia caos e violenza e, contrariamente a quanto voi affermate qua e là, questo caos e questa violenza non verranno da un “pronunciamento militare” ma da un’insurrezione civile.

Per cavillare sulla forma del forum dei nostri anziani invece di riconoscere l’ovvietà delle loro scoperte, dobbiamo essere piuttosto codardi. Per invocare un dovere di riservatezza mal interpretato al fine di mettere a tacere i cittadini francesi, bisogna essere molto ingannevoli. Per incoraggiare i principali ufficiali dell’esercito a prendere posizione ed esporsi, prima di sanzionarli ferocemente non appena scrivono qualcosa di diverso dalle storie di battaglia, devi essere molto perverso.

Codardia, inganno, perversione: questa non è la nostra visione della gerarchia.
Al contrario, l’esercito è, per eccellenza, il luogo in cui ci parliamo sinceramente perché impegniamo la nostra vita. È questa fiducia nell’istituzione militare che chiediamo.

Sì, se scoppia una guerra civile, l’esercito manterrà l’ordine sul proprio territorio, perché gli verrà chiesto. È anche la definizione di guerra civile. Nessuno può desiderare una situazione così terribile, i nostri anziani non più di noi, ma sì, ancora una volta, la guerra civile si sta preparando in Francia e lo sapete perfettamente.

Il grido di allarme dei nostri Anziani si riferisce infine a echi più lontani. I nostri anziani sono i combattenti della resistenza del 1940, che persone come te molto spesso trattavano come faziosi, e che continuarono la lotta mentre i legalisti, paralizzati dalla paura, scommettevano già sulle concessioni con il male per limitare i danni. Questi sono i pelosi 14, morti per pochi metri di terra, mentre si abbandonano, senza reagire, intere contrade del nostro paese alla legge del più forte; sono tutti morti, famosi o anonimi, caduti al fronte o dopo una vita di servizio.

Tutti i nostri anziani, coloro che hanno reso il nostro paese quello che è, che hanno progettato il suo territorio, difeso la sua cultura, hanno dato o ricevuto ordini nella propria lingua, hanno combattuto per te perché la Francia diventasse uno stato fallito?, Che sostituisce la propria regalità sempre più impotente con una brutale tirannia contro quelli dei suoi servitori che vogliono ancora metterlo in guardia?

Agite, signore e signori. Questa volta non si tratta di emozioni personalizzate, formule già pronte o copertura mediatica. Non si tratta di estendere i propri mandati o di conquistare altri. Riguarda la sopravvivenza del nostro paese, del tuo paese.

Gli statunitensi

Lettera aperta di generali e ammiragli in pensione

La nostra nazione è in grave pericolo. Stiamo combattendo per la nostra sopravvivenza come Repubblica Costituzionale come in nessun altro momento dalla nostra fondazione nel 1776. Il conflitto è tra i sostenitori del socialismo e del marxismo contro i sostenitori della libertà e della libertà costituzionale.
Durante le elezioni del 2020 è stata firmata una “Lettera aperta da alti leader militari”, da 317 generali e ammiragli in pensione con la quale si avverte che le elezioni del 2020 potrebbero essere le elezioni più importanti dalla fondazione del nostro paese. “Con il Partito Democratico che accoglie socialisti e marxisti, il nostro storico stile di vita è in gioco. ” Sfortunatamente, la verità di questa affermazione è stata rapidamente confermata, a cominciare dalle modalità di svolgimento delle stesse elezioni.
Senza elezioni eque e oneste che riflettano fedelmente la “volontà del popolo” la nostra Repubblica Costituzionale è perduta. L’integrità elettorale richiede di assicurare che vi sia un voto legale espresso e conteggiato per cittadino. I voti legali sono identificati dai controlli approvati dal legislatore statale utilizzando documenti di identità del governo, firme verificate, ecc. Oggi molti chiamano tali controlli di buon senso “razzisti” nel tentativo di evitare elezioni eque e oneste. Usare logiche razziali per sopprimere la prova di ammissibilità è di per sé una tattica di intimidazione tirannica. Inoltre, nelle nostre elezioni deve essere applicato lo “Stato di diritto” per garantire l’integrità delle procedure. L’FBI e la Corte Suprema devono agire rapidamente nelle situazioni di irregolarità elettorali che sono emerse e non ignorarli come è stato fatto nel 2020. Infine, H.R.1 e S.1, (se approvati), distruggerebbero l’equità elettorale e consentirebbe ai Democratici di rimanere per sempre al potere violando la nostra Costituzione e ponendo fine alla nostra Repubblica Rappresentativa.
A parte le elezioni, l’attuale amministrazione ha lanciato un assalto in piena regola ai nostri
Diritti costituzionali in maniera dittatoriale, aggirando il Congresso, con più di 50 ordini esecutivi rapidamente firmati, molti dei quali hanno annullato le politiche e i regolamenti efficaci della precedente amministrazione.
Inoltre, azioni di controllo della popolazione come blocchi eccessivi, chiusure di scuole e aziende e, cosa più allarmante, la censura dell’espressione scritta e verbale sono tutte aggressioni dirette al nostro fondamentale regime di Diritti. Dobbiamo sostenere e ritenere responsabili i politici che agiranno per contrastare il socialismo, il marxismo e Progressismo, sostenere la nostra Repubblica Costituzionale e insistere su un governo fiscalmente responsabile, concentrandosi su tutti gli americani, in particolare sulla classe media, non su gruppi di interesse particolari o gruppi estremisti che vengono utilizzati per dividerci in fazioni in guerra.
Ulteriori questioni e azioni relative alla sicurezza nazionale:
• L’apertura delle frontiere mette a repentaglio la sicurezza nazionale aumentando il traffico di esseri umani, i cartelli della droga, l’ingresso di terroristi, pericoli per la salute / CV19 e crisi umanitarie. I clandestini stanno inondando il nostro Paese portando in alto costi economici, criminalità, abbassamento dei salari e voto illegale in alcuni stati. Dobbiamo ristabilire il confine controllando e continuando a costruire il muro, supportando il nostro personale addetto al controllo delle frontiere.
Le nazioni sovrane devono avere confini controllati.

• La Cina è la più grande minaccia esterna per l’America. Stabilire rapporti di collaborazione con i cinesi incoraggia il Partito Comunista a continuare a progredire verso il dominio del mondo, militarmente, economicamente, politicamente e tecnologicamente. Dobbiamo imporre più sanzioni e restrizioni a ostacolare il loro obiettivo di dominio del mondo e proteggere gli interessi dell’America.
• Il libero flusso di informazioni è fondamentale per la sicurezza della nostra Repubblica, come illustrato dalla libertà di parola e stampa sancito nel 1 ° emendamento della nostra Costituzione. Discorso di censura e espressione, distorsione del linguaggio, diffusione di disinformazione da parte di funzionari governativi, entità private e media sono un metodo per sopprimere il libero flusso di informazioni. Una tecnica tirannica usata per perseguire modalità di società chiusa. Dobbiamo contrastare questo su tutti i fronti a cominciare dalla rimozione della protezione della Sezione 230 dalla grande tecnologia.
• Il reimpegno nell’accordo nucleare iraniano imperfetto porterebbe all’acquisizione da parte dell’Iran dei mezzi per disporre di armi nucleari, sconvolgendo così le iniziative di pace in Medio Oriente e aiutando una nazione terrorista i cui slogan e obiettivi includono “morte all’America” ​​e “morte a Israele”. Dobbiamo resistere al nuovo accordo Cina / Iran e non sostenere l’accordo nucleare iraniano. Inoltre, dobbiamo continuare con le iniziative di pace in Medio Oriente, gli “accordi di Abraham” e con il sostegno a Israele.
• L’arresto del gasdotto Keystone elimina la nostra indipendenza e le nostre cause energetiche recentemente ristabilite e ci porta a dipendere dall’energia da nazioni non amichevoli, eliminando al contempo preziosi posti di lavoro negli Stati Uniti. Dobbiamo riaprire il Keystone Pipeline e riconquistare la nostra indipendenza energetica per la sicurezza nazionale ed economica.
• Usare le forze armate statunitensi come pedine politiche con migliaia di truppe schierate intorno al Campidoglio degli Stati Uniti, costruire, pattugliare recinzioni che proteggono da una minaccia inesistente, oltre a forzare politicamente la situazione.
Correggere quindi le politiche come la teoria della razza critica fattore di divisione nelle forze armate a spese della coesione nella capacità di combattimento in guerra.
• Lo “Stato di diritto” è fondamentale per la nostra Repubblica e per la sicurezza. L’anarchia così come si vede in certe città non può essere tollerata. Dobbiamo supportare il nostro personale delle forze dell’ordine e insistere sul fatto che i DA, i nostri tribunali e il DOJ applichino la legge in modo equo, equo e coerente nei confronti di tutti.
• Le condizioni fisiche e mentali del Comandante in Capo non possono essere ignorate. Deve essere in grado di poter prendere rapidamente decisioni accurate in materia di sicurezza nazionale che coinvolgono la vita e l’incolumità fisica ovunque, giorno e notte.
Le recenti inchieste della leadership democratica sulle procedure del codice nucleare inviano un pericoloso segnale di sicurezza agli avversari armati con sistemi nucleari, sollevando la questione su chi sia al comando. Dobbiamo avere sempre una catena di comando indiscutibile.
Sotto un Congresso Democratico e l’attuale amministrazione, il nostro Paese ha preso una brusca svolta a sinistra verso il socialismo e una forma marxista di governo tirannico che ora deve essere contrastata.
Eleggere quindi candidati al Congresso e alla presidenza che agiranno sempre per difendere la nostra Costituzione Repubblicana. La sopravvivenza della nostra nazione e le sue amate libertà, libertà e valori storici sono a portata di mano
Chiediamo a tutti i cittadini di essere coinvolti ora a livello locale, statale e / o nazionale per eleggere i politici rappresentanti che agiranno per salvare l’America, la nostra Repubblica Costituzionale, e defenestrare quelli attualmente in carica responsabili dell’ufficio.

La “volontà del popolo” deve essere ascoltata e seguita.

https://flagofficers4america.com/opening-statement

Nelle più grandi nazioni del mondo occidentale, a partire dal secondo dopoguerra non sono mancate dichiarazioni pubbliche di alte gerarchie militari e cooptazioni di singoli militari nel personale politico rappresentativo e di governo. In questi giorni sono occorsi invece due fatti inediti: la pubblicazione di tre lettere-appello, due di militari francesi, una di statunitensi.

Quella dei francesi si rivolge alle istituzioni rappresentative; mantiene nella forma un rapporto di tipo istituzionale con le cariche rappresentative dello Stato e tenta quindi di gettare nell’iniziativa tutto il peso politico di una istituzione sulle altre in indirizzo. Quella americana non si premura di salvaguardare nemmeno la forma; parteggia apertamente per una forza politica ancora in fase di ricostruzione e di consolidamento, il Partito Repubblicano di Trump e attacca il radicalismo progressista (comunista) del Partito Democratico.

Il documento francese è soprattutto un atto di denuncia dello stato di disgregazione della formazione socio-politica, dell’effetto pernicioso della diffusione di ideologie comunitariste ostili, legate soprattutto al fondamentalismo islamico, indotto pur con la compiacenza interna da forze esterne, dell’effetto disgregante e divisorio dell’ideologia identitaria e razzista dell’antirazzismo e del dirittoumanitarismo, dell’utilizzo esacerbato, violento e fazioso di parte delle forze dell’ordine contro la popolazione francese più legata al sentimento nazionale. Una situazione che sta trascinando il paese in una situazione di guerra civile endemica alla quale prima o poi l’esercito sarà chiamato a metter fine. Il documento statunitense è invece un esplicito atto di accusa ad una forza politica impegnata a disgregare una nazione, a perseguire un disegno autoritario e di controllo totalitario mirante alla eliminazione delle prerogative fondamentali garantite dalla Costituzione Americana.

La curiosa concomitanza fa sospettare in realtà un qualche legame diretto tra i due eventi, non solo l’esistenza di una affinità e di un sodalizio politico persistenti da oltre due secoli.

Il merito e la struttura dei documenti, la dinamica stessa degli eventi tradiscono però contesti molto diversi.

Il carattere e il contenuto dell’epistola francese sottende di fatto l’esistenza di centri decisionali e di apparati, quantomeno di ampi settori organizzati di essi, ancora operanti e consolidati, fedeli in qualche maniera alla tradizione gaullista. Una tradizione beninteso non antioccidentale, giacché la fedeltà atlantica non è stata mai rinnegata, nemmeno nei momenti di maggior intraprendenza, ma è stata utilizzata per ritagliarsi spazi operativi autonomi resi possibili da una classe dirigente orgogliosa e dotata dei minimi strumenti militari, diplomatici, economici e tecnologici necessari. Settori, però, pesantemente logorati e neutralizzati da quasi trenta anni di politiche e misure sempre più subordinate, anche organizzativamente e logisticamente, al disegno globalista filoamericano. L’elezione di Macron, pur nella fragilità della sua posizione, rappresenta il culmine di questo processo. Ad aggiustamenti continui meramente tattici, più di natura retorica che sostanziale, legati soprattutto alla vivace conflittualità politica e sociale, ha corrisposto una politica di condizionamento ostile di paesi politicamente più fragili, l’Italia in primo luogo, ma di dipendenza sempre più strutturale verso la Germania e quasi di conseguenza verso gli Stati Uniti. Da qui le cessioni di settori strategici, legati al nucleare e alla meccanica pesante, come Alstom, le difficoltà clamorose di Airbus, lo stallo del sistema strategico GPS denominato “Galileo”, la pervicace opera di destabilizzazione e riorganizzazione dello Stato Centrale, avviata con la unificazione degli ispettorati, con il tentativo strisciante di abolizione dell’ordine dei Prefetti, la vera ossatura dello Stato francese, con l’obbiettivo di creare una dirigenza di formazione manageriale intercambiabile, esperta di processi di ottimizzazione, ma povere di etica identitaria. Una pervicacia certosina nel frantumare i centri di potere inserita in un disegno di riorganizzazione favorevole al decentramento politico-amministrativo mestamente simile a quello intrapreso negli anni ’90 sino al 2010 in Italia. Un disegno che trova giustificazioni e alibi nelle necessità di riorganizzazione di uno stato centrale in formazioni socio-politiche più interconnesse, più densamente popolate nell’arco di un secolo, paralizzate dalle incrostazioni sedimentate dal tempo negli apparati; non necessariamente da conseguire con una disarticolazione e indebolimento delle prerogative statali centrali in una fase di incipiente multipolarismo che richiederebbe in realtà dinamiche opposte. Il richiamo alle prerogative regali dello stato, le critiche e i propositi normativi di contrasto al “separatismo” si riducono alla fine a velleità sterili o a tentativi subdoli di strumentalizzare la volontà di contrasto dei processi identitari divisivi per imporre strumenti limitativi e coercitivi generalizzati delle libertà politiche e di associazione.

Il carattere e il contenuto della lettera dei militari americani sottende due tendenze e contesti diversi rispetto a quella transalpina. Nella sua pur breve storia il movimento di Trump è rimasto ben radicato nella truppa e nei quadri intermedi dell’esercito americano con una certa propensione all’isolazionismo, in altre componenti a circoscrivere meglio la sfera di influenza americana, a privilegiare più o meno realisticamente le dinamiche di conflitto geoeconomico e le dispute diplomatiche rispetto all’uso della forza militare, specie se indiscriminato. Il documento ci dice che lo schieramento politico inizia a fare breccia anche negli altri gradi. I loro ingressi non sono più casi isolati. Non parlano a nome di una istituzione, come intendono o pretendono velleitariamente secondo i giudizi i militari francesi; sono una componente se non una vera e propria fazione, data la asprezza del conflitto politico negli Stati Uniti, pronta a logorare e spodestare i centri decisionali che hanno imperato negli ultimi trentacinque anni. Tentano di proporre e giustificare indirizzi di politica estera che indichino con esattezza gli avversari e un programma di politica interna che garantisca coesione sociale, sovranità strategica economica e tecnologica, maggiore controllo interno delle filiere produttive. Dall’altro cercano probabilmente di condizionare dall’interno e di accentuare l’orientamento interventista di un movimento restio ad avventure militari. Additano  esplicitamente come avversari la Cina e l’Iran, omettendo deliberatamente la Russia. Orientamento che aprirebbe nuovi spazi ai paesi europei nel loro vicinato più prossimo. Sul piano interno le analogie con il documento francese sono soprattutto sulla politica di immigrazione e sul carattere divisorio dell’integralismo antirazzista. Rimane una caratteristica di fondo che segna pesantemente i limiti politici ed ideologici del documento: l’epiteto di “socialista” e “marxista” ad un movimento in realtà radicale, globalista e assistenzialista la cui facilità di spesa assistenziale è una mera compensazione dell’impostazione liberista necessaria a non fare implodere la formazione sociale. Una classificazione che, pur al netto dell’accezione americana di quei termini, ben più estensiva ed approssimativa di quella europea, denota la tendenza reazionaria di chi la proferisce piuttosto che le tare della componente radical-progressista. Né, vista la fonte, si potrebbe pensare ad un uso strumentale, per quanto rozzo, di quei termini. Sta di fatto che cotanta idiosincrasia comporta un atteggiamento poco pragmatico sull’importanza dell’intervento pubblico in economia e preclude l’occupazione di quegli ulteriori spazi di consenso nei settori popolari a trazione sindacale che Trump ha cominciato ad erodere pesantemente al Partito Democratico; come pure la tendenza totalitaria e repressiva è solo il riflesso dell’esasperazione individualistica della “maturità” della fase liberale che priva del collante sufficiente le formazioni sociali. Dovesse prevalere, potrebbe alla fine produrre una sorta di nemesi del movimento trumpiano che ha trasformato il Partito Repubblicano sino a ricondurlo nel vecchio alveo.

Per finire in Francia quella lettera rivela la presenza di una forte componente istituzionale resistente ai propositi di subordinazione, ma priva di una espressione e quindi di una piattaforma politica coerente, vista la crisi delle residue formazioni gaulliste e la giustificata diffidenza nei confronti del Front National-RN; negli Stati Uniti la piattaforma politica è più articolata, il radicamento negli apparati comincia ad essere tangibile ma meno compiuto, il pregiudizio ideologico però rischia di annichilire lo slancio e riportare nel vecchio alveo conservatore il movimento. E’ il portato di chi tende a guardare il futuro degli Stati Uniti con gli occhi di un secolo fa, piuttosto che coniugare al futuro quelle chiavi interpretative e rendere praticabili i propositi tirannicidi.

Vedremo! Tutto sommato la partita è ancora aperta, tranne che purtroppo nel nostro “pauvre pays”. I soggetti qualificati ad innescare processi simili potrebbero anche esserci, ma regolarmente ai margini delle situazioni. Manca la molla che li spinga ad agire in un circo sin troppo congestionato. Una decina di anni fa ci fu un timido tentativo in proposito, fallito in poche ore; il documento in fondo alla pagina del sito avrebbe dovuto costituire una prima traccia di lavoro http://italiaeilmondo.com/2018/02/02/per-un-recupero-delle-prerogative-dello-stato-nazionale-italiano-per-la-salvaguardia-della-integrita-del-paese-verso-una-posizione-di-neutralita-vigile/. Le condizioni erano improbabili, la dabbenaggine nostra ha fatto il resto. Restano le voci nel deserto.


 

L’ultimo imperatore, di Gianfranco Campa

Trump ha perso! E’ stato annientato dagli apparati di potere di Washington e globalisti. Il magnate newyorkese era entrato in politica con i fuochi d’artificio e con i fuochi di artificio ne sta uscendo; oscurato e bannato dai giganti dell’High tech, tradito dall’establishment repubblicano. 

Trump lascia la Casa Bianca combattendo “to the bitter end”, fino all’annientamento senza resa. Mi vengono in mente le parole del generale tedesco Paul Conrath, il salvatore dei tesori di Montecassino, comandante della divisione Hermann Göring, che così risponde alla richiesta del suo superiore, il Field Marshal Albert Kesselring “Conrath gli alleati stanno sbarcando in Sicilia, sei pronto?”: “Vuoi un’immediata, spericolata offensiva contro il nemico? Sono il tuo uomo!”  L’atteggiamento di Conrath era in linea con la filosofia del vecchio esercito prussiano: “Non chiedere quanti sono i nemici, chiedi solo dove sono.” Lo slogan aveva senso per un esercito abituato a combattere nemici più grandi e più ricchi e  non aveva quindi altra scelta che enfatizzare la forza di volontà sulle armi, il cuore sull’alta tecnologia. Gli ufficiali prussiani non dovevano ponderare troppo sulle probabilità, ma piuttosto combattere in inferiorità numerica e vincere, dando tutto ciò che avevano. Trump, forse, nella sua stirpe ha qualcosa di Prussiano. Resta il fatto che ha combattuto un nemico infinitamente superiore; più grande, più ricco (Establishment politico/Apparati del Potere/Multinazionali/Istituzioni bancarie e finanziarie/ Establishment scientifico e medico) e tecnologicamente superiore (Mass Media/Silicon Valley). Ha combattuto per tutto il suo mandato in inferiorità numerica pur se guidato da grande volontà e cuore; in stile prussiano appunto. 

Si è avuta comunque sempre la convinzione, in questi ultimi quattro anni, che Trump non avesse mai realmente capito chi fossero i suoi veri nemici.  C’è sempre stata la netta sensazione che giocava a un gioco più grande di lui, un pivello alle prime armi in un mondo pieno di squali e vipere. Detto questo, Trump non ha completamente fallito. Non ha avuto la possibilità di terminare l’opera, ma il partito Repubblicano del vecchio establishment politico non esiste più; ora è il partito non tanto di Trump, quanto del movimento di Trump. Quel movimento nato sulle ceneri dei Tea Party e che aveva adottato Trump come un viatico per picconare il sistema dei poteri. Trump esce di scena, ma il Trumpismo è qui per rimanerci. Cambierà nome, si evolverà, ma non sarà mai più allineato ai vertici del partito Repubblicano. L’establishment ha vinto la guerra con Trump ma nel corso di questa lunga e sanguinosa guerra ha perso il popolo dal quale quel partito è sostenuto; in altre parole i vertici Repubblicani sono ora nudi senza che ci sia una base consistente che li segua. Il loro destino è segnato, in pochi verseranno lacrime al loro crepuscolo.

Trump è uno uomo imperfetto che ha commesso molti errori e con molte lacune; ha però anche portato a compimento molte opere titaniche soprattutto nelle circostanze in cui ha dovuto operare, ostacolato com’era dai centri del potere Americano e internazionale, uniti sotto la bandiera dell’antitrumpismo. La storia, si dice che sia narrata e scritta dai vincitori non dai vinti e sicuramente in questo contesto il mondo accademico, anche questo ostile a Trump, non esalterà di certo le lodi nella narrazione storica delle azioni del presidente Trump. Si spera che fra cento o mille anni, quando la nazione a stelle e strisce sarà un pallido ricordo studiato solo nei libri e nei resoconti didattici, gli storici saranno più obbiettivi nel giudicare uno degli ultimi imperatori di questo tardo impero americano.

Sono molte le imprese compiute da Trump in questi quattro anni, ma la maggior parte della gente, quella che lo scienziato politico Samuel Popkin definisce “Low information voters”, cioè gli elettori (la maggior parte) con una basso livello di conoscenza, nutriti e indottrinati dai mass media e dall’establishment politico, non ne è a conoscenza.

Trump esce e rientra alla Casa Bianca Joe Biden; questa volta nelle vesti del nuovo imperatore, visto che l’ultima volta che bazzicava alla Casa Bianca ne era il vice, secondo solo a sua maestà, bombarolo maximus, il distruttore di mondi, Barack Obama.

Inizia ora il regno dell’imperatore nudo, politicamente corrotto. 47 anni di vita politica nelle stanze del potere di Washington. Che tipo di imperatore sara Biden? Un imperatore fantasma, una figura di facciata, la vera presidente sarà Kamala Harris, la favorita di Obama; per molti versi questa sarà la terza amministrazione Obama in 12 anni. Biden,  prevedo che durerà si e no, non più di  due anni, poi sarà costretto a dimettersi per motivi di salute.  Il futuro della repubblica americana è sprofondato in acque torbide; quello che ne uscirà dall’altra sponda sarà una America completamente diversa da quella vista finora. Si avvererà quello che la teoria generazionale di Strauss-Howe chiama “the Fourth Turning”, la Quarta Svolta, che descrive un ciclo generazionale ricorrente teorizzato nella storia americana e nella storia globale. 

I prossimi mesi e anni saranno di grande tumulto e i cambiamenti si accelereranno a velocità vertiginosa. Non sarà solo l’America, ma di riflesso, tutto il mondo occidentale diventerà testimone, vittima e terreno di azione di cambiamenti epocali, probabilmente non tutti positivi. La storia futura identificherà in Donald Trump uno di quei personaggi che hanno contribuito a distruggere il sistema attuale ormai corrotto e decadente dei poteri politici e geopolitici; a quel punto forse, dico forse, Trump verrà riconosciuto come un protagonista positivo e non negativo. Chi vivrà vedrà!

 

Intervista a Thomas Gomart – Russia, Cina, Stati Uniti: chi è di troppo?

Intervista a Thomas Gomart – Russia, Cina, Stati Uniti: chi è di troppo?

Direttore IFRI, il principale centro studi francese per le relazioni internazionali fondato da Thierry de Montbrial, Thomas Gomart riceve Hadrien Desuin di Conflits nel suo ufficio per discutere della Russia e delle sue relazioni con gli Stati Uniti e la Cina. Thomas Gomart ha appena pubblicato The Return of Geopolitical Risk, The Strategic Triangle Russia, China, United States , Paris, Institut de l’Entreprise, 2016, 56 p., Prefazione di Patrick Pouyanné.

Conflitti: vedete che la globalizzazione del commercio si scontra con il ritorno della geopolitica.

Il “commercio gentile” di Montesquieu è ormai vissuto. Il commercio ha iniziato a ristagnare nel 2009-2010 mentre lo scambio di informazioni continua a crescere in modo esponenziale. La globalizzazione sta accelerando in termini tecnologici ma si sta restringendo in termini politici e istituzionali. È un ritorno alla logica del potere. La comunità imprenditoriale ha visto mercati emergenti, non potenze emergenti, una sfortunata assenza.

 

Conflitti: il triangolo tra Russia, Cina e Stati Uniti ha continuato a strutturare il mondo dal 1971, ma oggi non è di troppo la Russia in questo trio? 

Il 1971 vede il viaggio di Nixon in Cina. Il segmento debole del triangolo è quindi la Cina. E Nixon ci va proprio per indebolire l’URSS. 45 anni dopo, il segmento debole è la Russia, che sta lottando per rimanere nel trio. Tuttavia, la Cina continuerà a crescere, gli Stati Uniti sono in un declino molto relativo e la Russia continua a ripiegare. Cina e Stati Uniti: 35% della ricchezza mondiale, Russia meno del 3%. Nel 1991, le economie cinese e sovietica erano comparabili. Oggi l’economia russa rappresenta il 20% dell’economia cinese. La Russia sta cercando di tenere il passo con Washington e Pechino con risorse paragonabili a quelle di Francia e Regno Unito. “Povero potere”, è in una fortissima distorsione tra le sue ambizioni e i suoi mezzi.

 

Da leggere anche:  Cina, Stati Uniti, UE: chi vincerà la guerra?

Conflitti: la Russia aveva annunciato un perno per l’Asia che le sanzioni europee potrebbero accelerare.

Gli occidentali non sono riusciti ad ancorare la Russia nella loro struttura euro-atlantica alla fine della guerra fredda. Grazie a legami storici, culturali e umani di ogni tipo, l’Unione Europea è il principale partner commerciale della Russia con il 50% del suo commercio estero. Fondamentalmente è la porta della Russia verso la globalizzazione. Le sanzioni chiudono questa porta, ma le élite russe ragionano molto di più delle nostre in termini geopolitici. Per loro, la Russia è anche una potenza del Pacifico che deve partecipare al perno mondiale verso l’Asia.

 

Dopo l’annessione della Crimea, la Russia vuole dimostrare di essere una grande nazione che sta costruendo una partnership con la Cina, in particolare nel campo energetico. Ma l’asimmetria tra i due paesi è enorme! Inoltre, l’ultimo conflitto militare russo-cinese risale al 1969, è ancora nella memoria. Il perno della Russia verso il Pacifico deve quindi essere qualificato e inteso anche come una narrazione o “discorso” geopolitico.

Conflitti: c’è lo stesso una complementarità energetica russo-asiatica che pesa molto …

Certamente con la Cina ma anche con il Giappone e la Corea. Putin ritiene che il principale successo della sua politica estera sia il trattato sul confine sino-russo del 2005. Presso l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, russi e cinesi cooperano per la stabilizzazione dell’Asia centrale, fino al Iran. Ma l’80% della popolazione russa vive in territorio europeo e continua a guardare ad ovest anche se cerca alternative. Ci riuscirà? Non ne sono sicuro.

 

Conflitti: ”  Ho preso la Russia come il generale de Gaulle ha preso la Francia  ” ha dichiarato una volta Vladimir Poutine. In che misura la sovranità di Putin è una versione russa del gollismo? 

Non siamo riusciti ad andare oltre la visione di un Putin gollista o cechista. Per i circoli diplomatici e intellettuali, Putin è un cechista che non riuscirà a uscire dalla sua matrice. Per gli ambienti economici e militari, è un gollista che ha restaurato la grandezza del suo paese. Non puoi confrontare. Fondamentalmente, la Russia non ha alleanze, cosa che la Francia gollista non aveva.

Leggi anche:  Nient’altro che la Terra: la geopolitica gaulliana prima di de Gaulle

 

In effetti, abbiamo un problema geopolitico con la Russia e la Russia ha un problema geoeconomico con noi. La gestione della crisi ucraina è stata delegata alla Commissione Europea, quando l’Unione Europea non è un attore geopolitico. Inoltre, Bruxelles ha incoraggiato l’integrazione regionale in tutto il mondo, ad eccezione dello spazio post-sovietico.

Queste sono due contraddizioni molto forti che hanno reso improbabile una partnership con la Russia. Inoltre, l’Europa è molto a disagio con potenze come Russia e Turchia.

Quanto a Putin, prova una grande condiscendenza nei confronti del progetto europeo in cui non crede. La Brexit non può che ancorarlo a questa convinzione.

Conflitti: anche i paesi dell’Europa centrale hanno spinto per il confronto …

Abbiamo un’Europa composita, tutti usano l’Unione europea per promuovere i propri interessi. Questi piccoli paesi hanno un peso che non avrebbero mai potuto avere al di fuori dell’Unione. Il partenariato orientale è influenzato, ad esempio, dall’influenza polacco-svedese. Questa questione del vicinato europeo ha forti risonanze storiche con due parole non dette: Turchia e Russia.

Conflitti: energia, militare e digitale sono tre grandi potenze che strutturano il mondo secondo te, perché hai scelto il digitale? Stiamo parlando di una “bomba digitale”, non stiamo fantasticando sulla guerra digitale?

Sul digitale, gli Stati Uniti dispongono dei principali attori. Per parafrasare John Connally e la sua formula del dollaro , potresti dire ”  Internet è il nostro sistema, ma è un tuo problema  “. Internet è il centro nevralgico del sistema mondiale. Chi domina Internet domina il centro nevralgico e quindi domina il mondo. Internet è anche il mezzo principale per mantenere il controllo sui suoi principali alleati giapponesi ed europei.

https://www.revueconflits.com/entretien-russie-chine-etats-unis-qui-est-de-trop-hadrien-desuin/

La Cina dominerà il mondo. Intervista con il generale Qiao Liang

Una intervista importante proprio per la scarsità di informazioni riguardanti le linee di condotta del regime e della classe dirigente cinesi. Un paese che, sia pure con dinamiche e logiche diverse, legate anche ad una visione del mondo e a chiavi interpretative diverse da quelle occidentali, è attraversato da numerose contraddizioni e conflitti altrettanto dirimenti di quelle occidentali. La differenza e la forza sta nel carattere emergente di quella formazione sociopolitica. Più di una volta negli ultimi decenni quelle classi dirigenti hanno però perso il polso della situazione e forzato troppo la mano sino ad essere costretti a retrocedere rovinosamente. Le ricorrenti crisi su Taiwan ne sono state spesso un esempio. Anche questa volta la classe dirigente dominante sembra aprire o essere costretta ad accettare troppi fronti conflittuali; tanto più che il confronto geopolitico in quell’area si sviluppa tra giganti ed assume le caratteristiche prevalenti di un confronto tra stati nazionali nelle loro forme più classiche. Il Generale Qiao Liang è autore del libro “Guerra senza limiti”. Buona lettura_Giuseppe Germinario

La Cina dominerà il mondo. Intervista con il generale Qiao Liang

Ascoltare ciò che la Cina dice di comprendere questo Paese, la sua visione del mondo e il suo sistema di pensiero è una necessità per affrontare il nuovo ordine mondiale. La Cina desidera invadere Taiwan e garantire la sua egemonia nel mondo. Questo è quanto ha affermato il generale Qiao Liang in un’intervista pubblicata in cinese. Un documento eccezionale, da leggere per capire.  

Conflits ti offre questo testo per comprendere la Cina e la visione dei leader cinesi. Andare alla fonte e ascoltare ciò che dicono gli altri è essenziale per comprendere la loro visione del mondo. Senza complicazioni, questo generale afferma la sua volontà di invadere Taiwan e sviluppare l’egemonia cinese. È un documento eccezionale che ci immerge nel cuore del sistema cinese.

Ringraziamo Laurent Gayard che ha fornito la traduzione di questo testo e Waldemar Brun Theremin per avermelo segnalato.

I titoli provengono da conflitti. Consentono di seguire i temi del colloquio.

Autore : Qiao Liang è un generale dell’Aeronautica in pensione. È professore all’Università e ha pubblicato numerose opere di strategia, una delle quali è stata tradotta in francese: La guerre hors limite . È direttore del National Security Research Council e membro dell’Associazione degli scrittori cinesi. Parla qui a titolo privato e la sua parola non vincola il governo cinese. Tuttavia, ciò che dice è in linea con ciò che pensano le più alte autorità cinesi.

Il generale Qiao Liang è intervistato dai giornalisti Wei Dongsheng e Zhuang Lei nel numero di maggio 2020 della rivista Bauhinia (Zijing), una rivista cinese pubblicata ad Hong Kong.

Attualmente, la situazione epidemica della polmonite coronarica è stata principalmente controllata in Cina. Ma ciò che non possiamo ignorare è che la diffusione dell’epidemia globale e la conseguente reazione a catena potrebbero causare una seconda enorme “onda d’urto” per la Cina. Di recente, gli Stati Uniti hanno avviato operazioni di evacuazione in molti paesi e hanno invitato tutte le società americane in Cina a evacuare. Trump ha firmato il Taipei Act [1]quando infuriava la nuova epidemia di polmonite americana. Come dice il proverbio, se qualcosa va storto, ci deve essere un demone. Quale cospirazione c’è dietro questo comportamento anomalo negli Stati Uniti? Quale impatto maggiore avrà l’epidemia sul modello globale? Ci saranno conflitti tra Cina e Stati Uniti e tra le due parti? Nel contesto attuale, come dovrebbe reagire la Cina? Il nostro giornalista ha recentemente intervistato il generale Qiao Liang, un professore dell’Università di Difesa Nazionale e un famoso esperto militare, su questi temi ardenti.

Gli Stati Uniti contro la Cina

Reporter : Di recente, gli Stati Uniti hanno iniziato a evacuare i cinesi all’estero da molti paesi. Inoltre, le forze armate statunitensi hanno anche mobilitato la base militare di Cheyenne Mountain, richiamato milioni di forze di riserva e avvisato cittadini e soldati statunitensi all’estero. La realtà è che gli Stati Uniti sono diventati il ​​paese più duro del mondo ed è ovviamente più sicuro per gli americani rimanere in paesi stranieri che nel proprio paese. Perché è necessario avviare l’evacuazione cinese all’estero in tali circostanze? Queste circostanze indicano che la “guerra mondiale sta per scoppiare”, che alcuni media considerano non senza fondamento?

Qiao Liang : La mia opinione è esattamente l’opposto su questo tema. Gli Stati Uniti hanno preso queste misure mentre l’epidemia si restringe completamente. Gli Stati Uniti sono un paese molto vigile e penso che queste pratiche siano misure precauzionali tempestive volte a impedire alle persone di trarre vantaggio dall’opportunità di “cospirare” contro gli Stati Uniti. Questo sembra un po ‘ridicolo, perché nessun paese sta attualmente usando il pericolo rappresentato dagli Stati Uniti per preoccuparli. Naturalmente, non si può escludere che le organizzazioni terroristiche possano fare qualcosa, ma è improbabile che la maggior parte dei paesi abbia la capacità di colpire gli Stati Uniti. Sebbene sia certo che nessuno attaccherà gli Stati Uniti, gli Stati Uniti devono tuttavia prendere precauzioni.

Gli Stati Uniti sono attualmente in un’epidemia, non in una crisi economica o di altra natura. La guerra esterna non può risolvere il problema dell’epidemia o distogliere l’attenzione dalla crisi interna. Inoltre, gli Stati Uniti stanno attualmente mobilitando i quattro principali settori economici, oltre 150 basi sono infette e sono state attraccate quattro portaerei e un sottomarino nucleare. Alcuni sostengono che bisogna evitare una scalata agli estremi. Ma il problema è davvero che è possibile arrampicarsi? Quale salita? Questo può mitigare l’epidemia negli Stati Uniti?

Generale Qiao Liang

Alcuni dicono che la guerra di oggi è una questione di alta tecnologia. Gli Stati Uniti hanno un indiscutibile vantaggio nell’alta tecnologia. Non è quindi escluso che possano ancora condurre una guerra ad alta tecnologia di fronte all’epidemia. Questo sembra del tutto ragionevole e persino irrefutabile. Ma l’alta tecnologia dipende dall’industria manifatturiera. Avere capacità di ricerca e sviluppo non si traduce automaticamente in capacità di alta tecnologia e la trasformazione delle capacità di ricerca e sviluppo in mezzi di alta tecnologia è essenziale e dipende da uno dei fattori più importanti che sono le capacità produttive. In altre parole, la battaglia finale rimane manifatturiera. A giudicare dallo stato attuale del settore manifatturiero americano in declino, se oggi vuole fare la guerra in qualsiasi paese, sta esaurendo le sue scorte di armi e attrezzature. Se gli Stati Uniti vogliono combattere il più grande paese manifatturiero dopo che l’industria manifatturiera si è svuotata, come combatteranno? Stanno esaurendo le loro scorte, e se non ci fossero ulteriori aumenti? Questo è ciò di cui gli americani, compresi quelli che sono ottimisti riguardo agli Stati Uniti, devono davvero preoccuparsi oggi.

 

Molte persone non lo vedono, pensando che la forza della scienza e della tecnologia americana possa consentire loro di fare tutto. Il potere scientifico e tecnologico degli Stati Uniti è davvero importante, ma se la ricerca e lo sviluppo non possono essere convertiti in prodotti su larga scala, è in effetti equivalente all’ottenimento di un diploma di potere tecnologico e scientifico senza risolvere il problema. Ad esempio, negli Stati Uniti, il rilevamento degli acidi nucleici del nuovo coronavirus modernizzerebbe sei generazioni di apparecchiature mediche e strumenti più sofisticati di generazione in generazione. Quindi possiamo vedere che il potere scientifico e tecnologico degli Stati Uniti è effettivamente avanzato, ma quanti di questi dispositivi possono produrre? Questa attrezzatura può essere utilizzata dagli americani? Anche se l’apparecchiatura di prova è molto avanzata, per quanto riguarda il sistema medico? Per rilevare questi pazienti, se non ci sono abbastanza attrezzature mediche e non abbastanza ventilatori, il problema non può essere risolto e migliaia di persone dovranno morire.

 

In questa occasione, la società americana Medtronic ha violato completamente i suoi diritti di proprietà intellettuale per il proprio respiratore e ha lasciato che altri paesi lo producessero, in particolare la Cina. Perché ? È perché in questo caso hanno prevalso considerazioni umane e morali? Non nego che esista tale possibilità, ma ciò che è più importante è che gli americani non hanno la capacità di produrre respiratori di cui hanno i brevetti. Di 1.400 parti di ventilatori, oltre 1.100 devono essere prodotti in Cina, compreso il montaggio finale. Questo è il problema degli Stati Uniti oggi. Hanno una tecnologia avanzata, ma non hanno metodi e capacità di produzione, quindi devono fare affidamento sulla produzione cinese.

Lo stesso vale per la guerra. La guerra è ancora un’industria manifatturiera oggi. Alcuni sostengono che la guerra oggi sia uno scontro di reti, il chip è regina. Sì, i chip svolgono un ruolo insostituibile nelle guerre moderne ad alta tecnologia. Ma il chip stesso non può combattere, il chip deve essere installato su varie armi e attrezzature e tutti i tipi di armi e attrezzature devono prima essere prodotti da una forte industria manifatturiera. È noto che gli Stati Uniti hanno fatto affidamento su una forte industria manifatturiera per vincere la prima e la seconda guerra mondiale.

Non c’è niente di sbagliato in questo. Ma gli Stati Uniti hanno ancora un’industria manifatturiera abbastanza forte da vincere la prima e la seconda guerra mondiale? Per mezzo secolo, dopo che il dollaro si è separato dall’oro, gli Stati Uniti hanno gradualmente usato il dollaro per trarre vantaggio dal mondo. In effetti, abbandonarono la loro industria manifatturiera di fascia bassa e gradualmente si trasformarono in un paese di industrie fantasma. Se il mondo è in pace e tutti sono in pace con gli altri, non c’è problema. Gli Stati Uniti stampano dollari americani per acquistare prodotti da tutto il mondo e il mondo intero lavora per gli Stati Uniti. Tutto questo è molto buono Ma in caso di epidemia o guerra, un paese senza industria manifatturiera può essere considerato un paese potente? Anche se gli Stati Uniti continuano ad avere l’alta tecnologia, ad avere dollari e ad avere truppe americane, tutti questi elementi necessitano di supporto produttivo. Senza un’industria manifatturiera, chi supporta la tua alta tecnologia? Chi sostiene il tuo dollaro? Chi sostiene il tuo esercito americano?

 

Leggi anche: Podcast: Taiwan: l’altra Cina

Per contrastare questo, la risposta della Cina è di continuare a mantenere, sviluppare e migliorare la propria industria manifatturiera, non solo per migliorare, ma anche per mantenere la produzione tradizionale. È impossibile modernizzare tutte queste capacità produttive. Se tutti fossero aggiornati e sostituiti, l’industria manifatturiera tradizionale sarebbe abbandonata. Quando gli Stati Uniti hanno bisogno di un gran numero di maschere come oggi, l’intero paese non ha nemmeno una catena di produzione completa. In tali circostanze, non possono rispondere all’epidemia con la stessa forza e rapidità della Cina. Quindi non sottovalutare l’industria manifatturiera di fascia bassa, e non considerare la produzione di fascia alta come l’unico obiettivo dello sviluppo manifatturiero della Cina. Non puoi fare a meno delle abilità di manutenzione e pulizia.

 

Inoltre, dobbiamo anche vedere che l’effettiva campagna anti-epidemica della Cina, oltre alle misure introdotte dal governo, mostra che le misure correttive erano molto tempestive e che la gente era molto cooperativa e che qualcosa prodotto dagli Stati Uniti era vantaggioso, è il ‘Internet. Cose come il pagamento online, la consegna e-commerce e i servizi postali sono nati tutti negli Stati Uniti, ma dove sono nate queste invenzioni americane? In Cina. La Cina ha adottato Internet e Internet of Things, mettendo Internet, in particolare il cloud per l’e-commerce, al servizio della produzione e della vita nella società moderna, e possiamo dire che conduce in quest’area. Sebbene la proprietà intellettuale non sia nelle nostre mani e il root server non sia nelle nostre mani, questo non ci impedisce di utilizzarli al meglio.

 

Ci sono molte ragioni per questo, che sono complesse. Tuttavia, possiamo effettivamente vedere che siamo migliori di altri paesi nell’uso dell’alta tecnologia e delle nuove tecnologie, a causa delle forti capacità di apprendimento dei cinesi. Dobbiamo continuare a coltivare il nostro vantaggio in tal senso. Oltre alle qualità del sistema nazionale, dobbiamo anche imparare dagli altri e quindi applicare ciò che abbiamo imparato per trarne vantaggio. Questa è la nostra forza di fronte a un futuro imprevedibile se scoppierà una nuova epidemia. Dobbiamo mantenerlo.

Leggi anche: Taiwan, tra l’incudine americana e il martello cinese

Industria e delocalizzazione

Giornalista : alcuni media hanno riferito che il sig. Kudlow, presidente della Conferenza economica nazionale della Casa Bianca, ha chiesto il ritiro di tutte le imprese americane dalla Cina e ha affermato che il governo degli Stati Uniti rimborserebbe il 100% del costo del ritorno. dalla Cina. Questo significa che gli Stati Uniti si stanno preparando a “disaccoppiare” dalla Cina e ad accelerare gradualmente il ritmo? Gli Stati Uniti svolgeranno un ruolo positivo nel potenziamento dell’industria manifatturiera locale? Qual è il vero scopo dietro l’incoraggiamento delle aziende nazionali a lasciare la Cina?

Qiao Liang: Secondo me, non è così facile per i paesi sviluppati “disaccoppiare” dalla Cina e riprendere la produzione locale. Il dilemma è che se vuoi riprendere la produzione, devi essere mentalmente preparato, o condividere le stesse difficoltà e dolori con la Cina e ricevere la stessa retribuzione per lo stesso lavoro, in modo che prodotti e manodopera siano allo stesso prezzo della Cina (altrimenti i prodotti non saranno più competitivi della produzione cinese). Ciò equivale a rinunciare all’egemonia del denaro e al potere di fissare i prezzi dei prodotti e di scendere dalla cima della catena alimentare; o continuare ad essere ai vertici della catena alimentare, in modo che il reddito dei dipendenti continui ad essere più di 7 volte quello della Cina, che rende il prodotto non competitivo e le imprese non redditizie. Se si cerca il primo obiettivo, gli Stati Uniti e l’Occidente dovranno tornare al livello dei paesi ordinari, in particolare gli Stati Uniti. Se ciò non è possibile, il ritorno delle industrie manifatturiere negli Stati Uniti e in Occidente sarà solo uno spettacolo della mente.

 

L’argomento secondo cui Vietnam, Filippine, Bangladesh, L’India e altri paesi potrebbero diventare sostituti della manodopera a basso costo in Cina in realtà riguarda solo la popolazione, ma pensa a quale dei paesi di cui sopra ha più lavoratori formati rispetto alla Cina? Anche con i redditi cinesi in aumento di anno in anno, il dividendo del lavoro è esaurito, ma quante risorse umane di fascia media e alta sono state prodotte in Cina negli ultimi 30 anni? Chi ha formato oltre 100 milioni di studenti universitari e universitari? L’energia di questo gruppo di persone è ancora lontana dall’essere rilasciata nello sviluppo economico della Cina. Pertanto, lasciare che manodopera a basso costo proveniente da altri paesi sostituisca il prodotto in Cina è un pio desiderio.

 

Per quanto riguarda coloro che affermano che l’Occidente può utilizzare molti robot per completare la localizzazione della produzione, non si può dire che questa possibilità non esiste, ma se i robot vengono realmente utilizzati per ripristinare la produzione locale negli Stati Uniti o altri paesi occidentali, incluso il Giappone, come risolvere il problema del tasso di occupazione? L’uso di un gran numero di robot significa che una parte maggiore della forza lavoro è disoccupata. La forza lavoro si è ridotta. Cosa dovrebbe fare il governo degli Stati Uniti? E i governi dei paesi occidentali? Hanno davvero i mezzi finanziari per sfamare invano l’esercito di disoccupati di questi diversi paesi? Ma se non li supporti, chi voterà per farti salire al potere? Con ogni evidenza Trump e Abe non hanno riflettuto molto nel sostenere il ritorno delle rispettive aziende in Cina al mercato locale.

 

Gli occidentali sono tutti consapevoli dell’importanza di ripristinare l’industria manifatturiera e sono consapevoli dello stato di sofferenza in cui si trova la loro economia reale. Se questa consapevolezza è reale è un’altra domanda. L’importante è chiedersi: quando un paese come gli Stati Uniti si rende conto che l’industria manifatturiera deve riprendere, può davvero riprendere la produzione? In realtà è molto difficile.

Leggi anche: Cina, Stati Uniti, UE: chi vincerà la guerra?

In effetti, dopo la crisi finanziaria internazionale del 2008, gli Stati Uniti hanno già realizzato le conseguenze del crollo del settore. Né l’attuale epidemia ha evidenziato la dolorosa assenza di industrie manifatturiere che sono gravemente carenti nei mezzi di sussistenza delle persone, ma quanto è facile riprendere la produzione? Dove sono imprenditori, ingegneri e operai specializzati? Il costo del lavoro negli Stati Uniti è 7 volte più alto che in Cina. Come si possono creare profitti aziendali? Anche se il governo taglia le tasse e i dipendenti riducono automaticamente i loro salari a metà, si tratta di misure di emergenza a breve termine. Perché le tasse saranno ridotte, così come le entrate fiscali americane. Come mantenere una forte potenza nazionale e militare? Salari bassi sono possibili in tempi straordinari, sono normalmente? Inoltre, il reddito personale sarà dimezzato e anche i consumi saranno dimezzati. Come aumentare la produzione? Se la produzione non aumenta, il PIL diminuirà, gli Stati Uniti possono mantenere la propria posizione di leader mondiale? A queste domande, Trump non avrebbe dovuto pensare quando ha fatto le promesse discusse sopra. Inoltre, se l’industria manifatturiera ricomincia, i prodotti devono essere venduti e si genererà un surplus e l’egemonia del dollaro può essere ottenuta solo fornendo liquidità al mondo, vale a dire che deve essere accettato attraverso il deficit.

 

La canna da zucchero non è dolce ad entrambe le estremità e per fornire liquidità agli altri, è necessario acquistare i prodotti di altre persone. Ma se fai rivivere l’industria manifatturiera, non devi acquistare i prodotti di altre persone. In questo modo, ci saranno meno dollari che fluiranno verso altri paesi e quando altri paesi scambieranno tra loro, dovranno trovare altre valute. Ci sarà ancora un’egemonia del dollaro? Ancora più importante, la ripresa dell’industria manifatturiera danneggerà gravemente gli interessi dei gruppi di capitali finanziari americani. Cosa può fare Wall Street? Cosa può fare la Fed? L’approccio di Trump è stato diverso da quello dei precedenti presidenti degli Stati Uniti per 50 anni. I precedenti presidenti degli Stati Uniti da 50 anni hanno mantenuto l’egemonia del dollaro e Trump ora vuole rilanciare l’industria manifatturiera. Con uno sguardo così sovversivo negli Stati Uniti, c’è una maggiore possibilità che la finanza e l’economia virtuale non ritornino. Di conseguenza, l’impero è in pericolo.

 

La Cina non ha rinunciato a invadere Taiwan

Reporter : Di recente, Trump ha firmato il Taipei Act [2] , che è stato firmato al momento della nuova epidemia americana di polmonite coronarica. Hanno scelto di intervenire sulla questione di Taiwan in quel momento. Cosa li ha spinti a interferire negli affari interni della Cina? Che impatto avrà sulle relazioni tra Cina e Stati Uniti e sulle relazioni tra le due parti dello stretto? Alcuni media ritengono che l’attuale epidemia negli Stati Uniti sia grave e che non abbiamo più tempo per l’automedicazione. Dobbiamo cogliere l’opportunità offerta per risolvere il problema di Taiwan. Cosa ne pensi ?

Qiao Liang : è il momento migliore per risolvere il problema di Taiwan? La prima cosa da considerare è se la Cina è attualmente in un punto critico nel processo di rinascita nazionale. In questo momento, la Cina sta affrontando una situazione complessa che non è mai stata vista nel mondo moderno, specialmente in una situazione in cui gli Stati Uniti ignorano completamente la Cina. Se stiamo lavorando per risolvere il problema di Taiwan, è possibile che ci perderemo di vista e che ciò potrebbe interrompere il processo di recupero della Cina?

In secondo luogo, la soluzione della questione di Taiwan è in relazione parziale o globale alla grande rivitalizzazione della nazione cinese? Se non viene risolto immediatamente, ciò non lascia tempo per spingere ulteriormente il processo di ringiovanimento nazionale?

Terzo, se lo Stretto di Taiwan andrà in guerra dipende dal numero di azioni intraprese dagli Stati Uniti sulla questione di Taiwan o dall’atteggiamento della Cina. Dipende dal giudizio della Cina sulla situazione internazionale e sulla situazione interna (a mio avviso, il giudizio sul secondo è migliore rispetto al primo)? In quarto luogo, la natura del problema di TaiwanÈ una questione di relazioni sino-americane o è semplicemente una questione di relazioni tra i due paesi? La questione di Taiwan può essere completamente risolta prima che il conflitto tra Cina e Stati Uniti sia risolto? Se è regolato in anticipo, ora sarà il prezzo che la Cina dovrà pagare di più o di meno, e quale sarà l’impatto sul trasporto cinese?

 

Anche se comprendiamo le domande sopra, ci sarà un’altra domanda che ci costringerà a continuare a pensare e rispondere. Sebbene gli Stati Uniti siano nel mezzo di un’epidemia e di difficoltà economiche, ha ancora il potere militare di interferire direttamente o indirettamente nella questione dello Stretto di Taiwan, scegliere Wutong [3]darebbe agli Stati Uniti una buona scusa per bloccare e punire la Cina e tagliarla dal mondo occidentale, offrendo agli americani l’opportunità di mettere da parte i loro problemi e indebolirci perché gli Stati Uniti e la Cina sono ben consapevole che la Cina è ancora fortemente dipendente dalle risorse e dai mercati esteri. Come paese produttore, non possiamo ancora soddisfare la nostra industria manifatturiera con le nostre risorse e fare affidamento sul nostro mercato per digerire i nostri prodotti. Quindi in questo momento, se pensiamo che questa sia la migliore opportunità per riconquistare Taiwan, non sarà una buona cosa anche per gli Stati Uniti e alcuni paesi mal intenzionati? Questi fattori esterni sono anche fattori che dobbiamo prendere pienamente in considerazione nel prendere decisioni.

 

È indubbiamente una buona cosa per i cinesi fare la grande causa della riunificazione, ma è sempre un errore se la cosa giusta viene fatta al momento sbagliato. Possiamo agire solo al momento giusto. Non prendere una decisione stupida che perderà sempre. Non possiamo permettere alla nostra generazione di commettere il peccato di interrompere il processo di rinascita della nazione cinese. Per quanto riguarda la questione territoriale, la maggior parte delle persone ha ancora un pensiero tradizionale, è ancora la sensibilità dei piccoli agricoltori che amano la terra che predomina nell’analisi finale. La sovranità territoriale allargata è considerata sinonimo di sovranità nazionale, ma non può da sola comprendere il pieno significato della sovranità nazionale moderna.

 

Nel mondo di oggi, sovranità economica, sovranità finanziaria, sovranità informatica, sovranità della difesa, sovranità delle risorse, sovranità alimentare, sovranità sugli investimenti, sovranità biologica, sovranità culturale, sovranità del discorso e altri aspetti relativi agli interessi e alla sopravvivenza dei paesi fanno tutti parte della sovranità nazionale. Non pensare che solo la sovranità territoriale sia legata agli interessi fondamentali del Paese. Altre sovranità sono anche i principali interessi fondamentali, a volte persino più prioritari della sovranità territoriale, determinando anche la vita o la morte.

 

Ad esempio, al fine di salvare la propria economia, gli Stati Uniti vendono rapidamente trilioni di valuta estera, in modo che le riserve di valuta estera vengano diluite con acqua. La guerra commerciale ti ha costretto a utilizzare i prodotti fisici a scopo di lucro e ad essere rubato attraverso tariffe più elevate. Gli interessi economici della Cina sono stati fortemente colpiti e la sovranità economica è stata gravemente indebolita, ma non si è nemmeno in grado di proteggerla. In questo momento, anche se hai il potere di proteggere l’integrità territoriale, pensi che tutto vada bene, non puoi considerare altre questioni di sovranità altrettanto importanti, se non più importanti? Chi conosce il problema in questo modo non è una persona veramente moderna.

 

Non sto dicendo che per dire che la questione territoriale non è importante, ma per sottolineare che come persona moderna, dobbiamo capire che altre sovranità del paese sono importanti quanto l’integrità territoriale, e non perderli di vista. La questione territoriale non può essere avanzata in misura maggiore rispetto alle altre sovranità anche se non deve essere trascurata. Ma allo stesso tempo, dobbiamo anche chiederci se la questione dell ‘”indipendenza di Taiwan” potrebbe non portarci troppo lontano se prevediamo una guerra per risolvere questa questione. Con il supporto degli Stati Uniti e dei paesi occidentali, possiamo fare solo qualcosa? Non necessariamente. Per frenare “l’indipendenza di Taiwan”, oltre alle opzioni di guerra, più opzioni devono essere considerate. Possiamo pensare a modi di agire nell’enorme area grigia tra guerra e pace, e possiamo persino pensare a modi più specifici, come l’avvio di operazioni militari che non daranno inizio a una guerra, ma che possono consistere in un uso moderato della forza moderata per scoraggiare “l’indipendenza di Taiwan”.

Leggi anche: Russia e Cina in Eurasia

Alcuni chiedono se l’uso della forza non sia una guerra. Penso che questo sia un evidente fraintendimento. Quando gli Stati Uniti bombardarono l’ambasciata cinese in Jugoslavia o decapitarono il comando delle Guardie rivoluzionarie [4] , si poteva dire che si trattava di una guerra contro la Cina o l’Iran ? No. Ma non è stata un’operazione militare? Sì. Perché usa la forza. Per risolvere i problemi associati alle “operazioni militari non belliche”, dovremmo davvero imparare dagli americani con una mente aperta. Esistono sempre più soluzioni che problemi. C’è un problema e ci possono essere dieci soluzioni. La chiave è come scegliamo la soluzione migliore.

 

Perché formulare l’analisi e il giudizio di cui sopra? Questo perché, secondo me, il Congresso degli Stati Uniti e il governo hanno introdotto la “Legge di Taipei” [5]In questo momento. L’intenzione non è di spingere la Cina ai suoi limiti. È principalmente perché il governo degli Stati Uniti, il Congresso e i responsabili politici sono nei guai negli Stati Uniti, sia che si tratti dei problemi dell’epidemia o di quelli della mancanza di produzione, che è necessario sbarazzarsi di del loro dilemma, e non esiste alcuna soluzione, quindi gli Stati Uniti non possono lasciare la Cina “in pace”, vogliono radunare gli avversari, creare preoccupazioni, sostenere spese energia, fa sì che si disperda e usa questo metodo per darsi l’opportunità di respirare e risparmiare tempo. Allo stesso tempo, questo metodo di dispersione di energia e potere porta a indebolire la nostra forza nazionale e a ostacolare la marcia del progresso.

 

Per quanto riguarda l’impatto sulla Cina, penso che se dobbiamo ballare con i lupi, non dobbiamo ballare al ritmo degli Stati Uniti. Dobbiamo avere il nostro ritmo e persino tentare di romperlo, al fine di minimizzare la sua influenza. Se la potenza americana ha girato il suo bastone, è perché è nella trappola. Non possiamo permettere agli Stati Uniti di scavare pozzi uno per uno per noi (il Taipei Actè l’ultima buca per la Cina), e saltare ai box uno per uno. Invece di saltare nella fossa, devi compensare il suo impatto. Ci sono cose che possiamo ignorare, altre che possiamo ignorare in un modo che agli americani non piace. Gli americani ci stanno facendo domande ora e noi stiamo rispondendo a loro. Ma non possiamo cambiare il nostro modo di pensare, porre anche domande e lasciare che gli americani rispondano? Questi metodi sono tutti modi per compensare l’influenza degli Stati Uniti, incluso il modo in cui usano la questione di Taiwan per influenzarci.

 

L’influenza dell’atteggiamento dei politici americani sui rapporti tra le due parti dello stretto farà sicuramente piacere alle autorità di Tsai Ing-wen [6]. Ma i taiwanesi, incluso Tsai Ing-wen, non si raccontano storie? Fino a che punto gli americani manterranno le loro promesse a Taiwan? Gli americani incoraggiano l’indipendenza di Taiwan, ma ci sarà davvero un rischio di guerra per Taiwan quando l’indipendenza di Taiwan sarà punita mentre il Congresso degli Stati Uniti proclama “non lasceremo mai sanguinare i nostri giovani per la questione di Taiwan “? Per non parlare del fatto che anche se gli americani lasciano davvero versare il sangue dei propri giovani sulla questione di Taiwan, ciò potrebbe non essere sufficiente per contrastare la determinazione e la capacità della Cina di riunire Taiwan. Cosa accadrà all’indipendenza di Taiwan se gli americani non offrono il sangue per Taiwan? Cosa accadrà alle autorità inglesi di Taiwan? In questa fase, Penso che Tsai Ing-wen abbia davvero molto da fare. Fino ad oggi, osa ancora non disegnare apertamente la bandiera di indipendenza di Taiwan e osa fare un piccolo passo avanti, dicendo che Taiwan è in realtà un paese. Ha solo osato andare così lontano, ma non oltre. Poiché andare oltre farà arrabbiare 1,4 miliardi di persone, ciò può avere conseguenze inimmaginabili e disastrose per qualsiasi paese o regione.

 

La Cina deve prima dimostrare determinazione strategica per risolvere il problema di Taiwan, e quindi avere pazienza strategica. Naturalmente, questa premessa è che dobbiamo sviluppare e mantenere la nostra forza strategica per risolvere la questione di Taiwan con la forza in qualsiasi momento.

 

Epidemia e nuovo ordine mondiale

Giornalista : tutti parlano dell’impatto dell’epidemia sul mondo, parlando di eventi importanti come la prima e la seconda guerra mondiale e la disintegrazione dell’Unione Sovietica. Cosa ne pensi di questa affermazione? In che modo l’epidemia cambierà il modello globale?

Qiao Liang : L’impatto dell’epidemia di Nuova polmonite coronarica sul mondo, poiché è un evento attuale ed è ancora in fermentazione, può essere considerato un evento decisivo come quelli conosciuti in passato, e può anche essere decorrelato dalla prima guerra mondiale, dalla seconda guerra mondiale e dalla caduta dell’Unione Sovietica. Tutti questi eventi sono alla stessa altezza. Penso che un simile giudizio sia fondamentalmente fedele ai fatti, e non è un’esagerazione, ma la maggior parte delle persone non lo vede.

 

In effetti, il nuovo coronavirus stesso non ha un effetto così grande. Almeno finora, non è stato così tragico come la prima e la seconda guerra mondiale, che tuttavia non hanno potuto cambiare il panorama internazionale dall’oggi al domani, come il crollo dell’Unione Sovietica. Non è la prima volta che gli umani affrontano un’epidemia e non tutte le epidemie determinano un cambiamento così significativo. Per qualsiasi modifica, la causa esterna è il fattore scatenante e la causa interna è il fattore decisivo. Questa epidemia è solo l’ultima goccia d’acqua che schiaccerà questo ciclo di globalizzazione e la forza trainante della globalizzazione.

 

Se questa epidemia si verificasse negli anni ’50 e ’60, penseremmo davvero che metterebbe gli Stati Uniti in tale imbarazzo e l’Europa in tale imbarazzo? Perché l’epidemia che si sta verificando oggi è così imbarazzante per tutto il mondo occidentale? Il punto non è sapere quanto sia terribile l’epidemia, ma rendersi conto che sia gli Stati Uniti che l’Occidente hanno avuto il loro periodo di massimo splendore e che oggi si trovano ad affrontare questa crisi. epidemia mentre diminuiscono. L’epidemia arriva in questo momento, e anche se è solo un ramoscello, può rompere la parte posteriore del cammello che sta già avendo problemi a camminare. Questa è la ragione più profonda.

 

Perché i paesi occidentali hanno fatto questo passo? Possiamo pensarci. Nell’ultimo mezzo secolo, gli Stati Uniti hanno aperto la strada, seguiti dall’Europa e dal mondo occidentale, hanno intrapreso un percorso economico virtuale e hanno gradualmente abbandonato l’economia reale. Per questi paesi, questa tendenza può sembrare un vantaggio che i paesi sviluppati ottengono per nulla, ma in realtà ha iniziato la loro linfa vitale. È in effetti lo stesso motivo per cui l’antica Roma è gradualmente crollata durante il periodo successivo a causa della sua arroganza e stravaganza, che alla fine ha portato al crollo dell’impero.

 

Penso che dopo l’epidemia, gli Stati Uniti e i paesi occidentali cercheranno sicuramente di rimettersi in piedi. Molte persone si fidano ancora degli Stati Uniti e dei paesi occidentali, cioè credono di avere una forte capacità di correggere gli errori, ma è possibile solo correggere gli errori ‘con sufficiente forza economica e fiducia. In passato, gli americani hanno corretto gli errori e non si sono mai lamentati degli altri. Ora che gli americani non possono più correggere i propri errori, stanno iniziando a spostare la colpa sugli altri. Anche i paesi occidentali hanno restituito la palla alla Cina e persino alcuni dei nostri paesi di origine amichevoli si sono trovati nella stessa situazione e hanno fatto lo stesso. Il motivo di base è che a chiunque non abbia la capacità di correggere gli errori automaticamente piace lanciare la palla. Fantasticano che è semplicemente impossibile ripristinare la propria economia e respingere le responsabilità in modo che possano essere riparate e corrette. In effetti, gli occidentali dovrebbero pensare a molti aspetti di questa sequenza, incluso il loro sistema medico e il loro sistema di valori. Di fronte all’epidemia, questi sistemi erano quasi indifesi e indifesi. Qual è la ragione ? Se non riesci a capirlo, puoi risolvere il problema semplicemente spostando la responsabilità in Cina? Proprio come la guerra non può essere usata per sconfiggere l’epidemia, è anche impossibile restituire la palla per correggere i propri errori.

 

Penso che l’Occidente impiegherà almeno una dozzina di mesi o due anni dopo l’epidemia per riparare la propria economia e riparare il proprio trauma. In questo processo, le cosiddette responsabilità e richieste nei confronti della Cina sono tutte fantasiose e alla fine scompariranno di fronte a una situazione post-epidemia più grave. La Cina dovrebbe avere abbastanza fiducia in se stessa da sapere che finché può rimanere abbastanza forte e mantenere tenacemente le sue capacità di produzione, nessuno può danneggiarlo.

 

Quando gli Stati Uniti sono forti, chi può accusarli della diffusione dell’AIDS? La gente non ha accusato gli Stati Uniti perché le forze di spedizione americane hanno portato in Europa l’influenza scoppiata negli Stati Uniti alla fine della prima guerra mondiale e che alla fine fu chiamata influenza spagnola. Perché nessuno ha incolpato gli Stati Uniti? Fu a causa della forza degli Stati Uniti in quel momento. Finché la Cina rimane sempre più forte, nessuno può abbatterla con le cosiddette rivendicazioni di responsabilità. La Cina dovrebbe avere fiducia in esso.

 

Fonte: questo articolo è stato pubblicato nel numero di maggio 2020 della rivista Bauhinia

 

Appunti

[1] https://en.wikipedia.org/wiki/Taiwan_Allies_International_Protection_and_Enhancement_Initiative_Act

[2]     https://www.congress.gov/bill/116th-congress/senate-bill/1678/text

[3] Il     monte Wutong, che culmina a 944 m, situato nella provincia del Guangdong, sulla costa, vicino a Shenzen, si affaccia geograficamente ad Hong Kong Taiwan nel Mar Cinese Meridionale. L’espressione qui può riferirsi al fatto di tenere gli occhi fissi su Taiwan, persino di intervenire lì.

[4] Possiamo supporre che questo sia un riferimento all’eliminazione da parte del drone di Qassem Soleimani il 3 gennaio 2020 da parte dell’esercito americano

[5]     Oltre all’iniziativa americana, possiamo anche citare la legge adottata a Taiwan nel gennaio 2020: https://www.asie21.com/2020/03/10/taiwan-etats-unis-chine-les-etats united-weave-their-web-for-total-disaccoppiamento / # altro-16985

[6]     Presidente della Repubblica di Taiwan dal 20 maggio 2016 e bête noire di Pechino

https://www.revueconflits.com/general-qiao-liang-hegemonie-chine-laurent-gayard/

Commentario all’intervista ad Antonio de Martini. Contro la superstizione.., di Massimo Morigi

Commentario all’intervista ad Antonio de Martini di Giuseppe Germinario. Contro la superstizione ed oltre il coronavirus per un nuovo posizionamento internazionale dell’Italia

 

Di Massimo Morigi

 

In data 17 aprile 2020 il blog di geopolitica “L’Italia e il Mondo” ha pubblicato la videointervista Conversazione fra Giuseppe Germinario e Antonio de Martini. Crisi epidemica, implicazioni, conseguenze, opzioni politiche. L’URL dell’ “Italia e il Mondo” presso il quale si può prendere visione dell’intervista è http://italiaeilmondo.com/2020/04/17/le-nuove-strade-aperte-dal-coronavirus-con-antonio-de-martini/#disqus_thread come è pure possibile visionare il documento presso YouTube all’URL https://www.youtube.com/watch?time_continue=5937&v=lEMtpmevFJU&feature=emb_logo.  Nell’augurio che l’ “Italia e il Mondo” protragga in saecula saeculorum la sua opera di risveglio del pensiero geopolitico e che la prima piattaforma commerciale di condivisione di documenti audiovisivi tenga a bada la sua natura commerciale, cioè non decida di punto in bianco di eliminare quei documenti che possono vantare meno contatti e quindi di scarsa potenzialità pubblicitaria, ma anche alla luce di un elementare principio di cautela, vista la fondamentale importanza dell’intervista per lo sviluppo del dibattito e (si spera) dell’azione per raddrizzare la schiena del nostro paese, piegata per ultimo dal coronavirus ma della cui tragica condizione  questo agente patogeno è solo la classica goccia che fa traboccare il vaso, dopo  scaricamento dell’intervista si è provveduto al suo ricaricamento presso il maggiore e più prestigioso archivio senza scopo di lucro di raccolta di documentazione digitale, generando così gli URL di Internet Archive  https://archive.org/details/y-2mate.com-le-nuove-strade-aperte-dal-coronavirus-con-antonio-de-martini-l-emtpmev-fju-360p-1  e https://ia801401.us.archive.org/5/items/y-2mate.com-le-nuove-strade-aperte-dal-coronavirus-con-antonio-de-martini-l-emtpmev-fju-360p-1/y2mate.com%20-%20Le%20nuove%20strade%20aperte%20dal%20coronavirus%2C%20con%20Antonio%20de%20Martini_lEMtpmevFJU_360p%20%281%29.mp4, presso i quali non solo l’intervista può essere ugualmente apprezzata ma soprattutto, si spera, il fondamentale documento possa superare quella marxiana “critica rodente dei topi”, nel presente caso non più i piccoli roditori che metaforicamente assalirono l’ Ideologia tedesca ma i ben più temibili e reali roditori dell’universo internettiano che fanno sì che, o per ragioni di sfinimento personale di chi mantiene ed organizza pur fondamentali siti in Rete (e lo ripetiamo per l’ennesima volta, cento di questi giorni all’ “Italia e il Mondo” uno dei pochissimi siti che nel panorama Italiano ed internazionale sappia senza estremismi ma anche senza timidezze dare diffusione ad una concreta cultura politica realista) o per ragioni di bieco tornaconto commerciale (i. e. YouTube e fratellini imitatori) questi documenti, non importa il loro valore, in media abbiano una aspettativa di vita di non più di cinque anni. Tuttavia, siccome dello spirito della Conversazione fra Giuseppe Germinario e Antonio de Martini tutto si può dire (e dal nostro punto di vista non se ne può dire che bene) tranne che sia animata da un malintesa ambizione di passare ai posteri ma è, invece, tutta protesa a fornire concrete indicazioni per il presente, noi che invece ben volentieri gli accordiamo la qualità definita dall’oraziano Exegi monvmentvm aere perennivs, veniamo ora ad enuclearne i  passaggi principali. Se si volesse dare una definizione filosofico-politica della conversazione, definizione che con questo attributo iniziale immaginiamo desti già un moto di ripulsa allo spirito concretissimo (ed acutissimo) di de Martini, si potrebbe dire che essa, al di là della contingenza del coronavirus, non è altro che un dialogo contro la superstizione. Giustificheremo fra poco questa affermazione, apparentemente sorprendente visto che la parola ‘superstizione’ non viene pronunciata una sola volta nel corso del lungo scambio di battute, più di un’ora e tre quarti, fra Antonio de Martini e Giuseppe Germinario. L’intervista inizia con un excursus storico di de Martini sulle epidemie medievali del Vecchio continente, resoconto di de Martini del quale non facciamo il sunto completo perché non si vuole togliere il piacere a chi lo voglia conoscere di apprenderlo dalle vive (ed espressivamente vivaci, il che non guasta) parole dell’intervistato ma dalle quali si nota già dal breve accenno che segue  l’abissale scarto rispetto alle attuali narrazioni sul coronavirus che ad ogni piè sospinto ci vengono giornalmente propinate dall’attuale tristo sistema di informazione di massa. Ma come, al posto del parere dell’immancabile versipelle virologo e/o epidemiologo di turno, de Martini ci riferisce di un Visir di Granada  che nel XIV secolo aveva riconosciuto la natura contagiosa della peste e che alla luce di questa consapevolezza aveva preso opportune ed efficaci misura di quarantena. Ma come, al posto delle supercazzole e delle c…te sesquipedali sui cambiamenti climatici  che avrebbero favorito la diffusione e persino la nascita dell’attuale morbo (sempre a cura dei soliti superesperti virologi e/o epidemiologi da pronto intervento di rimbambimento delle masse, corpi  d’ élite e d’assalto del thumberghismo di massa) sempre de martini ci riferisce che un tal’altro Visir coevo al primo pensava invece alla peste come una sorta di punizione divina e si rifiutava di prendere provvedimenti efficaci (oggi,  ci permettiamo noi di integrare il ragionamento di de Martini ma senza tema di stravolgerlo nella sua saggezza storicistica,  siccome siamo definitivamente secolarizzati, caduta la punizione divina, c’è invece la punizione di Gea, il pianeta vivente, una bella mossa à la Thumberg per installare fra le masse un senso di colpa in versione anticonsumista e oscurare la realtà di una peste sorta per una globalizzazione senza regole e favorita dal sempre più marcato infiacchimento dello Stato nella sua capacità di controllo del territorio e della salute pubblica, una senso di colpa anticonsumistico  le cui irrazionali involuzioni psicologiche   non sono più le classiche espiazioni corporali medievali o l’inettitudine  del secondo Visir  ma la sotterraneamente esaltata dai mass media come momento catartico tragica compressione dei consumi tramite le odierne apparentemente scientifiche italiche quarantene generalizzate – in realtà,  e per fortuna, solo una tragica parodia di quelle ben più serie e totalitarie made in China –  che assieme al morbo rischiano anche di fare scomparire il paziente, ma tant’è).  Ma, il gustosissimo excursus storico di de Martini che, proprio per la sua mentalità storico-storicista, fa intrinsecamente piazza pulita di un approccio alla situazione espertocentrica, non è altro che la premessa al nucleo duro dell’intervista, che non ruota attorno a considerazioni epidemiologiche, virali (o presunte tali) ma vuole svolgere una radicale riflessione in merito all’attuale collocamento internazionale dell’Italia, argomento, in ultima analisi, assai più importante dell’attuale crisi sanitaria e dall’impostazione del quale dipendono – questo il parere di de Martini e, modestamente anche il nostro – anche gli esiti della fuoruscita più o meno positiva dell’Italia dall’attuale crisi sanitaria. Detto in estrema sintesi. De Martini ritiene che sia giunta l’ora di prendere il toro per le corna ed approfittare dell’attuale crisi dell’Unione europea, evidenziata come non mai dalla crisi del coronavirus, per cercare di stringere un’alleanza sempre più stretta, economica, monetaria, politica e militare, con coloro che hanno girato le spalle alla UE, cioè con il Regno Unito (in questa nuova alleanza foriera di uno spacchettamento in direzione atlantica di parte del Vecchio continente – ma, grande novità rispetto all’egemonismo monocratico statunitense nato nel secondo dopoguerra, via quella che de Martini continua icasticamente, e con grande realismo politico,  a chiamare la “perfida Albione” – delle nazioni meridionali del Vecchio continente, l’Italia, sempre sue icastiche e colorite parole, «deve mettere la trippa e l’Inghilterra le ossa» e dove la trippa dovrebbe essere e la posizione strategica dell’Italia nel Mediterraneo e, soprattutto, la sua capacità –  per la verità allo stato solo potenziale e derivante dalla sua  grande tradizione di realismo politico unita ad una fine ed unica mentalità dialettico-universalistica di marca cattolica e dalle sue realizzazioni risorgimentali ma non altrettanto, purtroppo, dagli ultimi settant’anni di vita repubblicana andanti in senso diametralmente opposto a questi grandi lasciti – di recitare, anche se di concerto con gli altri paesi del sud Europa, un ruolo egemonico e di traino in questo riorientamento strategico; mentre le ossa britanniche sarebbero  le sue capacità e pulsioni imperialistiche mai sopite, “perfida Albione”, appunto: non si potrebbe immaginare linguaggio ed approccio mentale più lontani dall’odierna “pappa del cuore” che impera nell’attuale pensiero politico, diffuso poi a rincoglionimento delle masse dai grandi mezzi di informazione). Si può essere più o meno d’accordo con questa radicalità di pensiero, ma quello che qui conta è che, contrariamente alla informazione massificata, questa intervista si presenta come una delle rarissime occasioni non sprecate di cui sono a conoscenza per riflessioni politiche e strategiche  sul coronavirus  che non facciano perno sui soliti esperti d’avanspettacolo, che poi, come si è visto, esperti non lo sono per niente (in primis, ovviamente, i soliti virologi, ma last but not the least, anzi, i soliti pensatori mainstream di destra o sinistra non importa che ora non sanno far altro che  tacere o dare a ragione a questo o a quel virologo a seconda che questi sia più o meno favorevole ad un più o meno radicale blocco delle attività produttive, blocco plaudito dal pensatore di sinistra, avversato da quello più a destra: ma come si diceva una volta, il problema è politico e non certo tecnico-sanitario, e ora  come non mai l’attuale occupazione della  carica di Presidente del Consiglio da parte di un  personaggio che esprime lo zero assoluto del ‘politico” e la perfetta incarnazione, attraverso i suoi Dpcm sanitari, dello schmittiano “legislatore motorizzato” dimostra la verità di questo assunto). Ed affermando che, a scanso di equivoci, io sono personalmente totalmente d’accordo anche con questa parte più direttamente politica dell’intervista a de Martini, vengo per ultimo a giustificare l’affermazione  iniziale che l’intervista è un dialogo adversus suspertitionem. Lasciando ai lettori il piacere di completare tutti i passaggi del ragionamento, limitiamoci qui ad affermare che il significato etimologico di ‘superstizione’ ci indica la credenza che vi siano momenti e/o istanze superiori –  o, meglio, presunte tali –  di fronte al quale l’uomo, soprattutto quello comune e non vicino ai misteri, sacri o profani che siano, deve chinare la testa. L’intervista a de Martini è un potentissimo farmaco contro la moderna superstizione scientifica essendo formata ed informata al superiore pensiero storico-strategico, l’unica forma mentis ed agendi che diede inizio all’ evoluzione da ominide a homo sapiens e, nello specifico, l’unica Weltanschauung-filosofia della prassi che non solo  può permettere al nostro paese di non uscire completamente distrutto dall’attuale morbo ma anche di liberarsi dai morbi ideologici democraticistici  degli ultimi settant’anni (verso i quali, vedi sempre l’intervista,  de Martini nutre, e a ragione, una profondissima avversione). Sulle forme politiche ed organizzative di come questo pensiero storico-strategico certamente all’altezza di un mondo sempre più violentemente policentrico e dinamico possa concretamente prendere la direzione indicata da Antonio de Martini, come da consolidata esortazione di prammatica, si dichiara aperto il dibattito (e  ancora più auspicabilmente l’azione)  e, per ora, proprio per questo de hoc satis

 

Massimo Morigi – 26 aprile 2020

 

 

 

 

 

 

 

Coronavirus_Qualche risposta ai tanti perché, a cura di Giuseppe Germinario

Proseguiamo con la nostra carrellata sui diversi approcci alla crisi pandemica adottati dai vari paesi e spesso dalle varie regioni all’interno di essi. All’articolo iniziale (iniziatico?) di Roberto Buffagni, al podcast di Gianfranco Campa, agli elzeviri di Massimo Morigi, ai contributi preziosissimi di Giuseppe Imbalzano, alle riflessioni di T.K. de la Grange, ai contributi esterni, tutti raccolti in un apposito dossier, segue questo articolo dedicato alla Germania. Una modalità di azione sottotraccia quella adottata dal ceto politico e dalla classe dirigente dominanti di quel paese. Una costante delle tattiche adottate a partire dalla disastrosa disfatta militare del ’45. A cominciare dalla manipolazione di dati poco realistici. Non si tratta solo della casuale disparità dei criteri di rilevazione frutto ed indice della eterogeneità insopprimibile della galassia europea ed europeista e delle sue esigenze politiche. E’ probabilmente un accorgimento, certamente meno guascone rispetto a quello adottato dai francesi, teso a contenere l’allarmismo e il rischio di destabilizzazione interna, a giustificare misure meno draconiane e meno selettive nell’ambito delle relazioni sociali e soprattutto economiche e a porre, quindi, il paese in una posizione migliore rispetto a quella di paesi dai comportamenti più schizofrenici e massivi nell’agone internazionale, in particolare geoeconomico. Pur tuttavia, non si tratta di un mero espediente. L’articolo qui in basso rivela chiaramente anche il substrato di una gestione della crisi pandemica decisamente più accorta e preveggente sia nelle modalità operative che nella tempistica adottate. Probabilmente queste misure, in aggiunta alla annunciata valanga di sovvenzioni e di protezioni del proprio apparato economico, non saranno sufficienti a parare i terribili colpi di là da venire. La Germania è un paese troppo controllato, subordinato politicamente e militarmente, con una area di influenza diretta in un Est Europeo legato di contro a doppio filo piuttosto agli statunitensi ed una economia dai volumi e da una organizzazione impressionante, ma tecnologicamente poco innovativa e troppo vulnerabile dal punto di vista finanziario, troppo legata ai settori più speculativi della finanza anglosassone, troppo esposta alle crescenti instabilità e chiusure del commercio internazionale. Se a questo si aggiunge la sua atavica propensione a confondere le mire egemoniche in Europa con la predazione e l’annichilimento puri e semplici dei propri “fratelli europei” specie latini, non ci vorrà molto a valutare la effettiva dimensione e le conseguenze del suo progressivo e fatale isolamento. Al suo cospetto rifulge ancora di più la drammatica e sconsolante condizione nella quale si sta progressivamente cacciando il nostro paese. Un paese ormai da trenta anni dilaniato da conflitti politici tanto più virulenti quanto più privi di strategie e tattiche in grado di offrire prospettive nazionali dignitose e autonome. Un salto di qualità mancato e un degrado già ben avviato negli anni ’80 ma che ha conosciuto la propria apoteosi con l’epurazione di Tangentopoli e il progressivo emergere di un ceto politico particolarmente abile nell’annichilire ed asservire gli apparati e le competenze pubblici alle proprie baruffe di fazione. Una sterilità ed una miseria che ha trovato una ulteriore occasione di prevaricazione con questa crisi pandemica. Uno scontro ormai sordo e feroce disposto a sacrificare e strumentalizzare la stessa dedizione ed il coraggio manifestati dalle categorie professionali chiamate ad affrontare i rischi della crisi sanitaria. Uno scontro asimmetrico nella posizione dei belligeranti che lascia presagire la prevalenza di una fazione, quella più compromessa politicamente ma meno esposta amministrativamente, piuttosto che la possibilità di una emersione di una nuova classe dirigente o quantomeno di una vecchia almeno rinsavita, più accorta e autorevole. Da una parte le forze della maggioranza governativa detengono il controllo e quindi la più grave responsabilità politica di una gestione a dir poco contraddittoria e intempestiva della crisi. Appunto una responsabilità politica che facilmente potrà sfuggire alle pendenze giudiziarie e ai desideri di rivalsa delle vittime della mala conduzione che già si manifestano numerosi. Una elusione delle responsabilità  culminata nella mancata avocazione di poteri speciali, nella assenza di direttive univoche e cogenti, nella sovrapposizione di incarichi esecutivi a persone chiaramente inadatte e spesso compromesse con il processo di debilitazione delle strutture pubbliche. Figure di secondo piano destinate a non oscurare il futuro politico dei protagonisti e una insipienza a suo modo funzionale a scaricare le responsabilità sui centri amministrativi più esposti. Un rituale del cerino acceso destinato a rimanere in mano ai responsabili regionali e amministrativi. Lo stesso gioco se si vuole che, a parti rovesciate, sta probabilmente giocando Trump con i suoi avversari democratici, impelagati nel focolaio epidemico di New York. Ma con una differenza sostanziale: gli Stati Uniti sono appunto una Federazione di Stati, non di regioni dalle competenze sovrapposte. Dall’altra una opposizione, in particolare la Lega, sua componente maggioritaria, reduce già da numerosi e clamorosi errori politici che ne hanno minato credibilità e sicumera e gestore a buon titolo di una regione, il Veneto, capace di affrontare decorosamente l’emergenza, ma anche della Lombardia, epicentro della epidemia e degli errori di gestione più marchiani e dolorosi. Nei tempi ravvicinati vincerà probabilmente chi detiene il pallino dei mezzi di comunicazione e chi potrà eludere l’agorà giudiziaria. Su questo il centrosinistra è chiaramente avvantaggiato di parecchie spanne. Bisogna dar atto della resistenza di Conte alle profferte capziose degli ologrammi di Bruxelles di utilizzo dei fondi del MES e di prestiti obbligazionari con garanzie dei singoli stati; come pure del tentativo di fronte comune dei paesi mediterranei. Tentativo per altro già messo in forse dal comportamento ambiguo e subdolo di Macron, quindi della Francia. La partita non è ancora chiusa; qualche incrinatura si intravede anche nella stessa Germania e Olanda. L’esempio preclaro della devastazione della Grecia e del vacuo successo del miracolo spagnolo sono un avvertimento, un incubo chiaro più alle popolazioni che alle élites dominanti. Lo scontro all’ultimo sangue tra reciproche debolezze, il nocciolo dell’acceso scontro politico in Italia, non lascia presagire molto di buono. I ricatti, le minacce e le ritorsioni possono essere il preludio ad un ennesimo e clamoroso cedimento, ad una definitiva capitolazione seguiti da proteste ed opposizioni di comodo. Vedremo cosa succederà domani, 7 aprile. Sorge a questo punto un interrogativo angosciante. Come possono forze politiche paralizzate da una crisi sanitaria tutto sommato circoscrivibile, se gestita a suo tempo con maggiore accortezza, contrattare al meglio la propria posizione in Europa o gestire il piano B della uscita dall’euro e dalla attuale Unione Europea senza cadere in una visione assistenzialistica e parassitaria, residuale apparentemente alternativa all’attuale? Già in almeno tre occasioni l’attuale ceto politico è mancato all’appuntamento, a volte persino offerto, negli ultimi tre anni. La stessa sottovalutazione delle implicazioni geopolitiche del comunque ben accetto sostegno umanitario lascia intravedere il pressapochismo dei passi intrapresi. Si blatera tanto di volerci liberare della signoria statunitense, ignorandone le pesanti implicazioni; in realtà si fa fatica a liberarsi persino dalle angherie e dalle grettezze del suo maggiordomo tedesco, non ostante le spinte e gli incoraggiamenti nemmeno troppo velati a saltare il fosso. Al peggio non si intravede la fine. Scusate lo sfogo. Non saremo profeti in patria, almeno in Russia hanno avuto modo di apprezzare e riconoscere la competenza professionale dell’esperto che su questo blog ci ha illuminato di cotanta sagacia e supponenza nazionali. Un sincero augurio per la nuova avventura. Giuseppe Germinario

Ecco perché in Germania si muore molto meno per coronavirus rispetto all’Italia

In Germania il tasso di letalità è 1,4%, in Italia 12,5%

In Germania la percentuale delle persone che muoiono per coronavirus è bassissima rispetto ai casi rilevati in confronto alle percentuali di letalità indicate dai dati ufficiali in Italia. In parte la differenza può essere provocata da dati ufficiali poco affidabili. Ma questa da sola non può essere una spiegazione sufficiente.

Una inchiesta del NYT di cui riportiamo la traduzione di ampi stralci ci aiuta a capire perché. Ne emerge purtroppo un quadro impietoso per l’Italia

I “corona-taxi”

Heidelberg, Germania. Li chiamano “taxi corona”: medici equipaggiati con indumenti protettivi guidano per le strade deserte per controllare i pazienti che sono a casa. Prendono l’esame del sangue cercando segni che il paziente possa avere il covid19 e che le sue condizioni possano aggravarsi. Possono suggerire il ricovero in ospedale anche a un paziente che ha solo sintomi lievi: le possibilità di sopravvivere sono notevolmente più alte se si affronta il virus all’inizio.

I taxi corona di Heidelberg sono solo una delle iniziative. Ma illustrano un livello di impegno di risorse pubbliche nella lotta contro l’epidemia che aiuta a spiegare uno degli enigmi più intriganti della pandemia: perché il tasso di mortalità della Germania è così basso?

Un tasso di letalità inferiore di 9 volte a quello dell’Italia

Il virus e la malattia risultante, Covid-19, hanno colpito la Germania con forza: secondo la Johns Hopkins University il paese ha più di 90.000 infezioni confermate in laboratorio al 4 di aprile, più di qualsiasi altro paese tranne gli Stati Uniti, l’Italia e Spagna.

Ma con circa 1.300 morti, il tasso di letalità in Germania si attesta all’1,4 per cento, rispetto al 12,5 per cento in Italia, a circa il 10 per cento in Spagna, Francia e Gran Bretagna, al 4 per cento in Cina e al 2,5 per cento negli Stati Uniti. Anche la Corea del Sud, un modello di riferimento internazionale per la lotta al covid19, ha un tasso di letalità più elevato, l’1,7 per cento.

“Si è parlato di un’anomalia tedesca”, ha detto Hendrik Streeck, direttore dell’Istituto di virologia presso l’ospedale universitario di Bonn. Il professor Streeck ha ricevuto chiamate di colleghi dagli Stati Uniti e altrove. “‘Che cosa stai facendo diversamente?” mi chiedono. “Perché il tuo tasso di letalità è così basso?”

Ci sono diverse risposte dicono gli esperti, differenze molto reali nel modo in cui il paese ha affrontato l’epidemia rispetto ad altri.

Molti più test = molti casi rilevati in tempo

Una delle spiegazioni per il basso tasso di letalità è che la Germania ha testato molte più persone rispetto alla maggior parte delle nazioni. Ciò significa che individua più persone con pochi o nessun sintomo, anche tra i più giovani, aumentando il numero di casi noti ma non il numero di vittime.

Una delle conseguenze del gran numero di test è che l’età media delle persone rilevate come infette è inferiore in Germania rispetto a molti altri paesi. Molti dei primi pazienti hanno preso il virus nelle stazioni sciistiche austriache e italiane ed erano relativamente giovani e sani, ha detto il professor Kräusslich. “È iniziato come un’epidemia di sciatori”, ha affermato.

Poi con il diffondersi delle infezioni, sono state colpite più persone anziane e anche il tasso di letalità, solo lo 0,2 per cento due settimane fa, è aumentato. Ma l’età media di chi si sa che contrae la malattia rimane relativamente bassa, 49 anni in Germania, mentre in Italia è 62 anni secondo i rapporti ufficiali.

La Germania sta conducendo circa 350.000 test di coronavirus a settimana, (oltre 3 volte di più che in Italia) e comunque molto più di qualsiasi altro paese europeo. Test precoci e diffusi hanno permesso alle autorità di rallentare la diffusione della pandemia isolando i casi infettivi. Ha inoltre consentito di somministrare il trattamento salvavita in modo più tempestivo.

Preparati in anticipo alla pandemia

A metà gennaio, molto prima che la maggior parte dei tedeschi pensasse al virus, l’ospedale Charité di Berlino aveva già sviluppato un test e pubblicato la formula online.
Quando la Germania registrò il suo primo caso di Covid-19 a febbraio, i laboratori di tutto il paese avevano accumulato uno stock di kit di test.

Diagnosi precoci = meno morti

“Il motivo per cui in Germania abbiamo così poche morti al momento rispetto al numero di infetti può essere ampiamente spiegato dal fatto che stiamo facendo un numero estremamente elevato di diagnosi di laboratorio”, ha affermato il dott. Christian Drosten, capo virologo di Charité , il cui team ha sviluppato il primo test.

“Quando ho una diagnosi precoce e posso curare precocemente i pazienti (ad esempio collegarli a un ventilatore prima che le loro condizioni si deteriorino) – le possibilità di sopravvivenza sono molto più elevate”, ha affermato il professor Kräusslich.

Costanti test al personale medico

Il personale medico, particolarmente a rischio di contrarre e diffondere il virus, viene regolarmente testato. Per semplificare la procedura, alcuni ospedali hanno iniziato a eseguire test di blocco, utilizzando i tamponi di 10 dipendenti e dando seguito a test individuali solo se si riscontra un risultato positivo.

Da aprile test gratuiti su larga scala per trovare i possibili focolai

Alla fine di aprile, le autorità sanitarie hanno anche in programma di lanciare uno studio su larga scala, testando campioni casuali di 100.000 persone in Germania ogni settimana per valutare dove si sta accumulando immunità.

Una chiave per garantire test su larga scala è che i pazienti non pagano nulla per questo, ha affermato il professor Streeck. Questa, ha detto, è una notevole differenza con gli Stati Uniti nelle prime settimane dell’epidemia. “È improbabile che negli USA un giovane senza assicurazione sanitaria e prurito alla gola si rechi dal medico e quindi rischia di infettare più persone”, ha affermato.

Il caso della scuola di Bonn

Un venerdì di fine febbraio, il professor Streeck ha ricevuto la notizia che un paziente del suo ospedale di Bonn si era rivelato positivo per il coronavirus: un uomo di 22 anni che non aveva sintomi ma il cui datore di lavoro (una scuola) gli aveva chiesto di fare un test dopo aver saputo che aveva preso parte a un evento di carnevale in cui qualcun altro si era dimostrato positivo.

Nella maggior parte dei paesi, compresi Italia e Stati Uniti, i test sono in gran parte limitati ai pazienti più malati, quindi probabilmente all’uomo sarebbe stato rifiutato un test.

Non in Germania. Non appena i risultati del test sono arrivati, la scuola è stata chiusa e a tutti i bambini e il personale è stato ordinato di rimanere a casa con le loro famiglie per due settimane. Sono state testate circa 235 persone.

Test e monitoraggio sono la strategia che ha avuto successo in Corea del Sud e abbiamo cercato di imparare da ciò”, ha affermato il professor Streeck.

La Germania ha anche imparato a correggere i propri errori presto: la strategia di tracciamento dei contatti avrebbe dovuto essere utilizzata in modo ancora più aggressivo, ha affermato.

Tutti quelli che erano tornati in Germania da Ischgl, una stazione sciistica austriaca che aveva avuto un focolaio, per esempio, avrebbero dovuto essere rintracciati e testati, ha detto il professor Streeck e non lo abbiamo fatto ma poi abbiamo imparato.

Un robusto sistema di assistenza sanitaria pubblica

Prima della pandemia di coronavirus in tutta la Germania, l’ospedale universitario di Giessen aveva 173 letti di terapia intensiva dotati di ventilatori. Nelle ultime settimane, l’ospedale ha cercato di creare altri 40 posti letto e ha aumentato il personale che era in standby per lavorare in terapia intensiva fino al 50%.

“Abbiamo così tanta capacità ora che stiamo accettando pazienti da Italia, Spagna e Francia”, ha dichiarato Susanne Herold, specialista in infezioni polmonari che ha supervisionato la ristrutturazione. “Siamo molto forti nell’area della terapia intensiva.”

In tutta la Germania, gli ospedali hanno ampliato le loro capacità di terapia intensiva e sono partiti da un livello elevato. A gennaio la Germania aveva circa 28.000 letti di terapia intensiva dotati di ventilatori, cioè 34 ogni 100.000 persone, quasi 3 volte di più che in Italia dove il rapporto è di 12 ogni 100.000 persone.

Ora ci sono 40.000 letti di terapia intensiva disponibili in Germania.

Fiducia nel governo

La cancelliera Angela Merkel ha comunicato in modo chiaro, calmo e regolare durante la crisi, imponendo misure di distanziamento sociale sempre più rigorose nel paese. Le restrizioni, che sono state cruciali per rallentare la diffusione della pandemia, hanno incontrato poca opposizione politica e sono ampiamente seguite.

Le valutazioni di approvazione verso la Merkel sono aumentate vertiginosamente.

“Forse la nostra più grande forza in Germania”, ha affermato il professor Kräusslich, “è il processo decisionale razionale ai massimi livelli di governo combinato con la fiducia di cui il governo gode nella popolazione”.

Una fiducia che riesce a guadagnarsi grazie ai fatti.

https://www.peopleforplanet.it/ecco-perche-in-germania-si-muore-molto-meno-per-coronavirus-rispetto-allitalia/?fbclid=IwAR3SKu4ZclYWLzpPQqWFMKFKTGKqxeDbBbyWO3JVAeyKN3w_0FLetvzKuuY

“I conquistatori”, recensione a cura di Teodoro Klitsche de la Grange_A proposito di privatizzazioni e interesse nazionale

  1. Lannutti – T. Alterio – F. Fracassi, I conquistatori, Roma, 2018, p. 176, € 15,00.

Questo è il terzo libro che gli autori dedicano alle vicende economiche del recente passato; tratta delle privatizzazioni che hanno connotato le politiche economiche di molti paesi occidentali, con riguardo – quasi esclusivo – a quelle italiane. Il giudizio è negativo; parte della tragedia del ponte Morandi, che rivelò all’opinione pubblica come la vendita di Autostrade abbia generato enormi profitti per l’acquirente-concessionario, dovuti – anche – ai risparmi sulla manutenzione delle opere.

Analizzando buona parte delle privatizzazioni la costante principale che ne ricava è che sono state assai profittevoli per gli acquirenti, ma, di conseguenza, assai poco per il venditore (lo Stato italiano nelle sue varie articolazioni).

Le notizie che si scorrono nella lettura sono in larga misura già note: il pregio del libro è averle organizzate in un tutto organico che ne rende manifesta la logica generale come i rapporti tra i protagonisti pubblici (creditori) e privati (acquirenti). Curiosamente  in Italia il maggior privatizzatore è stato il centro-sinistra (altrove sono stati i partiti di destra).

Il motivo esternato di tante (e imponenti) svendite era non tanto d’opportunità economica, ma ideologica: si voleva ridurre la presenza pubblica nell’economia perché si riteneva la mano invisibile del mercato migliore e più razionale produttrice di ricchezza.

Solo che a riprendere la teoria di un economista come Friederich List ciò che è valido per l’economia globale, può non esserlo per l’economia nazionale, ossia per le comunità umane organizzate in Stati; del pari ciò che è economicamente vantaggioso può non esserlo per l’interesse nazionale (il bonum commune) che è il fine della politica.

É il caso di ricordare che è legittimo e prevedibile che il privato operi per il proprio profitto, cioè l’interesse individuale (anzi e proprio questo il presupposto della “mano invisibile”); ma, del pari – è – o meglio dovrebbe essere – che il pubblico operi per quello pubblico. La conseguenza è che nella generalità delle situazioni c’è la necessità di bilanciare (e regolare) interesse pubblico e interessi privati, senza enfatizzare l’ “appartenenza” al settore d’attività. L’esempio di “scuola” è quello del monopolista: il quale di solito manovrando per il proprio interesse privato spesso danneggia quello pubblico, quello dei consumatori e, ovviamente la stessa dinamica concorrenziale. Non è detto quindi che, specie nell’assenza o nell’insufficienza di una regolazione appropriata e di procedure trasparenti, la mano invisibile non finisca per impinguare sempre gli stessi portafogli. Proprio quello che purtroppo è spesso capitato nelle privatizzazioni-maccheroni realizzate in Italia.

Queste sono state frequentemente caratterizzate da condizioni di grande favore per gli acquirenti. Gli autori, pagina dopo pagina mostrano che i corrispettivi di cessione erano modesti rispetto al valore delle aziende e dei beni ceduti; che spesso quanto comprato è stato rivenduto a terzi a prezzi enormemente superiori; che privatizzatori pubblici e acquirenti privati erano legati da interessi, frequentazioni, affari; frequentemente lo erano quanto meno i primi con i consulenti che avrebbero dovuto assisterli (a pagamento) nelle procedure. Inoltre “Era il 1992. Il cartello finanziario internazionale aveva messo gli occhi e le mani sul nostro Paese con la complicità e la sudditanza di una nuova classe politica imposta dal cartello stesso. Il suo compito era quello di cedere le banche e i gioielli di Stato italiani ai potentati finanziari internazionali anche attraverso il filtro di imprenditori nostrani”.

La stessa “tangentopoli” è quindi vista dagli autori in quest’ottica: occorreva delegittimare e detronizzare la vecchia classe dirigente della prima repubblica, meno incline a realizzare il piano. Manovra reiterata nel 2011, col governo Monti, dato che Berlusconi era meno disponibile a favorire gli interessi stranieri a scapito di quello nazionale, come fatto dal “governo tecnico” xenodipendente.

Nel complesso un libro interessante, documentato e che si spera, possa contribuire a un common sense del popolo italiano più consapevole dei propri interessi e meno influenzato dalle derivazioni del terzo millennio. Ossia dell’occultamento di interessi sotto la copertura di obiettivi esternati che coniugano idola a carattere economico (tecnocrazia, progresso) con  idola a carattere morale-legalitario. Quelli, come diceva Craxi, dei moralisti “un tanto al chilo”.

Teodoro Klitsche de la Grange

 

 

1 2 3