ERDOGAN SCEGLIE L’INGHILTERRA COME ALLEATO PREFERENZIALE, di Antonio de Martini

ERDOGAN SCEGLIE L’INGHILTERRA COME ALLEATO PREFERENZIALE E SI APRE NUOVI SPAZI POLITICI E INDUSTRIALI IN ASIA E AFRICA.

E’ l’INTERMEDIARIO IDEALE E DISCRETO CON CUI L’U.K. VUOLE TORNARE A EST DI SUEZ E A OVEST DEL CAIRO.

Mentre in Europa si chiacchiera e si affidano gli Affari Esteri a giovanotti di pessime speranze, l’Inghilterra si muove con fulminea rapidità e , forte dell’esperienza politica e diplomatica che nessuno ha più su entrambe le sponde dell’Atlantico avendo bruciato ogni classe dirigente degna di nota, Boris Johnson ha evidentemente offerto al governo USA la propria capacità relazionale coi fratelli Mussulmani e il mondo ” east of Suez” – dal quale il laburista Wilson si era ritratto per lasciare il posto agli USA – per fungere da sub appaltatore delle ambizioni americane. E da bravo Robinson Crusoe, si é trovato il suo Venerdì.

Liberatosi delle pastoie della Unione Europea, ha ripreso i contatti privilegiati, mai interrotti, con l’ex “Zona di libero scambio” (che, come associazione, ha continuato ad esistere con sede in Svizzera) e ha ripreso i legami tra i servizi di intelligence che non aveva mai abbandonato dagli anni trenta quando mise a punto una rete di servizi di intelligence in funzione anti hitleriana per ordine di Chamberlain.

La richiesta di adesione alla NATO della Svezia ( e del suo stato vassallo Finlandia) sono state il primo visibile – anche se non confessato- frutto della nuova cooperazione USA-UK, dopo l’alleanza con l’Australia cui hanno promesso la tecnologia nucleare; La virulenza del danese segretario Generale NATO Jens Stoltenberg é spiegabile con questa stessa ottica, come l’evidente impegno diretto inglese nella guerra ucraina

La Turchia di Erdogan é passata, causa la storica ammirazione ( anche di Ataturk) per gli inglesi, da “rascal” dell’alleanza a brillante diplomatico che surroga l’Inghilterra ovunque questa scandalizzerebbe per la sua disinvoltura antieuropea: in Libia, in Katar, In Nigeria, in un periplo africano completo che come risultato ha portato una fase di unrest solo nei paesi francofoni. E noi ci vediamo solo un venditore di tappeti…

Le minacce a Cipro e alla Grecia sono un ricordo, con Israele é pace fatta, le limitazioni poste all’export di armi e tecnologie dall’Inghilterra sono state completamente tolte ( il che equivale alla fine dell’embargo USA…) , il ricordo delle guerre fatte assieme agli inglesi contro gli Zar , rivive e il presidente Biden può guardare più serenamente alle elezioni di mezzo termine se riuscirà a far reggere Zelenski fino a novembre e a smantellare i bastioni del neutralismo nordico per portarli nella NATO che acquisterà più armi con riduzione degli esborsi USA….

Le obiezioni turche all’adesione degli scandinavi verrà presto presentata come ” un alleggerimento del fianco destro dell’alleanza” e conseguente alleggerimento della pressione russa al sud grazie al nuovo ipotetico fronte.

Icurdi verranno barattati per la quarta volta in nome degli interessi superiori dell’alleanza e anche per riallacciare al meglio il rapporto con il regime di Teheran..

Intanto il partito dei Mullah, che gli americani definivano sprezzantemente ” a british hobby” sembra essere diventato utile come la rocca di Gibilterra che Churchill rinfacciò a Roosevelt in risposta alla critica fatta agli inglesi di volersi impossessare di isolette e basi un pò dappertutto.

Alla fine, tutto torna utile.

Dell’acquisto del sistema d’arma S400 ( non 300 come si ostina a dire il corrispondente del TG1 da Mosca)si vedrà il bicchiere mezzo pieno ( studiare la tecnologia), Ankara non rientrerà nel programma F35 che ha bisogno di clienti e la Svezia ha aerei suoi SAAB…., perché Erdogan ha ambiziosi progetti per la costruzione di un aereo militare tutto turco da vendere da Islamabad a Doha e, perché no? a Teheran e ai mullah che con gli inglesi hanno avuto sempre ottimi rapporti finanziari.

Se fossi in Leonardo, ( Augusta Westland) mi preoccuperei per le sorti della Joint Venture con la Westland che potrebbe ambire a mercati ben più vasti.

La Turchia ritornerebbe al suo ruolo storico di protettrice del mondo sunnita ( e questo include anche l’Africa francofona).

Intanto la pacifica Costa d’Avorio e il Ghana attraverso i suoi presidenti improvvisamente affratellati dalle visite di Erdogan, ( Nana Akupo Asso e Alassan Guattara) hanno scoperto di produrre il 60% del cacao del mondo e vorrebbero raddoppiare il prezzo di 2600 a tonnellata ( che sarebbe comunque inferiore a quanto gli europei pagano la Cina di circa 7000 a tonnellata). Devono essere stati informati dall’intelligence della Costa d’Avorio che, come noto, ha ottimi agenti in Cina. Come gli inglesi.

Hakan Fidan, capo del servizio segreto turco: Erdogan gli deve la vita essendo colui che ha monitorato e sventato il tentativo di colpo di stato del luglio 2016. E’ diventato deputato senza lasciare l’incarico al servizio e si dice che potrebbe succedere al presidente. quando sarà il momento. Sulla parete del suo ufficio troneggia la foto di Mustafa Kemal a testimonianza della continuità nazionale e di destino dei turchi.

I protestanti della Nigeria che non sopportano di dover dipendere da una Vescova ufficialmente lesbica americana, preferiscono una interlocuzione mediata da Machos turchi per affinità culturale e i 17 milioni di protestanti tornerebbero a dialogare con gli anglicani.

Questo nuovo posizionamento spiegherebbe l’acrimonia del presidente Emmanuel Macron nei confronti della Turchia che lo ha sostituito nel cuore della anziana regina, e la conseguente strategia dell’amicizia nei nostri confronti per non essere del tutto espulsi dal Mediterraneo dopo il fiasco libanese e quello siriano.

https://corrieredellacollera.com/2022/05/21/erdogan-sceglie-linghilterra-come-alleato-preferenziale-e-si-apre-nuovi-spazi-politici-e-industriali-in-asia-e-africa/

Il piano della Russia per corteggiare l’Azerbaigian, Di  Ekaterina Zolotova

Il piano della Russia per corteggiare l’Azerbaigian

Mosca sta facendo del suo meglio per invogliare Baku ad unirsi alla sua alleanza eurasiatica.

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La Russia ha trascorso gran parte del 2021 cercando di ristabilire i cuscinetti persi dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Ha dispiegato truppe al confine occidentale con l’Ucraina, ha aumentato l’integrazione con la Bielorussia, ha continuato la sua missione di mantenimento della pace nel Caucaso e ha approfondito la cooperazione con le nazioni dell’Asia centrale. Nel 2022 Mosca sposterà la sua attenzione su un Paese del Caucaso meridionale che da anni è in bilico tra Occidente e Russia: l’Azerbaigian. E lo farà utilizzando l’Unione economica eurasiatica, un blocco regionale post-sovietico che domina, come strumento di coercizione.

mano nascosta

Il mese scorso, il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev ha visitato Bruxelles su invito del segretario generale della NATO. Durante il loro incontro, Aliyev ha affermato che l’Azerbaigian è un partner affidabile della NATO e mantiene stretti legami con gli alleati della NATO, in particolare la Turchia. Commenti come questi irritano il Cremlino, che vuole limitare il più possibile la presenza della Nato lungo la sua periferia. L’Azerbaigian è una parte fondamentale di questa strategia, poiché separa la Russia dalle forze della NATO in Turchia.

Le zone cuscinetto della Russia
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Di recente, Mosca ha utilizzato una combinazione di cooperazione economica e coinvolgimento militare (nella forma della sua operazione di mantenimento della pace nel Nagorno-Karabakh) per mantenere il suo punto d’appoggio nel Caucaso. Ma considerando i suoi crescenti problemi economici e l’assortimento di altre priorità, la capacità della Russia di competere per l’influenza economica qui si sta indebolendo. Ad esempio, rappresenta solo il 5% delle esportazioni azere, mentre l’Italia e la Turchia (entrambi paesi della NATO) rappresentano rispettivamente il 30% e il 18%. Baku sta anche aumentando la cooperazione militare con la Turchia, che ha sostenuto l’Azerbaigian nella guerra del 2020 in Nagorno-Karabakh.

Mosca, però, ha una mano nascosta da giocare. L’Azerbaigian è fortemente dipendente dalle esportazioni di petrolio e gas verso l’Occidente. Oggi, circa il 68 percento delle esportazioni totali del paese sono petrolio greggio e prodotti correlati e il 15,9 percento sono gas di petrolio e altri idrocarburi gassosi. Il Cremlino, che comprende meglio della maggior parte delle insidie ​​del fare affidamento così pesantemente sulle esportazioni di energia, probabilmente prevede che Baku vorrà diversificare le sue vendite all’estero per ridurre la sua vulnerabilità economica. Ma questo sarà difficile per un paese come l’Azerbaigian, considerando il livello di concorrenza e la mancanza di domanda per i suoi prodotti non energetici. Così, alla vigilia della visita del presidente dell’Azerbaigian a Bruxelles, il Cremlino ha ricordato a Baku i vantaggi della sua partnership.

Pochi giorni prima che Aliyev partisse per la riunione della NATO, il presidente onorario del Consiglio economico eurasiatico, un organismo di regolamentazione dell’Unione economica eurasiatica, ha affermato che l’Azerbaigian potrebbe ottenere lo status di osservatore nel blocco, di cui fanno parte Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Armenia. L’adesione all’unione doganale del blocco potrebbe avere vantaggi significativi per l’Azerbaigian, che riceve circa il 18% delle sue importazioni dalla Russia.

Mosca ha anche fornito sottili accenni altrove sui vantaggi della sua cooperazione. Diverse pubblicazioni dei media russi hanno recentemente propagandato i forti legami tra l’Azerbaigian ei membri dell’EAEU. Ad esempio, l’affiliato azero del sito web russo Sputnik News ha pubblicato un articolo il mese scorso evidenziando i vantaggi dell’adesione. Secondo la pubblicazione, l’adesione dell’Azerbaigian alla EAEU aumenterebbe le esportazioni del settore agricolo e non petrolifero del paese di 280 milioni di dollari. Ha inoltre affermato che l’adesione potrebbe aumentare il prodotto interno lordo dell’Azerbaigian dello 0,6 percento rispetto ai livelli attuali e che ogni residente dell’Azerbaigian trarrebbe profitto di 1.013 dollari, un importo sostanziale in un paese il cui PIL pro capite è di soli 4.202 dollari.

Il Cremlino ha anche recentemente menzionato un sondaggio del 2018 del Centro analitico per il governo della Federazione Russa che ha rilevato che quasi il 40% della comunità imprenditoriale dell’Azerbaigian accoglierebbe con favore relazioni economiche più strette con l’UEE. Questi numeri, spera il Cremlino, suoneranno allettanti in un paese la cui economia si sta riprendendo dalla pandemia, ma lentamente. Sebbene l’Azerbaigian abbia sofferto meno degli effetti economici della pandemia rispetto ai suoi vicini, in gran parte a causa delle sue esportazioni di energia, la disoccupazione, la povertà e l’emigrazione (principalmente verso la Russia) rimangono problemi significativi.

Il commercio dell'Azerbaigian
(clicca per ingrandire)

Tuttavia, la Russia sa che non può fare affidamento esclusivamente sul mercato interno dell’UEE per attirare l’Azerbaigian, poiché anche le economie di alcuni degli altri membri del blocco sono in difficoltà. Pertanto, l’EAEU è in trattative per un accordo di libero scambio permanente con l’Iran. (Le due parti hanno firmato un accordo commerciale provvisorio nel 2018.) Il blocco ha anche accordi di libero scambio con Serbia, Vietnam e Singapore, e entro il 2025, India, Israele ed Egitto saranno aggiunti all’elenco. Ciò significa che unendosi al blocco, l’Azerbaigian avrà accesso a una serie di mercati aggiuntivi, non solo a quelli dei suoi cinque membri.

Un altro vantaggio è che aiuterebbe a domare le ostilità con il rivale storico dell’Azerbaigian, l’Armenia. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha affermato che il suo paese non si opporrà all’adesione dell’Azerbaigian se contribuirà alla pace regionale. La dichiarazione è un chiaro ramoscello d’ulivo visti i frequenti scontri tra i due Paesi.

Ostacoli

Ma ci sono anche ostacoli nel percorso della Russia per trascinare l’Azerbaigian nell’UEE. In primo luogo, acquisire l’appartenenza, o anche lo status di osservatore, può essere un processo lungo che richiede il consenso tra tutti i membri dell’EAEU. Dati i requisiti legali per l’adesione al blocco, nonché le tensioni in corso con l’Armenia, i negoziati potrebbero complicarsi. Mosca potrebbe dover provvedere per un po’ all’Azerbaigian per mantenerlo interessato, il che è difficile da fare data la concorrenza nella regione.

In secondo luogo, Baku deve considerare le reazioni degli altri suoi alleati. L’Azerbaigian sta aumentando il commercio con i paesi europei e stringendo alleati con la Turchia. Preferisce trovare un equilibrio tra Occidente e Russia, piuttosto che schierarsi.

In terzo luogo, l’EAEU ha problemi interni propri. Gli Stati membri non sono d’accordo su una serie di questioni e non sono sempre disposti a concedere per colmare le loro divisioni. È anche in competizione per l’influenza con la Comunità degli Stati Indipendenti, un’altra istituzione guidata dalla Russia che consiste di nazioni post-sovietiche. Inoltre, il mercato comune della UEE è ancora in evoluzione, con problemi sul funzionamento del mercato comune del gas e dell’energia e la migrazione dai paesi meno sviluppati a quelli più sviluppati.

In definitiva, l’Azerbaigian deve vedere i vantaggi dell’adesione; gli azeri medi devono sostenere il processo di integrazione; e non ci devono essere limiti alla libera circolazione delle merci, anche attraverso la regione del Nagorno-Karabakh, piena di conflitti. Senza che queste condizioni siano soddisfatte, è improbabile che l’Azerbaigian voglia unirsi al blocco. Sarà difficile da raggiungere nel medio termine, ma per Mosca questo è il momento migliore per fare la sua mossa, poiché Baku cerca partner affidabili per rilanciare la sua economia e i suoi partner tradizionali sono impantanati nei propri problemi. Tirare l’Azerbaigian nell’UEE sarebbe una vittoria per il Cremlino. Non è un percorso facile, ma è quello che Mosca seguirà per tutto il prossimo anno.

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Tunisia vicina e lontana_con Antonio de Martini

L’area mediterranea si sta riconfermando focale nelle dinamiche geopolitiche. Sta attirando nuovamente l’attenzione e le bramosie di potenze di ogni taglia e di qualche ambizione. Non lo fosse, sarebbe comunque la prossimità della quale dovrebbe occuparsi attivamente la classe dirigente appena avveduta di un paese come l’Italia, posto al suo centro geografico. Non è purtroppo così e lo è sempre meno in quest’ultimo ventennio. Dopo il disastro della Libia, la complicità fallimentare in Siria, l’impegno al seguito altrettanto incolore e disastroso in Iraq, Afghanistan, la prossima avventura in Mali le polveri si sono riaccese in Tunisia. Non solo manchiamo di ogni iniziativa, ma rifuggiamo dagli spazi e dagli inviti pressanti offerti dai protagonisti del grande gioco, in primis gli Stati Uniti, così attivi ma sempre più riluttanti a partecipare sul campo in prima persona. Lo hanno compreso tutti ormai. Una ignavia della quale il paese pagherà un prezzo sempre più salato, sacrificando il patrimonio acquisito con secoli di relazioni più o meno pacifiche, ma quasi sempre proficue. Non siamo soli lungo questo percorso, ma non è un’attenuante. L’Italia lo sta perseguendo nel silenzio, la Francia con la sua connaturata prosopopea. Farà più rumore di noi nella caduta, ma il fondo è simile. Antonio de Martini sembra inizialmente girare troppo al largo del problema; si è rivelato al contrario il modo migliore per centrare chiaramente le questioni. Buon ascolto_Germinario Giuseppe

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Tutte le sintonie fra Erdogan e Biden di Giuseppe Gagliano

Tutte le sintonie fra Erdogan e Biden

di

erdogan biden

Nonostante tutto, la Turchia di Erdogan si conferma importante e utile agli Stati Uniti di Biden. Ecco perché. L’analisi di Giuseppe Gagliano

 

Nonostante il presidente turco sia stato definito un autocrate da Biden, e nonostante il fatto che le istituzioni americane abbiano definito l’eliminazione degli armeni come un vero e proprio genocidio, l’incontro a Bruxelles si è concluso con un’affermazione tutt’altro che sorprendente da parte del presidente turco, affermazione secondo la quale con gli Stati Uniti non ci sono problemi che non possono essere risolti. Proprio lo stesso presidente americano d’altronde ha confermato che l’incontro col suo omologo turco è stato produttivo.

Nonostante il ruolo sempre più assertivo da parte della Turchia in Medio Oriente, nonostante l’opposizione di Ankara al sostegno degli Stati Uniti ai combattenti curdi in Siria e, infine, nonostante gli Usa abbiamo penalizzato la Turchia per l’acquisto del sistema di difesa missilistica S-400 della Russia, pare che fra i due leader sia tornato il sereno. Sarà forse per le virtù taumaturgiche della democrazia americana? O forse più realisticamente per interesse di realpolitik?

COSA FA LA TURCHIA PER GLI STATI UNITI

A cosa stiamo alludendo esattamente? Si fa riferimento alla possibilità che la Turchia possa mantenere una presenza militare in Afghanistan grazie al sostegno logistico e finanziario degli Stati Uniti; si fa riferimento al fatto naturalmente che la Turchia ha anche un ruolo potenziale da svolgere nella più ampia strategia di Biden di radunare alleati per opporsi all’influenza di Cina e Russia, nonostante il fatto che Erdogan abbia concluso un nuovo accordo di scambio di valuta da 3,6 miliardi di dollari con Pechino.

Ma stiamo anche alludendo al fatto che la Turchia è un avversario della Russia nello scacchiere siriano e libico, dove infatti i droni e le difese aeree turche sono stati fondamentali per respingere gli alleati della Russia.

Ma stiamo infine alludendo anche al fatto che la Turchia si è schierata con l’Ucraina sostenendo quindi gli Usa in funzione anti russa.

In definitiva, se la politica del presidente turco può apparire ondivaga e contraddittoria, in realtà le scelte di politica estera del presidente turco sono state sempre improntate a una vera e propria spregiudicatezza e a un calcolo politico volto a tutelare esclusivamente non solo gli interessi della Turchia e della sua proiezione di potenza, ma spesso anche gli interessi di quella ristretta oligarchia che ruota intorno al presidente turco.

APPARENZE E SOSTANZA

Quindi, al di là delle apparenze – spesso frutto di calcoli elettorali -, la sostanza delle relazioni tra America e Turchia segue le stesse linee di forza di quelle di Trump. Come d’altronde quelle con l’altro autocrate, e cioè con Mohammed bin Salman.

Nulla di sorprendente dal punto di vista storico: a conclusione della Seconda guerra mondiale – e soprattutto durante la guerra fredda – le democrazie hanno sempre avuto bisogno, per ragioni geopolitiche e geoeconomiche (leggi petrolio e non solo…), dei sistemi autocratici, sia che fossero in Medioriente, in Africa o in America latina.

Forse bisognerebbe spiegarlo anche ai vari autori dei numerosi manualetti di educazione civica diffusi nelle scuole superiori… oltre che al Miur.

https://www.startmag.it/mondo/erdogan-biden-rapporti-turchia-stati-uniti/?fbclid=IwAR0zKE07FCj3usFDUnLgzUg2HNKTywRQ1mMhFsSYC6PwXVk-WQ049dyaCOk

La Libia del colonnello Gheddafi, di Bernard Lugan

Il 15 aprile 1973, fino a quel momento rimasto lontano dalla vita politica, Muammar Gheddafi si è imposto a capo del paese. Da quella data la Libia è diventata uno dei principali sostenitori delle reti terroristiche mondiali, dai Paesi Baschi all’Irlanda, passando per l’Africa e il mondo arabo.
Inoltre il colonnello Gheddafi aveva una politica sahariana-africana molto attiva. Ha mirato all’unione di popoli del Sahara, da cui il suo tropismo tuareg, e della regione del Ciad, da qui lunghe guerre contro la Francia. Si risolsero in due fallimenti per lui.

A differenza dell’Algeria dove la manna petrolifera serviva soprattutto ad arricchire il “sistema”, sotto il colonnello Gheddafi, la popolazione beneficiava del reddito da
idrocarburi, rendendo i libici privilegiati rispetto ai loro vicini. I servizi sanitari erano gratuiti, l’agricoltura era sovvenzionata per creare centri di produzione in pieno deserto con l’autosufficienza come orizzonte.
Dagli anni 2000, forse non istruito dall’esempio iracheno, il colonnello Gheddafi ha cambiato la sua politica, diventando anche un elemento moderatore e pacificatore della scena africana. Allora era un
corteggiato capo di stato che riceveva un benvenuto ufficiale a Parigi nel dicembre 2007, poi a Madrid.
Nel 2008 si è riconciliato con gli Stati Uniti e questo nello stesso anno la Libia assunse la presidenza di turno del Consiglio di sicurezza dell’ONU.
L’unica minaccia al regime del colonnello Gheddafi è stato esercitato dagli islamisti
radicalizzatisi sotto l’impulso del precedente dell’Afghanistan inizialmente sostenuto dagli Stati Uniti. Dal 1995, la macchia era stata stabilita in Cirenaica dove, per quattro anni, si
intraprese una feroce lotta armata. Il colonnello Gheddafi li ha eliminati senza il minimo scrupolo, dichiarando al riguardo che:
“Quando un animale è malato, il veterinario deve macellarlo per evitare la contaminazione di altri animali (…) Non possiamo lasciare che questa epidemia arrici ad annientare la società. Dobbiamo essere crudeli. Chiunque sia colpito sarà considerato infetto da una
malattia grave e incurabile e dovrà quindi scomparire ”.
Nel febbraio 2011, il colonnello Gheddafi ha dovuto  affrontare una triplice rivolta, a est, in
Cirenaica, una regione sia autonomista che contesa dagli islamisti; a ovest, in Tripolitania,
nel jebel Nefusa, dove i berberi avevano giurato la fine di colui che non ha mai smesso di negare la loro identità a beneficio del nazionalismo arabo. A
Infine, Misurata, cittadina situata sulla costa, tra Tripoli e Bengasi che aveva un regolamento personale da definire con lui e dove la Turchia che aveva deciso di rovesciare il suo regime ha avuto un forte sostegno. Misurata è infatti sia la “capitale” Kouloughli che sono culturalmente rivolti verso la Turchia che roccaforte dei Fratelli Musulmani, cuore del regime di Ankara.
E mentre era diventato il nostro alleato nella lotta contro il jihadismo e contro l’immigrazione illegale, Nicolas Sarkozy e la NATO hanno dichiarato la guerra contro il colonnello Gheddafi. Quindi è stato in una sequenza di guerra civile tribale-regionale che la Francia è intervenuta per ragioni ancora molto oscure …
Infine, il 20 ottobre 2011, assediato nella città di Sirte bombardata dalla NATO, colonnello
Gheddafi ha tentato un’uscita. Il suo convoglio essendo stato attaccato da aerei della NATO, fu catturato da miliziani di Misurata e i suoi componenti ignominiosamente linciati.
Un episodio che lascerà delle tracce in futuro.
Il 22 ottobre 2011, a Tripoli, Mustapha Abdel Jalil, il leader dei ribelli, ha affermato che la legge della Sharia sarebbe ora la base della Costituzione così come della legge e la poligamia, bandita dal colonnello Gheddafi, sarebbe stata ripristinata. Cosa che non ha impedito alla stampa mondiale di lodare i risultati della guerra del “bene” che pose fine alla dittatura e ha permesso l’inizio dell’era del sistema multipartitico.
Molto rapidamente, tuttavia, la disillusione si sostituì nei media alla frenesia morale perché la Libia non esisteva più come stato.  Il paese era ormai non più che un mosaico territoriale nelle mani di una moltitudine di milizie tribali, cittadini e mafie in guerra tra loro. Per quanto riguarda le armi generosamente distribuite dalla Francia e dai suoi alleati del Qatar e della Turchia o rubate dagli arsenali, furono sparse in tutta la regione Sahelo-Sahariana.

Mediterraneo! La Turchia nel quadrante orientale_con Antonio de Martini

Proseguiamo con la nostra conversazione a tappe con Antonio de Martini. Il focus rimane il Mediterraneo, l’attenzione si incentra sulla Turchia. Un paese emergente che pretende l’ingresso a pieno titolo tra le potenze regionali protagoniste; quanto per merito proprio, quanto per le debolezze altrui? Uno scacchiere intricato dove le potenze regionali avranno sempre più nuove carte da giocare. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

Türkische Kavallerie auf der Heeresstrasse südlich von Jerusalem.
April 1917

https://rumble.com/vfhcz3-mediterraneo-la-turchia-nel-quadrante-orientale-con-antonio-de-martini.html

 

 

SOLDI BEN INVESTITI, di Antonio de Martini

SOLDI BEN INVESTITI
il 25 marzo, la Grecia celebrerà con sfarzo i due secoli dall’inizio della guerra di indipendenza dall’impero ottomano : una imponente parata militare in onore dei tradizionali alleati, il premier russo Mishustin e il principe di Galles, Carlo, con la consorte.
Era stato invitato anche il presidente Francese Macron per completare il terzetto dei paesi che avevano appoggiato la Grecia, ma a causa dell’incrudelirsi dell’epidemia in Francia – da Venerdi ha decretato la quarantena per 21 milioni di francesi- questi ha disdetto ritenendo di condividere la sorte dei compatrioti restando a Parigi.
Si rifarà il 20 ottobre prossimo anniversario della battaglia navale di Navarino in cui gli anglofrancesi inflissero una severa lezione alla squadra ottomana che determinò la rinunzia turca a proseguire il conflitto e riconoscere l’indipendenza.
E pensare che lo scontro avvenne “ per caso” : mentre le due squadre navali si fronteggiavano senza affrontarsi ( erano ufficialmente neutrali) , da parte turca, i marinai iniziarono a provocsre con fucilate gli jnglesi che risposero e lo scontro degenerò in battaglia generale.
Il ricevimento, il veleno è in coda, lo faranno al Museo Nazionale per far notare al principe Carlo la mancanza dei fregi del Partenone – che sono a Londra- la cui evidente mancanza è un vero e proprio un pugno nell’occhio per i visitatori.
Il premier britannico Johnson si è recentemente rifiutato di restituire quanto rubato da Lord Elgin, ma la Presidente della Repubblica, Katerina Sakellaropoulou, punta sul fatto che Carlo ha nelle vene il sangue greco di suo padre Filippo di Edinburgo e l’Inghilterra – dopo il Brexit- ha bisogno di amici.
Ai festeggiamenti, come ulteriore pressione indiretta, è invitato e partecipa anche il presidente di Cipro Anastasiades, che ospita le due più importanti basi militari inglesi del Mediterraneo.
La presenza di tutti i vecchi alleati della Grecia, fungerà da monito ai turchi con i quali la Grecia sta attraversando un periodaccio per via del contenzioso per i giacimenti dell’Egeo.

Come si è radicalizzata una frangia della comunità turca in Francia di Giuseppe Gagliano

Le strutture della comunità turca in Francia, controllate direttamente o direttamente da Ankara, si sono schierate a favore del loro paese di origine e manifestano una ideologia incompatibile con i valori della Repubblica. L’analisi di Giuseppe Gagliano

 

Recentemente il Centro di intelligence di Parigi diretto da Eric Denece ha pubblicato in formato pdf un ampio e dettagliato report sul nazionalismo turco e sulla capillare penetrazione in Europa sia attraverso organizzazioni estremistiche come i Lupi Grigi sia soprattutto attraverso la diaspora turca. Il report è stato redatto da Tigrane Yegavian, ricercatore del Centro di Parigi, diplomato all’Institut des langues et civilisations orientales e presso l’Institut d’études politiques di Parigi.

Partiamo, allo scopo di illustrare la pericolosità e la pervasività del nazionalismo turco in Francia, da alcuni recenti fatti di cronaca.

I FATTI

Il 25 luglio 2020, a Décines, una città nell’area metropolitana di Lione — 28.000 abitanti, di cui mille francesi di origine armena — gli attivisti ultranazionalisti turchi hanno diffuso il panico in una manifestazione filo-armena. Il leader si chiama Ahmet Cetin, 23 anni, nato a Oyonnax. È un presunto membro di un gruppo di fatto composto da ultranazionalisti turchi noti come “Lupi grigi” (in turco Bozkurtlar). A novembre sarà condannato a quattro mesi di carcere con sospensione della pena per “incitamento alla violenza o all’odio razziale”. Il giovane aveva detto in un video su Instagram che il governo turco gli dava 2.000 euro e una pistola. Ahmet Cetin si è anche candidato alle elezioni legislative francesi nel 2017 nella lista dell’Equal Justice Party (PEJ) dopo essere stato un delegato della sezione giovanile del Consiglio per la giustizia, l’uguaglianza e la pace (COJEP), due organizzazioni considerate un pag argento dell’Akp — il partito islamo-conservatore di Erdoğan al potere ad Ankara — che infatti condividono lo stesso indirizzo, rue du Chemin-de-fer, a Strasburgo.

Il 27 settembre 2020, l’esercito azero, sostenuto da forze speciali turche e mercenari jihadisti, ha lanciato una guerra a tutto campo per riprendere il controllo del Nagorno-Karabakh, popolato per il 94% da armeni. Immediatamente, centinaia di uomini hanno marciato, per le strade delle città francesi. Queste folle gridano Allah Akbar durante il loro passaggio. Nelle processioni, alcuni brandiscono la bandiera turca, gridano “Stiamo per uccidere gli armeni!”.

Il 28 ottobre a Vienne, nell’Isère, e tra il 29 e il 30 ottobre a Digione, sono state commesse nuove azioni violente nei confronti dei membri della comunità di origine armena. Durante questi eventi, le forze di sicurezza sono state particolarmente prese di mira da colpi di mortaio che hanno causato diversi feriti.

Questi atti di violenza sono espressamente rivendicati dai membri dei Lupi Grigi sui social network. A seguito dei fatti di Vienne, la procura di Lione ha aperto un’indagine per “partecipazione a un raggruppamento finalizzato a commettere violenza o degrado”.

Il 1 ° novembre, a Décines, l’Armenian Genocide Memorial e il National Armenian Memorial Center sono state sporcare da scritte con le lettere “RTE” — le iniziali del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan — e da messaggi come “Nique l’Arménie” o “Loup Grigio”. Nuove etichette pro-turche sono state notate il giorno successivo nella vicina città di Meyzieu, sui muri del centro commerciale Plantées. Pochi giorni dopo, nello stesso quartiere, la polizia ha arrestato due dei presunti autori di questi atti, membri della comunità turca rispettivamente di 24 e 25 anni.

Il 4 novembre 2020, il ministro dell’Interno Gérald Darmanin ha reso pubblica, tramite il suo account Twitter, la decisione presa dal Consiglio dei Ministri di bandire i Lupi Grigi, per “incitamento alla discriminazione e all’odio” e per il loro “coinvolgimento in azioni violente”. Lo stesso giorno, un decreto di immediata applicazione ha disposto lo scioglimento del piccolo gruppo in territorio francese. Tuttavia, sono seguiti atti di vandalismo contro associazioni locali o luoghi di memoria della comunità armena a Décines, Meyzieu o Vaulx in Veline.

Questi attacchi senza precedenti hanno causato una legittima preoccupazione all’interno della pacifica comunità armena, discendente dai sopravvissuti al genocidio del 1915 e stabilitasi in questa regione per quasi un secolo. Soprattutto, consentono di prendere coscienza della crescente radicalizzazione di una frangia della comunità turca in Francia, caratterizzata dal nazionalismo e che, sebbene eterogenea, è sempre più vicina al regime di Erdoğan.

IL PAN-TURKISMO

Ankara agisce infatti attraverso numerose strutture che beneficiano di risorse considerevoli che utilizzano la religione e l’istruzione come mezzi per rafforzare la sua influenza sulle comunità turche stabilite all’estero al fine di mobilitarle al servizio degli interessi della sua politica interna e internazionale. Lo si può vedere alla luce delle recenti tensioni tra Parigi e Ankara in Libia, nel Mediterraneo orientale e in occasione della legge sul separatismo.

Fungendo da leva di potere per il progetto politico dell’Akp, le strutture della comunità turca in Francia, controllate direttamente o direttamente da Ankara, si sono schierate a favore del loro paese di origine e manifestano una ideologia incompatibile con i valori della Repubblica.

Questa ideologia è il pan-turkismo che promuove l’unità delle varie nazioni di lingua turca nel mondo. Le due principali figure a cui si riferiscono i nazionalisti turchi sono: la sociologa e scrittrice Zia Gökalp (1876-1924), di origine curda; e Nihal Atsiz, scrittore, poeta e storico (1905-1975). Spinto dal desiderio di riunire sotto la stessa bandiera tutti i turchi di Anatolia, Asia centrale e Siberia, questo ideologo elaborò la sua riflessione negli anni 1930-19401. Atsiz ha scritto in particolare un famoso romanzo storico in Turchia, “La morte dei lupi grigi”, in cui espone la sua teoria basata sull’ossessione per l’unicità di una razza turca che si estende dai Balcani fino ai confini della Siberia. Per Atsiz, la nazione turca e la razza turca sono una cosa sola. Stabilitisi in Anatolia, le tribù nomadi di turca basavano la loro cultura sulla trinità sacra sangue/razza/guerra. Da qui l’esacerbazione del militarismo e il culto di una razza immaginaria le cui radici possono essere fatte risalire alle grandi steppe dell’Asia settentrionale. Quindi, un vero turco ha come suo ideale la sua fede nella razza turca e nel militarismo.

Il pan-Turkismo fu messo in pratica dai leader del regime genocida Jeune-Turc uniti sotto la bandiera dell’Unione e del Comitato per il progresso (Cup), al potere dal 1909 al 1918. In particolare da Enver Pasha (1881-1922), ex ministro della guerra, che dopo la sconfitta ottomana del 1918, ha intrapreso una “crociata pan-turca” nell’attuale Azerbaigian e Armenia, con la formazione dell’esercito caucasico islamico. L’obiettivo: cacciare da Baku i bolscevichi russi e armeni, impadronirsi dei giacimenti petroliferi del Mar Caspio e realizzare l’incrocio tra l’Anatolia e l’Asia centrale di lingua turca. Il progetto pan-turco mirava quindi a ristabilire un nuovo impero al di fuori della zona di espansione ottomana.

Poi, quando la nuova repubblica turca, sorta sotto la guida di Mustafa Kemal Atatürk stabilì uno stretto controllo statale sull’Islam, voltando le spalle ai sogni imperiali, Nihal Atsız — simpatizzante della dottrina razzista nazista — afferma che gli ebrei non si integrano nella cultura turca e che monopolizzano determinati servizi. Tuttavia, il suo discorso antisemita e razzista non ha impedito agli ebrei ottomani di abbracciare la causa del pan-Turkismo e del nazionalismo turco, come Moise Kohen — noto come Tekin Alp — (1883-1961). Questo ebreo ottomano di Salonicco, formato nell’alleanza israelita e destinato al rabbinato, divenne un appassionato ideologo del pan-Turkismo e poi del kemalismo. Era particolarmente favorevole alla turchificazione forzata delle minoranze non musulmane nella nuova repubblica turca, come attestano i suoi scritti nel suo opuscolo Türkleştirme (1928). Nel 1934, con Hanri Soriano e Marsel Franko — della comunità ebraica in Turchia — fondò l’Associazione di Cultura Turca (Türk Kültür Cemiyeti) per la promozione della lingua turca. Lo stesso Tekin Alp presenterà i principi del kemalismo in un libro pubblicato a Istanbul nel 1936, poi li aggiornerà e pubblicherà una traduzione francese a Parigi, un anno dopo, con una prefazione di Édouard Herriot (Le Kémalisme, Félix Alcan , 1937).

IL PAN-TURKISMO E LA GUERRA NEL NAGORNO-KARABAKH

Co-presidente del gruppo di Minsk, la Francia è stato il primo paese a farsi avanti a favore dell’Armenia in questo conflitto attraverso la voce del presidente Macron. Ha denunciato l’invio di jihadisti siriani in Azerbaigian, cosa che i suoi partner della Nato non hanno fatto. Ha cercato di ottenere un cessate il fuoco allineando le sue opinioni con quelle della Federazione Russa, quindi ha offerto aiuti umanitari ai belligeranti.

Il conflitto del Nagorno-Karabakh, in cui la Turchia è apertamente impegnata, ha una mobilitazione relativamente scarsa nella società turca, a parte i partiti nazionalisti. Più preoccupati per il deterioramento del loro tenore di vita, i turchi hanno difficoltà a localizzare questa regione sulla mappa e inoltre tendono a confondere il Nagorno-Karabakh con il Montenegro. Questa relativa indifferenza, tuttavia, non ha impedito a una frangia radicalizzata dei turchi in Francia di mobilitarsi a fianco dell’Azerbaigian, anche di attaccare direttamente obiettivi armeni.

Le azioni “a pugni” degli ultimi mesi si inseriscono quindi in un clima di tensioni diplomatiche tra Francia e Turchia. Testimoniano la crescente influenza che Ankara ha su una parte dei suoi 700.000 cittadini e sui loro figli che vivono in Francia. I 65 partecipanti multati — per mancato rispetto del coprifuoco — durante le scaramucce del 28 ottobre 2020 a Décines hanno tutti passaporto francese.

Secondo il quotidiano online Médiacité, questa serie di atti intimidatori segna una rottura con la discrezione che fino ad allora prevaleva tra i franco-turchi nell’area metropolitana. La precedente dimostrazione di forza di questi nazionalisti risale a quindici anni, quando nel 2006 una manifestazione contro la costruzione di un memoriale del genocidio armeno, Place Antonin-Poncet a Lione, ha riunito 3.000 partecipanti.

https://www.startmag.it/mondo/come-e-radicalizzata-una-frangia-della-comunita-turca-in-francia/

La Turchia nella NATO, tra utilità e ostilità_ di Hajnalka Vincze

Chi può dimenticare questa scena surreale al termine di una cena della NATO nel maggio 2015 ad Antaliya, o su invito del ministro degli Esteri turco, ospite dell’evento, funzionari dell’Alleanza e dei suoi stati i membri cantano tutti insieme, a braccetto, l’inno di Michael Jackson e Lionel Richie: “We are the world”? Due anni dopo, durante un’esercitazione NATO in Norvegia, l’atmosfera è molto più cupa. I quaranta soldati turchi che vi partecipano sono stati appena ritirati, con effetto immediato, dal loro governo. La causa ? A seguito delle singole iniziative di un tecnico e di un ufficiale norvegese, l’immagine di Ataturk (fondatore della Repubblica di Turchia) è stata proiettata come bersaglio nemico nelle esercitazioni e sulle reti sono stati trasmessi falsi messaggi a nome del presidente Erdogan su aspetti sociali interni della NATO.

Se, nonostante la profusione di scuse pubbliche, l’incidente ha così tanto segnato gli spiriti, è perché è avvenuto in un momento in cui i vari e variegati punti di attrito si erano già notevolmente accumulati tra Ankara ei suoi alleati. . Una tendenza che da allora si è solo intensificata. Dalle incursioni in Siria alle ripetute interferenze negli affari interni dei Paesi europei attraverso le comunità turco-musulmane, passando per l’invio di jihadisti in Libia e Nagorno Karabakh, alla violazione dell’embargo sulle armi destinato a Libia (al punto da sfiorare uno scontro militare con la fregata francese Courbet), il ricatto migratorio all’Unione Europea, il controverso acquisto di un sistema di difesa antiaereo russo e la revisione unilaterale delle zone marittime in Mediterraneo orientale. Non mancano “soggetti irritanti, anche conflittuali” . [1]

(Credito fotografico: Hurriyet Daily News)

Non sorprende che in Europa e negli Stati Uniti stiano sorgendo domande prima inimmaginabili sul posto della Turchia nell’Alleanza, e l’ipotesi di una sospensione del suo status di membro viene talvolta sollevata al massimo livello. [2] Tuttavia, è importante distinguere tra le cose. La NATO non è un blocco monolitico e non tutti gli alleati sono colpiti nella stessa misura dalle azioni e dalle minacce della Turchia. Le reazioni variano, anche se solo in base alla posizione geografica. Notevoli differenze stanno emergendo tra America ed Europa, ma anche tra gli alleati europei. Può l’atteggiamento apertamente provocatorio di Ankara essere anche un utile rivelatore, un catalizzatore per spostare l’equilibrio del potere? E se sì, in quale direzione?

La multiforme utilità dell’alleato turco

La Turchia è uno dei pochissimi paesi della NATO ad aver mantenuto un certo grado di indipendenza. Come ha recentemente spiegato il vice segretario generale dell’Alleanza, Camille Grand: “è sorprendente quando si arriva nella NATO come francesi che per 26 alleati su 29 la politica di sicurezza e difesa è Prodotto NATO al 90% o al 99%. Ci sono tre eccezioni: Stati Uniti, Francia e Turchia, che hanno sempre mantenuto la volontà di avere uno strumento di difesa che possa funzionare al di fuori dell’Alleanza Atlantica – come possiamo vedere oggi ” . [3] È alla luce di questa specificità che possiamo decifrare il ruolo della Turchia come alleato – una curiosa miscela di diffidenza e utilità.

Utilità diretta

Appena entrata a far parte dell’Alleanza nel 1952, la Turchia era considerata un prezioso alleato, sul fianco meridionale dell’URSS, una sorta di “pilastro orientale della NATO” . Con il suo esercito che occupa una posizione chiave nel paese e coltiva stretti legami con l’esercito americano, la sua politica estera era strettamente allineata a quella degli Stati Uniti, come durante la crisi di Suez nel 1956. Ankara era una figura, all’epoca, “miglior studente della classe atlantica” . [4] Nonostante i suoi tentativi di perseguire una politica più autonoma qua e là, e in particolare dall’invasione della parte settentrionale di Cipro nel 1974, la Turchia ha sempre fatto bene. ha svolto il suo ruolo nell’Alleanza, che non è altro che“La funzione geopolitica dell’Impero Ottomano dalla guerra di Crimea: ostacolare la spinta russo-sovietica verso il Mediterraneo orientale e il Medio Oriente (la cosiddetta strategia dei mari caldi)  ”. [5]

Inoltre, l’esercito turco è uno dei più forti della NATO, il secondo in forza con 750.000 uomini. L’ex capo di stato maggiore degli eserciti francesi, il generale Henri Bentégeat ha osservato che “per averla conosciuta bene, è uno dei rari eserciti europei in grado di combattere”[6] Neanche a lei importa dei compiti. L’esercito turco è tra i primi cinque contributori alle operazioni dell’Alleanza, ha perso 15 uomini in Afghanistan e partecipa a missioni di addestramento in Iraq e stabilizzazione nei Balcani. La Turchia assumerà anche la guida di una task force congiunta ad altissima prontezza (VJTF) nel 2021. È anche uno dei cinque paesi europei dell’Alleanza che proteggono i dispositivi nucleari tattici americani sul suo territorio, in la base di Incirlik, nell’ambito della cosiddetta condivisione nucleare della NATO (sotto il controllo operativo esclusivo degli Stati Uniti). Il paese ospita anche il Comando della Terra Alleata a Izmir, nonché il Centro di eccellenza per la difesa contro il terrorismo (una scelta un po ‘ironica viste le aspre controversie tra esso e altri alleati, se non altro per definire la portata di questo argomento). La Turchia ospita anche, per conto della NATO, una base aerea di sorveglianza in avanti AWACS a Konya, nonché una stazione radar di allerta precoce a Kürecik. Forte di tutti questi punti di forza, si sta permettendo sempre più di perseguire una politica autonoma.

Utilità fortuita

Per puro caso, certe manifestazioni di questa autonomia possono talvolta coincidere utilmente con le posizioni difese dalla Francia. Questo è stato notoriamente il caso del rifiuto di partecipare all’invasione americana dell’Iraq nel 2003. Più in generale, i due paesi condividono riserve sul vedere la NATO essere troppo coinvolta, e per di più militarmente, in Medio Oriente. Est. Né Ankara né Parigi vogliono apparire lì come un semplice esecutore dell’agenda degli Stati Uniti. Allo stesso modo, i due preferiscono impedire alla NATO, con la sua retorica, di sconvolgere e provocare le potenze nelle loro vicinanze (vicinato nazionale per la Turchia, europeo per la Francia). I due sono quindi anche contrari, per quanto possibile, all’Alleanza che nomina sempre per nome gli avversari.

Un altro tema su cui convergono oggettivamente gli interessi di Ankara e Parigi è quello delle politiche sugli armamenti. Non che la Francia sia un importante fornitore dell’esercito turco, non lo è. I loro approcci sono comunque vicini nel senso che entrambi sono consapevoli dell’importanza fondamentale di un’industria della difesa nazionale. Condividono anche l’esperienza di essere stati tenuti in ostaggio, di volta in volta, dal regolamento ITAR statunitense che richiede l’autorizzazione, caso per caso, ad esportare qualsiasi apparecchiatura che contenga anche un mezzo chiodo di Origine americana. Il blocco del Congresso, in risposta all’acquisto da parte della Turchia del sistema russo S400, mette a repentaglio un accordo di vendita di elicotteri da 1,5 miliardi di dollari (prodotto dalla Turchia ma concesso in licenza per gli Stati Uniti) in Pakistan, con il suo corollario di danni per Ankara in termini di credibilità e immagine. Una situazione ben nota alla Francia, che recentemente ha visto rallentare la vendita di ulteriori Rafale all’Egitto da parte dell’America, idem per i satelliti militari di osservazione diretti negli Emirati Arabi Uniti. Potrebbe quindi emergere una convergenza di vedute tra Francia e Turchia, in un momento in cui si esercita nella NATO una forte spinta americana a favorire programmi “congiunti”, per definizione dipendenti, piuttosto che contributi nazionali.

Utilità paradossale

C’è un terzo modo in cui la Turchia può essere utile, suo malgrado. In effetti, è stata l’invasione turca della Siria nord-orientale, senza consultazione o preavviso, che è servita come ultimo fattore scatenante per il presidente Macron per esporre la sua visione sulla “morte cerebrale” della NATO, in una controversa intervista al settimanale britannico The Economist[7] Leggendo attentamente le parole del presidente francese, è ovvio che le azioni turche erano solo un pretesto. Un’occasione d’oro per attirare l’attenzione sulle disfunzioni dell’Alleanza, sull’inaffidabilità delle garanzie americane e sulla necessità per gli europei di assumere la propria autonomia. Inoltre, non è la prima volta che la Turchia, involontariamente, utilizza argomenti per rafforzare la linea francese all’interno dell’Alleanza atlantica.

All’inizio degli anni 2000, quando è stata lanciata la politica di difesa dell’UE, Ankara ha reso a Parigi un enorme servizio, anche se sperava di fare il contrario. Una delle prime domande all’epoca era l’articolazione tra la nuova politica europea e la NATO. La Turchia, così come la Norvegia, entrambe sostenute dagli Stati Uniti, hanno combattuto, minaccia di veto a sostegno, per ottenere la massima partecipazione degli alleati non membri dell’Unione Europea a questa nuova politica degli Stati Uniti. ‘UNIONE EUROPEA. La Norvegia si rese subito conto della natura controproducente di un simile approccio. D’altra parte, la Turchia è rimasta su questa posizione, di fronte a quella che considerava l’ennesima ingiustizia e umiliazione da parte dell’Europa. L’ostruzionismo turco nella NATO ha dato i suoi frutti: è riuscita a bloccare accordi formali con l’UE, scambi di informazioni, a volte anche la cooperazione nello stesso teatro di operazioni. Ankara impedisce inoltre agli europei di invocare risorse comuni della NATO per condurre un’operazione. Che cosa“Non disturba affatto la Francia o l’Unione Europea, a dire il vero” , secondo il generale Bentégeat, ex presidente del comitato militare dell’Ue. In effetti, il comportamento della Turchia su questo tema è (anche) una dimostrazione su vasta scala degli svantaggi di scommettere su tutta la NATO e, normalmente, un incentivo in più per gli europei a emanciparsi gradualmente da essa.

Ascesa delle ostilità tra alleati

Ci sono molti disaccordi, e stanno crescendo oggi, nelle relazioni tra la Turchia e il resto della NATO. Negli anni si sono accumulate varie e svariate insoddisfazioni da entrambe le parti. Fino ad ora, tuttavia, i rispettivi interessi hanno fatto sì che le due parti ignorassero le differenze e favorissero il mantenimento di questa strana alleanza.

(Credito fotografico: NATO)

Le rimostranze della NATO

Le relazioni sono segnate dapprima da una lunga serie di ambiguità turche, molto poco apprezzate dai partner della NATO. A cominciare dall’offensiva turca in Siria contro le milizie curde alleate della coalizione anti-Daesh, la cui coalizione è guidata dagli Stati Uniti e annovera tra i suoi membri la NATO in quanto tale (che le fornisce il sostegno Aeromobili AWACS). Un’altra spina nel fianco dei rapporti con l’Alleanza, e in particolare con gli Stati Uniti, è l’acquisto da parte della Turchia del sistema di difesa antiaereo russo S400. Nonostante i ripetuti avvertimenti degli alleati occidentali, la Turchia persiste e firma, mentre chiede loro lo spiegamento delle batterie Patriot quando le sue relazioni con Mosca stanno attraversando una fase di tensione. Infine,

Più in generale, le differenze turco-NATO sono evidenti a livello politico-strategico. Anche se l’Alleanza Atlantica è tradizionalmente posizionata contro la Russia e sempre più contro la Cina, Ankara non esita a flirtare con la Shanghai Cooperation Organization (SCO), creata nel 2001 come una sorta di Controparte sino-russa dell’alleanza occidentale. Dal 2012 la Turchia ha lo status di “partner di dialogo” e Ankara aveva più volte espresso l’intenzione di diventare un giorno un membro a pieno titolo dell’organizzazione. Il ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu è arrivato al punto di dire:“Con questa scelta dichiariamo di condividere lo stesso destino dei paesi SCO. La Turchia fa parte di una famiglia composta da paesi che convivono non da secoli, ma da millenni. “ Detto questo, la Turchia non intende cambiare un’alleanza con un’altra, ma piuttosto spera di espandere il proprio grado di autonomia. Resta il fatto che gli alleati della NATO non guardano molto favorevolmente alle esercitazioni militari congiunte ad Ankara, nello spazio turco, a volte con i cinesi, a volte con i russi.

Un certo numero di argomenti tecnici, con una dimensione altamente politica, interrompe regolarmente anche le relazioni NATO-Turchia. Al momento dell’istituzione dello scudo antimissile della NATO, la Turchia faceva affidamento sulla posizione geografica ideale di Kürecik, una stazione radar di preallarme, per imporre le sue condizioni: l’Alleanza non nominerà il ‘Iran o Siria (o qualsiasi altro paese vicino alla Turchia) come una minaccia esplicita; i dati raccolti non possono essere trasmessi a paesi terzi (Israele in questo caso); e un alto ufficiale turco sarà permanentemente di stanza presso il Centro di comando della NATO. Per quanto riguarda l’altro grande dossier “tecnico”, il sistema russo S400, l’Alleanza evidenzia i problemi di interoperabilità con i sistemi NATO, ma è l’albero che nasconde la foresta.

La Turchia inoltre non esita a prendere in ostaggio le politiche dell’Alleanza se ritiene che i suoi interessi siano stati danneggiati in un modo o nell’altro. A volte ricorre a minacce di chiusura o restrizione dell’accesso alle basi americano-NATO sul suo territorio. In altri casi, Ankara paralizza per mesi l’attuazione del piano di difesa per la Polonia e gli Stati baltici, blocca tutti i programmi di Partenariato per la Pace che coinvolgono l’Austria, restringe fortemente le possibili aree di consultazione e cooperazione tra UE e NATO, anche se significa generare singhiozzi operativi (come in Kosovo o in Afghanistan). Ciliegina sulla torta, durante la grande epurazione del 2016, a seguito del golpe fallito, Erdogan licenziò da un giorno all’altro la metà dei 300 soldati turchi distaccati nei comandi europei (cosa che non fu priva di problemi di gestione e di competenza, secondo il SACEUR dell’epoca, il generale americano Curtis Scaparotti ). E ancora, l’elenco è tutt’altro che esaustivo.

Le lamentele di Ankara

Da parte turca, l’immagine dell’Alleanza non è affatto più brillante. Secondo l’ultimo sondaggio transatlantico Pew pubblicato all’inizio del 2020, la Turchia è lo Stato membro in cui la NATO è di gran lunga la più impopolare, con solo il 21% di opinioni favorevoli (contro l’82% in Polonia). [ 9] La base del malcontento turco è stata a lungo la sensazione di essere un alleato di seconda classe. I turchi sentono che le politiche e le manovre di altri alleati li smascherano e li mettono in pericolo, senza che abbiano sempre voce in capitolo e senza essere difesi, se necessario, dalla NATO, in tal modo. affidabile e credibile.

In questo contesto, gli alleati sembrano ignorare le preoccupazioni turche su quella che Ankara vede come una minaccia esistenziale per il paese: la sfida curda. Da qui l’estrema tensione all’interno della NATO durante la guerra in Siria sulla definizione di terrorismo. Agli occhi della Turchia la situazione è grottesca: gli Stati Uniti hanno armato e addestrato le milizie curde siriane affiliate al PKK (riconosciuta come organizzazione terroristica sia dall’UE che dall’America), proprio per facilitarne la vita. usandoli come ausiliari in combattimento. Per gli alleati occidentali, l’ossessione curda per Ankara indebolisce la coalizione anti-Daesh e mette così in pericolo la lotta al terrorismo “reale”. La burocrazia della NATO, da parte sua, si nasconde dietro la formula universale:“Stiamo combattendo il terrorismo in tutte le sue forme” .

Di fronte all’aumento delle minacce e alla destabilizzazione del suo vicinato, la Turchia sente di ricoprire nuovamente il ruolo di un alleato affidabile che finirà per fare uno scherzo. Durante la prima guerra del Golfo nel 1991, Ankara accolse le richieste di Washington e le concesse l’uso gratuito della base di Incirlik per le operazioni aeree contro l’Iraq. E questo nonostante la massiccia opposizione dell’opinione pubblica e le dimissioni del Ministro degli Affari Esteri, del Ministro della Difesa e del Capo di Stato Maggiore della Difesa. Nonostante ciò, è stata espressa riluttanza – in particolare dalla Germania – alla NATO per quanto riguarda la difesa della Turchia (in caso di contrattacco iracheno in risposta ai bombardamenti americani). Alla fine, l’Alleanza ha preso questa decisione, ma la sua credibilità, agli occhi dei turchi, ha subito una grave battuta d’arresto.

Ribellarsi nel 2003, durante i preparativi per l’invasione americana dell’Iraq. La Turchia questa volta ha deciso di non mettere a disposizione di Washington l’uso delle sue basi. Alla NATO, gli Stati Uniti vogliono adottare un piano di difesa per la Turchia, che Francia, Germania e Belgio rifiutano, sulla base del fatto che nelle circostanze ciò equivarrebbe ad avallare in anticipo la bellicosa avventura di America. Ancora una volta, la questione verrà risolta sotto la pressione americana e la Turchia riceverà rinforzi alleati, ma non senza un po ‘di amarezza. Da allora, e poiché la regione si è effettivamente scatenata da questa invasione, l’invocazione da parte della Turchia dell’articolo 4 del Trattato di Washington e la richiesta di dispiegamento di batterie Patriot sono diventate un esercizio quasi regolare. Anche in un modo

L’Alleanza nonostante tutto

Tra Ankara e NATO “è sempre stato un matrimonio di convenienza”, secondo James Jeffrey, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Turchia. Da un lato, la posizione geopolitica unica della Turchia (al crocevia tra Europa, Medio Oriente e Caucaso, controllando l’accesso al Mar Nero) ha reso Ankara un alleato praticamente insostituibile a cui perdoniamo alcuni scherzi. D’altra parte, quella stessa posizione facile da incassare significa che la Turchia è nel mezzo di una polveriera. Ha quindi bisogno di questa alleanza occidentale anche per proteggersi da potenti vicini e come leva aggiuntiva per opporsi a loro. Per la NATO, l’intensificazione, sia per numero che per natura, delle azioni turche negli ultimi anni pone una questione delicata. Come afferma Muriel Domenach, ambasciatore francese presso la NATO:“Come possiamo tenere a bordo un alleato tanto indispensabile quanto indipendente, per non dire incontrollabile  ?  [10] Questo alla fine si riduce a una questione di dosaggio.

Piantagrane, ma a quale scopo?

Secondo il segretario generale aggiunto della NATO Camille Grand,  “in realtà, l’opinione di tutti gli alleati è che mantenere la Turchia a bordo della NATO oggi ha molti più vantaggi di quanto ne abbia. “svantaggi” . [11] Ha anche osservato: “A Bruxelles, alcuni dicono che è un po ‘come era la Francia, vale a dire un alleato che spesso dice di no, che fa domande, che difende i suoi interessi con molta energia ” . Apprezziamo, tra l’altro, l’uso del passato in termini di brio della Francia … Comunque, il confronto si ferma qui. Nel caso francese, le posizioni solitarie e “non ortodosse” facevano spesso parte di un’ambizione europea, mentre nel caso turco l’Europa è più un bersaglio.

(Credito fotografico: Getty Images su www.express.co.uk)

L’Europa nel mirino

Sarebbe difficile ignorare che, per la maggior parte, gli obiettivi turchi sono principalmente contro gli interessi europei. Il rapporto 2020 della Commissione di Bruxelles non dice altro quando osserva: “La politica estera della Turchia è sempre più in contrasto con le priorità dell’UE” . [12] Questo è incredibilmente vero per l’ UE . crisi nel Mediterraneo orientale. Essendo Grecia e Cipro membri dell’Unione europea, qualsiasi tentativo di sgranocchiare i loro confini, marittimi o meno, equivale a mettere in discussione quelli dell’UE. Questo è esattamente ciò che ha sottolineato Clément Beaune, segretario di Stato francese per gli affari europei:“La Turchia sta perseguendo una strategia consistente nel mettere alla prova i suoi vicini immediati, Grecia e Cipro e, attraverso di loro, l’intera Unione europea .  [13] Fin dall’inizio, la Francia ha visto questo come una questione cruciale per la politica europea. di solidarietà “nei confronti di qualsiasi Stato membro la cui sovranità venga contestata” . [14] Il ministro degli Affari esteri greco segue l’esempio insistendo sul fatto che “la Grecia difenderà i suoi confini nazionali ed europei, la sovranità ei diritti sovrani di “Europa” . [15]

Allo stesso modo, a causa dell’apertura delle frontiere interne in Europa, il ricatto migratorio riguarda in ultima analisi l’intera Unione. Minacciare, come fa il presidente Erdogan, di “lasciare andare” l’Europa dei quasi 4 milioni di migranti sul suo suolo è uno strumento di pressione particolarmente potente – e Ankara è pronta a eliminarlo al minimo inconveniente. In particolare, per evitare gravi sanzioni che l’UE potrebbe adottare in risposta alle sue attività ostili nel Mediterraneo, sia che si tratti dell’esplorazione di idrocarburi nelle acque territoriali greche e cipriote, sia del suo attivo sostegno alla violazione dell’embargo su armi destinate alla Libia.

Oltre ai trasferimenti di armi, la Turchia vi manda anche uomini. Come spiega il ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian: “le forze che sostengono il presidente al-Sarraj sono organizzate dai turchi attorno alle milizie nella regione occidentale della Libia. Sono combattenti filo-turchi pagati e trasportati su aerei dalla zona di Idlib per combattere in Libia, sorvegliati da ufficiali turchi ” . E il ministro a suonare il campanello d’allarme:“È importante che l’Unione europea si renda conto che il controllo di questa parte dell’Africa settentrionale sarà assicurato da attori che non hanno gli stessi standard di sicurezza di noi né gli stessi interessi. Ci sono rischi qui per l’Europa in termini di sicurezza e sovranità, che si tratti di flussi migratori incontrollati o di minacce terroristiche “ . [16] Inutile dire che il pericolo che l’Europa sia in balia di potenze straniere che sarebbero in grado di aprire o chiudere a piacimento queste fonti di instabilità. L’ultimo affronto, Ankara ha rilevato l’addestramento della guardia costiera libica: un progetto in cui l’UE aveva già investito anni di sforzi e quasi 50 milioni di euro. [17]

Infine, gli europei subiscono l’interferenza turca nei loro affari interni, che prende il posto delle comunità turco-musulmane installate sul loro suolo. I governi che cercano di resistere, ad esempio vietando le campagne politiche interne turche sul loro territorio, sono descritti da Ankara come fascisti, nazisti, razzisti e islamofobi. È stato a causa di tale “attrito” in vista del referendum costituzionale turco del 2017 che Germania, Francia, Danimarca e Paesi Bassi hanno impedito che il vertice NATO del 2018 si tenesse in Turchia. Se le sporgenze di Erdogan sono solo la punta dell’iceberg, non sono meno istruttive. Che dire, infatti, di un alleato, che chiede agli immigrati di origine turca di avere tanti figli per vendicarsi delle ingiustizie e diventare“Il futuro dell’Europa  ?  [18] O chi lancia avvertimenti pericolosi: a meno che non cambino atteggiamento nei confronti della Turchia, gli europei non saranno in grado di camminare in sicurezza per le strade … [19]

La pretesa del presidente turco di essere la punta di diamante del mondo musulmano lo aveva già portato a importare queste questioni di “civiltà” nell’Alleanza. Anche se gli alleati erano impegnati contro i terroristi Daesh, gli ufficiali turchi, su istruzioni del loro governo, passavano il loro tempo a impedire che i documenti dell’Alleanza avessero alcun legame tra terrorismo e Islam. ] Allo stesso modo, Erdogan ha cercato di bloccare, nel 2009, la nomina di Anders Fogh Rasmussen alla carica di Segretario generale della NATO. Il suo crimine? Dopo la pubblicazione delle caricature di Maometto su un quotidiano danese, Rasmussen, allora primo ministro, non si scusò (a sufficienza) con il mondo musulmano. In particolare, ha avuto l’audacia di affermare:“In Danimarca attribuiamo un’importanza fondamentale alla libertà di espressione” . Anche se si è affrettato ad aggiungere: “Detto questo, rispetto profondamente i sentimenti religiosi degli altri. Da parte mia, non avrei mai scelto di disegnare simboli religiosi in questo modo ” . Tuttavia, è stato necessario l’intervento del presidente Obama perché Ankara revocasse il suo veto.

Europei con abbonati assenti

Certamente, la stessa Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, fa l’osservazione sulla Turchia: ”  se siamo geograficamente vicini, la distanza tra noi sembra continuare a crescere” . Per lo scenario più chiaro, quello in cui la Turchia minaccia esplicitamente i confini europei, ci assicura: “I nostri Stati membri, Cipro e Grecia, potranno sempre contare sulla totale solidarietà europea per tutelare i loro legittimi diritti in questo settore. di sovranità “. Tuttavia, anche su questo tema, pochi Stati membri, a parte la Francia, sono presenti quando si tratta di tradurre in azione questa proclamata solidarietà. Sia attraverso l’imposizione di sanzioni, sia attraverso adeguati schieramenti militari, come l’invio di navi da guerra francesi e aerei da combattimento nell’area. I partner europei vestono la loro inerzia dietro la facile formula secondo la quale “non dobbiamo soprattutto alienare la Turchia” . Tuttavia, non si dovrebbe scavare troppo in profondità per trovare altri motivi.

La Germania è un caso da manuale. È estremamente discreta sui temi più sfortunati che coinvolgono la Turchia, pur offrendo i suoi servizi di “mediazione”. Strana confusione di ruoli da parte di Berlino che, pur assumendo la presidenza di turno dell’Unione Europea, preferisce non prendere posizione quando un alleato extracomunitario, la Turchia, usa manovre intimidatorie per per quanto riguarda due paesi dell’UE, Cipro e Grecia. Inoltre, piuttosto che parlare a sostegno dei suoi partner dell’UE, la Germania sembra prevenuta a favore dell’altra parte. A causa degli strettissimi legami economici e migratori che si sono intessuti tra Berlino e Ankara, oggi è troppo esposta alle pressioni turche per poter agire come arbitro imparziale. Ospita una diaspora turca di circa 4 milioni di persone,

Per finire, la Germania e la maggior parte dei paesi europei hanno in mente un’altra considerazione quando sono riluttanti a rispondere seriamente alle provocazioni del presidente Erdogan. La cancelliera Merkel è arrivata a un vertice dell’UE dedicato a rispondere alle provocazioni turche, dicendo fin dall’inizio che non aveva intenzione di colpire troppo duramente le sanzioni perché, ha voluto ricordare : “La Turchia è un alleato della NATO”. Il desiderio di non seminare discordia nell’Alleanza ha la precedenza, come spesso, sugli interessi propriamente europei. Gli alleati europei non vogliono in particolare indebolire ulteriormente una NATO già vacillante (recentemente sotto i colpi del presidente Trump) ma che considerano ancora, a torto oa ragione, la garanzia ultima della loro difesa.

L’America con le sue priorità

L’Alleanza, per definizione, non è mai stato il forum più in grado di arginare le inclinazioni turche, per il semplice motivo che la Turchia, in quanto Stato membro, ha proprio lì il diritto di veto. Al di là di questa verità lapalissiana, è la posizione degli Stati Uniti che spiega ampiamente il silenzio e la procrastinazione della NATO sui numerosi fascicoli controversi che coinvolgono l’alleato turco. Di questi, solo due sono considerati dall’America come problemi seri. La prima è la questione curda, con Washington che difficilmente si rende conto che le preoccupazioni di Ankara ostacolano i suoi piani e le sue attività nella regione, sia in Iraq che in Siria. Il secondo riguarda l’acquisto da parte della Turchia del sistema di difesa antiaereo russo S400.

Ironia della sorte, anche su questi due temi che si oppongono soprattutto turchi e americani, sono ancora gli europei a rischiare di pagarne le spese. Quando la NATO ha rifiutato di designare le milizie curde siriane come gruppi terroristici, è stato il piano di difesa per i paesi baltici e per la Polonia che è stato tenuto in ostaggio per molti mesi dalla Turchia. Allo stesso modo, se gli Stati Uniti spingono per l’imposizione di sanzioni contro i turchi a causa dell’acquisto di attrezzature russe, una delle prime ritorsioni di Ankara contro “l’Occidente” sarà necessariamente ricorrere a al ricatto migratorio alle frontiere dell’UE, ancora una volta. L’Europa, geograficamente esposta e politicamente paralizzata, è l’obiettivo ideale della Turchia.

A parte la questione curda e l’S400, gli Stati Uniti guardano altri soggetti da lontano, avendo in mente le proprie priorità. Tutto ciò che aiuta a isolare la Russia, arginare la Cina e mantenere l’Europa sotto tutela è il benvenuto. La Turchia occupa una posizione chiave su tutti e tre i fronti: guardiano sul fianco meridionale della Russia, tenendo lo stretto del Bosforo e dei Dardanelli; un collegamento cruciale nei piani della Cina per la Nuova Via della Seta; e fonte permanente di confusione nelle ambizioni della difesa europea, Ankara ha quindi ancora molte carte in mano.

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Da questo panorama complesso emerge un fatto ovvio: NATO ed Europa non sono la stessa cosa. La presenza della Turchia nell’Alleanza atlantica, e la distanza geografica dagli Stati Uniti, fanno sì che per gli europei la NATO non sia, lontano da essa, il foro ideale per trattare argomenti che riguardano Ankara. È anche con questa idea in mente che la Grecia ha insistito su un dettaglio significativo nel trattato UE. In particolare inserire, tra gli obiettivi della politica estera e di sicurezza, la “salvaguardia dell’integrità dell’Unione”, in altre parole la difesa delle frontiere esterne. Questo elemento – peraltro spesso ignorato, eppure ricco di possibili ramificazioni – è stato aggiunto nel Trattato di Amsterdam del 1997, su esplicita richiesta di Atene, che non è affatto sfuggita ai leader turchi.

Non appena la Turchia se ne è impossessata, con gli accordi NATO-UE sospesi per l’approvazione di tutti gli alleati, una delle condizioni poste da Ankara è stata la promessa che le forze dell’Unione Europea non saranno mai usate contro uno Stato membro. dell’Alleanza. La Turchia voleva impedire alla Grecia, poi affiancata da Cipro dopo la sua adesione all’UE, di poter coinvolgere militarmente l’intera Unione nelle loro controversie. Al termine di due anni di trattative, è stata fatta la promessa, con lo strano impegno, richiesto dalla Grecia in nome del principio di reciprocità, che nemmeno la NATO attaccherà mai un Paese dell’Unione Europea. Ad ogni modo, questi dettagli dicono molto sulla netta distinzione tra le due organizzazioni, nonostante il fatto che 21 stati siano membri di entrambe. Sul caso turco,

Per Washington, a differenza dell’Europa, l’importanza della questione turca è abbastanza relativa. L’America può permettersi un approccio più distaccato e più libero. Certo, Ankara è un alleato di prim’ordine nel contrastare le inclinazioni russe, iraniane o cinesi, o anche le timide ambizioni europee di autonomia strategica. D’altra parte, è improbabile che gli Stati Uniti si trovino sotto la pressione diretta della sicurezza sia ai suoi confini che al loro interno, a causa di possibili animosità della Turchia. Il loro principale avversario è la Cina, e in una certa misura ancora la Russia. L’America sta osservando attraverso questo prisma le manovre in Medio Oriente, in termini di concorrenza, isolamento e contenimento da Mosca e, soprattutto, Pechino. Finché la Turchia contribuisce, avrà il suo posto nella NATO, rimarrà un utile alleato. Ma le sue azioni non devono disturbare troppo la disciplina dell’Alleanza, che spinge gli europei a prendere le distanze, il che impedirebbe il loro reclutamento dietro Washington, sotto la bandiera della NATO, nella competizione tra le grandi potenze. Dove finirà l’equilibrio? Harold Macmillan, primo ministro britannico alla fine degli anni ’50, una volta rispose al giornalista che gli chiedeva cosa influenzi maggiormente la politica del governo: Dove finirà l’equilibrio? Harold Macmillan, primo ministro britannico alla fine degli anni ’50, una volta rispose al giornalista che gli chiedeva cosa influenzi maggiormente la politica del governo: Dove finirà l’equilibrio? Harold Macmillan, primo ministro britannico alla fine degli anni ’50, una volta ha risposto al giornalista che gli ha chiesto cosa influenza maggiormente la politica del governo:“Gli eventi, mio ​​caro ragazzo, gli eventi” …

(Hajnalka Vincze, Turchia nella NATO, tra utilità e ostilità, Nota IVERIS, 26 novembre 2020)

Note:
[1] Audizione di Jean-Yves Le Drian, ministro per l’Europa e gli affari esteri, davanti alla commissione per gli affari esteri dell’Assemblea nazionale, Parigi, 7 ottobre 2020.
[2] Ministro degli affari esteri degli Stati Uniti John Kerry aveva già lanciato l’idea di una sospensione nel 2016 e il ministro della Difesa Mark Esper ha rivelato alla fine del 2019 che anche lui aveva avvertito Ankara che il suo mantenimento nella NATO era in pericolo. Da parte della Francia, l’ex presidente François Hollande, chiede di sospendere la partecipazione turca alla NATO. Per il ministro Le Drian serve una “grande spiegazione”, perché “non sappiamo più se la Turchia è nell’alleanza, fuori dall’alleanza o al suo fianco. “
[3] Tavola rotonda all’Assemblea nazionale, 27 novembre 2019.
[4] Jean-Sylvestre Mongrenier, Lo stato turco, il suo esercito e la NATO: amico, alleato, non allineato?, Hérodote 2013/1.
[5] Idem.
[6] Tavola rotonda all’Assemblea nazionale, 27 novembre 2019.
[7] Trascrizione: Emmanuel Macron nelle sue stesse parole (francese) – Intervista del presidente francese a The Economist, 7 novembre 2019.
[8] Audizione di SE Ismaïl Hakki Musa, ambasciatore turco in Francia, alla commissione per gli affari esteri e la difesa del Senato, 9 luglio 2020.
[9] NATO vista favorevolmente negli Stati membri, Pew Research Center, 9 febbraio 2020.
[10] Audizione di Muriel Domenach alla Commissione Affari Esteri e Difesa del Senato, 18 dicembre 2019.
[11] Tavola Rotonda all’Assemblea Nazionale, 27 novembre 2019.
[12] Rapporto sulla Turchia 2020, Commissione europea, 6 ottobre 2020.
[13] Audizione di Clément Beaune, Segretario di Stato per gli affari europei, alla Commissione per gli affari europei dell’Assemblea nazionale, 17 settembre 2020.
[14]
Comunicato stampa dell’Elysee, 12 agosto 2020. [15] Alleati della NATO si scontrano nel Mediterraneo, Fr24news, 26 agosto 2020.
[16] Situazione nel Mediterraneo – Audizione di Jean-Yves Le Drian, Europa e Affari Esteri, alla Commissione Affari Esteri e Difesa Nazionale del Senato, 8 luglio 2020.
[17] Nicolas Gros-Verheyde, La formazione della Guardia Costiera libica: nelle mani dei turchi? Cattivo segnale per gli europei, Bruxelles2, 25 ottobre 2020.
[18] “You Are the Future of Europe”, Erdogan Tells Turks, New York Times, 17 marzo 2017.
[19] Erdogan avverte che gli europei “non cammineranno sani e salvi” se l’atteggiamento persiste, mentre la discussione continua, Reuters, 22 marzo 2017 .
[20] Kamal A. Beyoghlow, Turchia e Stati Uniti sul Brink, US Army War college, gennaio 2020, p44.

https://www.iveris.eu/list/notes/525-la_turquie_dans_lotan_entre_utilite_et_hostilites

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