La più grande invenzione della Cina dopo l’oppio _ di Cesare Semovigo

La più grande invenzione della Cina dopo l’oppio . 

La vecchia guardia “demo-neocon” – Boeing, Lockheed Martin  – si trova impantanata in una palude di ritardi faraonici , ma è una condizione  non particolarmente esclusiva  in quest’epoca demenziale .

Tempi singolari per  mantenere la latitanza della batteria , l’era  che stiamo faticosamente vivendo .

Si armonizza il proprio  presente incominciando nella tutt’altro che facile moderazione  dei propri  i bassi istinti , un retaggio borghese intriso di saggezza dove  sottolineare la propria  superiorità olistica  surclassa  la voglia matta nutrirsi del sangue altrui .

Purtroppo lo stile non si compra  rovistando   tra le bancarelle odorose di naftalina ricolme di  cimeli sovietici.

Autoconvincersi  di avere trovato  il futuro della Tecnologia in una Startup Cinese  open source , fa già ridere così.

In tutta confidenza non sono per niente compiaciuto sapendo già di vincere l’ennesima  scommessa dall’esito scontato .

DeepDick l’intelligenza artificiale che pensavano di essere  Rocco ma invece era Jackie Chen . 

Quando hai costruito la tua personalità  collezionando schiaffi chiuso dentro l’armadietto della palestra, parti avvantaggiato dal momento che appena vieni risparmiato dalla fortuna è facile tu possa scambiare un esercitazione di  modesta difficoltà  nella tua  personale Guerra del Vietnam .

Però non può piovere per sempre, quando la grande muraglia delle puntate da tifosi superficiali supera la soglia massima della  decenza  fino a fare  la guerra senza Boxer , ma con le pale .

Infatti  possiamo perdonare una prosa scadente, piano piano con parole tue , nessuno è qui per giudicarti .

Purtroppo non può essere lo stesso ascoltando i contenuti  di una Broshure ai limiti della propaganda , farcita  di vittorie già assodate, periodi ipotetici farraginosi , tesi scolpite  nel marmo, che dico, nel granito, dove il campione dei giochi  baccanali dell’Intelligenza Artificiale è una  società Cinese , novello baluardo di libertà orizzontale grazie alla quale l’unica cosa “open “ è facilmente immaginabile.

Mentre i mercati, odiosamente Maiestatis, abbracciano l’idea che se sei competitivo non puoi altro che avere in sorte risultati meritatati, a  meno che tu non sia per gran parte un  completo  tontolone.

retorica.

Per decenni il vecchio sistema  ha  prosperato tra contratti miliardari, cene di lobbying e bilanci gonfiati. Ma ora, con l’aumento dei tassi di interesse e l’arrivo dei cosiddetti “TechBros”, le idee nuove portano in dote  costi più bassi .

È arrivato, non nascondo l’emozione, il momento di cui parlava Roosevelt.

Quando questi colossi della Guerra Fredda ad osservarli bene, hanno le sembianze di quei dinosauri fuori tempo massimo in attesa dell’arrivo del meteorite

Quello si vero “game Changer “ Boeing, un tempo sinonimo di eccellenza aeronautica, soffre una crisi d’identità tra la capsula Starliner inchiodata alla sua inefficienza media (tuttora in ritardo sui test) e le commesse che, a meno non si stia scommettendo contro di  me, difficilmente potresti ricevere in dono con quei risultati sperati e per niente garantiti .

Lockheed Martin, parallelamente, arranca nella pianificazione  dove l’F-35, spesso deriso per i continui upgrade e per i problemi nel funzionamento di taluni sistemi, in particolare dell’ earning Radar “.

Le patch software che sembrano ridurre l’aereo a un videogioco in  perenne fase Beta [2] .

In questo organigramma inequivocabilmente  si inserisce la scommessa Artemis: una missione grazie alla quale gli Stati Uniti  hanno l’ardore di  ritornare sulla Luna in grande stile,  dove niente può  rimanere lasciato al caso e si rischia di passare alla storia per qualsiasi motivo; dove, “ironia della sorte, la concorrenza di SpaceX sta preparando Starship, CONSEGUENDO UN. VERO COLPACCIO DIGITALE  ORMAI ASSESTATO intorno ai 2,5 miliardi a lancio (o forse anche meno, grazie al riutilizzo) [3].

Il paragone è impietoso: la NASA si ritrova a gestire un SLS pesante e costoso, SpaceX costruisce razzi seguendo la filosofia di prototipi di un’officina hi-tech, sprecando meno denaro e collezionando un livello più accettabile di figuracce mediatiche.

Alcuni osservatori maliziosi vedono in Artemis un gigantesco sistema “autogenerativo” di budget in nero, un meccanismo perfetto per mantenere in circolo miliardi di dollari pubblici nei soliti giri del Pentagono, in un loop di matrice “Cheney Loop” [4].

Del resto, osservando i numeri, i contratti e la costellazione di ritardi viene da chiedersi se ci sia più sostanza o più immagine” in un progetto che, almeno sulla carta, dovrebbe far rivivere i fasti dell’Apollo 11 .

L’Apollo 11-official il  dominatore indiscusso  delle fasce di Van Allen, cabina telefonica spaziale fatta di quell’’ alluminio degli anni ’60 che : ah signora mia, è indistruttibile , non lo fanno più così! “[5].

Si favoleggia di tecnologie “perdute e non riproducibili,” di telemetrie che sono andate misteriosamente smarrite, mentre appare incredibile che a decenni di distanza ci si trovi ancora in difficoltà perfino per portare l’uomo oltre l’orbita bassa .

Sta forse crollando il castello di menzogne o è soltanto un fisiologico cambio di rotta?

Di certo, la situazione risulta grottesca tanto che anche Socrate è uscito abbandonando il mondo delle idee scadenti .

Nel frattempo, i nuovi attori della Silicon Valley – i cosiddetti Tech Bros – continuano a conquistare terreno con prodotti più concreti e meno pomposi.

SpaceX, Anduril e Palantir macinano contratti di sicurezza, lanciano droni autonomi e creano valore tangibile in poco tempo e con meno sprechi [6].

INVIDIA , regina per anni del mercato GPU, si trova ad affrontare la cosiddetta “tempesta perfetta”: il rallentamento della domanda IA, l’incalzante concorrenza cinese, la produzione appaltata in larga parte a TSMC e i tassi d’interesse che frenano la speculazione [7].

Ma se si scava un po’ più a fondo nei dati, emergono similitudini preoccupanti con il crack delle Dotcom di inizio millennio, quando le valutazioni di mercato erano gonfiate da aspettative di crescita infinita.

Gli analisti che allora lanciavano allarmi inascoltati sostengono che, questa volta, il problema sia addirittura più strutturale: le proiezioni pre-crollo di NVIDIA, che vedevano un mercato IA in crescita esponenziale e capitalizzazioni stellari, non hanno retto alla prova dei fatti, trascinando giù non la sola azienda, ma anche una buona fetta del settore tech. ( vedi i grafici )

Quasi a ribadire che quando un colosso brucia, può lasciare sul campo cifre tali da eguagliare l’intera capitalizzazione di Piazza Affari in mezz’ora [12].

E la ciliegina? Il caro CEO, che fino a poco tempo fa si presentava come un novello cowboy high-tech, sbandierando GPU rivoluzionarie e la “superiorità USA” nel futuro militar-tecnologico, si è ritrovato a dover spiegare ai mercati perché l’azienda abbia perso miliardi in un soffio.

Inutile dire che la parabola del “golden boy” si è fatta parecchio meno luccicante, mentre i big della finanza guardano con sgomento la barca colare a picco.

In questa discesa agli inferi, NVIDIA non è andata sola: l’intero comparto delle vecchie big tech ha cominciato a ballare sulle stesse note sinistre, con capitalizzazioni che tremano, sussidi governativi che tardano ad arrivare e, dulcis in fundo, il bisogno di invocare una “tregua” politica.

Alcuni report interni, trapelati da ambienti vicini a Washington, dicono che i vertici di più aziende – storditi dai ribassi in borsa e dal vento che soffia da Pechino – abbiano chiesto un appuntamento con Donald Trump in persona, sperando di ottenere un’apertura, un aiutino, o almeno un segno di tolleranza verso le scelte fatte in passato  lucidando il didietro del carrozzone Dem , nascondendo in particolare le malefatte trash del Piccolo Hunter , il monello di casa Biden . [13].

Ma The Donald, con la sua ben nota vena provocatoria, avrebbe risposto che, per lavare il disonore di essersi appiattiti su interessi e poteri poco limpidi, dovrebbero investire una cifra compresa fra i 500 e i 1000 miliardi di dollari in nuovi progetti pienamente allineati alla “rinascita americana”.

In pratica, una stoccata che suona così: “Avete cullato il mondo oscuro del vecchio establishment, convinti che la festa durasse per sempre, e ora pagate pegno se volete un minimo di considerazione o addirittura esistere .”

E qui entra in scena la Cina con DeepSeeke, la misteriosa piattaforma di IA avanzata della quale si parla con toni entusiastici e, allo stesso tempo, con sospetti sempre più pesanti.

Secondo alcune fonti russe e slovacche – la cui attendibilità è stata in buona parte verificata , sostengono che – DeepSeeke è nata in due mesi da un semplice fondo d’investimento, senza che nessuno avesse mai spiegato quali processi interni, quali dati o quali competenze rendano possibile una simile impresa [8].

L’approccio open-source di DeepSeek ha sollevato discussioni sulla responsabilità nello sviluppo dell’IA e sull’efficacia delle restrizioni statunitensi sulle esportazioni di chip verso la Cina.

Alcuni esperti vedono questo come un “momento Sputnik” ( compagni  datevi un tono ) per l’IA .

Ciò che distingue DeepSeek secondo la vulgata , è la sua capacità di ottenere prestazioni comparabili utilizzando metodi di addestramento innovativi ( dei quali però non sono stati forniti dettagli ) ma con il non trascurabile fatto di una pari efficienza e con un hardware meno avanzato della concorrenza e per rendere “possible the impossible” , con assorbimenti 15/20 volte inferiori . Un renge multifattore strabiliante .

Mentre OpenAI richiede un abbonamento mensile di $20 per l’accesso ai suoi modelli, DeepSeek-R1 è gratuito e open-source, permettendo agli sviluppatori di tutto il mondo di modificarlo e migliorarlo. Le politiche del PCC tuttavia non sono un mistero e pensare dunque che un progetto così importante sia stato lasciato libero di operare senza troppi vincoli è come immaginare Speer che telefona a Ciano dicendogli : “Molibdeno express in arrivo , ci vediamo domani alla stazione Ostiense , ma lascia a casa il nano questa volta .”

Storicamente, il governo cinese non permette lo sviluppo di tecnologie critiche senza un controllo diretto o una partecipazione strategica . Potremmo quindi essere di fronte a un’operazione più ampia, un tentativo di posizionare DeepSeek come un’alternativa cinese “libera” ( Brigitte Bardot, bardot) mentre in realtà i dati raccolti e i progressi ottenuti vengono convogliati altrove ( Uellah ma va ) .

I conti societari non tornano, i registri tributari appaiono lacunosi e pare che il suo CEO sia legato a progetti cripto e persino alla moneta digitale cinese.

La ritrosia nell’abbracciare il grande sogno socialista Cinese rimane un mio limite.

In caso, andate avanti voi e chiamatemi quando vi siete sistemati , sarò felice di cospargermi il capo di cenere e diventare la vostra schiava sessuale; con un po’ di fantasia potrei essere la vostra Bimba dei desideri, basta che non mi vestite da trotsky rincorrendomi con un accetta .

Alcuni analisti sostengono che DeepSeek sia una sorta di cavallo di Troia per aggirare i dazi e manipolare i flussi finanziari; strumento ideale in una “guerra economica digitale” che Pechino potrebbe combattere al di là di ogni barriera commerciale posta dai segretissimi piani di Trump o da chi potrebbe succedergli[9].

Il fatto che Trump e Maga non abbiano fatto mistero rispetto alle proiezioni di politica economica protezionista futura sono constatazioni unanimemente riconosciute. Sagacia a parte , non risulta difficile ipotizzare che chi dovere abbia approntato contromisure ad hoc per contrastare le strategie del proprio principale competitor geopolitico.

Ma c’è di più! Taluni rilanciano, fino ad ipotizzare, senza troppo scadere nel fanta-calcio della geopolitica , il coinvolgimento di entità non esattamente esotiche .

L’obiettivo di coordinare una colossale operazione di manipolazione dei mercati condita da una disinvolta esplosione incontrollata di informazioni tendenziose al limite dell’insider trading , non rientra nella categoria distopica . L’ipotesi di killerare i carrozzoni morenti del “New American Century” , se si usa un minimo di logica seguita dall’osservazione dei presupposti strategici ,non è poi così azzardata.

È innegabile che il progetto DeepSeeke, per come si è presentato non convince .

Qualcuno la definisce addirittura un’operazione orchestrata per colpire la nuova amministrazione Trump in modo chirurgico, facendo emergere la fragilità dell’intero impianto economico e industriale americano [10].

Nel frattempo, Meta, Oracle e il gruppo di Bezos avrebbero inviato segnali di pacificazione al governo se non di velata resa confidando nella clemenza della corte .

L’impressione di molti , anzi quasi di tutti , è che più di un C.e.0 delle suddette Bigtech sia stato folgorato sulla strada di Mar a Lago , alla pari di quanto Al-Julani lo sia stato dirigendosi verso l’iconica Damasco , la patria indiscussa di chi misteriosamente è spinto verso la mistica dei miti consigli .

Nei fatti, ascoltando le dichiarazioni, stupisce l’epica prova di free climbing sugli specchi che ha regalato al mondo Zuckemberg dal buon Rogan , impeccabile esempio di eleganza per niente denigratoria . Maestro di Sensualità con la sua parrucca bionda di ordinanza .

Il patron di Meta è sembrato a suo agio .,nonostante avesse conservato al massimo un 30 percento di batteria .

Possibile che sapessero già tutto e abbiano preferito attendere il momento opportuno per intervenire e presenziare? Sui poster l’ardua sentenza!

In ogni caso, le domande restano, e a rendere più interessante la faccenda c’è Trump, che con il suo stile ha probabilmente accelerato una resa dei conti che si stava preparando da tempo, scuotendo un sistema di relazioni e accordi troppo a lungo considerato intoccabile.

Lo schema “Ponzi-Stanislavskij” su cui si basavano certi progetti miliardari potrebbe aver trovato il suo peggior nemico proprio in un presidente che, nel bene e nel male, mette tutto in discussione [11].

Oggi, Boeing, Lockheed e soci mostrano tutte le loro debolezze, mentre i nuovi protagonisti del mercato (da SpaceX ai fondi cinesi specializzati in IA) prendono il volo.

Di mezzo ci sono i sogni, i bilanci, e la credibilità stessa di un’America che un tempo sapeva attraversare le fasce di Van Allen con una lattina d’alluminio e che ora fatica a mandare qualcuno oltre l’orbita bassa senza bruciare miliardi come se fossero candele cinesi lanciate a bomba verso l’ingiustizia di ieri , di oggi .

Credici! Sta forse franando tutto il castello di retorica e segreti accumulati in mezzo secolo di Guerra Fredda? Una risposta definitiva ancora non c’è; rimane la sensazione che lo scontro tra la Nuova Cina e il vecchio establishment a stelle e strisce sia appena iniziato. Se le rivelazioni su DeepSeek dovessero confermarsi, allora potremmo trovarci di fronte a un ciclone che spazza via decenni di status quo in un lampo, come un razzo SLS da 4,4 miliardi che perde pezzi sulla rampa di lancio.

Ps: Chissà Dove sono finiti tutti quei droni ufo Jersey Show?

Non è roba nostra, non sappiamo di cosa si tratti, ma lo zio Sam assicura che potete stare tranquilli -.

Fonti

[1] “The Fall of Legacy Defense Giants,” Bloomberg Analysis, 2024.

[2] “Pentagon Reports on F-35 Delays and Overruns,” WSJ Defense Briefing,

2023.

[3] “SLS vs Starship: Cost Comparison,” NASA Audit Office, 2025.

[4] “Cheneyloop: The Endless Defense Budget Cycle,” Pentagon Watchdog,

2023.

[5] “Apollo Archives: Missing Telemetry and Lost Tapes,” Smithsonian Institute

Interviews, 2019.

[6] “Tech Bros vs Old Contractors,” Silicon Valley Insider, 2024.

[7] “NVIDIA’s GPU Market Overview,” MarketWatch Tech, 2025.

[8] “DeepSeek Dossier: Origins and Funding,” Slovak Cyberintel Forum, 2025.

[9] “China’s Digital Currency Strategy,” Crypto Analysis Monthly, 2024.

[10] “Deep State vs Trump: Economic Warfare via AI?” Eastern Monitor, 2025.

[11] “Ponzi-Stanislaky: The Hidden Scheme of Defense Contracts,” Investigative

Weekly, 2023.

[12] “Dotcom Crash Revisited: Market Parallels in Tech Valuations,” Nasdaq

Historical Review, 2025.

[13] “NVIDIA Meltdown and Big Tech Panic,” Financial Times Exclusive, 2025

 

 

Trump e la nuova era del nazionalismo, di Michael Brenes e Van Jackson

La visione irenica offerta da questo saggio, apparso paradossalmente, ma non tanto a ben vedere, sulla rivista “Foreign Affairs”, suggella la probabile scissione in corso tra la visione globalista e le attuali élites dominanti negli Stati Uniti. Negli anni ’50 l’Europa ha conosciuto una dinamica simile nella emersione di una corrente irenica europeista cola di aspettative, che vedeva nella Unione Europea in costruzione un processo di emancipazione risoltosi rapidamente in una illusione utile più che altro a mascherare e legittimare un processo di assoggettamento. In quel caso ha contribuito alla costruzione di un dominio imperialistico; in questo rischia di trascinare questo dominio definitivamente alla rovina_Giuseppe Germinario

Trump e la nuova era del nazionalismo

Una combinazione pericolosa per l’America e il mondo

28 gennaio 2025

An American flag fluttering behind barbed wire, El Paso, Texas, June 2024
Una bandiera americana sventola dietro il filo spinato, El Paso, Texas, giugno 2024  Jose Luis Gonzalez / Reuters

Michael Brenes è co-direttore del Brady-Johnson Program in Grand Strategy e docente di storia all’Università di Yale.

Van Jackson è docente senior di Relazioni internazionali alla Victoria University di Wellington.

Sono gli autori di The Rivalry Peril: How Great-Power Competition Threatens Peace and Weakens Democracy.

Come nel 2016, la presidenza di Donald Trump ha spinto i commentatori dentro e fuori Washington a riflettere sulla direzione della politica estera degli Stati Uniti. Le domande su come Trump tratterà la Cina e la Russia, così come l’India e le potenze emergenti del Sud globale sono numerose. La politica estera degli Stati Uniti si sta avviando verso un periodo di incertezza, anche se il primo mandato di Trump fornisce un punto di riferimento importante su come potrebbe gestire il ruolo degli Stati Uniti nel mondo nei prossimi anni.

Il ritorno di Trump alla Casa Bianca consolida il suo posto nella storia come figura di trasformazione. I presidenti Franklin Roosevelt e Ronald Reagan hanno dato forma a “epoche” distinte della storia degli Stati Uniti: hanno ridefinito il ruolo del governo nella vita degli americani e hanno rimodellato la politica estera degli Stati Uniti in modo duraturo. La presidenza di Roosevelt, che ha dato vita a un ordine multilaterale guidato dagli Stati Uniti, ha annunciato l’alba del “secolo americano”. Reagan cercò di massimizzare il potere militare ed economico degli Stati Uniti; il suo fu un periodo di “pace attraverso la forza”. Le amministrazioni successive alla Guerra Fredda hanno oscillato tra queste due visioni, spesso assumendo elementi di entrambe. Trump eredita i resti di queste epoche, ma ne rappresenta anche una nuova: l’era del nazionalismo.

Il tradizionale impulso di Washington a dividere il mondo in democrazie e autocrazie oscura la svolta globale verso il nazionalismo, iniziata con la crisi finanziaria del 2008 e sfociata nel protezionismo, nell’irrigidimento dei confini e nella contrazione della crescita in molte parti del mondo. In effetti, una rinascita del nazionalismo – in particolare del nazionalismo economico e dell’etnonazionalismo – ha caratterizzato gli affari globali a partire dalla metà degli anni ’90, quando il mondo ha visto un aumento della popolarità di figure nazionaliste, tra cui il primo ministro ungherese Viktor Orban, la leader dell’estrema destra francese Marine Le Pen e Trump.

Invece di mettere in discussione o sfidare questa nuova era di nazionalismo, Washington vi ha contribuito. Sia nell’amministrazione di Trump che in quella del presidente Joe Biden, gli Stati Uniti si sono preoccupati di consolidare il potere statunitense e di contenere i progressi cinesi. Invece di dare priorità alla creazione di posti di lavoro o alla crescita economica a livello globale, Washington ha utilizzato tariffe e controlli sulle esportazioni per indebolire il potere economico della Cina rispetto agli Stati Uniti. Una transizione energetica verde globale che affronti le radici della crisi climatica ha lasciato il posto a un tentativo politicamente controverso e fugace di espandere la produzione di veicoli elettrici negli Stati Uniti. La resilienza della catena di approvvigionamento ha superato l’interdipendenza economica, poiché la logica della “marea montante che solleva tutte le barche” è stata soppiantata da una corsa a rivendicare una quota maggiore di una torta economica globale in contrazione. Inoltre, non vedendo l’instabilità, la violenza e la sofferenza del debito nel Sud del mondo come legati ai problemi dei Paesi a più alto reddito, gli Stati Uniti esacerbano la diffusione del nazionalismo all’estero.

Questa nuova era nazionalista può essere individuata nel passaggio alla “competizione tra grandi potenze”, una frase vaga che inquadra la grande strategia statunitense nei confronti della Cina. Ma la competizione tra grandi potenze preclude agli Stati Uniti il potenziale di costruire una nuova era internazionalista nella tradizione di Roosevelt dopo la Seconda guerra mondiale. Inoltre, sostiene uno status quo anacronistico, basato sulla supremazia degli Stati Uniti, che non esiste più e limita l’immaginazione politica necessaria per generare un mondo più pacifico e stabile. Una preoccupazione decennale per la competizione tra grandi potenze ha fatto perdere agli Stati Uniti tempo e slancio per costruire un nuovo ordine internazionale che limiti i conflitti e incentivi le nazioni a respingere l’influenza economica e militare di Pechino.

Certo, Pechino rappresenta una minaccia per le democrazie, i diritti umani e la sicurezza informatica in tutto il mondo. Ma vedere queste minacce attraverso il prisma della competizione tra grandi potenze ha portato alcuni osservatori a presentare la Cina come un pericolo esistenziale al pari dell’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda. Questo approccio aggressivo e a somma zero nei confronti di Pechino ha aggravato i rischi dell’era del nazionalismo.

Se i politici americani vogliono rinvigorire il ruolo degli Stati Uniti nel mondo e contribuire alla pace e alla stabilità dei Paesi che soffrono di violazioni dei diritti umani, disuguaglianza e oppressione, devono ampliare i loro orizzonti e rifuggire da questa epoca di nazionalismo. I problemi urgenti del cambiamento climatico, dell’arretramento democratico, della disuguaglianza economica e dei livelli insostenibili di debito sovrano non saranno risolti rafforzando il potere degli Stati Uniti a scapito del resto del mondo.

IL NAZIONALISMO RISORTO

Quando gli Stati Uniti e i loro alleati sconfissero le potenze dell’Asse nel 1945, i leader americani si resero conto che il vecchio ordine imperiale non serviva più agli interessi della pace globale. La Società delle Nazioni si dimostrò inutile, mentre le grandi potenze si orientarono verso l’autarchia e il protezionismo negli anni Venti e Trenta, fomentando il nazionalismo che spinse i regimi autocratici di Germania, Italia e Giappone alla guerra.

Nel 1945, Roosevelt temeva che, una volta cessata la sparatoria, gli Alleati avrebbero cercato di proteggere i loro rispettivi interessi ripiegandosi su se stessi, come avevano fatto dopo la Prima Guerra Mondiale. Nel suo discorso sullo Stato dell’Unione di quell’anno, Roosevelt affermò che gli Stati Uniti dovevano adoperarsi per “stabilire un ordine internazionale in grado di mantenere la pace e di realizzare nel corso degli anni una più perfetta giustizia tra le Nazioni”. Questo nuovo ordine, secondo Roosevelt, dipendeva da istituzioni multilaterali che avrebbero utilizzato la forza economica e militare degli Stati Uniti per conto di partner globali che avevano bisogno di sicurezza e prosperità dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Roosevelt definì l’interesse nazionale in termini globali: la conservazione di un ordine multilaterale che rendesse il mondo sicuro per il capitalismo e la democrazia liberale. Sebbene ampie porzioni del mondo postcoloniale rimanessero sottosviluppate e le istituzioni multilaterali avessero beneficiato in modo sproporzionato le nazioni più ricche, c’era spazio per le economie non comuniste riemergenti in Asia e in Africa per affermare i propri interessi nell’ordine postbellico. Nel 1948, l’Accordo generale sulle tariffe e sul commercio eliminò le barriere commerciali che rafforzarono l’economia giapponese. Nel 1964, i Paesi in via di decolonizzazione si organizzarono all’interno delle Nazioni Unite in un raggruppamento chiamato G-77, con l’obiettivo di sfidare il disinteresse dell’Occidente nei confronti delle nazioni africane e asiatiche. Oggi, i Paesi del Sud globale continuano a rivolgersi alle Nazioni Unite per ottenere giustizia climatica, sostenere il diritto internazionale e ritenere le imprese private responsabili di violazioni delle leggi sul lavoro e sull’ambiente.

A volatile, unequal economic order fuels nationalist politics.

When the Cold War ended, in 1991, the United States subordinated international institutions to the pursuit of primacy in a unipolar era. With the Soviet Union defeated, there appeared to be no viable alternative to the U.S.-led liberal world order. As a result, multilateral institutions became adjuncts of U.S. power, as the United States and Europe assumed that liberal democratic ideals would flourish around the world, including in Russia and China. The war on terror after 2001 further eroded internationalism, with the United States using its preeminence to coerce, cajole, or flatter nations into joining its military campaigns, with little consideration for how Washington’s actions would damage U.S. relations with the non-Western world.

Then came the 2008 financial crisis. As global growth stagnated, the United States offered bank bailouts and protections to consumers to stabilize U.S. markets, and China launched a massive infrastructure project to employ its workers and sustain its growth rates. But most nations climbed out of the Great Recession by accumulating unsustainable levels of sovereign debt. And as the International Monetary Fund and the World Bank imposed terms on its borrowers that were politically unpopular, the governments of developing economies turned to Beijing as the lender of choice.

This setting—a volatile, unequal economic order—created opportunities for nationalist politics and politicians. When globalization failed to pay the same dividends that it had in the 1990s, demagogues blamed undocumented immigrants and the elites who presided over a corrupt, unfair system. Economic nationalism took hold in many countries. Populist rhetoric surged in the 2010s, as leaders told their populations to look for answers to global problems within their borders, not beyond them. Figures such as Orban rose to power by lambasting the International Monetary Fund and the European Union. In 2017, as prime minister, Orban claimed that “the main threat to the future of Europe is not those who want to come here to live but our own political, economic, and intellectual elites bent on transforming Europe against the clear will of the European people.” Anti-immigration rhetoric proliferated, as leaders around the world blamed immigrants for their countries’ problems.

Governments around the world turned to industrial policy and state-led capitalism to protect their economies from globalization—a trend that China led and the United States now follows with measures such as the Inflation Reduction Act and the CHIPS and Science Act. In Russia, the autocratic leader Vladimir Putin has embraced an ideology of nationalist imperialism, consolidating economic resources through state expansionism; Moscow’s invasion of Ukraine in 2022 has corroded the global norm against territorial conquest. Meanwhile, Indian Prime Minister Narendra Modi, once an advocate of free markets, has presided over a new era of state capitalism, centralizing the banking industry and exerting state control over foreign investment. And countries in the Middle East, in their efforts to deter U.S. primacy, now look to statist China as a model to partner with and potentially emulate. The age of great-power competition is an age of nation-states consolidating elite economic power through nationalist policies.

A NEW COLD WAR

In his first term, Trump embraced and profited from the resurrection of nationalism and great-power competition. Whereas President Barack Obama downplayed great-power competition, on the belief that cooperation with Beijing served the economic interests of the United States, Trump’s 2017 National Security Strategy adopted an “America first” foreign policy that emphasized U.S. prosperity over the global good. The United States, the administration wrote, will “compete and lead in multilateral organizations so that American interests and principles are protected.” This translated to the United States leaving, even if temporarily, organizations such as the UN Human Rights Council and UNESCO, which promotes international cooperation in education, science, and much else. Trump also withdrew from the Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty—a Reagan-era arms control treaty with Moscow—and the Paris agreement, the global pact to reduce greenhouse gas emissions. A fixation on great-power competition also led Trump to institute tariffs on Chinese imports valued at $200 billion, launching a trade war that escalated tensions between Washington and Beijing and increased the cost of living for U.S. consumers by as much as 7.1 percent in parts of the country.

Biden ha promesso di allontanarsi dall'”America first”, ma anche lui alla fine ha ceduto all’era del nazionalismo. All’inizio del 2021 si è impegnato a “iniziare a riformare le abitudini di cooperazione e a ricostruire i muscoli delle alleanze democratiche che si sono atrofizzate negli ultimi anni di abbandono”. Ma questa retorica non si è tradotta in cooperazione al di fuori di un quadro di competizione tra grandi potenze. Per mantenere la rivalità degli Stati Uniti con la Cina, Biden ha ampliato le politiche protezionistiche di Trump. Sebbene Biden si discosti da Trump per quanto riguarda l’enfasi sulle alleanze e sui partenariati, egli, come Trump, credeva che lo scopo principale dello statecraft economico americano fosse quello di limitare il potere della Cina massimizzando il potere degli Stati Uniti. Come ha sostenuto lo storico Adam Tooze sulla London Review of Books lo scorso novembre, Biden ha cercato di “garantire con ogni mezzo necessario, compresi interventi energici nelle decisioni commerciali e di investimento delle imprese private, che la Cina sia frenata e che gli Stati Uniti conservino il loro vantaggio decisivo”.

A tal fine, Biden ha rafforzato drasticamente il Comitato per gli investimenti esteri negli Stati Uniti, che monitora e limita gli investimenti stranieri per motivi di sicurezza nazionale; ha ampliato il numero di aziende cinesi inserite nella lista nera per le associazioni con le forze armate cinesi; ha mantenuto le tariffe iniziali di Trump contro la Cina; ha imposto nuove tariffe sui semiconduttori cinesi e sulla tecnologia delle energie rinnovabili; ha introdotto nuove restrizioni sugli investimenti cinesi negli Stati Uniti; e ha subordinato i nuovi crediti d’imposta a disposizione delle aziende tecnologiche statunitensi al loro disinvestimento dalle aziende cinesi. Quello che Jake Sullivan, consigliere di Biden per la sicurezza nazionale, aveva inizialmente definito un approccio “piccolo cortile, alto recinto” è diventato una strategia economica per contenere la Cina e disfare l’interdipendenza tra Stati Uniti e Cina nei settori ad alta tecnologia dell’economia globale.

Washington mina le sue alleanze rifiutando le istituzioni internazionali.

La svolta nazionalista della politica estera statunitense sotto la presidenza di Biden ha dato potere proprio alle imprese che hanno contribuito alla disuguaglianza che alimenta il nazionalismo. All’interno del quadro nazionalista emergente di Washington, l’attività di Tesla in Cina ha beneficiato delle tariffe sui veicoli elettrici, non solo perché gode di una posizione dominante nel mercato dei veicoli elettrici degli Stati Uniti, ma anche perché il suo amministratore delegato, Elon Musk, ha ottenuto un’esenzione dalle tariffe europee per i veicoli elettrici di produzione cinese di Tesla (nove per cento invece del 20 per cento). Nel frattempo, queste stesse tariffe hanno punito i consumatori e tagliato fuori i produttori statunitensi di tecnologie verdi dalla necessaria collaborazione con le aziende cinesi. Le startup della Silicon Valley che operano nel settore della difesa e le società di venture capital hanno investito decine di miliardi di dollari nell’intelligenza artificiale, che ora cercano di vendere al Pentagono, unico acquirente dei loro prodotti.

I gesti di Biden verso il multilateralismo sono stati un significativo allontanamento dal fervido nazionalismo della prima amministrazione Trump, ma sono rimasti al di sotto di un vero internazionalismo. I suoi sforzi per la costruzione di alleanze non riflettevano l’inizio di un’era multipolare, ma una competizione ideologica tra democrazia e autocrazia in una nuova guerra fredda con la Cina. Il Partenariato Atlantico, un’alleanza di nazioni costiere dell’era Biden, fornisce un esempio eloquente. Sebbene apparentemente progettata per migliorare il cambiamento climatico nei Paesi che si affacciano sulla costa atlantica, l’organizzazione è in definitiva uno sforzo per limitare l’industria della pesca illegale della Cina e per attirare le nazioni africane lontano dai capitali cinesi.

L’era del nazionalismo è punitiva per i Paesi a basso reddito, poiché limita le opportunità per gli Stati Uniti di instaurare rapporti di amicizia e fedeltà con le nazioni africane e asiatiche. Prima ancora di entrare in carica, Trump, nel tentativo di sostenere la supremazia del dollaro, ha preso di mira i Paesi BRICS (che costituiscono oltre il 40% della popolazione mondiale) con tariffe valutarie. Azioni come queste promettono di tagliare fuori gli Stati Uniti dalle catene di approvvigionamento globali, aumentando al contempo il costo dei consumi per il consumatore americano. L’uso della coercizione per preservare la supremazia del dollaro americano può giovare a Wall Street, ma aumenta anche il deficit commerciale degli Stati Uniti e riduce i settori di esportazione degli Stati Uniti, aumentando il prezzo relativo dei beni prodotti negli Stati Uniti sui mercati esteri.

Infine, Washington ha talvolta minato le sue alleanze rifiutando le istituzioni internazionali quando non servono gli interessi nazionali degli Stati Uniti. Con l’invio di munizioni a grappolo e di mine antiuomo in Ucraina, gli Stati Uniti continuano ad essere un’eccezione che mina i trattati internazionali ai quali si rifiutano di aderire pienamente, come la Convenzione sulle munizioni a grappolo (che conta 111 Stati firmatari) e il Trattato per la messa al bando delle mine antiuomo (che conta 164 Stati firmatari, compresi gli Stati Uniti). Trump e Biden hanno anche eroso l’autorità dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, rifiutando il suo meccanismo di risoluzione delle controversie, bloccando le nomine di nuovi giudici d’appello e ignorando le denunce presentate contro di essa per le varie infrazioni alle regole della politica industriale statunitense, tra cui le tariffe esorbitanti e i sussidi alle imprese per contrastare la crescita economica di Cina e India. A novembre, Biden ha rilasciato una dichiarazione della Casa Bianca che nega la legittimità della Corte penale internazionale su tutte le questioni relative alla guerra del governo israeliano a Gaza.

LA COOPERAZIONE SULLA COMPETIZIONE

Sfortunatamente, è probabile che Trump dia nuovo vigore a una politica estera nazionalista. La sua amministrazione è pronta a vedere la crisi in Medio Oriente come un conflitto di civiltà da affrontare con la forza militare piuttosto che con la diplomazia. Le alleanze in Asia orientale funzioneranno come utili proxy per limitare l’influenza di Pechino. Washington considererà la competizione con la Cina come una lotta esistenziale che accresce il sentimento anti-immigrati in patria, portando potenzialmente a crimini d’odio e a una maggiore violenza contro gli asiatici americani, come è accaduto durante il primo mandato di Trump. Per quanto riguarda l’America Latina, Trump rimarrà miopemente concentrato sulla sicurezza del confine tra Stati Uniti e Messico, rinunciando all’opportunità di collaborare su questioni di interesse comune, come la criminalità transnazionale e il cambiamento climatico.

Ma se gli Stati Uniti vogliono affrontare i problemi del mondo in modo significativo, la loro grande strategia deve uscire dall’era del nazionalismo. Una visione internazionalista più ampia, che lavori per il miglioramento del Sud del mondo, o della maggioranza globale, è una base di gran lunga migliore per l’ordine mondiale rispetto alla competizione con la Cina, che andrà a beneficio solo di pochi. Invece di trattare le nazioni africane e asiatiche come pedine in una competizione tra grandi potenze con Pechino, Washington deve capire come l’emarginazione dei Paesi a basso reddito inibisca la crescita che può favorire gli interessi degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Lavorando con il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, gli Stati Uniti possono ridurre il debito delle nazioni africane e ristrutturare le economie in difficoltà per ridurre al minimo la corruzione e promuovere i diritti democratici. Invece di permettere ai BRICS di agire in contrapposizione all’Occidente, Washington deve riconoscere la validità delle loro preoccupazioni e accogliere nuovi approcci che diano priorità all’Africa e alle nazioni asiatiche. Un Sud globale più forte metterà anche un freno all’etnonazionalismo e alle politiche anti-immigrati, perché le economie resistenti rendono difficile sostenere l’argomentazione che gli immigrati “rubano” posti di lavoro e prosciugano le risorse statali.

È ora che gli Stati Uniti superino l’obsoleta logica a somma zero della competizione tra grandi potenze. Invece di sprecare ulteriori risorse nella controproducente ricerca del primato, Washington dovrebbe rinnovare il suo impegno a rafforzare le economie e a promuovere i diritti umani in tutto il mondo. L’interesse nazionale non risiede nel superare la Cina in ogni campo, ma in una visione internazionalista che enfatizzi la cooperazione rispetto alla competizione.

NASA/Boeing vs Space X: La Guerra Spaziale è (di nuovo) Politica” & Trump Gongola-Gianfranco Campa

NASA #Boeing #ElonMusk #SpaceX #Trump #SpeseFolli #LowCost #Spazio #ConcorrenzaSpaziale #PoliticaSpaziale
Negli Stati Uniti siamo in presenza di un tentativo potente di rinnovamento che porterà all’emersione di una nuova classe dirigente e ad un adattamento ad esso di parte della vecchia. L’immagine offerta dalla cerimonia di insediamento di Trump parla da sola; gli atti susseguenti tracciano la direzione verso la quale gli Stati Uniti vorrebbero andare. Sino ad ora la nuova amministrazione, per altro ancora in fase di insediamento e di un consolidamento ancora dall’esito incerto, ha potuto contare sull’effetto sorpresa e sulla relativa debolezza degli attori protagonisti delle prime attenzioni. La circospezione con la quale i protagonisti principali dello scenario geopolitico si stanno avvicinando alla nuova amministrazione lasciano presagire una fase di studio e di relativa pacificazione delle relazioni, al netto degli imprevisti e delle prevedibili azioni di disturbo. Con qualche avvertimento precauzionale, però: sono stati tagliati i cavi sottomarini di collegamento tra Taiwan e un piccolo arcipelago vicino, sede di una grande base militare. La tendenza è ad una circoscrizione degli obbiettivi, soprattutto interni agli Stati Uniti e delle aree geografiche nelle quali concentrare il confronto. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Xi Jinping e Trump si scontreranno su Taiwan?_ di Niccolo Soldo

Commento e recensione del sabato #184

Xi Jinping e Trump si scontreranno su Taiwan?, La prossima importanza della Groenlandia, Il complesso industriale dei Think Tank, Los Angeles in fiamme, H.G. Wells: Terribile in tutti i sensi

Ogni fine settimana (o quasi) condivido con voi cinque articoli/saggi/rapporti. Li seleziono nel corso della settimana perché sono perspicaci, informativi, interessanti, importanti o una combinazione di questi elementi.

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Lo scorso novembre ho avuto il piacere di parlare a un’altra conferenza MCC a Bruxelles. Il tema di questo incontro era “La guerra culturale e il futuro geopolitico dell’Europa”. Mi sono divertito e sono certo di aver intrattenuto anche il pubblico.

In quell’occasione ho avuto il piacere di incontrare

autore dell’eccellente SubstackLo sconvolgimento. Ho condiviso con voi alcuni di questi scritti in passato e sono molto lieto di farlo anche oggi. Lyons si concentra sulla Cina come un laser, ma ciò che lo rende prezioso rispetto a molti altri è che proviene da una posizione che, finora, non ha fatto parte dell’establishment di Washington. Può essere descritto al meglio come un realista proveniente dal campo populista della politica statunitense, uno che comprende il potere e che sa anche quanto possa essere delicato.

Da quando Barack Obama si è insediato alla Casa Bianca nel 2009, tutti aspettavano che gli Stati Uniti facessero il “pivot” verso l’Asia orientale, ossia che facessero del contenimento della Cina il loro principale interesse di sicurezza, spostando la loro attenzione lì e lontano dal Medio Oriente. La realtà si è messa in mezzo, per caso o a sorpresa, lasciando ai cinesi più tempo per prepararsi a questo inevitabile spostamento di attenzione. Durante la seconda metà del primo mandato di Trump, abbiamo visto gli americani iniziare a fare pressione sulla Cina su alcuni fronti: sanzioni economiche mirate, rivoluzione fallita a Hong Kong sostenuta dalla CIA, tentativi di destabilizzare lo Xinjiang/Turkestan orientale con una campagna mediatica che accusava Pechino di “genocidio”, ecc. In particolare, i media e l’establishment erano dalla parte di Trump per quanto riguarda la Cina, accentuando il sostegno bipartisan alla politica cinese condotta dalla sua amministrazione. Tuttavia, il COVID-19 è arrivato e ha dato a Pechino una tregua di cui aveva bisogno.

È interessante notare che la sconfitta della quarantennale politica estera iraniana nel Levante nel giro di due settimane significa non solo che Hezbollah è stato sconfitto e che l’Iran e la Russia sono stati espulsi dalla Siria, ma anche che gli Stati Uniti possono destinare maggiori risorse al loro tanto atteso pivot verso l’Asia orientale (l’Iran non è ancora stato domato anche se significativamente umiliato). Inoltre, la tempistica coincide con l’avvento di Trump47 , un regime con un diverso atteggiamento nei confronti del potere e del ruolo degli Stati Uniti sulla scena globale. Infine, l’ipotesi è che si intraveda all’orizzonte un accordo di pace tra la Russia e l’Ucraina sponsorizzata dagli Stati Uniti. Una mano più libera per trattare con Pechino?

Il più importante punto di rottura tra Stati Uniti e Cina è Taiwan, un’isola che Pechino considera parte integrante della Repubblica Popolare Cinese e uno Stato che gli Stati Uniti non vogliono che le forze cinesi catturino. N.S. Lyons spiega la posta in gioco su Taiwan:

Xi Jinping ha dichiarato senza mezzi termini che la riunificazione di Taiwan con la Cina continentale non solo è essenziale, ma è la vera “essenza” della visione epocale del leader per il “grande ringiovanimento” – rendere la Cina di nuovo grande ristabilendo il suo ruolo di superpotenza numero uno al mondo. Per Xi e il Partito Comunista Cinese, l’isola democratica di 24 milioni di persone è già un loro territorio, separato da loro solo dall’ingerenza imperiale occidentale. Il suo ritorno sotto il loro controllo non è negoziabile. Come Xi ha tuonato in un discorso importante nel 2022, “Le ruote della storia stanno girando verso la riunificazione della Cina e il ringiovanimento della nazione cinese. La riunificazione completa del nostro Paese deve essere realizzata e può, senza dubbio, essere realizzata”.

Xi ha assegnato date specifiche a questo obiettivo. Ha dichiarato che la riunificazione deve essere raggiunta entro il 2049, centenario della Repubblica Popolare Cinese, ma ha anche nominato il 2035 come data in cui il ringiovanimento della Cina dovrebbe essere “sostanzialmente realizzato”. Dato che nel 2035 Xi sarà probabilmente ancora al potere, anche se a 82 anni, e che la riconquista di Taiwan sarebbe il trionfo nazionalistico per cementare la sua eredità politica in Cina, questa sembra essere la sua vera scadenza. Questo lo rende un uomo che ha fretta, e così ha ordinato alle forze armate cinesi di completare il programma di modernizzazione e di essere pronte a “combattere e vincere” una grande guerra su Taiwan con un concorrente alla pari (come gli Stati Uniti) entro il 2027.

Questo spiega in larga misura il massiccio potenziamento militare della Cina.

Il rischio:

Tuttavia, Xi preferirebbe chiaramente conquistare Taiwan senza combattere, se possibile. La Cina deve affrontare numerose sfide interne, tra cui il rallentamento dell’economia, la crisi demografica, la corruzione diffusa e l’instabilità sociale. Xi sembra aver dato priorità a questi problemi rispetto alle minacce esterne (con un successo limitato). Più importante, però, è il fatto che la guerra è sempre un affare intrinsecamente imprevedibile e rischioso, come l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha dimostrato agli analisti di Pechino. Un’invasione di Taiwan sarebbe un rischio di portata molto maggiore, con la pena del fallimento che potrebbe essere, come minimo, la devastazione economica della Cina, la delegittimazione politica del regime del PCC e la fine di Xi Jinping.

Ponendo la riunificazione con Taiwan al centro degli obiettivi dichiarati da lui e dal suo partito, Xi Jinping è disposto a rischiare tutto.

Trump The Spoiler:

C’è un’altra ragione per l’esitazione di Pechino. Da tempo ritiene che gli Stati Uniti e l’Occidente in generale siano in declino terminale, che il tempo sia quindi dalla parte della Cina e che questa possa semplicemente aspettare che il potere americano crolli di sua iniziativa. Come spiega un recente rapporto della Heritage Foundation , “l’osservazione e la valutazione della forza o del declino della civiltà occidentale contribuiscono a plasmare quasi tutti gli aspetti della politica cinese, sia estera che interna”. In particolare ha prestato molta attenzione alla “guerra culturale” dell’Occidente. Considerando le idee progressiste di “sinistra-liberale come profondamente corrosive e destabilizzanti”, il PCC ha concluso che “la volontà e la capacità di combattere dell’Occidente si stanno degradando nel tempo” e che “se rimane sulla sua strada attuale, l’Occidente potrebbe persino ritirarsi dalla scena mondiale, crollare o dividersi”. Finché la Cina crederà a questo, non avrà alcun motivo logico per preoccuparsi di combattere gli Stati Uniti su Taiwan.

TURBO!

Dal momento che la Turbo America è ora la prima direttiva di politica estera e che le riforme necessarie (ad esempio lo smantellamento del complesso industriale DEI in patria) vengono portate avanti per sostenere questa direttiva, Lyons sostiene che stiamo entrando in un periodo veramente pericoloso:

Eppure questa conclusione è proprio il motivo per cui potremmo entrare in un periodo di particolare pericolo. Se Pechino dovesse valutare che, sotto l’amministrazione Trump, l’America sta invertendo con successo il suo declino ed entrando in un’era di rivitalizzazione culturale, economica, tecnologica e militare, allora il suo calcolo strategico potrebbe capovolgersi. Come il Giappone imperiale, che prima di Pearl Harbor era ossessionato dal motto “se il sole non sorge, sta tramontando”, la Cina potrebbe concludere che la sua finestra di opportunità potrebbe essere persa. In tal caso, gli incentivi della Cina si invertirebbero improvvisamente: sembrerebbe vantaggioso attaccare prima che la sua forza relativa nei confronti degli Stati Uniti diminuisca.

superiorità industriale cinese, soprattutto in campo militare:

Questo pericolo è accentuato dal fatto che la Cina ha attualmente una serie di vantaggi significativi in una guerra su Taiwan. In effetti, gli Stati Uniti hanno “avuto il culo per anni” nella maggior parte dei wargames, come ha detto memorabilmente David Ochmanek, analista senior della RAND Corporation ed ex vice segretario alla Difesa. In particolare, la Cina possiede enormi vantaggi materiali, tra cui massicce scorte di missili antinave che possono colpire le navi di superficie statunitensi da lunga distanza. Nel frattempo, l’America esaurirebbe le munizioni critiche nel giro di tre-sette giorni e non sarebbe in grado di sostituirle, dato che attualmente i suoi produttori impiegano quasi due anni per produrre un singolo missile da crociera.

In generale, la mancanza di capacità manifatturiera nazionale è la debolezza più dannosa dell’Occidente quando si tratta di guerra moderna. Anche dopo tre anni di guerra in Ucraina, gli Stati Uniti e l’Europa combinati non sono ancora in grado di eguagliare la capacità della Russia di produrre munizioni di base come i proiettili di artiglieria. Attualmente la Russia produce circa tre milioni di proiettili all’anno, contro gli 1,2 milioni degli Stati Uniti e dell’UE insieme.

A differenza della Seconda Guerra Mondiale, oggi gli Stati Uniti non sono un arsenale democratico. Così come stanno le cose, se dovessero trovarsi in una prolungata guerra di logoramento con la Cina, un titano industriale che produce ben il 29% dei beni mondiali, gli Stati Uniti sembrano destinati a trovarsi in uno svantaggio sconvolgente. Per prima cosa, la Cina ha una capacità di costruzione navale ben 232 volte superiore a quella degli Stati Uniti, come ha rivelato una diapositiva trapelatada un briefing dell’Office of Naval Intelligence nel 2023. La Cina possiede già la marina militare più grande del mondo, con oltre 370 navi, rispetto alle 296 della marina degli Stati Uniti.

Nota: ho diversi ex lettori della Marina statunitense che si sono dilungati in email in cui evidenziano l’attuale squilibrio navale tra Stati Uniti e Cina.

Cosa “si dovrebbe” fare?

, e può essere realizzata concentrandosi sulla produzione di massa e sul dispiegamento di armi asimmetriche come droni, missili e mine marine per trasformare Taiwan in un vero e proprio porcospino.

Questo piano è ragionevolmente semplice, eppure riesce in qualche modo a scontentare gran parte di Washington, compresi i membri della coalizione conservatrice. Da un lato, offende il residuo neoconservatore dei falchi del Partito Repubblicano, perché, come ha spiegato Colbya>, prendere sul serio la difesa di Taiwan – insieme alla realtà della forza della Cina e dei limiti dell’America – significherà necessariamente dare priorità all’Asia, richiedendo agli alleati in Europa e in Medio Oriente di provvedere maggiormente alla propria difesa invece di tentare di sorvegliare il mondo intero.

E ora la domanda da un milione di dollari: Perché gli Stati Uniti dovrebbero rendere impossibile alla Cina di prendere il controllo di Taiwan?

D’altra parte, l’idea di difendere Taiwan fa irritare anche una parte della base MAGA più non-interventista. Perché, si chiedono, l’America dovrebbe sprecare il suo sangue e il suo tesoro per combattere per un’isola dall’altra parte del mondo? È una bella domanda, ma ha una bella risposta.

La posta in gioco di un conflitto su Taiwan è di tutt’altra categoria rispetto alle guerre di scelta in cui gli Stati Uniti si sono impegnati in questo secolo. Sebbene la piccola Taiwan sia una democrazia che affronta una grande potenza autoritaria, la difesa di un ideale astratto come la democrazia non è la vera ragione per cui gli Stati Uniti dovrebbero intervenire a Taiwan. Piuttosto, la cruda verità è che se gli Stati Uniti non riuscissero a proteggere Taiwan (come hanno fatto dal 1949), questo, più di ogni altra catastrofe geopolitica, demolirebbe la nostra credibilità come fornitore di sicurezza, segnerebbe definitivamente il momento decisivo in cui la Cina ha raggiunto l’egemonia come nuova superpotenza dominante del mondo e porterebbe al rapido collasso della rete di alleanze e istituzioni caritatevolmente note come “ordine internazionale liberale” e meno caritatevolmente come Impero Americano.

Sarebbe un duro colpo per la credibilità degli Stati Uniti, ma non sono così sicuro che sarebbe la campana a morto dell’Impero americano.

Altro:

E sebbene molti esponenti della destra populista, me compreso, siano profondamente scettici nei confronti del vasto impero americano e degli ingenti costi per mantenerlo, il suo crollo improvviso avrebbe conseguenze rapide e devastanti per la nazione americana in patria. Per prima cosa, la nostra economia oggi dipende totalmente dalla gestione di un massiccio deficit commerciale di importazioni e di un debito federale gargantuesco. Il primo dipende dal secondo, ed entrambi dipendono completamente dal fatto che il dollaro USA mantenga il suo “esorbitante privilegio” di valuta di riserva mondiale – uno status che mantiene essenzialmente solo perché gli Stati Uniti sono il capobranco del mondo. Una chiara vittoria della Cina su Taiwan porrebbe fine a questo privilegio, e il mondo si riorganizzerebbe rapidamente per un secolo cinese. Negli Stati Uniti sconfitti, il risultato sarebbe una crisi simultanea del debito, della finanza e dell’economia di una portata tale da far sembrare lieve la Grande Depressione. Il tenore di vita degli americani potrebbe non riprendersi mai più.

La difesa di Taiwan è quindi una questione di interesse nazionale americano, non di idealismo. E farlo significherebbe mantenere la pace attraverso la forza – evitare la guerra attraverso la deterrenza – non cercare per sempre guerre all’estero. L’amministrazione Trump dovrebbe essere pronta a sostenere questa tesi. Inoltre, nel farlo può sottolineare che tutti i passi necessari (riportare l’industria in patria, disciplinare gli appalti della difesa, ripristinare la competenza militare e spingere gli alleati a fare di più per la propria difesa) sono pienamente in linea con un più ampio programma America First. Questo riarmo sarebbe una campagna di nation-building in patria, non all’estero.

Si può essere d’accordo o meno, si può anche sperare che la Cina riesca nel suo intento di riportare Taiwan all’ovile (dopo tutto, si tratta di un Sottosistema internazionale). Ma io sostengo che questa è LA migliore argomentazione che ho trovato riguardo alla negazione da parte degli Stati Uniti dei progetti cinesi su Taiwan.

La posta in gioco di un conflitto su Taiwan è di una categoria completamente diversa rispetto a tutte le guerre di scelta in cui gli Stati Uniti sono stati coinvolti in questo secolo”. Foto SAUL LOEB/AFP/Getty.


18 gennaio 2025   8 minuti

È ancora prima dell’alba quando centinaia di missili cinesi iniziano a piovere su Taiwan. Gran parte delle forze aeree e navali dell’isola autogovernata vengono annientate in pochi minuti. Le forze speciali cinesi prendono d’assalto la residenza e gli uffici del presidente taiwanese, eseguendo il “colpo di decapitazione” per il quale si sono addestrate per anni. Sciami di aerei e di droni si abbattono sulle difese taiwanesi, mentre fino a 50.000 paracadutisti dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) scendono sull’isola, tentando un assalto lampo per catturare le zone di atterraggio per una seconda ondata trasportata da elicotteri prima di dirigersi verso le spiagge.

Centinaia di migliaia di truppe del PLA stanno per sbarcare nell’operazione anfibia più grande dai tempi del D-Day. L’invasione di Taiwan, attesa da tempo, è iniziata.

A Washington, il Presidente si trova di fronte a una decisione urgente e scoraggiante. Ampi wargames hanno ripetutamente indicato che l’unica speranza di sopravvivenza per Taiwan è che le forze militari statunitensi intervengano immediatamente e con decisione, spazzando via gran parte della forza d’invasione del PLA mentre sono ancora esposte e vulnerabili. L’esitazione, hanno imparato, porta sempre a una guerra di logoramento che Taiwan è destinata a perdere. Il Comando Indo-Pacifico esorta il Presidente a scatenare il suo piano “Hellscape“: usare sciami di droni, missili antinave e sottomarini d’attacco per trasformare temporaneamente lo Stretto di Taiwan in una terra di nessuno, guadagnando tempo per l’arrivo dei rinforzi americani. Ma non c’è modo di aggirare l’ovvia realtà: questo significherà una guerra tra le due maggiori superpotenze nucleari del mondo.

Inoltre, i comandanti delle forze aeree e spaziali statunitensi insistono per essere autorizzati ad attaccare immediatamente la “catena di morte” della Cina, la rete di satelliti, sensori e centri di comando, comunicazione e controllo che consentono alle armi a lungo raggio di trovare e colpire con precisione gli obiettivi. Entrambe le parti hanno un enorme incentivo a colpire per prime, prima che lo faccia l’altra, lasciandole di fatto accecate. I satelliti militari americani, in particolare, sono inestimabili, insostituibili e bersagli facili. Il Presidente sa che la sua controparte a Pechino sta valutando la stessa decisione. Ma c’è un grosso problema: non solo molti di questi sistemi si trovano sulla terraferma cinese, ma spesso sono gli stessi usati per colpire le armi nucleari; distruggerli potrebbe essere interpretato come il preludio a un attacco nucleare – nel qual caso l’incentivo diventa “lanciarli o perderli”. La situazione sta già degenerando fuori controllo.

Nel frattempo, il leader cinese ha già esitato: ha rifiutato di aprire il suo gioco d’azzardo con un attacco simile a Pearl Harbor contro le basi vulnerabili degli Stati Uniti e i gruppi di portaerei nel Pacifico, sperando che Washington possa ancora fare marcia indietro e consegnare Taiwan senza combattere. Ma ha deciso che se gli Stati Uniti dovessero intervenire, autorizzerà immediatamente attacchi massicci non solo contro le forze americane, ma anche contro quelle alleate giapponesi, sudcoreane e filippine. La Russia e la Corea del Nord sono in attesa del via libera per svolgere il proprio ruolo. Improvvisamente, il mondo si trova sull’orlo della terza guerra mondiale.

 

***

 

Sebbene questo scenario sia una finzione, per ora, la possibilità di un grande conflitto su Taiwan in un futuro non troppo lontano è reale, e in crescita. Xi Jinping ha dichiarato senza mezzi termini che la riunificazione di Taiwan con la Cina continentale non solo è essenziale, ma è la vera “essenza” della visione epocale del leader per il “grande ringiovanimento” – rendere la Cina di nuovo grande ristabilendo il suo ruolo di superpotenza numero uno al mondo. Per Xi e il Partito Comunista Cinese, l’isola democratica di 24 milioni di persone è già un loro territorio, separato da loro solo dall’ingerenza imperiale occidentale. Il suo ritorno sotto il loro controllo non è negoziabile. Come Xi ha tuonato in un maggiore discorso nel 2022, “Le ruote della storia stanno girando verso la riunificazione della Cina e il ringiovanimento della nazione cinese. La riunificazione completa del nostro Paese deve essere realizzata e, senza dubbio, può essere realizzata”.

Xi ha assegnato date specifiche a questo obiettivo. Ha dichiarato che la riunificazione deve essere raggiunta entro il 2049, centenario della Repubblica Popolare Cinese, ma ha anche nominato il 2035 come data in cui il ringiovanimento della Cina dovrebbe essere “sostanzialmente realizzato”. Dato che nel 2035 Xi sarà probabilmente ancora al potere, anche se all’età di 82 anni, e che la riconquista di Taiwan sarebbe il trionfo nazionalistico per cementare la sua eredità politica in Cina, questa sembra essere la sua vera scadenza. Questo lo rende un uomo che ha fretta, e così ha ordinato all’esercito cinese di completare il suo programma di modernizzazione e di essere pronto a “combattere e vincere” una guerra importante su Taiwan con un concorrente di pari livello (come gli Stati Uniti) entro il 2027.

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Tuttavia, Xi preferirebbe chiaramente conquistare Taiwan senza combattere, se possibile. La Cina deve affrontare numerose sfide interne, tra cui il rallentamento dell’economia, la crisi demografica, la corruzione diffusa e l’instabilità sociale. Xi sembra aver dato priorità a questi problemi rispetto alle minacce esterne (con un successo limitato). Più importante, però, è il fatto che la guerra è sempre un affare intrinsecamente imprevedibile e rischioso, come l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha dimostrato agli analisti di Pechino. Un’invasione di Taiwan sarebbe un rischio di portata molto maggiore, con la pena del fallimento che potrebbe essere, come minimo, la devastazione economica della Cina, la delegittimazione politica del regime del PCC e la fine di Xi Jinping.

C’è un’altra ragione per l’esitazione di Pechino. Da tempo ritiene che gli Stati Uniti e l’Occidente in generale siano in fase di declino terminale, che il tempo sia quindi dalla parte della Cina e che questa possa semplicemente aspettare che la potenza americana crolli di sua iniziativa. Come spiega un recente rapporto della Heritage Foundation , “l’osservazione e la valutazione della forza o del declino della civiltà occidentale contribuiscono a plasmare quasi tutti gli aspetti della politica cinese, sia estera che interna”. In particolare, ha prestato molta attenzione alla “guerra culturale” dell’Occidente. Considerando le “idee progressiste della sinistra-liberale come profondamente corrosive e destabilizzanti”, il PCC è giunto alla conclusione che “la volontà e la capacità di combattere dell’Occidente si stanno degradando nel tempo” e che “se continua sulla strada attuale, l’Occidente potrebbe persino ritirarsi dalla scena mondiale, crollare o dividersi”. Finché la Cina crede in questo, non ha alcun motivo logico per preoccuparsi di combattere gli Stati Uniti per Taiwan.

Eppure questa conclusione è proprio il motivo per cui potremmo entrare in un periodo di particolare pericolo. Se Pechino dovesse valutare che, sotto l’amministrazione Trump, l’America sta invertendo con successo il suo declino e sta entrando in un’era di rivitalizzazione culturale, economica, tecnologica e militare, allora il suo calcolo strategico potrebbe capovolgersi. Come il Giappone imperiale, che prima di Pearl Harbor era ossessionato dal motto “se il sole non sorge, sta tramontando”, la Cina potrebbe concludere che la sua finestra di opportunità potrebbe essere persa. In tal caso, gli incentivi della Cina si invertirebbero improvvisamente: sembrerebbe vantaggioso attaccare prima che la sua forza relativa nei confronti degli Stati Uniti diminuisca.

Questo pericolo è accentuato dal fatto che la Cina ha attualmente una serie di vantaggi significativi in una guerra su Taiwan. In effetti, nella maggior parte dei wargames gli Stati Uniti “hanno avuto il culo per anni”, come ha detto memorabilmente David Ochmanek, analista senior della RAND Corporation ed ex vice segretario alla Difesa . In particolare, la Cina possiede enormi vantaggi materiali, tra cui massicce scorte di missili antinave che possono colpire le navi di superficie statunitensi da lunga distanza. Nel frattempo, l’America esaurirebbe le munizioni critiche nel giro di da tre a sette giorni e non sarebbe in grado di sostituirle, dato che attualmente i suoi produttori impiegano quasi due anni per produrre un singolo missile da crociera.

In generale, la mancanza di capacità produttiva interna è la debolezza più grave dell’Occidente quando si tratta di guerra moderna. Anche dopo tre anni di guerra in Ucraina, gli Stati Uniti e l’Europa combinati non sono ancora in grado di eguagliare la capacità della Russia di produrre munizioni di base come i proiettili d’artiglieria. Attualmente la Russia produce circa tre milioni di proiettili all’anno, contro gli 1,2 milioni di Stati Uniti e Unione Europea insieme.

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A differenza della seconda guerra mondiale, oggi gli Stati Uniti non sono un arsenale democratico. Se dovessero trovarsi in una guerra di logoramento prolungata con la Cina, un titano industriale che produce ben il 29% dei beni mondiali, gli Stati Uniti si troverebbero probabilmente in uno svantaggio sconvolgente. Ad esempio, la Cina ha una capacità di costruzione navale ben 232 volte superiore a quella degli Stati Uniti, come ha rivelato una diapositiva trapelata da un briefing dell’Office of Naval Intelligence nel 2023. La Cina possiede già la marina militare più grande del mondo, con oltre 370 navi, rispetto alle 296 della marina statunitense.

Tutto questo per dire che, se il PCC crede che l’amministrazione Trump riuscirà nel suo obiettivo dichiarato di rilanciare le fortune dell’America, allora potrebbe considerare il prossimo futuro come il momento migliore per sfidarla su Taiwan. Sebbene sia probabile che ciò inizi con una serie di passi intermedi volti a testare la determinazione degli Stati Uniti, come un blocco dell’isola, piuttosto che un’invasione su larga scala, un’escalation intenzionale o meno non è da escludere.

La situazione, tuttavia, non è senza speranza. Gli Stati Uniti e Taiwan non devono essere in grado di dominare militarmente la Cina per evitare una guerra; devono solo far sì che un attacco all’isola appaia così eccezionalmente costoso per la Cina che non oserà mai premere il grilletto. Questo è ciò che Elbridge Colby, candidato alla carica di sottosegretario alla Difesa per le politiche di Trump, chiama “strategia della negazione“, e può essere realizzato puntando sulla produzione e sul dispiegamento in massa di armi asimmetriche come droni, missili e mine marine per trasformare Taiwan in un vero e proprio porcospino.

Questo piano è ragionevolmente semplice, ma riesce comunque a suscitare l’indignazione di gran parte di Washington, compresi i membri della coalizione conservatrice. Da un lato, offende il residuo neoconservatore dei falchi del Partito Repubblicano, perché, come ha spiegato Colby , prendere sul serio la difesa di Taiwan – insieme alla realtà della forza della Cina e dei limiti dell’America – significherà necessariamente dare priorità all’Asia, richiedendo agli alleati in Europa e in Medio Oriente di provvedere maggiormente alla propria difesa invece di tentare di sorvegliare il mondo intero.

Inoltre, una strategia mirata di negazione asimmetrica significherebbe riorientare i miliardi di dollari per la difesa che attualmente vengono spesi in modo dispendioso per gli articoli più amati dagli appaltatori della difesa e dai lobbisti: macchine appariscenti di grande costo, come le portaerei, che si dà il caso siano già militarmente obsolete. Come le corazzate di un tempo, queste armi sono reliquie di un’epoca più ostentata, tenute in vita dalla politica del Congresso, non dalla necessità militare. Infine, la strategia si scontra con i pietismi neoliberisti della vecchia guardia in materia di libero scambio e libero mercato, dato che richiederà una politica industriale e commerciale concertata e sostenuta dallo Stato, volta a massimizzare rapidamente la produzione interna americana e a contenere le insicure catene di approvvigionamento che si estendono in tutto il mondo.

D’altra parte, l’idea di difendere Taiwan fa irritare anche una parte della base MAGA più non-interventista. Perché, si chiedono, l’America dovrebbe sprecare il suo sangue e il suo tesoro per combattere per un’isola dall’altra parte del mondo? È una buona domanda, ma ha una buona risposta.

La posta in gioco di un conflitto su Taiwan è di tutt’altra categoria rispetto alle guerre di scelta in cui gli Stati Uniti sono stati coinvolti in questo secolo. Sebbene la piccola Taiwan sia una democrazia che affronta una grande potenza autoritaria, la difesa di un ideale astratto come la democrazia non è la vera ragione per cui gli Stati Uniti dovrebbero intervenire su Taiwan. Piuttosto, la cruda verità è che se gli Stati Uniti non riuscissero a proteggere Taiwan (come hanno fatto dal 1949), questo, più di ogni altra catastrofe geopolitica, demolirebbe la nostra credibilità come fornitore di sicurezza, segnerebbe definitivamente il momento decisivo in cui la Cina ha raggiunto l’egemonia come nuova superpotenza dominante del mondo e porterebbe al rapido collasso della rete di alleanze e istituzioni caritatevolmente note come “ordine internazionale liberale” e meno caritatevolmente come impero americano.

“La posta in gioco di un conflitto su Taiwan è di una categoria completamente diversa rispetto a tutte le guerre di scelta in cui gli Stati Uniti si sono impegnati in questo secolo”.

Sebbene molti esponenti della destra populista, me compreso, siano profondamente scettici nei confronti del vasto impero americano e dei costi che comporta il suo mantenimento, il suo crollo improvviso avrebbe conseguenze rapide e devastanti per la nazione americana. Per prima cosa, la nostra economia oggi dipende totalmente dalla gestione di un massiccio deficit commerciale di importazioni e di un debito federale gargantuesco. Il primo dipende dal secondo, ed entrambi dipendono completamente dal fatto che il dollaro USA mantenga il suo “esorbitante privilegio” di valuta di riserva mondiale – uno status che mantiene essenzialmente solo perché gli Stati Uniti sono il capobranco del mondo. Una chiara vittoria della Cina su Taiwan porrebbe fine a questo privilegio, e il mondo si riorganizzerebbe rapidamente per un secolo cinese. Negli Stati Uniti sconfitti, il risultato sarebbe una crisi simultanea del debito, della finanza e dell’economia di dimensioni tali da far sembrare lieve la Grande Depressione. Il tenore di vita degli americani potrebbe non riprendersi mai più.

La difesa di Taiwan è quindi una questione di interesse nazionale americano, non di idealismo. E farlo significherebbe mantenere la pace attraverso la forza – evitare la guerra attraverso la deterrenza – non cercare per sempre guerre all’estero. L’amministrazione Trump dovrebbe essere pronta a sostenere questa tesi. Inoltre, nel farlo può sottolineare che tutti i passi necessari (riportare l’industria in patria, disciplinare gli appalti della difesa, ripristinare la competenza militare e spingere gli alleati a fare di più per la propria difesa) sono pienamente in linea con un più ampio programma America First. Questo riarmo sarebbe una campagna di nation-building in patria, non all’estero.

Tuttavia, anche se si riuscisse a raggiungere l’unità politica sulla questione, il problema di Taiwan promette di essere tra le sfide più urgenti e consequenziali che il presidente Trump dovrà affrontare nel corso del suo secondo mandato. Taiwan si trova al centro dell’emergente nuova guerra fredda tra Cina e Stati Uniti e l’intensificarsi del rischio che lo scontro si inasprisca sta già ridisegnando il mondo. Lo spettro incombente della guerra sull’isola segna la fine di un’epoca – decenni di ingenuo idealismo da “fine della storia”, di globalizzazione sconsiderata e di avventurismo militare incurante – e l’inizio di una nuova era di rinnovato realismo tra le nazioni. Per affrontare il prossimo decennio di gravi pericoli, gli Stati Uniti dovranno sviluppare una nuova politica estera all’altezza, che combini realismo e determinazione in egual misura.

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Velyka Novosilka cade senza combattere, mentre il “Piano di pace di 100 giorni” sarebbe “trapelato”_di Simplicius

Velyka Novosilka cade senza combattere, mentre il “Piano di pace di 100 giorni” sarebbe “trapelato”.

 

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Uno dei maggiori sviluppi recenti sul campo di battaglia è la rapidità con cui alcune delle più grandi roccaforti urbane dell’Ucraina stanno cadendo dopo essere state circondate e tagliate fuori dalle forze russe.

Tempo fa, ogni piccolo insediamento veniva conquistato con aspri combattimenti, avanzando una casa alla volta – luoghi come Rubezhnoe, Popasna, Soledar, Bakhmut, ecc. Ma ora quasi la metà delle principali roccaforti sta cadendo praticamente senza combattere. Ci sono alcune eccezioni: Toretsk e Chasov Yar, ad esempio, sono stati contesi lentamente, anche se nel loro caso si trattava più che altro di caratteristiche geografiche e di terreni non favorevoli all’accerchiamento, che hanno costretto le truppe russe ad assaltarli frontalmente.

Quando Selidove/Selidovo cadde in ottobre, sorprese molti per la rapidità con cui fu abbandonata. La stessa Kurakhove è stata mitizzata dall’AFU come una battaglia critica ed estesa che avrebbe dovuto richiedere molti mesi per essere conclusa. In effetti ci volle molto tempo per affiancarla lentamente, ma la progressione effettiva attraverso la città, una volta iniziata, fu relativamente veloce.

Lo stesso vale per Ugledar: ci sono voluti molti mesi per fiancheggiarla lentamente sui lati, ma poi la roccaforte inespugnabile è caduta letteralmente in quattro o cinque giorni all’inizio di ottobre. Ora il trionfo si è ripetuto in una roccaforte ancora più grande, Velyka Novosilka. Dopo aver trascorso settimane ad avvolgerla con cura, i soldati russi hanno lasciato la città relativamente intatta, mentre le unità ucraine sono semplicemente fuggite senza combattere più di tanto.

Qui la 40ª Marines e la 5ª Brigata russa piantano le loro bandiere nel nord della città:

L’esercito russo ha sconfitto le Forze armate ucraine e ha conquistato la città-fortezza del nemico – Velikaya Novosyolka

▪️Combattenti della 40° Marines, della 5° e della 37° brigata, con il supporto delle forze speciali, dell’artiglieria e dell’aviazione del gruppo di forze “Est”, hanno liberato il centro regionale di Velyka Novosilka – il più grande hub difensivo e logistico delle Forze armate ucraine nella direzione sud di Donetsk.

▪️Le nostre unità hanno completato la liberazione di Velikaya Novoselka, sconfiggendo la 110ª Brigata delle Forze Armate dell’Ucraina.

▪️Ora è stato liberato l’intero agglomerato del saliente di Vremevsky – Velyka Novosyolka, Vremyevka, Neskuchnoye – il più grande hub difensivo e logistico delle Forze Armate ucraine all’incrocio tra Zaporozhye e la DPR.

▪️L’area, preparata e dotata di fortificazioni, ben protetta da tre barriere d’acqua naturali e da edifici circostanti, dopo lunghe e ostinate battaglie è passata sotto il controllo del gruppo “Est”, diventando un passo importante nella liberazione del sud-est.

RVvoenkor

Inoltre, anche Toretsk è stata completamente conquistata oggi:

Una cosa che vale la pena menzionare e che non molti hanno commentato è che la Russia sta espandendo furtivamente un’interessante testa di ponte appena a nord di Kupyansk. Era iniziata come un’azione di sondaggio esplorativo qualche tempo fa, ma ora si è trasformata in una vera e propria testa di ponte a ovest del fiume Oskil:

Si può vedere il fiume Oskil: molto territorio a ovest di esso è stato ora conquistato. Ciò significa che in futuro le forze russe potrebbero accerchiare Kupyansk da entrambe le sponde del fiume:

Ma torniamo alla riflessione iniziale: Molte città ucraine stanno iniziando a cadere senza combattere, solo dopo essere state tagliate fuori o parzialmente accerchiate. Questo fa presagire che alcuni dei più grandi combattimenti imminenti, in particolare Pokrovsk, che era attesa da entrambe le parti come una delle principali battaglie della guerra, simile per dimensioni a Bakhmut.

Ma alla luce di questi sviluppi, è molto probabile che anche Pokrovsk cada molto più rapidamente del previsto quando le sue principali vie di rifornimento saranno tagliate. Le forze russe si stanno avvicinando alla seconda di queste linee, dopo aver catturato la prima giorni fa.

Come si può vedere qui sotto, la strada principale per Udachne è stata conquistata, ma ora è apparso un nuovo saliente che si estende a nord verso la critica E50 e la altrettanto critica Hryshyne, una città che, come avevo detto in un precedente rapporto, sarebbe stata fondamentale per l’accerchiamento di Pokrovsk:

Alcuni ora sostengono che la Russia non andrà molto oltre, perché si parla di “negoziati”, con una sorta di cessate il fuoco previsto nel futuro prossimo e a medio termine.

Infatti, il popolare outlet ucraino Strana ha ora riportato un presunto piano di pace “trapelato” dal campo di Trump che chiede un cessate il fuoco ad aprile e un armistizio totale entro maggio di quest’anno.

Ecco un buon riassunto della tempistica del piano dal canale russo RVoenkor:

Il “piano dei 100 giorni” di Trump per l’Ucraina: Cessate il fuoco promesso entro Pasqua, pace entro il 9 maggio

➖ È impossibile affermare con certezza che il piano corrisponda alla realtà. La pubblicazione ucraina “Strana” riporta che il documento è stato trasferito dagli Stati Uniti agli europei, che a loro volta l’hanno trasferito all’Ucraina.

➖ Main:

▪️Trump intende avere una conversazione telefonica con Putin a fine gennaio – inizio febbraio. Vuole inoltre discutere con le autorità ucraine della situazione in Ucraina.

▪️In base ai risultati dei negoziati, si potrà decidere se continuare o sospendere il dialogo.

▪️Volodymyr Zelensky deve annullare il decreto che vieta i negoziati con Putin.

▪️Un incontro tra Trump, Putin e Zelensky potrebbe avvenire a febbraio o nella prima metà di marzo. Non è ancora chiaro se si tratterà di un incontro trilaterale o di due incontri separati. L’incontro è previsto per discutere i principali parametri del piano di pace.

▪️A partire dal 20 aprile, è previsto un cessate il fuoco lungo tutta la linea del fronte e il ritiro di tutte le truppe ucraine dalla regione di Kursk.

▪️Alla fine di aprile è previsto l’inizio di una conferenza di pace internazionale per formalizzare un accordo tra Russia e Ucraina per porre fine al conflitto. Stati Uniti, Cina e alcuni Paesi europei e del Sud globale agiranno come mediatori.

▪️In questo periodo inizierà anche lo scambio di prigionieri secondo la formula “tutti per tutti”.

▪️Entro il 9 maggio, dovrebbe essere pubblicata una dichiarazione della conferenza sulla fine del conflitto. La legge marziale e la mobilitazione non saranno estese in Ucraina e le elezioni presidenziali si terranno alla fine di agosto.

➖ Cosa include l’accordo?

▪️L’Ucraina non cerca la restituzione dei territori liberati dalla Russia, né militarmente né diplomaticamente, ma allo stesso tempo non riconosce ufficialmente la sovranità della Russia su questi territori.

▪️L’Ucraina non diventerà membro della NATO e dichiara la propria neutralità. La decisione di non accettare l’Ucraina nell’alleanza deve essere confermata al vertice della NATO.

▪️L’Ucraina diventerà membro dell’Unione Europea entro il 2030. L’UE si impegna a ricostruire il Paese dopo la guerra.

▪️Il numero delle Forze Armate ucraine non diminuisce e gli Stati Uniti stanno modernizzando l’esercito ucraino.

▪️Dopo la conclusione dell’accordo di pace, alcune sanzioni anti-russe saranno revocate e le restrizioni all’importazione di risorse energetiche russe nell’UE saranno eliminate.

▪️I partiti che difendono la lingua russa e sostengono relazioni pacifiche con la Russia dovrebbero partecipare alle elezioni in Ucraina. Cesserà anche la persecuzione della Chiesa ortodossa ucraina canonica.

▪️Sulla questione delle forze di pace dell’UE si terranno consultazioni separate.

RVvoenkor

Primo: molti ovviamente credono che questa sia falsa disinformazione ucraina, e per buone ragioni. È molto probabile che sia così, ma io la considero relativamente realistica anche per il semplice fatto che si accorda con l’approccio di Trump e molti dei punti chiave sopra riportati sono in linea con le dichiarazioni di Zelensky e di vari funzionari statunitensi ed europei. Se fosse falso, sarebbe probabilmente un po’ più lusinghiero per l’Ucraina, cosa che certamente non è, almeno in modo palese.

Se c’è un briciolo di verità, possiamo dire con certezza che sarà deriso dalla Russia per questa semplice frase:

▪️Il numero delle Forze Armate dell’Ucraina non diminuisce, e gli Stati Uniti modernizzeranno l’esercito ucraino.

Anche se la Russia dovesse ottenere la concessione che all’Ucraina non sia permesso di entrare nella NATO, semplicemente non c’è modo che Putin permetta all’Ucraina di mantenere le sue intere forze armate e che queste forze siano ampiamente aumentate e ricostruite in qualcosa di ancora più minaccioso dagli Stati Uniti. Dopo che potenzialmente 100-200k truppe russe sono state uccise, migliaia di civili massacrati, eccetera, è semplicemente impossibile che i leader russi o lo stato maggiore permettano all’Ucraina di rimanere una tale minaccia esistenziale, con o senza la NATO. In effetti, a questo punto, la questione della NATO passa in secondo piano ed è una piccola preoccupazione rispetto all’immediatezza di una dittatura militare nazionalista totalitaria armata fino ai denti che siede ai confini della Russia.

In breve: l’accordo di cui sopra è un non-starter se dovesse effettivamente apparire in una forma anche solo lontanamente simile; è una mera fantasia illusoria dell’Occidente anche solo pensare che la Russia debba smettere di combattere a breve, in un momento in cui le principali roccaforti ucraine si stanno piegando come sedie da giardino a buon mercato su base giornaliera.

Il fatto è anche questo: L’Ucraina rappresenta ora qualcosa di molto più pericoloso di quanto si potesse immaginare in precedenza, anche con un esercito “castrato” come previsto dall’originale “accordo di Istanbul” dell’aprile 2022. Per decenni la Russia ha temuto che la NATO si avvicinasse ai suoi confini per la capacità di infliggere vari attacchi a sorpresa ai sistemi di allerta precoce russi e ad altre difese che avrebbero paralizzato la capacità della Russia di rilevare o rispondere a un vero e proprio attacco americano di decapitazione, come un primo attacco nucleare.

L’Ucraina ha già dimostrato in modo perverso la sua capacità sfacciatamente spregiudicata di colpire le risorse russe di livello strategico, come le basi Tu-95, i sistemi di allarme rapido e altre infrastrutture, come le centrali nucleari. Ciò significa che anche con forze armate “ridotte”, l’Ucraina continuerebbe a rappresentare una minaccia inaccettabile, perché il lancio di nuovi droni ad alta tecnologia e di vari missili non richiede forze armate di grandi dimensioni, nel senso di un pool di uomini o di una flotta di corazzati.

Solo per questo motivo, nessun tipo di negoziato è possibile senza il disarmo totale o la capitolazione dell’Ucraina: la questione è assolutamente esistenziale per la Russia. Un armistizio e una “smilitarizzazione” in stile Istanbul potrebbero cullare la Russia in un falso senso di sicurezza, ma poi, al momento opportuno in futuro, la NATO potrebbe usare il suo capro espiatorio per scatenare un massiccio attacco di droni e missili sulle risorse strategiche russe, che sarebbe seguito da un attacco NATO su larga scala per decapitare completamente la Russia. Questo avverrebbe proprio in seguito al “riarmo” e al rafforzamento militare della NATO, che sta per iniziare proprio in questi giorni. I cervelloni militari russi lo sanno e per questo non permetterebbero alcun tipo di accordo di pace nei limiti dei termini suddetti.

Per concludere, ecco il pensiero dell’analista Starshe Edda sulla presunta proposta di Trump pubblicata da Strana:

Tutti i media stanno commentando un piano di Trump per fermare la guerra in 100 giorni. Amici, questo non è il piano di Trump, è il desiderio di un hohol e delle sue menzogne, che potrebbe essere stato concordato con la nuova amministrazione americana.

Inoltre, nessuno è rimasto sorpreso dalla clausola secondo cui gli hohol “ritireranno le truppe dalla regione di Kursk” in aprile. È del tutto possibile che l’impiego degli hohol sul Kursk Bulge prosegua fino ad aprile, ma solo un nemico che spaccia per realtà un pensiero velleitario può dichiarare in modo così categorico che le Forze Armate ucraine rimarranno nella zona di confine del Kursk fino alla “tregua”. Lo stesso si può dire delle altre clausole del “piano di pace di Trump”.

Ascoltate il nostro esercito e non le bugie dei giornalisti ucraini. Solo un soldato russo può preparare un vero piano di pace, e sarebbe meglio se all’inizio dei negoziati di pace il nostro soldato si trovasse con il piede sulla gola del nemico sconfitto.

Come già detto, il vantaggio della Russia non fa che aumentare, mentre quello dell’Ucraina diminuisce di ora in ora; non c’è letteralmente alcun motivo per cui la Russia possa voler negoziare ora che si avvicina alla soglia della vittoria totale.

Basta ascoltare l’ultima intervista del colonnello austriaco Markus Reisner alla TV ZDF, dove afferma inequivocabilmente che l’Ucraina potrebbe non resistere nemmeno i tre mesi necessari per raggiungere i “100 giorni di negoziati”:

Le sue affermazioni successive sono ancora più schiaccianti:

“Lasciatemi chiarire una cosa: il tempo gioca a favore della Russia e l’Ucraina non ha più tempo. L’Ucraina sta per perdere questa guerra. I progressi russi stanno ora iniziando a passare al livello operativo.”

Come si può notare, Reisner si sofferma sull’accelerazione del crollo delle difese ucraine, dove le principali roccaforti vengono ora conquistate senza opporre resistenza, il che finirà per consentire alle forze russe di iniziare ad accerchiarle senza opporre molta resistenza, provocando un effetto a cascata.

Nonostante la resistenza erosa, le perdite ucraine in queste città non sono state meno gravi. Nell’ultima settimana si è assistito a un’ondata di video che mostrano le perdite ampie da parte ucraina; per i più coraggiosi, basta dare un’occhiata a questi video, risalenti solo all’ultimo giorno o due: Video 1Video 2Video 3Video 4Video 5Video 6Video 7.

Anche i colpi dei droni russi a fibra ottica sulle unità ucraine stanno raggiungendo un picco:

Il canale russo Voenhronika riporta un’intervista a un membro dell’AFU con commenti interessanti:

Nello streaming di ieri di LOMA APU Nikolai Feldman e il cecchino dei media APU di Kharkiv Proshinsky, è stata data un’interessante opinione del nemico sulla situazione entro l’estate del 2025. In primo luogo, solo poche brigate d’élite delle Forze Armate dell’Ucraina possono ora tenere il fronte, mentre le altre sono in qualche modo solo in grado di stare sulla difensiva. Se l’attuale intensità dei combattimenti continuerà, anche l'”élite” sarà gravemente messa fuori gioco entro l’estate e l’autunno.

D’altra parte, l’esercito russo ha una carenza di fanteria e un’offensiva in più di 1-2 direzioni è impossibile. Per saturare rapidamente l’esercito e, ad esempio, accerchiare Charkiv, è necessario mobilitare e preparare le truppe. Allo stesso tempo, non ci sono fortificazioni particolarmente potenti intorno a Slavyansk o Kramatorsk, a ovest e a nord di Chasova Yar nell’estate del 2024 c’erano steppe e foreste, senza trincee e campi minati. Durante l’autunno, è improbabile che qualcosa sia cambiato. Ma in compenso sono stati investiti fondi considerevoli nelle fortificazioni alla periferia di Dnepropetrovsk.

Ecco perché le Forze Armate ucraine sono ora passate alla difesa focale, costruendo linee di difesa su base di emergenza con tentativi di tenere il fronte con fanteria e droni FPV. Presto arriverà il momento in cui l’avanzata dell’esercito russo potrà raggiungere decine o addirittura centinaia di chilometri in 1-2 giorni.

E dal canale apparentemente ucraino Legitimny:

#ascolti
La nostra fonte riferisce che la Zemobilizzazione è fallita a tal punto che la polizia del TCK deve camminare in folle di 8 persone per avere la possibilità di combattere la gente arrabbiata.

Ora il piano di cattura (ndr: mobilitazione forzata) viene attuato solo per il 35-43% delle perdite al fronte e nelle SPZ, e solo il 20% viene attuato dal piano di cattura principale.

La carenza di manodopera sta crescendo nell’esercito ucraino.

Il problema finale – e la ragione principale per cui il tempo è ora dalla parte della Russia – è che l’unica cosa che può salvare l’Ucraina a questo punto è la volontà politica e l’unità dell’Europa. Ma il problema è che: L’Europa sta cadendo a pezzi, con forze e partiti anti-establishment che si stanno rapidamente sollevando per deporre i tiranni globalisti in carica. Di conseguenza, più la guerra si protrae, più aumentano le possibilità che l’Europa si spacchi e che la solidarietà venga buttata nel cesso, con l’Ucraina che non ha alcuna speranza di salvezza dai suoi “fratelli maggiori”.

Un esempio su tutti: ieri:

Il tempo stringe per i globalisti.

 


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DEEP STATE NELLA TELA DEL RAGNO-GIACOMO GABELLINI-PINO GERMINARIO-LA RESA DEI CONTI

Non tutto quel che appare è realtà. Non tutto quel che si dice, corrisponde alle reali intenzioni. Siamo in una fase di posizionamento in un ciclo nel quale la volatilità e la repentina mutevolezza la faranno da padrone. Un mondo complesso, sempre più affollato da soggetti attivi ed ambiziosi, dove non è consentita, specie nei punti nevralgici, una condizione di mera attesa. Trump rappresenta l’emblema di questo protagonismo. Sarà l’animatore di una rigenerazione o il rianimatore di un corpo preda degli ultimi sussulti? Non si dovrà attendere per molto tempo; le dinamiche stanno accelerando_Giuseppe Germinario

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Quale impatto potrebbero avere le ultime sanzioni energetiche degli Stati Uniti sulle relazioni russo-indo-indiane?_di Andrew Korybko

Quale impatto potrebbero avere le ultime sanzioni energetiche degli Stati Uniti sulle relazioni russo-indo-indiane?

24 gennaio
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La preferenza di Trump per le sanzioni e la sua ultima minaccia di raddoppiare quelle secondarie potrebbero ostacolare il cauto allineamento multilaterale dell’India tra Stati Uniti e Russia, costringendola a scegliere tra i due.

I media sono stati inondati di resoconti che ipotizzano che le relazioni russo-indo-indiane potrebbero soffrire a causa delle ultime sanzioni energetiche degli Stati Uniti, visto che di recente si sono concentrati sull’importazione su larga scala di petrolio scontato da Mosca da parte di Delhi, che potrebbe essere messa a repentaglio da queste ultime restrizioni unilaterali. Una fonte indiana anonima ha detto ai media che “la Russia troverà il modo di raggiungerci” e ha previsto sconti più ripidi per contrastare i nuovi rischi di sanzioni, tuttavia, quindi per ora non c’è molto motivo di preoccuparsi.

Le misure non entreranno in vigore prima di marzo, quindi entrambe le parti hanno ancora tempo per pianificare soluzioni alternative, una delle quali sta prendendo la forma dell’India che ha recentemente ampliato il suo pool di assicuratori russi per includere società non sanzionate, anche se non è ancora chiaro cosa faranno riguardo alla “flotta ombra” sanzionata dalla Russia. In ogni caso, è un passo nella giusta direzione e mostra l’importanza che l’India attribuisce al proseguimento della sua importazione su larga scala di petrolio russo scontato, il cui significato strategico verrà ora spiegato.

Non solo ha contribuito a scongiurare una policrisi negli ultimi anni che avrebbe potuto catalizzare conseguenze disastrose a cascata nel Sud del mondo, come accennato qui alla fine del 2023, ma ha anche mantenuto in carreggiata l’impressionante traiettoria di crescita dell’India, mantenendo così anche la sua attrattiva per gli investimenti esteri. Inoltre, l’India ha preventivamente scongiurato la dipendenza potenzialmente sproporzionata della Russia dalla Cina diversificando i suoi flussi di entrate energetiche, impedendo così alla Russia di diventare il partner minore della Cina.

Ciò ha fermato le tendenze bi-multipolari sino-americane e ha facilitato la fase di transizione tri-multipolare della transizione sistemica globale verso una multipolarità più complessa (“multiplexity”). Quel risultato potrebbe essere visto da alcuni decisori politici statunitensi come dannoso per i grandi interessi strategici del loro paese, ma d’altro canto, la Russia deve ancora trasformarsi in una riserva di materie prime per dare una spinta all’ascesa della superpotenza cinese come avrebbe potuto già diventare se l’India non avesse diversificato i flussi di entrate energetiche della Russia.

I grandi interessi strategici dell’India sono di impedire che ciò accada a causa della possibilità che la Cina possa un giorno sfruttare la sua partnership senior sulla Russia per far sì che quest’ultima riduca e alla fine sospenda (indipendentemente dal pretesto) le nuove e sospese forniture militari all’India. Inoltre, il turbocompressore russo dell’ascesa della superpotenza cinese potrebbe costringere l’India a diventare il partner junior degli Stati Uniti in natura, il che potrebbe portare a serie concessioni sulla sua autonomia strategica duramente guadagnata.

Questi imperativi suggeriscono che l’India farà tutto ciò che è in suo potere per mantenere la sua importazione su larga scala di petrolio russo scontato, poiché l’alternativa è rischiare che la Russia diventi il partner minore della Cina, con tutto ciò che ciò comporterebbe per rimodellare la transizione sistemica globale ripristinando la bi-multipolarità sino-americana. Nel caso in cui l’India si senta costretta a rispettare queste ultime sanzioni, come se Trump venisse tratto in inganno da consiglieri fuorviati che minacciano paralizzanti sanzioni secondarie, allora potrebbe provare a raggiungere un accordo.

In cambio di esenzioni dalle sanzioni, che l’India potrebbe spiegare sarebbero necessarie per impedire la trasformazione della Russia in una riserva di materie prime per dare una spinta all’ascesa della superpotenza cinese a spese dei grandi interessi strategici degli Stati Uniti, potrebbe provare a convincere la Russia ad accettare il piano di pace di Trump. Mentre non è ancora chiaro cosa abbia esattamente in mente, i segnali che ha inviato finora suggeriscono che chiederà compromessi duri alla Russia, che Putin potrebbe rifiutare e poi Trump potrebbe intensificare in risposta.

Ciò potrebbe portare a sanzioni anti-russe ancora maggiori, tra cui l’applicazione di sanzioni secondarie minacciate contro paesi terzi come l’India, e più aiuti armati all’Ucraina per perpetuare il conflitto. Se la Russia non accetta il cessate il fuoco, l’armistizio o i termini di pace offerti, allora potrebbe non avere altra scelta che diventare il partner minore della Cina per disperazione di finanziamenti e potenzialmente anche di equipaggiamento tecnico-militare in cambio della vendita delle sue risorse a prezzi stracciati come finora si è rifiutata di fare .

Trump vuole “tornare (tornare) in Asia” subito per contenere la Cina in modo più muscoloso, il che richiede che risolva rapidamente il conflitto ucraino, così la sua possibile perpetuazione potrebbe ritardarlo indefinitamente, mentre la Russia potrebbe dare una spinta all’ascesa della superpotenza cinese, come lui vorrebbe evitare. Lui e i suoi consiglieri potrebbero non vederla così, ma l’India potrebbe aiutarli a convincerli di questa previsione di scenario, a cui alcuni del suo team potrebbero essere ricettivi a causa della loro indofilia .

Anche se l’India non riesce a convincere Trump a chiedere compromessi duri a Putin e poi non riesce a convincere Putin ad accettarli, potrebbe comunque sfidare le prevedibili minacce di sanzioni secondarie degli Stati Uniti continuando a importare petrolio russo scontato, anche se forse non nella stessa scala di prima. Questa possibilità si basa sulla grande importanza strategica dei loro legami energetici in relazione alla transizione sistemica globale dal punto di vista dell’India e all’imperativo di impedire alla Russia di diventare il partner minore della Cina.

Con tutte queste intuizioni in mente, la probabilità che le ultime sanzioni energetiche degli Stati Uniti danneggino i legami russo-indiani è bassa e lontana da ciò che alcuni media hanno ipotizzato, ma esiste ancora il rischio che possano essere danneggiati un po’ se non hanno successo nell’intraprendere soluzioni alternative. L’altra variabile significativa è se l’India può convincere Trump a concederle una deroga alle sanzioni a causa del modo in cui questi acquisti su larga scala impediscono alla Russia di diventare il partner minore della Cina o in cambio della mediazione sull’Ucraina.

La preferenza di Trump per le sanzioni e la sua ultima minaccia di raddoppiare quelle secondarie in quel caso potrebbero far deragliare il cauto multi-allineamento dell’India tra Stati Uniti e Russia, costringendola a scegliere tra loro, cosa che non vuole fare in nessuna circostanza. Ciò contestualizza la recente espansione dell’India del suo pool di assicuratori russi come un compromesso pragmatico almeno per ora, il che dimostra quanto l’India non voglia essere costretta nel suddetto dilemma, anche se alla fine potrebbe comunque esserlo.

In fin dei conti, tutto dipende da quanto Trump è disposto a fare pressione sull’India per la sua importazione su larga scala di petrolio russo scontato e dal grado in cui l’India potrebbe poi sfidarlo. Trump potrebbe essere convinto dall’India a riconsiderare di andare fino in fondo, mentre l’India potrebbe poi perseguire coraggiosamente i suoi grandi interessi strategici se ciò non accadesse, anche se a rischio di una grave crisi con gli Stati Uniti. Gli osservatori dovrebbero quindi tenere d’occhio queste dinamiche a causa del loro potenziale impatto enorme sull’ordine mondiale.

Non ci si aspetta che Trump estenda le garanzie di difesa reciproca dell’articolo 5 alle forze alleate in paesi terzi come l’Ucraina, poiché ciò potrebbe provocare una guerra con la Russia che potrebbe poi coinvolgere gli Stati Uniti.

Zelensky ha chiesto un minimo di 200.000 peacekeeper europei durante la sessione del panel che ha seguito il suo discorso a Davos, che lo ha visto proporre che Francia, Germania, Italia e Regno Unito uniscano le loro forze con quelle dell’Ucraina per contrastare la Russia in numeri quasi uguali. Ha anche suggerito che Trump abbandonerà l’Europa per raggiungere un accordo sull’Ucraina con Russia e Cina. Il sottinteso è che dovrebbero organizzare una missione di peacekeeping su larga scala prima che ciò accada.

Tuttavia, è improbabile che accolgano la sua richiesta, per lo stesso motivo per cui è improbabile che il Regno Unito stabilisca effettivamente una base militare in Ucraina, come ha accettato di esplorare nel suo nuovo patto di partenariato di 100 anni . Nessuno degli europei vuole rischiare una guerra con la Russia, dove sarebbero lasciati a combattere da soli senza il supporto americano , nemmeno il Regno Unito e la Francia dotati di armi nucleari, dal momento che non ci si aspetta che Trump estenda le garanzie di difesa reciproca dell’articolo 5 alle forze degli alleati in paesi terzi come l’Ucraina.

Lui, che ama avere il massimo controllo possibile su tutto, naturalmente non si sentirebbe a suo agio sapendo che altri potrebbero provocare una guerra con la Russia che potrebbe poi trascinare gli Stati Uniti. Il grande obiettivo strategico di Trump è di concludere il conflitto ucraino il prima possibile in modo da dare priorità ai suoi piani di riforme interne di vasta portata mentre “torna (indietro) verso l’Asia” per contenere più muscolosamente la Cina. Tutto ciò che potrebbe ostacolare questo programma, specialmente altri che provocano una guerra con la Russia, è un anatema.

Detto questo, non si può escludere che gli europei possano assemblare una forza su larga scala ai confini polacchi e rumeni dell’Ucraina per un rapido dispiegamento in caso di future ostilità, indipendentemente dal fatto che ciò sia coordinato tramite la NATO controllata dagli USA o al di fuori di essa. Affinché ciò accada, tuttavia, polacco – ucraino i rapporti dovrebbero migliorare (Zelensky ha ignorato la Polonia nel suo discorso nonostante abbia il terzo esercito più grande della NATO ) e il favorito populista della Romania dovrebbe perdere le elezioni presidenziali di maggio .

Inoltre, l’Europa dovrebbe compiere progressi significativi nella costruzione dell’“ apparato militare Schengen ” per facilitare il movimento di truppe e attrezzature attraverso il blocco verso i suoi confini orientali, altrimenti qualsiasi cosa venga assemblata sulla frontiera ucraina e poi inviata attraverso di essa sarebbe logisticamente vulnerabile. I legami polacco-ucraini non sono ancora migliorati, la ripetizione delle elezioni presidenziali in Romania non è ancora avvenuta e lo “Schengen militare” rimane per lo più sulla carta, il che va contro i piani di Zelensky.

Di conseguenza, la probabilità che gli europei radunino una forza su larga scala ai confini polacchi e rumeni dell’Ucraina in tempi brevi è bassa, per non parlare del fatto che dispieghino unilateralmente peacekeeper, che siano 200.000 o solo 2.000, in Ucraina senza la previa approvazione degli Stati Uniti. Tuttavia, il discorso di Zelensky a Davos e la sessione del panel potrebbero servire a piantare il seme di un “pensiero ambizioso” nelle menti dei decisori politici europei, il che potrebbe portarli ad avviare tali discussioni con gli Stati Uniti.

Dal punto di vista di Trump, è importante “condividere il peso” in Ucraina e idealmente scaricarne il più possibile sulle spalle degli europei, anche se senza incoraggiarli a provocare una guerra con la Russia in seguito. A tal fine, potrebbe flirtare pubblicamente con qualche variazione della proposta di pace europea di Zelensky, ma solo come parte di una tattica negoziale con Putin in modo che possa poi annullarla come una falsa concessione in cambio di qualcosa di più tangibile e significativo dalla sua controparte.

Trump potrebbe anche autorizzare in ultima analisi gli USA a prendere l’iniziativa di radunare la suddetta forza su larga scala ai confini polacchi e rumeni dell’Ucraina, ma a condizione che tutti i membri della NATO accettino la sua richiesta di spendere il 5% del PIL per la difesa. Potrebbero esserci anche altre condizioni, come quelle commerciali, per “confortarli” in questo modo, facendo finta di non “abbandonare” l’Europa come Zelensky ha appena insinuato che potrebbe essere un complotto.

Un modo per costringerli a fare entrambe le cose, vale a dire spendere il 5% del PIL per la difesa mentre accettano concessioni commerciali per guidare un rafforzamento NATO senza precedenti sui confini occidentali dell’Ucraina per “scoraggiare la Russia” dopo la fine del conflitto, è chiedere tagli drastici alle Forze armate ucraine. Zelensky ha avvertito durante la sua sessione di panel che Putin potrebbe chiedere una riduzione di cinque volte in base al precedente della bozza di trattato della primavera 2022 e, se Trump accetta, allora questo potrebbe spaventare l’Europa e spingerla a fare ciò che chiede.

Qualunque cosa finisca per fare, le probabilità che permetta agli europei di inviare unilateralmente un qualsiasi numero di peacekeeper in Ucraina sono prossime allo zero a causa della possibilità che provochino una guerra con la Russia che potrebbe rischiare di trascinare gli Stati Uniti, facendo così deragliare i suoi programmi di politica interna ed estera. Tutto ciò che deve fare per impedirlo è chiarire che le garanzie di difesa reciproca dell’articolo 5 non saranno estese a quelle delle loro forze in paesi terzi, indipendentemente dalle circostanze degli attacchi a cui potrebbero essere sottoposti.

L’unico scenario in cui potrebbe tollerare questa possibilità è se venisse ingannato dal complesso militare-industriale, dagli europei (in particolare dal presidente polacco uscente Andrzej Duda, che è uno dei suoi amici più cari) e da consiglieri fuorviati, trasformando l’Ucraina nel suo Vietnam, come ha appena avvertito Steven Bannon . Sebbene vi siano motivi di preoccupazione, in particolare le sue osservazioni sulla Russia dopo l’insediamento, è prematuro concludere che seguirà questa strada, quindi lo scenario di peacekeeper europeo rimane molto improbabile.

Questo dovrebbe essere visto solo come un segnale che la Russia è a conoscenza di questo complotto, non come qualcosa di più profondo, come l’aspettativa che Trump porti a termine i piani di Biden o un’insinuazione che i rapporti con il Pakistan potrebbero diventare problematici in tal caso.

Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha detto a Putin durante la riunione del Consiglio di sicurezza lo stesso giorno dell’insediamento di Trump e mentre esaminava i conflitti regionali che “non dimentichiamo l’Afghanistan, dove gli americani stanno anche cercando di ripristinare la loro presenza in una certa misura, utilizzando i paesi vicini per questo e pensando di riportare lì la loro infrastruttura militare. Sto dicendo tutto questo in termini di politiche portate avanti dalla precedente amministrazione”. La sua accusa merita un’ulteriore analisi.

Il punto di accesso più realistico degli Stati Uniti all’Afghanistan è il Pakistan, che ha assistito passivamente la sua occupazione militare di due decenni di quel paese vicino, ma allo stesso tempo ha anche sostenuto clandestinamente i talebani contro le forze straniere e l’esercito nazionale afghano. Postmoderno di aprile 2022 Il colpo di stato contro l’ex primo ministro multipolare Imran Khan avrebbe dovuto migliorare i rapporti con gli Stati Uniti e facilitare ciò di cui la Russia lo ha appena accusato, ma è stato declassato a causa della guerra per procura in corso in Ucraina .

Nonostante ciò, gli USA hanno comunque tentato di coltivare influenza nella regione più ampia, inclusa l’Asia centrale . Ciò non ha mai portato a nulla di significativo a causa dell’effetto moderatore che Russia e Cina hanno avuto sui potenziali piani che alcuni in quei paesi avrebbero potuto architettare. I loro decisori politici alla fine hanno capito che è meglio non provocare nessuno dei due attraverso partnership di sicurezza rafforzate con gli USA piuttosto che procedere con quanto sopra a possibile scapito della stabilità regionale e del commercio bilaterale.

Il Pakistan ha preso una strada diversa da quella intrapresa, tuttavia, poiché il suo regime post-golpe ha continuato a nutrire la speranza di ripristinare il suo ruolo tradizionale nell’aiutare le operazioni militari statunitensi in Afghanistan in cambio di benefici personali (anche finanziari). Questo spiega perché ha continuato a inchinarsi agli Stati Uniti su tutto, tranne che sul voto simbolico contro la Russia all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, cosa che gli è stata consentita dagli Stati Uniti per mantenere aperta la possibilità che la Russia modernizzasse l’industria delle risorse del Pakistan al posto della Cina.

I lettori possono saperne di più su questa logica qui , che copre i modi machiavellici in cui gli USA stanno tentando di adattarsi all’emergente ordine mondiale multipolare , ma i legami tra Pakistan e USA sono diventati di recente problematici, come è stato spiegato poco dopo qui . In breve, il programma missilistico balistico a lungo raggio del Pakistan ha fatto sospettare agli USA che abbia motivi di proliferazione illegale o forse persino ostili, mentre la sua brutale repressione dell’opposizione va ben oltre ciò che gli USA hanno approvato.

Ciò ha ridotto notevolmente la sua attrattiva per gli Stati Uniti come punto di ingresso in Afghanistan, poiché i decisori politici apparentemente pensavano che il Pakistan avrebbe sfruttato la sua assistenza logistica all’esercito americano lì per continuare con quei due corsi di azione che di recente avevano suscitato la preoccupazione degli Stati Uniti. In tal caso, il primo potrebbe alla fine portare a rischi per la sicurezza, mentre il secondo potrebbe rischiare un’ulteriore instabilità che potrebbe sfociare in una crisi nazionale che trasforma il Pakistan più in una passività americana che in una risorsa regionale.

Dopo aver spiegato il contesto più ampio in cui Lavrov ha fatto le sue ultime osservazioni sull’Afghanistan, che alludono ai sospetti della Russia che il Pakistan voglia facilitare il ritorno delle infrastrutture militari statunitensi lì, è ora il momento di discutere cosa questo potrebbe significare per le loro relazioni bilaterali incredibilmente strette. Come dimostrato dal fatto che la Russia continua a vendere energia all’UE nonostante il blocco stia armando l’Ucraina, non ci sono precedenti per ipotizzare che ridurrà o forse annullerà la cooperazione con un Pakistan molto più amichevole.

In questo caso particolare, il Pakistan potrebbe assistere passivamente gli USA nel promuovere sfide alla sicurezza provenienti dall’Afghanistan (principalmente non convenzionali/terroristiche) lungo i suoi ” confini strategici ” meridionali in Asia centrale, ma questo non è minimamente minaccioso quanto ciò che l’UE sta attualmente facendo in Ucraina. Non è nemmeno chiaro se Trump sarebbe interessato a chiudere un occhio sulle due nuove preoccupazioni degli USA nei confronti del Pakistan per restituire l’infrastruttura militare statunitense all’Afghanistan con tutti i rischi che ciò comporta.

Non gli interessa impantanarsi di nuovo in Afghanistan, figuriamoci mettere a rischio la vita delle truppe statunitensi nella stessa zona di conflitto da cui Biden si è ritirato in modo disastroso e che ha provocato aspre critiche da parte di Trump all’epoca, quindi non ne verrà fuori nulla. Inoltre, la sua amministrazione è considerata molto indofila e potrebbe di conseguenza respingere qualsiasi mossa in quella direzione poiché potrebbe peggiorare i legami con l’India, che ora è il principale partner regionale degli Stati Uniti.

Per queste ragioni, le ultime osservazioni di Lavrov sull’Afghanistan e le loro insinuazioni sul fatto che il Pakistan cospira per restituire lì l’infrastruttura militare statunitense dovrebbero essere viste solo come un segnale che la Russia è a conoscenza di questo complotto, non come qualcosa di più profondo. Mentre alcuni decisori politici russi potrebbero essere delusi dal fatto che il Pakistan stia anche solo considerando questa possibilità, altri potrebbero essere motivati a raddoppiare il riavvicinamento della Russia al Pakistan nella speranza che venga dissuaso o a capitalizzare i suoi legami potenzialmente in peggioramento con gli Stati Uniti.

L’operazione di influenza di Duda mira a indurre Trump a umiliare Putin nella convinzione errata che questo sia l’unico modo per scongiurare la Terza guerra mondiale, che in realtà perpetuerebbe il conflitto sabotando il processo di pace e servendo così da pretesto agli Stati Uniti per “intensificare l’escalation” alle proprie condizioni.

Il presidente polacco uscente Andrzej Duda ha rilasciato un’intervista al Washington Post in cui ha discusso di diversi argomenti importanti, primo fra tutti il finale ucraino, che ha suggerito essere inestricabilmente connesso alla psicologia e all’ottica. La Russia deve credere di non essere stata vittoriosa, il che non è la stessa cosa che sconfiggere la Russia, semplicemente impedirle di vincere. È un caro amico di Trump, quindi potrebbe sussurrargli qualcosa di tutto questo all’orecchio per influenzare il finale. Ecco esattamente cosa ha detto Duda :

“Quindi crediamo che se la Russia vince questa guerra contro l’Ucraina, lancerà un ulteriore attacco. È molto semplice. Se la Russia ha questa convinzione interna di essere stata vittoriosa in quel conflitto, non deve nemmeno impadronirsi dell’intera Ucraina.

Non è davvero… non è importante quanto grande sarebbe quella vittoria. Se c’è questa convinzione interna che sono vittoriosi, attaccheranno di nuovo. E vorrei che voi, signore e signori, comprendeste nei dettagli il mio modo di pensare, perché non sono sicuro che abbiate seguito le mie dichiarazioni in modo regolare. Quello che dico sempre è che non si tratta di sconfiggere la Russia, perché per molte persone sconfiggere la Russia significherebbe una parata tenuta nella Piazza Rossa.

La cosa è rendere impossibile alla Russia vincere, proibire alla Russia di vincere. La cosa è che impediamo alla Russia di ottenere una grande vittoria. È per assicurarci che la Russia non possa strombazzare di essere stata vittoriosa, di aver ottenuto successo.”

Il leader del pensiero MAGA Steve Bannon ha avvertito all’inizio di questa settimana che l’Ucraina potrebbe trasformarsi nel Vietnam di Trump se non porrà fine rapidamente al conflitto come promesso, ricordando come il precedente di Nixon che alla fine si è appropriato della guerra di LBJ potrebbe portare Trump ad assumersi la responsabilità di quella di Biden. Secondo lui, il complesso militare-industriale, gli europei e alcuni amici fuorviati come il nuovo inviato speciale in Ucraina e Russia Keith Kellogg stanno preparando una trappola per Trump.

È in questo contesto che i suggerimenti di Duda sulla fine ucraina dovrebbero essere analizzati. Inquadrando tutto nel modo in cui ha fatto, vale a dire seminando il panico sul fatto che la Russia potrebbe attaccare la NATO anche se non “prendesse possesso dell’intera Ucraina” finché continua a pensare di aver vinto, Duda sta quindi cercando di indurre Trump a proporre un accordo inaccettabile a Putin sapendo benissimo che probabilmente verrà respinto. Ciò potrebbe quindi spingere i consiglieri di Trump a fare pressione su di lui affinché “escalation to de-escalate”.

Rapporti precedenti indicano che potrebbe imporre più sanzioni alla Russia e inviare più aiuti armati all’Ucraina in quello scenario, il che rischia di escalare e perpetuare il conflitto in modi che potrebbero benissimo trasformarlo nel Vietnam di Trump, sebbene con puntate nucleari se una delle due parti sbaglia i calcoli. La Polonia, tutti i suoi pari europei a livello statale, ad eccezione di Ungheria e Slovacchia, e il complesso militare-industriale sarebbero contenti di questo risultato poiché temono che Trump stia pianificando di abbandonare l’Ucraina.

Trump è noto per essere facilmente manipolabile ed è anche considerato una persona ossessionata dal battere tutti i suoi concorrenti. Questi tratti combinati rendono Trump suscettibile all’operazione di influenza di Duda volta a indurlo a umiliare Putin con la convinzione errata che questo sia l’unico modo per evitare la Terza Guerra Mondiale. Se Trump ascolta di più Duda e meno Bannon, allora potrebbe presto avere il suo Vietnam, che dominerà il suo secondo mandato e farà deragliare l’intera sua agenda nel tradimento finale della sua base.

Nessuno può dire con certezza cosa accadrà, se non che il conflitto potrebbe raggiungere un punto di svolta entro la fine dell’anno, anche se non è chiaro se ciò avverrà a favore del Tatmadaw o delle forze antigovernative.

Il presidente del “Governo di unità nazionale” (NUG) del Myanmar, Duwa Lashi La, ha richiesto un aiuto militare di tipo ucraino in una recente intervista : “Abbiamo davvero bisogno di armi efficaci, come i missili antiaerei. Ma ci sono molte limitazioni per ottenere tali armi militari. È possibile se c’è la volontà, prendiamo l’Ucraina, ad esempio. Siamo fiduciosi di poter abbattere l’intero esercito entro sei mesi se ci vengono fornite tali armi. Se potessimo mai ottenere un supporto come l’Ucraina, questa lotta finirebbe immediatamente”.

Il suo paese potrebbe diventare il prossimo campo di battaglia della Nuova Guerra Fredda , mentre gli Stati Uniti “tornano (di nuovo) in Asia” sotto Trump 2.0 per contenere la Cina in modo più muscoloso. I lettori possono saperne di più sull’ultima fase della guerra civile più lunga del mondo qui , mentre questa analisi qui elabora gli interessi della Cina in essa. In breve, è iniziato come qualcosa di più complesso di ribelli sostenuti dall’Occidente che combattono un governo militare sostenuto congiuntamente da Cina e Russia, ma ora sta finalmente assumendo questi contorni.

Il leader del NUG ha anche detto ad Al Jazeera durante la sua intervista con loro che spera di vedere il Myanmar replicare il fulmineo cambio di regime del mese scorso in Siria, per cui “l’intervento internazionale è essenziale”, che si tratti di pressione politica/legale ed economica o di supporto armato. Ha poi invitato “le superpotenze mondiali, i paesi vicini e i paesi ASEAN” a “garantire l’allontanamento dell’esercito dalla politica”.

Si è fatto cenno alla Cina e alla Russia quando Duwa Lashi La ha detto che la comunità internazionale dovrebbe smettere di acquistare le risorse naturali del Myanmar e di smettere di fornire alle forze armate carburante per aerei e armi. Ha elaborato di più sul vettore cinese promettendo di salvaguardare i suoi investimenti e promettendo una migliore cooperazione economica con la Repubblica Popolare rispetto a quella che ha attualmente il governo militare. Affinché ciò accada, tuttavia, la Cina deve smettere di supportare il Tatmadaw (le forze armate del Myanmar).

Sul fronte interno, ha riconosciuto che alcune organizzazioni armate etniche (EAO) “non riconoscono esattamente il NUG come un governo centrale”, nonostante lui affermi che funzioni come tale, il che ha attribuito a una sfiducia preesistente che è in qualche modo attribuibile alle loro diverse eredità storiche. Spera di organizzare tutte le EAO disponibili sotto una catena di comando congiunta con l’obiettivo di stabilire una forza armata federale nel caso in cui il governo militare venga rovesciato.

Duwa Lashi La non lo ha detto apertamente, ma le sue osservazioni sul non voler affrettare gli emendamenti alla Legge sulla cittadinanza del 1982 che ha privato i Rohingya dei pieni diritti di cittadinanza suggeriscono una riluttanza a peggiorare le relazioni con l’Arakan Army (AA), che non è allineato con il NUG e vuole un proprio stato. L’AA fa parte della “Three Brotherhood Alliance” (3BA) che ha guidato la controffensiva nazionale delle forze antigovernative dall’ottobre 2023 fino ad oggi ed è quindi indispensabile per continuare il conflitto.

Quel gruppo ha anche appena preso il controllo del confine con il Bangladesh, le cui possibili conseguenze sono state analizzate qui , e potrebbe persino catturare il porto di Kyaukphyu più avanti quest’anno, che funge da punto terminale delle rotte petrolifere, del gas e logistiche del China-Myanmar Economic Corridor (CMEC). Anche se il leader del NUG ha dichiarato che “stiamo cercando la fine” del conflitto nel 2025, David Scott Mathieson di Asia Times ha sostenuto in modo convincente che ” il NUG del Myanmar trucca i libri sul successo della resistenza “.

Questo perché “il rapporto sui progressi militari del governo in esilio si attribuisce il merito delle vittorie e dei guadagni in guerra da parte di gruppi armati che non comanda né controlla”. La sua richiesta di “intervento internazionale” per quanto riguarda gli aiuti militari di tipo ucraino (inclusi i missili antiaerei) potrebbe di conseguenza non valere nulla, dal momento che il NUG non è il responsabile delle vittorie delle forze antigovernative negli ultimi 15 mesi. Se ne venisse inviato uno, tale aiuto potrebbe essere indirizzato a coloro che stanno effettivamente combattendo, non al NUG.

Per raggiungere questo obiettivo, i media potrebbero rilanciare le affermazioni dell’inverno scorso sul contrabbando nucleare in Myanmar e/o quelle dell’estate scorsa sulla presunta minaccia internazionale rappresentata dalle reti criminali organizzate di quel paese per generare sostegno pubblico a questa politica, il tutto con l’intento di mascherare i suoi motivi anti-cinesi. La narrazione potrebbe essere costruita secondo cui l’Occidente dovrebbe armare gruppi relativamente più responsabili contro le loro controparti meno responsabili al fine di gestire queste minacce per procura.

Si potrebbero fare altre affermazioni sulla necessità di supportare la governance dei suddetti gruppi nei territori sotto il loro controllo come un passo verso un’ulteriore “balcanizzazione” di questo paese ricco di risorse. Il NUG potrebbe comunque rimanere utile all’Occidente come gruppo ombrello sotto il quale la maggior parte degli EAO potrebbe in seguito essere spinta a riunirsi se il Tatmadaw venisse sconfitto per formalizzare più facilmente la “balcanizzazione” del paese attraverso la federalizzazione postbellica. Questo potrebbe però essere un processo politico prolungato.

Non si può dare per scontato neanche perché le ultime acquisizioni di caccia e elicotteri russi da parte del Tatmadaw (sei e sei ciascuno) potrebbero cambiare le sorti del conflitto se gli USA non fornissero agli EAO i missili antiaerei che il NUG ha appena richiesto per le proprie forze. La precedente analisi con collegamento ipertestuale sugli interessi della Cina nell’ultima fase della più lunga guerra civile del mondo ha anche attirato l’attenzione sui resoconti sulla possibilità che potrebbe schierare PMC per proteggere i progetti BRI se i combattimenti peggiorassero.

Tutto ciò potrebbe portare alla possibilità che un maggiore supporto aereo russo per il Tatmadaw venga sfruttato dai falchi di Trump 2.0 come pretesto per trasferire missili antiaerei alle EAO del Myanmar, il che potrebbe mantenere in corso la loro offensiva e quindi potenzialmente innescare un intervento del PMC cinese. In tal caso, il Myanmar diventerebbe davvero il prossimo campo di battaglia della Nuova Guerra Fredda, ma questo scenario può essere evitato se gli Stati Uniti non hanno più abbastanza missili da cedere o Trump decide di non farlo.

Nessuno può dire con certezza cosa accadrà, se non prevedere che il conflitto potrebbe superare un punto di svolta più avanti quest’anno, anche se non è chiaro se ciò sarebbe a favore del Tatmadaw o delle forze antigovernative. Non si può nemmeno escludere che si verifichi una situazione di stallo, ma è improbabile poiché i sostenitori stranieri di entrambe le parti potrebbero voler aiutare i loro partner a superare questa situazione per vincere finalmente, con qualsiasi ulteriore aiuto a tal fine che peggiorerebbe il loro dilemma di sicurezza e inasprirebbe questa crisi della Nuova Guerra Fredda.

Hanno suscitato molta attenzione da parte dei media nell’Asia meridionale, ma non c’è nulla di nuovo in quello che ha detto.

Al ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov è stato chiesto durante una recente conferenza stampa in che modo il Pakistan può “utilizzare le sue relazioni con i paesi SCO e BRICS all’interno della dottrina marittima [della Russia] per promuovere una cooperazione sicura e reciprocamente vantaggiosa” e di commentare i legami bilaterali. Ha iniziato elogiando le loro relazioni come “il periodo più positivo da decenni” in un’allusione al loro rapido riavvicinamento che più di recente ha assunto la forma di un’espansione completa della cooperazione sulle risorse .

Poi ha continuato a parlare di come il Pakistan, in quanto vittima del terrorismo, possa lavorare all’interno dei meccanismi associati della SCO per combattere questa piaga. Ha suggerito una più stretta cooperazione tra esso, l’Afghanistan e l’India, entrambi precedentemente accusati dal Pakistan di sostenere i terroristi. Lavrov ha specificamente proposto che l’inclusione dell’India nel formato di Mosca sull’Afghanistan, che include Russia, Cina, Iran e Pakistan, aiuterebbe molto in questo senso e ha affermato che il suo paese fornirà assistenza in qualsiasi modo possibile.

Le sue ultime osservazioni hanno generato molta attenzione mediatica nell’Asia meridionale, ma non c’è nulla di nuovo in ciò che ha detto. La Russia aveva già riconosciuto in precedenza il Pakistan come vittima del terrorismo e riconosciuto le minacce correlate provenienti dall’Afghanistan, sebbene senza incolpare i talebani o l’India per questo. Ha anche proposto costantemente di mediare tra le parti in conflitto, sia attraverso un formato trilaterale che all’interno di quelli più multilaterali, al fine di impedire che fossero divise e governate dall’estero.

I commenti di Lavrov sono quindi coerenti con queste politiche. È anche importante che gli osservatori notino che sono stati sollecitati da una domanda che gli è stata posta a riguardo e non facevano parte delle sue osservazioni preparate all’inizio della conferenza stampa di martedì. Ciò conferma che si trattava di una riaffermazione politica e non della presentazione di qualcosa di nuovo. Tuttavia, è comprensibile il motivo per cui alcuni osservatori regionali li hanno interpretati diversamente, il che verrà ora brevemente spiegato.

Alcuni in Pakistan hanno grandi speranze sul futuro dei legami del loro paese con la Russia, ma queste rimangono ostacolate dalla riluttanza della sua leadership militare a sfidare gli Stati Uniti, ergo perché nessun accordo energetico su larga scala è stato ancora concordato nonostante anni di trattative in merito. Dal punto di vista indiano, alcuni hanno sospettato che la Russia sia caduta sotto l’influenza cinese negli ultimi anni, il che temono potrebbe avere implicazioni per la sua politica sud asiatica, avvicinandola al Pakistan a spese dell’India.

La realtà è che l’India rimane il partner strategico speciale e privilegiato della Russia, non solo nella regione, ma in tutta l’Eurasia. La Cina gioca un ruolo paritario in questo senso, ma la Russia si affida presumibilmente all’India come contrappeso per scongiurare preventivamente lo scenario di una potenziale dipendenza sproporzionata dalla Repubblica Popolare. Tuttavia, le relazioni russo-indiane non sono a spese della Cina, né quelle russo-cinesi e russo-pakistane sono a spese dell’India. Il Cremlino cerca sempre di mantenere equilibrati i suoi legami.

A tal fine, ha perfettamente senso che la Russia sostenga l’inclusione dell’India nel formato di Mosca sull’Afghanistan, il che può servire a ridurre parte della sfiducia tra India-Cina e India-Pakistan. L’India era uno dei partner più stretti dell’Afghanistan prima del ritorno al potere dei talebani e da allora ha cercato di rivendicare tale status. Questo obiettivo verrebbe promosso tramite l’inclusione nel suddetto formato, ma è proprio per questo motivo che Cina e Pakistan potrebbero opporsi nonostante le pressioni della Russia.

L’influenza americana potrebbe riprendersi nel Sud del mondo, poiché una delle ragioni principali per cui molti di questi paesi hanno iniziato ad allontanarsi dagli Stati Uniti dall’inizio del secolo è stata la violazione della loro sovranità attraverso il finanziamento di “ONG” che si intromettono nei loro affari.

Uno degli ordini esecutivi appena firmati da Trump sospende alcuni aiuti esteri per 90 giorni , in particolare “fondi di assistenza allo sviluppo per paesi stranieri e organizzazioni non governative, organizzazioni internazionali e appaltatori”, al fine di valutare la loro “efficienza e coerenza con la politica estera degli Stati Uniti”. Al momento in cui scrivo , non è ancora chiaro se i successivi ” ordini di sospensione dei lavori ” del Dipartimento di Stato influenzeranno gli aiuti militari all’Ucraina, quindi questa possibilità non sarà trattata in questa analisi.

La maggior parte dei programmi di aiuti esteri sono stati sfruttati per intromettersi negli affari di altri paesi finanziando movimenti antigovernativi e persino antistatali che in seguito orchestrano le rivoluzioni colorate . Anche se non vengono portati a questo estremo, creano almeno problemi all’attuazione delle politiche interne ed estere di quei paesi, creando artificialmente un’opposizione di base, che manipola la percezione della loro popolarità e può quindi influenzare le elezioni nazionali.

Questo è stato di recente il caso della Georgia, che ha respinto una campagna contro il partito al governo, sostenuta dall’Occidente ma superficialmente guidata dalle “ONG”, durata quasi due anni . Questa è stata ufficialmente condotta in risposta alla loro legge sugli agenti stranieri ispirata al FARA, ma in realtà è stata una punizione per essersi rifiutati pragmaticamente di sanzionare la Russia e di aprire un “secondo fronte” contro di essa nel Caucaso meridionale durante la fallita controffensiva dell’Ucraina nell’estate del 2023. Ora la Georgia può riposare un po’ più tranquillamente per il momento.

Lo stesso vale per i molti paesi africani come il nuovo partner BRICS Uganda che sono stati aggressivamente pressati dalle “ONG” sostenute dagli americani ad accettare la normalizzazione LGBT+ in violazione dei loro valori tradizionali. Come affermato nell’ordine esecutivo di Trump, “L’industria degli aiuti esteri e la burocrazia degli Stati Uniti… servono a destabilizzare la pace mondiale promuovendo idee in paesi stranieri che sono direttamente inverse alle relazioni armoniose e stabili all’interno e tra i paesi”.

Gli osservatori non dovrebbero dimenticare l’India dopo che gli USA si sono intromessi nelle elezioni dell’anno scorso nonostante la loro partnership strategica. La Russia ha dato voce alle preoccupazioni dell’India all’epoca a causa della sensibilità dell’India nel chiamare gli USA fuori mentre il processo politico era in corso, dopo di che il BJP al potere ha accusato il Dipartimento di Stato e lo “stato profondo” di intromettersi in altri questioni il mese scorso. Mentre Soros finanziato in modo indipendente rimane ancora un problema , il governo degli Stati Uniti non dovrebbe esserlo per ora, con sollievo dell’India.

Meno intromissioni politiche e meno ingegneria socio-culturale, almeno per i prossimi tre mesi, saranno molto apprezzate da tutti quei paesi che sono stati presi di mira da progetti ibridi guidati dalle “ONG”. Guerra . L’enfasi è posta su un numero minore di questi sforzi piuttosto che sul loro congelamento completo, poiché alcuni programmi potrebbero avere fondi sufficienti per funzionare parzialmente durante l’interim, mentre il Segretario di Stato può emettere delle esenzioni per quelli specifici a sua discrezione. Alcuni potrebbero quindi continuare per intero, ma la maggior parte ne sarà influenzata negativamente.

L’effetto finale è che l’influenza americana potrebbe rimbalzare nel Sud del mondo, poiché gran parte del motivo per cui molti di questi paesi hanno iniziato ad allontanarsi dagli Stati Uniti dall’inizio del secolo è dovuto alla violazione della loro sovranità tramite il finanziamento di “ONG” che si intromettono nei loro affari. Se Trump riforma la strategia di prestito internazionale degli Stati Uniti per rimuovere i vincoli politici sui programmi di aiuti, anche da quelle istituzioni che controlla come il FMI e la Banca Mondiale, allora questo processo accelererebbe ulteriormente.

La sua promessa imposizione di più tariffe potrebbe creare problemi ad alcuni di questi stessi paesi, ma non è la stessa cosa che costringerli a fare cambiamenti politici e socio-culturali contro la loro volontà in cambio di aiuti finanziari di emergenza, che alla fine rischiano di destabilizzarli e in seguito di far avanzare un cambio di regime. Questo approccio potenzialmente nuovo potrebbe ripristinare parte dell’attrattiva nel collaborare con gli Stati Uniti livellando parzialmente le probabilità rispetto alla concorrenza con Cina e Russia nel Sud del mondo.

Nel caso in cui ciò accadesse, quei due sarebbero costretti a offrire accordi migliori ai loro partner per evitare che vengano indotti dagli Stati Uniti ad accettare qualsiasi cosa proponga, catalizzando così un ciclo di competizione che vada a vantaggio di quegli altri paesi. Affinché ciò accada, gli Stati Uniti dovrebbero trattare i loro partner più come pari e meno come vassalli, ma le vecchie abitudini sono dure a morire, quindi questo non può essere dato per scontato, anche se Trump sembra in qualche modo (qualificatore chiave) interessato.

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Ti amo , quindi ti uccido . Di Cesare Semovigo

Ti amo , quindi ti uccido . Di Cesare Semovigo , italiaeilmondo.com 

Di Cesare Semovigo , italiaeilmondo.com

Trump torna alla Casa Bianca, e con lui torna quel mix esplosivo di retorica, show e il famigerato “Art of the Deal”, versione geopolitica. Questa volta, l’attenzione è tutta per l’Ucraina e il suo “Project Ukraine”, un conflitto che, tra una dichiarazione e l’altra, sembrava aver stregato il neo-presidente. Ma cosa sta combinando Trump? E soprattutto, ha un piano reale o sta semplicemente improvvisando? Spoiler: potrebbe essere entrambe le cose. La zona pericolosa dove non si dovrebbe finire nel notoriamente delicato stadio iniziale della presidenza è proprio questa, una melma di sabbie mobili dove mettere alla prova il tallone di Achille di questa amministrazione entrante: la politica estera. Nei primi giorni del suo mandato, Trump sembrava più interessato a firmare ordini esecutivi e a ribadire quanto amasse il popolo russo. Ma il circo mediatico, spinto forse da qualche stratega ombra, lo ha trascinato in quella che sembra essere diventata la sua nuova ossessione: l’Ucraina. I giornalisti lo martellano con domande su come intenda affrontare il conflitto, e Trump, fedele al suo stile, ha deciso di “prendersi il progetto”. Come? Minacciando la Russia con sanzioni, tariffe e persino con il crollo del prezzo del petrolio. E tutto, ovviamente, condito dal suo amore per il popolo russo (“I love the Russian people, but I’m going to destroy your economy”). Ironia della sorte, durante il suo discorso inaugurale Trump non ha nemmeno menzionato l’Ucraina. Forse era distratto, o forse non aveva ancora capito che i media non lo avrebbero lasciato in pace. Mi piace pensare che questa sia la tattica di avvicinamento. Fatico a credere stia cadendo nella trappola che Steve Bannon e altri (incluso il buon senso) gli avevano consigliato di evitare: diventare l’utile volto del conflitto. Trump ha adottato un approccio decisamente autoritario nella sua comunicazione: “Accetta le mie condizioni o ti distruggo. Ma ti voglio bene, eh”. Una strategia che forse funziona nelle trattative immobiliari, ma che si scontra con la realtà diplomatica russa che, come sappiamo, non vende tappeti. Ha anche sparato numeri completamente a caso, come i “60 milioni di morti russi nella Seconda Guerra Mondiale” (dove li ha presi, nessuno lo sa) o il milione di soldati russi caduti in Ucraina. Putin e il Cremlino non hanno gradito, soprattutto quando Trump ha suggerito che la Russia avesse combattuto la guerra mondiale per aiutare gli USA. Non proprio uno dei migliori 26 milioni di modi per iniziare una trattativa. Una delle idee di Trump è quella di abbassare il prezzo del petrolio, convincendo il principe saudita Mohammed bin Salman a inondare il mercato di oro nero. L’obiettivo? Schiacciare l’economia russa. Peccato che ci siano almeno tre problemi fondamentali: il principe saudita sta finanziando massicci progetti di sviluppo, e un crollo del prezzo del petrolio destabilizzerebbe l’economia saudita prima ancora di toccare quella russa. La narrativa che i sauditi abbiano distrutto l’URSS negli anni ’80 è un mito. L’URSS era già in crisi a causa delle sue riforme interne, e il crollo dei prezzi del petrolio di allora era dovuto a una sovrapproduzione globale, non a una strategia orchestrata dagli USA. La Russia produce petrolio a costi bassissimi e ha un’economia diversificata. Se il prezzo del petrolio scende, il Cremlino semplicemente svaluta il rublo e continua a fare affari con chiunque e in special modo con le cancellerie di mezza Europa, che con una mano firmano sanzioni e con l’altra tessono triangolazioni per importare le materie prime dello sterminato territorio russo. Trump sogna anche di convincere Cina e India a voltare le spalle alla Russia ; anche qui solo un gonzo che comprava le autoradio nelle piazzole autostradali del Casertano potrebbe credere che si tratti di una seria programmazione economica . Sarebbe come scartare il mattone che avrebbe voluto essere autoradio ( molto woke ) , infilarlo ( vi giuro non è voluto) nell’alloggiamento a martellate cantando ” Vamos a la playa ” o meglio l’azzeccatissimo ” Battito Animale ” . Su le mani : genitore 1 , genitore 2 . Infatti la Cina starebbe costruendo relazioni sempre più strette con Mosca (vedi il gasdotto Power of Siberia 2) e l’India avrebbe già approntato, aggirando le sanzioni occidentali , un piano continuativo per l’acquisto di petrolio russo e adiritura di raffinati a bassa efficenza . Perché mai dovrebbero tradire un partner affidabile come la Russia accettando in ribasso le “offerte” del presidente USA che, finora, non ha nemmeno menzionato qualcosa in cambio? A meno che Trump non stia pianificando di regalare Taiwan alla Cina o il Kashmir all’India (non ci sorprenderemmo, visto il suo stile), facendo ordine nella frenetica saturazione resa volutamente confusionaria delle dichiarazioni incrociate degli stessi player in competizione , possiamo tranquillamente resettare certi algoritmi di lettura della realtà , tuffandoci di testa sugli scogli della frastagliata ma inesorabile ragion di stato trasversale. Le prese di posizioni proprio di oggi che come un eruzione di lava stanno raggiungendo le truppe in ritirata della fallita rivoluzione woke-green ,fanno presagire che è iniziata la notte dei lunghi coltelli made in Usa ; Musk definisce Sam Altman ” OpenAI’s Sam Altman As A Deep State Op ” e Trump con una discreta soddisfazione ci tiene a ricordare a Bolton e Fauci che ” non si sentirà responsabile se accadrà loro qualcosa “. Insomma, nessuna correlazione oltre c’è l’armageddon . A questo punto, viene da chiedersi se Trump sta giocando a scacchi 5D o sta improvvisando.

Alcuni suggeriscono che le sue dichiarazioni pubbliche siano solo una distrazione, mentre dietro le quinte starebbe lavorando a un accordo segreto con Putin.

Le vocine nel cervello, sebbene potrebbe sembrare il contrario, continuano a farmi propendere per questa interpretazione, proprio perché mi sono convinto che le dure lezioni , pagate care , durante la sua scorsa presidenza , mi sembra siano state metabolizzate tanto da scorgere le contromisure preparate per non evitare di ricadere nell’errore cronico . Tuttavia, le prove scarseggiano, e i russi stessi sostengono di non avere ancora avuto contatti seri con l’amministrazione Trump. Il telefono rosso non suona mai o l’amore è saldo ma altresì clandestino? L’unica cosa chiara è che Trump vuole un accordo per mettere fine alla guerra in Ucraina. Il problema? Non sembra avere idea di cosa la Russia chieda o forse, per i suoi progetti, sulle prime potrebbe essere conveniente farci non esserci. Putin non accetterebbe mai un semplice “cessate il fuoco” o un’offerta al ribasso, e Trump lo sa bene. La sorpresa sarebbe decisamente spiacevole per tutti. Come hanno detto molti analisti, il tempo per un accordo sta scadendo, l’Ucraina è vicina al collasso come un Mc Gregor stramazzato al suolo dopo una rissa su Instagram . Quindi , artisticamente parlando, urlare nelle dichiarazioni pubbliche , accordandosi nascosti nelle retrovie della diplomazia , forse è quello che potremmo aspettarci . Trump ha ereditato una guerra che avrebbe potuto comodamente etichettare come “quella di Sleepy”, ma ha scelto di farla sua come quel mantello sgargiante che periodicamente ama indossare. Quindi mi sovviene che abbia calcolato il rischio, avendo inoltre avuto un periodo lungo nel quale organizzare e adottare una strategia adeguata. Se riuscirà a evitare la trappola e a negoziare un accordo reale con la Russia, potrebbe persino uscirne vincitore. Ma il rischio di trasformarsi in un altro Nixon è alto , o forse è quello al quale vorrebbero far credere al fronte interno , quello che ci ha intrattenuto con una grande profondità analitica del reale , che per limiti o manifesto pregiudizio continua vivere in un versione 4k arcobaleno della presidenza del 2016 .

Per ora, tutto ciò che possiamo fare è goderci lo spettacolo osservando tutto con il distacco di chi vive nell’inutile , ininfluente e vagamente inadeguata Europa .
Il trucco è farlo consci dell’artificio .
Per un attimo leggendo sui social come i profughi dell’incendio di Hollywood trovassero le energie di postare cose come ” emigro è arrivata prima l’orda Trumpiana e poi il fuoco ” ho provato
paura , sono sincero , adrenalina che poi si è fatta terrore .
Ora mi spiego .
Ho temuto di ritrovarmi in 3 2 1 l’esule Saviano , che subito ospite fisso di Formigli in una trasmissione combo B2B con Propaganda Live , potesse racontare in uno specialone prime time , la sua fuga rocambolesca dal 4 Reich dominato dal “predatore sessuale mafioso ” Donald.
La tv del dolore – il nostro .
Abbando-Nato l’attico e portando in valigia la destrezza delle sue lunghe pause che di prosa si fan dialettica e poi è poesia , finalmente Itaca , finalmente democrazia (l’unica del medio oriente che ama).
Scusate non volevo farvi passare l’appetito , probabilmente anche quello sessuale .
Passiamoci quindi i popcorn dolci come fossimo “Goodfellas”, quelli stucchevoli al caramello ,così che possiamo celebrare la nostra weltanschauung gastronomica , tra l’altro l’unica “Supremazia indiscutibile” che ci è rimasta. Quella cosa con cui ,come diciamo a Genova , possiamo portarcelo in giro , già menato da casa.
L’unica propaganda identitaria reale , il “primato” del quale non abbiamo facoltà di vergognarci .
Pavoneggiamoci così , in una sfilata densa di “eccellenza italiana” , disinvolti e pregni dell’ Ubris di fasti passati donando ai posteri un momento altissimo che solo Giotto , Cannavacciulo , l’eternità , forse Eat Italy , educatamente senza Sgarbi .
Mentre Pelù, Vauro e Guccini abbandonano X , risalendo l’ Aventino della presupposta superiorità , noi ferventi disillusi passiamo senza curarci di loro sperando di non beccarci il covid e stringiamoci a coorte per innalzar quel cencio del qual abbiam deciso di far utilitaristica bandiera .
Un tovagliolo sporco di sugo ,quello buono , cotto almeno due ore e mezza rigorosamente a fuoco lentissimo. Urrah , grazie Giorgia , Grazie Presidente .
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TRUMP NON SCHERZA ! BIDEN GRAZIA PREVENTIVA PER TUTTI -L’insediamento con GIANFRANCO CAMPA

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Un Trump che ne ha per tutti, per poter raccogliere da tutti. L’ottimismo a prescindere di chi vuol apparire come l’unico vero giocatore in campo. La realtà è ben diversa. Può contare sul fatto che da un rivolgimento incontrollato tutti hanno da perdere. Il suo destino dipenderà dall’entità del divario tra proclami, aspettative e risultati conseguiti. La sua tattica consisterà nel trattenere dal ventre molle del sistema di relazioni edificato in questi quaranta anni. Il paradosso è che il ventre molle sia costituito proprio dai suoi alleati più stretti con il risultato di indebolire il tessuto della propria sfera di influenza. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Il piano di Trump per la NATO

Geopolitika è una rivista norvegese di stretta osservanza atlantista. Spesso intervista collaboratori della precedente presidenza di Trump, spacciandoli di una capacità di influenza sull’attuale del tutto ingiustificata_Giuseppe Germinario

Il piano di Trump per la NATO

Da 

Donald Trump ha minacciato gli europei di lasciare la NATO se non contribuiranno maggiormente al suo finanziamento. Una minaccia che illustra la sua visione dell’Alleanza e il piano che prevede. Intervista con il dottor Glenn Agung Hole. .

 Dott. Glenn Agung Hole. Docente di Imprenditorialità, Economia e Management, Università della Norvegia Sud-Orientale & Professore onorario presso l’Università Statale Sarsen Amanzholov del Kazakistan Orientale. .

Donald Trump è stato criticato per la sua politica estera come caotica e imprevedibile, ma attraverso il prisma dell’economia austriaca – con l’enfasi di Ludwig von Mises e Friedrich Hayek sulla decentralizzazione, la concorrenza e la cooperazione volontaria – si possono scorgere dei modelli che riflettono una logica di fondo.

Interpretando l’approccio di Trump come una forma di “imprenditorialità geopolitica”, diventa chiaro che la sua politica estera non solo sfida le strutture consolidate in Europa, ma mette anche in atto i giusti incentivi affinché i Paesi europei si assumano maggiori responsabilità per la propria sicurezza. Allo stesso tempo, si aprono nuove opportunità per l’Europa in un mondo in rapida evoluzione.

L’incontro di Stephen Wertheim con Der Spiegel del 4 dicembre 2024 è una solida piattaforma per comprendere l’approccio di Trump alla dinamica del potere mondiale. Wertheim sostiene che Trump non è mai stato un isolazionista, ma piuttosto un pragmatico desideroso di ridistribuire gli oneri e le risorse. Utilizzando i principi dell’economia autarchica e dell’imprenditoria, possiamo approfondire la comprensione della politica di Trump e delle sue implicazioni.

Trump en tant qu’entrepreneur géopolitique

Nell’economia austriaca, l’imprenditore svolge un ruolo chiave nell’identificare le opportunità, nell’assumere rischi calcolati e nel ridistribuire le risorse al fine di creare valore. La politica di Trump può essere intesa come un approccio imprenditoriale alla politica estera, in cui cerca di sfidare strutture inefficienti e creare nuovi punti di equilibrio.

Stephen Wertheim sottolinea che la richiesta di Trump ai Paesi della NATO di aumentare le spese per la difesa rappresenta un cambiamento di paradigma. Può essere interpretata come una strategia per ridistribuire le risorse all’interno dell’alleanza e renderla più sostenibile per gli Stati Uniti. Trump vede la NATO come un “investimento” che deve avere un ritorno. Il suo pragmatismo riflette l’enfasi di Mises sul fatto che gli attori dovrebbero assumersi la responsabilità dei propri bisogni piuttosto che affidarsi agli sforzi degli altri.

Un esempio è l’enfasi posta da Trump sugli accordi bilaterali, che considera più flessibili e vantaggiosi di strutture multilaterali come l’OMC. Ciò ricorda il pensiero imprenditoriale, in cui i negoziati diretti possono massimizzare il valore della cooperazione. La rinegoziazione dell’NAFTA in USMCA (United States-Mexico-Canada Agreement) illustra come Trump stia usando i negoziati per ottenere un accordo migliore per gli Stati Uniti.

Leggi anche: Donald Trump ha un piano chiaro per l’Ucraina. Intervista con James Jay Carafano

Decentramento e libertà come basi strategiche

L’economista austriaco ha sottolineato che il decentramento è un prerequisito per l’uso efficiente delle risorse e la libertà individuale. Trump ha messo in discussione l’idea degli Stati Uniti come “gendarme del mondo” e ha invece incoraggiato gli attori regionali, come l’Europa, ad assumersi maggiori responsabilità per la propria sicurezza. Ciò è in linea con l’idea di Hayek secondo cui il controllo centralizzato porta alla stagnazione e all’inefficienza.

Wertheim osserva che la richiesta di Trump di aumentare la spesa per la difesa da parte dei membri della NATO non è necessariamente una minaccia per l’alleanza, ma piuttosto un catalizzatore per la sua rivitalizzazione. Dal punto di vista austriaco, questa sembra essere una strategia di decentramento, in cui la responsabilità è condivisa tra diversi attori per stimolare sia l’innovazione che l’autonomia.

Leggi anche: Quando l’ideologia indebolisce l’autonomia: le materie prime critiche e l’impasse strategica della Norvegia

Trump sta anche mettendo in discussione l’idea di un intervento globale basato su valori. Invece di giustificare l’intervento militare sulla base di principi idealistici, egli privilegia considerazioni pratiche a diretto vantaggio degli Stati Uniti. Si tratta di un approccio realista che riprende l’idea di Mises secondo cui la politica dovrebbe basarsi su incentivi reali piuttosto che su dogmi ideologici.

La concorrenza come motore della geopolitica

Nell’analisi di Wertheim, la rivalità di Trump con la Cina è evidenziata come un punto chiave della sua politica estera. Trump vede le relazioni internazionali come un mercato in cui le nazioni competono per il potere, le risorse e l’influenza. Il suo approccio “divide et impera” nei confronti di Cina, Russia, Iran e Corea del Nord riflette un’applicazione dei meccanismi della concorrenza di mercato alla geopolitica.

L’economia austriaca vede la concorrenza come una forza dinamica che stimola l’innovazione e il progresso. Il ricorso di Trump a sanzioni economiche, tariffe e negoziati bilaterali è un mezzo per adattarsi ai meccanismi di mercato. La sua guerra commerciale con la Cina ne è un esempio: facendo pressione sulla Cina attraverso i dazi, cerca di ottenere condizioni migliori per le aziende statunitensi.

Ma, come avvertiva Hayek, la concorrenza senza fiducia e cooperazione può portare all’instabilità. Le politiche di Trump hanno creato incertezza tra gli alleati tradizionali, il che può offrire a rivali come la Cina l’opportunità di approfittare di un vuoto di potere. Ciò sottolinea la necessità di controbilanciare la competizione con una cooperazione strategica a lungo termine.

Leggi anche: Trump rieletto : analisi del suo entourage

L’opportunità imprenditoriale dell’Europa

Trump ha spinto l’Europa ad assumersi maggiori responsabilità in materia di sicurezza. Per l’Europa, ciò significa non solo aumentare i bilanci della difesa, ma anche attuare riforme strutturali che incoraggino l’imprenditorialità e l’innovazione nell’industria della difesa.

L’economia austriaca enfatizza il ruolo del mercato nel promuovere l’efficienza. Per l’Europa, ciò significa aprire l’industria della difesa alla concorrenza e agli attori privati, stimolando lo sviluppo di nuove tecnologie. Utilizzando l’imprenditorialità come motore, l’Europa può costruire una struttura di sicurezza economicamente sostenibile e meno dipendente dal sostegno degli Stati Uniti.

Tuttavia, come avvertiva Mises, l’Europa deve evitare l’eccessiva regolamentazione e la centralizzazione, che possono soffocare la crescita e l’innovazione. Favorendo la cooperazione decentrata tra le nazioni, l’Europa può ottenere maggiore flessibilità e dinamismo.

Allo stesso tempo, l’Europa deve evitare le insidie della centralizzazione e dell’eccessiva regolamentazione. Se l’aumento della spesa per la difesa porta a un aumento degli oneri fiscali e a una minore flessibilità economica, ciò può ostacolare la crescita e l’innovazione. La chiave sta nell’equilibrio tra sovranità nazionale e cooperazione regionale, per garantire una struttura di sicurezza sostenibile.

La forza di volontà come modello sostenibile

Uno degli aspetti più interessanti delle politiche di Trump, secondo Wertheim, è la sua enfasi sui contributi volontari piuttosto che sugli obblighi imposti. Ciò riecheggia l’idea di Hayek secondo cui la cooperazione dovrebbe basarsi su interessi comuni, non sulla coercizione.

Affermando che gli Stati Uniti non emetteranno più assegni in bianco per sostenere la sicurezza dell’Europa e lasciando intendere che gli Stati Uniti potrebbero lasciare la NATO se i suoi avvertimenti non saranno presi sul serio, Trump sta comunque creando incentivi reali affinché l’Europa si assuma maggiori responsabilità per la propria sicurezza in un mondo sempre più incerto.

Ciò è paragonabile alla teoria economica austriaca, che sottolinea l’importanza di un mercato libero senza sussidi statali, nonché di incentivi per aumentare la concorrenza e promuovere l’imprenditorialità come chiavi per un solido sviluppo economico. Eliminando il sussidio de facto degli Stati Uniti alla sicurezza europea, si creano i giusti incentivi affinché l’Europa compia i passi necessari nella dimensione della politica di sicurezza.

La richiesta di Trump che i Paesi della NATO paghino di più per la propria sicurezza, pena la riduzione del sostegno statunitense, mette quindi in discussione i tradizionali equilibri di potere. Ma offre anche all’Europa l’opportunità di ridefinire la propria architettura di sicurezza sulla base della volontà e dell’imprenditorialità. Questo può rafforzare l’alleanza rendendola più equilibrata e sostenibile.

Vale la pena leggere anche: La NATO nell’Asia-Pacifico, tensioni crescenti

Riflessione sintetica: il ruolo dell’imprenditorialità nel futuro della geopolitica

Attraverso il prisma dell’economia austriaca, la politica estera di Trump può essere intesa come un approccio pragmatico e imprenditoriale alle sfide globali. La sua enfasi sul decentramento, sulla concorrenza e sulla cooperazione volontaria mette in discussione le strutture tradizionali, ma apre anche la strada all’innovazione e a soluzioni più efficaci.

Per l’Europa, questo rappresenta sia una sfida che un’opportunità. Abbracciando l’imprenditorialità e le soluzioni guidate dal mercato, l’Europa può sviluppare una strategia di sicurezza che rafforzi l’autonomia e la capacità di innovazione del continente. Dal punto di vista austriaco, la politica di Trump non è solo una necessità, ma un’opportunità per creare un nuovo ordine mondiale più decentralizzato.

Riferimento:

Intervista a Stephen Wertheim, Der Spiegel, 4 dicembre 2024. Leggi l’intervista qui: Quale ruolo avranno gli Stati Uniti nel mondo: “Trump non è mai stato un isolazionista” – DER SPIEGEL

Donald Trump ha avviato i negoziati con Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky. Il desiderio del presidente americano di concludere un accordo di pace in Ucraina si scontra con il ricordo della partenza dall’Afghanistan, che ha tormentato la presidenza Biden. Intervista con James Jay Carafano.

Intervista a James Jay Carafano. Consulente senior del Presidente Trump durante la sua prima presidenza e E.W. Richardson Fellow presso la Heritage Foundation. Intervista condotta da Henrik Werenskiold. Testo apparso su Geopolitika. Traduzione di Conflits

Lei ha sempre detto che una nuova amministrazione Trump avrebbe continuato a sostenere l’Ucraina. È ancora questa la sua percezione di ciò che sta per accadere?

Sto ancora studiando la composizione della squadra. Quando si saprà la composizione finale, le cose saranno molto più chiare. Ma resto convinto che gli Stati Uniti non lasceranno la NATO e non credo che abbandoneranno l’Ucraina. Penso che ci siano due cose rilevanti a questo proposito.

In primo luogo, se Trump vuole mettere sul tavolo un accordo, non può proporre un accordo che dica: “Se non volete questo accordo, lasceremo l’Ucraina “. Sarebbe una follia, perché l’accordo fallirebbe, non è vero? Quindi non è possibile. Può mettere sul tavolo un accordo solo se ha conseguenze molto gravi per i russi e se è pronto ad attuarle se i russi non lo accettano.

Il secondo punto è l’Afghanistan. Molte persone intorno a Trump hanno detto che l’ultima cosa che vorrebbe fare è ritirarsi e avere un disastro di politica estera in Ucraina, che avvelenerebbe il resto della sua presidenza come l’Afghanistan ha fatto per Biden. E la gente potrebbe dire: “Perché a Trump dovrebbe importare? Non sarà rieletto “.

Ma non dobbiamo dimenticare che questa è stata un’elezione incentrata su questioni specifiche, essenzialmente nazionali. I repubblicani hanno conquistato molti elettori che non fanno parte della base tradizionale di Trump. Se vogliono mantenere questi elettori e se Trump vuole lasciare un’eredità di ristrutturazione del centro politico americano, deve fare risultato su questi temi. Non può quindi permettersi una grave battuta d’arresto in Ucraina.

Insomma, Trump non è stato eletto per fuggire dall’Ucraina. So che ci sono persone nel movimento che vogliono solo andarsene, ma Trump è stato eletto principalmente per occuparsi di questioni interne. Quando si tratta di politica estera, la gente si aspetta che faccia meglio di Biden. Quindi Trump non ha il mandato di abbandonare l’Ucraina.

Sono sicuro che ci sono persone nella base elettorale di Trump che vogliono che gli Stati Uniti abbandonino l’Ucraina, ma non c’è un mandato per questo. Il mandato di Trump è quello di governare bene, e la gente non lo abbandonerà perché non decide di abbandonare l’Ucraina.

L’altra cosa è che Trump ha già parlato con Zelensky e con gli ucraini, e credo che gli ucraini siano già d’accordo con la direzione che stiamo prendendo. Quindi potrebbero esserci dei negoziati e l’amministrazione potrebbe volere che gli europei facciano molto di più, ma resta da vedere quali saranno i dettagli finali.

Quindi, a mio avviso, l’idea che ci ritireremo dall’Ucraina non supera il test del buon senso. Ma ripeto, non parlo a nome del Presidente eletto o dell’amministrazione. Non faccio parte del team di transizione. Non ho partecipato alla campagna elettorale. Quindi questa è solo la mia opinione personale.

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In base alle sue ipotesi di ex consigliere presidenziale di Trump, che aspetto avrebbe un accordo con Trump se questi offrisse a Putin un qualche tipo di accordo?

Penso che ci siano cose che, probabilmente, non sono negoziabili. Non credo che nessuno possa costringere l’Ucraina a rinunciare alla sovranità del proprio territorio, anche se occupato. Non credo che nessuno possa imporre un accordo in un senso o nell’altro sulla data di adesione dell’Ucraina alla NATO. Ma al momento non c’è consenso sull’adesione dell’Ucraina alla NATO, quindi non credo sia una questione rilevante.

Detto questo, non credo che gli Stati Uniti abbiano alcun interesse ad aiutare l’Ucraina a recuperare tutto il suo territorio. Potrebbe essere nell’interesse dell’Ucraina, ma non c’è alcuna possibilità che gli Stati Uniti accettino. E ci sono ragioni molto pratiche per questo. La prima è che se l’Ucraina combattesse per raggiungere il confine, questo non sarebbe più difendibile di quello in cui si trovano ora gli ucraini.

Inoltre, la Crimea non ha più alcuna importanza militare, perché tutto è a portata di mano delle armi ucraine. E agli Stati Uniti non interessa, perché potremmo eliminare tutto ciò che si trova nel Mar Nero dal Mediterraneo. Quindi potrebbe essere nell’interesse dell’Ucraina reclamare tutto il suo territorio, ma gli Stati Uniti non lo sosterranno.

E so che Trump ha già dichiarato di essere pronto a continuare a sostenere l’Ucraina. Ma non so dove finisca la linea e come trattino i territori della Russia. Non ho conoscenze segrete al riguardo. A mio parere, la situazione sarà molto simile a quella della Germania occidentale nel 1945, della Corea nel 1953 o di Israele nel 1968.

La linea di demarcazione rimarrà dov’è. Ma la questione più importante non è l’aspetto di un potenziale accordo, quanto piuttosto l’aspetto del sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina in futuro. Cosa faremo dopo? In questo caso, vedo che gli Stati Uniti vogliono che gli europei svolgano un ruolo importante in quest’area, ma non vedo che il sostegno americano – militare, umanitario e finanziario – si riduca a zero.

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