Italia e il mondo

POTERE DESTITUENTE, COSTITUZIONE MATERIALE E DISCRIMINANTE POLITICA, di Teodoro Klitsche de la Grange

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Quando l’Abate Sieyès teorizzava il potere costituente della Nazione, al fine di legittimare la (nuova) costituzione della Francia, non dedicava altrettanta cura a considerare lo stesso potere in negativo: ossia nel cambiare la costituzione vigente. Il tutto, s’intende, era implicito nella sua concezione, e talvolta anche esplicitato[1], anche se meno diffusamente. Le opposizioni che ne derivavano tra diritto positivo vigente e potere costituente, tra diritto e fatto erano (anche) conseguenza della natura di un potere non fondato sulla legge positiva, ma – secondo Sieyès – sul diritto naturale[2].

Comunque la rivoluzione francese si articolava, sotto l’aspetto in esame, in due fasi: nella prima fu abolita la costituzione vigente; nella seconda ne furono fatte delle nuove, succedutesi assai rapidamente, fino alla “stabilizzazione” napoleonica. La prima fase, sosteneva de Bonald, era già consumata con la trasformazione degli Stati generali in Assemblea nazionale (e poi costituente) e la decisione di votare per testa e non per ordine[3]. Nel 1791 entrava in vigore la nuova costituzione; seguivano le altre.

  1. Secondo una concezione che (nella modernità) viene fatta risalire a Lassalle, ma la cui denominazione è, in Italia, dovuta a Mortati, occorre distinguere tra costituzione formale e materiale. Se alla prima “si affida una funzione di rafforzamento delle garanzie di conservazione della sottostante compagine sociale, non è tuttavia da dimenticare che è in quest’ultima, nell’effettivo rapporto delle forze da cui è sostenuta che deve trovarsi il vero supporto dell’ordine legale[4] per cui “appare priva di fondamento la censura di dualismo rivolta contro l’attribuzione di rilievo giuridico alla costituzione materiale, perché viceversa è la concezione dell’ordine sociale come sintesi di essere-dovere la sola valevole a ricondurre ad unità il complesso delle sua manifestazioni di vita[5]. La costituzione materiale ha, sostiene Mortati, una intrinseca giuridicità “la quale si esprime e si fa valere come «fatto normativo» o, in altri termini, come realtà comunitaria ordinata, all’infuori di modelli normativi precostituiti, in modo da realizzare un sistema di rapporti gerarchicizzati secondo criteri di dominio e di soggezione”[6]. Il giurista calabrese, replicando ad una contestazione sull’ “incompetenza del giurista” su questioni ritenute non strettamente giuridiche, scriveva “essa è implicitamente superata da quanto si è detto sull’incompletezza della comprensione del fenomeno giuridico quando sia avulso dalla considerazione della base sociale su cui è radicato. Sicché è sul modo di intendere questa base sociale e sul suo rapporto con la soprastruttura che ad essa si ricollega che deve essere rivolta l’attenzione”[7] . E l’impulso che la società sottostante da allo Stato “non è riferibile alla prevalenza di nuclei portatori di determinati interessi, essendo invece la risultante di tutte le innumerevoli forze, individuali o collettive, che in essa si manifestano e quindi di un processo circolare in cui la minoranza interviene o con l’obbedienza o con la resistenza”[8]. In particolare ai partiti politici Mortati attribuisce un ruolo importante quale elemento di unione (ed organizzazione) tra Stato e società che attenua la separazione tra l’uno e l’altra; in particolare nello Stato democratico a suffragio universale. Col nome di partito Mortati intende “solo quelle associazioni che, assumendo come propria una concezione generale, comprensiva della vita dello Stato in tutti i suoi aspetti, tendono a tradurla nell’azione concreta statale”. Quindi tra le componenti della costituzione materiale i partiti – e il sistema dei partiti – hanno un rilievo decisivo.
  2. A tale proposito, i “sistemi di partito” sono stati, com’è noto oggetto di vari studi di scienza politica[9]. La definizione del sistema di partito “tradizionale e più diffusa sottolinea … le caratteristiche di competizione tra più unità e delle forme e delle modalità di questa competizione. «La tematica di pertinenza del sistema di partito è data dai modelli di interazione fra organizzazioni elettorali significative e genuine nei governi rappresentantivi – governi nei quali tali sistemi adempiono preminentemente (bene o male) le funzioni di fornire la base a una efficace autorità e di definire le scelte che possono essere decise dai procedimenti elettorali»”[10]. Sempre nella citata voce del Dizionario di Politica si legge “alla metà degli anni Sessanta apparvero due importanti tipologie, una di impostazione sociologica, l’altra di impostazione politologica. La prima sembra essere maggiormente in grado di spiegare l’origine storica del sistema di partito (Lipset, Rokkan, 1967); l’altra sembra più adatta alla spiegazione della «meccanica» del sistema di partito. La tesi di Lipset e Rokkan, scrive Pasquino, si fonda sulle fratture fondamentali della società “Gli autori individuano quattro tipi di fratture o cleavages sulle quali si sono innestati i conflitti che hanno scosso i sistemi politici occidentali, ma la cui «traduzione» in partiti politici fu tutt’altro che automatica”. L’ultima frattura è quella del “secolo breve” tra proprietari di mezzi di produzione e prestatori di opera (borghesi/proletari)

Tale tesi ha diversi punti di contatto con quella esposta da Carl Schmitt nello scritto L’epoca delle neutralizzazioni e delle spoliticizzazioni[11].

Secondo Schmitt “L’umanità europea ha compiuto, dal XVI secolo, parecchi passi da un centro di riferimento all’altro e tutto ciò che costituisce il contenuto del nostro sviluppo culturale si trova sotto l’influsso di quei passi. Negli ultimi quattro secoli della storia europea la vita spirituale ha avuto quattro centri diversi, e il pensiero dell’élite attiva, che costituiva il gruppo di punta nei diversi momenti, si è mosso, nei diversi secoli, intorno a centri di riferimento diversi”. Ciò determina il raggruppamento prevalente di amico/nemico dell’epoca: “lo Stato acquista la sua realtà e la sua forza dal centro di riferimento delle diverse epoche, poiché i temi polemici decisivi dei raggruppamenti amico/nemico si determinano proprio in base al settore concreto decisivo. Finché al centro si trovò il dato teologico-religioso, la massima cujus regio ejus religio ebbe un significato politico”.

Di conseguenza a seconda delle epoche la scriminante prevalente passa da quella cattolici/protestanti, per arrivare nel secolo breve a borghese/proletario. Il tutto non solo nel campo internazionale, ma anche all’interno delle sintesi, ma anche all’interno delle sintesi politiche determinano la suddivisione in fazioni (sette, partiti) e così la competizione interna.

Le differenze essenziali tra la concezione di Schmitt e le conseguenze che ha sulla suddivisione in partiti e sull’ordinamento statale, e quelle più diffuse sono che la prima è qualitativa, mentre le altre hanno connotati quantitativi – relazionali (sistemi a partito unico; multipartitici; con partito dominante e partiti polarizzati, alternativi e così via), e carattere descrittivo a prescindere dal riferimento a contenuti determinati; che le seconde non si fondano sul criterio dell’inimicizia (o di converso sull’omogeneità), mentre la prima sì; che è pertanto indifferente se in un sistema di partiti le contrapposizioni si distribuiscono in base a diverse scriminanti (di classe, etniche, religiose e così via) e come (e se) avvengono le combinazioni tra discrimini diversi e influiscono sul sistema dei partiti  (e politico) complessivo.

Se è (relativamente) logico che, in un sistema ordinato secondo la scriminante borghese/proletario le alleanze tra partiti tendano ad un sistema alternativo, onde i partiti “borghesi” e quelli proletari danno vita ad alleanze politicamente omogenee e in competizione (tutti i borghesi a destra, tutti i proletari a sinistra), non è chiaro come le coalizioni possano formarsi ove le scriminanti siano plurime (di classe, etniche e così via). Il caso dell’Inghilterra a fine ottocento, in cui la minoranza dei nazionalisti irlandesi di Parnell era in grado di decidere il governo inglese, onde provocò la scissione del partito liberale e la nascita della coalizione tra conservatori ed unionisti, ne è un esempio (tra tanti).

Il tutto si è ripetuto, da ultimo, nei trascorsi anni in Italia, in particolare dopo le elezioni di marzo 2018, con la nascita della coalizione tra Lega e M5S, affini per la nuova scriminante, anche se non per quella passata (borghese/proletario, o – meno propriamente – destra/sinistra). Con i partiti legati alla vecchia che rilevano ad ogni piè sospinto la eterogeneità e pertanto l’impossibilità a governare della coalizione gialloblu. Le recenti elezioni europee hanno poi aumentato, anche se di poco, la (notevolissima) maggioranza elettorale populista (Lega+M5S+FdI+liste minori) rispetto ai partiti legati alla precedente (FI+PD e “estrema” sinistra). Ma a ragionare in termini di amico/nemico i partiti governativi sono più “omogenei” tra loro perché hanno lo stesso nemico e lo stesso interesse: che il potere di quello sia limitato (ed il proprio accresciuto).

  1. Scriveva Mortati che “la società in cui emerge ed a cui si collega ogni particolare formazione statale possiede una sua intrinseca normatività, quale le è appunto data dal suo ordinarsi intorno a forze ed a fini politici”.

La costituzione formale assume – sostiene il giurista calabrese – funzioni strumentali alla soddisfazione degli interessi di un particolare tipo di convivenza sociale; per far ciò “è necessario che la società ad essa sottostante si presenti non già come entità del tutto amorfa … bensì già in sé strutturata sulla base di certi fondamentali orientamenti, sufficienti ad ispirare il sistema dei rapporti economici, religiosi, culturali, ecc. che in essi svolgono. In altri termini, l’organizzazione sociale, per porsi a base della costituzione, deve presentarsi in qualche modo già politicamente ordinata, secondo la distribuzione delle forze in essa operanti e le posizioni di sopra e di sotto-ordinazione che queste determinano[12]”. I gruppi preminenti possono diversamente denominarsi, “benchè l’espressione «classe governante» appaia quella più adeguata a raffigurare il fenomeno che si vuol mettere in rilievo il potere reale su cui poggia quello legale[13]. Peraltro dalle classi dirigenti occorre distinguere “i detentori del potere di esercizio dell’attività attraverso cui si estrinseca la volontà dello Stato” (i quali compongono la “classe politica” (e spesso in quelle sono reclutati). Questi sono “strumento tecnico della classe dirigente, in quanto sotto l’influenza della medesima, concretano, di volta in volta, e per la migliore realizzazione dei fini suoi propri, gli orientamenti dell’azione statale”.

Se la positività (cioè l’effettività) è contrassegno de “l’ordine giuridico primario, questo non può non farsi derivare da un assetto di forze capace di esprimere e far valere un orientamento generale che unifichi la complessiva attività statale, e la mantenga almeno relativamente costante così da indurre la fondata presunzione della sua realizzazione”[14].

Dato che tra assetto delle forze socio-politiche preminenti e costituzione formale (cioè “normativa”) può non esserci corrispondenza totale “la costituzione formale è destinata ad acquistare il massimo grado di vincolo quanto più il suo contenuto corrisponde alla realtà sociale e quanto più quest’ultima si presenta stabilizzata in un sistema armonico di rapporti sociali, proprio nei casi in cui l’importanza pratica che le si può riconoscere viene ad attenuarsi, essendo il limite posto dalla medesima all’esercizio del potere radicato nella stessa configurazione della società”[15]. Ma quando lo iato aumenta per il “prorompere di nuove forze che si oppongono a quelle prima detentrici esclusive del potere senza tuttavia riuscire a superarle, si affida alla costituzione scritta una funzione di garanzia delle posizioni di compromesso raggiunto”[16].

Anche a giudizio di Vincenzo Zangara “nella dottrina della costituzione materiale, il sistema legale viene ad assumere una funzione garantista delle forze politiche dominanti: cioè la costituzione materiale sarebbe garantita e diverrebbe operativa attraverso le forze politiche dominanti, mediante la funzione garantista del sistema legale”[17]. Collegandola alla teoria dell’istituzione “l’istituzione può essere valutata come fatto che si realizza positivamente, come ordine costituito e come ordine costituente, cioè come costituzione in un senso effettivo, come costituzione materiale, che condiziona nel suo svolgersi la vita della comunità che ha trovato in essa la sua struttura e la condizione del suo svolgimento… La costituzione, cioè, è contemporanea al sorgere dello stato; o, meglio, al sorgere di una nuova struttura istituzionale che configuri un nuovo regime”[18]. Le forze sociali che determinano la costituzione materiale non sono solo i partiti politici, sindacati e gruppi di persone ma anche “elementi individuali che, con le loro convenzioni private, costituiscono le basi e l’efficienza di una giuridicità dei loro comportamenti, nonché tutti gli organi costituzionali (in cui annoveriamo anche gli organi del potere giurisdizionale) e quegli elementi organizzati che producono diritto e sono comunità particolari, cioè ordinamenti giuridici, nell’ambito dell’ordinamento dello Stato”[19]. La “legittimità dinamica” (cioè nel tempo e non solo nel momento fondativo) è data dalla classe politica la quale “esprime la potenzialità egemone delle forze sociali che la compongono con quella omogeneità ideologica che è propria della sua formazione nel momento dell’instaurazione di un ordinamento e, successivamente, nella dinamica dello svolgimento di esso, che è la concretezza della sua effettività istituzionale”[20].

5.Se la dottrina della costituzione materiale corrisponde alla realtà socio-politica – e in gran parte non è dubbio – e se soprattutto ha evidenziato un aspetto che essendo determinante dell’ordinamento è anche decisivo, occorre vedere se il “cambiamento” avvenuto in Italia nel marzo 2018 e confermato dalle elezioni europee del 2019 abbia ripercussioni sulla costituzione materiale e formale nonché sull’armamentario concettuale con cui si classificano, distinguono, definiscono le istituzioni (ed i gruppi) politici.

Non è dubbio che la costituzione della Repubblica si reggeva sulla divisione di Yalta, sulla coppia borghese/proletario come contenuto del criterio dell’amico/nemico, e il tutto aveva conseguenze nella politica internazionale ed interna. La stessa Costituzione formale aveva la funzione – e il merito – di decantare la contrapposizione comunismo/capitalismo (borghese/proletario), per cui i referenti interni di quella potevano trovare un modus vivendi che relativizzava il conflitto, attraverso le garanzie del pluralismo politico (e sociale) e della distribuzione – soprattutto territoriale – del potere. L’esarchia dei partiti del CLN era il principale supporto, il segmento decisivo della costituzione materiale, che sorreggeva quella formale. Questo schema di coerenza generale era gravemente incrinato nel 1989-1991, dal crollo del comunismo e dalla (conseguente) crisi della c.d. “prima repubblica”. Buona parte dei partiti ciellenisti erano (di fatto) per lo più spariti (v. i partiti laici e il partito socialista) mentre i democristiani, radicalmente ridimensionati, erano distribuiti tra le due coalizioni, su cui si articolava il nuovo sistema dei partiti: il centrodestra e il centrosinistra. Tuttavia permanevano, anche se già mutati di significato, due elementi: la distinzione destra/sinistra pur se modificata nel senso e nell’(ulteriore) relativizzazione e la costituzione formale. Anche se, quest’ultima era ritenuta ormai – da parte delle forze politiche, soprattutto quelle del versante destro – sorpassata, almeno come forma di governo.

Le critiche sfociavano in riforma del titolo V° della Costituzione e in ripetuti tentativi di revisione più ampi, mai andati a buon fine (anzi l’ultimo, quello di Renzi, ha provocato il tramonto del leader che l’aveva sostenuto).

Per questo la seconda repubblica, che aveva mutato un elemento importante della costituzione reale – cioè la legge elettorale – ma manteneva sia (parte) del sistema dei partiti, sia il contenuto del “politico” sia gran parte della normazione costituzionale, più che “seconda” era la repubblica “uno e mezzo”.

Con l’ascesa dei partiti sovran-popul-identitari lo iato è aumentato ancora: in particolare ormai l’elettorato italiano vota, in percentuale di quasi due terzi, partiti che con la vecchia esarchia e il vecchio contenuto del politico hanno poco o punto a che fare. Secondo la concezione di Lassalle, Mortati e Zangara la costituzione materiale sarebbe quindi cambiata. A sorreggere (fino a quando?) la costituzione formale sono infatti forze politiche quasi del tutto mutate.

Tuttavia a differenza di quanto capitato nella seconda repubblica queste non sembrano particolarmente interessate a rivedere la costituzione formale[21].

In effetti le riforme costituzionali sono rimaste fuori dall’azione di governo (e dal dibattito politico) tutta orientata ad agire sul “sociale” (redditi di cittadinanza, quota 100 e così via).

Lo stesso contratto di governo vi dedica scarsissima attenzione (ed ancora meno enfasi). In sostanza abbiamo una coalizione di partiti – cioè un decisivo “pezzo di costituzione”, avrebbe scritto Lassalle – che si cura poco o punto della costituzione formale.

Sosteneva Lassalle che determinanti l’ordinamento normativo (e non solo) sono gli effettivi rapporti di potere[22].

Tali rapporti di potere non sono limitati per “materia” o “settore” ma distribuiti; rientrandovi sia quelli strettamente politici che quelli economici, sia organizzazioni di settore che ceti e apparati burocratici. La costituzione formale è la mera conseguenza di quelli “Abbiamo ora visto quindi, miei Signori, cos’è la costituzione di un paese, cioè: i rapporti di forza effettivamente sussistenti in un paese. Come ci si pone allora, però, non ciò che si chiama abitualmente costituzione, con la costituzione giuridica?… Questi effettivi rapporti di forza li si butta su un foglio di carta, si dà loro un’espressione scritta, e, se ora sono stati buttati giù, essi non solo sono rapporti di forza effettivi, ma sono anche diventati, ora diritto, istituzioni giuridiche, e chi oppone resistenza viene punito!”[23].

In realtà nell’attuale situazione italiana risulta qualcosa di assai differente: la sostituzione completa del personale di governo e la riduzione elettorale a meno di un terzo delle forze politiche della c.d. “seconda repubblica” non ha provocato alcun “terremoto” nella costituzione formale, e neppure un tentativo di “buttare su un foglio di carta” una normativa coerente alla nuova costituzione materiale.

Le spiegazioni di tale inerzia possono essere due.

La prima, più semplice: non è detto che il nuovo assetto di potere creatosi sia in contrasto con la costituzione formale. Se è impossibile che alla trasformazione di una monarchia assoluta in “Stato rappresentativo” (come successo in gran parte d’Europa nel secolo XIX) non corrispondesse una nuova costituzione formale; e del pari che ciò non succedesse col mutare uno Stato borghese di diritto in repubblica comunista o in Stato nazista, tuttavia non è detto che un radicale cambiamento della classe politica (e del “sistema dei partiti”) comporti altrettanto radicali trasformazioni della costituzione formale[24].

La sostituzione dei laburisti ai liberali nella Gran Bretagna tra le due guerre mondiali, o dei popolari all’UCD nella Spagna post-franchista ne costituiscono esempi[25]. Questo pare dovuto al fatto che la nuova classe politica non ha una “tavola di valori” e ancor meno principi di forma di stato e di governo differenti da quella detronizzata. Si parla, in altri casi, come oggi per l’Ungheria e la Polonia di “democrazie illiberali”, ma, a parte la componente retorica di tale definizione, sempre di democrazie si tratta, con elezioni popolari aperte, distinzione dei poteri e possibilità di alternanza tra forze politiche contrapposte. Ossia gli elementi essenziali delle costituzioni nuove in quei paesi promulgate nel 1997 e nel 2012 sono gli stessi delle “costituzioni” della “transizione” tra regimi comunisti e ordinamenti democratici. Molto simili a questi come radicalmente diversi da quelli.

Il che significa che a seguire l’espressione di Lasalle la “forza attiva” dei nuovi rapporti effettivi di potere – cioè l’essenza della costituzione – non necessita di una revisione della costituzione formale per esercitarsi.

La seconda – assai vicina – è che proprio per la prossimità della tavola dei valori e della concezione dello Stato, di revisioni radicali non si sente il bisogno pur con i limiti e i difetti della nostra Costituzione del dopoguerra.[26]

  1. Resta il fatto che il cambiamento della scriminante amico/nemico non ha portato ad alcuna revisione costituzionale. In questo senso è peraltro vero che la scriminante della repubblica “nata dalla resistenza” era l’antifascismo. Di guisa che, dell’antifascismo hanno nostalgia gran parte dell’élites detronizzate.

Ma ciò non significa che Salvini sia fascista come si sforzano a dimostrare i dottor sottili dell’antifascismo. E tanto meno che la dicotomia fascismo/antifascismo, ereditata dalla seconda guerra mondiale e dall’ordine planetario di Yalta, né quella comunismo/anticomunismo possono di nuovo influenzare il sentimento politico dei popoli, e così ri-politicizzarsi.

In sostanza hanno una ormai limitata capacità di mobilitazione delle masse, di gran lunga inferiore alla nuova dicotomia tra globalizzatori e sovran-populisti.

Nel Proemio delle Istorie Fiorentine, Machiavelli critica quegli “eccellentissimi istorici” che avevano trascurato l’incidenza dei conflitti e delle divisioni interne nella Firenze medievale[27]. Così errando perché “lezione è utile a’ cittadini che governono le republiche, è quella che dimostra le cagione degli odi e delle divisioni della città, acciò che possino, con il pericolo d’altri diventati savi, mantenersi uniti”. Sicuramente trascurare (occultare, minimizzare) il conflitto (e la lotta) interna è, come scrive Machiavelli, la strada maestra per ripetere errori già fatti[28].

È interessante applicare questa massima del Segretario fiorentino alla situazione contemporanea.

Dato che la politica implica la lotta sia come presupposto (Freund) che come mezzo (Duverger) che come carattere essenziale (Schmitt), è proprio dal contenuto (il discrimine) della contrapposizione amico-nemico che è dato comprendere meglio il senso della politica. Anche di quella interna; come scrive Freund la funzione di Stato e costituzione è quella di trasformare la lotta interna in duello (combat) proprio perché, a meno di guerre civili, la lotta politica interna è sempre relativizzata dal riconoscimento reciproco tra contendenti e, ancor più da quello di regole della e nella lotta.

Peraltro la “funzione” del nemico è stata sempre aggregante rispetto alle potenze ostili: sia nello scenario internazionale con coalizioni ed alleanze disomogenee ideologicamente sia in quello interno. Il nemico asburgico fu l’elemento che aggregò l’alleanza tra la Francia cattolica (governata, in successione, da due cardinali) e i protestanti tedeschi e nordici nella guerra dei Trent’anni; così la volontà di limitare e distruggere il Terzo Reich quello che cementò l’alleanza tra Stalin, Roosevelt e un anticomunista di ferro come Churchill. All’interno le coalizioni di partiti (come, ad esempio i fronti popolari negli anni ’30) avevano lo stesso effetto di far alleare e cooperare forze eterogenee sotto tanti aspetti, compreso quello ideologico. La lotta per il potere rendeva poco rilevanti le differenze di idee; e il pericolo nell’esistenza politica lo riduceva ancora.

Nel caso italiano la co-presenza – di due “sistemi di partito” ordinati secondo scriminanti amico/nemico diverse, pone tra l’altro, il problema se, al fine d’intendere la situazione non sia preferibile anche perché più esaustivo – valutarla in base ai criteri della “sociologia comprendente”, come formulati da Max Weber. Oggetto della quale, scrive Weber “non è ogni tipo di «stato interiore» o di comportamento esterno, bensì l’agire … L’agire che riveste un’importanza specifica per la sociologia comprendente, è in particolare un atteggiamento che: 1) è riferito, secondo il senso oggettivamente intenzionato di colui che agisce, all’atteggiamento di altri; 2) è con-determinato nel suo corso da questo riferimento dotato di senso; 3) e può quindi essere spiegato in modo intelligibile in base a questo senso (soggettivamente) intenzionato”[29]; in altra opera sostiene anche “per agire si deve intendere un atteggiamento umano (sia esso un fare o un tralasciare o un subire, di carattere esterno o interno), se in quanto l’individuo che agisce o gli individui che agiscono congiungono ad esso un senso soggettivo. Per agire sociale si deve però intendere un agire che sia riferito – secondo il suo senso, intenzionato dall’agente o dagli agenti – all’atteggiamento di altri individui e orientato nel suo corso in base a questo”[30].

D’altro canto l’orientamento secondo il senso dell’agire (nel caso il “razionale rispetto allo scopo”) spiega gli eventi, anche, come nella vicenda, aventi carattere di transizione tra regimi (e formule) politici, quando un “sistema” non possiede (ancora) il connotato della stabilità (come, ad esempio, aveva nella “prima” repubblica italiana). Al riguardo il sistema dei partiti che conseguirà alla nuova discriminante appare ancora in formazione.

Ciò stante il rifiuto dei partiti sovran-populisti italiani di “ordinarsi” secondo la scriminante destra/sinistra e la costituzione di un governo sovran-populista (il primo dell’Europa occidentale) pare spiegabile e interpretabile (nel senso di Weber) secondo il criterio del politico in modo più decisivo che secondo altri parametri.

In effetti con la nuova contrapposizione  che ha sostituito quella borghese/proletario era prevedibile che i sovran-populisti, ottenuta la maggioranza alle elezioni del 4 marzo, e pur nella possibilità di maggioranza alternativa (come M5S + PD) avrebbero costituito un governo omogeneo secondo la nuova discriminante.

Per due ottime ragioni, ambo derivanti da presupposti, costanti, regole del pensiero politico: la prima che il nemico (anche interno) è la globalizzazione e i partiti della seconda Repubblica erano compromessi con quella e  le conseguenti politiche di “rigore”, invise all’elettorato, la seconda che una volta individuato il nemico la regola essenziale della lotta è accrescere il proprio potere e, correlativamente, ridurre  quello del nemico. Il potere, , sempre riferendoci a Max Weber è la possibilità di far valere i propri comandi in un ambito dato (comunità, gruppo sociale): conquistare il governo e sottrarlo all’avversario è quindi il passo principale. Un governo metà populista e metà globalista sarebbe stato un autodepotenziamento ed un insperato aiuto ai detronizzati. Il primo passo è quindi toglierlo agli avversari: è in se una mossa destituente e d’altra parte è ovvio che in ogni conquista del potere da parte di nuove èlite, si comincia col licenziamento delle vecchie.

Interpretare l’agire dei soggetti politici secondo le classiche categorie del politico, a cominciare dalla regolarità della lotta per il potere ha un valore euristico più gratificante in termini di comprensione e – salvo il caso d’eccezione – di previsione del comportamento dei protagonisti. Schmitt nella premessa all’edizione italiana delle Categorie del politico scriveva che la gioia del pensiero indipendente non è solo quella di “computare e misurare”. Miglio nel commentarlo notava “La penultima frase della Premessa va letta probabilmente in chiave ironica: il gusto di “computare o di misurare” sembra riferito all’accezione ed al metodo piattamente quantitativi (di matrice anglosassone) nella scienza della politica”. Così sembra anche in questo caso

Teodoro Klitsche de la Grange

 

 

[1] v. “Sarebbe ridicolo concepire una nazione vincolata essa stessa all’insieme di formalità o alla Costituzione cui ha assoggettato i propri mandatari. Se per diventare una nazione avesse dovuto aspettare una condizione positiva, non sarebbe mai divenuta tale. Una nazione si costituisce solo in virtù di un diritto naturale. Un governo, al contrario, è frutto solo del diritto positivo. La Nazione è tutto quel che può essere per il solo fatto di esistere” il che implica che “…una nazione non può né alienare né interdire a se stessa la facoltà di volere; e qualunque sia la sua volontà, non può perdere il diritto di mutarla qualora il suo interesse lo esiga” onde “Comunque una nazione voglia, è sufficiente che essa voglia; tutte le forme sono buone, e la sua volontà è sempre legge suprema”

[2] v. Che cos’è il terzo Stato? trad. it. p. 255, Milano 1933; v anche la lunga esposizione di R. Carré de Malberg in Contribution à la théorie générale de l’État, Paris 1922, pp. 484 ss.

[3] v. Considerations….. trad. it. La Costituzione come esistenza, p. 27, Roma 1985.

[4] v. Istituzioni di diritto pubblico, Padova 1975, p. 31 (il corsivo è mio).

[5] op. cit. p. 35 (il corsivo è mio)

[6] Op. cit., p. 31.

[7] Op. cit., p. 32.

[8] Op. loc. cit..

[9] v. la voce (con la bibliografia ivi citata) “Sistemi di partito” di G. Pasquino in Dizionario di Politica cui si fa riferimento.

[10] v. Pasquino op. cit. p. 386.

[11] Ne Le categorie del politico, Bologna 1972 p. 167 ss. (il corsivo è mio). Della tesi di Schmitt, in relazione alla situazione odierna, mi sono ripetutamente occupato. Per una più estesa trattazione si rinvia al mio articolo Sentimento ostile, zentralgebiet e Criterio del politico, pubblicato (su carta) in traduzione spagnola su Ciudad de los césares (Santiago del Cile) n. 110, marzo 2017, e ora in italiano negli Annali 2018 della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice (p. 135 ss.).

[12] V. Voce Costituzione dottrine generali Ed. D. vol. p. 162 e prosegue “Sono i gruppi, prevalenti in virtù del potere di fatto esercitato, che ricercano nella costituzione lo strumento idoneo alla tutela degli interessi di cui sono portatori”.

[13] Op. loc. cit.

[14] Op. ult. cit. p. 166 e prosegue “non la validità si deduce dalla legalità, ma che viceversa quest’ultima in tanto opera come elemento dell’ordine giuridico, in quanto sia collegata al più profondo ordine sociale che la legittima”.

[15] Op. ult. cit. p. 167.

[16] Op. ult. cit. p. 168 e prosegue “Avviene così che proprio là dove più gravi si presentano i pericoli per la stabilità dell’assetto cui si da vita, più accentuata si manifesta la tendenza ad irrigidire la funzionalità del sistema, moltiplicando le garanzie ed ampliando la serie di proclamazioni di principio, con il risultato di aggravare il distacco fra i precetti costituzionali e la prassi. È infatti quest’ultima che influenzata dai rapporti di forza quali riescono di fatto ad instaurarsi, conduce lo svolgimento della vita dello Stato verso una o altra direzione svuotando via via di significato le «menzogne convenzionali» consacrate nella Carta e conferendo alle formule un significato diverso da quello che esse esprimono”.

[17] v. V. Zangara Costituzione materiale e convenzionale in Scritti in onore di Costantino Mortati, vol. I, Milano 1977, p. 339 e prosegue “La costituzione materiale, infatti, esprime l’esigenza qui richiamata e deve essere considerata come il modo di essere di un ordinamento, che concreta una caratterizzazione ideologica sulla base delle convergenze delle forze politiche preponderanti in un determinato momento storico; caratterizzazione ideologica che viene ad essere costituita dal collegamento tra il fine politico e l’ordine normativo e che configura e delinea la costituzione in senso materiale”.

[18] op. cit., p. 343.

[19] op. cit., p. 345

[20] Op. cit., p. 432.

[21] Anche se spesso il maggior attivismo in materia dei partiti della seconda repubblica appariva più esternato che praticato. Avente cioè fini prevalentemente, anche se non totalmente, di propaganda.

[22] “Gli effettivi rapporti di potere che sussistono in ogni società sono quella forza effettivamente in vigore che determina tutte le leggi e le istituzioni giuridiche di questa società, cosicché queste ultime essenzialmente non possono essere diverse da come sono” v. Über verfassungswesen trad. it. di C. Forte in Behemoth n. 20, p. 6.

[23] op. cit., p. 8.

[24] L’ “eccezione” in tali casi fu proprio l’Italia fascista, in cui il regime instaurato da Mussolini conservò sempre lo Statuto albertino, ossia la costituzione formale della monarchia liberale, malgrado la radicale trasformazione da democrazia parlamentare a Stato corporativo a partito unico.

[25] In altri Stati europei il cambiamento della classe politica sta avvenendo senza particolari volontà di cambiamento della costituzione formale; anche se spesso i partiti populisti attraggono (prevalentemente) l’elettorato dei partiti socialisti, condannandoli ad un (lento) deperimento. Esempio tra tutti la Francia dove due volte i Le Pen sono andati al ballottaggio nelle presidenziali, a scapito proprio dei socialisti francesi.

[26] La prossimità della “tavola dei valori” non risolve il problema della Costituzione italiana del dopoguerra che è poi il problema principale di qualsiasi costituzione: di rendere possibile l’esistenza politica – quindi indipendente – della comunità. Come ciò possa avvenire nel XXI secolo con una repubblica parlamentare è tutto da verificare.

[27] “Fu trovato come nella descrizione delle guerre fatte dai Fiorentini con i principi e popoli forestieri sono stati diligentissimi, ma delle civili discordie e delle intrinseche inimicizie, e degli effetti che da quelle sono nati, averne una parte al tutto taciuta e quell’altra in modo brevemente descritta che ai leggenti non puote arrecare utile o piacere alcuno” Op. cit., Lib. VII, cap. 3.

[28] “Coloro che sperano che una republica possa essere unita,  assai di questa speranza s’ingannano. Vera cosa è che alcune divisioni nuocono alle republiche e alcune giovono. Quelle nuocono che sono delle sètte e da partigiani accompagnate, quelle giovano che sanza sètte e sanza partigiani si mantengono. Non potendo adunque provedere uno fondatore di una republica che non sieno inimicizie in quella, ha a provedere almeno che non vi sieno sètte” (op. loc. cit.)

[29] V. Il metodo delle scienze storico sociali, a cura di P. Rossi, Milano 1980, p. 243.

[30] M. Weber, Economia e società, introduzione di P. Rossi, Comunità, Milano 1974, vol. 1, p. 4.

Dopo l’ operazione Carola: la fine dell’inizio, di Roberto Buffagni

Dopo l’ operazione Carola: la fine dell’inizio

 

 

Cari amici vicini & lontani, è finito l’inizio. Che cosa comincia, dopo?

Si è conclusa con un completo successo la prima parte dell’abile e professionale azione di guerra ibrida (5th generation war)[1] della quale è stata eroina eponima Carola Rackete.

La definizione più sintetica della guerra ibrida si deve al Tenente Colonnello Stanton S. Coerr, Corpo dei Marines[2]: “l’arma preferita della guerra di quinta generazione è lo stallo politico. Chi combatte una guerra di quinta generazione vince dimostrando l’impotenza della potenza militare tradizionale…questi combattenti vincono quando non perdono, mentre noi perdiamo quando non vinciamo”.

Basta riandare con la memoria ai recentissimi episodi che hanno scandito l’ operazione Carola per verificare che la vicenda si è svolta in conformità alla definizione del Ten. Col. Coerr. Carola ha vinto perché non ha perso; noi – lo Stato italiano, le sue FFOO e FFAA, il Ministro Salvini che si è autodesignato a obiettivo principale dell’operazione e i molti milioni di italiani che lo sostengono –  abbiamo perso perché non abbiamo vinto; la potenza militare dello Stato italiano, incomparabilmente superiore a quella a disposizione di Carola, ha dimostrato la sua impotenza; e il sistema d’arma impiegato per condurre l’operazione bellica  è stato uno stallo politico creato con il decisivo contributo di collaboratori interni al campo bersaglio dell’attacco, l ’Italia nel suo insieme: governo, istituzioni dello Stato, nazione e popolo. Nomi, cognomi e qualifiche professionali dei suddetti collaboratori interni sono facilmente reperibili da chiunque abbia seguito le notizie, né la collaborazione implica sempre la piena consapevolezza del ruolo effettivamente svolto: buona e mala fede sono entrambe utili, e anzi, entrambe necessarie al successo dell’operazione (è stata arruolata nell’ operazione Carola persino l’Antigone sofoclea, insospettabile di complicità).

Quale sia il centro direttivo dell’ operazione Carola è impossibile dire senza informazioni riservate delle quali non dispongo. Osservando lo svolgimento dell’operazione, si può star certi di due cose: a) l’operazione è stata messa in cantiere parecchi mesi fa, probabilmente in coincidenza con il varo del Decreto Sicurezza voluto da Salvini, che, sia detto per inciso, secondo alcuni competenti presenta criticità e punti deboli che hanno fornito opportunità favorevoli all’attacco b) chi l’ha concepito e organizzato è professionalmente ben preparato e in grado di accedere a una vasta rete di contatti e finanziamenti in Italia e all’estero, specie in Germania. Siccome la preparazione professionale in questo campo si acquisisce nelle FFAA e nei servizi d’informazione, è verisimile che almeno il case officer dell’ operazione Carola si sia formato così, anche se magari non appartiene (più) ai quadri di un servizio d’informazione o di una forza armata.

L’ operazione Carola è il primo episodio operativo di una guerra ibrida di logoramento appena iniziata, che si propone i seguenti obiettivi:

  1. dimostrare che nonostante il vasto e maggioritario consenso del popolo italiano di cui gode, il Ministro dell’Interno Matteo Salvini, eroe eponimo della linea anti-immigrazione e del “sovranismo” italiano ed europeo, è affatto impotente a realizzare i suoi obiettivi
  2. accentuare le divisioni interne al governo gialloverde: divisioni tra i gialli e i verdi, divisioni interne ai gialli e a verdi tra linee politiche e gruppi dirigenti con interessi e basi sociali diverse
  3. abbattere il morale e provocare una crisi di fiducia sia nella maggioranza di italiani che sostengono la linea Salvini, sia (soprattutto) nelle FFOO e nelle FFAA italiane, che in questa circostanza hanno dovuto constatare due fatti gravi in sé, ma per loro gravissimi: uno, che per le istituzioni italiane sono sacrificabili e disonorabili (Carola ha potuto beffare e mettere a rischio la vita di cinque finanzieri che eseguivano ordini superiori senza subirne la minima conseguenza, neppure la minima riprovazione istituzionale); due, che Matteo Salvini, il politico che si è proposto come principale difensore dell’interesse nazionale, per quanto si possano accreditare le sue intenzioni di tutta la sincerità e buona volontà del mondo, non soltanto non riesce a difenderli quando compiono il loro dovere,  ma neppure a garantirgli il rispetto e l’onore a cui un militare non rinuncia senza abdicare alla sua vocazione
  4. menomare le capacità di sfruttare le opportunità politiche che la crisi UE presenta all’attuale governo, compromettendone coesione politica e lucidità anche psicologica.
  5. rinsaldare la coesione del campo avverso a Salvini e ai “sovranisti” (opposizione politica, ceti dirigenti ad essa collegati dall’europeismo e dalla solidarietà culturale e d’interessi+ loro base sociale ed elettorale)
  6. promuovere le condizioni di fattibilità di una nuova alleanza politica maggioritaria, che può vedere associati sia una parte del Movimento 5*+PD, sia una Lega nella quale la “linea Salvini” di difesa dell’interesse nazionale sia battuta o conservata a solo scopo cosmetico/elettorale + partiti centristi già esistenti (Forza Italia) o in via di formazione (progetti Calenda & Renzi + altri eventuali), sia qualunque altra combinazione atta allo scopo di battere il “sovranismo”
  7. Prevenire la formazione di un governo italiano abbastanza stabile, coeso ed esperto da perseguire non solo a parole ma nei fatti l’interesse nazionale, cioè anzitutto il dettato geopolitico connaturato alla nostra posizione nel Mediterraneo, che ci spinge a influenzare il Nordafrica e le nazioni che si affacciano sull’Adriatico. Quest’ultimo è l’obiettivo strategico decisivo che fa convergere gli interessi permanenti della potenza britannica con quelli, mutevoli, di Germania, Francia e, in caso di ritorno alla Casa Bianca dei Democrats clintoniani o loro avatar, USA.

Ripeto: L’ operazione Carola è il primo episodio operativo di una guerra ibrida di logoramento appena iniziata. Appena iniziata vuol dire che sono già in preparazione, probabilmente avanzata, altri attacchi di crescente violenza e del medesimo tipo.

Le sconfitte operative diventano sconfitte strategiche ( = le battaglie perse diventano guerre perdute) solo quando dalle sconfitte non si impara e non si mettono in campo nuove e appropriate contromisure, culturali e operative.

La primissima cosa da fare è non cercare la soluzione dove non c’è. Una vecchia barzelletta illustra bene questo frequente errore. Eccola.

 

 

Le chiavi e il lampione

Notte fonda, buio pesto. Antonio rincasa. In fondo alla via, nel cerchio di luce di un lampione, vede l’amico Giovanni chino a terra. “Che stai facendo, Giovanni?” “Cerco le chiavi, Antonio.” “Le hai perse qui?” “No, le ho perse chissà dove. Ma qui almeno ci si vede.”

Morale: bisogna cercare le chiavi dove possono essere, anche se c’è buio, anche se si devono cercare a tastoni, brancolando nel buio. Cercarle dove c’è luce anche sapendo che non ci possono essere, perché lì ci vediamo, perché quelle sono le cose che l’esperienza ci ha abituati a vedere, non va bene: le chiavi non le troveremo mai.

Nel caso della Lega e in particolare di Salvini, la barzelletta delle chiavi e del lampione dice questo. Per la sua formazione di partito radicatissimo nel territorio, che esprime con coerenza e con forza il proprio interesse immediato e locale, la Lega è abituata a vedere anzitutto due cose: la politica locale e la politica elettorale (radicamento identitario+ mediazione degli interessi+ amministrazione). Alla politica estera non ha mai rivolto seriamente l’attenzione (non è illuminata dal cerchio di luce del lampione) perché se ne occupava il suo avversario principale, “Roma ladrona”, il governo nazionale; col quale la Lega ha sempre condotto una trattativa volta a strappare quanto più possibile per “la Padania”, ma che non ha mai pensato di soppiantare e surrogare: le chiacchiere secessioniste, i duecentomila bergamaschi con la pallottola in canna del simpatico fantasista Umberto Bossi sempre furono, appunto, chiacchiere e guasconate da bar Sport dopo il quarto Campari.

Grazie all’inesauribile immaginazione della Storia , alla prodigiosa, immortale fantasia degli italiani, e alla disfunzionalità arrogante e catastrofica del baraccone UE che ha spalancato autostrade politiche a venti corsie ai propri oppositori, i principi attivi che hanno dato origine alla Lega – radicamento identitario + difesa dell’interesse immediato – sono diventati il razzo vettore della Nuova Lega nazionale di Salvini. A Roma ladrona si è sostituita Bruxelles ladrona, al popolo padano (con tanto di corna celtiche e Dio Po) si è sostituito il popolo italiano (con tanto di tricolore, rosario e invocazione all’Immacolata Concezione); e al 3% si è sostituito il 38% dei consensi.

Questa straordinaria vittoria/ribaltone, per la quale il popolo italiano deve sul serio ringraziare l’Immacolata Concezione o altri avatar del numinoso a piacere, pone però alla Lega e al suo Capitano Matteo Salvini una serie di problemi per risolvere i quali affidarsi a Dio non basta (“aiutati che Dio t’aiuta”). I problemi immediati da risolvere sono i seguenti:

  1. Non c’è più Roma ladrona che si occupa della politica internazionale
  2. Mentre Roma ladrona era un avversario, con il quale si tratta anche con durezza ma che non vuole e non può, senza suicidarsi, mettere a rischio esistenziale “la Padania”, Bruxelles ladrona forse è (secondo me senza forse, ma lasciamo il dubbio che possa non esserlo) un nemico, un nemico che può benissimo mettere a rischio esistenziale, senza suicidarsi, l’intera Italia e la Padania in essa (Digressione: la linea “lombardo-veneta” interna alla Lega pensa che sia possibile e opportuno salvare la Padania all’interno della UE lasciando affondare il Meridione: un’idea che più sballata non si potrebbe, perché senza Meridione l’Italia conta come una Croazia con più soldi, ma che raccoglie consenso in ragione dell’abitudine leghista di vedere e interpretare anzitutto l’interesse immediato)
  • Dall’istante in cui si è proposta, con successo, come interprete dell’interesse nazionale italiano, la Lega del Capitano è entrata nel campionato di serie A delle potenze, un campionato nel quale l’Italia non può non giocare perché il Padreterno l’ha piazzata irrevocabilmente in un luogo decisivo per gli equilibri geopolitici mondiali: il Mediterraneo.
  1. Quando l’Italia non è riuscita a giocare con una propria squadra nel suddetto campionato di serie A delle potenze, ne è diventata il campo di gioco. Il gioco delle potenze è il gioco più violento che si conosca, in confronto la boxe professionistica è il tamburello. Diventarne il campo di gioco è molto pericoloso. Questo è un dato permanente dello storia.
  2. Dunque il Capitano d’Italia Matteo Salvini, volens nolens, deve imparare a giocare – anzi, a guidare il gioco della squadra Italia – nel campionato di serie A delle potenze. Non ci ha mai giocato, non ha neanche mai studiato i manuali di gioco: però alla guida della squadra c’è lui, e non un altro. Quindi tocca a lui. Un tempo si diceva che il principe riceve “la grazia di stato”, cioè l’aiuto divino commisurato ai compiti che il suo ruolo gli impone. La grazia certo non si merita, ma bisogna disporsi a riceverla dall’alto impegnandosi a fondo in questa valle di lacrime.

I provvedimenti immediati da prendere sono:

  1. Sono già in corso di avanzata preparazione ulteriori attacchi di guerra ibrida contro l’Italia. Riunire una task force di competenti in materia, che ci sono (nei servizi d’informazione, nelle FFAA, nelle FFOO) e mettere allo studio a) contromisure difensive b) contrattacchi simmetrici
  2. Riparare lo strappo alla fiducia delle FFOO e FFAA. Visitarne e lodarne reparti va bene ma non basta. E’ di importanza decisiva, per prevenire la destabilizzazione dello Stato, stringere un’alleanza strutturale con le divise. Nella Prima Repubblica, spina dorsale dello Stato erano l’IRI, i partiti e il Vaticano. Oggi l’IRI non c’è più, i partiti nemmeno e il Vaticano è un nemico politico. Senza spina dorsale effettuale uno Stato si destabilizza facilmente con azioni endogene ed esogene, ancor più se abilmente combinate. Spina dorsale dello Stato italiano odierno possono (secondo me devono) diventare FFAA e FFOO. Un metodo semplice, efficace, del tutto legale e pacifico è il seguente.
  3. Tutti gli ufficiali in servizio permanente effettivo dal grado di maggiore in su sono anche funzionari pubblici. Le FFAA ed FFOO italiane hanno troppi ufficiali, molti dei quali sanno che non supereranno mai il grado di tenente colonnello. Tutti gli ufficiali hanno esperienza amministrativa e di comando di uomini; i carabinieri sono laureati in legge, i finanzieri in economia, gli aviatori e i marinai in ingegneria rispettivamente aereonautica e navale, i fanti in scienze strategiche. La selezione psicofisica del personale è la più severa di tutta l’amministrazione pubblica, la sua correttezza salvo rare eccezioni esemplare. Si impieghi dunque il maggior numero possibile di ufficiali dei gradi intermedi delle FFOO e FFAA come pubblici funzionari nell’amministrazione civile, statale e non. Il primo effetto positivo di questa misura si vedrà nell’immediato calo delle ruberie e degli sprechi (non mi ci vedo un fornitore della ASL proporre tangenti a un ufficiale dei carabinieri). Ma l’effetto positivo più importante e durevole sarà l’introduzione di una esperienza del conflitto geopolitico, e di una fedeltà all’interesse nazionale, che per gli ufficiali delle FFOO e FFAA fanno parte dell’addestramento di base e della vocazione professionale.
  4. Prendere immediatamente l’iniziativa sul tema dell’immigrazione con una proposta nuova che prenda in contropiede la propaganda immigrazionista dell’opposizione e dimostri la sua impotenza e inefficacia (che faccia cioè la stessa identica cosa che ha tentato con successo, a parti rovesciate, l’ operazione Carola). Insistere ciecamente, sbattendo la testa contro il muro, sulla sola linea “porti chiusi” è sbagliato e autolesionista, perché a) si offre al nemico il destro di mostrare facilmente che non si riesce ad applicarla sul serio b) è effettivamente vero che la politica dei porti chiusi, per quanto benemerita e necessaria, non basta a fermare l’immigrazione di massa. Una iniziativa efficace, e già disponibile perché a uno stadio di elaborazione avanzata, è il progetto di collaborazione tra governo italiano e governo tunisino per la creazione di un mare artificiale nel deserto del Sahara, presentata qui: https://www.medinsahara.org/ . Per avviare questa iniziativa, che creerebbe la condizioni di un rovesciamento dell’impostazione culturale e politica del problema migratorio e tapperebbe la bocca all’opposizione costringendola a rincorrere Salvini sul suo terreno, basta finanziare con trecentomila euro le tre Università italiane che sponsorizzano il progetto e ne eseguirebbero lo studio di fattibilità. Sì, avete letto bene: non trecento milioni, trecentomila euro.

A lungo termine, naturalmente, c’è da proporsi compiti più importanti e difficili: anzitutto, la formazione di una cultura non solo politica che sia anche una cultura della potenza: che non vuol dire una cultura delle prepotenza e dell’aggressione, ma una cultura del realismo che integri la dimensione tragica della storia, alla quale nessuno, nemmeno l’Italia dell’Arcadia e della Commedia dell’Arte, si può sottrarre.

Una cultura del realismo che sappia, ad esempio, che essere ricchi – anche ricchi di voti – ed essere potenti sono due cose molto, molto diverse.

Ma di questo, se ci arriveremo vivi e interi, si potrà discutere in seguito.

That’all, folks.

[1] Qui alcuni riferimenti di base: https://en.wikipedia.org/wiki/Generations_of_warfare ; http://mil-embedded.com/guest-blogs/defining-fifth-generation-warfare/ . Le elaborazioni teoriche e operative che hanno condotto alla messa a punto della guerra ibrida si ritrovano qui, nei manuali della Albert Einstein Institution fondata da Gene Sharp, ispiratore delle rivoluzioni colorate in tutto il mondo. Suggerisco di leggere con attenzione i manuali, scaricabili gratuitamente dal sito: https://www.aeinstein.org/ . Da seguire sul nostro sito questa recentissima intervista al polemologo Piero Visani: https://italiaeilmondo.com/2019/07/07/guerra-ibrida-navi-corsare-a-sud-e-pokeristi-a-bruxelles-con-piero-visani/

[2] Da leggere con molta attenzione tutto questo articolo del Tenente Colonnello Stanton S. Coerr del Corpo dei Marines, apparso per la prima volta sulla Marine Corps Gazette: https://www.scribd.com/doc/50049562/Fifth-Generation-War-Warfare-versus-the-nonstate-by-LtCol-Stanton-S-Coerr-USMCR

 

I diritti dell’uomo contro il popolo, recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

Jean-Louis Harouel I diritti dell’uomo contro il popolo Liberilibri, Macerata 2019, pp. 104, € 15,00

Almeno fino alla prima metà del secolo scorso era abituale, negli scrittori di politica e diritto pubblico, rilevare che la prima “divisione dei poteri” nello Stato moderno non è quella, più nota, di Montesquieu, ma l’altra tra potere temporale e potere religioso.

Lo si può leggere (tra i tanti) in M. Weber, G. Mosca, M. Hauriou. E si accompagna alla notazione che tale distinzione è tipica della civiltà cristiana. Max Weber notava che vi sono solo due religiosi al mondo che separano nettamente potere temporale e non: una è il cristianesimo. Mosca sostiene che il primo elemento per ottenere la difesa giuridica dei diritti individuali è “la separazione del potere laico dall’ecclesiastico” tipica del cristianesimo[1].

In seguito queste considerazioni hanno perso d’importanza: pareva ovvio che una costituzione dello Stato “sociale” separasse tali poteri, così come assicurasse diritti di libertà, divisione dei poteri, uguaglianza e così via. Il fatto che il tutto sia dovuto al cristianesimo e che nella storia sia un’eccezione (oltretutto, anche nella civiltà cristiana, spesso controversa) e non la regola è stato dimenticato.

È quindi assai interessante che questo denso saggio inizi ricordando tale differenza tra Europa (cioè cristianesimo) occidentale ed Islam, che comporta la difficoltà estrema per i musulmani di accettare norme ed istituzioni che su quella separazione si fondano. Ancor più il lettore ricorderà la discussione sulle “radici giudaico-cristiane” dell’Europa, che sono un fatto storico e che gran parte delle élite europee voleva togliere dal testo della “Costituzione” europea: col risultato di far fallire il progetto, d’altronde, in quei termini, di utilità più che dubbia.

Scrive Harouel che “È un errore considerare l’Islam soltanto come una religione e definire la sua collocazione nelle società occidentali unicamente sotto il profilo della libertà religiosa, perché l’Islam ha una fortissima dimensione politica … L’Islam è insieme religione e regime politico, e addirittura la parola dîn non significa religione ma legge”.

Ad integrare i musulmani residenti in Europa, serve pertanto poco “la religione secolare dei diritti dell’uomo” come sostiene l’autore. Questa ha anch’essa delle radici: ma nell’eresie cristiane. In particolare nella gnosi (Marcione)  e nel millenarismo (Gioacchino Da Fiore). È noto che da tempo sono state affermate le influenze gnostiche e millenariste sul marxismo-leninismo. Dopo il collasso del comunismo, si sono trasferite nella “religione dei diritti dell’uomo”. Anche perché, hanno trovato dopo la fine dei partiti comunisti un ricco vivaio di profeti disoccupati, ansiosi di trovare, paretianamente, nuove derivazioni per sostituire quelle sconfitte dalla storia e, così, tirare a campare. Capisaldi della nuova religione sono la fede nel progresso e il memismo cioè la negazione delle differenze tra uomini e l’affermazione dell’interscambiabilità di tutti gli uomini e quindi dei popoli.

Con ciò è stato cambiato il concetto e il modello del liberalismo democratico (appropriandosi del termine) “sotto l’effetto della religione dei diritti dell’uomo, si è adottata una concezione sensibilmente diversa della democrazia, lontanissima dal modello classico della democrazia liberale: sovranità del popolo e difesa dei cittadini contro gli eccessi del potere grazie alle libertà pubbliche. In questa nuova versione, la democrazia è diventata fondamentalmente culto dell’universale e ossessione dell’apertura all’altro con relativa svalutazione della sovranità del popolo. Se si decide che è questa la democrazia vuol dire che la classica democrazia liberale non era democrazia. Si è stabilito che i valori della religione dei diritti dell’uomo fossero i veri valori democratici. Essendo questi nuovi valori esclusivamente universalisti, nessun popolo europeo può sentirsi legittimo poiché solo l’umanità lo è”. E la religione dei diritti dell’uomo ha fatto “saltare” il confine tra diritto e morale, cioè tra coazione e coscienza (persuasione).

Così l’amore verso il prossimo, da precetto evangelico e dovere morale si è trasformato in norma giuridica e in decisioni giudiziarie. La morale dell’umanitarismo è imposta con i carabinieri “Questo strano fenomeno è stato perfettamente analizzato dal decano Carbonnier. Come lui osserva, esiste, sin dall’inizio, nei diritti dell’uomo, l’idea di una fraternità umana e dunque di un dovere di amore verso l’altro. Ma questa dimensione dei diritti dell’uomo è restata a lungo soltanto nel registro della morale individuale”; ma “Tutto è cambiato nella seconda metà del XX secolo. Dopo l’entrata in vigore della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo del 1950, si è progressivamente imposto un vero culto dei diritti dell’uomo … Sono passati in secondo piano i diritti individuali di base, i diritti-libertà riconosciuti agli individui per garantirli contro possibili abusi da parte dei loro governanti: libertà di movimento, sicurezza, inviolabilità del domicilio e della corrispondenza, libertà di pensiero e di opinione, libertà d’espressione. Il centro di gravità della morale dei diritti dell’uomo si è spostato verso il principio di non-discriminazione, che è diventato il principio fondante dei diritti dell’uomo”. Lo Stato diventa un dipartimento della morale umanitaria ma ciò comporta “un vero tradimento del popolo da parte dello Stato. Perché se ogni Stato ha dei doveri verso l’umanità esso ha dei doveri prioritari verso il Paese di cui costituisce il volto costituzionale. Esso deve vegliare per prima cosa sui suoi interessi, la sua prosperità, la sua prospettiva futura. Ma, in Europa occidentale e in Francia meno che altrove, lo Stato non ha quasi nessuna preoccupazione per gli interessi concreti del popolo. Poco importa il suo avvenire”. D’altra parte “amare il proprio nemico, porgere l’altra guancia: sono dei percorsi di santificazione individuale, non delle regole di diritto che si possono imporre a tutta una popolazione. Il millenarismo dell’amore per l’altro spirito fino al disprezzo di sé causa la morte delle società che vi si abbandonano”. Per continuare ad esistere “il popolo di questo Paese deve rompere con la religione suicidaria dei diritti dell’uomo. Il bisogno vitale di questo popolo non è quello di essere protetto contro i suoi governanti dai diritti dell’uomo, ma di essere protetto dai suoi governanti contro i diritti dell’uomo”.

Nel complesso un saggio che condensa in poche ma dense pagine errori, ingenuità, derivazioni di un’ideologia quanto mai pericolosa e la quale ignora gran parte dei capisaldi del pensiero politico e giuridico europeo. Solo per questo un ottimo motivo per leggerlo e tenerlo a mente.

Teodoro Klitsche de la Grange

[1] Elementi di scienza politica Cap. V, VIII

Maffeo Pantaleoni, Il manicomio del mondo, di Teodoro Klitsche de la Grange

Maffeo Pantaleoni, Il manicomio del mondo, pp. 184, € 18,00, Liberilibri, Macerata 2019.

Iniziativa meritoria questa dell’editore, di aver ristampato un’antologia degli Erotemi di economia di Pantaleoni curata da Sergio Ricossa negli anni ’70 per l’editore Volpe (ora arricchita da un’introduzione di Manuela Mosca). Meritoria perché Pareto e Pantaleoni furono gli studiosi italiani i quali tra al fine dell’800 e il primo quarto del 900 riportarono la scienza economica italiana all’attenzione di quella internazionale; ma mentre per Pareto, almeno fuori d’Italia, quella è mai mancata, Pantaleoni è stato dimenticato.

L’antologia prova quanto a torto: e ciò per due ragioni principali: la prima che quanto scrive Pantaleoni spesso si può utilmente applicare a eventi accaduti nel (quasi) secolo trascorso dalla morte dell’economista. Ad esempio alla lotta di classe, intesa nel senso marxista del conflitto tra borghesi e proletari. Scrive Pantaleoni “Gli uomini si sono sempre distinti con contrassegni in classi, le quali hanno avuto e hanno tutt’ora i più svariati criteri di classificazione: la nobiltà, la professione, l’appartenenza ai conquistatori o ai conquistati, la fede politica, la fede religiosa, il sesso, l’età e via dicendo”; in ogni società, ma in quelle moderne soprattutto “L’appartenenza dei medesimi individui, cioè di tutti gli individui costituenti un consorzio politico, a molti e diversi gruppi di interessi, e la crescente moltiplicazione delle specie di interesse alle quali ciascun individuo appartiene simultaneamente, è un fatto che rende impossibile, ossia annulla, i contrasti di classe, le bipartizioni e tripartizioni della società, che sono il fondamento di molte speculazioni socialistiche e socialistodi”; per cui “Il fatto vero è che il medesimo individuo appartiene in un medesimo momento a un gruppo etnico avente interessi in lotta con coloro che appartengono a altri gruppi etnici… che sarà cattolico o massone e quindi in lotta con massoni o cattolici, che sarà monarchico o repubblicano o socialista o sindacalista o conservatore, o progressista, o radicale”. Orbene dopo il crollo del comunismo è evidente che il conflitto borghesi/proletari è stato neutralizzato e spoliticizzato; ne hanno preso il posto altri conflitti i quali con la scriminante della proprietà (o meno) dei mezzi di produzione hanno poco (o punto) a che fare (e talvolta neppure matrice economica).

La seconda è che l’opera appare una confutazione dei luoghi comuni del socialbuonismo di ieri come di oggi a leggere in particolare (tra gli altri) i capitoli sul merito e sulla giustizia.

In conclusione, come scrive Manuela Mosca nell’introduzione “il presente volume resta prezioso anche per i non specialisti. Pubblicato da Ricossa per far conoscere il suo originalissimo pensiero a chiunque desiderasse farsi un’idea di chi egli fosse e di che cosa pensasse, resta il libro da consigliare senza esitazione a coloro che volessero incontrare per la prima volta questo grande italiano”.

Teodoro Klitsche de la Grange

 

Carlo Galli Sovranità, recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

Carlo Galli Sovranità Il Mulino, Bologna 2019, pp. 154, € 12,00

Uno degli effetti dell’esplosione dei partiti sovran-popul-idealitari è di aver tolto dal cono d’ombra creato nella seconda metà del novecento il concetto di sovranità.

Solo a parlare del quale si era spesso stigmatizzati come reazionari, sciovinisti e, in una logica tutta contemporanea, fascisti. Che la sovranità nazionale fosse stata la bandiera di Mazzini e Garibaldi, dei patrioti polacchi ed irlandesi, dei coloni americani e, anche se meno enfatizzata, di tanti partiti comunisti (da quello cinese a quello vietnamita), non valeva a questa legittima aspirazione/concetto, di essere sottratto all’anatema dell’oblio, al doversi rassegnare a un posto nell’archivio della Storia.

È quindi assai interessante questo saggio di Carlo Galli che ripercorrendo la storia dell’idea di sovranità e le concezioni della stessa colloca “le cose a posto” nella prima parte, per poi formulare le conclusioni negli ultimi due capitoli.

Non è il caso di ricordare al lettore il percorso che fa Galli nella prima parte, sintetica ed esauriente.

Importante è ricordare comunque alcuni connotati fondamentali della sovranità. Questa, nata con Bodin nell’intento di neutralizzare i conflitti di religione (avente funzione cioè di decisione-neutralizzazione del conflitto), fu pervertita nel fine dai totalitarismi del novecento: da strumento di protezione della società (individualistica) borghese (Hobbes), era diventato quello di affermazione aggressiva del “noi” comunitario (classe, nazione o razza); ed è stata superata dalla sconfitta dei totalitarismi (nel 1945 e nel 1989).

Altro punto – dall’autore passato ripetutamente in esame – è che il rapporto conflitto/sovranità è l’inverso di quanto pensano i “politicamente corretti”. Non è la sovranità a creare i conflitti: in effetti è il contrario. Se non vi fossero conflitti, se gli uomini fossero angeli, di sovrani (e anche di governi) non se ne avrebbe bisogno.

Resta il fatto che dalla lotta e dall’ostilità come presupposti del politico (Freund) non si può prescindere: “la sovranità è il farsi carico del fatto che all’origine della normalità c’è l’incompletezza dell’esistere associato”. Al sovrano, inoltre, compete non solo (e non tanto) dare delle norme, ma, ancor di più, decisioni per applicare quelle o anche per derogarle nello stato di eccezione (Schmitt).

La sovranità, inoltre, è realismo e prudenza politica, non “ipertrofia” dell’Io, individuale o collettivo “Sovranità per un corpo politico è la capacità di stabilire come stare nel mondo e nella storia, come organizzare l’interdipendenza fra più soggetti politici… Quindi sovranità come volontà della nazione non è necessariamente nazionalismo: è autonomia di quella volontà”

Pertanto alla domanda di sovranità contemporanea occorre dare risposte non demonizzaitrci (come quelle delle élite declinanti): nelle concezioni delle quali sintetizzate da Galli “Il funzionamento della politica interna è la governance, cioè la mediazione, fin che si può; ma quando ci sono ostacoli … allora interviene la decisione politica…. La politicità implicita nel sistema torna a farsi esplicita”. La governance è insomma una politica in maschera: una politica che non ha il coraggio di qualificarsi tale, ma non rinuncia ai mezzi propri: forza ed astuzia. In effetti una sovranità mistificata.

Come sostiene Galli: “Il problema, semmai, è decifrare quanto la richiesta di sovranità che nasce nelle società occidentali sia funzione del dominio già esistente, che cambia forma e legittimazione per mantenere la propria valenza oppressiva, o quanto al contrario quella richiesta sia uno sforzo di risolvere in direzione emancipativa le contraddizioni dell’oggi. Per gran parte dei cittadini europei la richiesta di sovranità politica è il ritorno alla funzione protettiva, la prima prestazione della sovranità … è insomma sintomo di una sofferenza economica e psicologica, di un’autodifesa della società davanti all’eccesso di movimento, di mobilità, di instabilità”. E la stessa domanda di sovranità non ha finalità imperialiste o iperpolitiche “ha più il segno della tutela delle esistenze singole e familiari, dei piani di vita individuali, che non della ipertrofia del «politico», della volontà di potenza nazionalistica. Ciò che si chiede è più uno Stato protettore che uno Stato guerriero”. L’autore conclude “La tesi di questo libro è che la sovranità è una tematica ineludibile, e che – se l’Italia non vuole sperimentare la «non-sovranità in un solo Paese» – va trattata seriamente, in chiave storica e politica, e non con anatemi”. Anche se la richiesta di sovranità è superficiale, carente di capacità progettuale e di direzione politica incerta, chi oggi teme la democrazia “illiberale” dovrebbe chiedersi quanto sia il “tasso di democraticità” del “neoliberismo” o di altre “ideologie” post moderne che della sovranità pretendono (e credono) di fare a meno.

Per cui “un tempo il pensiero non conformista doveva criticare la sovranità e la sua pretesa di autosufficienza, la sua intrinseca alienazione, la violenza implicita nelle sue istituzioni. Oggi, davanti ad altra violenza, ad altra alienazione, ad altra pretesa di autosufficienza deve vedere nelle pur contraddittorie richieste di sovranità il sintomo dell’esigenza di ritrovare un approccio integrale, ed emancipativo, alla politica”.

Un saggio, in definitiva, la cui lettura è la migliore difesa contro gli idola dei mass-media allineati al (non-) pensiero unico.

Teodoro Klitsche de la Grange

 

NÉ POLITICA NÉ GIUSTIZIA, di Teodoro Klitsche de la Grange

NÉ POLITICA NÉ GIUSTIZIA

A distanza di poche settimane l’una dall’altra tre notizie hanno riproposto il problema del rapporto tra poteri (politico e giudiziario): l’assoluzione (in Cassazione) dell’ex Sindaco di Roma Marino, le dimissioni della Presidente della Regione Umbra, Marini e le non dimissioni del sottosegretario Siri, ambedue quest’ultime a seguito delle indagini delle competenti procure. Dalla combinazione e comparazione di tali vicende emerge quale potrebb’essere un ragionevole bilanciamento delle rispettive esigenze della politica e della giustizia, punto dolente dello stato di diritto.

Politica e giustizia hanno principi d’azione (e scopi) differenti. La prima si fonda sul detto salus rei publicae suprema lex; ne consegue che esigenze e vincoli “giuridici” cedono se è in gioco l’interesse dello Stato e l’autonomia della politica, organizzata di guisa da rispondere – almeno nelle democrazie – alla volontà popolare, onde i rappresentanti sono eletti dal popolo direttamente (Parlamento, Presidenti di Regione, Sindaci) o indirettamente nominati dagli eletti (governo, Presidente della Repubblica). La seconda in base al principio fiat justitia, pereat mundus, ed è organizzata (prevalentemente) con il reclutamento di personale burocratico con metodi burocratici (in sostanza una cooptazione).

Dato che sono pochi i casi in cui l’ordinamento esclude del tutto la responsabilità (giudiziaria) comune di soggetti pubblici (come i capi dello Stato), per gli altri rappresentanti occorre elaborare – per equilibrare i principi – delle norme derogatorie in vario modo alla giurisdizione ordinaria: Tribunali e accusatori “speciali”, autorizzazioni a procedere, divieto di determinati atti d’indagine e così via. La giustizia politica è tutta una fioritura di deroghe a quella penale comune, e non potrebbe essere diversamente  – a parte l’opportunità o meno di questa o quella norma. Il perché è agevole da intendere. E proprio il caso Marino ne fornisce l’esempio. Il Sindaco di Roma era stato eletto dai cittadini della capitale; non era un Cavour o un Bismarck, ma comunque aveva ottenuto la (sufficiente) maggioranza dei consensi. Data la non eccessiva popolarità di cui godeva, qualche “svarione” amministrativo, e forse un rapporto difficile con l’allora Presidente del Consiglio, il PD, per toglierlo di mezzo, faceva dimettere la maggioranza dei consiglieri comunali. Da ciò conseguiva la nomina del Commissario e la convocazione di nuove elezioni, vinte dalla Raggi. Dato che non era possibile manifestare, almeno in parte, le ragioni reali (tutte politiche) della decisione, la stampa iniziò a sbandierare l’apertura di un processo per avere, il Sindaco, pagato, con la carta di credito comunale, pranzi (ed altro) di carattere del tutto privato. Che la circostanza non toccasse granché i romani (preoccupati e) afflitti da decenni di cattiva amministrazione  (dalla “monnezza” ai trasporti, alla fiscalità locale) era cosa che non sembrava (né sembra) interessare  granché i giustizialisti in servizio permanente effettivo. A distanza di qualche anno la Cassazione ha assolto Marino. Risultato: un Sindaco eletto è stato dimissionato dalla strumentalizzazione politico-mediatica di un preteso reato e del relativo processo. Col risultato (voluto) che l’unico effetto del processo e della strumentalizzazione del quale non è stato quello (di giustizia) di punire un reo, ma solo quello (politico) di eliminare un avversario. Effetto che la vicenda Marino condivide con tanti altri casi di “giustizia politica” degli ultimi trent’anni (e non solo).

Si dice che c’è la presunzione d’innocenza e chi non è condannato con sentenza definitiva dovrebbe continuare a svolgere la sua funzione: ma a parte il fatto che non sempre è così (v. legge c.d. Severino), è ancora peggio che per una bandiera di onestà e di illibatezza si pretendano le dimissioni (preventive) di soggetti come la Marini o Siri che sono solo indagati. Vero è che la moglie di Cesare dev’essere al di sopra di ogni sospetto, ma ad esercitare pubbliche funzioni per volontà del popolo era Cesare e non la di lui signora. Il quale ripudiò la moglie  ma conservò la carica (e, notoriamente, fece carriera).

E ad essere troppo sensibili all’onestà, si finisce con l’essere più giustizialisti della pubblica accusa, con il risultato, sovente, di strumentalizzare (il funzionamento) della giustizia a scopo politico. Né vera giustizia né sana politica. Cioè proprio quello che, a parole, si vorrebbe evitare.

Teodoro Klitsche de la Grange

Storia, Geopolitica e conflitti: appunti didattici, di Giuseppe Gagliano

Storia, Geopolitica e conflitti: appunti didattici.

È evidente che la lettura degli eventi storici può essere attuata attraverso approcci metodologici differenti. Per quanto mi concerne, nella mia attività di docente a Como, sono partito da una interpretazione che pone l’enfasi sul conflitto.

La storia è determinata infatti da una permanente e incessante conflittualità di natura politica, economica e militare, conflittualità cagionata da una lotta di potere per l’egemonia culturale, politica, economica(come mi ha insegnato Christian Harbulot direttore della Scuola di guerra economica di Parigi che è stato non a caso allievo di Braudel).

La storia, insomma, si muove sotto il segno di Ares. Il compito del docente è quello di dare ai discenti strumenti storiografici di alto livello per capire le linee di forza di questa dinamica conflittuale per comprendere, avrebbe detto Machiavelli, “la verità effettuale”.

Un altro aspetto che ho cercato di sottolineare con le mie studentesse di terza è il contributo dato da Carlo Maria Cipolla che, per esempio, sottolinea come i cinesi e gli arabi furono tecnologicamente all’avanguardia fino al XV secolo. Ma fu solo verso la metà del XVI secolo che l’Europa occidentale cominciò a prendere il sopravvento. Il carattere innovativo dell’Occidente derivò da due fonti. La prima era di natura culturale poiché incoraggiava il dominio sulla natura grazie alla sperimentazione, alla ricerca scientifica e alle ricompense riconosciute al capitalismo.

La seconda era la natura competitiva del mondo occidentale in cui stati abbastanza potenti da lanciarsi il guanto di sfida-Spagna, Francia, Gran Bretagna, Germania, Russia e Stati Uniti-si contesero in vari fasi il predominio sull’Europa. Ma a rivaleggiare nel contesto della civiltà europea non erano soli Stati. Banchieri e commercianti si facevano concorrenza e incoraggiavano la competizione tra re e Stati.

È insomma tra il XV e il XVIII secolo, come hanno dimostrato altri storici come Geoffrey Parker (storico militare sia Cambridge che a Yale) e Daniel R Headrick (docente di storia alla Università di Chicago), che la superiorità tecnologica europea si è manifestata sotto forma di navi e cannoni».In altri termini la
competizione economica, militare e tecnologica nella realtà storica sono elementi strettamente intrecciati.

Facciamo un altro esempio. Come sottolinea Peter Hugill, docente di geografia all’Università del Texas nel suo splendido saggio “Le comunicazioni mondiali dal 1844” (Feltrinelli), il primo importante stato mercantile, l’Olanda, si era formata come potenza europea verso la fine del 1500 introducendo importanti innovazioni come la centralizzazione del sistema bancario, la facilitazione del credito e la condivisione dei rischi attraverso la multiproprietà delle navi mercantili.

Per difendere l’immenso potere commerciale prodotto della sua flotta mercantile, l’Olanda investì massicciamente una flotta da guerra. Verso la fine del seicento, l’Inghilterra, nel tentativo di subentrare all’Olanda, riprese perfezionandole quelle innovazione.

I Navigation Act ,ideati per contrastare il potere commerciale dell’Olanda negando alle sue navi libero accesso ai porti britannici, costituirono un’altra importante innovazione così come l’adozione del principio mercantilistica con cui veniva data preferenza ai commerci con le colonie britanniche rispetto al libero mercato.

Seguendo l’esempio olandese, l’Inghilterra, a partire dalla metà del seicento, investì massicciamente per aumentare la potenza della sua flotta. Questa riflessione ,ad esempio, estrapolata dal saggio di Wende sull’impero britannico è stato concretamente utilizzata in una mia classe quarta facendo riferimento soprattutto ad Oliver Cromwell.

Insomma il ruolo della potenza militare ed economica ha svolto un ruolo essenziale nella dinamica conflittuale della storia.Infatti nella realtà storica hanno giocato, e giocano, un ruolo fondamentale. Basti pensare solo alla Cina e alla sua trasformazione in un potenza in grado di rivaleggiare alla pari con gli USA. Ad ogni modo facciamo, ancora una volta, due esempi storici. Il primo relativo alla espansione marittima dell’Europa.

Come dimostra Cipolla il veliero armato inventato dall’Europa atlantica nel corso dei secoli XIV e XV rese possibile l’espansione europea perché si trattava di uno strumento eccezionalmente efficiente che poteva navigare con un equipaggio relativamente ridotto capace però di controllare inusitate masse di energia inanimata per movimento distruzione. Insomma, grazie alle caratteristiche rivoluzionarie delle loro navi da guerra, gli europei in pochi decenni stabilirono il loro predominio sugli oceani.

A tale proposito, questo brano estrapolato dal saggio di Cipolla, mi è servito per fare comprendere alle studentesse di una terza liceo le differenti forme di crescita fra Europa e paesi extraeuropei. Ebbene, l’espansione marittima dell’Europa fu una delle circostanze che prepararono il terreno alla rivoluzione industriale e ,d’altra parte, la rivoluzione industriale stimolò a sua volta l’espansione europea. Una delle tesi alle quali giunge lo storico Cipolla, assolutamente condivisibile, è che il popolo tecnologicamente più progredito è destinato a prevalere, indipendentemente dal suo grado di civiltà.Il secondo esempio è relativo alla potenza economica della Spagna del cinquecento.

Infatti, su quale fondamento si basò la potenza economica, ed anche militare, della Spagna del ‘500? Uno di questi furono certamente le miniere di Potosì e di Zacatecas che diedero l’oro di cui la Spagna aveva bisogno per la sua proiezione di potenza come illustra magnificamente Cipolla nel saggio “Conquistadores, pirati, mercanti “(il Mulino)».

Anche allo scopo di verificare la credibilità di questa impostazione metodologica ho posto alle studentesse di una quarta liceo di Como queste domande:

Secondo il vostro punto di vista quale ruolo ha il conflitto, per esempio quello tra poteri, all’interno della storia?

Secondo la vostro opinione qual è il ruolo della globalizzazione commerciale nella storia studiata durante il quarto anno?

Il ruolo della tecnica, secondo la vostra opinione, ha avuto un ruolo rilevante nel predominio dell’Occidente o ha invece avuto un ruolo marginale?

L’intreccio tra potere militare, economico e politico ha svolto un ruolo fondamentale nella storia studiata quest’anno?

Le risposte date sono state uniformi. In particolare per la prima domanda è stata posta la giusta attenzione sul ruolo del conflitto nel contesto della Rivoluzione inglese e francese; per quanto concerne la seconda domanda l’attenzione è stata rivolta al ruolo del colonialismo nel seicento e nel settecento e, in particolare, al ruolo del commercio triangolare anche facendo riferimento ai contributi storiografici di Reinhard.

In relazione alla terza domanda ovviamente l’enfasi non poteva che essere posta sulla rivoluzione industriale interpreta prevalentemente a partire dalle riflessioni di David Landes e Christofer Hill. Infine, nella ultima domanda, il riferimento fatto è stato quello alla modernizzazione militare posta in essere da Pietro il Grande e alla proiezione di potenza di Caterina sul Mar Nero.

Giuseppe Gagliano

ANCORA SULLA “FUNZIONE PUBBLICA DELL’INTELLETTUALE”, di Andrea Zhok

tratto da facebook https://www.facebook.com/andrea.zhok.5/posts/1171160363065361

ANCORA SULLA “FUNZIONE PUBBLICA DELL’INTELLETTUALE” (una riflessione autoreferenziale)

https://italiaeilmondo.com/2019/03/08/intellettuali-e-popolo-di-andrea-zhok/

Personalmente ho sempre preferito la forma espressiva del libro, della monografia, alle forme più agili del saggio breve o dell’articolo. Nel caso della scrittura di un libro si esercita uno sforzo di ‘differimento comunicativo’ particolarmente accentuato: si accetta infatti di rinviare a lungo, spesso per anni, la comunicazione di temi che stanno a cuore; questo fino a quando l’argomentazione non abbia raggiunto ciò che si ritiene essere una forma compiuta, solida, capace di reggere e durare nel tempo.

Ma in quest’epoca dove le idee sono ridotte ad oggetti di consumo tra gli altri, parole da far passare rapidamente da un capo all’altro dell’encefalo, per poi sputarle in una disputa passeggera passando oltre, in quest’epoca, dicevo, la scrittura di un libro, e specificamente di un libro con le pretese classiche del testo filosofico (dunque non chiacchiere per épater le bourgeois) è qualcosa di peculiarmente inattuale e immensamente frustrante. Lo è anche la scrittura di un articolo scientifico, ma nel caso del libro la cosa assume tinte quasi patologiche. Se poi, come nel caso di chi scrive, uno intende ciascun libro come il pezzo necessario di un argomento complessivo, percepibile solo a chi ne colga l’insieme, beh, qui siamo con tutta evidenza di fronte a turbe psichiche con seri tratti deliranti.

È in quest’ottica che attività come quelle sui ‘social media’ acquisiscono un ruolo di compensazione terapeutica: qualcosa che dà quantomeno l’illusione di comunicare, e che limita così la crescente sensazione di autismo solipsistico che coglie ogni autore (autori pop esclusi).

In questo quadro la tentazione continua, fortissima, è quella di dismettere del tutto i pretenziosi panni di una riflessione ‘classica’, e di giocare le proprie carte nell’agone eristico, nella polemica, nella diatriba, nella fornitura di artiglieria leggera per questa o quella ‘buona causa’. Dopo tutto, in ciò non c’è niente di male e il bello è che qui i risultati (o la loro mancanza) si vedono subito.
L’impressione di fondo è che, per quasi chiunque, la differenza tra un argomento supportato da una rete di sostegno ampia, plurale e verificata, e un argomento improvvisato ma espresso con prontezza di spirito, sia sostanzialmente nulla.

Questa tentazione si è vista all’opera in maniera esemplare nell’intera generazione dei filosofi-letterati del postmodernismo francese; una generazione di intellettuali che ha deciso che resistere era inutile, e che per poter cedere in buon coscienza su tutta la linea, bisognava ingegnarsi a sostenere che cedere e nuotare con la corrente era proprio l’unica ‘verità’ rimasta. Era perciò giunto il momento di cantare la frammentazione, l’appagamento temporaneo, il consumo, l’opinione, il gioco di parole, di rivendicare con la faccia seria ogni giochino di rimpalli, rimandi, differenze, significanti vuoti, trasformando il Logos in insegne pubblicitarie di un sapere mordi e fuggi.

Tutto intorno a noi opera per metter vento nelle vele di chi intraprende questa strada (magari con nuovi stilemi).

A remare contro, a opporre resistenza, è restata solo una flebile residua coscienza. L’ultima cosa rimasta a separare il nostro mondo dal divenire un’illimitata giostra di consumi a maggior gloria del capitale è proprio la consapevolezza riflessiva che QUEL meccanismo è all’opera, che è reale, che è storicamente fondato, che è di principio superabile. Solo quello. Perché senza quella cosa, senza quella coscienza d’insieme, senza quelle idee, quel che resta è solo un infinito succedersi di naufragi privati e di ribellioni locali, in attesa di un nuovo set di catene dorate.

Pacifismo e realismo, di Giuseppe Gagliano

Un interessante contributo da inserire nella tematica introdotta da Elio Paoloni con le sue https://italiaeilmondo.com/2019/01/24/10-domande-sulla-guerra-di-elio-paoloni/

Pacifismo e realismo

I concetti di pace e di violenza , come vengono interpretati da Galtung, sono semplicemente privi di qualsiasi di significato per il realismo politico. Infatti, nella riflessione di questo autore, il concetto di violenza viene dilatato semanticamente in modo tale da comprendere sotto di esso non solo la guerra bensì anche la distribuzione di potere e le risorse connesse a istituzioni e strutture che causano morti e sofferenze evitabili.

Ebbene ,questa forma di violenza viene definita violenza strutturale. Accanto ad essa esisterebbe anche la violenza culturale, termine sotto il quale sono compresi tutti quei fattori culturali, ideologici,linguistici che si prestano ad operazioni volte a mascherare o a fornire una patina di giustificazione alla violenza diretta e strutturale . Ebbene,alla luce di queste riflessioni,la pace è definita in senso stretto come assenza di violenza diretta, strutturale e culturale.

Ora, per un realista politico, la pace intesa in questo senso equivale alla condanna di tutta la politica estera posta in essere dall’inizio della civiltà ad oggi. Non a caso, i principali esponenti del pacifismo internazionale, rifiutano in modo radicale sia il principio di potenza che l’equilibrio del potere nonché l’atteggiamento di diffidenza nei confronti del proprio avversario, diffidenza che spesso si traduce in azioni volte a prevenire eventuali mosse dell’avversario.

Nella riflessione di Robert Nozick i diritti umani fondamentali vengono interpretati come assoluti nel senso che costituiscono inviolabili limiti etici ad ogni nostro comportamento, individuale o collettivo che sia.Infatti ,ogni intervento che comporti la violazione dei diritti umani, viene sempre considerato moralmente inammissibile. Anche questa concezione, come quella di Galtung, si può considerare lontanissima da una concezione realistica sia della storia che della prassi politica.

Da un punto di vista strettamente storico ,affermare che la vita umana sia sacra-come sostenuto dalla dottrina cristiana che ignora in modo ipocrita la sua storia lontanissima dal rispetto dei diritti umani -significa negare qualsiasi valore storico sia all’essere umano che alla società. Nell’ambito della realtà storica la vita umana è sempre stata un valore esclusivamente relativo e mai assoluto. La Dichiarazione dei diritti ,ad esempio,è nata da un atto di potere e di violenza della borghesia francese ai danni dell’Ancien Régime non da un atto di amore verso Dio e l’umanità .Se, ad esempio, durante la guerra di liberazione in Italia la vita umana fosse stata considerata un valore assoluto, i partigiani -indipendentemente dal loro eterogeneo orientamento politico- non avrebbero dovuto uccidere né i fascisti né i nazisti. Allo stesso modo, l’FNL algerino -come l’IRA irlandese-non avrebbe dovuto opporsi con la violenza delle azioni terroristiche e della guerriglia alla presenza francese in Algeria. Insomma ,una tale tesi è dal punto vista storico, semplicemente inaccettabile. In questo contesto assolutistico- e potremmo dire metastorico -si inseriscono anche la riflessione di altri autori.

Ad esempio, secondo Albert Schweitzer, sarebbe lecito parlare di un vero e proprio imperativo della venerazione per la vita muovendo dall’osservazione che io sono vita che vuole vivere circondato da vita che vuole vivere e quindi distruggere o menomare un essere dotato di volontà di vivere è sempre un atto di violenza.

Un’altra concezione parte dall’assunto che ogni essere umano ha una potenzialità è cioè capace di crescere, svilupparsi e realizzare se stesso. Ebbene ogni essere umano è in un certo senso un centro teleologico di vita e ,in quanto tale, ha un valore assoluto: distruggerlo in modo deliberato significa compiere un atto di violenza contro di esso. Questa concezione è notoriamente quella della ecosofia di Arne Naess. Esiste poi una terza concezione che parte dall’assunto della esistenza di una unità di tutto ciò che vive, assunto questo esplicitato da Gandhi, secondo il quale tutte le creature viventi-animali compresi-partecipano di questa unità metafisica. Di conseguenza, ogni volta che l’uomo uccide o distrugge l’esistenza di un altro essere vivente ,compie non solo un atto di violenza ma anche un atto di rottura nei confronti della unità del vivente( fra l’altro ,all’interno di questo contesto gandhiano, si inserisce la riflessione di Aldo Capitini ).

L’aspirazione più profonda di questo pacifismo è in realtà la trasformazione radicale, dal punto di vista psicologico ed antropologico, dell’essere umano e quindi della società umana a partire dai propri assunti metafisici e morali.Ora ,per un realista politico, che si ispiri semplicemente alle riflessioni di Machiavelli e Guicciardini( senza bisogno di richiamarsi alle raffinatezze sociologiche e politologiche di Raymond Aron ) questi assunti non possono essere condivisi.

Analizzando poi alcune riflessioni di Giuliano Pontara non possiamo non sottolineare la presenza di evidenti paradossi logici .Secondo Pontara :“quando gli uomini agiscono nell’ambito di strutture autoritarie, come invariabilmente sono quelle militari, essi possono assai facilmente essere portati a comportarsi in modi estremamente disumani nei confronti di coloro che vengono caratterizzati come i nemici.”(La personalità non violenta,pag.10). Ebbene, questa affermazione, legittima o meno, come non può essere definita una affermazione a propria volta manichea? A tale proposito proprio lo stesso Pontara condanna in modo esplicito i modi di pensare in bianco e nero che attuano una logica dicotomica costruita su affermazioni quali: noi siamo nel giusto e nel vero, loro nell’errore e nel falso; noi siamo i buoni, loro i cattivi. Ma, ci domandiamo, non è lo stesso Pontara vittima di quella stessa logica dicotomica che vorrebbe eliminare? In un altro passo dal saggio citato , a nostro modo di vedere, l’autore cade nello stesso paradosso logico. Per il filosofo italiano il capitalismo sarebbe totalitario:” perché è caratterizzato da politiche rapaci nei confronti della natura, dei gruppi più deboli e dei paesi del terzo mondo. Il sistema delle potenti e onnicomprensive società multinazionali stanno assumendo-Secondo l’autore-sempre di più il posto e le funzioni dello Stato totalitario perché queste ci sfruttano, si manipolano, ci indottrinano, si condizionano dal momento in cui nasciamo fino al momento in cui moriamo.”(pag.19). In altri termini, per il filosofo italiano, il capitalismo rappresenta un male quasi assoluto almeno tanto quanto il sistema politico di quei paesi che si fondavano sul socialismo reale.Porre sullo stesso piano i due sistemi non è dare una valutazione manichea?

Ebbene, le contraddizioni logiche dell’autore non si concludono con queste affermazioni. Secondo il filosofo italiano una delle caratteristiche dell’educazione alla pace sarebbe il fallibilismo in base al quale nessuno può mai dirsi sicuro che quello che in un certo momento si crede essere vero, in effetti sia tale. Ora, non senza ironia, ci domandiamo: questo stesso principio non si può applicare al pacifismo?

Veniamo adesso ad un’altra considerazione formulata dallo stesso autore che certamente farebbe piacere a tutti coloro che hanno sempre voluto, fortemente voluto, un’Europa debole e quindi facilmente dominabile. Ma vediamo cosa afferma il filosofo italiano: “il lato negativo del processo di unificazione europea in corso consiste nel rischio che esso sfoci in un nuovo Stato nazionale più vasto e forte, in una nuova superpotenza economica e militare in cui i sistemi d’arma termonucleari francesi hanno contratto un matrimonio indissolubile con il capitale e la scienza militare tedesca”(pag 20). Nell’ottica realistica tutto ciò non costituirebbe un grave errore ma sarebbe semmai auspicabile per porre in essere un freno alle ambizioni di altri paesi che, giocando sulle divisioni interne dell’Europa, hanno fino a questo momento dettato le regole del gioco.

Un’altra considerazione, a nostro giudizio estremamente significativa formulata dall’autore, è quella relativa alla necessità non solo di una morale planetaria ma addirittura di un sistema giuridico valido a livello globale. Questa tesi, ancora una volta, ignora la natura intrinsecamente storica sia del diritto che della morale e ignora quindi la dimensione squisitamente relativa dei nostri sistemi morali come dei nostri sistemi politici ma soprattutto ignora le implicazioni totalitarie alle quali inevitabilmente una tale concezione porterebbe.Tuttavia il filosofo italiano Pontara è costretto a riconoscere i limiti e i paradossi di un pacifismo assoluto che prescinde sempre e comunque dalle conseguenze. Infatti afferma, questa volta realisticamente, che:” l’uso della violenza non può essere sempre condannato a priori e non può sempre essere ingiustificabile”.(pag.46). Se questa affermazione è vera, allora come logica conseguenza, ne segue che la vita umana non è sacra perché la vita umana si inserisce all’interno di un contesto storico temporalmente definito. Per un realista tanto la guerra quando la pace non sono valori assoluti-come ricordava Bobbio-o intrinseci ma relativi o estrinseci. E in secondo luogo, sottolineava sempre Bobbio, non è possibile stabilire oggettivamente quando la guerra sia giusta o quando una pace sia giusta e ciò per la mancanza di un giudice imparziale che sia cioè al di sopra delle parti nell’ordine internazionale. Infatti, ogni raggruppamento politico ,tende a considerare giusta la guerra che egli fa e ingiusta la pace che subisce sosteneva Bobbio nel fortunato saggio Il problema della guerra e le vie della pace (il Mulino ,1984). Sempre in questo saggio Bobbio sottolineava come non solo come la guerra e la violenza sono sempre esistite ma come la storia sia in gran parte un prodotto della violenza. Inoltre, molte delle conquiste civili che noi consideriamo benefiche per il progresso umano, sono state partorite attraverso la violenza. A tale proposito Bobbio porta alcuni esempi significativi: “gli umanisti si consideravano eredi di una grande civiltà, la civiltà di Roma, che era stata fondata su una serie di guerre atroci. I nostri padri liberali si consideravano eredi della riforma, cioè di un periodo di lotte religiose che avevano insanguinato il mondo per decenni. Noi ci consideriamo figli della rivoluzione francese che per la prima volta ha instaurato un regime di terrore e della rivoluzione sovietica che è finita nelle stragi di Stalin.(…). La nostra storia repubblicana non è venuta dopo uno dei momenti più tragici della nostra storia, e sarebbe venuta se non fosse stata preceduta da quella storia di lacrime e sangue? La violenza(..)è talmente compenetrata nella storia che è impossibile prescinderne”.Per quanto atroce possa sembrare ,considerare la violenza come uno scandalo della storia costituisce un grossolano errore storico.

DANTE CESARE TELESFORO VACCHI. IL PORTOGALLO DELL’ESTADO NOVO E L’ITALIA.REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO_di Massimo Morigi

Lo scritto è composto per un terzo dal saggio e per il resto da note e richiami

Si tratta di un lavoro originariamente commissionato dallo Studio portoghese e “girato” poi anche in senso filosofico-politico; il senso, cioè, del Repubblicanesimo Geopolitico. Comunque, dal punto di vista storico, si parla del fascista ed ex repubblichino Dante Cesare Telesforo Vacchi, un italiano (e romagnolo) che agli inizi degli anni Sessanta creò dal nulla i commandos portoghesi per combattere la guerriglia nelle colonie africane (e per questo motivo “strategico” viene ampiamente elogiato: i portoghesi non sono stati molto contenti che ad un fascista sia stato riservato un così sentito apprezzamento ma la motivazione “strategica” dell’elogio e non dell’apologia del fascismo ha, alla fine, fatto passare tutto in cavalleria); mentre, dal punto di vista meramente tecnico, attraverso questo documento viene attuato un “congelamento” tramite WebCite ed Internet Archive, dei documenti presenti in Rete relativi a questo oscuro e molto importante personaggio (vedi seconda parte del documento; la ratio tecnica e filosofico-politica di questo “congelamento” viene comunque ben spiegata nella prima parte del documento). Strictu sensu non è l’articolo sull’ “oblio dello strategico” ma è, come recita il titolo un “atto di riparazione strategica” in favore di Dante Cesare Vacchi perché questo personaggio non venga dimenticato. Si tratta anche di un atto concreto contro “l’oblio dello strategico”: quindi, concretamente parlando, è un’applicazione concreta attraverso un concreto case study della strategia del Repubblicanesimo Geopolitico volta a combattere (e a far riaffiorare) il momento strategico. Ovviamente il prossimo contributo per “L’Italia e il mondo” partendo da Dante Cesare Telesforo Vacchi, parlerà proprio dell’oblio dello strategico, costituendo questo documento una sorta di premessa applicativa storico-politica. Giuseppe Germinario

I rapporti fra il Portogallo dell’Estado Novo e l’Italia fascista e del secondo dopoguerra in relazione al problema coloniale africano. Atto di riparazione strategica n°1: Primo inventario e “congelamento” tramite WebCite ed Internet Archive delle fonti Internet   riferentisi a Dante Cesare Vacchi, il creatore dei commandos portoghesi in occasione della guerra coloniale portoghese. Fonti primarie e secondarie presenti in Internet per una storia dei commandos portoghesi nella guerra coloniale del Portogallo in Africa, dei rapporti fra il Portogallo dell’Estado Novo ed Italia fascista e del secondo dopoguerra riguardo al problema coloniale africano e per un’applicazione su uno specifico case study, il fascista ed ex repubblichino  Dante Cesare Vacchi che crea i commandos portoghesi, della teoria politologica e filosofico-politica  del Repubblicanesimo   Geopolitico.   MASSIMO MORIGI

 

Full fadom five thy father lies;

Of his bones are coral made;

Those are pearls that were his eyes;

Nothing of him that doth fade,

But doth suffer a sea change

Into something rich and strange.

Sea-nymphs hourly ring his knell:

(Burthen: Ding-dong.)

 

William Shakespeare,  Ariel’s Song (The Tempest, Act 1, Scene 2)

 

Si dice che ci fosse un automa costruito in modo tale da rispondere, ad ogni mossa di un giocatore di scacchi, con una contromossa che gli assicurava la vittoria. Un fantoccio in veste da turco, con una pipa in bocca, sedeva di fronte alla scacchiera, poggiata su un’ampia tavola. Un sistema di specchi suscitava l’illusione che questa tavola fosse trasparente da tutte le parti. In realtà c’era accoccolato un nano gobbo, che era un asso nel gioco degli scacchi e che guidava per mezzo di fili la mano del burattino. Qualcosa di simile a questo apparecchio si può immaginare nella filosofia. Vincere deve sempre il fantoccio chiamato “materialismo storico”. Esso può farcela senz’altro con chiunque se prende al suo servizio la teologia, che oggi, com’è noto, è piccola e brutta, e che non deve farsi scorgere da nessuno.

Walter Benjamin, I Tesi di filosofia della storia

 

       Dante Cesare Telesforo Vacchi è uno di quei personaggi che la storia sembra ci abbia consegnato per sfidare (e quindi per sfidarci) tutti coloro che – sulla scia più o meno riconosciuta di Francis Fukuyama – vorrebbero  mettere la parola fine sul Secolo breve. Intanto perché pur partendo dal lato “sbagliato” del problema – Dante Vacchi durante la Repubblica Sociale Italiana aveva operato alle dirette dipendenze dei tedeschi in una formazione di controguerriglia, “La banda delle ombre” –, non accettò mai quello che di sicuramente c’era (e c’è) di terribilmente oscuro nella soluzione del problema stesso, la fine della storia, ed infatti dopo la RSI e dopo aver scontati alcuni anni di condanna per questo suo collaborazionismo, Vacchi, probabilmente, secondo quanto affermano – alcune in forma dubitativa altre con sicurezza ma senza esibire una decisiva documentazione – le poche fonti a disposizione, vorrà continuare la sua storia personale di uomo d’arme prima nella Legione straniera combattendo, forse, nelle guerre coloniali francesi d’Indocina e di  Algeria, e poi, e questo è invece chiaramente acclarato anche se non con abbondanza di fonti documentato, aiutando agli inizi degli anni Sessanta il morente impero coloniale portoghese dando un contributo fondamentale alla  creazione,  di sua personale iniziativa e attraverso il suo diretto impegno nella zona dove si svolgevano le operazioni di controguerriglia, dei costituendi primi nuclei di commandos portoghesi, che ebbero il loro primo battesimo del fuoco in Angola.

 

       Come Dante Cesare Vacchi sia non solo riuscito ad unirsi all’esercito portoghese che combatteva in Africa ma anche a diventarne una sorta di fondatore in un aspetto così importante (non solo allora in quella guerra coloniale perduta dal Portogallo ma ancor più oggi dove le forze speciali negli eserciti di tutto il mondo hanno assunto un ruolo sempre più importante e decisivo) non abbiamo, allo stato, alcun elemento affidabile per ricostruirlo: devono ancora essere, in primo luogo, indagati  i verosimili legami di Vacchi con la PIDE; gli – eventuali – contatti con l’OAS, l’Organisation de l’armée secrète  – i suoi commilitoni in Africa ritengono che Vacchi avesse appartenuto alla Legione straniera e che in questa veste avesse precedentemente combattuto contro il movimento di liberazione algerino, ma sono notizie solo di relato –,  poi, infine, con l’Aginter Press di Guerin Serac – che sebbene fondata nel 1966, ben prima dell’impegno di Vacchi in Angola, non nacque dal nulla ma sorse su un precedente terreno di fascismo internazionale debitamente coltivato dall’Estado Novo portoghese; ma tutti questi legami, cioè l’appartenenza organica di Vacchi all’ “internazionale nera” e le concrete modalità attraverso le quali questa appartenenza si estrinsecò, sono ovviamente, vista l’oscurità del personaggio,  ancora tutti da verificare. (Per i rapporti della PIDE con il fascismo italiano, sul ruolo della PIDE nella guerra coloniale del Portogallo in Africa e su come in questo contesto s’inserì l’operato dell’Aginter  Press di Yves Guérin-Sérac (vero nome: Yves Guillou) cfr. José Manuel Duarte De Jesus (com a  colaboração redaccional de  Inês De Carvalho Narciso), A guerra secreta de Salazar em Àfrica. Aginter Press: Uma rede internacional de contra-subversão e espionagem sediada em Lisboa, Dom Quixote, 2012, che però non fa menzione di Vacchi; e non menzionano Vacchi neppure Fabrizio Calvi, Frédéric Laurent,  Piazza Fontana: la verità su una strage, Milano,  Mondadori, 1997, che pur ottimo nel far affiorare i legami dell’Aginger Press con la strategia della tensione in Italia non nomina Vacchi; i fondamentali  Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, Roma, Editori Riuniti, 1984, Id., La strage. L’atto d’accusa dei giudici di Bologna, Roma, Editori Riuniti, 1986 e Id., I servizi segreti in Italia. Dal fascismo all’intelligence del XXI secolo (nuova ed. aggiornata), Milano,  Sperling & Kupfer, 2010; l’utile per un primo approfondimento della problematica, ma corrivo, Andrea Sceresini, Internazionale nera. La vera storia della più misteriosa organizzazione terroristica europea, Milano, Chiarelettere, 2017 e l’assai più scientifico, ma ugualmente taciturno su Dante Vacchi, Eduardo González Calleja, Le reti di protezione del terrorismo di destra in Europa e il ruolo di Stefano Delle Chiaie e Yves Guérin-Sérac, in Carlo Fumian, Angelo Ventrone (a cura di)  Il terrorismo di destra e di sinistra in Italia e in Europa: storici e magistrati a confronto, Padova, Padova University Press, 2018; mentre solo per un’allusione in merito ai contatti di Dante Vacchi con l’OAS cfr. Fernando Cavaleiro Ângelo (pref. Óscar Cardoso), Os Flechas: A Tropa Secreta da PIDE/DGS na Guerra de Angola (1967-1974), 1a ed. Alfragide, Casa das Letras, 2017: «Durante a estada da OAS em Portugal, Óscar  Cardoso desconhece que os seus agentes tenham ministrado cursos de guerrilha às nossas  forças   armadas. Existiu, contudo, um Italiano, Dante Vacchi, que deu instruçao aos Comandos do […]». Citazione interrotta ed anche numero di pagina da noi non determinabile – citazione da noi riportata anche al congelamento n° 31 del presente repertorio – perché non si è avuta visione diretta del documento ma solo tramite il motore di ricerca di Google libri che, in questo caso, non mostra né la frase intera né il numero della pagina in cui si colloca la frase monca in questione: ovviamente sarà nostra cura, nel prosieguo della ricerca, verificare la forma cartacea di tutti quelle  fonti primarie e secondarie esistenti nella doppia versione cartacea ed “internettiana”. Per ultimo, e mai come in questo caso vale il detto last but not the least, sul ruolo svolto dall’Aginter Press per animare il terrorismo di destra internazionale e per contrastare i movimenti di liberazione in Africa cfr. – anche se quest’ultima fonte secondaria non nomina  Vacchi – il Grundtext di tutta la letteratura scientifica sull’argomento ‘internazionale nera’: Frédéric Laurent (avec la colaboration de Nina Sutton), L’Orchestre noir, Stock, 1978 (ultima edizione: L’Orchestre noir. Enquête sur les réseaux néo-fascistes, Paris, Nouveau  Monde éditions, 2013). E lo citiamo anche con un certo orgoglio, non foss’altro che un orgoglio di semplici (internettiani) archivisti,  perchè questo documento, che abbiamo appurato tramite ricerca effettuata con l’OPAC SBN – Catalogo del Servizio Bibliotecario Nazionale – essere assente dalle biblioteche italiane collegate a questo sistema di ricerca telematica,  abbiamo noi accertato essere consultabile in Rete presso l’URL https://www.scribd.com/doc/198445048/L-orchestre-noir-pdf. Anche se questa fonte non nomina Vacchi ma in piena coerenza con la metodologia, esplicitata nel titolo di questo repertorio, di “congelamento” documentario delle fonti storicamente rilevanti presenti in Rete, vista l’importanza di questa fonte secondaria assente dalle biblioteche italiane e la cui consultabilità In Italia era in pratica, prima di questo nostro intervento,  affidata unicamente ad una piattaforma Internet commerciale di preservazione documenti, Scribd,   e che perciò non può dare alcuna garanzia in merito alla preservazione für ewig dei documenti ivi depositati,   abbiamo quindi proceduto a congelare URL e documento presenti in Scribd prima tramite WebCite agli URL  http://www.webcitation.org/75gGFlhra  e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fwww.scribd.com%2Fdoc%2F198445048%2FL-orchestre-noir-pdf&date=2019-01-24  (congelamento tecnicamente di scarsa qualità), poi a caricare su Internet Archive il documento formato PDF che siamo riusciti a scaricare dall’URL originale di Scribd: agli URL https://archive.org/details/LorchestreNoir e https://ia601500.us.archive.org/25/items/LorchestreNoir/L-orchestre-noir.pdf (operazione invece perfettamente riuscita) e poi a congelare URL e documento stesso generati dal caricamento su Internet Archive ricorrendo nuovamente a WebCite (in questo caso operazione parzialmente riuscita: ottimo risultato con salvataggio  all’URL   http://www.webcitation.org/75gHq68RX e totale fallimento al secondo URL prodotto da WebCite  per l’URL e il docunento in questione generati su Internet Archive  ,      http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601500.us.archive.org%2F25%2Fitems%2FLorchestreNoir%2FL-orchestre-noir.pdf+&date=2019-01-24: e i “congelamenti” non riusciti del presente inventario saranno sempre segnalati con una apposita nota). Per questa nostra “ridondanza” nel creare nuovi URL, vedi infra, dove vengono più ampiamente spiegati i criteri tecnici –  ma detto brevissimamente: rendere citabili le fonti Internet, altrimenti non citabili per la loro breve aspettativa di vita – che hanno presieduto alla creazione del presente inventario delle fonti Internet su Dante Cesare Vacchi.).

 

       Ancor più ovviamente, ça va sans dire, tutta la ricerca internettiana e cartacea di fonti primarie e secondarie che verrà svolta e, soprattutto, archivistica su Dante Vacchi troverà il suo snodo principale e momento di verifica risalendo a ritroso in una  ricerca sui rapporti fra  Italia fascista e Portogallo estadonovista e di come questi rapporti furono influenzati dai rispettivi problemi coloniali in Africa, in uno svolgimento dell’indagine basato sull’ipotesi  di una sorta di continuità di questi rapporti influenzati dal problema coloniale fra l’Estado Novo e l’Italia fascista prima e quella del secondo dopoguerra poi, rapporti, anche dopo la caduta della dittatura politica in Italia, in cui il fascista Vacchi non costituisce un episodio fortuito ma la manifestazione concreta – ed anche il simbolo incarnato attraverso la sua biografia politica – di una loro non  totale soluzione di continuità nonostante la pubblica differenza ideologica fra i due regimi politici e l’assenza da entrambe le parti durante il secondo dopoguerra di una qualsiasi forma di pubblicità di questi rapporti, specialmente per quanto riguarda il problema coloniale. (Durante il fascismo un preoccupato António Ferro intervistò Mussolini in merito ad un eventuale interesse dell’Italia sulle colonie africane portoghesi – cfr. , a questo proposito Stefano Salmi, Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista e l’Estado Novo (dissertação de doutoramento, apresentada à Faculdade de Letras da Universidade de Coimbra, sob a orientação do Prof. Doutor Luís Reis Torgal e a co-orientação do Prof. Doutor Alberto De Bernardi), Faculdade de Letras da Universidade de Coimbra, 2012  e, ad ogni buon conto, forniamo ora anche una breve bibliografia dei lavori scientifici – ma ci risulta pressochè completa – sui rapporti fra Italia e Portogallo in rapporto al problema coloniale in epoca fascista: Vittorio Antonio Salvadorini, Italia e Portogallo dalla guerra d’Etiopia al 1943, Palermo-São Paulo, ILA Palma, 2000; E. D. R. Harrison, On Secret Service for the Duce. Umberto Campini in Portuguese East Africa, 1941-1943, “The English Historical Review”, Volune CXXII, Issue 449, 1 December 2007, pp. 1318-1349, https://doi.org/10.1093/ehr/cem347 e Daniele Serapiglia, Una questione d’impero: la stampa dell’Estado Novo di fronte alla guerra d’Etiopia, “Storicamente”, N° 12-2016 (data di pubblicazione: 23/04/2017, DOI:10.12977/stor653), pp. 1-42 ; e in Rete presso l’ URL https://storicamente.org/serapiglia_estado_novo_portogallo_fascismo, che rinvia al formato PDF del documento presso https://storicamente.org/sites/default/images/articles/media/1967/serapiglia_estado_novo_portogallo_fascismo.pdf; URL e documento da noi “congelati” tramite WebCite agli URL http://www.webcitation.org/75XUlBagX e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fstoricamente.org%2Fsites%2Fdefault%2Fimages%2Farticles%2Fmedia%2F1967%2Fserapiglia_estado_novo_portogallo_fascismo.pdf&date=2019-01-19 e ulteriore “congelamento” del documento presso Intenet Archive agli URL https://archive.org/details/UnaQuestioneDimperoLaStampaDellestadoNovoDiFronteAllaGuerra e https://ia801504.us.archive.org/30/items/UnaQuestioneDimperoLaStampaDellestadoNovoDiFronteAllaGuerra/Serapiglia_estado_novo_portogallo_fascismo2.pdf; documento caricato su Internet Archive a sua volta “congelato” e nell’URL e nel documento stesso sempre presso WebCite agli URL http://www.webcitation.org/75XVjtvid e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia801504.us.archive.org%2F30%2Fitems%2FUnaQuestioneDimperoLaStampaDellestadoNovoDiFronteAllaGuerra%2FSerapiglia_estado_novo_portogallo_fascismo2.pdf&date=2019-01-19. Infine per quanto riguarda, su un piano più generale,  i rapporti fra Portogallo estadonovista ed Italia fascista, oltre a Stefano Salmi, Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo cit.,   segnaliamo altre 5 tesi di laura o di dottorato – reperibili sempre solo in formato cartaceo – depositate presso l’Università degli Studi di Firenze: Pamela Fedeli, Il fascismo e “l’Estado Novo”. Le relazioni tra l’Italia e il Portogallo dal 1930 allo scoppio della Seconda guerra mondiale (relatore Antonio Varsori, corso di laurea: Scienze Politiche), 2000 (per accertarne la consultabilità rivolgersi alla Biblioteca di Scienze Sociali. Collocazione: SPTL2000000000371 depositata presso Biblioteca di Scienze Sociali); Alessandra Cillerai, I rapporti politici tra l’Italia fascista e il Portogallo nelle prime fasi della Seconda guerra mondiale (1938-1941) (relatore Antonio Varsori, corso di laurea: Scienze Politiche), 2001 (per accertarne la consultabilità rivolgersi alla Biblioteca di Scienze sociali. Collocazione: SPTL2001000000159 depositata presso Biblioteca di Scienze Sociali); Davide Daresta, Roma Universa: il fascismo e il consolidamento dell’Estado Novo di Salazar (relatore Bruna Bagnato, corso di laurea: Relazioni Internazionali e Studi Europei), 2013 (per accertarne la consultabilità rivolgersi alla biblioteca di Scienze Sociali. Collocazione: SPTL2013000000055 depositata presso Biblioteca di Scienze Sociali); Marco Francesco Ibba, Rapporti italoportoghesi (1939-1941), Università degli studi di Parma, 2011 e Vincenzo Pepe,  Rapporti italo-portoghesi (1942-1945), Università degli Studi di Parma, 2013; due tesi, ma in formato elettronico e presenti in Rete.  La prima della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Venezia: Alberto Ragogna, Il Portogallo: una sconfitta del progetto espansionistico fascista (Relatore prof.re Rolf Petri, Corso di Laurea in Scienze del Testo Letterario Moderno e Contemporaneo), Anno Accodemico 2008-2009 (agli URL https://www.academia.edu/31173194/Il_Portogallo_-_una_sconfitta_del_progetto_espansionistico_fascista e http://www.academia.edu/attachments/51601069/download_file?st=MTU0NzQ1NjY1NSwxMzcuMjA0LjEzMy4xNTU%3D&s=swp-splash-paper-cover; WebCite: salvataggio URL e documento tecnicamente non possibile; Internet Archive: https://archive.org/details/Il_portogallo_-_una_sconfitta_del_progettoEspansionisticoFascista e https://ia601500.us.archive.org/2/items/Il_portogallo_-_una_sconfitta_del_progettoEspansionisticoFascista/Il_portogallo_-_una_sconfitta_del_proget1.pdf; nuovo “congelamento” del documento di Internet Archive su WebCite: https://ia601500.us.archive.org/2/items/Il_portogallo_-_una_sconfitta_del_progettoEspansionisticoFascista/Il_portogallo_-_una_sconfitta_del_proget1.pdf e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601500.us.archive.org%2F2%2Fitems%2FIl_portogallo_-_una_sconfitta_del_progettoEspansionisticoFascista%2FIl_portogallo_-_una_sconfitta_del_proget1.pdf&date=2019-01-21). La seconda della Facoltà di Lettere dell’Università di Porto: Bruno João da Rocha Maia, A entrada da Itália na Segunda Guerra Mundial vista pela diplomacia portuguesa (1939-1940) (sob a orientação do Prof. Doutor Manuel Loff, dissertação de Mestrado em História Contemporânea), 2010 (documento presso l’URL https://repositorio-aberto.up.pt/bitstream/10216/57339/2/tesemestbrunomaia000127777.pdf; WebCite: http://www.webcitation.org/75YzJ4e5d e http://www.webcitation.org/75YzV5elI; Internet Archive: https://archive.org/details/tesemestbrunomaia000127777 e https://ia801508.us.archive.org/14/items/tesemestbrunomaia000127777/tesemestbrunomaia000127777.pdf  e, infine, nuovo “congelamento” del documento di Internet Archive su WebCite: http://www.webcitation.org/75Z0QAhLT e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia801508.us.archive.org%2F14%2Fitems%2Ftesemestbrunomaia000127777%2Ftesemestbrunomaia000127777.pdf&date=2019-01-20) e, infine, un’altra tesi, sempre in formato elettronico e sempre in Rete, Vera Margarida Coimbra De Matos, Portugal e Itália. Divergências e  convergências em quarenta e  três anos de relações diplomáticas (tese de Doutoramento em Altos Estudos em História, especialidade de Época Contemporânea, orientada pela Professora Doutora Maria Manuela Tavares Ribeiro, apresentada ao Departamento de História, Estudos Europeus, Arqueologia e Artes da Faculdade de Letras da Universidade de Coimbra), setembro 2014, che per l’arco temporale che copre riguardo i rapporti fra il Portogallo dell’Estado Novo prima e “democratico” poi e l’Italia fascista prima e sempre “democratica” poi – dal capitolo 1: “Salazar, Mussolini e a diplomacia luso-italiana” fino all’ultimo cap. 3 : “A Itália e a  negociação da  adesão de Portugal à CEE” – è documento con intenti di ricerca in qualche modo paralleli ai nostri ma che, piuttosto che cercare come nella nostra ricerca che prende le mosse dal case study di Dante Vacchi che fonda i commandos portoghesi le linee di continuità dei rapporti dell’Italia fascista e dopo dell’Italia del secondo dopoguerra col Portogallo dell’Estado Novo, privilegia in questi rapporti le soluzioni di continuità fra l’Italia fascista e “democratica” poi (ovviamente, non viene menzionato Dante Vacchi, ma su questo non è da muovere alcun appunto, perché Vacchi è un illustre sconosciuto che la nostra ricerca intende finalmente mettere sotto i riflettori; più grave, invece, che non venga menzionata l’internazionale nera, in cui fascisti italiani ebbero un peso di rilievo e come viene messo invece in luce in  Stefano Salmi, Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista e l’Estado Novo cit., pp. 404-424, dove si analizzano, fra gli altri, i rapporti di Pino Rauti con l’Estado Novo). L’URL originale di questo comunque importante documento è https://estudogeral.sib.uc.pt/bitstream/10316/26785/1/Portugal%20e%20It%C3%A1lia%20%3A%20diverg%C3%AAncias%20e%20converg%C3%AAncias.pdf, successivo nostro “congelamento” presso WebCite agli URL http://www.webcitation.org/75ZTbsQJJ e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Festudogeral.sib.uc.pt%2Fbitstream%2F10316%2F26785%2F1%2FPortugal%2520e%2520It%25C3%25A1lia%2520%253A%2520diverg%25C3%25AAncias%2520e%2520converg%25C3%25AAncias.pdf&date=2019-01-20 ; presso Internet Archive: https://archive.org/details/PortugalEItlia_DivergnciasEConvergncias e https://ia801507.us.archive.org/28/items/PortugalEItlia_DivergnciasEConvergncias/PortugalEItlia_DivergnciasEConvergncias.pdf  e  infine, more solito,  nuovo “congelamento” del documento di Internet Archive su WebCite: http://www.webcitation.org/75ZUSYyvl e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia801507.us.archive.org%2F28%2Fitems%2FPortugalEItlia_DivergnciasEConvergncias%2FPortugalEItlia_DivergnciasEConvergncias.pdf&date=2019-01-20. Mentre per quanto riguarda le fonti secondarie che non sono  tesi di laurea o di dottorato ma saggi  di indiscusso alto contenuto scientifico ma diffusi solo attraverso la classica editoria in cartaceo  segnaliamo   Mario Ivani, Il Portogallo di Salazar e l’Italia fascista: una comparazione, “Studi Storici”, 2005, n° 2, pp. 347-406; Id., Esportare il fascismo: collaborazione di polizia e diplomazia culturale tra Italia fascista e Portogallo di Salazar (1928-1945), Bologna, Clueb, 2008; e sempre per quanto riguarda la collaborazione e le affinità culturali tra il Portogallo estadonovista e l’Italia fascista, Goffredo Adinolfi, Ai confini del fascismo: propaganda e consenso nel Portogallo salazarista (1932-1944), Milano,  Franco Angeli Editore, 2007; Id.  L’uomo che costruì il consenso di Salazar. L’itinerario politico di   António Ferro dal futurismo al salazarismo, “Nuova Storia Contemporanea”, 2007, n° 4, pp. 61-75; Jorge Pais de Sousa (prefácio de Luís  Reis Torgal), Uma Biblioteca Fascista em Portugal. Publicações do Periodo Fascista Existentes no Instituto do Estudos Italianos da Facultade de Letras da Universidade de Coimbra, Coimbra, Imprensa da Universidade de Coimbra, 2007. Infine, dopo i documenti presenti in Rete sulle reazioni portoghesi sull’aggressiva politica estera del regime fascista,  Bruno João da Rocha Maia, A entrada da Itália na Segunda Guerra Mundial vista pela diplomacia portuguesa (1939-1940) cit. e Vera Margarida Coimbra De Matos, Portugal e Itália. Divergências e  convergências em quarenta e  três anos de relações diplomáticas cit.,  un’ultima segnalazione di una fonte secondaria in cartaceo  che riguarda la reazione della diplomazia portoghese verso l’ invasione italiana dell’Etiopia e che completa l’elenco dei già menzionati Stefano Salmi, Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista e l’Estado Novo cit.,  Vittorio Antonio Salvadorini, Italia e Portogallo dalla guerra d’Etiopia al 1943 cit., E. D. R. Harrison, On Secret Service for the Duce. Umberto Campini in Portuguese East Africa, 1941-1943 cit. e  Daniele Serapiglia, Una questione d’impero: la stampa dell’Estado Novo di fronte alla guerra d’Etiopia cit. : Maria Antonieta Gomes Raposo, A invasão da Etiópia em 1935 vista pela diplomacia portuguesa, Lisboa,  Edições Colibri, 2003, opera comunque utile per un primo approfondimento della problematica.).

       Comunque sia, Dante Cesare Vacchi nel corso di questo sua importantissima e straordinaria vicenda all’interno di un ganglio vitale dell’Estado Novo, l’esercito portoghese, e contro i movimenti di liberazione africani attraverso la creazione di sua mano di un fondamentale settore dell’esercito portoghese (a riprova dell’assoluta necessità di un lavoro da svolgere sulla sua figura, a nostra notizia vi sono solo quattro  saggi  sulla guerra coloniale portoghese che parlano  di Vacchi: il primo è il summenzionato lavoro di Fernando Cavaleiro Ângelo. Os Flechas cit.;  il secondo è John P. Cann,  The Fuzileiros: Portuguese Marines in Africa, 1961–1974, [S. l.], Helion & Company, 2016, dove a p. 24 si citano come fotografi del conflitto Anne Gaüzes, giornalista e probabilmente la donna dell’uomo d’arme italiano, e Dante Vacchi, vedi congelamento n. 26 del repertorio il terzo è Idem, The Flechas: Insurgent Hunting in Eastern Angola, 1965-1974, [S. l.],  Helion & Company,  2013 (di questo lavoro segnaliamo anche la sua versione in portoghese, sulla quale però non è stato possibile verificare, tramite Google libri,  se Vacchi vi sia citato: John P. Cann, Óscar  Cardoso, Os Flechas. Os Caçadores Guerreiros do Leste de Angola 1965-1974, Parede,  Tribuna da História, 2018), dove a pp. 17-18, al capitolo secondo “Learning counterinsurgency” si scrive: «As the war progressed, particurarly  the reoccupation of the north, the urgent need for specially trained troops became clear, that is those troops whose training went well beyond the traditional instruction and even beyond that of the CCEs.  Such troops would be formed into units capable of operating independently for extended periods in the field. This need came to the fore during the employment in early 1962 of an infantry battalion to the vicinity of Nóqui, a frontier port of the Congo River. Accompanying the battalion was an Italian journalist, Cesare Dante Vacchi, who held a wealth of combat experience from both Indocina and Algeria and wrote for Paris Match. He befriended the officers and men of the battalion, and, as he learned their language, began to offer instruction based not only in the technical tradecraft of soldiering but also, and more importantly, in the psychological preparation that enabled the troops to acclimate quickly to the confusion of combat. As the strong results of Vacchi’s coaching became widely apparent, it was felt that this more sophisticated and advanced preparation should be the basis of a specialized body of highly capable troops. Consequently, in late 1962, after extensive briefings of key generals, Colonel José Bettencourt Rodrigues, the Chief of Staff of the Military Region, was given a free hand in establishing the new units and their training centre at Zemba, a site about 80 miles northeast of Luanda. In 1963, the first of these new troops, called commandos, were deployed in small numbers and organized in platoon-sized commando groups (grupos de commandos). In September 1964, the 1st Company of Commandos began operations from Belo Horizonte, the new commando base located in the North of Angola. These commandos also proudly wore the new, distinctive crimson beret.», mentre a p. 7 dello stesso saggio viene riprodotta una foto relativa al confine nord fra Angola e Congo che nella didascalia viene attribuita a Dante Vacchi, vedi congelamento n. 31 del  repertorio; il quarto è José Freire Antunes, A Guerra de África – 1961-1974, Lisboa, Círculo de Leitores, 1995,  dove Dante Vacchi, secondo il motore di ricerca di Google libri, viene citato tre volte, pp. 233, 234 e 464: a p. 233 dove Vacchi viene definito giornalista di “Paris Match”, a p. 234 dove lo stralcio dell’immagine della pagina operata da Google libri non ci consente di dire molto altro tranne che segnalare la citazione ed infine p. 464 dove compare un diretto riferimento alla PIDE ma dove l’immagine restituitaci da Google libri esclude il nome di Vacchi, nonostante il motore di ricerca di Google libri ci abbia indirizzato anche a quella pagina. Per più dettagli in merito al saggio di José Freire Antunes, vedi congelamento n. 34 del presente repertorio delle fonti Internet e, ad ancora maggior ragione,  vale pure qui la necessità della verifica sulla forma cartacea dei documenti esistenti nella doppia versione cartacea ed “internettiana”) si era conquistato  una enorme stima da parte dei suoi compagni portoghesi impegnati in Africa nella guerra contro i movimenti di liberazione ma questo eccezionalmente positivo apprezzamento verso Dante Cesare Vacchi non fu elargito solo dai militari che furono da lui istruiti sul campo nelle operazioni di controguerriglia (vedi video e relative interviste ai suoi commilitoni al “congelamento” documentale della scheda n° 1 del presente inventario) ma anche da parte delle alte sfere del regime estadonovista, visto che già nel 1961, ancor prima del suo impegno nelle operazioni di controguerriglia in Angola, Vacchi aveva potuto intervistare e fare un servizio fotografico su Salazar. («L’intervista fu pubblicata in portoghese sulla rivista «Notícia» del 14 luglio 1961, accompagnata da tre fotografie di Salazar. Il reportage è annunciato con le seguenti parole: «pela primeira vez um jornalista consegue penetrar na intimidade do presidente português». La stessa intervista sarà poi pubblicata in italiano nel n° 60 (anno XIII) di «Epoca», dell’8 aprile del 1962, con il titolo Come ho fatto a fotografare Salazar in casa sua. La singolare avventura di un giornalista a Lisbona (pp. 44-47, 49, 50)»: Giovanni Damele, Dante Vacchi e i Comandos portoghesi. Appunti per una ricerca, p. 3. Questo articolo del Damele, allo stato il primo lavoro con criteri scientifici su Vacchi, è stato da noi reperito in Rete e non siamo riusciti a sapere se prima o contestualmente sia stato pubblicato in cartaceo. Ad ogni buon conto, al punto 2 di questo inventario forniamo l’URL presso il quale è possibile prenderne visione assieme ai “congelamenti” WebCite ed Internet Archive che consentono a questo articolo di diventare una fonte internettiana di sicura e durevole citabilità).

       Non è questa la sede per ricostruire la biografia di Cesare Dante Vacchi («Dante Cesare Telesforo Vacchi [era] nato a Conselice il 21 maggio del 1925 da Giuseppe e Anita Gentilini [e] Morirà a Cervia il 5 maggio del 1994.»: Ivi, pp. 4 e 8) anche perché – anzi soprattutto perché – attualmente la documentazione disponibile è veramente scarsa (per esempio, per quanto  riguarda il suo ruolo svolto nella formazione dei commandos portoghesi, al momento, a parte le fonti primarie e secondarie in Rete qui inventariate e “congelate”, siamo venuti a conoscenza, anche se non ancora nella nostra disponiblità nella forma cartacea, solo dei summenzionati quattro saggi a stampa che menzionano – e tre, a quanto pare, anche piuttosto di sfuggita – Dante Vacchi); basti dire che a parte le sue non numerossime iniziative pubblicistiche e giornalistiche (Dante vacchi era anche giornalista, o perlomeno amava presentarsi come tale), non sappiamo veramente molto altro, a parte il già accennato impegno come consigliere militare, di Dante Cesare Vacchi e quindi per cominciare a tracciare un profilo di questo personaggio la ricerca dovrà esaminare, oltre alle fonti archivistiche e testimoniali portoghesi, oltre i  summenzionati saggi  (le citazioni che abbiamo tratto da questi non derivano da una visione diretta dei  documenti  in questione ma sono state fatte tramite motore di ricerca all’interno della pagina Google libri, ricerca che potrebbe avere omesso, visto che in Google libri alcune pagine non vengono pubblicate, altri luoghi dove viene citato Vacchi; e tanto per sottolineare la necessità di andare oltre questa prima forma di approfondimento tramite Internet sui saggi sulla guerra coloniale portoghese, di John P. Cann segnaliamo anche Counterinsurgency in Africa: The Portuguese Way of War, 1961-1974,  [S. l.], Praeger,1997, saggio sul quale il motore di ricerca non ha fornito alcun riscontro su Vacchi ma che, per le suddette ragioni, non è proprio detto che Vacchi non vi compaia in qualche modo) e oltre anche tutti i lavori dei diversi autori che si sono occupati della guerra coloniale portoghese (ma che in relazione alla ricerca Google non hanno dato alcuna segnalazione positiva su Dante Vacchi), anche le opere a stampa di Dante Vacchi, che  riguardano – ma non solo  – l’Angola, sulle quali finora non è stato compiuto alcun lavoro scientifico e delle quali forniamo ora un elenco che – presumibilmente –  dovrebbe essere completo (il presente inventario riguarda le fonti Internet  e dei lavori giornalistici di Vacchi, in cui pur sappiamo dalle fonti Internet fin qui consultate che Vacchi pur vi si cimentò – per es. l’intervista a Salazar – in Internet praticamente non v’è rimasta alcuna traccia né per quanto riguarda una immisione in Rete del testo di questi articoli né, tantomeno, anche per la sola citazione di essi e questa situazione è analoga anche per i libri che in vita pubblicò, di cui siamo venuti a conoscenza solo tramite il sistema OPAC e nessuno dei quali è stato immesso in Rete: libri e articoli di Vacchi dovranno quindi necessariamente subire un esame in cui la ricerca internettiana è quasi interamente fuori gioco): Anne Gaüzes, Dante Vacchi, Angola 1961-1963, Lisboa, Bertrand, 1963, libro sugli inizi della guerra in Angola, da noi non ancora esaminato. Scrive di questo libro Giovanni Damele, Dante Vacchi e i Comandos portoghesi cit., pp. 2-3: «Una prima ricostruzione basata su materiali reperibili in Portogallo, e compiuta in gran parte dal già citato tenente colonnello Neves, consente di datare al 1961 l’arrivo in Angola di Dante Vacchi, il quale si identifica come fotoreporter di «Paris Match», con il compito ufficiale (evidentemente autorizzato dallo stato maggiore portoghese) di realizzare un reportage sul contrasto della guerriglia indipendentista. Il reportage darà in seguito origine al volume Angola 1961-1963, scritto in coautoria con Anne Gaüzes.»; Dante Vacchi, Penteados de Angola [S.l., s.n., ma Lisbona, Litografia Portugal ], 1965, libro fotografico contenente 53 foto sulle acconciature delle donne angolane, da noi non ancora esaminato ma che dalle fonti Internet da noi consultate, vedi congelamenti n. 8,  9 e 14, appare come un testo con evidenti intenti di documentazione etnografica; Dante Vacchi, Anne Gaüzes, Porto, Seixal, Mundet & C., 1965 (il libro è stato pubblicato anche in Italia, con lo stesso titolo, probabilmente in italiano, a Milano, sempre nel 1965 presso l’editore Alfieri & Lacroix; entrambe le edizioni, portoghese ed italiana, da noi non ancora esaminate. Vacchi volle presentare personalmente questo libro a Salazar e per questo scrisse una lettera al dittatore portoghese chiedendo di essere ricevuto, cfr. Giovanni Damele, Dante Vacchi e i Comandos portoghesi cit., p. 3); Anne Gauzes, Dante Vacchi, Raffaello: la Stufetta del cardinale Bibbiena, Lugo di Ravenna,  Bruno Contarini, 1976, libro da noi non ancora esaminato; Dante Vacchi, La mano monca di Dio: cinque anime in striptease, una serie di malattie a puntate, un esercito alla formalina, donne rurali in video regionale, femmine pappagalle mal scopate, un uomo ex pugnetta con carta da visita, Ravenna [S. n., s.d., ma probabilmente EB, 1979], libro da noi non ancora esaminato; Dante Vacchi, Il padrino verde,  Ravenna, Brigantino, 1983, libro da noi non ancora esaminato; Dante Vacchi, Anne Vuylsteke (il vero nome di Anne  Gaüzes), Les jésuites en liberté, Paris, Filipacchi, 1990, libro da non non ancora esaminato, vedi recensione al congelamento n. 14.

        E parliano ora un po’ più a fondo, dopo i precedenti brevi cenni,  della ratio tecnica di questo documento, questo Primo inventario delle fonti Internet riferentisi a Cesare Dante Vacchi,  la cui compilazione è propedeutica ad una ricerca (su Dante Vacchi che fonda i commandos portoghesi) volta all’applicazione e alla verifica della  teoria politologica e filosofico-politica del Repubblicanesimo Geopolitico. Quasi tutto quello che allo stato ci è dato sapere su Dante Vacchi proviene da fonti internettiane ma questo tipo di fonti scontano un terribile peccato originale, sono volatili ed è stato calcolato che la  loro durata prima di svanire nel nulla sia in media quattro-cinque anni (quando va bene). Se si vuole quindi  iniziare a costruire un percorso di ricerca su Dante Cesare Vacchi, è prima di tutto necessario “congelare” e gli URL originali  attraverso i quali possiamo risalire a questa prima documentazione su Dante Vacchi e i documenti stessi che attraverso questi URL possono essere consultati. Dopo i download da Internet, siamo quindi ricorsi agli upload sia verso WebCite sia verso Internet Archive e le pagine e gli indirizzi salvati con questa procedura sono 34 (fra i quali è compreso anche il salvataggio ma solo su Internet Archive, tecnicamente l’unica opzione possibile, di tre video sui commandos portoghesi originariamente postati su YouTube: due menzionano il Vacchi, uno no – si tratta di un documento filmato che sottolinea il ruolo della PIDE nella guerra coloniale portoghese – e  quest’ultimo l’abbiamo incluso in questo inventario perché contiene materiale filmato  comune con uno dei due che menziona Vacchi, e ciò ci fa capire quanto la memoria su Vacchi fondatore dei commandos portoghesi sia a tutt’oggi un campo di scontro e divisivo).

       Anche se per tutte le pagine oggetto di download si è provveduto al doppio congelamento WebCite ed Internet Archive (ed inoltre le pagine caricate su Internet Archive sono state a loro volta congelate tramite WebCite, in modo da far svolgere ad  Internet Archive anche il ruolo di una sorta di sito originale di secondo livello: come già sottolineato, per noi la ridondanza è un valore assoluto) non sempre questo doppio “congelamento” ha dato esiti positivi, nel senso che è capitato che non sempre una delle due piattaforme abbia accettato i documenti che venivano caricati. Ma anche nel caso di questi fallimenti siamo comunque riusciti con questa procedura del doppio “congelamento” – e variando il formato originario del documento che si voleva “congelare”: tutti i documenti in HTML sono stati convertiti in Word ed in PDF  – a salvare ogni documento rendendone possibile la citabilità, e proprio perché si sta svolgendo un lavoro scientifico che anche nell’onesto rendiconto meramente tecnico del suo procedere deve trovare uno dei suoi capisaldi, questi fallimenti non sono  stati cancellati dall’inventario e il lettore potrà benissimo personalmente avvedersene cliccando sull’URL che non ha prodotto un felice risultato (ed anche leggendo l’apposita nota che indica il fallimento).

       Un ultimo breve accenno sull’impostazione del presente inventario. Come abbiamo già detto, l’inventario contiene il “congelamento” a scopo di citabilità scientifica di 34 documenti scaricati da Internet. Nei “congelamenti” effettuati su Internet Archive, nella pagina offerta da questa piattaforma per illustrare i documenti ivi caricati, abbiamo ritenuto di inserire, oltre il “congelamento” dell’URL  su WebCite e l’URL originario del documento stesso, anche  i  salvataggi su WebCite ed Internet Archive di tutti i rimanenti documenti dell’inventario, in modo che, attraverso anche un solo documento “congelato” su Internet Archive, sia possibile avere a disposizione tutto l’inventario e quindi risalire a tutti i documenti dell’inventario stesso.

       Insomma questa introduzione, a cui seguono immediatamente i 34 documenti “congelati” sia nell’URL che nel testo e debitamente numerati progressivamente nell’inventario (la sequenza di questa numerazione è unicamente quella dell’ordine cronologico con cui i documenti sono giunti alla nostra conoscenza), è posta alla fine della presentazione di ogni pagina salvata su Internet Archive e, prima ancora del presente inventario completo, è messa nella pagina di presentazione di Internet Archive anche quella parte dell’inventario stesso, ovviamente debitamente contrassegnato dal numero ordinale, relativo al documento in questione.

       Inoltre, nel completamento di questo inedito – e sotto molto aspetti autenticamente rivoluzionario – lavoro archivistico internettiano teso a rendere citabile tutta una serie di fonti presenti in Rete indispensabili per scrivere una storia dei rapporti fra il Portogallo estadonovista e l’Italia fascista e del secondo dopoguerra con particolare riguardo al problema coloniale, questo stesso inventario – con questa sua nota introduttiva – ha avuto il suo debito “congelamento” tramite la piattaforma Internet Archive (per ovvie ragioni non è stato possibile il congelamento primario dell’URL e del documento su WebCite perché si tratta di un documento originale  che non è stato scaricato da Internet ma, comunque, sempre in omaggio al principio di ridondanza –  e come si è fatto, quando possibile, per tutti i documenti dell’inventario – , l’URL e il relativo documento generati da Internet Archive sono congelati su WebCite).

       Per finire, una veloce spiegazione della inedita locuzione che s’incontra all’inizio del sottotitolo dell’inventario ‘atto di riparazione strategica’. Come enuncia il resto del sottotitolo, il percorso di ricerca che prende inizio dall’indagine  sulla figura di Dante Vacchi è (e sarà) ispirato dall’impostazione politologica e filosofico-politica del Repubblicanesimo Geopolitico, il quale trova il suo caposaldo, in radicale antitesi all’ideologia universalistica di derivazione giusnaturalistica ed illuministica,  nel momento geopolitico, il quale però abbia definitivamente perso ogni automatismo meccanicistico di origine positivista e/o neopositivista che segnava negativamente, anche se non ne annullava il profondissimo valore euristico e dialettico,  la vecchia geopolitica novecentesca (in Friedrich Ratzel, il fondatore della geopolitica e il creatore del termine ‘Lebensraum’, il termine ‘spazio vitale’ di suo conio trovava il suo ambiguo significato fra uno stretto determinismo di stampo positivistico e un sottofondo vitalistico più aperto ad una sua espressività dialettica; Rudolf  Kjellén, il creatore del termine ‘geopolitica’, nel  suo Staten som lifsform del 1916[1]Lo Stato come forma di vita – era parimenti pencolante fra un’interpretazione deterministica di questa forma di vita ed una più dinamica e dialettica) e abbia, al contrario, positivamente ed integralmente accolto, fino a depurarla al suo massimo grado e quindi consentendone la sua più piena entelechia, la filosofia della prassi di matrice idealistico-hegelo-marxiana.

       Ed è appunto attraverso  questa rinnovata filosofia della prassi (i  cui capostipiti sono il Niccolò Machiavelli del Principe e  dei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio e il Giambattista Vico della Scienza Nuova  e della De antiquissima Italorum sapientiaverum  et ipsum factum  e verum et factum convertertur –  e i massimi esponenti nel Novecento sono l’Antonio Gramsci dei Quaderni del Carcere con la folgorante creazione del mito di machiavelliano conio  del moderno Principe,  il György Lukács di Storia e coscienza di classe, il Karl Korsch di Marxismo e filosofia, l’Adorno de L’idea della storia naturale, il Walter Benjamin di Tesi di filosofia della storia ed, infine,  il Giovanni Gentile de La filosofia della prassi (1899), la cui lettura, sulla scorta di una rivoluzionaria ed idealistica interpretazione delle marxiane Tesi su Feuerbach, della filosofia del filosofo e rivoluzionario di Treviri come filosofia della prassi  non è  solo l’incunabolo dell’attualismo ma anche gestalticamente il Grundtext dialettico, prassistico ed antipositivistico non solo dei  precedenti cinque pensatori novecenteschi ma anche di tutto  quel marxismo occidentale che sempre si oppose alla  falsa vulgata staliniana del marxismo e della dialettica che va sotto il nome di Diamat – acronimo in cirillico ‘диамат’, ovvero per esteso ‘Диалектический материализм’, cioè ‘dialektičeskij materializm’ traslitteraterando la locuzione in alfabeto latino) che trova un decisivo e rivoluzionario allargamento semantico la parola ‘strategia’, ora intesa dal Repubblicanesimo Geopolitico non solo come un atteggiamento e una serie di mosse finalizzate a prevalere sull’avversario, sull’ambiente naturale, culturale e/o storico, ma come il momento iniziale ed ontogenetico dell’espressione e creazione della realtà attraverso il rapporto dinamico e dialettico del soggetto con l’oggetto[2].

       Per chi voglia documenentarsi sul Repubblicanesimo Geopolitico non è questa la sede  per perdersi in approfondite discussioni, a questo scopo abbondante materiale può essere reperito in Rete (però, qualche indicazione è giusto fornirla: la discussione sul Repubblicanesimo Geopolitico si è sviluppata prima sulle pagine del blog di geopolitica “Il Corriere della Collera” – URL di riferimento https://corrieredellacollera.com/ –; ha registrato qualche intevento sulla rivista on line di studi neomarxisti “Conflitti e Strategie” – URL di riferimento http://www.conflittiestrategie.it/ –, particolarmente significativa su questa rivista la videointervista sul Repubblicanesimo Geopolitico Repubblicanesimo geopolitico. Intervista al prof. Massimo Morigi – presso la pagina di “Conflitti e Strategie” all’URL  http://www.conflittiestrategie.it/repubblicanesimo-geopolitico-intervista-al-professor-massimo-morigi, intervista che rinvia anche all’URL di YouTube https://www.youtube.com/watch?time_continue=4&v=VeOUHYC8zq8 , videointervista che, infine, si è anche provveduto a “congelare” su Internet Archive all’URL https://archive.org/details/RepubblicanesimoGeopoliticoIntervistaAlProfessorMassimoMorigi –; ha infine animato il dibattito, con diversi interventi, sulla rivista on line di geopolitica “L’Italia e il mondo” – URL di riferimento https://italiaeilmondo.com/ –; e sul Repubblicanesimo Geopolitico segnaliamo, infine,  tre documenti: Massimo Morigi, Teoria della Distruzione del Valore (Teoria fondativa del Repubblicanesimo Geopolitico e per il superamento/conservazione del Marxismo), Idem, Dialecticvs Nvncivs. Il punto di vista del Repubblicanesimo Geopolitico attraverso i Quaderni del Carcere e Storia e Coscienza di Classe per il rovesciamento della gerarchia della spiegazione meccanicistico-causale e dialettico-conflittuale, per il rinnovamento degli studi marxiani e marxisti e per l’ Aufhebung della gramsciana e lukacsiana Filosofia della Praxis e Idem, Repubblicanesimo Geopolitico Anticipating Future Threats. Dialogo sulla Moralità del Repubblicanesimo Geopolitico più Breve Nota all’Intervista del CSEPI a La Grassa (di Massimo Morigi): documenti facilmente reperibili in Rete); quello che si cerca, in conclusione, di far comprendere con la locuzione ‘atto di riparazione strategica’ è che non sì è vuole riabilitare introducendo surrettiziamente un concetto inedito ma vago, una figura certamente espressione  di quella parte che è uscita sconfitta  – e ci sia consentito di dire giustamente sotto tutti i punti di vista – dal secondo conflitto mondiale (e poi da riabilitare rispetto a cosa? allo stato sappiamo veramente molto poco su Dante Vacchi, tranne il fatto che per tutta la vita fu certamente fascista e che, evidentemente, mai accettò  di non poter più svolgere il mestiere per il quale si sentiva più vocato, l’arte della guerra: ma se si dovesse scaraventare agli inferi un personaggio storico solo per questo tipo di pulsione e pratica bellica, veramente le nazioni non avrebbero  più né eroi né padri più o meno nobili… il che non è detto che sarebbe necessariamente un male ma però questa opzione etica – o, meglio,  questa deformazione “giustiziera” piuttosto che correttamente “giustificatrice” della storia, come ebbe modo già di dire don Benedetto  nel lontano 1917 in Teoria e storia della storiografia – nell’attività storiografica non può mai essere a senso unico e glissando sulle pulsioni e pratiche violente dei vincitori…), ma si vuole far emergere, attraverso lo studio di Dante Vacchi – prima fase di un inedito sforzo interpretativo sui rapporti fra Estado Novo e Italia fascista e poi “democratica” in cui, alla luce dell’impostazione dialettico-strategica del Repubblicanesimo Geopolitico, verrà verificata l’ipotesi non di una loro pedissequa continuità nel secondo dopoguerra ma, perlomeno, di un loro precario equilibrio fra le ragioni rappresentative, un tempo si sarebbe detto ‘sovrastrutturali’,   delle opposte ideologie dei due Stati e le profonde ragioni geopolitiche della collocazione atlantica ed anticomunista dei due paesi –, il caposaldo fondante e fondamentale del Repubblicanesimo Geopolitico, vale a dire il momento ontogenetico dall’azione-conflitto dialettico-espressivo-strategico, una azione che nel caso di Dante Vacchi, nonostante la  scarsa documentazione in nostro  possesso ma univoca nell’indicare il ruolo di protagonista del Vacchi, emerge essere stata di grandissima portata (non accettò, comunque se ne possano giudicare le motivazioni, la fine della storia emersa come esito apparentemente immodificabile del secondo conflitto mondiale, arrivando a prestare la sua arte militare ad un regime morente, quello del Portogallo salazarista, fascista e totalitario, ma attraverso un operato, la creazione dei commandos portoghesi, i cui effetti si riverbano ancor oggi nell’organizzazione militare del Portogallo “democratico”: almeno su questo dato di fatto concorda tutta la scarsa documentazione disponibile), ma che, questa azione, rischiava e rischia tuttora di rimanere per sempre incognita e/o di disperdersi in fugaci apparizioni nella Rete (con danno evidente, nel caso di un suo irrimediabile oblio, per la comprensione non minata dalle fumisterie ideologiche dell’universalismo “democratico” ma innervata dalla realistica filosofia della prassi del Repubblicanesimo Geopolitico dei reali rapporti nel secondo dopoguerra fra il Portogallo dittatoriale e l’Italia “democratica”, ma “democratica” d’importazione, solo per limitarci alla genesi strettamente événementielle delle nostre “libere” istituzioni). E quindi “atto di riparazione strategica” non perché Vacchi possa tramutarsi da fascista irriducibile in una image d’Épinal buona da spendersi per il politicamente corretto dell’ideologia della fine della storia ma per il semplice fatto che il  ‘momento strategico’  espresso da Vacchi (pur notevole  e di primissimo livello sul piano biografico della sua vicenda umana con tratti eccezionali ma, soprattutto, tassello  fondamentale – e  di collegamento e di continuità fra Italia fascista ed Italia democratica o, meglio, postfascista –  per comprendere, come recita il titolo di questa comunicazione, I rapporti fra il Portogallo dell’Estado Novo e l’Italia fascista e del secondo dopoguerra in relazione al problema coloniale africano) rischiava di perdersi e  quindi, per evitare questa dispersione – o, meglio, questo ‘oblio dello strategico’ che, simile all’ ‘oblio dello strategico’ verso tutti coloro che nel corso della storia umana sono risultati fra gli sconfitti dell’azione-conflitto dialettico-espressivo-strategico, rischia di coinvolgere non solo una vita singola ma un aspetto fondamentale degli ultimi decenni del Novecento italiano e portoghese – era necessario un doveroso atto di riparazione (che certamente, visto il tipo di fonti privilegiate, ha un suo lato tecnico indubbiamente innovatore e debitore delle problematiche tecnico-informatiche del XXI secolo e della correlata volatilità delle fonti Internet ma che, dal punto di vista filosofico, nel suo riparatorio e rimemorante opporsi all’ ‘oblio del momento strategico’ – e di un individuo, Dante Cesare Vacchi che fonda i commandos portoghesi, e di una fase storica, i rapporti fra Italia e Portogallo determinati, al di là delle fumisterie ideologiche, dall’appartenenza al medesimo blocco atlantico anticomunista – si ricollega direttamente al messianismo di Walter Benjamin e alla possibilità  che nel Jetztzeit sprigionato dal procedere dialettico-strategico di una vera attività storiografica[3], nel caso del presente inventario un tempo-ora generato dalla tecnologie informatiche e cibernetiche del Web ma eternizzato  dal nostro artigianale “congelamento” delle fonti in Rete, possa benjaminamente manifestarsi quel Messia che operi quella restitutio ad integrum di coloro che erano stati sommersi dal conflitto strategico dal quale nasce e col quale è costituita la storia umana[4]; quindi il nostro “congelamento delle fonti  Internet”, come una sorta di messianico tempo-ora  non solo per Dante Cesare Vacchi ma anche per la storia – dialettica,  espressiva, conflittuale e strategica – di un secondo dopoguerra segnato dalla divisione del mondo in due blocchi e verso il quale il nostro storiografico salvataggio rimemorante è l’unica possibilità che ci è data per un suo reale superamento che non sia, come pretenderebbe l’ideologia della fine della storia, una sua criminale rimozione-falsa uccisione, allo scopo, come effettivamente oggi accade, di riproporne una sua riproposizione sotto mentite spoglie, democratiche formalmente ma intrinsecamente fasciste nella realtà), che si è concretizzato, come prima sua tappa, attraverso l’inventario delle fonti Internet che lo riguardano e che senza i “congelamenti” da noi operati e debitamente indicati in questo repertorio rischiavano di svanire.

       Nel titolo di questa comunicazione, accanto alla locuzione ‘atto di riparazione strategica’, abbiamo posto il numero ordinale ‘1°’. Certamente primo per quanto riguarda Dante Vacchi, un personaggio cui nessuno prima d’ora aveva dedicato un interesse scientifico non esaurito in sé stesso ma che ponesse le basi per un più vasta ricerca storica sui rapporti fra Portogallo estadadonovista ed Italia fascista prima ed Italia postfascista poi mettendo in luce quegli elementi di continuità che nel secondo dopoguerra non furono più di contiguità ideologica come lo furono durante il Ventennio ma che, come ormai  già sembra dimostrare la figura di Dante Cesare Vacchi, si avvalsero di personaggi o direttamente legati col passato regime fascista italiano o pubblicamente nostalgici dello stesso (come abbiamo già detto, l’unico studio scientifico finora pubblicato su Dante Cesare Vacchi è Giovanni Damele, Dante Vacchi e i Comandos portoghesi. Appunti per una ricerca cit. ma è uno studio strettamente biografico e non con i propositi di ricerca da noi appena enunciati; e se il già menzionato Stefano Salmi, Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista e l’Estado Novo cit. è impotante per quanto riguarda  i rapporti fra l’Italia fascista e il Portogallo estadonovista, si deve ricorrere a questo studio anche per quanto riguarda un primo approccio sulla problematiche di ricerca ora  enunciate nel presente inventario, dedicando  sì questa tesi di laurea una parte significativa della sua analisi su come i rapporti fra i due paesi totalitari  si intrecciarono attorno alle loro rispettive problematiche coloniali e di come queste problematiche a loro volta li influenzarono e quindi questa tesi ponendosi come ideale premessa, per il periodo affrontato e per gli argomenti trattati, degli  studi che si dovranno dipanare dalla ricerca sulla figura di Dante Vacchi, che riguardano i rapporti fra Italia e Portogallo nel secondo dopoguerra, ma anche saggio che getta un ponte diretto con la nostra ricerca sulla figura di Dante Cesare  Vacchi, in quanto vi si indaga anche dei rapporti di Pino Rauti  con l’Estado Novo portoghese – cfr. Stefano Salmi, Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista e l’Estado Novo cit.,  pp.  404-424 –,  aprendo quindi la strada allo studio sul ruolo  svolto dal neofascismo italiano del secondo dopoguerra nel rafforzare e a livello interno e nelle sue proiezioni internazionali e coloniali l’Estado Novo; un ruolo svolto dal neofascismo italiano la cui definizione è lo scopo precipuo dell’indagine su Dante Vacchi e in una definizione di questo ruolo che prima del nostro studio su Vacchi era stato anche egregiamente affrontato – vedi le fonti secondarie già citate – ma che, prima d’ora, non aveva mai puntato i suoi riflettori su uno straniero protagonista assoluto nella costruzione di un ganglio fondamentale  dell’apparato statale estadonovista: il francese Yves Guérin-Sérac, figura affrontata da pur  egregi studi sull’internazionale nera da noi citati, fonda nel 1966 l’Aginter Press ma si tratta di uno strumento, seppur importante per il terrorismo internazionale e per l’appoggio della politica coloniale portoghese, esterno allo Stato portoghese; l’italiano Dante Cesare Vacchi fonda i commandos portoghesi, strumento fondamentale per la guerra coloniale portoghese e apparato assolutamente interno allo Stato e all’esercito dell’Estado Novo), ma anche primo per il Repubblicanesimo Geopolitico, che attraverso lo studio di questo personaggio come punto di fuga prospettica del  più vasto affresco storico dei rapporti dell’Estado novo con l’Italia fascista e poi postfascista del secondo dopoguerra, intende innervare per la prima volta una specifica ed originale ricerca storica della sua Weltanschauung dialettico-espressivo-conflittuale-strategica.

       Un ‘atto di riparazione strategica’, quindi, che si manifesta come un  ‘contro-atto di oblio dello strategico’ propedeutico, se non diretta espressione, di quella ‘epifania dello strategico’ di cui abbiamo già ampiamente detto in altri luoghi a proposito del Repubblicanesimo Geopolitico e ‘contro-atto di oblio dello strategico’ e/o ‘epifania strategica’[5] che nella sua prassistica attiva ‘rimemorazione strategica’ della quale intende infondere la sua ricerca, si riallaccia direttamente, trovandovi il suo Grundtext, alle soteriologiche benjminiane Tesi di filosofia della storia, attraverso una prassi storiografica in cui l’atto messianico viene finalmente realizzato dal ‘tempo-ora’ della ‘rimemorazione dello strategico’, un momento strategico rimemorato e quindi salvato e quindi reso disponibile ad una prassi umana che proietta in avanti, e in un certo senso “eternizza”, l’originario  Jetztzeit  del procedere storico strategico (nel duplice ma convergente senso – in Gestalt dialettico-espressivo-conflittuale-strategica –  di ‘storia’ inteso come accadimento e come sua narrazione)  e che, nel nostro caso, con fulcro e punto iniziale di fuga prospettica in Dante Cesare Vacchi che fonda i commandos portoghesi, sarebbe stato altrimenti perso per sempre, sommerso (dagli apparentemente) vincitori idola theatri post 1989[6].

E soprattutto per consentirci questa ‘epifania strategica’ che questo rimemorante ‘atto di riparazione’ è dal punto di vista del Repubblicanesimo Geopolitico primo, nel senso di assoluta priorità ed urgenza realizzativa, dopo le sue molte e ripetute elaborazioni prevalentemente teoriche, ed è soprattutto che, per poterci consentire questa concreta applicazione su un concreto case study della Weltanschauung del Repubblicanesimo Geopoliltico,  abbiamo un grande debito di riconoscenza verso Dante Cesare Vacchi, perché Dante Cesare Vacchi ci consente un riaffioramento del concetto di ‘conflitto strategico’ sempre in bilico fra il rischio del suo oblio (il politicamente corretto e la surrettiziamente ribadita fine della storia) e la speranza della sua Epifania (oggi espressa, dopo la fine del marxismo – ma sarebbe meglio dire la sua Aufhebung attraverso il Repubblicanesimo Geopolitico –, con piena consapevolezza teorica dal Repubblicanesimo Geopolitico ma, per fortuna,  certamente con minore consapevolezza ma con non disprezzabile energia da tutti coloro che, pur da contrapposte barricate, decisamente ed espressamente rifiutano la fukuyamesca fine della storia).

       Allo stadio iniziale della nostra ricerca, non ci è dato conoscere se Dante Cesare Vacchi abbia mai sviluppato non diciamo una filosofia ma perlomeno un pensiero politico all’altezza dei suoi grandi risultati strategico-militari e di State Building (Vacchi non solo combattè con indubbia efficacia nella guerra coloniale portoghese ma, come già sottolineato, nel farlo creò ex nihilo all’interno della fabrica dell’esercito portoghese un’articolazione indispensabile dell’Estado Novo, il corpo dei commandos che in questa guerra furono la punta di lancia contro i movimenti di liberazione) che caratterizzarono il suo passaggio su questa terra (i suoi libri elencati nel presente documento devono trovare ancora una lettura complessiva, organica e significativa dal punto di vista scientifico, e sarà uno dei nostri compiti eseguirla, come pure si dovrà procedere per gli articoli per i periodici che Vacchi scrisse e in questa introduzione da noi neppure elencati per la semplice banale ragione che le fonti Internet se possono dare notizia, come nel caso di Vacchi, anche di opere librarie di autori molto poco conosciuti, quasi sempre tacciono completamente per quanto riguarda l’attività giornalistica di questi personaggi. Per andare nello specifico: come si vede dal repertorio delle fonti Internet da noi qui prodotto, il mercato dell’antiquariato librario segnala le opere di Vacchi, e attraverso i sistemi OPAC italiano e portoghese, consultabili solo  tramite Internet – OPAC: On-line public access catalogue –, è ugualmente possibile ricostruire un sostanzioso elenco di opere librarie di Vacchi, ricostruzione internettiana  che non è stata assolutamente possibile per gli articoli di Vacchi: comunque tutte queste fonti primarie su Vacchi, sia i libri che gli scritti per i periodici, saranno da noi non solo minuziosamente  repertoriate al di là delle risorse archivistiche offerte dalla Rete – ma risorse archivistiche che solo attraverso il nostro lavoro di “congelamento” si sono tramutate da virtuali a reali – ma anche attentamente esaminate), ma   per fornire una Gestalt che non sia solamente autoreferenziale di ‘Epifania strategica’ e, al contempo, per fornire anche il segno sotto il quale – pensiamo – si svolse, al di là di un pensiero politico ancora da noi tutto da focalizzare, la vita di Cesare Dante Vacchi, forse la  migliore approsimazione ci può essere prestata da come Roberto Esposito, in Pensiero vivente, sintetizza la peculiarità del pensiero italiano, un pensiero italiano che, non sappiamo ancora quanto consapevolmente – ma amiamo ritenere profondamente – guidò Dante Cesare Vacchi: «È qui, appunto, che si radica il primo asse paradigmatico del pensiero italiano, riconducibile alla figura, altamente complessa, dell’immanentizzazione dell’antagonismo. Che il conflitto sia costitutivo dell’ordine – che, cioè, non sia ipotizzabile, e neanche auspicabile, un ordine escludente il conflitto – segnala l’emergenza dell’origine all’interno della storia che tende, invano, a disfarsene. L’origine non può essere eliminata da un ordine che, nella sua concretezza fattuale, non soltanto ne deriva, ma continua incessantemente a riprodurla. Questo presupposto costituisce uno dei vettori fondamentali e ricorrenti della filosofia, non solo politica, italiana.»: Roberto Esposito, Pensiero vivente. Origine e attualità della filosofia italiana, Torino, Einuadi, 2010, p. 25.

       Solo da un pensiero che fondi il suo sviluppo sulla  ‘immanentizzazione del conflitto’ che fu in primo luogo di Niccolò Machiavelli ma  anche il filo rosso che lega indissolubilmente le migliori e più originali espressioni del pensiero italiano –  e queste solo per limitarci al Novecento,  sotto il segno di una consapevole anche se variamente declinata filosofia della prassi, Gentile, Gramsci, Croce, con le più scaltrite e intimamente dialettiche manifestazioni del marxismo occidentale, György Lukács e Karl Korsch; per finire con Walter Benjamin che, stricto sensu, marxista non fu ma la cui intima e poetizzata Weltanschauung dialettica, il momento-ora attraverso il quale possono irrompere e manifestarsi quelle potenzialità messianiche presenti in ognuno di noi che rendano possibile la restitutio ad integrum di coloro che nel corso del conflitto strategico sono stati sconfitti e sepolti[7],  lo pone come una delle più umanamente ed umanisticamente dense espressioni, sia sul piano personale, filosofico ed anche religioso, della filosofia della prassi e una sorta di prefigurazione dell’ ‘Epifania strategica’ del Repubblicanesimo Geopolitico –, solo un pensiero che, detto altrimenti, sappia manifestare una piena  ‘Epifania strategica’ consapevole erede di tutta la miglior tradizione espressivo-dialettico-conflittuale-strategica della filosofia occidentale (che iniziata dall’aristotelico ζῷον πολιτικόν trova nel Secolo breve col gramsciano moderno Principe la sua più efficace e teoricamente evoluta sintesi politico-sociale[8], e tradizione espressivo-dialettico-conflittuale-strategica che nel XXI secolo ha manifestato  la sua ultima sistemazione col Repubblicanesimo Geopolitico che, ben oltre il “timido prassismo” costruttivista alla Alexander Wendt[9] e piuttosto trovando un suo antesignano nell’antideterministica e antimeccancistica polemologia del Carl von Clausewitz del Vom Kriege, rinnova, alla luce di una visione della scienza non meccanicistica ed anche ispirata all’intima dialetticità dell’epigenetica e della fisica quantistica – sulla “dialetticità” del nuovo modo di intendere la biologia che abbandona paradigmi meccanicistici per sottolineare il rapporto olistico e dialettico fra organismi e specie con l’ambiente vedi The Dialectical biologist (Richard Levins, Richard Lewontin, The Dialectical Biologist, Cambridge (MA), Harvard University Press, 1985 (Delhi, Aakar Books for South Asia, 2009, documento in Rete  presso https://athens.indymedia.org/media/upload/2016/09/02/LEWONTIN_-_THE_DIALECTICAL_BIOLOGIST.pdf . Nostri “congelamenti”: WebCite: http://www.webcitation.org/75i27bpR1 e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fathens.indymedia.org%2Fmedia%2Fupload%2F2016%2F09%2F02%2FLEWONTIN_-_THE_DIALECTICAL_BIOLOGIST.pdf&date=2019-01-26; Internet Archive:  https://archive.org/details/TheDialecticalBiologist e https://ia801507.us.archive.org/26/items/TheDialecticalBiologist/Lewontin_-Levins_the_dialectical_biologist.pdf; WebCite su Internet Archive: http://www.webcitation.org/75i3BdM3Q e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia801507.us.archive.org%2F26%2Fitems%2FTheDialecticalBiologist%2FLewontin_-Levins_the_dialectical_biologist.pdf&date=2019-01-26), e per quanto riguarda l’ aspetto dialettico dell’epigenetica cfr.   Eva Jablonka, Marion J. Lamb,  Evolution in Four Dimensions: Genetic, Epigenetic, Behavioral, and Symbolic Variation in the History of Life, Bradford Books/The MIT Press. 2005, dove, in una sorta di opportuno ritorno all’impostazione che fu prima di Lamark e poi di Lisenko, che sostenevano il principio di una selezione naturale dove l’organismo non viene solo selezionato dall’ambiente ma questo è in grado di rispondere attivamente e creativamente agli stimoli ambientali, è prefigurato una sorta di modello biologico che ha profonde attinenze con l’impostazione della filosofia della prassi del rapporto dinamico e dialettico fra soggetto ed oggetto e sfatando quindi in Eva Jablonka, Marion J. Lamb,  Evolution in Four Dimensions cit., il dogma della biologia della barriera di August Weismann dove vi si sosteneva l’esistenza di un barriera insormontabile negli organismi fra le cellule somatiche e quelle germinali; mentre per la sottolineatura dell’eliminazione del principio di non contraddizione naturale portato  del principio della superposition  della fisisca quantistica cfr. Garrett Birkhoff, John Von Neumann, The Logic of Quantum Mechanics, “The Annals of Mathematics”, 2nd Ser., Vol. 37, No. 4. (Oct., 1936), pp. 823-843[10], John von Neuman, On Alternative System of Logics, unpliblished manuscript, 1937, von Neumann Archives, Library of Congress, Washington    e Id., Quantum Logics (Strict-and Probability-Logics),  unpliblished manuscript, 1937, von Neumann Archives, Library of Congress, Washington –, la grande tradizione della filosofia della prassi in un’ottica di radicale abolizione dell’idea della separazione fra scienze umane e scienze della natura e dell’illusorio iato, come già stigmatizzato da Adorno in L’idea della storia naturale, fra storia e natura[11]), potrà salvare non solo una morente  democrazia italiana ma anche l’oramai definitivamente esausta modernità politica democratica, che dopo l’abbattimento con l’Illuminismo e la sua traduzione politica nella Rivoluzione francese della ipostatica teologia politica dell’ ancien régime dell’origine divina del potere e della conseguente alleanza fra trono ed altare, non ha saputo far altro che incardinare il suo concetto di libertà su altrettanto metafisici diritti dell’uomo e su una molto meno metafisica  ma altrettanto stupida – e criminale – concezione pratica della libertà basata sulla robinsonata  dell’ individualismo metodologico di stampo liberale (capostipiti di questo monadico individualismo, Thomas Hobbes e John Locke e, nel secolo che è appena tramontato, su un piano di assoluta volgarità storica e filosofica ma di gran fortuna sul piano pubblicistico Francis Fukuyma, la cui ridicola previsione di fine della storia non è che il compendio ed exitus novecentesco di tutta una tradizione liberale antidialettica ed antiumanistica iniziata nel ’600 e che trova tragica espressività nelle hobbessiane metafora dell’homo homini lupus e nella grandiosa e tenebrosa allegoria del Leviatano).

       Siano quindi gli studi che si dipartiranno dalla figura di Dante Cesare Vacchi un grande ‘atto di riparazione strategica’: verso quest’uomo d’arme ma, soprattutto, verso noi stessi e la grande tradizione del pensiero italiano che con la sua primogenitura nel concepimento dell’ ‘immanentizzazione del conflitto’ pose le basi, ancora tutte da sviluppare, per quell’ ‘epifania strategica’ che costituisce quel fiume carsico di energia filosofica e politica che aveva visto nascere agli albori della civiltà occidentale quel concetto di libertà intesa non come arbitrio ma come interscambio dialettico dell’espressività e creatività delle volizioni e pulsioni soggettive col più vasto ed olistico contesto del momento politico e sociale – lo Zoon politikon aristotelico dell’ Etica nicomachea e della Politica – e che oggi, catastrofe iniziata in era moderna col seicentesco rifiuto meccanicicistico delle potenzialità dialettiche dell’umanesimo, ha subito, a causa  della libertà così come è stata concepita, e purtroppo assolutamente deformata e praticata, dalla visione liberale dell’individualismo metodologico, un tragico – ma siamo sicuri, solo provvisorio – arresto.

        Ed anche operando una restitutio ad integrum della figura del fascista ed uomo d’arme Dante Cesare Vacchi che fonda i commandos portoghesi, fondamentali per un morente Portogallo totalitario nella guerra contro i movimenti di liberazione nelle sue colonie africane,  pensiamo che  messianicamente – seppur non pretendendo come Benjamin di avere come alleato il nano brutto ma bravissimo della teologia ma solo ed unicamente un prosaico Sancho Panza che ha imparato a maneggiare le molto immanentistiche armi di una nuova storiografia espressivo-dialettico-strategica dell’ ‘immanentizzazione del conflitto e/o antagonismo’ – sia possibile dare il nostro contributo per la salvezza della migliore e più profonda tradizione politica e filosofica occidentale.

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                           CONGELAMENTO 1 DI 34

 

Video sui commandos portoghesi – durata 1 ora, trentanove minuti e 21 secondi –  dove viene fatto esplicito  riferimento a Cesare Dante Vacchi. Il video è stato caricato su YouTube il 25 agosto 2016 da António José de Deus Gonçalves sotto il titolo  COMANDOS TROPAS ESPECIAIS DE ELITE Da Zemba a Besmayah – 1962/2015. Il video è stato prodotto nel 2007 a cura della Associação de Comandos col titolo COMANDOS UM CONTRIBUTO PARA A HISTÓRIA. Al 27 dicembre 2017  risultano su YouTube 14.665 visualizzazioni, 130 Like e 3 Dislike. In calce agli URL di questo congelamento n° 1, il testo di   presentazione su YouTube del video.

 

ORIGINAL URL: https://www.youtube.com/watch?v=jZ82gML5jSg

 

GLI URL E I VIDEO DI YOUTUBE NON POSSONO ESSERE CONGELATI  TRAMITE WEBCITE.

 

https://archive.org/details/COMANDOSUMCONTRIBUTOPARAAHISTRIA

https://ia601508.us.archive.org/32/items/COMANDOSUMCONTRIBUTOPARAAHISTRIA/COMANDOS%20UM%20CONTRIBUTO%20PARA%20A%20HIST%C3%93RIA.mp4

 

COMANDOS UM CONTRIBUTO PARA A HISTÓRIA

14.784 visualizzazioni

 

António José de Deus Gonçalves

Pubblicato il 25 ago 2016

ISCRIVITI 376

COMANDOS TROPAS ESPECIAIS DE ELITE Da Zemba a Besmayah – 1962/2015 A história dos Comandos do Exército Português está escrita, há livros e inúmeros artigos sobre o tema (ver a Cronologia Oficial no final do artigo), vamos apenas fazer aqui uma síntese, organizando-a em épocas que nos parecem diferenciadas. O espírito Comando, esse, atravessa todo este tempo se não de modo igual, pelo menos muito semelhante, e no essencial, tem sido o cimento e a principal razão do sucesso com que têm enfrentado os “ventos da história”. Consideramos assim, 5 grandes épocas: Guerra de contra-guerrilha no antigo Ultramar, entre 1962 e 1974, na qual os diferentes centros de instrução (Angola – Zemba, Quibala, Luanda; Moçambique – Namaacha, Montepuez; Guiné – Brá; Lamego), prepararam cerca de 9.000 Comandos para missões de contra-guerrilha nas quais obtiveram excelentes resultados operacionais e por isso foram distinguidos com as mais elevadas condecorações quer a título individual quer colectivo. Foram 12 anos como unidades de intervenção, sempre na primeira linha dos combates, onde pagaram um elevado preço de sangue: 357 mortos, 771 feridos e 28 desaparecidos. Período revolucionário e a normalização democrática em Portugal, entre 1974 e 1976, na qual se assistiu à criação do Regimento de Comandos na Amadora e a introdução da boina vermelha, tendo a acção do Regimento sido determinante na chamada normalização democrática, contribuindo para a derrota pela força das armas, em 25 de Novembro de 1975, das facções consideradas radicais que dominaram a cena política em Portugal depois do golpe militar de 25 de Abril de 1974; Guerra-fria na Europa e a Cooperação Técnico-Militar em África, de 1976 até 1993, na qual o Regimento de Comandos, procurou o seu lugar num sistema de forças virado para eventual conflito na Europa, integrou a Brigada de Forças Especiais do Exército e participou com pequenos destacamentos em exercícios internacionais no âmbito da NATO, iniciando ao mesmo tempo com sucesso, diferentes acções de Cooperação Técnico-Militar em África, sendo a mais relevante e que ainda se mantém, com Angola; Extinção do Regimento de Comandos e criação do Centro de Tropas Comandos, de 1993 a 2006, na qual o Regimento foi extinto, poucos militares comandos quiseram frequentar o curso de pára-quedismo para integrar a Brigada Aerotransportada criada no Exército a partir das unidades, pessoal e meios das Tropas Pára-quedistas da Força Aérea, também extintas. Manteve-se no Exército a possibilidade de oficiais e sargentos frequentarem o Curso de Comandos em Lamego, no Centro de Instrução de Operações Especiais, com várias finalidades, nomeadamente manter viva a Cooperação Técnico-Militar, o que foi conseguido, e preservar conhecimentos, capacidades e tradições consideradas necessárias ao ramo terrestre. Em 2002 foi criada a 1.ª Companhia de Comandos (100.º Curso de Comandos), depois a 2.ª Companhia e finalmente o Batalhão de Comandos, no Regimento de Infantaria n.º 1 (Serra da Carregueira). Em 2006 foi legalmente criado o Centro de Tropas Comandos, em Mafra, onde se manteve até 2008, ano em que regressou à Serra da Carregueira. Missões expedicionárias, desde 2004 até aos dias de hoje. Em 2004, uma companhia de comandos é integrada no Agrupamento Hotel (com base num Batalhão da Brigada Ligeira de Intervenção) e parte para Timor-Leste participando na missão das Nações Unidas no território, dando assim início ao envolvimento dos Comandos, com unidades constituídas, nas missões expedicionárias(*). No ano seguinte uma Companhia de Comandos integra a força da NATO no Afeganistão e este vai ser um teatro de operações onde os comandos permanecem até 2014, embora com uma ou outra interrupção dando lugar a outras forças da Brigada de Reacção Rápida. Primeiro como uma companhia como Força de Reacção Rápida e depois, com efectivos variáveis, por vezes em conjunto com outras unidades nacionais, integrando a Protecção da Força do Contingente Nacional, mas também fornecendo oficiais e sargentos para diferentes cargos de assessoria/mentoria, os Comandos foram a força nacional que mais tempo permaneceu no Afeganistão. Já este ano, coube ao CTC preparar o contingente português que está no Iraque, no âmbito da Coligação Internacional liderada pelos EUA para combater o “estado islâmico”. A maioria da Força Nacional Destacada é composta por militares Comandos, estando empenhados em missões de assessoria, instrução e segurança em Besmayah nos arredores de Bagdad, numa base espanhola.

 

 

 

 

              CONGELAMENTO  2 DI 34

 

Dante Vacchi e i Comandos portoghesi. Appunti per una ricerca. Autore: Giovanni Damele. Caricato da Giovanni Damele su Scribd il 2 ottobre 2015 (Uploaded by Giovanni Damele on Oct 02, 2015). Allo stato è la ricerca più completa, seppur breve,  su Dante Cesare Vacchi.

ORIGINAL URL:  https://www.scribd.com/document/283472616/Dante-Vacchi-e-i-Comandos-portoghesi-Appunti-per-una-ricerca

 

http://www.webcitation.org/74sn7eCbT

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fwww.scribd.com%2Fdocument%2F283472616%2FDante-Vacchi-e-i-Comandos-portoghesi-Appunti-per-una-ricerca&date=2018-12-23

 

https://archive.org/details/DanteVacchiEICommandosPortoghesi

https://ia601508.us.archive.org/22/items/DanteVacchiEICommandosPortoghesi/283472616-Dante-Vacchi-e-i-Comandos-portoghesi-Appunti-per-una-ricerca.pdf

 

ULTERIORE CONGELAMENTO WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/75WnWf5OF

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601508.us.archive.org%2F22%2Fitems%2FDanteVacchiEICommandosPortoghesi%2F283472616-Dante-Vacchi-e-i-Comandos-portoghesi-Appunti-per-una-ricerca.pdf&date=2019-01-18

                          

                          

                           CONGELAMENTO 3 DI 34

 

Pagina caricata senza indicazione di data e con generica indicazione di autore (Elementos cedidos por um colaborador do portal UTW). Si tratta della proposta della vendita on line del libro fotografico di Dante Vacchi ed Anne Gauze Angola 1961-1063.

 

ORIGINAL URL:  http://ultramar.terraweb.biz/06livros_AnneGauzes_%20e_%20Dante%20Vacchi.htm

 

http://www.webcitation.org/74uaFWVy8

http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fultramar.terraweb.biz%2F06livros_AnneGauzes_%2520e_%2520Dante%2520Vacchi.htm&date=2018-12-24

 

 

 

https://archive.org/details/Livros-Angola1961-1963-AnnaGauzesEDanteVacchi

https://archive.org/details/TrabalhosTextosSobreAGuerraDoUltramarOuLivros

https://archive.org/details/TrabalhosTextosSobreAGuerraDoUltramarOuLivrosDanteVacchi

https://ia601509.us.archive.org/26/items/TrabalhosTextosSobreAGuerraDoUltramarOuLivrosDanteVacchi/TrabalhosTextosSobreAGuerraDoUltramarOuLivrosDanteVacchi.pdf

 

ULTERIORE CONGELAMENTO WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76FVwNDqA

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601509.us.archive.org%2F26%2Fitems%2FTrabalhosTextosSobreAGuerraDoUltramarOuLivrosDanteVacchi%2FTrabalhosTextosSobreAGuerraDoUltramarOuLivrosDanteVacchi.pdf&date=2019-02-17

                      

 

                      

 

                           CONGELAMENTO 4 DI 34

 

 Pagina caricata il 2 ottobre 2015 da Giovanni Damele. Titolo: Storia di Dante Vacchi: il fotografo italiano che fondò i Comandos portoghesi. Costituisce una versione ridotta dell’articolo di questo autore già citato al punto 2 di questo inventario intitolato Dante Vacchi e i Comandos portoghesi. Appunti per una ricerca.

 

ORIGINAL  URL: http://lusosfera.blogspot.com/2015/10/storia-di-dante-vacchi-il-fotografo_2.html#more

 

http://www.webcitation.org/74ud8oxxU

http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Flusosfera.blogspot.com%2F2015%2F10%2Fstoria-di-dante-vacchi-il-fotografo_2.html%23more&date=2018-12-24

 

https://archive.org/details/CaleidoscopioLusitano_StoriaDiDanteVacchi_IlFotografoItalianoChe

https://ia801503.us.archive.org/1/items/CaleidoscopioLusitano_StoriaDiDanteVacchi_IlFotografoItalianoChe/CaleidoscopioLusitano_StoriaDiDanteVacchi_IlFotografoItalianoCheFondIComandosPortoghesi.html

https://archive.org/details/CaleidoscopioLusitano_StoriaDiDanteVacchi_IlFotografoItalianoChe_994

 

https://archive.org/details/CaleidoscopiolusitanoDanteVacchi

https://ia601502.us.archive.org/3/items/CaleidoscopiolusitanoDanteVacchi/CaleidoscopiolusitanoDanteVacchi.pdf

ULTERIORE CONGELAMENTO WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76FWhIqos

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601502.us.archive.org%2F3%2Fitems%2FCaleidoscopiolusitanoDanteVacchi%2FCaleidoscopiolusitanoDanteVacchi.pdf&date=2019-02-17

 

 

                         CONGELAMENTO  5 DI 34

Pagina caricata il 10 febbraio 2017 a firma di  Guido Bruno. Titolo dell’articolo: Dante Vacchi: il fascista che creò le forze speciali portoghesi. Al 27 dicembre 2018, l’articolo risulta avere 2853 visualizzazioni.

ORIGINAL URL: https://www.ilprimatonazionale.it/esteri/dante-vacchi-il-fascista-che-creo-le-forze-speciali-portoghesi-57378/

http://www.webcitation.org/74udQiPC2

 

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fwww.ilprimatonazionale.it%2Festeri%2Fdante-vacchi-il-fascista-che-creo-le-forze-speciali-portoghesi-57378%2F&date=2018-12-24

 

https://archive.org/details/EccoLaStoriaDiUnVeroArci-italiano_DanteVacchiProfessione

https://ia801505.us.archive.org/16/items/EccoLaStoriaDiUnVeroArci-italiano_DanteVacchiProfessione/EccoLaStoriaDiUnVeroArci-italiano_DanteVacchiProfessioneAvventuriero.html

 

https://archive.org/details/DanteVacchi-IlPrimatoNazionale

 

https://archive.org/details/DanteVacchiIlPrimatoNazionale

https://ia601507.us.archive.org/34/items/DanteVacchiIlPrimatoNazionale/Dantevacchiilprimatonazionale2.pdf

 

ULTERIORE CONGELAMENTO WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76FXUpA2E

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601507.us.archive.org%2F34%2Fitems%2FDanteVacchiIlPrimatoNazionale%2FDantevacchiilprimatonazionale2.pdf&date=2019-02-17

 

                                        

                           CONGELAMENTO  6 DI 34

 

Pagina caricata sul sito dell’associazione “Azimut”  il 12 febbraio 2017. Si tratta sempre dell’articolo di Guido Bruno di cui si è già detto al congelamento  n° 5.

ORIGINAL URL: https://azimutassociazione.wordpress.com/2017/02/12/attualita-su-trump-papa-francesco-incidenti-a-genova-cyber-attacchi-contro-italia-la-storia-e-personaggi-sconosciuti-dante-vacchi-ledicola-e-altre-news/

 

http://www.webcitation.org/74udptiHx

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fazimutassociazione.wordpress.com%2F2017%2F02%2F12%2Fattualita-su-trump-papa-francesco-incidenti-a-genova-cyber-attacchi-contro-italia-la-storia-e-personaggi-sconosciuti-dante-vacchi-ledicola-e-altre-news%2F&date=2018-12-24

 

https://archive.org/details/Attualita_SuTrumpPapaFrancescoIncidentiAGenovaCyberAttacchiContro

https://ia801509.us.archive.org/23/items/Attualita_SuTrumpPapaFrancescoIncidentiAGenovaCyberAttacchiContro/Attualita_SuTrumpPapaFrancescoIncidentiAGenovaCyberAttacchiControItalia_LaStoriaEPersonaggiSconosciutiDanteVacchiLedicolaEAltreNews_AssociazioneAzimut.html

 

https://archive.org/details/IlFascistaCesareDanteVacchiELaCreazioneDeiCommadosPortoghesi

 

https://archive.org/details/IlFascistaCesareDanteVacchiELaCreazioneDeiCommandosPortoghesi

https://ia601507.us.archive.org/6/items/IlFascistaCesareDanteVacchiELaCreazioneDeiCommandosPortoghesi/IlFascistaCesareDanteVacchiELaCreazioneDeiCommandosPortoghesi.pdf

 

ULTERIORE CONGELAMENTO WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76FYMnqop

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601507.us.archive.org%2F6%2Fitems%2FIlFascistaCesareDanteVacchiELaCreazioneDeiCommandosPortoghesi%2FIlFascistaCesareDanteVacchiELaCreazioneDeiCommandosPortoghesi.pdf&date=2019-02-17

 

 

 

                             

 

                               CONGELAMENTO  7 DI 34

 

Storia di Dante Vacchi: il fotografo italiano che fondò i Comandos portoghesi. Sempre lo stesso articolo, sempre a firma di Giovanni Damele, di cui al congelamento n° 4 del presente inventario. Pagina caricata il 15 ottobre 2015.

 

ORIGINAL URL:

https://sosteniamopereira.org/2015/10/15/storia-di-dante-vacchi-il-fotografo-italiano-che-fondo-i-comandos-portoghesi/

 

http://www.webcitation.org/74ueBgWlc

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fsosteniamopereira.org%2F2015%2F10%2F15%2Fstoria-di-dante-vacchi-il-fotografo-italiano-che-fondo-i-comandos-portoghesi%2F&date=2018-12-24

 

https://archive.org/details/StoriaDiDanteVacchi_IlFotografoItalianoCheFondIComandosPortoghesi

https://ia601500.us.archive.org/35/items/StoriaDiDanteVacchi_IlFotografoItalianoCheFondIComandosPortoghesi/StoriaDiDadanteVacchi_IlFotografoItalianoCheFondIComandosPortoghesi_SosteniamoPereira.html

https://archive.org/details/StoriaDiDanteVacchi

 

https://archive.org/details/StoriaDiDanteVacchi_733

https://ia601502.us.archive.org/16/items/StoriaDiDanteVacchi_733/Storiadidantevacchi2.pdf

 

ULTERIORE CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76FZ2K6Rc

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601502.us.archive.org%2F16%2Fitems%2FStoriaDiDanteVacchi_733%2FStoriadidantevacchi2.pdf&date=2019-02-17

 

 

 

CONGELAMENTO  8 DI 34

 

Pagina caricata il 12 agosto 2009 da (probabilmente) Alexandre Pomar. Si tratta della presentazione del libro di Dante Vacchi, Penteados de Angola, pubblicato nel 1965, allo scopo di effettuarne la vendita sul mercato dell’antiquariato librario.

 

 

ORIGINAL URL: https://alexandrepomar.typepad.com/alexandre_pomar/2009/12/penteados.html

 

http://www.webcitation.org/74vPISpik

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Falexandrepomar.typepad.com%2Falexandre_pomar%2F2009%2F12%2Fpenteados.html&date=2018-12-25

 

https://archive.org/details/AlexandrePomar_PenteadosDeAngolaDanteVacchi

https://ia801503.us.archive.org/1/items/AlexandrePomar_PenteadosDeAngolaDanteVacchi/AlexandrePomar_PenteadosDeAngolaDanteVacchi.html

https://archive.org/details/DanteVacchiPenteados

 

https://archive.org/details/DanteVacchiPenteados_997

https://ia601507.us.archive.org/30/items/DanteVacchiPenteados_997/Dantevacchipenteados2.pdf

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76FZXBuLN

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601507.us.archive.org%2F30%2Fitems%2FDanteVacchiPenteados_997%2FDantevacchipenteados2.pdf&date=2019-02-17

 

 

 

 

 

CONGELAMENTO 9 DI 34

 

Sempre sul libro Penteados de Angola e, come riferito al congelamento n° 8,  pagina pubblicata allo scopo di effettuare la vendita del libro attraverso il mercato dell’antiquariato librario. Pagina caricata il 7 dicembre 2009, autore della pagina e del caricamento sconosciuto.

 

ORIGINAL URL: http://aervilhacorderosa.com/2009/12/penteados-de-angola/

 

http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Faervilhacorderosa.com%2F2009%2F12%2Fpenteados-de-angola%2F&date=2018-12-25  (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

https://archive.org/details/PenteadosDeAngola_AErvilhaCorDeRosa

https://ia801507.us.archive.org/23/items/PenteadosDeAngola_AErvilhaCorDeRosa/PenteadosDeAngola_AErvilhaCorDeRosa.html (CONGELAMENTO  INTERNET ARCHIVE  TECNICAMENTE  FALLITO)

 

 

https://archive.org/details/PenteadosDeAngola

 

https://archive.org/details/PenteadosDeAngola_56

https://ia601505.us.archive.org/24/items/PenteadosDeAngola_56/Penteadosdeangola3.pdf

 

ULTERIORE CONGELAMENTO WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76Fa9aCTG

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601505.us.archive.org%2F24%2Fitems%2FPenteadosDeAngola_56%2FPenteadosdeangola3.pdf&date=2019-02-17

 

 

 

                                CONGELAMENTO 10 DI 34

 

Pagina caricata probabilmente nel gennaio 2018 sul giornale online  “Observador”. Titolo dell’articolo: Dante Vacchi. O pai fantasma dos Comandos portugueses. Autore dell’articolo: Pedro Raínho. Al 27 dicembre 2018,  probabilmente 2.263 visualizzazioni.

 

 

 

ORIGINAL URL: https://observador.pt/especiais/dante-vacchi-o-pai-fantasma-dos-comandos-portugueses/

 

http://www.webcitation.org/74sJYJOxT

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fobservador.pt%2Fespeciais%2Fdante-vacchi-o-pai-fantasma-dos-comandos-portugueses%2F&date=2018-12-23

 

https://archive.org/details/DanteVacchi.OPaiFantasmaDosComandosPortuguesesObservador

https://ia801505.us.archive.org/18/items/DanteVacchi.OPaiFantasmaDosComandosPortuguesesObservador/DanteVacchi.OPaiFantasmaDosComandosPortuguesesObservador.html

 

https://archive.org/details/ObsevadorDanteVacchi.docx

 

https://archive.org/details/ObsevadorDanteVacchi

https://ia601508.us.archive.org/2/items/ObsevadorDanteVacchi/Obsevadordantevacchi2.pdf

 

ULTERIORE CONGELAMENTO WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76FaXoPgR

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601508.us.archive.org%2F2%2Fitems%2FObsevadorDanteVacchi%2FObsevadordantevacchi2.pdf&date=2019-02-17

                        

                         CONGELAMENTO 11 di 34

 

Pagina Facebook caricata presumibilmente a cura dell’associazione “Associação de Comandos – Bataria da Lage”. Si riferisce alla conferenza, tenuta probabilmente nel giugno 2014 dal TCor CMD António Neves, sulla vita di Dante Vacchi. Titolo di questa conferenza: DANTE VACCHI – Um nómada do mundo.

 

ORIGINAL URL: https://www.facebook.com/pg/batariadalage/photos/?tab=album&album_id=1428029860812228

GLI URL  DI FACEBOOK  NON POSSONO ESSERE CONGELATI  TRAMITE WEBCITE.

https://archive.org/details/AssociaoDeComandos-BatariaDaLage

https://ia801503.us.archive.org/32/items/AssociaoDeComandos-BatariaDaLage/131AssociaoDeComandos-BatariaDaLage-Foto.html

(CONGELAMENTO  INTERNET ARCHIVE TECNICAMENTE  FALLITO)

https://archive.org/details/ConvegnoSuCesareDanteVacchi-Immagini

https://ia801500.us.archive.org/19/items/ConvegnoSuCesareDanteVacchi-Immagini/Cattura.pngCesareDanteVacchiConvegno.png

 

https://archive.org/details/ConvegnoSuCesareDanteVacchi

 

https://archive.org/details/ConvegnoSuCesareDanteVacchi_638

https://ia601501.us.archive.org/28/items/ConvegnoSuCesareDanteVacchi_638/Convegnosucesaredantevacchi4.pdf

 

ULTERIORE CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76Gy0usSw

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601501.us.archive.org%2F28%2Fitems%2FConvegnoSuCesareDanteVacchi_638%2FConvegnosucesaredantevacchi4.pdf&date=2019-02-18

 

 

 

CONGELAMENTO 12 DI 34

 

Pagina caricata “domingo, 3 de junho de 2018”,  autore  Alexandre Pomar. Titolo della scheda: Dante Vacchi, fotógrafo, aventureiro e fantasma. Si presumono scopi commerciali sul libro di Dante Vacchi  Penteados de Angola, come già riferito ai congelamenti n° 8 e n° 9.

 

ORIGINAL  URL:

https://alxpomar.blogspot.com/2018/06/dante-vacchi.html

 

http://www.webcitation.org/74vTNBFAd

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Falxpomar.blogspot.com%2F2018%2F06%2Fdante-vacchi.html&date=2018-12-25

 

https://archive.org/details/AlexandrePomar_DanteVacchiFotgrafoAventureiroEFantasma

https://ia801508.us.archive.org/5/items/AlexandrePomar_DanteVacchiFotgrafoAventureiroEFantasma/AlexandrePomar_DanteVacchiFotgrafoAventureiroEFantasma.html

 

https://archive.org/details/DanteVacchiFotografoAvventurieroFantasma

 

https://archive.org/details/DanteVacchiFotografoAvventurieroFantasma_12

https://ia601509.us.archive.org/4/items/DanteVacchiFotografoAvventurieroFantasma_12/Dantevacchifotografoavventurierofantasma2.pdf

 

ULTERIORE CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76GyX0BHR

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601509.us.archive.org%2F4%2Fitems%2FDanteVacchiFotografoAvventurieroFantasma_12%2FDantevacchifotografoavventurierofantasma2.pdf&date=2019-02-18

 

                         CONGELAMENTO 13 DI 34

 

Pagina caricata il 12 aprile 2009 sulla rivista on line di argomenti militari “Operacional”. Autore dell’articolo LANÇA-FOGUETES DE 37 mm PARA TROPAS TERRESTRES, dove si parla diffusamente  Di Cesare Dante Vacchi, è Miguel Machado.

ORIGINAL URL:

http://www.operacional.pt/lanca-foguetes-de-37mm-para-tropas-terrestres/

 

http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fwww.operacional.pt%2Flanca-foguetes-de-37mm-para-tropas-terrestres%2F&date=2018-12-25

https://archive.org/details/Lana-foguetesDe37mmParaTropasTerrestres_Operacional.CesareDante

 

https://ia801504.us.archive.org/8/items/Lana-foguetesDe37mmParaTropasTerrestres_Operacional.CesareDante/Lana-foguetesDe37mmParaTropasTerrestres_Operacional.html

 

https://archive.org/details/LanciagranateDanteVacchi

 

https://archive.org/details/LanciagranateDanteVacchi_452

https://ia601508.us.archive.org/29/items/LanciagranateDanteVacchi_452/Lanciagranatedantevacchi3.pdf

 

 

ULTERIORE CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76GyxIDzu

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601508.us.archive.org%2F29%2Fitems%2FLanciagranateDanteVacchi_452%2FLanciagranatedantevacchi3.pdf&date=2019-02-18

 

 

                                       CONGELAMENTO  14 DI 34

 

Pagina pubblicata il 12 agosto 2009 da Alexandre Pomar. Valgono  i commenti ai congelamente n° 8, n° 9 e n°12.

 

 

ORIGINAL URL:

https://alexandrepomar.typepad.com/alexandre_pomar/2009/12/penteados.html

 

http://www.webcitation.org/74vqlvjaY

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Falexandrepomar.typepad.com%2Falexandre_pomar%2F2009%2F12%2Fpenteados.html&date=2018-12-25

 

https://archive.org/details/AlexandrePomar_PenteadosDeAngolaDanteVacchi_969

https://ia801500.us.archive.org/3/items/AlexandrePomar_PenteadosDeAngolaDanteVacchi_969/AlexandrePomar_PenteadosDeAngolaDanteVacchi.html

https://archive.org/details/CesareDanteVacchiPendeadosAngola

 

https://archive.org/details/CesareDanteVacchiPendeadosAngola_410

https://ia601506.us.archive.org/9/items/CesareDanteVacchiPendeadosAngola_410/Cesaredantevacchipendeadosangola3.pdf

 

ULTERIORE CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76GzNMsnP

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601506.us.archive.org%2F9%2Fitems%2FCesareDanteVacchiPendeadosAngola_410%2FCesaredantevacchipendeadosangola3.pdf&date=2019-02-18

 

CONGELAMENTO 15 DI 34

 

Il documento in questione è un lungo articolo intitolato Historiography of the Society of Jesus: The Case of France after the Order’s Restoration in 1814, e vi cita il libro di Dante Vacchi e Anne Vuylsteke (cioè Anne Gauze) Les jésuites en liberté. Autori dell’articolo Historiography of the Society of Jesus: The Case of France after the Order’s Restoration in 1814 sono Dominique Avon e Philippe Rocher. Il documento non ha data di caricamento.

ORIGINAL URL:

 https://referenceworks.brillonline.com/entries/jesuit-historiography-online/*-COM_192562

IL DOCUMENTO  HA RIFIUTATO IL CARICAMENTO SU WEBCITE.

 

https://archive.org/details/HistoriographyOfTheSocietyOfJesus_TheCaseOfFranceAfterTheOrders

https://ia601502.us.archive.org/7/items/HistoriographyOfTheSocietyOfJesus_TheCaseOfFranceAfterTheOrders/HistoriographyOfTheSocietyOfJesus_TheCaseOfFranceAfterTheOrdersRestorationIn1814-BrillReference.html

 

https://archive.org/details/GesuitiDanteVacchi

 

https://archive.org/details/GesuitiDanteVacchi_231

https://ia601500.us.archive.org/3/items/GesuitiDanteVacchi_231/Gesuitidantevacchi2.pdf

ULTERIORE CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76GzxVJCA

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601500.us.archive.org%2F3%2Fitems%2FGesuitiDanteVacchi_231%2FGesuitidantevacchi2.pdf&date=2019-02-18

 

                     CONGELAMENTO  16 DI 34

 

Questo documento è la versione elettronica in formato PDF della rivista dei commandos portoghesi MAMASUME (Propriedade da Associação de Comandos Instituição de utilidade pública, fundada em 14 de Novembro de 1975 Membro Honorário da Ordem do Infante D. Henrique No de Contribuinte: 501082875) e si tratta del numero del dicembre-gennaio 2012 (Janeiro/Dezembro 2012 Registo no I.C.S. nº. 124782 Depósito Legal Tiragem 2500 exemplares). La rivista dichiara 2500 copie ma non sappiamo quanto visite abbia ottenuto questo caricamento in rete della rivista. Ad ogni buon conto, a pagina 41 di questo numero compare un articolo di Victor M. C. Santos Monsieur Dante, “Le Renard”.

 

 

ORIGINAL URL: http://www.aofa.pt/rimp/MAMASUME_JAN_DEZ_2012.pdf

 

http://www.webcitation.org/74smRkHah

http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fwww.aofa.pt%2Frimp%2FMAMASUME_JAN_DEZ_2012.pdf&date=2018-12-23ù

 

https://archive.org/details/Mamasume_jan_dez_2012CesareDanteVacchi

https://ia601508.us.archive.org/25/items/Mamasume_jan_dez_2012CesareDanteVacchi/MAMASUME_JAN_DEZ_2012.pdf

ULTERIORE CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76H0ncDpm

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601508.us.archive.org%2F25%2Fitems%2FMamasume_jan_dez_2012CesareDanteVacchi%2FMAMASUME_JAN_DEZ_2012.pdf&date=2019-02-18

 

 

 

CONGELAMENTO 17 DI 34

 

Il sito reca il titolo “Blogue do “Povo de Portugal”” e alla pagina all’ORIGINAL URL qui in calce riporta un articolo dal titolo História dos Comandos portugueses, Raúl Folques (Cor) e António Neves (Ten-Cor) desde o início A historia dos Comandos ma l’autore di questo articolo (ma sarebbe meglio chiamarlo articolo-intervista) non è né Raúl Folques né António Neves (lo stesso che al congelamento n°  11 abbiamo riferito che nel giugno 2014 aveva tenuto una conferenza dal titolo DANTE VACCHI – Um nómada do mundo) ma Paulino Fernandes. Purtroppo, non viene riportata la data di caricamento di questo importante documento  sul “Blogue do “Povo de Portugal”” e neppure il numero di visite che  sono state effettuate su questa pagina. Vacchi in questo fondamentale documento viene citato ben 58 volte.

 

ORIGINAL URL:

http://jornalpovodeportugal.eu/2017/01/15/historia-dos-comandos-portugueses-raul-folques-cor-e-antonio-neves-ten-cor-desde-o-inicio/

 

http://www.webcitation.org/74sr5TqQG

http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fjornalpovodeportugal.eu%2F2017%2F01%2F15%2Fhistoria-dos-comandos-portugueses-raul-folques-cor-e-antonio-neves-ten-cor-desde-o-inicio%2F&date=2018-12-23

 

https://archive.org/details/HistriaDosComandosPortuguesesRalFolquescorEAntnioNeves

https://ia801506.us.archive.org/21/items/HistriaDosComandosPortuguesesRalFolquescorEAntnioNeves/HistriaDosComandosPortuguesesRalFolquescorEAntnioNevesten-corDesdeOIncio_blogueDo_povoDePortugal_.html

 

https://archive.org/details/HistriaDosComandosPortugueses

 

https://archive.org/details/HistriaDosComandosPortugueses_510

https://ia601500.us.archive.org/23/items/HistriaDosComandosPortugueses_510/Histriadoscomandosportugueses2.pdf

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76H1Vd40G

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601500.us.archive.org%2F23%2Fitems%2FHistriaDosComandosPortugueses_510%2FHistriadoscomandosportugueses2.pdf&date=2019-02-18

 

 

CONGELAMENTO  18 DI 34

 

Sito Internet che reca il titolo “Guerra Colonial 1961-1974”. La pagina dall’ ORIGINAL URL in calce riporta una scheda dal titolo Comandos. Nella scheda si cita Dante Cesare Vacchi ma storpiandone il cognome in Vachi («A história dos Comandos portugueses começou em 1962, quando, em Zemba, no Norte de Angola, foram constituídos os primeiros seis grupos daqueles que seriam os antecessores dos comandos. Para a preparação destes grupos foi criado o CI 21 – Centro de Instrução Especial de Contraguerrilha, que funcionou junto do Batalhão de Caçadores 280, comandado pelo tenente-coronel Nave, e que teve como instrutor o fotógrafo italiano Dante Vachi, com experiência das guerras da Argélia e da Indochina.»). Autore della sceda: non riportato. Data dell’immissione della scheda in rete: non riportata. Numero di accessi: non riportati.

ORIGINAL URL:  http://www.guerracolonial.org/index.php?content=310

 

http://www.webcitation.org/74stXVAzz

http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fwww.guerracolonial.org%2Findex.php%3Fcontent%3D310&date=2018-12-23

 

https://archive.org/details/GuerraColonial1961-1974 (CONGELAMENTO  INTERNET ARCHIVE TECNICAMENTE  FALLITO)

https://ia801501.us.archive.org/1/items/GuerraColonial1961-1974/GuerraColonial__1961-1974.html   (CONGELAMENTO  INTERNET ARCHIVE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

 

https://archive.org/details/GuerraColonial

 

https://archive.org/details/GuerraColonial_938

https://ia601504.us.archive.org/0/items/GuerraColonial_938/Guerracolonial2.pdf

 

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76H2HzJfA

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601504.us.archive.org%2F0%2Fitems%2FGuerraColonial_938%2FGuerracolonial2.pdf&date=2019-02-18

 

 

CONGELAMENTO 19 DI 34

 

Dissertação de Mestrado em Jornalismo svolta nell’ambito della FCSH, Faculdade de Ciências Sociais e Humanas da Universidade NOVA de Lisboa,  titolo: Guerra Colonial na revista Notícia A cobertura jornalística do conflito ultramarino português em Angola. Autore: Sílvia Manuela Marques Torres. A p. 62 Cesare Dante Vacchi viene citato due volte in relazione ad un servizio giornalistico che Vacchi fece su Salazar: «Salazar surge pela primeira vez na Notícia a 14 de Julho de 1961. A reportagem de duas páginas, a preto e branco, sem direito a qualquer menção na capa, foi da autoria de Dante Vacchi. O jornalista conta tudo o que fez desde o dia em que pediu autorização para fotografar o “palacete senhoril” até à conversa que teve com Salazar. Duas idas à casa do “homem que, sozinho e em silêncio, governa um país inteiro” foram necessárias para o resultado final. A casa é retratada ao pormenor; os passos dados e as pessoas com quem se cruza são descritos por ordem. Três fotografias ilustram a peça: na primeira página, Salazar está sentado com os olhos postos num jornal; na segunda, uma fotografia maior mostra o presidente sentado numa poltrona a consultar um dossier e, na mais pequena, Salazar está de pé, no jardim, junto a um galinheiro. O artigo dá também destaque a uma caixa que revela que “pela primeira vez um jornalista consegue penetrar na intimidade do presidente português”. Em As Origens da Reportagem – Televisão154, Jacinto Godinho encontrou o mesmo cenário de “suspense” na primeira reportagem televisiva feita sobre Salazar, da autoria de Baptista Rosa. A 28 de Abril de 1958, o telespectador, curioso por “ver o que raramente aparecia”, entra de facto na casa do “pouco visível mas omnipresente homem do poder português”, mas não na sua vida íntima, como desejava. Entre um “distanciamento aproximado” e uma “proximidade distante”, o telespectador, assim como o leitor da reportagem de Dante Vacchi, “viu mas sem ver”, continuando, na realidade, a intimidade de Salazar num abrigo inultrapassável.» La tesi riporta come data marzo 2012 ma non è possibile  risalire alla data dell’immissione in rete né al numero delle visite effettuate sulla pagina.

 

ORIGINAL URL:

https://run.unl.pt/bitstream/10362/7280/1/Disserta%C3%A7%C3%A3o%20de%20Mestrado_S%C3%ADlvia%20Torres_aluna20606.docx.pdf

 

http://www.webcitation.org/74suTo18B

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Frun.unl.pt%2Fbitstream%2F10362%2F7280%2F1%2FDisserta%25C3%25A7%25C3%25A3o%2520de%2520Mestrado_S%25C3%25ADlvia%2520Torres_aluna20606.docx.pdf&date=2018-12-23

 

https://archive.org/details/DissertaoDeMestrado_slviaTorres

https://ia601502.us.archive.org/29/items/DissertaoDeMestrado_slviaTorres/DissertaoDeMestrado_slviaTorres_aluna20606.docx1.pdf

 

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76H2dBjB0

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601502.us.archive.org%2F29%2Fitems%2FDissertaoDeMestrado_slviaTorres%2FDissertaoDeMestrado_slviaTorres_aluna20606.docx1.pdf&date=2019-02-18

 

                          

                        

                            CONGELAMENTO 20 DI 34

 

Sempre lo stesso numero della rivista MAMASUME di cui si è già detto al congelamento n° 16.

 

URL ORIGINALI:

http://associacaocomandos.pt/associacao-comandos/publicacoes/revista-mama-sume/revista-mama-sume-no-075/, http://docplayer.com.br/11553723-Mamasume-revista-da-associacao-de-comandos.html#show_full_text e https://drive.google.com/file/d/0B-579B5eCQ29UWt3aEFOR2MxWEk/view

 

http://www.webcitation.org/74svYITOD   (CONGELAMENTO  WEBCITE  TECNICAMENTE  FALLITO)

 

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fdrive.google.com%2Ffile%2Fd%2F0B-579B5eCQ29UWt3aEFOR2MxWEk%2Fview&date=2018-12-23  (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

 

https://archive.org/details/MamasumeRevistaDaAssociaoDeComandos

 

https://archive.org/details/MamasumeRevistaDaAssociaoDeComandos_628

https://ia601502.us.archive.org/2/items/MamasumeRevistaDaAssociaoDeComandos_628/Mamasumerevistadaassociaodecomandos4.pdf

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76H34dUhz

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601502.us.archive.org%2F2%2Fitems%2FMamasumeRevistaDaAssociaoDeComandos_628%2FMamasumerevistadaassociaodecomandos4.pdf&date=2019-02-18

 

 CONGELAMENTO  21 DI 34

 

“Diário de Notícias” del 09 Junho 2007. Autore: Manuel Carlo Freire. Titolo dell’articolo: Nascidos na guerra. Citazione: «Um jornalista italiano da revista francesa Paris-Match com duvidosa experiência em conflitos militares está na origem do modelo de treino das tropas Comandos, criadas a contra- -relógio pelo Exército, nos anos 1960, para a luta de contra-guerrilha em África. Cesare Dante Vacchi, antigo sargento da Legião Estrangeiro, “afirmava ter uma grande experiência de guerra, porque tinha vivido alguns conflitos. Nunca cheguei a perceber muito bem se todos como jornalista ou alguns como combatente. Ele também não era muito claro nisso”, lembra o então tenente Caçorino Dias, instrutor dos dois grupos de operacionais que dariam origem (em 1963/64) às forças especiais de Comandos.»). Non si riporta il numero di accessi alla pagina.

 

ORIGINAL URL: https://www.dn.pt/arquivo/2007/interior/nascidos-na-guerra-659045.html

 

http://www.webcitation.org/74tsFgXqw

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fwww.dn.pt%2Farquivo%2F2007%2Finterior%2Fnascidos-na-guerra-659045.html&date=2018-12-24

 

https://archive.org/details/NascidosNaGuerra

https://ia601509.us.archive.org/14/items/NascidosNaGuerra/NascidosNaGuerra.html

 

https://archive.org/details/NascidosVacchi.docx

 

 

https://archive.org/details/NascidosVacchi

https://ia601503.us.archive.org/27/items/NascidosVacchi/Nascidosvacchi2.pdf

 

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76H3eLo0h

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601503.us.archive.org%2F27%2Fitems%2FNascidosVacchi%2FNascidosvacchi2.pdf&date=2019-02-18

 

 

 

 

CONGELAMENTO 22 DI 34

 

Senza data e senza autore. Articolo intitolato As Forças Armadas Portuguesas nel quale viene citato Dante Vacchi. Passaggio dove viene citato Dante Vacchi: «Atualmente, os Comandos estão vocacionados para a realização das seguintes missões: Operações de ataque em profundidade na área da retaguarda do inimigo; Operações aerómoveis; Operações de contra insurreição; Operações como força de intervenção no âmbito da Segurança da área da retaguarda; Operações de apoio à paz, com prioridade para as operações de imposição de paz; Operações humanitárias, com prioridade para as operações de evacuação de não combatentes (NEO). História Os Comandos nasceram como força especial de contra-guerrilha, correspondendo à necessidade do Exército Português de dispor de unidades especialmente adaptadas a este tipo de guerra com que, em 1961, se viu enfrentada, durante a Guerra do Ultramar. A força destinava-se a: Realizar acções especiais em território português ou no estrangeiro; Combater como tropas de infantaria de assalto; Dotar os altos comandos políticos e militares de uma força capaz de realizar operações irregulares. A instituição torna-se operacional em 25 de junho de 1962, quando, em Zemba, no Norte de Angola, foram constituídos os primeiros seis grupos do que seriam considerados os antecessores dos comandos. Seria criado o CI 21 (Centro de Instrução de Contra-Guerrilha), que funcionou perto do Batalhão de Caçadores 280, e que contou como instrutor com o fotógrafo italiano e antigo sargento da Legião Estrangeira, Dante Vacchi, que já trazia experiência das guerras em Argélia e Indochina. Dado que os seis grupos preparados neste centro obtiveram excelentes resultados operacionais, o comando militar em Angola decidiu integrá-los na orgânica do Exército entre 1963 e 1964, criando os CI 16 e CI 25, na Quibala, Angola. Surgia assim, pela primeira vez, a designação de “Comandos” para as tropas aí instruídas. A 26 de Abril de 1985 o Regimento de Comandos foi agraciado com o grau de Membro-Honorário da Ordem Militar da Torre e Espada, do Valor, Lealdade e Mérito e a 13 de Dezembro de 1993 com o grau de Membro-Honorário da Ordem Militar de Avis.»

ORIGINAL URL: http://defesanacional.org/index.php/espaco-menu/historia-de-portugal/555-as-forcas-armadas-portuguesas

IL DOCUMENTO  HA  RIFIUTATO IL CARICAMENTO SU WEBCITE.

https://archive.org/details/AsForasArmadasPortuguesas

https://ia801507.us.archive.org/1/items/AsForasArmadasPortuguesas/AsForasArmadasPortuguesas.html

 

https://archive.org/details/HistriaDosComandosPortuguesesCesareDanteVacchi

https://archive.org/details/HistriaDosComandosPortuguesesCesareDanteVacchi_702

https://ia601505.us.archive.org/35/items/HistriaDosComandosPortuguesesCesareDanteVacchi_702/Histriadoscomandosportuguesescesaredantevacchi2.pdf

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76H4PDNCZ

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601505.us.archive.org%2F35%2Fitems%2FHistriaDosComandosPortuguesesCesareDanteVacchi_702%2FHistriadoscomandosportuguesescesaredantevacchi2.pdf&date=2019-02-18

 

                     CONGELAMENTO 23 DI 34

 

Pagina a scopo di mercato antiquario dove si presenta il libro di Dante Vacchi Angola 1961-1963. Autore pagina sconosciuto ma pagina forse caricata nel 2016 da Le Plac’Art Photo. Valgono i commenti ai congelamenti  n° 8, n° 9 e n° 12.

 

ORIGINAL URL: https://placartphoto.com/book/150/angola_1961_-_1963-_anne_gauzes__dante_vacchi

 

http://www.webcitation.org/74yyS0tKQ

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fplacartphoto.com%2Fbook%2F150%2Fangola_1961_-_1963-_anne_gauzes__dante_vacchi&date=2018-12-27

 

https://archive.org/details/AnneGauzes

 

https://archive.org/details/AnneGauzes_105

https://ia601502.us.archive.org/22/items/AnneGauzes_105/Annegauzes2.pdf

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76H4o3JD9

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601502.us.archive.org%2F22%2Fitems%2FAnneGauzes_105%2FAnnegauzes2.pdf&date=2019-02-18

 

 

CONGELAMENTO 24 DI 34

 

Pagina caricata il 9 dicembre 2013 per presentare il libro Porto di Dante Vacchi ed Anne Gauze («‘PORTO’ De Dante Vacchi e Anne Gauzes Edição de Milão 1965»). Autore: sconosciuto. Numero di accessi: sconosciuti. Pagina caricata a scopi commerciali per il mercato antiquario del libro come da congelamenti  n° 8, n° 9, n° 12 e n° 23.

ORIGINAL URL: http://livrosultramarguerracolonial.blogspot.com/2013/12/portugal-porto-de-dante-vacchi-e-anne.html

 

http://www.webcitation.org/74zrswLW3

http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Flivrosultramarguerracolonial.blogspot.com%2F2013%2F12%2Fportugal-porto-de-dante-vacchi-e-anne.html&date=2018-12-28

https://archive.org/details/PortugalPortoDanteVacchiEAnneGauzes

 

https://archive.org/details/PortugalPortoDanteVacchiEAnneGauzes_583

https://ia601504.us.archive.org/13/items/PortugalPortoDanteVacchiEAnneGauzes_583/Portugalportodantevacchieannegauzes2.pdf

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76H560oIK

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601504.us.archive.org%2F13%2Fitems%2FPortugalPortoDanteVacchiEAnneGauzes_583%2FPortugalportodantevacchieannegauzes2.pdf&date=2019-02-18

 

CONGELAMENTO 25 DI 34

Pagina caricata a scopo commerciale per la vendita del libro di Anne Gauze e Dante Vacchi Porto. Non si conosce autore pagina, data di caricamento e numero di accessi. Commento, come ai punti n° 8, n° 9, n° 12, n° 23 e n° 24.

 

ORIGINAL URL: https://fr.shopping.rakuten.com/offer/buy/19407373/Gauzes-Anne-Porto-Livre.html

 

http://www.webcitation.org/74ztNS76q (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Ffr.shopping.rakuten.com%2Foffer%2Fbuy%2F19407373%2FGauzes-Anne-Porto-Livre.html&date=2018-12-28  (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

https://archive.org/details/LibroSuPortoDanteVacchi

 

https://archive.org/details/LibroSuPortoDanteVacchi_876

https://ia601502.us.archive.org/28/items/LibroSuPortoDanteVacchi_876/Librosuportodantevacchi3.pdf

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76H5eioQ0

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601502.us.archive.org%2F28%2Fitems%2FLibroSuPortoDanteVacchi_876%2FLibrosuportodantevacchi3.pdf&date=2019-02-18

 

 

CONGELAMENTO  26 DI 34

 

A pagina 24 di The Fuzileiros: Portuguese Marines in Africa, 1961–1974 di John P. Cann si citano come fotografi Anne Gaüzes e Dante Vacchi.

 

ORIGINAL URL: https://books.google.it/books?id=cpW0DAAAQBAJ&pg=PA24&lpg=PA24&dq=Anne+Ga%C3%BCzes&source=bl&ots=TGkjENUGM6&sig=jZagR056ss4oRfvgJl9pZCDgobM&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwiiiMOC7rzfAhXN_KQKHTESBTUQ6AEwCXoECAQQAQ#v=onepage&q=Anne%20Ga%C3%BCzes&f=false

 

http://www.webcitation.org/76H5tRt77 (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fbooks.google.it%2Fbooks%3Fid%3DcpW0DAAAQBAJ%26pg%3DPA24%26lpg%3DPA24%26dq%3DAnne%2BGa%25C3%25BCzes%26source%3Dbl%26ots%3DTGkjENUGM6%26sig%3DjZagR056ss4oRfvgJl9pZCDgobM%26hl%3Dit%26sa%3DX%26ved%3D2ahUKEwiiiMOC7rzfAhXN_KQKHTESBTUQ6AEwCXoECAQQAQ%23v%3Donepage%26q%3DAnne%2520Ga%25C3%25BCzes%26f%3Dfalse&date=2019-02-18 (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

https://archive.org/details/TheFuzileiros_PortugueseMarinesInAfrica19611974-JohnP.Cann- (CONGELAMENTO  INTERNET ARCHIVE TECNICAMENTE  FALLITO

https://ia801505.us.archive.org/15/items/TheFuzileiros_PortugueseMarinesInAfrica19611974-JohnP.Cann-/TheFuzileiros_PortugueseMarinesInAfrica19611974-JohnP.Cann-GoogleLibri.html  (CONGELAMENTO  INTERNET ARCHIVE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

https://archive.org/details/TheFuzileiros_PortugueseMarinesInAfrica19611974-JohnP.Cann-_985 (CONGELAMENTO  INTERNET ARCHIVE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

 

https://ia601503.us.archive.org/7/items/TheFuzileiros_PortugueseMarinesInAfrica19611974-JohnP.Cann-_985/TheFuzileiros_PortugueseMarinesInAfrica19611974-JohnP.Cann-GoogleLibri.html (CONGELAMENTO  INTERNET ARCHIVE TECNICAMENTE  FALLITO)

https://archive.org/details/TheFuzileiros_PortugueseMarinesInAfrica19611974-JohnP.CannDante

 

https://archive.org/details/TheFuzileiros_PortugueseMarinesInAfrica19611974-JohnP.Cann

https://ia601508.us.archive.org/12/items/TheFuzileiros_PortugueseMarinesInAfrica19611974-JohnP.Cann/Thefuzileiros_portuguesemarinesinafrica19611974-johnp.cann2.pdf

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76H6SbDI1

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601508.us.archive.org%2F12%2Fitems%2FTheFuzileiros_PortugueseMarinesInAfrica19611974-JohnP.Cann%2FThefuzileiros_portuguesemarinesinafrica19611974-johnp.cann2.pdf&date=2019-02-18

 

                     CONGELAMENTO 27 DI 34

 

Alle pp. 6, 7 e 18 di The Flechas: Insurgent Hunting in Eastern Angola, 1965 1974 di John P. Cann si cita Cesare Vacchi.

 

ORIGINAL URL:

https://books.google.it/books?id=JeXZAwAAQBAJ&printsec=frontcover&dq=The+Flechas:+Insurgent+Hunting+in+Eastern+Angola,+1965-1974&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiszP7E79bfAhVM1VkKHdhTB8UQ6AEIKDAA#v=onepage&q=VACCHI&f=false

 

http://www.webcitation.org/76I9TvzU5 (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fbooks.google.it%2Fbooks%3Fid%3DJeXZAwAAQBAJ%26printsec%3Dfrontcover%26dq%3DThe%2BFlechas%3A%2BInsurgent%2BHunting%2Bin%2BEastern%2BAngola%2C%2B1965-1974%26hl%3Dit%26sa%3DX%26ved%3D0ahUKEwiszP7E79bfAhVM1VkKHdhTB8UQ6AEIKDAA%23v%3Donepage%26q%3DVACCHI%26f%3Dfalse&date=2019-02-18 (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

https://archive.org/details/Vacchi-Flechas

 

https://archive.org/details/Vacchi-Flechas-Caan

https://ia601507.us.archive.org/0/items/Vacchi-Flechas-Caan/Vacchi-Flechas-Caan.pdf

 

 

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76I9nwjjl

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601507.us.archive.org%2F0%2Fitems%2FVacchi-Flechas-Caan%2FVacchi-Flechas-Caan.pdf&date=2019-02-18

      

                          CONGELAMENTO 28 DI 34

 

Autore: Victor Santo, articolo: De Noqui À Amodora, pp. 16-21. Buona parte dell’articolo è dedicato a o francês, « «Monsieur» Dante Vacchi …», e il soprannome era dovuto alla sua fama che faceva dire «Ele mesmo, o Francês. Consta que combateu na Argélia e fez parte dos « Comandos», vocês sabem o que é… essa tropa especial que às vezes aparece nos filmes …» La pagina PDF è tratta da “Mamasume” dell’aprile 1980. Allo stato della ricerca, questo è la più vecchia fonte secondaria che parla di Cesare Dante Vacchi come fondatore dei commandos portoghesi. Si ignora data di immissione nel Web della pagina.

 

ORIGINAL URL:

http://associacaocomandos.pt/_warehouse/mamasume/rvms-pdf/RVMS-009-1980c-Abril.pdf

http://www.webcitation.org/76IAe56jm

http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fassociacaocomandos.pt%2F_warehouse%2Fmamasume%2Frvms-pdf%2FRVMS-009-1980c-Abril.pdf&date=2019-02-18

 

https://archive.org/details/Rvms-009-1980c-abril.pdfMamasume-Vacchi

https://ia601505.us.archive.org/35/items/Rvms-009-1980c-abril.pdfMamasume-Vacchi/Rvms-009-1980c-abril.pdfMamasume-Vacchi.pdf

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76IA6p8Oc

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601505.us.archive.org%2F35%2Fitems%2FRvms-009-1980c-abril.pdfMamasume-Vacchi%2FRvms-009-1980c-abril.pdfMamasume-Vacchi.pdf&date=2019-02-18

 

 

                               CONGELAMENTO 29 DI 34

 

Video su YouTube intitolato Tropa de Elite Portuguesa em Africa – Comandos Flechas, caricato da “Angola Documentários”, pubblicato l’ 8 novembre 2017. Al 7 febbrario 2018, 1753 visualizzazioni. Dopo circa 3 minuti dall’inizio del video, si parla di Dante Vacchi.  In calce ai relativi URL, copiaincollato il commento al video, ove vi si cita Dante Vacchi.

 

ORIGINAL URL:

https://www.youtube.com/watch?v=-EwjO4Aar_I

GLI URL E I VIDEO DI YOUTUBE NON POSSONO ESSERE CONGELATI  TRAMITE WEBCITE.

 

https://archive.org/details/TropaDeElitePortuguesaEmAfrica-ComandosFlechas

https://ia601506.us.archive.org/33/items/TropaDeElitePortuguesaEmAfrica-ComandosFlechas/TropaDeElitePortuguesaEmAfrica-ComandosFlechas.mp4

Tropa de Elite Portuguesa em Africa – Comandos Flechas

1.528 visualizzazioni

160CONDIVIDISALVA

Angola Documentários

Pubblicato il 8 nov 2017

 

O Regimento de Comandos, Centro de Tropas Comandos ou os Comandos são uma força de elite do Exército Português com treino avançado para a realização de operações ou manobras que envolvam alto risco e baixo índice de sucesso, que poderiam ser apenas realizados por uma infantaria altamente qualificada. Os Flechas foram forças de operações especiais dependentes da Polícia Internacional e de Defesa do Estado (PIDE), criadas, inicialmente em Angola, para actuar na Guerra do Ultramar. Os membros dos Flechas eram recrutados entre determinados grupos nativos, nomeadamente ex-guerrillheiros e membros da etnia bosquímane (khoisan). Os bosquímanos que historicamente tinham sido invadidos pelos povos Bantu não tinham qualquer problema a aliar-se aos portugueses, dado que viam nos movimentos de libertação o Bantu invasor do seu território. Estes eram especialmente escolhidos pelas seus conhecimentos do inimigo, conhecimento do terreno, conhecimento das populações locais, etc. É de salientar que os bosquímanos eram um povo caçador-recolector, logo exímios intérpretes de rastos e pistas deixadas no terreno pelo inimigo dada a sua experiência em perseguição de caça. Esses membros nativos eram enquadrados por oficiais do Exército Português e por agentes da PIDE e recebiam treino de forças especiais. Os Comandos nasceram como força especial de contra-guerrilha, correspondendo à necessidade do Exército Português de dispor de unidades especialmente adaptadas a este tipo de guerra com que, em 1961, se viu enfrentada, durante a Guerra do Ultramar. A força destinava-se a: – Realizar acções especiais em território português ou no estrangeiro; – Combater como tropas de infantaria de assalto; – Dotar os altos comandos políticos e militares de uma força capaz de realizar operações irregulares. A instituição torna-se operacional em 25 de junho de 1962, quando, em Zemba, no Norte de Angola, foram constituídos os primeiros seis grupos do que seriam considerados os antecessores dos comandos. Seria criado o CI 21 (Centro de Instrução de Contra-Guerrilha), que funcionou perto do Batalhão de Caçadores 280, e que contou como instrutor com o fotógrafo italiano e antigo sargento da Legião Estrangeira, Dante Vacchi, que já trazia experiência das guerras em Argélia e Indochina.

 

 

 

 

CONGELAMENTO 30 DI 34

 

Video su YouTube Os Flechas – A Tropa Secreta da PIDE/DGS 1967 (Angola Portuguesa), pubblicato da Miguel Ferreira, l’ 8 settembre 2018. Al 7 febbraio 2019, 168  visualizzazioni. Il video non cita Vacchi in relazione alla fondazione dei commandos portoghesi, ma si diffonde ampiamente sul ruolo della PIDE nella guerra coloniale portoghese e sia questa sottolineatura sul ruolo della sì famigerata polizia politica ma, comunque, portoghese sia non citare Vacchi dimostra che a tuttoggi il riconoscimento dell’operato di Vacchi nella guerra coloniale portoghese non è ancora una memoria condivisa. In calce agli URL, copiaincollato il testo di commento al video.

 

 

ORIGINAL URL:

https://www.youtube.com/watch?v=p3jDL98Nstg

GLI URL E I VIDEO DI YOUTUBE NON POSSONO ESSERE CONGELATI  TRAMITE WEBCITE

https://archive.org/details/OsFlechas-ATropaSecretaDaPide_dgs1967angolaPortuguesa

https://ia601500.us.archive.org/26/items/OsFlechas-ATropaSecretaDaPide_dgs1967angolaPortuguesa/OsFlechas-ATropaSecretaDaPide_dgs1967angolaPortuguesa.mp4

 

 

Durante a guerra de Angola, a PIDE/DGS criou um grupo paramilitar de bosquímanos, um povo africano. Os Flechas nasceram na região do Cuando-Cubango, propagaram-se à vila de Gago Coutinho (Lumbala Nguimbo) e, na fase final do conflito, chegaram à região de Luanda, Luso (Luena) e Caxito. Em 1967, seis anos depois do início da guerra em Angola, a PIDE/DGS começou a recrutar novos membros entre algumas etnias africanas com o objectivo de integrá-los num novo grupo paramilitar autóctone, criado nesse ano pelo inspector Óscar Cardoso. Foi o próprio Óscar Cardoso que lhes escolheu o nome, por utilizarem arcos e flechas envenenadas para caçarem. A ordem era que capturassem os opositores e os levassem para serem interrogados. Porém, isso raramente acontecia — na maioria das vezes, os “Flechas” acabavam por matar os insurgentes durante os confrontos. Alimentavam-se de raízes, carochas, insectos, frutos e animais, e negavam as rações de combate. Na única ocasião em que lhes foram fornecidas rações de combate, os bosquímanos comeram literalmente tudo de uma vez. Nem os plásticos que protegiam alguns alimentos se safaram. Em Angola, os missionários protestantes e católicos eram os únicos capazes de comunicar com os bosquímanos e outros grupos étnicos.

 

 

 

 

 

 

CONGELAMENTO  31 DI 34

 

Da Fernando Cavaleiro Ângelo (pref. Óscar Cardoso), Os Flechas: A Tropa Secreta da PIDE/DGS na Guerra de Angola (1967-1974), 1a ed. Alfragide, Casa das Letras, 2017 (numero di pagina non determinabile tramite motore di ricerca di Google libri): «Durante a estada da OAS em Portugal, Óscar  Cardoso desconhece que os seus agentes tenham ministrado cursos de guerrilha às nossas  forças   armadas. Existiu, contudo, um Italiano, Dante Vacchi, que deu instruçao aos Comandos do […] [citazione interrotta perché la pagina mostrata dal motore di ricerca Google libri, oltre a non mostrare il numero della pagina, non riporta nemmeno la frase intera].»

ORIGINAL URL:

https://books.google.it/books?id=4lEsDgAAQBAJ&printsec=frontcover&dq=inauthor:%22Fernando+Cavaleiro+%C3%82ngelo%22&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjZoO-bndvfAhVR2KQKHekTDTwQ6AEIKDAA#v=onepage&q=vachi&f=false

http://www.webcitation.org/76IAtD44J (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fbooks.google.it%2Fbooks%3Fid%3D4lEsDgAAQBAJ%26printsec%3Dfrontcover%26dq%3Dinauthor%3A%2522Fernando%2BCavaleiro%2B%25C3%2582ngelo%2522%26hl%3Dit%26sa%3DX%26ved%3D0ahUKEwjZoO-bndvfAhVR2KQKHekTDTwQ6AEIKDAA%23v%3Donepage%26q%3Dvachi%26f%3Dfalse&date=2019-02-18 (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

 

 

https://archive.org/details/OsFlechasTropaSecretaVacchi

 

https://archive.org/details/OsFlechasTropaSecretaDanteVacchi

https://ia601509.us.archive.org/26/items/OsFlechasTropaSecretaDanteVacchi/OsFlechasTropaSecretaDanteVacchi.pdf

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76IB57sZ8

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601509.us.archive.org%2F26%2Fitems%2FOsFlechasTropaSecretaDanteVacchi%2FOsFlechasTropaSecretaDanteVacchi.pdf&date=2019-02-18

 

CONGELAMENTO   32 DI 34

 

Dante Vacchi citato in Wikpedia alla voce “Comandos (Exército Português)”

 

ORIGINAL URL:

https://pt.wikipedia.org/wiki/Comandos_(Ex%C3%A9rcito_Portugu%C3%AAs)

 

http://www.webcitation.org/76IBM8Jsw

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fpt.wikipedia.org%2Fwiki%2FComandos_%28Ex%25C3%25A9rcito_Portugu%25C3%25AAs%29&date=2019-02-18

 

https://archive.org/details/ComandosexrcitoPortugusWikipdiaAEnciclopdiaLivre

https://ia801506.us.archive.org/35/items/ComandosexrcitoPortugusWikipdiaAEnciclopdiaLivre/ComandosexrcitoPortugusWikipdiaAEnciclopdiaLivre.html

 

https://archive.org/details/COMANDOSVACCHIWIKIPEDIA

https://ia801506.us.archive.org/18/items/COMANDOSVACCHIWIKIPEDIA/COMANDOS%20VACCHI%20WIKIPEDIA.pdf

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76ICcXkRS

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia801506.us.archive.org%2F18%2Fitems%2FCOMANDOSVACCHIWIKIPEDIA%2FCOMANDOS%2520VACCHI%2520WIKIPEDIA.pdf+&date=2019-02-18 (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

 

CONGELAMENTO  33 DI 34

Articolo:  Contra-Insurreição em África. O Modo Português de Fazer a Guerra (1961-1974). Autore: John P. Cann. Si tratta di una recensione dell’autore in merito a José Freire Antunes, Guerra de África – 1961-1974, Vol. I .  In calce agli URL ampia citazione della pagina in cui viene citato Vacchi (ma Caan non precisa il numero della pagina). Immesso in Rete: quarta-feira, 31 de maio de 2017.

 

 

ORIGINAL URL:

http://liceu-aristotelico.blogspot.com/2017/05/contra-insurreicao-em-africa-o-modo.html

 

http://www.webcitation.org/76ID5clAs

http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fliceu-aristotelico.blogspot.com%2F2017%2F05%2Fcontra-insurreicao-em-africa-o-modo.html&date=2019-02-18

 

https://archive.org/details/MiguelBrunoDuarte_Contra-insurreioEmfrica.OModoPortugusDe

https://ia601505.us.archive.org/16/items/MiguelBrunoDuarte_Contra-insurreioEmfrica.OModoPortugusDe/MiguelBrunoDuarte_Contra-insurreioEmfrica.OModoPortugusDeFazerAGuerra1961-1974.html

 

https://archive.org/details/RecensioniCaan-Vacchi

https://archive.org/details/RecensioniCaan-DanteVacchi

https://ia601505.us.archive.org/4/items/RecensioniCaan-DanteVacchi/RecensioniCaan-DanteVacchi.pdf

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76IDSJxUd

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601505.us.archive.org%2F4%2Fitems%2FRecensioniCaan-DanteVacchi%2FRecensioniCaan-DanteVacchi.pdf&date=2019-02-18

 

«Para os primeiros cursos de comandos, em Angola, contrataram um indivíduo franco-italiano, o Dante Vacchi, que tinha sido sargento na Legião Estrangeira. Sem dúvida que tinha limitações na sua formação e na parte táctica, mas tinha uma preparação técnica muito grande entre arame farpado. Trouxe grandes inovações. Os oficiais que estavam à frente aceitaram o homem, naturalmente dando-lhe o desconto na parte táctica porque ele, como sargento, tinha limitações. Mas dentro do arame farpado foi extraordinário.
Nessa altura tinham saído e andavam em voga aqueles livros franceses, Os CenturiõesOs Pretorianos, etc. “Bebíamos” aqueles livros. Para nós, portugueses, a experiência francesa foi muito rica. Foram os homens que estiveram na Indochina, estiveram prisioneiros, depois foram para a Argélia. Houve oficiais portugueses que estiveram meses na Argélia a estagiar. Para mim, o modelo francês foi o mais seguido. Até porque, sendo um país com um passado com algumas semelhanças com o nosso, havia que aproveitar. A Indochina e a Argélia foram exemplos a seguir. Outra coisa que nós tínhamos era um certo cuidado, principalmente os oficiais. De certa maneira, tínhamos que dar o exemplo. Posso dizer que das baixas que tivemos nos comandos, uma percentagem elevada foram graduados, oficiais e sargentos. Para além disso, em cada cinco homens, um era oficial ou sargento, enquanto que na tropa normal, em cada trinta homens, havia um oficial e três sargentos. Nos comandos, em cada vinte e cinco homens havia um oficial e em cada cinco havia um sargento. Posso dizer que foram eliminados dos cursos de comandos vários oficiais do Quadro Permanente, incluindo alguns que são hoje colunáveis. Dou um exemplo: Uma noite dormimos em Mueda num dos quartéis, porque normalmente ficávamos em barracas. Dormíamos nas casernas, no chão, ao lado do nosso pessoal, como sempre fazíamos em operações e campanha. Fomos tomar café à messe dos oficiais de Mueda e, quando entrámos, apercebemo-nos de uma grande zaragata na caserna. E o maior orgulho que tive foi ouvir sussurrar numa companhia de caçadores que lá estava: “Porra, se tivéssemos oficiais como os vossos também éramos bons!” Havia da nossa parte uma postura que era importante e determinante.
Durante o curso, uma pessoa levava em cima, durante trinta noites seguidas, com altifalantes que lhe diziam: “Tu és o melhor do mundo!” Um gajo ficava mesmo convencido de que era bom. Acredito que isso seja muito criticado, mas era fundamental. Não direi que houvesse um espírito de superioridade. Estávamos convictos do valor que tínhamos. Nós próprios ficávamos admirados com a capacidade de resistência que tínhamos. Trabalhávamos muitas vezes no limite do esforço. Mas acima do espírito comando estava a Pátria. O nosso dia, nas unidades ou no mato em instrução, começava sempre com o hastear da bandeira nacional – compareciam todos – e com a leitura do código do comando, onde a Pátria é exaltada. Um jornalista disse um dia que os comandos estavam muito ligados a África e defendiam valores ultrapassados. De facto, nós, os comandos que estivemos em África e lá adquirimos a plenitude, éramos capazes de ficar lá toda a vida. O espírito de corpo que temos vem desses anos em África, das comissões de dois anos em que os indivíduos viviam em conjunto os problemas do dia-a-dia. Era o fulano a quem morreu o filho, o fulano que a namorada deixou, o fulano a quem a mulher pôs os cornos, os problemas de vária ordem que se sentiam a viver em companhia. O espírito de corpo foi cimentado em África, e isso não desaparece. Se agarrar num jornal, vê que é raro o mês em que não há reuniões de batalhões e de companhias. Isto não é por acaso, há um espírito de corpo que ficou, há qualquer coisa que os une. Foi o Santos e Castro – o comando número um – que introduziu o grito “Mama Sume!”, que significa isto: “Aqui estou!” Em Angola, uma das provas que os bailundos faziam para atingirem a maturidade era sair e caçar um leão, com lança. Na altura em que atiravam a lança gritavam: “Estou aqui, não tenho medo”. Por isso, e porque os comandos nasceram em Angola, o Santos e Castro achou que esse era um grito a adoptar, porque era a plenitude de um jovem que ia matar um leão com uma lança, e ao dar esse grito sentia-se com força e coragem. Ainda hoje se usa nas cerimónias comando. Na guerra, às vezes íamos a correr atrás dos gajos e gritávamos “Mama Sume!”».
Jaime Neves («Mama Sume!», in José Freire Antunes, «Guerra de África – 1961-1974», Vol. I).»

 

 

 

 

CONGELAMENTO  34 DI 34

 

Da Google libri, dal quale risulta che Dante Vacchi in José Freire Antunes, A Guerra de África – 1961-1974, Lisboa, Círculo de Leitores, 1995 viene citato tre volte: pp. 233, 234 e 464. Dalla pagina all’URL http://liceu-aristotelico.blogspot.com/2017/05/contra-insurreicao-em-africa-o-modo.html (congelamento n° 33), risulta che esso viene citato anche in un altro luogo di  José Freire Antunes, A Guerra de África cit. ma il numero di questa pagina non viene mostrato.

 

ORIGINAL URL:

https://books.google.it/books?hl=it&id=MXAFAQAAIAAJ&dq=Jos%C3%A9+Freire+Antunes%2C+%C2%ABGuerra+de+%C3%81frica+-+1961-1974%C2%BB%2C+Vol.+I&focus=searchwithinvolume&q=VACCHI

http://www.webcitation.org/76IDerGMg (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fbooks.google.it%2Fbooks%3Fhl%3Dit%26id%3DMXAFAQAAIAAJ%26dq%3DJos%25C3%25A9%2BFreire%2BAntunes%252C%2B%25C2%25ABGuerra%2Bde%2B%25C3%2581frica%2B-%2B1961-1974%25C2%25BB%252C%2BVol.%2BI%26focus%3Dsearchwithinvolume%26q%3DVACCHI&date=2019-02-18 (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

https://archive.org/details/AGuerraDefrica-DanteVacchi

 

https://archive.org/details/AGuerraDefrica-DanteCesareVacchi

https://ia601509.us.archive.org/29/items/AGuerraDefrica-DanteCesareVacchi/AGuerraDefrica-DanteCesareVacchi.pdf

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76IDxrZHm

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601509.us.archive.org%2F29%2Fitems%2FAGuerraDefrica-DanteCesareVacchi%2FAGuerraDefrica-DanteCesareVacchi.pdf&date=2019-02-18

____________

 

 

 

 

 

 

 

Diego Rodríguez de Silva y Velázquez, Las Meninas, 1656

 

 

 

 

 

[1] Rudolf  Kjellén, Staten som lifsform, Stockholm, Gebers, 1916.

[2] In particolare, per quanto riguarda la profondissima influenza che la gentiliana Filosofia della  prassi ebbe sul pensiero e sulla politica dell’Italia del  Novecento, non troviamo nulla di meglio che stralciare dalle bozze del nostro Glosse al Repubblicanesimo Geopolitico (di prossima ma sempre rinviata pubblicazione) le seguenti considerazioni: «Ma torniamo ora alla filosofia della praxis. Sebbene questa locuzione, come abbiamo precedente visto, sia larghissimamente impiegata nei Quaderni del carcere da Gramsci, il termine non fu da lui coniato ma ha invece due padri che lo avevano preceduto. Il primo è Antonio Labriola e il secondo è Giovanni Gentile. Tuttavia in Labriola e Gentile il significato è radicalmente diverso. Per semplificare: Antonio Labriola riteneva che il marxismo fosse una filosofia della prassi perché esso metteva al centro del suo discorso non un’astratta dialettica delle idee ma il concreto rapporto dell’uomo col suo lavoro destinato a modificare il suo ambiente naturale e sociale. Giovanni Gentile invece, dava a ‘filosofia della praxis’ il significato che il soggetto poteva conoscere non impiegando kantaniamente astratte categorie trascendentali ma confrontandosi direttamente con l’oggetto, un oggetto che però non è astrattamente posto ma creato dall’attività conoscitiva del soggetto stesso. Siamo, come è di tutta evidenza, dalle parte di un Fitche e della sua dialettica fra un io che deve porre per manifestarsi un non io (fra l’altro molto stranamente ma forse proprio per non dover pagare debiti troppo elevati, Gentile mai riconoscerà l’importanza di questo filosofo) ma siamo anche dalle parti, anzi vi si entra direttamente, delle Tesi su Feuerbach di Karl Marx, Tesi che, come ora vedremo, risulteranno in pratica non solo l’esordio filosofico di Giovanni Gentile ma anche il motivo animatore di tutta la dinamica interna della filosofia dell’atto puro di Gentile. Giovanni Gentile affronta il tema delle marxiane Tesi su Feuerbach nel 1899 nell’opera La filosofia di Marx (Giovanni Gentile, La filosofia di Marx. Studi critici, Pisa, E. Spoerri, 1899). Quest’opera contiene due saggi. Il primo è Una critica del materialismo storico, che aveva avuto anche una precedente pubblicazione, il secondo è La filosofia della prassi, dove oltre a porre sulla base delle Tesi su Feuerbach l’interpretazione gentiliana del pensiero di Marx, queste Tesi vengono pubblicate (e tradotte per la prima volta in Italia) da Gentile. Ma qual è, in concreto, il cuore dell’operazione ermeneutica intrapresa da Gentile con quest’ultimo saggio? Consiste in questo: poggiandosi sulla prima tesi su Feuerbach, ove il filosofo di Treviri afferma che la realtà è Gegenstand e non Objekt, Gentile afferma che per Marx la realtà è sempre e solo  il prodotto di una vicenda storica che non risponde ad alcuna legalità esterna tranne la sua peculiare dinamica interna che si sostanzia proprio nel rapporto diretto e non passivo fra soggetto e oggetto. Quindi, nell’interpretazione di Marx data da Gentile, la realtà non è un dato che prescinde dal soggetto ma è una realtà prodotta direttamente dal soggetto; fichtianamente, anche se con linguaggio diverso da Fichte, il soggetto attraverso la sua oggettivazione produce il soggetto. Di fatto, La filosofia della prassi è non solo il più profondo testo su Marx mai apparso in Italia ma è anche il testo che inquadrando la filosofia del pensatore di Treviri come filosofia della prassi nel senso attivistico del soggetto che forma l’oggetto ha anche direttamente ispirato tutta quella schiera di rivoluzionari italiani che, partendo dal totale rifiuto del positivismo, volevano lottare per il totale rivoluzionamento della società. Anche parte del fascismo trasse linfa iniziale da  questi slanci rivoluzionari ed attivistici di matrice idealistico-marxiana filtrati da Gentile, i futuristi indubbiamente ebbero  nel loro album di famiglia ideologico anche la Weltanschauung gentilo-marxiana; sull’altro versante in Gobetti sono molto rigogliosi i semi rivoluzionari di stampo gentiliano  ma l’autore che ha subito il più profondo marchio dall’interpretazione attivistica di Marx che emerge dalla Filosofia della prassi di Gentile è senza alcun dubbio Antonio Gramsci. Tanto per essere chiari e delimitare il campo degli argomenti (e degli uomini) con cui può essere utile sviluppare una dialettica e quelli che semplicemente devono essere considerati dei traditori belli e buoni del pensiero gramsciano. C’è chi ha recentemente affermato che il solo accostare il nome di Gramsci a quello di Gentile costituisce una sorta di sacrilegio perché il primo fu rinchiuso nelle carceri fasciste mentre il secondo fu uno degli ideologi di quel fascismo che incarcerò Gramsci. Per costoro non c’è nessuna risposta razionale e basata sui dati di fatto che possiamo fornire. Quando espresso in sincerità si tratta di un ragionamento di tipo religioso che non ricorre ad alcuna argomentazione razionale ma all’affermazione ripetuta e stordita di puri atti di fede (di falsa sinistra). Purtroppo, coloro che hanno il compito di dare una veste formale a questi deliri, sono tutt’altro che degli ingenui ma sono i professionisti dell’antifascismo militante il cui compito è, appunto, stordire  gli ingenui ai fini della propria carriera personale. Ci sono poi coloro, filologicamente un po’ più onesti, che dicono che l’attualismo gentiliano fu sì importante per Gramsci ma che questo influsso si fermò alle soglie degli anni Venti del Novecento. Sulla scorta di un’attenta lettura dei Quaderni, si dimostrerà che la “filosofia della praxis” versione Gentile fu determinante e centrale nel pensiero di Gramsci. C’è poi infine chi afferma, in base all’influsso diretto di Gentile su Gramsci, che Gramsci deve essere definito un filosofo idealista. Pur nel pieno rispetto di questa opinione, mostreremo una realtà molto diversa. Per quanto riguarda però  coloro che con tutta le sfumature possibili di una buona o cattiva coscienza affermano che è un sacrilegio accostare il nome di Gramsci a quello di Gentile, bastino le seguenti parole che Antonio Gramsci scrisse nel 1918 su Giovanni Gentile giudicandolo «il filosofo italiano che più in questi ultimi anni abbia prodotto nel campo del pensiero. Il suo sistema della filosofia è lo sviluppo ultimo dell’idealismo germanico che ebbe il suo culmine in Hegel, maestro di Marx, ed è la negazione di ogni trascendentalismo, l’identificazione della filosofia con la storia, con l’atto del pensiero in cui si uniscono il vero e il fatto in una progressione dialettica mai definitiva e perfetta.»: Antonio Gramsci, Il socialismo e la cultura attuale, in “Il Grido del Popolo”, 19 gennaio 1918. Veniamo ora a coloro che pur riconoscendo l’importanza di Gentile nel primo Gramsci, la vogliono negare per quanto riguarda i Quaderni del Carcere. Ora se è chiaro che nei Quaderni non sono presenti entusiastici apprezzamenti di Gramsci su Gentile del tipo di quello apparso  nel ’19 nel “Grido del popolo” (e sarebbe veramente strano aspettarseli visto che Gramsci era stato incarcerato dal regime fascista, quello stesso regime di cui Gentile tanto faticava a presentarsi come l’ideologo ufficiale), è di  altrettanta  solare evidenza che è proprio la filosofia della praxis versione gentilo-marxiana la vera colonna vertebrale filosofica che struttura tutti i Quaderni. Solo qualche citazione in proposito:[…]».

 

[3] « «L’origine è la meta»: Karl Kraus, Worte in Versen I [Parole in versi]. «La storia è oggetto di una costruzione il cui luogo non è il tempo omogeneo e vuoto, ma quello pieno di momento-ora [Jetztzeit]. Così, per Robespierre, la Roma antica era un passato carico di momento-ora [Jetztzeit], che egli faceva schizzare dalla continuità della storia. La Rivoluzione francese si autorappresentava come una Roma rediviva. Citava  l’antica Roma esattamente come la moda cita un costume d’altri tempi. La moda ha il senso del momento-ora [Jetztzeit], dovunque esso viva nella selva di quello che fu. Essa è un balzo di tigre nel passato. Ma questo balzo ha luogo in un’arena dove comanda la classe dominante. Lo stesso balzo, sotto il cielo libero della storia, è quello dialettico, come Marx ha concepito la rivoluzione.»: Walter Benjamin, XIV Tesi di filosofia della storia.

 

 

[4] « «Una delle caratteristiche più notevoli dell’animo umano, – scrive Lotze, – è, fra tanto egoismo nei particolari, la generale mancanza di invidia del presente verso il proprio futuro». La riflessione porta a concludere che l’idea di felicità che possiamo coltivare è tutta tinta del tempo a cui ci ha assegnato, una volta per tutte, il corso della nostra vita. Una gioia che potrebbe suscitare la nostra invidia, è solo nell’aria che abbiamo respirato, fra persone a cui avremmo potuto rivolgerci, con donne che avrebbero potuto farci dono di sé. Nell’idea di felicità, in altre parole, vibra indissolubilmente l’idea di redenzione. Lo stesso vale per la rappresentazione del passato, che è il compito della storia. Il passato reca seco un indice temporale che lo rimanda alla redenzione. C’è un’intesa segreta fra le generazioni passate e la nostra. Noi siamo stati attesi sulla terra. A noi, come ad ogni generazione che ci ha preceduto, è stata data in dote una debole forza messianica, sui cui il passato ha un diritto. Questa esigenza non si lascia soddisfare facilmente. Il materialista storico lo sa.»: Walter Benjamin, II Tesi di filosofia della storia. 

 

[5] «Il materialista storico non può fare a meno del concetto di presente che non è passaggio ma in cui il tempo ha origine ed è arrivato ad un arresto. Poiché questo concetto definisce precisamente il presente in cui egli scrive la storia per sé stesso. Lo storicismo dipinge un’immagine “eterna” del passato, il materialista storico, un’esperienza con esso, che si erge autonoma. Egli lascia che altri sprechino le proprie forze con la prostituta «C’era una volta» nel bordello dello storicismo. Egli rimane signore delle sue forze: uomo abbastanza per far saltare il continuum della storia: Walter Benjamin, XVI Tesi di filosofia della storia. «Lo storicismo culmina legittimamente nella storia universale. Da nessuna come da questa impostazione più  chiaramente si differenzia, dal punto di vista metodologico, la storiografia materialista. La prima non ha un’armatura teoretica. Il suo procedimento è quello dell’addizione; essa fornisce una massa di fatti per riempire un tempo omogeneo e vuoto. Alla base della storiografia materialistica è invece un principio costruttivo. Il pensiero comporta non  solo il movimento dei pensieri, ma anche il loro arresto. Quando il pensiero si arresta di colpo in una costellazione straripante di tensioni, le impartisce un urto per cui esso si cristallizza in una monade. Il materialista storico affronta un oggetto storico unicamente e solo dove esso gli si presenta come una monade [corsivo nostro]. In questa struttura egli riconosce il segno di un arresto messianico degli eventi o, detto altrimenti, di una chance rivoluzionaria nella lotta per il passato oppresso. Egli la coglie per far saltare un’epoca determinata dal corso omogeneo della storia; così facendo esplodere una determinata vita fuori dalla sua epoca, o una determinata opera fuori dall’opera complessiva di una vita. Il guadagno netto di questo modo di procedere consiste in questo:  che l’opera della vita  è conservata e superata nell’opera, l’epoca nell’opera della vita, e l’intero corso della storia nell’epoca. Il frutto nutriente dello storicamente concettualizzato ha nel suo nucleo il  concetto di tempo, come il seme prezioso ma privo di sapore.»: Walter Benjamin, XVII Tesi di filosofia della storia.  « «I cinque scarsi decenni dell’homo sapiens, – dice un biologo moderno – rappresentano, in rapporto alla storia della vita organica sulla terra, qualcosa come due secondi al termine di una giornata di ventiquattr’ore. La storia infine dell’umanità civilizzata  occuperebbe, riportata su questa scala, un quinto dell’ultimo secondo dell’ultima ora».  Il momento-ora [Jetztzeit], che, come modello del tempo messianico, riassume in una grandiosa abbreviazione la storia dell’intera umanità, coincide esattamente con la parte che la storia dell’umanità occupa nell’universo. Corollario a) Lo storicismo si accontenta di stabilire un nesso causale fra i momenti diversi della storia. Ma  nessun fatto, in quanto causa, è solo per questo storico. Lo diventerà solo dopo, postumamente, in seguito a fatti che possono essere divisi da millenni. Lo storico che muove da questa constatazione, cessa di lasciarsi scorrere fra le dita la successione dei fatti come un rosario. Coglie la costellazione in cui la sua  epoca è entrata in contatto con un’epoca anteriore alla sua. E fonda così un concetto del presente come del momento-ora [Jetztzeit], in cui sono sparse schegge di quello messianico. Corollario b)  È certo che il tempo non era vissuto dagli indovini, che cercavano  di divinare cosa era nascosto nel grembo del futuro,  né come omogeneo né come vuoto. Chi tenga presente questo, può forse farsi un’idea del modo in cui il passato era vissuto come  l’azione stessa del ricordare: e cioè nello stesso modo. È noto che agli ebrei era vietato investigare il futuro. La Torah e la preghiera li istruivano, al contrario, alla memoria. Ciò li liberava dal fascino del futuro, a cui soggiacciono quelli che cercano informazioni presso gli indovini. Ma non per questo il futuro diventò per gli ebrei un tempo omogeneo e vuoto. Poiché ogni secondo, in esso, era la piccola porta da cui poteva entrare il Messia.»: Walter Benjamin, XVIII Tesi di filosofia della storia. XVI Tesi di filosofia della storia, XVII Tesi di filosofia della storia e XVIII Tesi di filosofia della storia:  una grandiosa  ‘appropriazione dello strategico’  (e/o ‘epifania strategica’) che non ha avuto pari nella storia e nella cultura del Novecento se non nella filosofia della prassi di Antonio Gramsci e  che pone Walter Benjamin come uno dei più diretti antesegnani del Repubblicanesimo Geopolitico.

 

 

[6] «La lotta di classe, che è sempre davanti agli occhi dello storico educato su Marx, è una lotta per le cose rozze e materiali, senza le quali non esistono quelle più fini e spirituali. Ma queste ultime sono presenti, nella lotta di classe, in altra forma che non sia la semplice immagine di una preda destinata al vincitore. Esse vivono, in questa lotta, come fiducia, coraggio, umore, astuzia, impassibilità, e agiscono retroattivamente nella lontananza dei tempi. Esse rimetteranno in questione ogni vittoria che sia toccata nel tempo ai dominatori. Come i fiori volgono il capo verso il sole, così, in forza di un eliotropismo segreto, tutto ciò che è stato tende a volgersi verso il sole che sta salendo nel cielo della storia. Di questa trasformazione, meno appariscente di ogni altra, deve intendersi il materialista storico. »: Walter Benjamin, IV Tesi di filosofia della storia. «La vera immagine del passato passa di sfuggita.  Solo nell’immagine, che balena una volta per tutte nell’attimo della sua conoscibilità, si lascia fissare il passato. «La verità non può scappare» – questo motto, che è di Gottfried Keller, segna esattamente il punto, nella concezione storicistica della storia, in cui essa è spezzata dal materialismo storico. Poiché è un’immagine irrevocabile del passato che rischia di svanire ad ogni presente che non si riconosca significato, indicato in esso. (La lieta novella che lo storico del passato porta senza respiro, viene da una bocca che forse, già nel momento in cui si apre, parla nel vuoto).»: Walter Benjamin, V Tesi di filosofia della storia.  «La tradizione degli oppressi ci insegna che lo «stato di emergenza» in cui viviamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro compito, la creazione del vero stato di emergenza; e ciò migliorerà la nostra posizione nella lotta contro il fascismo. La sua fortuna consiste, non da ultimo, in ciò che i suoi avversari lo combattono in nome del progresso come di una legge storica. Lo stupore perché le cose che viviamo sono «ancora» possibili nel ventesimo secolo è tutt’altro che filosofico. Non è all’inizio di nessuna conoscenza, se non quella che l’idea di storia da cui proviene non sta più in piedi.»: Walter Benjamin, VIII Tesi di filosofia della storia. « «Bedenkt das Dunkel und die grosse Kälte in diesem Tale das von Jammer schalt [Considerate il buio e il grande freddo in questa valle, che risuona di sofferenza] »: Bertold Brecht, Die Dreigroschenoper [L’opera da tre soldi]. Fustel de Coulanges raccomanda allo storico che voglia rivivere un’epoca di sgombrare la mente di tutto ciò che appartiene al corso successivo della storia. Non si potrebbe definire meglio il procedimento con cui il materialismo storico ha rotto i ponti. È un procedimento di immedesimazione. La sua origine è l’indolenza del cuore, l’acedia, che dispera di impadronirsi dell’immagine storica autentica, balenante per un attimo. Essa era considerata, dai teologi del Medioevo, come il fondamento ultimo della tristezza. Flaubert, che ne aveva fatto la conoscenza, scriveva: «Peu de gens devineront combien il a fallu être triste pour ressusciter Carthage [Pochi capiranno quanta tristezza ci sia voluta per risuscitare Cartagine]». La natura di questa tristezza si chiarisce se ci si chiede per chi   lo storico dello storicismo prova empatia. La risposta suona inevitabilmente: per il vincitore. Quelli che oggi comandano sono quindi gli eredi di coloro che un tempo furono i vincitori. L’empatia col vincitore è così ogni volta  indirizzata verso gli odierni dominatori. Questo è tutto quello che c’è da sapere per il materialista storico. Chiunque ha riportato fino ad oggi la vittoria, partecipa al corteo trionfale in cui i dominatori di oggi passano sopra quelli che oggi giacciono a terra. La preda, come si è sempre usato, è trascinata nel trionfo. Essa è designata con l’espressione ‘patrimonio culturale’. Esso dovrà avere, nel materialista storico, un osservatore distaccato. Poiché tutto il patrimonio culturale che egli abbraccia con lo sguardo ha immancabilmente un’origine a cui non può pensare senza orrore. Esso deve la propria esistenza non solo alla fatica dei grandi geni che lo hanno creato, ma anche alla schiavitù senza nome dei loro contemporanei. Non c’ è mai stato documento di cultura senza essere, nello stesso tempo, documento di barbarie. E come, in sé,  non è immune dalla barbarie, non lo è nemmeno il processo della sua trasmissione, attraverso il quale passa da una mano all’altra. Il materialista storico si distanzia quindi da esso nella misura del possibile. Egli considera come suo compito passare a contropelo la storia.»: Walter Benjamin, VII Tesi di filosofia della storia.

 

[7] «Articolare storicamente il passato non significa conoscerlo «come propriamente è stato». Significa impadronirsi di un ricordo come esso balena nell’istante di un pericolo. Per il materialismo storico si tratta di fissare l’immagine del passato come essa si presenta improvvisamente al soggetto storico nel momento del pericolo. Il pericolo sovrasta tanto il patrimonio della tradizione quanto coloro che lo ricevono. Esso è lo stesso per entrambi: di ridursi a strumento della classe dominante. In ogni epoca bisogna cercare di strapare la tradizione al conformismo che è in procinto di sopraffarla. Il Messia non viene solo come redentore, ma come vincitore dell’Anticristo. Solo quello storico ha il dovere di accendere nel passato la favilla della speranza, che è penetrato dall’idea che anche i morti non saranno al sicuro del nemico, se egli vince. E questo nemico non ha smesso di vincere.»: Walter Benjamin, VI Tesi di filosofia della storia.

 

[8] Certamente non si deve omettere il grande merito di Hannah Arendt che con Vita Activa (Vita Activa. La condizione umana, odierno titolo della traduzione italiana  pubblicata in Italia nel  1964 per i tipi di Bompiani del saggio originalmente pubblicato nel 1958 negli Stati uniti: Hannah Arendt, The Human condition, University of Chicago Press, 1958) ha introdotto prepontemente nel Novecento  lo Zoon politikon come figura archetipa dell’agire politico. Ma con Antonio Gramsci questo Zoon politikon cessa di essere un elemento di archeologia politica legato al mondo ellenico per dialettizzarsi integralmente e nella storia e nella filosofia del XX secolo (e anche del XXI) attraverso la figura mitologica di conio machiavelliano – ma  figura mitologica carica di una dirompente carica prassistica – del moderno Principe.

 

[9] Su questo “timido prassismo” wendtiano, timido soprattutto perchè è completamente dimentico della grande tradizione della filosofia della prassi ma comunque importante perchè introduce all’interno dello studio delle relazioni internazionali fondamentali spunti volontaristici e umanistici tratti da questa impostazione  filosofico-politica, cfr. Alexander Wendt, Anarchy is what States Make of it: The Social Construction of Power Politics in “International Organization”, Vol. 46, No. 2. (Spring, 1992), pp. 391-425, articolo consultabile all’URL https://people.ucsc.edu/~rlipsch/migrated/Pol272/Wendt.Anarch.pdf, dai noi  caricato su WebCite agli URL  http://www.webcitation.org/76DqnzgU1 e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fpeople.ucsc.edu%2F~rlipsch%2Fmigrated%2FPol272%2FWendt.Anarch.pdf&date=2019-02-16; su Internet Archive agli URL https://archive.org/details/AnarchyIsWhatStatesMakeOfIt.TheSocialConstructionOfPowerPolitics.pdf e https://ia601506.us.archive.org/7/items/AnarchyIsWhatStatesMakeOfIt.TheSocialConstructionOfPowerPolitics.pdf/AlexanderWendt.AnarchyIsWhatStatesMakeOfIt.TheSocialConstructionOfPowerPolitics.pdf, con successivo finale caricamento della stessa pagina di Internet Archive su WebCite agli URL http://www.webcitation.org/76DoCJ4ia e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601506.us.archive.org%2F7%2Fitems%2FAnarchyIsWhatStatesMakeOfIt.TheSocialConstructionOfPowerPolitics.pdf%2FAlexanderWendt.AnarchyIsWhatStatesMakeOfIt.TheSocialConstructionOfPowerPolitics.pdf&date=2019-02-15.

[10] In Rete anche presso l’original URL http://www.fulviofrisone.com/attachments/article/451/the%20logic%20of%20quantum%20mechanics%201936.pdf; “congelamento” WebCite agli URL  http://www.webcitation.org/76DzVbjNK  e http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fwww.fulviofrisone.com%2Fattachments%2Farticle%2F451%2Fthe%2520logic%2520of%2520quantum%2520mechanics%25201936.pdf&date=2019-02-16; Internet Archive: https://archive.org/details/TheLogicOfQuantumMechanics1936 e   https://ia801506.us.archive.org/0/items/TheLogicOfQuantumMechanics1936/the%20logic%20of%20quantum%20mechanics%201936.pdf e infine “congelamento” della pagina Internet Archive agli URL WebCite http://www.webcitation.org/76E0F0hI7 e   http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia801506.us.archive.org%2F0%2Fitems%2FTheLogicOfQuantumMechanics1936%2Fthe%2520logic%2520of%2520quantum%2520mechanics%25201936.pdf&date=2019-02-16 .

 

 

[11] L’idea della storia naturale, conferenza tenuta da Adorno nel  1932, può essere considerata e uno dei più efficaci attacchi nel Novecento, assieme alle Tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin, all’impostazione similpositivistica dello storicismo tedesco che aveva abbandonato tutti gli spunti dialettici della grande stagione dell’idealismo e contestualmente – e conseguentemente – come la presa d’atto, anche se espressa in maniera tutt’altro che cristallina, che la divisione fra mondo della natura retto da deterministiche leggi e mondo storico dell’uomo, che in ragione dell’impossibilità ad essere inquadrato in tali leggi sarebbe separato dal mondo della natura da un’alterità addirittura ontologica,  dal punto di vista teorico non aveva alcun fondamento: «Se si vuole che la domanda sul rapporto tra natura e storia abbia una risposta concreta, bisogna riuscire a comprendere l’essere storico stesso come un essere naturale, ossia a comprenderlo nelle sue determinazioni naturali, proprio laddove esso è maggior­mente storico; oppure riuscire a comprendere la natura come un essere storico proprio laddove essa si mostra come natura apparente.»: Die Idee der Naturgeschichte, trad. it. di M. Farina, L’idea della storia naturale, in T. W. Adorno, L’attualità della filosofia. Tesi all’origine del pensiero critico, Mimesis, Milano 2009, p. 69. Il tema dell’impraticabilità teorica della separazione fra mondo della natura e mondo storico-sociale dell’uomo verrà infine completamente sviluppato da Adorno in Dialettica negativa, dove si può anche apprezzare un suo notevolissimo approssimarsi ad un modello filosofico-politico dell’azione-conflitto dialettico-espressivo-strategico, unito però ad  una non soddisfacente focalizzazione della problematica del rapporto fra natura e storia in Marx, dove il filosofo e rivoluzionario di Treviri viene da Adorno praticamente – ed erroneamente – del tutto assolto delle degenerazioni della dialettica verificatesi tramite il Diamat staliniano: «Il concetto di storia universale, dalla cui validità la filosofia hegeliana è ispirata quanto quella kantiana da quella delle scienze naturali, divenne tanto più problematico, quanto più il mondo unificato si approssimava ad un processo globale. Da un lato la scienza storica avanzante con metodo positivistico ha disgregato la concezione di una totalità e di una continuità senza interruzioni. Rispetto ad essa la costruzione filosofica aveva il dubbio vantaggio di una minore conoscenza dei dettagli, che voleva spacciare fin troppo facilmente per una sovrana distanza; e veramente anche meno timore di dire qualcosa di essenziale, che si profili soltanto alla distanza. Dall’altro una filosofia sviluppata doveva cogliere l’accordo tra storia universale e ideologia (1)  e la vita sconvolta come discontinua [nota 1 di p. 287 di Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno, Dialettica negativa, Torino, Einuadi, 1966: «Cfr. Benjamin, Scriften cit., vol. I, pp. 494 sgg. [pp. 81 sgg.].»]. Hegel stesso aveva concepito la storia universale come unitaria solo grazie alle sue contraddizioni. Con la sua riformulazione materialistica l’accento maggiore fu posto sulla comprensione della discontinuità di ciò che non era tenuto insieme da alcuna unità consolatoria dello spirito e del concetto. Tuttavia bisogna pensare insieme storia universale e discontinuità. Cancellare quella come residuo di superstizione metafisica, consoliderebbe la mera fattualità come l’unica cosa da conoscere e quindi da accettare, allo stesso modo della  sovranità precedente, che ordinava i dati nell’avanzata totale dello spirito uno, confermandoli con le sue manifestazioni. La storia universale si deve costruire e negare. Sarebbe cinico affermare dopo le catastrofi e nell’attesa delle future un piano mondiale verso il miglioramento che si manifesti nella storia e la unifichi. Però non si deve negare perciò l’unità, che salda insieme i momenti e fasi discontinui, caoticamente disgregati dalla storia, quella del dominio della natura, progredente nel dominio sugli uomini ed infine sulla natura interiore. Non c’è una storia universale che conduca dal selvaggio all’umanità, ma certo una che porta dalla fionda alla megabomba. Essa termina nella minaccia totale dell’umanità organizzata contro gli uomini organizzati, la quintessenza della discontinuità. Così Hegel viene terribilmente verificato e messo sulla testa. Se egli trasfigurava la totalità della sofferenza storica in positività dell’assoluto che si realizza, l’uno e il tutto che si sviluppa per prender fiato fino ad oggi è teleologicamente la sofferenza assoluta. La storia è l’unità di continuità e discontinuità. La società si mantiene in vita non malgrado il suo antagonismo, ma tramite esso; l’interesse al profitto, e quindi il rapporto di classe sono oggettivamente il motore del processo produttivo, da cui dipende la vita di tutti e il cui primato ha il suo punto di fuga nella morte di tutti. Ciò implica anche l’elemento conciliante nell’inconciliabile: poiché esso soltanto permette agli uomini di vivere; senza di esso non ci sarebbe nemmeno la possibilità di una vita trasformata. Ciò che quella possibilità creò storicamente, può anche distruggere. Lo spirito del mondo, degno oggetto di definizione, dovrebbe essere definito come catastrofe permanente.  Sotto il principio d’identità che assoggetta tutto, ciò che non si dissolve  nell’identità  e si sottrae alla razionalità pianificante nell’ambito dei mezzi diventa angoscioso, rappresaglia per quel male che il non identico subisce da parte dell’identità. La storia potrebbe difficilmente essere interpretata altrimenti, senza trasformarla magicamente in idea [evidenziazione nostra].»: Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno, Dialettica negativa, cit., pp. 286-88. «L’oggettività della vita storica è quella di una storia naturale. Marx lo ha riconosciuto contro Hegel, e precisamente in stretta connessione con l’universale realizzantesi sopra le teste dei soggetti: «Anche quando una società è riuscita a intravvedere la legge di natura del proprio movimento – e fine ultimo al quale mira quest’opera è di svelare la legge economica del movimento della società moderna – non può  né saltare né eliminare per decreto le fasi naturali dello svolgimento… Non dipingo affatto in luce rosea le figure del capitalista e del proprietario fondiario. Ma qui si tratta delle persone soltanto in quanto sono la personificazione delle categorie economiche, incarnazione di determinati rapporti e di determinati interessi di classe. Il mio punto di vista, che concepisce lo sviluppo della formazione economica della società come processo di storia naturale, può meno che mai rendere il singolo responsabile di rapporti dei quali egli rimane socialmente creatura, per quanto soggettivamente possa elevarsi al di sopra di essi (1) [nota 1 di p. 319 di Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno, Dialettica negativa, cit.: «Marx, Das Kapital cit., Vol. I, prefazione alla 1° ed., pp. 7 sg. [vol. I, I, p. 18].»].» Non s’intende certo il concetto antropologico di natura di natura di Feuerbach, contro il quale Marx ha rivolto il materialismo storico, nel senso di una ripresa di Hegel contro gli hegeliani di sinistra (2) [nota 2 di p. 319 di Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno, Dialettica negativa, cit.: «Cfr. Schmidt, Der Begriff der Natur in der Lehre von Marx cit., Vol. II, p. 15 [cap. I, sez. A].»]. La cosiddetta legge naturale, che  pure è solo una legge della società capitalistica, viene perciò chiamata mistificazione da Marx: «La legge dell’accumulazione capitalistica mistificata in legge di natura esprime dunque in realtà il fatto che la sua natura esclude ogni diminuzione del grado di sfruttamento del lavoro o ogni aumento del prezzo del lavoro che siano tali da esporre a un serio pericolo la costante riproduzione del rapporto capitalistico e la sua riproduzione su scala sempre più allargata. Non può essere diversamente in un modo di produzione entro il quale l’operaio esiste per i bisogni di valorizzazione di valori esistenti, invece che, viceversa, la ricchezza materiale per i bisogni di sviluppo dell’operaio (1). [nota 1 di p. 320  di Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno, Dialettica negativa, cit.: «Marx, Das Kapital cit., Vol. I, pp. 652 sg. [Vol. I, 3, p. 69»].].» Tale legge è naturale a causa del carattere della sua inevitabilità sotto i rapporti di produzione dominante. L’ideologia non si sovrappone all’essere sociale come uno strato che si possa staccare, ma gli inerisce. Essa si fonda sull’astrazione, che è essenziale per il processo di scambio. Ciò implica nel processo della vita reale fino ad oggi un’apparenza socialmente necessaria. Il suo nocciolo è il valore della cosa in sé, «natura». La quasi naturalità della società capitalistica è reale e nello stesso tempo apparenza. Che l’assunto di legge naturale non deve essere preso alla lettera, e tanto meno ontologizzato nel senso di un qualche progetto del cosiddetto uomo, è confermato dal motivo più potente della teoria marxiana in generale, quello dell’eliminabilità di tali leggi . Dove inizia il regno della libertà, non varrebbero più. La distinzione kantiana fra un regno della libertà e uno della necessità viene trasposto al succedersi delle fasi, mobilitando come mediazione la filosofia della storia hegeliana. Soltanto uno stravolgimento dei motivi marxisti come il Diamat, che prolunga il regno della necessità assicurando che sia quello della libertà, poteva cadere nell’errore  di falsificare il concetto polemico marxiano di  normatività naturale da una costruzione della storia naturale in una dottrina scientistica di invarianti . Con ciò il discorso marxiano sulla storia naturale non perde nulla del suo contenuto di verità, appunto quello critico. Hegel si aiutò ancora ricorrendo ad un soggetto personificato trascendentale, che perde però già la natura di soggetto; Marx denuncia non solo la trasfigurazione hegeliana, ma la fattispecie che ne è oggetto. La storia umana, il progressivo dominio sulla natura, prosegue quella inconsapevole della natura, mangiare ed essere mangiato. In senso ironico Marx era un socialdarwinista: ciò che i socialdarwinisti esaltano e secondo cui godono di agire, per lui è la negatività, in cui si risveglia la possibilità della sua negazione [evidenziazione nostra].»: Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno, Dialettica negativa, cit., pp. 319-320. E a questo proposito – e, riteniamo, senza bisogno di ulteriori commenti se non sottolineare che il  modello dell’azione-conflitto dialettico-espressivo-strategico del Repubblicanesimo Geopolitico permette di affrontare con un’inedita e rivoluzionaria prospettiva situazioni storiche e/o filosofiche ritenute fino ad oggi fuori dalle “magnifiche sorti e progressive” del mondo liberal-liberista del secondo dopoguerra: dalla storia  «che porta dalla fionda alla megabomba» – ma anche alle elaborazioni culturali dalle più popolari alle più alte, fino a giungere all’espressività artistica e scientifica!  fino al fascista Dante Cesare Vacchi che crea i commandos portoghesi per aiutare il morente Portogallo salazarista nella guerra contro i movimenti di liberazione in Africa – accostiamo alla citazione adorniana una da una nostra riflessione, il Dialectivs Nvncivs (agli URL di Internet Archive: https://archive.org/details/DialecticvsNvncivs.IlPuntoDiVistaDelRepubblicanesimoGeopolitico_866 e https://ia801603.us.archive.org/7/items/DialecticvsNvncivs.IlPuntoDiVistaDelRepubblicanesimoGeopolitico_866/DialecticvsNvncivs.IlPuntoDiVistaDelRepubblicanesimoGeopoliticoAttraversoIQuaderniDelCarcereEStoriaECoscienzaDiClasse.pdf, e di WebCite:

http://www.webcitation.org/76Q9qTn9X e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia801603.us.archive.org%2F7%2Fitems%2FDialecticvsNvncivs.IlPuntoDiVistaDelRepubblicanesimoGeopolitico_866%2FDialecticvsNvncivs.IlPuntoDiVistaDelRepubblicanesimoGeopoliticoAttraversoIQuaderniDelCarcereEStoriaECoscienzaDiClasse.pdf&date=2019-02-24): «Dal punto di vista del Repubblicanesimo Geopolitico, (1) oltre alla “falsificazione” di Marx, innumeri volte rappresentata da La Grassa in tutta la sua opera e ora per ultimo di nuovo molto opportunamente ripetuta nella Intervista (teorica) a Gianfranco La Grassa (di F. Ravelli), cioè la nascita mai avvenuta della nuova classe al potere del lavoratore collettivo cooperativo associato, sulla quale ci soffermeremo fra poco, siamo di fronte a due ulteriori “crampi” del pensiero marxiano che, uniti alla “falsificazione” di cui sopra ci consentono davvero, alla luce dell’impostazione conflittuale-strategica lagrassiana, di compiere un passo decisivo per lo sviluppo delle scienze sociali e storiche che, non solo rivoluzionino gli attuali paradigmi teorici, ma anche possano dare l’inizio ad una reale prassi sociale anch’essa rivoluzionaria rispetto agli stantii paradigmi politici democraticistici [nota 1 di p. 3 di Massimo Morigi, Dialecticvs Nvncivs. Il punto di vista del Repubblicanesimo Geopolitico attraverso i Quaderni del Carcere e Storia e Coscienza di Classe per il rovesciamento della gerarchia della spiegazione meccanicistico-causale e dialettico-conflittuale, per il rinnovamento degli studi marxiani e marxisti e per l’ Aufhebung della gramsciana e lukacsiana Filosofia della Praxis: si omette la citazione del testo della nota]. Partiamo, molto semplicemente, dal passo fondamentale del Capitale  dove Marx individua il carattere del tutto ideologico dell’allora (e tuttora) imperante economia politica: «Al possessore di denaro, che trova il mercato del lavoro come particolare reparto del mercato delle merci, non interessa affatto il problema del perché quel libero lavoratore gli compaia dinanzi nella sfera della circolazione. E a questo punto non interessa neanche a noi. Noi, dal punto di vista teorico, ci atteniamo al dato di fatto, come fa il possessore di denaro dal punto di vista pratico. Però una cosa è evidente. La natura non produce da un lato possessori di denaro o di merci e dall’altro semplici possessori della propria forza lavorativa. Tale rapporto non risulta dalla storia naturale né da quella sociale ed esso non è comune a tutti i periodi della storia. È evidente come esso sia il risultato d’uno svolgimento storico precedente, il prodotto di molte rivoluzioni economiche, della caduta di una intera serie di più vecchie formazioni della produzione sociale. (2) [Nota 2 di p. 5 di Massimo Morigi,  Dialecticvs Nvncivs cit.: «Karl Marx, Il Capitale, trad. it., Roma, Newton Compton, 1970, I, pp. 199-200.»].»  Marx ci dice quindi, al contrario di quanto sostenevano gli economisti classici (e di quanto sostengono ancor oggi gli attuali economisti), che è la storia e non la natura a produrre la società dominata dal capitalismo e che, di conseguenza, le presunte leggi economiche non sono per niente naturali ma totalmente dovute all’umana evoluzione storica. Questo totale cambio di paradigma segna ad un tempo la grandezza ed anche l’enorme ed invalicabile limite di Marx (e di tutte le varie scuole di pensiero e di azione che da lui prenderanno origine). Detto in estrema sintesi: vero è che la società capitalistica e le presunte leggi dell’economia non hanno affatto l’ineluttabilità della natura ma sono di pura origine storico-sociale. Falso è, come invece traspare chiaramente dal testo appena citato, che sussista una suddivisione reale fra natura e storia. Come ho già affermato in altri luoghi, questa errata epistemologia è l’errore più grande di tutta la tradizione filosofica occidentale, alla quale, con risultati del tutto insoddisfacenti, cercarono di porre rimedio Hegel e Schelling e che, quindi, non si può fare particolare biasimo a Marx per esservi ricaduto. Ma se non si può certo biasimare in particolare Marx per questo errore, sul piano del giudizio storico sono del tutto da deprecare i problemi derivatine. La conseguenza, veramente nefasta, è stata una visione terribilmente ristretta del metodo dialettico dove da una parte, cioè nel cosiddetto Diamat – sviluppo teorico finale delle cosiddette tre pseudoleggi dialettiche di Engels illustrate nella sua Dialettica della Natura e nell’Anti-Dühring (conversione della quantità in qualità, compenetrazione degli opposti e negazione della negazione, tre leggi che sono la scimmiottatura della logica aristotelica) –, la dialettica è diventata una forma corrotta di pensiero positivistico e che, sulla linea dell’ineluttabilità di queste leggi pseudodialettiche engelsiane, ha smesso, appunto, di essere dialettica per trasformarsi in instrumentum regni dei regimi totalitari del socialismo reale […]»: Dialecticvs Nvncivs cit., pp. 3-5. «Torniamo ora a Marx, quando afferma nella prefazione alla prima edizione del Capitale con una evidente contraddizione (per niente dialettica) rispetto al passo sempre del Capitale appena citato: «Una parola ad evitare possibili malintesi. Non ritraggo per niente le figure del capitalista e del proprietario fondiario in luce rosea. Ma qui si tratta delle persone solo in quanto sono la personificazione di categorie economiche, che rappresentano determinati rapporti e determinati interessi di classe. Il mio punto di vista che considera lo sviluppo della formazione economica della società come processo di storia naturale, non può assolutamente fare il singolo responsabile di rapporti da cui egli socialmente proviene, pure se soggettivamente possa innalzarsi al di sopra di essi. (5) [ Nota 5 di p. 10 di Dialecticvs Nvncivs cit.: «Karl Marx, Il Capitale, cit., pp. 6-7.»]» Qui la società è quindi per Marx assimilabile ad una sorta di processo naturale, gli uomini piuttosto che agire in esso sono agiti da forze che li sovrastano e la loro natura, insomma, è quella del Gattungswesen, un ente naturale generico determinato dalle leggi e dalle forze che agiscono nella società stessa. (6) [Nota 6 di p. 10 di Dialecticvs Nvncivs cit.: «Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. Ad un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura.»: Karl Marx, Per la Critica dell’Economia Politica cit., p.5 […]»] In questo passaggio si sviluppa sì una linea di pensiero che unisce società e natura ma è una linea di pensiero similpositivistica, anticipatrice della Dialettica della Natura e dell’ Anti-Dühring di Engels prima e poi del Diamat di cui abbiamo già detto. Veniamo ora ai nostri giorni. Il conflittualismo strategico di Gianfranco La Grassa nasce dopo la definitiva consunzione, filosofica prima che politica, di tutta la tradizione marxista che, se a livello storico-politico, è crollata per la tragicomica inefficienza economica dei vari sistemi socialisti effettivamente storicamente realizzatisi unita alle lusinghe (totalmente) false del paese dei balocchi della forma di stato “democratico-capitalistica”, sul piano teorico e filosofico praticamente sin dal suo inizio aveva fatto bancarotta in ragione del suo economicismo, prendendo poi successivamente le forme ideologiche di una pseudodialettica di stato, il Diamat, che altro non era che una forma di positivismo degradato, di pratiche e modelli economici meno inefficienti di quelli del cosiddetto “libero mercato” capitalistico e, last but not the least, di una visione filosofica dell’uomo come Gattungswesen, un ente naturale generico completamente sottoposto alle determinazioni sociali, con la non irrilevante conseguenza che alla mitizzata classe operaia (mito che era una versione degradata del marxiano lavoratore collettivo cooperativo associato) veniva riservato un trattamento da Gattungswesen, appunto, mentre alla nomenklatura veniva, in pratica, violentemente concesso di “elevarsi al di sopra” di essa; realizzando cioè nella prassi, a solo uso e consumo della burocratica classe dominante, un compiuto modello conflittuale-strategico, in cui il dominato era la tanto mitizzata (e presa per il fondelli) classe operaia-gattungswesen. Il conflittualismo strategico di Gianfranco La Grassa, portando esplicitamente il conflitto al centro dell’interpretazione della società, mantiene e approfondisce la fondamentale critica marxiana sulla falsa naturalità dell’economia politica, chiude quindi definitivamente con tutta questa tradizione marxista economicistico-positivistica da una parte (Diamat, altrimenti detto marxismo orientale) o dialettico-dimidiata dall’altra (il cosiddetto marxismo occidentale: uno dei massimi esempi di questa seconda – immensamente più feconda però per il futuro, nonostante le segnalate contraddizioni, della deriva diamattina – quella avanzata da György Lukács in Storia e Coscienza di Classe) e però, per il completo sviluppo rivoluzionario del suo paradigma, è per il Repubblicanesimo Geopolitico assolutamente necessario un dialettico riorientamento gestaltico sia della prassi del conflitto strategico che del suo stesso concetto. (7) [Nota 7 di p.11 di Massimo Morigi, Dialecticvs Nvncivs cit. : si omette la citazione del testo della nota] Questo riorientamento passa A) attraverso un deciso abbandono della mainstream impostazione della cultura occidentale che vede una suddivisione fra storia e natura (o cultura e natura: sotto questo punto di vista, l’annullamento cioè dell’antidialettico discrimine fra natura e cultura, è possibile ricuperare e superare, rovesciandolo, il significato del concetto di alienazione, facendolo, cioè, poggiare saldamente sui piedi di un sodo realismo politico e di un’altrettanto concreta epistemologia politico-filosofica prassistica anziché su una testa positivista e/o genericamente gattungsweseniana; l’uomo, comunque si intenda il marxiano Gattungswesen – in senso deterministico-positivista o come un segno delle sue potenzialità e libertà – non è un ente generico, ma è, polarmente al contrario, un ente naturale strategico, anzi il massimo ente strategico prodotto dalla natura, o per dare conseguente e migliore definizione a quanto fin qui affermato, il massimo ente strategico prodotto dalla natura/cultura – per un approfondimento su questo inestricabile rapporto natura/cultura e sull’uomo ente naturale strategico, il presente nunzio anticipa Glosse al Repubblicanesimo Geopolitico per una Fenomenologia della Dialettica della Natura e della Cultura attraverso il Conflitto Espressivo-Cognitivo-Evoluzionistico-Strategico. Nuovo Nomos della Terra, Nuovo Principe, Rivoluzione e Dialettica della Filosofia della Praxis Espressiva, Conflittuale e Strategica del Repubblicanesimo Geopolitico (Aufhebung della Rivoluzione e dell’Azione Strategica nello Sviluppo Storico-Dialettico della Cultura e della Natura), di prossima pubblicazione –, una nuova semantica dell’alienazione così interpretata ed indagata, contrariamente all’accezione negativa marxiana, attraverso il rioerientamento compiuto su di questa dal concetto e dalla prassi dell’azione-conflitto strategico e, perciò, come la felice concreta manifestazione della dialettica di tale conflitto; felice anche da un punto di vista soggettivo solo se, è ovvio, questo processo alienante è vissuto consapevolmente e strategicamente da un agente alfa-strategico e non risulta, invece, dall’imposizione di un dominio esterno di un agente alfa-strategico su un agente omega-strategico – sulle dinamiche dei rapporti fra agenti alfa-strategici e agenti omega-strategici, i portatori storici, quest’ultimi, del negativo marxiano significato originario di ‘alienazione’ e, quindi, il permanente lato “infelice” dell’alienazione, cfr. la Teoria della Distruzione del Valore. Teoria Fondativa del Repubblicanesimo Geopolitico e per il Superamento/conservazione del Marxismo, riferimenti bibliografici in nota 1) e passa quindi B) attraverso un ripudio delle categorie positivistiche, in primis quella di legge di natura deterministica e immodificabile ed immutabile. Insomma, e qui dissento da La Grassa, il punto non è se il pensiero possa o meno riprodurre la realtà, il punto è che il pensiero, se veramente pensiero e quindi pensiero integralmente strategico e quindi strategia realmente in azione, produce – o, meglio, crea – la realtà. E ora mi taccio, in parte perché la giustificazione di questa mia ultima fondante e fondativa affermazione dovrebbe essere trovata nelle parole che l’hanno qui preceduta (e che, oltre a quanto si è già precedentemente scritto o ora espresso nel presente Dialecticvs Nvncivs – che introduce le prossime Glosse al Repubblicanesimo Geopolitico che svolgono, attraverso il taglio del nodo gordiano natura/cultura o storia/natura, la dialettica del Repubblicanesimo Geopolitico stesso –, seguono il filo rosso di una filosofia della praxis che, partendo dalle marxiane Glosse a Feuerbach, approda prima in Giovanni Gentile – cfr. del filosofo dell’attualismo La Filosofia di Marx del 1899 – e poi nella filosofia della praxis compiutamente espressa da Antonio Gramsci nei Quaderni del Carcere) (8) [nota 8 di p.15 di Massimo Morigi, Dialecticvs Nvncivs cit.: si omette la citazione del testo della nota]  e  in parte perché, oltre La Grassa, altri grandi (vedi la teoria del rispecchiamento di Lenin (9) [nota 9 di p. 18 di Massimo Morigi, Dialecticvs Nvncivs cit. : si omette la citazione del testo della nota]   in Materialismo e Empiriocriticismo) hanno sempre espresso una differente opinione, un contraddittorio che necessita acribia e anche una puntuta analisi delle relative fonti e non certo il presente discorso da intendersi solo come inquadramento generale – anche se con tutta la dignità ed autorevolezza che, in via di consolidata storica consuetudine, ogni nunzio merita che gli si accordi – del necessario e, ormai, non più rinviabile dibattito. Massimo Morigi, luglio-25 dicembre 2016.»: Dialecticvs Nvncivs cit., pp. 9-23. Nota finale di qualche tempo dopo (febbraio-marzo 2019) e in circostanze non solo teoriche (una riflessione non solo filosofico-politica ma anche l’inizio dello studio sul fascista Dante Cesare Vacchi che crea i commandos portoghesi): l’invito al dibattito con Gianfranco La Grassa è tuttora valido.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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