Le celebrità che vaneggiano di ammazzare Trump: una storia vecchia, noiosa e pericolosa
di Victor Davis Hanson, 2 giugno 2019
Di recente, la scrittrice newyorkese Fran Lebowitz, invitata da Bill Maher nel suo programma HBO, gli ha detto che il governo USA dovrebbe sbolognare il presidente Trump “ai suoi amichetti sauditi, sai quelli che si sono sbarazzati di quel giornalista?”
Secondo la Lebowitz è spiritoso dire in diretta TV che il presidente degli Stati Uniti andrebbe fatto a pezzi come il giornalista e attivista politico saudita Jamal Kashoggi.
Ormai, la mini-industria di celebrità che invocano la morte violenta o l’assassinio del presidente Trump è una storia vecchia e noiosa, e sta diventando pericolosa.
Come seguissero un copione, attori, cantanti, comici e banali entertainer gareggiano a chi fantastica il modo più splatter di ammazzare il presidente: ma così facendo, insinuano nelle menti degli squilibrati immagini sempre più atroci di violenze immaginate, forse persino approvate da icone del cinema e celebrità della cultura pop.
Il celebre chef Anthony Bourdain, recentemente scomparso, meditava di avvelenare Trump.
David Crosby, il musicista, pensava di incenerirlo.
L’attore Johnny Depp and il rapper Snoop Dogg preferivano sparargli.
L’ex presentatrice della CNN Kathy Griffin, il comico George Lopez, e il cantante Marilyn Manson immaginavano una decapitazione.
Il gruppo rock Pearl Jam ha presentato l’immagine di Trump come carogna decomposta.
La cantante Madonna e il musicista Moby hanno optato per gli esplosivi.
Il teatro pubblico di New York City ha fantasticato di pugnalarlo.
L’attore Robert De Niro pare abbia la patetica fissazione di colpirlo ripetutamente alla testa.
La comica Rosie O’ Donnell ha sognato Trump che precipita in un burrone.
L’attore Mickey Rourke ha minacciato di bastonare Trump, mentre a quanto pare Charlie Sheen ha pregato per un intervento divino che lo elimini.
Il comico Larry Wilmore dice che si contenterebbe di un buon vecchio strangolamento.
Hollywood, naturalmente, si è fissata nell’odio per Trump fin dal primo annuncio della sua candidatura: un’ossessione condivisa dalla CIA dell’era Obama, dalla FBI e dal Dipartimento di Giustizia.
Eppure, che celebrità, autori ed entertainer liberal fantastichino in pubblico di ammazzare un presidente conservatore non è proprio una cosa nuova.
L’ex presidente George W. Bush era un bersaglio preferito degli auguri di morte di questa gente. Ricordate l’episodio di “Game of Thrones” del 2012 dove si vedeva la testa di Bush infissa su una picca? Il columnist del “Guardian” Charles Brooker ha evocato gli assassini di ex presidenti: “John Wilkes Booth, Lee Harvey Oswald, John Hinckley Jr.: dove siete adesso che abbiamo bisogno di voi?”
La Alfred A. Knopf ha pubblicato il romanzo di Nicholson Baker Checkpoint, un libro che consta interamente di dialoghi monotoni tra personaggi noiosi che propongono vari modi di ammazzare Bush. Nel 2006 il cineasta Gabriel Range ci ha beneficiato del “docudrama” Death of a President, dove si mette in scena un tentativo – riuscito – di assassinare George W. Bush.
Ma le nostre celebrità d’ élite non si limitano a immaginare la violenta dipartita di presidenti conservatori come George W. Bush e Donald Trump. Va benissimo qualsiasi eletto conservatore, la sua famiglia compresa.
Proprio ora, l’attore e comico Jim Carrey ha twittato che gli piacerebbe che l’attuale governatrice repubblicana dell’Alabama Kay Ivey fosse stata abortita. “Secondo me, se interrompete una gravidanza lo dovreste fare prima che il feto diventi governatore dell’Alabama”. Così, pensa Carrey, Kay Ivey non avrebbe potuto varare la legge restrittiva sull’aborto. Per migliorare l’effetto, Carrey ha allegato al suo tweet la macabra illustrazione di uno strumento chirurgico che risucchia la testa della Ivey, fotomontata sul corpo di un feto nel grembo materno.
L’estate scorsa Peter Fonda, un’icona del cinema anni Sessanta, ha immaginato una forma di violenza particolarmente patologica ai danni del figlio più piccolo di Trump, Barron: “Dovremmo strappare Barron Trump dalle braccia di sua madre e chiuderlo in una gabbia insieme a dei pedofili. Poi vediamo se sua madre trova il coraggio di mettersi contro al gigantesco str… che ha sposato.”
Provate a sostituire il nome di Obama al nome di Trump: attacchi così abietti garantirebbero a chi li porta l’ostracismo, la distruzione della carriera e persino conseguenze legali.
Ci ricordiamo lo sconosciuto clown di un rodeo che nel 2013 fu bandito a vita dalla Fiera dello Stato del Missouri perché uno dei suoi assistenti s’era comprato una normalissima maschera da Obama e l’aveva indossata lavorando nell’arena?
Lo scandalo universale contro il clown del rodeo si fondava su questa tesi dei liberals: dileggiare il presidente degli Stati Uniti non solo era razzista, ma pericoloso, perché istigava chi odiasse Obama a passare dal pensiero all’atto.
E allora perché le celebrità di sinistra manifestano tanto odio politico?
Primo, danno per scontato che i loro pretesi fini, eguaglianza e giustizia, giustifichino qualsiasi mezzi atto ad approssimarvisi, oscenità e incitamenti alla violenza compresi. Per i militanti della giustizia sociale, i “social justice warriors”, anche le morbosità sono segno che si sta dalla parte giusta. E se qualche squilibrato prendesse sul serio le celebrità che parlano a vanvera di ammazzare o colpire Trump, e realizzasse una delle loro numerosissime fantasie? Ne proverebbero rimorso, le celebrità? Forse no, visto l’odio speciale che nutrono per il conservatorismo in generale e per la famiglia di Trump in particolare.
Secondo, le celebrità (molte neanche hanno finito le scuole superiori) sono per natura un po’ arroganti, e spesso proprio stupide. Confondono la loro bravura di attori o cantanti con una specie di intelligenza o erudizione. Ma sin da Platone, i filosofi ci hanno avvisato che le capacità attoriali sono piuttosto un talento naturale che acquisito, e possono non aver nulla a che fare con l’intelligenza, la saggezza o la sapienza.
Terzo, le celebrità non temono conseguenze. La maggior parte dei boss dell’industria dello spettacolo sono anche loro di sinistra. Persino gli attacchi più ignobili ai conservatori possono diventare utili mosse di carriera. Come le élites dei ricchi, pensano che essendo privilegiati e influenti, dovrebbero andare esenti dalle conseguenze legali di pubbliche dichiarazioni in cui si auspica la morte di un presidente in carica.
Quarto, le celebrità adorano l’attenzione del pubblico, e più ne hanno meglio è, specie se la carriera o l’età è sul viale del tramonto. Per i vanitosi in declino, anche la cattiva pubblicità è buona pubblicità. La carriera di Madonna, Moby, Robert De Niro, o Rosie O’ Donnell non è in fase ascendente.
Quinto, molti tra coloro che manifestano tanto odio e scurrilità sono prodotti diretti o indiretti degli anni Sessanta e Settanta, che hanno distrutto le norme sociali e sdoganato l’oscenità. Per celebrità del genere, parlare a vanvera della morte di un presidente fa parte della cultura di tutta una vita, è il tipo di volgarità che danno per scontata nella musica, nel cinema e nella comicità. Parlando in generale, gli attori che da giovani sono rozzi e volgari invecchiano male. Il Peter Fonda che in Easy Rider era uno spirito libero che parla a ruota libera in sella alla moto, adesso che replica il suo gergo da ribelle a settant’anni e passa sembra un vecchio rimbambito.
Ultimo, Hollywood e le celebrità vivono in un mondo che non c’entra niente con il resto dell’America. Ricchezza, isolamento, governanti, camerieri, giardinieri, il clima e il privilegio di Malibu, Montecito, Beverly Hills o Santa Monica non sono la normalità americana. Praticamente nessun americano vive la vita regale di un Jim Carrey o di un Johnny Depp. Il teatro pubblico di New York non ucciderebbe ritualmente sulla scena ogni sera Trump se rappresentasse il Giulio Cesare nelle campagne dell’Alabama o al centro dell’Oklahoma.
Se qualcuno crede che la spiaggia di Malibu rifletta la norma del comportamento o del modo di pensare americani, ha dei seri problemi con il principio di realtà. Dunque, aspettatevi che la voga delle celebrità che fantasticano l’assassinio di Trump continui, finché non succederà una di queste due cose: o il paese, collettivamente, gli dice “adesso basta”; o le chiacchiere morbose sull’assassinio portano all’omicidio reale.
Victor Davis Hanson
Victor Davis Hanson è uno storico militare americano, editorialista, ex professore di studi classici, e uno studioso della guerra nell’antichità. E’ stato professore di Studi Classici alla California State University di Fresno, e oggi è il Martin and Illie Anderson Senior Fellow presso la Hoover Institution, Stanford University. Il suo libro più recente è: The Second World Wars: How the First Global Conflict was Fought and Won (Basic Books).