Come l’America ha eliminato il gasdotto Nord Stream, di Seymour Hersh (a cura di Roberto Buffagni e segnalazione di Antonio de Martini)

La firma “Seymour Hersch” vi ricorda qualcosa o qualcuno? Queste due foto vi aiuteranno a scavare nella vostra memoria ad oltre cinquanta anni fa. Quella inchiesta gli è valso il

premio Pulitzer nel 1970, quando quel riconoscimento aveva una sua autorevolezza. Dopo quella, seguirono altre inchieste clamorose: il coinvolgimento statunitense nel golpe di Pinochet in Cile nel 1973, lo scandalo delle sevizie nella prigione di Abu Ghraib in Iraq, l’attacco chimico a Ghuta in Siria nel 2013, attribuito ad Assad e in realtà orchestrato dalla Turchia e dai ribelli integralisti siriani. Sono solo una parte dei suoi scoop esplosivi. Con questo articolo, appena tradotto, Hersch, a 85 anni, non ha perso lo smalto e la sua azione dissacrante. Speriamo che riesca a provocare lo stesso effetto. Gli indizi non mancano. Intanto fissiamo alcuni punti fermi:

  • L’attentato è stato pianificato ben prima dell’attacco russo all’Ucraina
  • L’amministrazione americana sapeva del successo della sua politica di istigazione all’intervento russo
  • l’attentato si sarebbe probabilmente comunque compiuto a prescindere dal conflitto ucraino perché l’obbiettivo principale è colpire la Germania nel suo ruolo di leadership europea e nelle sue tentazioni di politica autonoma
  • il totale asservimento delle leadership europee e tedesca in particolare e la cointeressenza economica di alcuni paesi implicati nell’azione terroristica, in particolare la Norvegia e quella più ampia di uno stuolo di paesi europei.  

Buona lettura, Giuseppe Germinario

 

https://seymourhersh.substack.com/p/how-america-took-out-the-nord-stream

Come l’America ha eliminato il gasdotto Nord Stream

Il New York Times l’ha definita un “mistero”, ma gli Stati Uniti hanno eseguito un’operazione marittima segreta, fino ad oggi.

Seymour Hersh

5 ore fa

Il Diving and Salvage Center della Marina degli Stati Uniti si trova in un luogo oscuro come il suo nome, in quello che una volta era un viottolo di campagna nella zona rurale di Panama City, una città di villeggiatura ora in piena espansione nel panhandle sud-occidentale della Florida, 70 miglia a sud del confine con l’Alabama. Il complesso del centro non è descrittivo come la sua ubicazione: una struttura in cemento scialbo del secondo dopoguerra che ha l’aspetto di una scuola superiore professionale nella zona ovest di Chicago. Una lavanderia a gettoni e una scuola di danza si trovano dall’altra parte di quella che ora è una strada a quattro corsie.

Il centro ha addestrato per decenni sommozzatori altamente qualificati che, una volta assegnati alle unità militari americane in tutto il mondo, sono in grado di effettuare immersioni tecniche per fare il bene – utilizzando esplosivi C4 per liberare porti e spiagge da detriti e ordigni inesplosi – e il male, come far saltare in aria piattaforme petrolifere straniere, sporcare le valvole di aspirazione delle centrali elettriche sottomarine, distruggere le chiuse di canali di navigazione cruciali. Il centro di Panama City, che vanta la seconda piscina coperta più grande d’America, era il luogo perfetto per reclutare i migliori, e più taciturni, diplomati della scuola di immersione che l’estate scorsa hanno fatto con successo ciò che erano stati autorizzati a fare a 260 piedi sotto la superficie del Mar Baltico.

Lo scorso giugno, i sommozzatori della Marina, operando sotto la copertura di un’esercitazione NATO di metà estate ampiamente pubblicizzata, nota come BALTOPS 22, hanno piazzato gli esplosivi innescati a distanza che, tre mesi dopo, hanno distrutto tre dei quattro gasdotti Nord Stream, secondo una fonte con conoscenza diretta della pianificazione operativa.

Due dei gasdotti, noti collettivamente come Nord Stream 1, hanno fornito alla Germania e a gran parte dell’Europa occidentale gas naturale russo a basso costo per oltre un decennio. Una seconda coppia di gasdotti, denominata Nord Stream 2, era stata costruita ma non era ancora operativa. Ora, con le truppe russe che si ammassano al confine con l’Ucraina e con l’incombere della più sanguinosa guerra in Europa dal 1945, il presidente Joseph Biden vedeva i gasdotti come un veicolo per Vladimir Putin per armare il gas naturale per le sue ambizioni politiche e territoriali.

Alla richiesta di un commento, Adrienne Watson, portavoce della Casa Bianca, ha risposto in un’e-mail: “Questa affermazione è falsa e completamente inventata”. Tammy Thorp, portavoce della Central Intelligence Agency, ha scritto: “Questa affermazione è completamente e totalmente falsa”.

La decisione di Biden di sabotare gli oleodotti è arrivata dopo oltre nove mesi di discussioni segretissime all’interno della comunità di sicurezza nazionale di Washington su come raggiungere al meglio l’obiettivo. Per gran parte del tempo, il problema non è stato se compiere o meno la missione, ma come portarla a termine senza alcun indizio evidente su chi fosse il responsabile.

C’era una ragione burocratica vitale per affidarsi ai diplomati della scuola di immersione del centro a Panama City. I sommozzatori erano solo della Marina e non membri del Comando per le operazioni speciali americano, le cui operazioni segrete devono essere comunicate al Congresso e informate in anticipo alla leadership del Senato e della Camera, la cosiddetta Gang of Eight. L’amministrazione Biden stava facendo tutto il possibile per evitare fughe di notizie mentre la pianificazione si svolgeva tra la fine del 2021 e i primi mesi del 2022.

Il presidente Biden e la sua squadra di politica estera – il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, il segretario di Stato Tony Blinken e Victoria Nuland, sottosegretario di Stato per la politica – hanno manifestato in modo esplicito e coerente la loro ostilità ai due oleodotti, che si snodano uno accanto all’altro per 750 miglia sotto il Mar Baltico, partendo da due porti diversi nel nord-est della Russia, vicino al confine con l’Estonia, passando vicino all’isola danese di Bornholm prima di terminare nella Germania settentrionale.

La via diretta, che evita il transito in Ucraina, è stata una manna per l’economia tedesca, che ha goduto di un’abbondanza di gas naturale russo a basso costo, sufficiente per far funzionare le fabbriche e riscaldare le case, consentendo ai distributori tedeschi di vendere il gas in eccesso, con profitto, in tutta l’Europa occidentale. Un’azione che potesse essere ricondotta all’amministrazione avrebbe violato le promesse degli Stati Uniti di ridurre al minimo il conflitto diretto con la Russia. La segretezza era essenziale.

Fin dai primi giorni, Nord Stream 1 è stato visto da Washington e dai suoi partner anti-russi della NATO come una minaccia al dominio occidentale. La holding che ne è alla base, la Nord Stream AG, è stata costituita in Svizzera nel 2005 in partnership con Gazprom, una società russa quotata in borsa che produce enormi profitti per gli azionisti ed è dominata da oligarchi noti per essere al soldo di Putin. Gazprom controllava il 51% della società, mentre quattro aziende energetiche europee, una francese, una olandese e due tedesche, condividevano il restante 49% delle azioni e avevano il diritto di controllare le vendite a valle del gas naturale a basso costo ai distributori locali in Germania e in Europa occidentale. I profitti di Gazprom sono stati condivisi con il governo russo e, secondo le stime, in alcuni anni le entrate statali di gas e petrolio sono state pari al 45% del bilancio annuale della Russia.

I timori politici dell’America erano reali: Putin avrebbe avuto un’ulteriore e necessaria fonte di reddito, e la Germania e il resto dell’Europa occidentale sarebbero diventati dipendenti dal gas naturale a basso costo fornito dalla Russia, diminuendo la dipendenza europea dall’America. In realtà, questo è esattamente ciò che è accaduto. Molti tedeschi hanno visto il Nord Stream 1 come parte della realizzazione della famosa teoria dell’Ostpolitik dell’ex cancelliere Willy Brandt. Ostpolitikteoria della che avrebbe permesso alla Germania del dopoguerra di riabilitare se stessa e altre nazioni europee distrutte dalla Seconda Guerra Mondiale utilizzando, tra le altre iniziative, il gas russo a basso costo per alimentare un mercato e un’economia commerciale prospera nell’Europa occidentale.

Il Nord Stream 1 era già abbastanza pericoloso, secondo la NATO e Washington, ma il Nord Stream 2, la cui costruzione è stata completata nel settembre del 2021, se approvato dalle autorità di regolamentazione tedesche, raddoppierebbe la quantità di gas a basso costo disponibile per la Germania e l’Europa occidentale. Il secondo gasdotto fornirebbe inoltre gas sufficiente per oltre il 50% del consumo annuale della Germania. Le tensioni tra la Russia e la NATO, sostenute dall’aggressiva politica estera dell’amministrazione Biden, erano in costante aumento.

L’opposizione al Nord Stream 2 è esplosa alla vigilia dell’insediamento di Biden nel gennaio 2021, quando i repubblicani del Senato, guidati da Ted Cruz del Texas, hanno ripetutamente sollevato la minaccia politica del gas naturale russo a basso costo durante l’udienza di conferma di Blinken come Segretario di Stato. A quel punto un Senato unificato aveva approvato con successo una legge che, come disse Cruz a Blinken, “ha fermato [il gasdotto] sul nascere”. Il governo tedesco, allora guidato da Angela Merkel, avrebbe esercitato enormi pressioni politiche ed economiche per mettere in funzione il secondo gasdotto.

Biden si opporrebbe ai tedeschi? Blinken ha risposto di sì, ma ha aggiunto di non aver discusso i dettagli delle opinioni del Presidente entrante. “So che è fermamente convinto che questa sia una cattiva idea, il Nord Stream 2”, ha detto. “So che vorrebbe che usassimo tutti gli strumenti di persuasione di cui disponiamo per convincere i nostri amici e partner, compresa la Germania, a non andare avanti”.

Pochi mesi dopo, mentre la costruzione del secondo gasdotto si avvicinava al completamento, Biden ha battuto ciglio. Nel maggio dello stesso anno, con un sorprendente dietrofront, l’amministrazione rinunciò alle sanzioni contro Nord Stream AG, mentre un funzionario del Dipartimento di Stato ammise che cercare di fermare il gasdotto attraverso le sanzioni e la diplomazia era “sempre stato un azzardo”. Dietro le quinte, i funzionari dell’amministrazione avrebbero esortato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che a quel punto stava affrontando la minaccia di un’invasione russa, a non criticare la mossa.

Le conseguenze sono state immediate. I repubblicani del Senato, guidati da Cruz, hanno annunciato un blocco immediato di tutte le nomine di Biden in politica estera e hanno ritardato l’approvazione della legge annuale sulla difesa per mesi, fino all’autunno. In seguito Politico ha descritto il dietrofront di Biden sul secondo gasdotto russo come “l’unica decisione, probabilmente più del caotico ritiro militare dall’Afghanistan, che ha messo in pericolo l’agenda di Biden”.

L’amministrazione era in difficoltà, nonostante avesse ottenuto una tregua dalla crisi a metà novembre, quando le autorità tedesche di regolamentazione dell’energia hanno sospeso l’approvazione del secondo gasdotto Nord Stream. I prezzi del gas naturale hanno subito un’impennata dell’8% nel giro di pochi giorni, tra i crescenti timori in Germania e in Europa che la sospensione del gasdotto e la crescente possibilità di una guerra tra Russia e Ucraina avrebbero portato a un inverno freddo molto indesiderato. A Washington non era chiaro quale fosse la posizione di Olaf Scholz, il cancelliere tedesco appena nominato. Mesi prima, dopo la caduta dell’Afghanistan, Scholtz aveva pubblicamente appoggiato l’appello del presidente francese Emmanuel Macron per una politica estera europea più autonoma in un discorso a Praga, suggerendo chiaramente una minore dipendenza da Washington e dalle sue azioni mercuriali.

In tutto questo, le truppe russe si sono costantemente e minacciosamente accumulate ai confini dell’Ucraina e alla fine di dicembre più di 100.000 soldati erano in grado di colpire dalla Bielorussia e dalla Crimea. A Washington cresceva l’allarme, compresa una valutazione di Blinken secondo cui il numero delle truppe avrebbe potuto essere “raddoppiato in breve tempo”.

L’attenzione dell’amministrazione si è nuovamente concentrata su Nord Stream. Finché l’Europa continuerà a dipendere dal gasdotto per ottenere gas naturale a basso costo, Washington temeva che Paesi come la Germania sarebbero stati riluttanti a fornire all’Ucraina il denaro e le armi necessarie per sconfiggere la Russia.

È stato in questo momento di incertezza che Biden ha autorizzato Jake Sullivan a riunire un gruppo interagenzie per elaborare un piano.

Tutte le opzioni dovevano essere prese in considerazione. Ma solo una sarebbe emersa.

PIANIFICAZIONE

Nel dicembre del 2021, due mesi prima che i primi carri armati russi entrassero in Ucraina, Jake Sullivan convocò una riunione di una task force appena costituita – uomini e donne dello Stato Maggiore, della CIA, dei Dipartimenti di Stato e del Tesoro – e chiese raccomandazioni su come rispondere all’imminente invasione di Putin.

Sarebbe stato il primo di una serie di incontri top-secret, in una stanza sicura all’ultimo piano dell’Old Executive Office Building, adiacente alla Casa Bianca, che era anche la sede del President’s Foreign Intelligence Advisory Board (PFIAB). Ci furono i soliti botta e risposta che alla fine portarono a una domanda preliminare cruciale: La raccomandazione trasmessa dal gruppo al Presidente sarebbe stata reversibile – come un altro strato di sanzioni e restrizioni valutarie – o irreversibile – cioè azioni cinetiche, che non potevano essere annullate?

Secondo la fonte con conoscenza diretta del processo, ciò che è apparso chiaro ai partecipanti è che Sullivan intendeva che il gruppo elaborasse un piano per la distruzione dei due gasdotti Nord Stream e che stava realizzando i desideri del Presidente.

I GIOCATORI Da sinistra a destra: Victoria Nuland, Anthony Blinken e Jake Sullivan.

Nel corso delle successive riunioni, i partecipanti discussero le opzioni per un attacco. La Marina propose di utilizzare un sottomarino di recente costruzione per attaccare direttamente l’oleodotto. L’aeronautica discuteva di sganciare bombe con spolette ritardate che potessero essere innescate a distanza. La CIA sosteneva che qualsiasi cosa si facesse, avrebbe dovuto essere segreta. Tutti i partecipanti capirono la posta in gioco. “Non si tratta di roba da bambini”, ha detto la fonte. Se l’attacco fosse riconducibile agli Stati Uniti, “sarebbe un atto di guerra”.

All’epoca, la CIA era diretta da William Burns, un mite ex ambasciatore in Russia che era stato vice segretario di Stato nell’amministrazione Obama. Burns autorizzò rapidamente un gruppo di lavoro dell’Agenzia i cui membri ad hoc includevano, guarda caso, qualcuno che aveva familiarità con le capacità dei sommozzatori della Marina a Panama City. Nelle settimane successive, i membri del gruppo di lavoro della CIA iniziarono a elaborare un piano per un’operazione segreta che avrebbe utilizzato i sommozzatori per innescare un’esplosione lungo l’oleodotto.

Qualcosa di simile era già stato fatto in passato. Nel 1971, la comunità dei servizi segreti americani apprese da fonti ancora non rivelate che due importanti unità della Marina russa comunicavano attraverso un cavo sottomarino interrato nel Mare di Okhotsk, sulla costa dell’Estremo Oriente russo. Il cavo collegava un comando regionale della Marina al quartier generale continentale di Vladivostok.

Una squadra selezionata di agenti della Central Intelligence Agency e della National Security Agency è stata riunita da qualche parte nell’area di Washington, sotto copertura, e ha elaborato un piano, utilizzando sommozzatori della Marina, sottomarini modificati e un veicolo di salvataggio sottomarino, che è riuscito, dopo molti tentativi ed errori, a localizzare il cavo russo. I sommozzatori hanno piazzato sul cavo un sofisticato dispositivo di ascolto che ha intercettato con successo il traffico russo e lo ha registrato su un sistema di registrazione.

L’NSA venne a sapere che gli alti ufficiali della marina russa, convinti della sicurezza del loro collegamento, chiacchieravano con i loro colleghi senza crittografia. Il dispositivo di registrazione e il nastro dovevano essere sostituiti mensilmente e il progetto andò avanti allegramente per un decennio, finché non fu compromesso da un tecnico civile della NSA di quarantaquattro anni, Ronald Pelton, che parlava correntemente il russo. Pelton fu tradito da un disertore russo nel 1985 e condannato alla prigione. I russi gli pagarono solo 5.000 dollari per le sue rivelazioni sull’operazione, oltre a 35.000 dollari per altri dati operativi russi da lui forniti che non furono mai resi pubblici.

Quel successo subacqueo, chiamato in codice Ivy Bells, fu innovativo e rischioso, e produsse informazioni preziose sulle intenzioni e i piani della Marina russa.

Tuttavia, il gruppo interagenzie era inizialmente scettico sull’entusiasmo della CIA per un attacco segreto in mare aperto. C’erano troppe domande senza risposta. Le acque del Mar Baltico erano pesantemente pattugliate dalla marina russa e non c’erano piattaforme petrolifere che potessero essere usate come copertura per un’operazione subacquea. I sommozzatori sarebbero dovuti andare in Estonia, proprio al di là del confine con le banchine di carico del gas naturale della Russia, per addestrarsi alla missione? “Sarebbe una scopata da capre”, è stato detto all’Agenzia.

Nel corso di “tutti questi piani”, ha raccontato la fonte, “alcuni funzionari della CIA e del Dipartimento di Stato dicevano: “Non fatelo. È stupido e sarà un incubo politico se verrà fuori”.

Tuttavia, all’inizio del 2022, il gruppo di lavoro della CIA riferì al gruppo interagenzie di Sullivan: “Abbiamo un modo per far saltare gli oleodotti”.

Quello che è successo dopo è stato sbalorditivo. Il 7 febbraio, meno di tre settimane prima dell’apparentemente inevitabile invasione russa dell’Ucraina, Biden si è incontrato nel suo ufficio alla Casa Bianca con il Cancelliere tedesco Olaf Scholz, che, dopo qualche tentennamento, era ora saldamente nella squadra americana. Durante il briefing con la stampa che ne è seguito, Biden ha affermato con tono di sfida: “Se la Russia invade… non ci sarà più un Nord Stream 2. Metteremo fine a tutto questo“.

Venti giorni prima, il Sottosegretario Nuland aveva trasmesso essenzialmente lo stesso messaggio durante un briefing del Dipartimento di Stato, con poca copertura da parte della stampa. “Voglio essere molto chiara con voi oggi”, ha detto in risposta a una domanda. “Se la Russia invade l’Ucraina, in un modo o nell’altro il Nord Stream 2 non andrà avanti“.

Molti di coloro che hanno partecipato alla pianificazione della missione dell’oleodotto sono rimasti sconcertati da quelli che hanno considerato come riferimenti indiretti all’attacco.

“È stato come mettere una bomba atomica a Tokyo e dire ai giapponesi che la faremo esplodere”, ha detto la fonte. “Il piano prevedeva che le opzioni fossero eseguite dopo l’invasione e non pubblicizzate pubblicamente. Biden semplicemente non l’ha capito o l’ha ignorato”.

L’indiscrezione di Biden e della Nuland, se di questo si è trattato, potrebbe aver frustrato alcuni dei pianificatori. Ma ha anche creato un’opportunità. Secondo la fonte, alcuni alti funzionari della CIA hanno stabilito che far saltare l’oleodotto “non poteva più essere considerata un’opzione segreta perché il Presidente aveva appena annunciato che sapevamo come farlo”.

Il piano per far saltare in aria Nord Stream 1 e 2 è stato improvvisamente declassato da un’operazione segreta che richiedeva l’informazione del Congresso a un’operazione di intelligence altamente classificata con il supporto militare degli Stati Uniti. Secondo la legge, ha spiegato la fonte, “non c’era più l’obbligo legale di riferire l’operazione al Congresso. Tutto ciò che dovevano fare ora era farlo e basta, ma doveva essere ancora segreto. I russi hanno una sorveglianza superlativa del Mar Baltico”.

I membri del gruppo di lavoro dell’Agenzia non avevano contatti diretti con la Casa Bianca e non vedevano l’ora di scoprire se il Presidente intendeva dire quello che aveva detto, cioè se la missione era ormai avviata. La fonte ha ricordato: “Bill Burns torna e dice: “Fatelo””.

“La marina norvegese è stata rapida nel trovare il punto giusto, nelle acque poco profonde a poche miglia dall’isola danese di Bornholm…”.

L’OPERAZIONE

La Norvegia era il luogo perfetto per la missione.

Negli ultimi anni di crisi Est-Ovest, le forze armate statunitensi hanno ampliato notevolmente la loro presenza in Norvegia, il cui confine occidentale corre per 1.400 miglia lungo l’Oceano Atlantico settentrionale e si fonde sopra il Circolo Polare Artico con la Russia. Il Pentagono ha creato posti di lavoro e contratti altamente remunerativi, tra qualche polemica locale, investendo centinaia di milioni di dollari per aggiornare ed espandere le strutture della Marina e dell’Aeronautica americane in Norvegia. Le nuove opere comprendevano, soprattutto, un radar avanzato ad apertura sintetica, in grado di penetrare in profondità in Russia, entrato in funzione proprio quando la comunità di intelligence americana ha perso l’accesso a una serie di siti di ascolto a lungo raggio all’interno della Cina.

Una base sottomarina americana recentemente ristrutturata, in costruzione da anni, è diventata operativa e più sottomarini americani sono ora in grado di lavorare a stretto contatto con i loro colleghi norvegesi per monitorare e spiare un’importante ridotta nucleare russa a 250 miglia a est, nella penisola di Kola. L’America ha anche ampliato notevolmente una base aerea norvegese nel nord e ha consegnato alle forze aeree norvegesi una flotta di aerei da pattugliamento P8 Poseidon, costruiti dalla Boeing, per rafforzare lo spionaggio a lungo raggio di tutto ciò che riguarda la Russia.

In cambio, lo scorso novembre il governo norvegese ha fatto arrabbiare i liberali e alcuni moderati del suo parlamento approvando l’Accordo supplementare di cooperazione per la difesa (SDCA). In base al nuovo accordo, in alcune “aree concordate” del Nord, il sistema giuridico statunitense avrà giurisdizione sui soldati americani accusati di crimini fuori dalla base, così come sui cittadini norvegesi accusati o sospettati di interferire con il lavoro della base.

La Norvegia è stata uno dei primi firmatari del Trattato NATO nel 1949, agli inizi della Guerra Fredda. Oggi, il comandante supremo della NATO è Jens Stoltenberg, un convinto anticomunista, che è stato primo ministro norvegese per otto anni prima di passare alla sua alta carica alla NATO, con il sostegno americano, nel 2014. Si trattava di un duro su tutto ciò che riguardava Putin e la Russia, che aveva collaborato con la comunità di intelligence americana fin dai tempi della guerra del Vietnam. Da allora si è fidato completamente di lui. “È il guanto che si adatta alla mano americana”, ha detto la fonte.

A Washington i pianificatori sapevano che dovevano andare in Norvegia. “Odiavano i russi e la marina norvegese era piena di marinai e sommozzatori eccellenti, con generazioni di esperienza nell’esplorazione di petrolio e gas in acque profonde altamente redditizie”, ha detto la fonte. Inoltre ci si poteva fidare di loro per mantenere la missione segreta. (I norvegesi potrebbero aver avuto anche altri interessi. La distruzione di Nord Stream, se gli americani riuscissero a portarla a termine, consentirebbe alla Norvegia di vendere una quantità molto maggiore del proprio gas naturale all’Europa).

A marzo, alcuni membri del team si recarono in Norvegia per incontrare i servizi segreti e la marina norvegese. Una delle domande chiave era dove esattamente nel Mar Baltico fosse il posto migliore per piazzare gli esplosivi. Nord Stream 1 e 2, ciascuno con due serie di condotte, erano separati per gran parte del percorso da poco più di un miglio, mentre si dirigevano verso il porto di Greifswald, nell’estremo nord-est della Germania.

La marina norvegese è stata rapida nel trovare il punto giusto, nelle acque poco profonde del Mar Baltico, a poche miglia dall’isola danese di Bornholm. Le condutture correvano a più di un miglio di distanza l’una dall’altra, su un fondale profondo solo 260 piedi. Si trattava di un’area ben raggiungibile dai sommozzatori che, operando da un cacciamine norvegese della classe Alta, si sarebbero immersi con una miscela di ossigeno, azoto ed elio che usciva dalle loro bombole e avrebbero piazzato cariche di C4 sagomate sulle quattro condutture con coperture protettive in cemento. Sarebbe stato un lavoro noioso, lungo e pericoloso, ma le acque al largo di Bornholm avevano un altro vantaggio: non c’erano grandi correnti di marea, che avrebbero reso il compito di immergersi molto più difficile.

Dopo un po’ di ricerche, gli americani erano tutti d’accordo.

A questo punto, entrò di nuovo in gioco l’oscuro gruppo di immersione profonda della Marina a Panama City. Le scuole d’altura di Panama City, i cui allievi hanno partecipato alle Ivy Bells, sono viste come un’indesiderata zona d’ombra dall’élite dei diplomati dell’Accademia Navale di Annapolis, che di solito cercano la gloria di essere assegnati come Seal, piloti di caccia o sommergibilisti. Se uno deve diventare una “scarpa nera”, cioè un membro del meno desiderabile comando di navi di superficie, c’è sempre almeno un incarico su un cacciatorpediniere, un incrociatore o una nave anfibia. La meno affascinante di tutte è la guerra di mine. I suoi sommozzatori non appaiono mai nei film di Hollywood o sulle copertine delle riviste popolari.

“I migliori sommozzatori con qualifiche per immersioni profonde sono una comunità ristretta e solo i migliori vengono reclutati per l’operazione e viene detto loro di prepararsi a essere convocati dalla CIA a Washington”, ha detto la fonte.

I norvegesi e gli americani avevano il luogo e gli operatori, ma c’era un’altra preoccupazione: qualsiasi attività subacquea insolita nelle acque al largo di Bornholm avrebbe potuto attirare l’attenzione della marina svedese o danese, che avrebbe potuto segnalarla.

Anche la Danimarca era stata uno dei primi firmatari della NATO ed era nota nella comunità dei servizi segreti per i suoi legami speciali con il Regno Unito. La Svezia aveva presentato domanda di adesione alla NATO e aveva dimostrato una grande abilità nella gestione dei suoi sistemi di sensori sonori e magnetici sottomarini, che riuscivano a rintracciare con successo i sottomarini russi che di tanto in tanto comparivano nelle acque remote dell’arcipelago svedese e venivano costretti a salire in superficie.

I norvegesi si unirono agli americani insistendo sul fatto che alcuni alti funzionari in Danimarca e Svezia dovevano essere informati in termini generali sulle possibili attività subacquee nell’area. In questo modo, qualcuno più in alto poteva intervenire e tenere un rapporto fuori dalla catena di comando, isolando così l’operazione dell’oleodotto. “Quello che veniva detto loro e quello che sapevano erano volutamente diversi”, mi ha detto la fonte (l’ambasciata norvegese, interpellata per commentare questa storia, non ha risposto).

I norvegesi sono stati fondamentali per risolvere altri ostacoli. È noto che la marina russa possiede una tecnologia di sorveglianza in grado di individuare e attivare le mine sottomarine. I dispositivi esplosivi americani dovevano essere camuffati in modo da apparire al sistema russo come parte dello sfondo naturale, cosa che richiedeva un adattamento alla salinità specifica dell’acqua. I norvegesi avevano una soluzione.

I norvegesi avevano anche una soluzione alla questione cruciale di quando l’operazione avrebbe dovuto avere luogo. Ogni giugno, negli ultimi 21 anni, la Sesta Flotta americana, la cui nave ammiraglia è basata a Gaeta, in Italia, a sud di Roma, ha sponsorizzato una grande esercitazione della NATO nel Mar Baltico che coinvolge decine di navi alleate in tutta la regione. L’attuale esercitazione, che si terrà a giugno, sarà nota come Baltic Operations 22, o BALTOPS 22. I norvegesi hanno proposto che questa fosse la copertura ideale per piazzare le mine.

Gli americani fornirono un elemento fondamentale: convinsero i pianificatori della Sesta Flotta ad aggiungere al programma un’esercitazione di ricerca e sviluppo. L’esercitazione, come reso noto dalla Marina, coinvolgeva la Sesta Flotta in collaborazione con i “centri di ricerca e di guerra” della Marina. L’evento in mare si sarebbe svolto al largo delle coste dell’isola di Bornholm e avrebbe coinvolto squadre di sommozzatori della NATO che avrebbero piazzato mine, mentre le squadre concorrenti avrebbero utilizzato le più recenti tecnologie subacquee per trovarle e distruggerle.

Si trattava di un esercizio utile e di una copertura ingegnosa. I ragazzi di Panama City avrebbero fatto il loro dovere e gli esplosivi C4 sarebbero stati posizionati entro la fine di BALTOPS22, con un timer di 48 ore. Tutti gli americani e i norvegesi sarebbero spariti prima della prima esplosione.

I giorni erano contati. “Il tempo scorreva e ci stavamo avvicinando alla missione compiuta”, ha detto la fonte.

E poi: Washington ci ripensò. Le bombe sarebbero state comunque piazzate durante il BALTOPS, ma la Casa Bianca temeva che una finestra di due giorni per la loro detonazione sarebbe stata troppo vicina alla fine dell’esercitazione e che sarebbe stato evidente il coinvolgimento dell’America.

La Casa Bianca ha invece avanzato una nuova richiesta: “I ragazzi sul campo possono escogitare un modo per far saltare gli oleodotti in seguito al comando?”.

Alcuni membri del team di pianificazione erano arrabbiati e frustrati per l’apparente indecisione del Presidente. I sommozzatori di Panama City si erano ripetutamente esercitati a piazzare il C4 sulle condutture, come avrebbero fatto durante BALTOPS, ma ora la squadra in Norvegia doveva trovare un modo per dare a Biden quello che voleva: la possibilità di emettere un ordine di esecuzione di successo in un momento a sua scelta.

Essere incaricati di un cambiamento arbitrario e dell’ultimo minuto era qualcosa che la CIA era abituata a gestire. Ma ha anche rinnovato le preoccupazioni di alcuni sulla necessità e la legalità dell’intera operazione.

Gli ordini segreti del Presidente evocavano anche il dilemma della CIA ai tempi della guerra del Vietnam, quando il Presidente Johnson, di fronte al crescente sentimento contrario alla guerra del Vietnam, ordinò all’Agenzia di violare il suo statuto – che le impediva specificamente di operare all’interno dell’America – spiando i leader contrari alla guerra per determinare se fossero controllati dalla Russia comunista.

Alla fine l’Agenzia acconsentì, e nel corso degli anni Settanta divenne chiaro fino a che punto fosse disposta a spingersi. In seguito agli scandali Watergate, i giornali rivelarono che l’Agenzia spiava i cittadini americani, era coinvolta nell’assassinio di leader stranieri e aveva minato il governo socialista di Salvador Allende.

Queste rivelazioni portarono a una drammatica serie di audizioni a metà degli anni ’70 al Senato, guidate da Frank Church dell’Idaho, che chiarirono che Richard Helms, l’allora direttore dell’Agenzia, accettava l’obbligo di fare ciò che il Presidente voleva, anche se ciò significava violare la legge.

In una testimonianza inedita e a porte chiuse, Helms ha spiegato con amarezza che “si ha quasi un’Immacolata Concezione quando si fa qualcosa” su ordine segreto di un Presidente. “Che sia giusto che sia così o che sia sbagliato che sia così, [la CIA] lavora con regole diverse e regole di base rispetto a qualsiasi altra parte del governo”. In sostanza, stava dicendo ai senatori che lui, come capo della CIA, aveva capito di lavorare per la Corona e non per la Costituzione.

Gli americani al lavoro in Norvegia operavano secondo la stessa dinamica e iniziarono doverosamente a lavorare sul nuovo problema: come far esplodere a distanza l’esplosivo C4 su ordine di Biden. Si trattava di un compito molto più impegnativo di quanto non avessero capito a Washington. La squadra in Norvegia non aveva modo di sapere quando il Presidente avrebbe premuto il pulsante. Sarebbe stato tra poche settimane, tra molti mesi o tra mezzo anno o più?

Il C4 collegato alle condutture sarebbe stato attivato da una boa sonar sganciata da un aereo con breve preavviso, ma la procedura richiedeva la più avanzata tecnologia di elaborazione dei segnali. Una volta posizionati, i dispositivi di temporizzazione ritardata attaccati a uno qualsiasi dei quattro oleodotti potrebbero essere accidentalmente innescati dalla complessa miscela di rumori di fondo dell’oceano in tutto il Mar Baltico, molto trafficato, provenienti da navi vicine e lontane, trivellazioni sottomarine, eventi sismici, onde e persino creature marine. Per evitare ciò, la boa sonar, una volta posizionata, emetterebbe una sequenza di suoni tonali unici a bassa frequenza – simili a quelli emessi da un flauto o da un pianoforte – che verrebbero riconosciuti dal dispositivo di temporizzazione e, dopo un ritardo di ore prestabilito, innescherebbero gli esplosivi. (“Si vuole un segnale abbastanza robusto, in modo che nessun altro segnale possa accidentalmente inviare un impulso che faccia esplodere gli esplosivi”, mi ha detto il dottor Theodore Postol, professore emerito di scienza, tecnologia e politica di sicurezza nazionale al MIT. Postol, che è stato consulente scientifico del capo delle operazioni navali del Pentagono, ha detto che il problema che il gruppo in Norvegia deve affrontare a causa del ritardo di Biden è una questione di probabilità: “Più a lungo gli esplosivi rimangono in acqua, maggiore è il rischio che un segnale casuale possa lanciare le bombe”).

Il 26 settembre 2022, un aereo di sorveglianza P8 della Marina norvegese ha effettuato un volo apparentemente di routine e ha sganciato una boa sonar. Il segnale si diffuse sott’acqua, inizialmente verso Nord Stream 2 e poi verso Nord Stream 1. Poche ore dopo, gli esplosivi C4 ad alta potenza sono stati innescati e tre dei quattro gasdotti sono stati messi fuori uso. Nel giro di pochi minuti, è stato possibile vedere le pozze di gas metano rimaste nelle condutture chiuse diffondersi sulla superficie dell’acqua e il mondo ha capito che era avvenuto qualcosa di irreversibile.

FALLIMENTO

All’indomani dell’attentato all’oleodotto, i media americani l’hanno trattato come un mistero irrisolto. La Russia è stata ripetutamente citata come probabile colpevole, spinta da calcolate fughe di notizie dalla Casa Bianca, ma senza mai stabilire un chiaro motivo per un tale atto di autosabotaggio, al di là della semplice vendetta. Qualche mese dopo, quando è emerso che le autorità russe si erano procurate in sordina i preventivi di spesa per la riparazione degli oleodotti, il New York Times ha descritto la notizia come “complicante le teorie su chi ci fosse dietro” l’attacco. Nessun grande giornale americano ha approfondito le precedenti minacce agli oleodotti avanzate da Biden e dal Sottosegretario di Stato Nuland.

Sebbene non sia mai stato chiaro il motivo per cui la Russia avrebbe cercato di distruggere il proprio lucroso oleodotto, una motivazione più eloquente per l’azione del Presidente è arrivata dal Segretario di Stato Blinken.

In una conferenza stampa dello scorso settembre, Blinken ha parlato delle conseguenze dell’aggravarsi della crisi energetica in Europa occidentale, Blinken ha descritto il momento come potenzialmente positivo:

“È un’opportunità straordinaria per eliminare una volta per tutte la dipendenza dall’energia russa e quindi per togliere a Vladimir Putin la possibilità di armare l’energia come mezzo per portare avanti i suoi progetti imperiali. Questo è molto significativo e offre un’enorme opportunità strategica per gli anni a venire, ma nel frattempo siamo determinati a fare tutto il possibile per assicurarci che le conseguenze di tutto questo non siano sopportate dai cittadini dei nostri Paesi o, se è per questo, di tutto il mondo”.

Più recentemente, Victoria Nuland ha espresso soddisfazione per la scomparsa del più recente dei gasdotti. Alla fine di gennaio, in occasione di un’audizione del Comitato per le Relazioni Estere del Senato, ha dichiarato al senatore Ted Cruz: “Come lei, sono molto soddisfatta, e credo che lo sia anche l’Amministrazione, di sapere che Nord Stream 2 è ora, come lei ama dire, un pezzo di metallo in fondo al mare”.

La fonte ha avuto una visione molto più spicciola della decisione di Biden di sabotare più di 1500 miglia di gasdotto Gazprom all’approssimarsi dell’inverno. “Beh”, ha detto parlando del Presidente, “devo ammettere che il ragazzo ha un paio di palle.  Ha detto che l’avrebbe fatto e l’ha fatto”.

Alla domanda sul perché pensasse che i russi non avessero risposto, ha risposto cinicamente: “Forse vogliono avere la capacità di fare le stesse cose che hanno fatto gli Stati Uniti”.

“Era una bella storia di copertura”, ha proseguito. “Dietro c’era un’operazione segreta che prevedeva la presenza di esperti sul campo e di apparecchiature che funzionavano con un segnale segreto.

“L’unica pecca è stata la decisione di farlo”.

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Ucraina 27a puntata, primi importanti scricchiolii_Con Max Bonelli e Stefano Orsi

La coperta disponibile per le forze armate ucraine comincia a restringersi troppo per poter coprire l’intero fronte. Le difficoltà emergono su numerosi punti di contatto e con esse i primi segnali di sbandamento. Più la situazione tende a sfuggire, tanto più la morsa del regime si stringe sulla propria popolazione e lo scontro politico assume i contorni di una vera e propria faida. La realtà di un regime che ha sempre meno a che fare con gli interessi di un popolo che pretende di rappresentare comincia ad emergere anche tra i più ferventi sostenitori. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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Stati Uniti! Politica nel pallone_con Gianfranco Campa

Improvvisamente, consuetudini tollerate diventano l’occasione e il pretesto per creare non ancora il casus belli, certamente l’ostacolo alla realizzazione di trame ed obbiettivi politici degli avversari. Negli Stati Uniti il caso dell’aerostato vagante è stato lo strumento e l’occasione sollevata ad arte per rimescolare le carte secondo tre linee di riferimento. Ad una componente decisa a condurre il confronto geopolitico ostile contestualmente con la Russia e la Cina si giustappone una componente russofoba ed una sinofoba. Tutte e tre imbevute di un trasporto ideologico che porta spesso a forzare l’interpretazione politica degli atti e conseguentemente il merito degli atti politici. Il tutto in un contesto di opinione pubblica sempre più ostile nei confronti della leadership cinese, ritenuta responsabile del processo di degrado economico e sociale negli Stati Uniti. Una partita a tre che espone sempre più le scelte politiche statunitensi ad una schizofrenia incapace di definire chiaramente le priorità. Una situazione che rischia di trascinare una parte significativa del movimento MAGA verso una deriva neocon suscettibile di ricreare su nuove basi avventuriste i vecchi equilibri interni. Un contesto nel quale sono fondamentali gli intrecci e le interrelazioni esterne di queste fazioni con parte dei centri decisori stranieri. Sempre più labili questi ultimi con quelli russi, ancora significativi e determinanti con quelli cinesi. Il contrasto sul “palloncino” ha per oggetto una contesa su scelte ben più impegnative: il raddoppio delle basi statunitensi nel Pacifico ed una separazione dei legami economici sino-statunitensi il più graduale e meno dirompente possibile per i due paesi. Un intrico della cui complessità rischia di sfuggire il bandolo a qualcuno dei tanti attori protagonisti nello scenario politico interno e geopolitico. Buon e attento ascolto, Giuseppe Germinario

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Il ritorno della guerra industriale, di Alex Veršinin

L’Occidente può ancora fornire l’arsenale della democrazia?

La guerra in Ucraina ha dimostrato che l’era della guerra industriale è ancora qui. Il massiccio consumo di attrezzature, veicoli e munizioni richiede una base industriale su larga scala per il rifornimento: la quantità ha ancora una qualità propria. Il combattimento su vasta scala ha contrapposto 250.000 soldati ucraini, insieme a 450.000 soldati cittadini recentemente mobilitati, contro circa 200.000 truppe russe e separatiste . Lo sforzo per armare, nutrire e rifornire questi eserciti è un compito immane. Il rifornimento di munizioni è particolarmente oneroso. Per l’Ucraina, ad aggravare questo compito ci sono le capacità russe di incendi profondi, che prendono di mira l’industria militare ucraina e le reti di trasporto in tutta la profondità del paese. Anche l’esercito russo ha subito transfrontalieri attacchi e atti di sabotaggio ucraini , ma su scala minore. Il tasso di consumo di munizioni e attrezzature in Ucraina può essere sostenuto solo da una base industriale su larga scala.

Questa realtà dovrebbe essere un monito concreto per i paesi occidentali, che hanno ridimensionato la capacità industriale militare e sacrificato scala ed efficacia per l’efficienza. Questa strategia si basa su ipotesi errate sul futuro della guerra ed è stata influenzata sia dalla cultura burocratica dei governi occidentali sia dall’eredità di conflitti a bassa intensità. Attualmente, l’Occidente potrebbe non avere la capacità industriale per combattere una guerra su larga scala . Se il governo degli Stati Uniti sta pianificando di diventare ancora una volta l’ arsenale della democrazia , allora le capacità esistenti della base militare-industriale degli Stati Uniti e le ipotesi fondamentali che ne hanno guidato lo sviluppo devono essere riesaminate.

Stima del consumo di munizioni

Non sono disponibili dati esatti sul consumo di munizioni per il conflitto Russia-Ucraina. Nessuno dei due governi pubblica dati, ma una stima del consumo di munizioni russo può essere calcolata utilizzando i dati ufficiali sulle missioni di fuoco forniti dal Ministero della

Difesa russo durante il suo briefing quotidiano.

Numero di missioni antincendio quotidiane russe, 19-31 maggio

Sebbene questi numeri mescolino razzi tattici con artiglieria convenzionale a guscio duro, non è irragionevole presumere che un terzo di queste missioni sia stato lanciato da truppe missilistiche perché formano un terzo della forza di artiglieria di una brigata di fucilieri motorizzati, con altri due battaglioni che sono tubi artiglieria. Ciò suggerisce 390 missioni giornaliere sparate dall’artiglieria a tubo. Ogni colpo di artiglieria a tubo è condotto da una batteria di sei cannoni in totale. Tuttavia, è probabile che i guasti durante il combattimento e la manutenzione riducano questo numero a quattro. Con quattro cannoni per batteria e quattro colpi per cannone, l’artiglieria a tubo spara circa 6.240 colpi al giorno. Possiamo stimare un ulteriore spreco del 15% per i proiettili posizionati a terra ma abbandonati quando la batteria si è mossa in fretta, i proiettili distrutti dagli attacchi ucraini sui depositi di munizioni o i proiettili sparati ma non segnalati ai livelli di comando superiori. Questo numero arriva fino a 7.176 colpi di artiglieria al giorno. Va notato che il Ministero della Difesa russo riporta solo missioni di fuoco da parte delle forze della Federazione Russa. Questi non includono le formazioni delle repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk, che sono trattate come paesi diversi. I numeri non sono perfetti, ma anche se sono inferiori del 50%, ciò non cambia comunque la sfida logistica complessiva.

La capacità della base industriale dell’Occidente

Il vincitore in una guerra prolungata tra due potenze alla pari si basa ancora su quale parte ha la base industriale più forte. Un paese deve avere la capacità produttiva per costruire enormi quantità di munizioni o avere altre industrie manifatturiere che possono essere rapidamente convertite alla produzione di munizioni. Sfortunatamente, l’Occidente sembra non avere più nessuno dei due.

Attualmente, gli Stati Uniti stanno riducendo le scorte di munizioni di artiglieria. Nel 2020, gli acquisti di munizioni di artiglieria sono diminuiti del 36% a 425 milioni di dollari . Nel 2022, il piano è di ridurre la spesa per i colpi di artiglieria da 155 mm a 174 milioni di dollari. Ciò equivale a 75.357 colpi “stupidi” di base M795 per l’artiglieria regolare, 1.400 colpi XM1113 per l’M777 e 1.046 colpi XM1113 per i cannoni di artiglieria rotonda estesa. Infine, ci sono $ 75 milioni dedicati alle munizioni a guida di precisione Excalibur che costano $ 176K per round, per un totale di 426 round. In breve, la produzione annuale di artiglieria statunitense durerebbe nel migliore dei casi solo da 10 giorni a due settimane di combattimento in Ucraina. Se la stima iniziale dei proiettili russi sparati fosse superiore del 50%, estenderebbe l’artiglieria fornita solo per tre settimane.

Gli Stati Uniti non sono l’unico paese ad affrontare questa sfida. In un recente gioco di guerra che ha coinvolto forze statunitensi, britanniche e francesi, le forze britanniche hanno esaurito le scorte nazionali di munizioni critiche dopo otto giorni .

Sfortunatamente, questo non è solo il caso dell’artiglieria. Giavellotti anticarro e Stinger di difesa aerea sono nella stessa barca. Gli Stati Uniti hanno spedito 7.000 missili Javelin all’Ucraina , circa un terzo delle sue scorte, con altre spedizioni in arrivo. Lockheed Martin produce circa 2.100 missili all’anno, anche se questo numero potrebbe salire a 4.000 in pochi anni. L’Ucraina afferma di utilizzare 500 missili Javelin ogni giorno.

La spesa per missili da crociera e missili balistici da teatro è altrettanto massiccia. I russi hanno lanciato tra 1.100 e 2.100 missili . attualmente Gli Stati Uniti acquistano 110 missili da crociera PRISM, 500 JASSM e 60 Tomahawk all’anno, il che significa che in tre mesi di combattimento, la Russia ha bruciato quattro volte la produzione annuale di missili degli Stati Uniti. Il tasso di produzione russo può solo essere stimato. La Russia ha iniziato la produzione di missili nel 2015 in tirature iniziali limitate, e anche nel 2016 le corse di produzione sono state stimate a 47 missili . Ciò significa che aveva solo da cinque a sei anni di produzione su vasta scala.

 

Se la competizione tra autocrazie e democrazie è davvero entrata in una fase militare, allora l’arsenale della democrazia deve migliorare radicalmente il suo approccio alla produzione di materiale in tempo di guerra

La scorta iniziale nel febbraio 2022 è sconosciuta, ma considerando le spese e l’obbligo di trattenere scorte sostanziali in caso di guerra con la NATO, è improbabile che i russi siano preoccupati. In effetti, sembrano avere abbastanza per spendere missili da crociera a livello operativo su obiettivi tattici . L’ipotesi che ci siano 4.000 missili da crociera e balistici nell’inventario russo non è irragionevole. Questa produzione probabilmente aumenterà nonostante le sanzioni occidentali. Ad aprile, ODK Saturn, che produce motori missilistici Kalibr, ha annunciato ulteriori 500 posti di lavoro . Ciò suggerisce che anche in questo campo l’Occidente ha solo parità con la Russia.

Ipotesi sbagliate

Il primo presupposto chiave sul futuro del combattimento è che le armi a guida di precisione ridurranno il consumo complessivo di munizioni richiedendo un solo colpo per distruggere il bersaglio. La guerra in Ucraina sta sfidando questa ipotesi. Molti sistemi di fuoco indiretto “stupidi” stanno raggiungendo una grande precisione senza una guida di precisione, e tuttavia il consumo complessivo di munizioni è enorme. Parte del problema è che la digitalizzazione delle mappe globali, combinata con una massiccia proliferazione di droni, consente la geolocalizzazione e il targeting con maggiore precisione, con prove video che dimostrano la capacità di mettere a segno colpi di primo impatto con fuochi indiretti.

Il secondo presupposto cruciale è che l’industria può essere attivata e disattivata a piacimento. Questo modo di pensare è stato importato dal settore degli affari e si è diffuso attraverso la cultura del governo statunitense. Nel settore civile, i clienti possono aumentare o diminuire i loro ordini. Il produttore può essere danneggiato da un calo degli ordini, ma raramente tale calo è catastrofico perché di solito ci sono più consumatori e le perdite possono essere ripartite tra i consumatori. Sfortunatamente, questo non funziona per gli acquisti militari. C’è solo un cliente negli Stati Uniti per i proiettili di artiglieria: i militari. Una volta che gli ordini diminuiscono, il produttore deve chiudere le linee di produzione per tagliare i costi per rimanere in attività. Le piccole imprese potrebbero chiudere del tutto. Generare nuova capacità è molto impegnativo, soprattutto perché è rimasta così poca capacità produttiva da cui attingere lavoratori qualificati. Ciò è particolarmente impegnativo perché molti vecchi sistemi di produzione di armamenti richiedono molta manodopera al punto da essere praticamente costruiti a mano e ci vuole molto tempo per addestrare una nuova forza lavoro. I problemi della catena di approvvigionamento sono anche problematici perché i sottocomponenti possono essere prodotti da un subappaltatore che cessa l’attività, con perdita di ordini o riattrezzature per altri clienti o che fa affidamento su parti dall’estero, possibilmente da un paese ostile.

Il quasi monopolio della Cina sui materiali delle terre rare è una sfida ovvia qui. La produzione di missili Stinger non sarà completata fino al 2026, in parte a causa della carenza di componenti . statunitensi I rapporti sulla base industriale della difesa hanno chiarito che aumentare la produzione in tempo di guerra può essere difficile, se non impossibile, a causa dei problemi della catena di approvvigionamento e della mancanza di personale addestrato a causa del degrado della base manifatturiera statunitense.

Infine, vi è un’ipotesi sui tassi di consumo complessivo di munizioni. Il governo degli Stati Uniti ha sempre minimizzato questo numero. Dall’era del Vietnam ad oggi, le fabbriche di armi leggere si sono ridotte da cinque a una sola. Ciò è stato evidente al culmine della guerra in Iraq , quando gli Stati Uniti hanno iniziato a scarseggiare le munizioni per armi leggere, costringendo il governo degli Stati Uniti ad acquistare munizioni britanniche e israeliane durante la fase iniziale della guerra. Ad un certo punto, gli Stati Uniti dovettero attingere al Vietnam e persino alle scorte di munizioni dell’era della seconda guerra mondiale di . Munizioni calibro 50 per alimentare lo sforzo bellico . Questo è stato in gran parte il risultato di presupposti errati sull’efficacia delle truppe statunitensi. In effetti, il Government Accountability Office ha stimato che ci sono voluti 250.000 colpi per uccidere un ribelle . Fortunatamente per gli Stati Uniti, la loro cultura delle armi ha assicurato che l’industria delle munizioni per armi leggere abbia una componente civile negli Stati Uniti. Questo non è il caso di altri tipi di munizioni, come mostrato in precedenza con i missili Javelin e Stinger. Senza l’accesso alla metodologia del governo, è impossibile capire perché le stime del governo degli Stati Uniti fossero sbagliate, ma c’è il rischio che gli stessi errori siano stati commessi con altri tipi di munizioni.

Conclusione

La guerra in Ucraina dimostra che la guerra tra avversari alla pari o vicini alla pari richiede l’esistenza di una capacità di produzione tecnicamente avanzata, su larga scala, dell’era industriale. L’assalto russo consuma munizioni a tassi che superano di gran lunga le previsioni statunitensi e la produzione di munizioni. Affinché gli Stati Uniti fungano da arsenale della democrazia in difesa dell’Ucraina, è necessario uno sguardo approfondito al modo e alla scala con cui gli Stati Uniti organizzano la propria base industriale. Questa situazione è particolarmente critica perché dietro l’invasione russa c’è la capitale manifatturiera mondiale, la Cina. Mentre gli Stati Uniti iniziano a spendere sempre più scorte per mantenere l’Ucraina in guerra, la Cina non ha ancora fornito alcuna assistenza militare significativa alla Russia. L’Occidente deve presumere che la Cina non permetterà la sconfitta della Russia, soprattutto a causa della mancanza di munizioni. Se la competizione tra autocrazie e democrazie è davvero entrata in una fase militare, allora l’arsenale della democrazia deve prima migliorare radicalmente il suo approccio alla produzione di materiale in tempo di guerra.

Le opinioni espresse in questo Commento sono dell’autore e non rappresentano quelle della RUSI o di qualsiasi altra istituzione.

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Ucraina, il conflitto attraverso le immagini La propaganda 4a puntata Con Max Bonelli

Nella quarta puntata di immagini della guerra ucraina volgeremo l’attenzione ad alcune caratteristiche della propaganda che, nelle circostanze drammatiche di una guerra, assume regolarmente il ruolo principale di comunicazione anche nelle sue forme più paradossali ed estreme. Buona visione, Giuseppe Germinario

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Il New York Times ha appena ammesso che le sanzioni anti-russe dell’Occidente sono un fallimento, di Andrew Korybko

Né il New York Times, né gli esperti occidentali citati dalla scrittrice Ana Swanson, né il FMI possono essere credibilmente accusati di essere “russo-amichevoli”, per non parlare dei cosiddetti “propagandisti russi” o addirittura di “agenti russi”, il che conferma così la osservazione che questa dimensione della campagna di guerra dell’informazione anti-russa del Golden Billion è decisamente cambiata.

La “narrativa ufficiale” che circonda il conflitto ucraino è passata nelle ultime settimane dal celebrare prematuramente la presunta “inevitabile” vittoria di Kiev all’odierno serio avvertimento della sua probabile sconfitta. Ci si aspettava quindi, col senno di poi, che sarebbero cambiate anche altre dimensioni della campagna di guerra dell’informazione condotta dal Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti contro la Russia. Proprio a riprova di ciò, il New York Times (NYT) ha appena ammesso che le sanzioni anti-russe dell’Occidente sono un fallimento.

“Nell’articolo di Ana Swanson su come ” La Russia elude le punizioni occidentali, con l’aiuto degli amici ”,  cita esperti occidentali che hanno concluso che “le importazioni della Russia potrebbero essere già tornate ai livelli prebellici, o lo faranno presto, a seconda dei loro modelli”. Ancora più convincente, fa riferimento all’ultima valutazione del FMI di lunedì, che “ora prevedeva che l’economia russa crescesse dello 0,3% quest’anno, un netto miglioramento rispetto alla precedente stima di una contrazione del 2,3%.

Né il NYT, né gli esperti occidentali citati da Swanson, né il FMI possono essere credibilmente accusati di essere “russo-amichevoli”, per non parlare dei cosiddetti “propagandisti russi” o addirittura di “agenti russi”, il che conferma così l’osservazione che questa dimensione Anche la guerra informatica del Golden Billion è decisamente cambiata. Il nocciolo della questione è che le sanzioni anti-russe dell’Occidente non sono riuscite a catalizzare il crollo dell’economia di quella grande potenza multipolare mirata, che continua a rimanere straordinariamente resistente.

La tempistica in cui questa narrazione è cambiata è importante anche perché dà credito alla nuova narrativa più ampiamente conosciuta che oggi mette seriamente in guardia sulla probabile perdita di Kiev nella NATO’s proxy war on Russiaguerra per procura della NATO contro la Russia .  Dopotutto, se le sanzioni raggiungessero l’obiettivo che avrebbero dovuto raggiungere e che i Mainstream Media (MSM) occidentali guidati dagli Stati Uniti fino ad allora avevano mentito, allora ne consegue naturalmente che Kiev avrebbe “inevitabilmente” vinto esattamente come sostenevano che sarebbe successo fino a metà gennaio.

Con questo in mente, il modo più efficace per “riprogrammare” l’occidentale medio dopo avergli fatto il lavaggio del cervello negli ultimi 11 mesi per aspettarsi la presunta “inevitabile” vittoria di Kiev è anche cambiare in modo decisivo le narrazioni supplementari che hanno prodotto artificialmente quella suddetta falsa conclusione. A tal fine, è stato dato l’ordine di iniziare a sensibilizzare l’opinione pubblica sul fallimento delle sanzioni anti-russe del Golden Billion, ergo l’ultimo pezzo del NYT e la tempistica specifica.

Ciò che non viene detto in quell’articolo è l’osservazione “politicamente scorretta”, ma comunque fortemente implicita, secondo cui il Sud del mondo guidato congiuntamente da BRICSBRICS – & e SCOSCO , di cui la Russia fa parte, ha sfidato le richieste del Golden Billion di “isolare” quella Grande Potenza multipolare. Nessun media MSM lo ammetterà mai, almeno non ancora, ma il loro blocco de facto della Nuova Guerra Fredda ha un’influenza limitata al di fuori della “sfera di influenza” recentemente restaurata degli Stati Uniti in Europa, i cui paesi sono gli unici a subire queste sanzioni.

L’ultimo pezzo del NYT potrebbe inavvertitamente rendere consapevoli molti membri del loro pubblico di ciò, tuttavia, e potrebbero quindi obiettare sempre più ai loro governi che aumentano il loro impegno nella guerra per procura della NATO contro la Russia sotto la pressione americana. Il presidente croato Zoran Milanovic si è recentemente unito al primo ministro ungherese Viktor Orban nel condannare questa campagna e aumentare la consapevolezza di quanto sia stata controproducente per gli interessi oggettivi dell’Europa.

Quando gli europei si renderanno conto di essere gli unici a soffrire delle sanzioni anti-russe che il loro signore americano li ha costretti a imporre e che i loro sacrifici non hanno influito negativamente sull’operazione speciale mirata della Grande Potenza multipolare ,  potrebbero seguire massicci disordini. È improbabile che induca i loro leader controllati dagli Stati Uniti a invertire la rotta, ricordando che il ministro degli Esteri tedesco ha promesso alla fine dell’anno scorso di non farlo mai, ma potrebbe invece catalizzare una violenta repressione della polizia.

La ragione dietro questa previsione pessimistica è che un’inversione o per lo meno una diminuzione dell’attuale rigido regime di sanzioni anti-russe rappresenterebbe una mossa indipendente senza precedenti da parte di qualunque stato europeo lo faccia/lo faccia. Visto che ciò non è nemmeno accaduto negli otto anni prima della riuscita riaffermazione da parte degli Stati Uniti della loro egemonia unipolare per tutto il 2022, la probabilità che ciò accada oggigiorno in quelle condizioni molto più difficili è praticamente nulla.

“Il subordinato degli Stati Uniti ” per la “gestione” degli affari europei come parte della sua nuova cosiddetta strategia di “condivisione degli oneri”, la Germania ,  ha più che sufficienti leve di influenza economica, istituzionale e politica per punire chiunque di quei vassalli americani di livello inferiore che escono fuori posto. È quindi irrealistico aspettarsi che ogni singolo membro dell’UE sfidi unilateralmente le sanzioni anti-russe del blocco che il proprio governo ha precedentemente accettato.

Considerando questa realtà, quei leader che vogliono rimanere al potere o almeno non rischiare l’ ira della guerra ibrida guidata dai tedeschi degli Stati Uniti contro le loro economie sono restii a ripristinare una parvenza della loro sovranità in gran parte perduta in un modo così drammatico. Invece, la loro linea d’azione più pragmatica è quella di non partecipare all’aspetto militare di questa guerra per procura rifiutandosi di inviare armi a Kiev esattamente come hanno fatto il blocco pragmatico emergente dell’Europa centrale di Austria , Croazia e Ungheria. È quindi improbabile che la popolazione di quei paesi protesti contro le sanzioni anche dopo essere stata messa a conoscenza dei fatti contenuti nell’ultimo pezzo del NYT e giungendo naturalmente alla conclusione che le sanzioni anti-russe hanno danneggiato solo le proprie economie e non quella mirata alla Grande Di potere. Le persone in Francia, Germania e Italia, tuttavia, potrebbero benissimo reagire in modo diverso, soprattutto considerando la loro tradizione di organizzare massicce proteste.

In uno scenario del genere, i loro governi dovrebbero ordinare un violento giro di vite della polizia con qualsiasi pretesto escogitino, accusando falsamente i manifestanti di usare prima la violenza o accusandoli tutti di essere i cosiddetti “agenti russi”. Indipendentemente da come accadrà, il risultato sarà lo stesso per cui i paesi dell’Europa occidentale scivoleranno sempre più in una dittatura liberal-totalitaria, che a sua volta contribuirà a radicalizzare ulteriormente la loro popolazione verso fini incerti.

Tornando al pezzo del NYT, esso rappresenta un notevole capovolgimento della “narrativa ufficiale” ammettendo francamente che le sanzioni anti-russe dell’Occidente sono un fallimento. Ciò coincide con il cambiamento decisivo della narrazione più ampia guidata dai leader americani e polacchi nell’ultimo mese, per cui oggi stanno seriamente mettendo in guardia sulla probabile perdita di Kiev nella guerra per procura della NATO contro la Russia. Resta da vedere quali altre narrazioni cambieranno, ma si prevede che altre di queste lo faranno inevitabilmente.

https://korybko.substack.com/p/the-new-york-times-just-admitted

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Ucraina, il conflitto attraverso le immagini, 3a puntata_a cura di Max Bonelli

Attraverso queste immagini si vogliono illustrare le conseguenze sul piano delle perdite umane di un conflitto che ha assunto le caratteristiche di una guerra di attrito e che ha marchiata una serie di comportamenti tipici di una guerra civile a sfondo razziale. Quantomeno dalla parte Ucraina. Da qui le innumerevoli violazioni delle norme del codice di guerra. Dall’altra, emerge l’intento prioritario della strategia russa: distruggere il potenziale militare offensivo del regime ucraino e rendere troppo oneroso il prezzo del sostegno della NATO. Buona visione, Giuseppe Germinario

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Un anno di guerra in Ucraina (riepilogo ragionato), di Roberto Buffagni

Un anno di guerra in Ucraina

Riepilogo ragionato del conflitto fino all’attuale quarta fase, trasformativa, della guerra

 

In questo scritto ripercorro, con la massima brevità e chiarezza, il percorso e le dinamiche strategiche che hanno condotto alla presente quarta fase della guerra in Ucraina, una fase che ritengo trasformativa. Non inserisco note tranne una, relativa a un significativo studio della RAND Corp., pubblicato mentre elaboravo questo testo, a fine gennaio 2023. Chi desidera informarsi sulle mie analisi precedenti, e trovare la documentazione dei fatti e delle interpretazioni a cui qui mi riferisco, può visitare i siti italiaeilmondo.com e l’antidiplomatico.it, inserendo nella funzione di ricerca il mio nome e la parola “Ucraina”, e/o le altre parole chiave presenti nel testo.

Ringrazio sentitamente il generale Marco Bertolini, lo storico Giacomo Gabellini, e il responsabile del sito italiaeilmondo.com Giuseppe Germinario, che mi hanno usato la bontà di leggere in bozza questo testo e consigliarmi. Ovviamente è solo mia la responsabilità dei difetti e dei limiti dell’articolo.

 

Eziologia della guerra in Ucraina. Natura e scopi della guerra dai punti di vista russo e occidentale.

Sull’eziologia della guerra in Ucraina condivido l’interpretazione storica del prof. John Mearsheimer. È la conseguenza dell’espansione a Est della NATO, e della volontà statunitense di creare un bastione militare occidentale alla frontiera russa, integrando l’Ucraina nella NATO: una strategia che la Federazione russa ha dichiarato assolutamente inaccettabile sin dal Summit NATO di Bucarest 2008 in cui venne annunciata l’intenzione di integrare nell’Alleanza Atlantica Georgia e Ucraina.

Negli anni tra il 2008 e il 2022, gli USA integrano gradualmente l’Ucraina nella NATO, sebbene de facto e non de jure. Nel 2014 danno impulso alla destabilizzazione del governo in carica e all’insediamento di un governo ucraino a loro favorevole, e negli anni seguenti portano a livello di preparazione e armamento NATO le FFAA ucraine. Nel 2014 la Federazione russa si annette la Crimea, senza conflitto militare. Il 2021 vede una significativa accelerazione del processo di integrazione de facto dell’Ucraina nella NATO: importanti forniture di armamenti, grandi esercitazioni militari in comune, e nel novembre 2021 rinnovo della convenzione bilaterale USA – Ucraina che ribadisce la comune intenzione di integrare l’Ucraina nella NATO anche de jure.

Secondo questa interpretazione eziologica, dal punto di vista russo la guerra in Ucraina è una guerra preventiva in difesa di interessi vitali russi, e non una guerra imperialistica di annessione/conquista che, se coronata da successo, può preludere a ulteriori espansioni territoriali russe in Europa. Quest’ultima è invece la definizione della natura e degli scopi dell’intervento russo adottata dagli Stati occidentali.

 

Prima fase della guerra (dal 24 febbraio alla primavera 2022). Escalation militare russa: invasione dell’Ucraina. Escalation politica occidentale: rifiuto di ogni trattativa diplomatica.

Nel dicembre 2021 la Federazione russa, che nei mesi precedenti ha schierato alla frontiera ucraina un contingente militare pronto all’intervento, propone agli USA una soluzione diplomatica, nell’insolita forma di bozza di trattato resa pubblica. Le principali richieste russe sono, in sostanza: Ucraina neutrale e applicazione effettuale degli accordi di Minsk per la tutela delle popolazioni russofone del Donbass, dove dal 2014 è in corso una guerra civile appoggiata ufficiosamente dai governi ucraino e russo. Gli Stati Uniti non rispondono alla proposta in forma ritenuta soddisfacente dai russi (rinviano, traccheggiano, ricorrono alla “strategic ambiguity”).

Il 24 febbraio 2022 la Federazione russa interviene militarmente in Ucraina. Non è possibile sapere con certezza perché abbia scelto proprio questo momento. Forse – ma è solo una mia inferenza logica – perché in base alle informazioni in suo possesso, la Federazione russa ritiene che l’esercito ucraino stia per intervenire in forze contro le milizie del Donbass, schierando poi il grosso delle truppe nelle postazioni difensive fortificate ivi costruite nel corso degli anni, in modo da prevenire il possibile intervento militare russo e renderlo molto più difficile, costoso, incerto.

I russi intervengono con un contingente militare di circa 180-200.000 uomini, in condizioni di inferiorità numerica di 3:1 circa rispetto all’esercito ucraino, sebbene i manuali tattici prescrivano una proporzione inversa attaccanti/difensori (almeno 3:1 a favore dell’attaccante, per compensare il vantaggio della difesa). Sviluppano attacchi su cinque direttrici, sia al Sudest, sia al Nordovest dell’Ucraina. Gli attacchi nel Nordovest sono attacchi secondari, un’ampia manovra diversiva volta a fissare truppe ucraine a difesa di Kiev e degli altri centri interessati dalla manovra, per modellare il campo di battaglia nel Sudest, nel Donbass, dove si dirigono gli attacchi principali. Così interpretando la manovra russa aderisco all’articolata interpretazione che ne ha dato “Marinus”, probabilmente pseudonimo del Ten. Gen. (a riposo) Paul Van Riper, Corpo dei Marines, nello studio pubblicato sui numeri di giugno e agosto 2022 della “Marine Corps Gazette”, che ho tradotto in italiano, commentato e pubblicato sui siti citati in apertura.

Nel giro di tre-quattro settimane la manovra diversiva russa ha successo. A fine marzo, le truppe russe che hanno sviluppato gli attacchi secondari nel Nordovest si ritirano, mentre il grosso delle forze russe si schiera in quasi tutto il Donbass, infliggendo pesanti perdite anzitutto materiali all’esercito ucraino grazie alla netta superiorità nella potenza di fuoco d’artiglieria e missilistico. L’azione militare russa evita accuratamente di coinvolgere i civili, non tocca le infrastrutture a doppio uso civile e militare (es., la rete elettrica) e si configura insomma come “diplomazia armata”: i russi tentano di ottenere, con una moderata pressione militare, gli obiettivi che non hanno raggiunto con la pluriennale, crescente pressione diplomatica.

Fino alla fine di marzo 2022 pare che la “diplomazia armata” russa possa avere successo: tra il 24 febbraio e la fine di marzo si tengono sette incontri diplomatici tra Russia e Ucraina, e a fine marzo il presidente Zelensky dichiara ufficialmente a media russi indipendenti di essere pronto a trattare la neutralità dell’Ucraina e la soluzione del problema delle popolazioni russofone del Donbass.

 

Prima escalation politica occidentale

Ma il 7 aprile 2022 il Premier britannico Boris Johnson fa visita al presidente ucraino Zelensky, e dichiara ufficialmente che “L’Ucraina ha rovesciato i pronostici [defied the odds] e ha respinto le forze russe alle porte di Kiev, realizzando il più grande fatto d’armi del 21° secolo “. Da quel momento in poi, cessa ogni rapporto diplomatico tra Ucraina e Federazione russa.

L’interpretazione conforme la quale la piccola Ucraina ha sconfitto sul campo la grande Russia si fonda su una lettura delle prime settimane di guerra radicalmente diversa da quella che ho proposto più sopra. Secondo questa interpretazione, obiettivo russo sarebbe stato la presa di Kiev e il “regime change”, il rovesciamento del governo ucraino e la sua sostituzione con un governo fantoccio favorevole alla Russia, e gli attacchi nel Nordovest sarebbero attacchi principali falliti, non attacchi secondari nel quadro di un’ampia manovra diversiva. È una interpretazione possibile, che se rispondente al vero denuncia una grave inadeguatezza militare e politica della Federazione russa: impossibile raggiungere obiettivi tanto ambiziosi con un dispiegamento di forze così ridotto e una così bassa intensità del conflitto.

Su questa interpretazione dei fatti militari, errata o corretta, in buonafede o strumentale che sia, fanno leva le fazioni più oltranziste nel campo occidentale e nel governo ucraino. Si cristallizza in Occidente la certezza ufficiale che sia possibile infliggere una sconfitta militare decisiva alla Russia, e che sia dunque realistico proporsi obiettivi strategici massimalisti, quali il dissanguamento della Russia e la sua destabilizzazione politica per mezzo sia della pressione militare, sia delle sanzioni economiche, sia dell’attivazione delle forze centrifughe. Obiettivo finale, l’espulsione della Russia dal novero delle grandi potenze, l’insediamento di un governo favorevole all’Occidente, eventualmente la frammentazione politica della Federazione russa.

Questi obiettivi massimalisti vengono rivendicati ufficialmente il 24 aprile dai Segretari alla Difesa e di Stato USA. I paesi europei e NATO, tranne la Turchia e l’Ungheria, si allineano senza fiatare e votano con maggioranze parlamentari schiaccianti durissime sanzioni economiche alla Russia e l’invio di armi all’Ucraina. Le storicamente neutrali Svezia e Finlandia annunciano la loro intenzione di chiedere l’adesione alla NATO.

La “diplomazia armata” russa è fallita.

 

Seconda fase della guerra (primavera – metà estate 2022). Conquista russa del Donbass. La condizione di possibilità di una vittoria ucraina.

Prosegue con successo la conquista russa del Donbass, con scontri urbani molto violenti, casa per casa, a Mariupol e altrove. Le truppe russe impegnate sulla linea di contatto col nemico sono principalmente le milizie del Donbass, le formazioni di volontari ceceni, e il gruppo Wagner. Le formazioni dell’esercito regolare russo agiscono anzitutto (non solo) in appoggio, con l’artiglieria, i missili e il comando operativo. L’azione militare russa continua a non interessare le infrastrutture a doppio uso, militare e civile, dell’Ucraina.

Il rapporto tra le perdite ucraine e le perdite russe è nettamente sfavorevole agli ucraini, sia per la superiorità della potenza di fuoco russa, sia perché le operazioni militari ucraine sono fortemente influenzate dalla necessità di giustificare, presso i governi e le opinioni pubbliche occidentali, il colossale e quasi unanime sostegno politico e finanziario all’Ucraina, che ha gravi ricadute politico-economiche sui paesi europei, anzitutto la Germania che si vede esclusa dalla fornitura di energia russa a basso prezzo sulla quale basa le sue fortune economiche da decenni.

In sintesi gli ucraini sono costretti a “vendere” con i risultati sul campo, con una inflessibile resistenza e una costante aggressività, la sostenibilità politica dell’indispensabile appoggio occidentale: deve essere e restare plausibile la prospettiva di una futura vittoria militare dell’Ucraina sulla Russia.

Ovviamente la valorosa resistenza ucraina non va ascritta a ciò soltanto: per un’ampia quota della popolazione, il conflitto con la Russia è divenuto una guerra di liberazione nazionale, che si integra con una guerra civile e con una guerra per procura tra Russia e Stati Uniti d’America – NATO.

 

La condizione di possibilità di una vittoria militare ucraina

La condizione di possibilità una vittoria militare decisiva dell’Ucraina sulla Russia, però, si fonda su un presupposto.

È il presupposto che fa da principio ordinatore della strategia di deterrenza du faible au fort elaborata dal gen. Gallois in vista della creazione della force de frappe nucleare francese: rendere sfavorevole, per il fort (la potenza più forte), il rapporto costi/benefici della vittoria sul faible (la potenza più debole). Impiegando a fondo le sue maggiori risorse, la grande potenza nucleare che aggredisse la Francia potrebbe senz’altro distruggerla totalmente, ma l’attivazione della force de frappe nucleare del faible infliggerebbe comunque al fort danni politicamente inaccettabili.

In parole povere ma chiare: per vincere, la potenza più debole deve fare in modo che per la potenza più forte, il gioco della vittoria non valga la candela di una guerra a oltranza. L’Ucraina è il faible, la Russia il fort.

Anche con l’aiuto occidentale, le risorse strategiche ucraine (popolazione, potenza latente economica, potenza manifesta militare, truppe mobilitate e mobilitabili, profondità strategica) restano di interi ordini di grandezza inferiori alle risorse strategiche russe, perché la Russia ha 145 MLN di abitanti, può mobilitare un massimo di 25 MLN di uomini, ha enormi risorse naturali e la capacità di trasformarle, un’ampia base industriale militare, e una profondità strategica di 11 fusi orari. (“Profondità strategica” è lo spazio amico entro il quale un esercito attaccato e respinto può ripiegare, riorganizzarsi, passare al contrattacco, come fecero appunto i sovietici dopo la devastante serie di sfondamenti della Wehrmacht all’esordio dell’Operazione Barbarossa, quando i sovietici trasferirono oltre la catena degli Urali milioni di uomini e numerose industrie strategiche situate nella Russia europea, e fecero affluire verso il fronte i reparti militari di stanza in Oriente, integrandoli con i reparti sfuggiti agli accerchiamenti tedeschi).

Ripeto: una potenza nettamente più debole può vincere contro una potenza nettamente più forte solo se rende il rapporto costi/benefici della vittoria sfavorevole per la potenza nemica. È una vittoria a caro prezzo (guerra del Vietnam: caduti USA 58.000, caduti Vietnam 849.000 + 300-500.000 dispersi, stime governative) ma è una vittoria possibile.

È così che Vietnam e Afghanistan hanno vinto contro USA e URSS, che disponevano entrambe di risorse strategiche di gran lunga superiori. Se le due potenze maggiori avessero deciso di impegnare a fondo le loro risorse strategiche, Vietnam e Afghanistan non avrebbero potuto evitare una sconfitta totale. USA e URSS non lo hanno fatto perché lo hanno ritenuto politicamente insostenibile: perdite troppo elevate, impegno politico, economico e militare a lunga scadenza inaccettabile, crescente opposizione interna alla guerra, etc. In sintesi USA e URSS hanno deciso di perdere perché hanno valutato che per loro, il rapporto costi/benefici della sconfitta fosse più vantaggioso del rapporto costi/benefici della vittoria.

 

La posta in gioco per la Russia

Ma gli obiettivi strategici dichiarati ufficialmente dal governo USA e rilanciati da NATO e paesi europei sono obiettivi massimalisti: dissanguamento e permanente indebolimento della potenza economica e militare russa, destabilizzazione del governo, attivazione delle forze centrifughe interne alla Federazione russa, espulsione della Russia dal novero delle grandi potenze, possibile sua frammentazione politica. Particolarmente temibile, per la Russia che si è formata storicamente come impero multietnico, multinazionale, multireligioso, la possibilità di un’attivazione delle forze centrifughe etniche, religiose, nazionali, in uno scenario analogo allo jugoslavo degli anni Novanta.

Gli obiettivi dichiarati dall’Occidente configurano insomma una minaccia esistenziale per il governo, lo Stato, la società e le nazioni russe. I dirigenti russi dunque si persuadono che nella guerra ucraina sia in gioco la posta assoluta, sono disposti letteralmente a tutto per vincerla, e lo dicono ripetutamente in forma ufficiale. Saranno dunque disposti, anzi costretti a impiegare a fondo tutte le risorse strategiche russe per vincere la guerra: per vincere l’Ucraina, ed eventualmente, se si arrivasse a un conflitto diretto, anche la NATO.

Viene così a cadere la condizione di possibilità di una futura vittoria ucraina: che per la Russia il gioco della vittoria sull’Ucraina non valga la candela della guerra a oltranza. Per vincere la Russia, l’Ucraina e i suoi alleati occidentali devono ottenere la vittoria decisiva su una Federazione russa disposta o meglio obbligata ad impegnare a fondo, per tutto il tempo necessario, tutte le sue risorse strategiche: in sintesi, farla capitolare.

Al contempo gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali, impegnandosi pubblicamente a raggiungere obiettivi massimalistici, si chiudono lo spazio di manovra diplomatica e fanno salire fino al cielo la posta politica in gioco per le loro classi dirigenti, che rischiano di essere spazzate via da una sconfitta; malgrado che un esito sfavorevole della guerra non danneggi, in quanto tale, gli interessi vitali delle loro nazioni, nessuna delle quali rischia la destabilizzazione o peggio in seguito a una sconfitta ucraina.

L’unica nazione del campo occidentale che rischia tutto è l’Ucraina, che da una prosecuzione della guerra a oltranza e da una probabile sconfitta può attendersi solo terribili sciagure.

 

Terza fase della guerra (fine estate – autunno 2022). Successo della controffensiva ucraina. Escalation politica russa: annessione di quattro oblast del Donbass. Escalation militare russa: bombardamento degli obiettivi a doppio uso militare e civile. Guerra di manovra e guerra d’attrito.

Le forze russe si attestano nel Donbass, occupando quasi il 20% dell’intero territorio ucraino e schierandosi su un fronte di 1.500 km circa. Il dispositivo militare ucraino si riorganizza, amplia la mobilitazione richiamando i riservisti ed estendendo la coscrizione obbligatoria fino ai 60 anni, viene rifornito di nuovi armamenti occidentali (in larga misura equipaggiamenti ex – sovietici) in sostituzione di quelli distrutti nelle fasi precedenti del conflitto, viene innervato da un più vasto e intenso coinvolgimento di personale di comando NATO e da una più capillare strutturazione delle funzioni ISR (Intelligence, Surveillance and Reconnaissance), e nel settembre 2022 sferra una controffensiva in forze con direttrice principale su Kharkiv.

La controffensiva ucraina ha successo. I russi devono arretrare su tutto il fronte, ripiegando più o meno ordinatamente. Motivo: la coperta russa è troppo corta. I reparti russi hanno conquistato vasti territori che non sono in grado di tenere con l’esiguo numero di truppe impegnate nella “operazione militare speciale”. Essi dunque devono resistere ripiegando il più ordinatamente possibile, accorciare il fronte, ridurre i territori da difendere e fortificarli per attestarvisi, riconfigurare il dispositivo militare e rinforzarlo.

La Russia si adatta alla nuova realtà sul terreno. Viene nominato un comandante generale delle operazioni in Ucraina, il gen. Surovikin. Il governo propone alla Duma, che la vota all’unanimità, la mobilitazione parziale di 300.000 riservisti. Vengono mobilitate anche le industrie militari, che lavoreranno su tre turni di otto ore.

 

Escalation politica russa: annessione dei quattro oblast del Donbass

Il governo propone alla Duma, che nell’ottobre la vota all’unanimità, l’annessione di quattro oblast del Donbass: le regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhya e Kherson, previo plebiscito organizzato dalle autorità di occupazione russe.

È la più decisiva escalation politica di tutta la guerra, perché con essa la Russia si brucia le navi alle spalle e annuncia implicitamente la propria ferma volontà di impegnare a oltranza tutte le proprie risorse strategiche per ottenere la vittoria sull’Ucraina e sui suoi alleati. Per far recedere la Russia dall’annessione, riconsegnando all’Ucraina territori che per la Federazione russa sono formalmente divenuti territorio nazionale, l’Ucraina e i suoi alleati dovrebbero infliggere una sconfitta decisiva a tutta la Federazione russa, e farla capitolare.

 

Escalation militare russa. Bombardamento degli obiettivi a doppio uso militare e civile

Riconfigurato il dispositivo militare intorno all’unità di comando e consolidato il fronte, mentre si svolge tra varie difficoltà la mobilitazione dei riservisti (è la prima mobilitazione da ottant’anni e l’apparato amministrativo e logistico russo non è pronto; centinaia di migliaia di russi varcano le frontiere per evitare il richiamo) il comandante generale Surovikin decide l’escalation militare. Per la prima volta vengono interessati da una serie incessante di fitti bombardamenti missilistici gli obiettivi a doppio uso, civile e militare, in particolare la rete elettrica ucraina ma in generale le infrastrutture quali ferrovie, fabbriche, depositi di materiale militare e civile, etc. La Russia non prende di mira i civili, ma bersagliando le infrastrutture a doppio uso provoca gravi disagi alla popolazione, compromette il normale svolgimento della vita quotidiana, e ovviamente provoca “danni collaterali”, vittime civili colpite per errore dai suoi missili e dal fuoco contraereo ucraino.

Il gen. Surovikin prende anche la decisione, politicamente difficile e impopolare ma corretta, di abbandonare Kherson, importante centro testé formalmente annesso al territorio nazionale russo, e di far ripiegare le truppe che la occupano sulla sponda meridionale del fiume Dnepr. La decisione operativa consente di non sprecare forze per prevenire una controffensiva in un punto delicato, concentrando invece gli sforzi nel Donbass. Ne conseguiranno vantaggiosi risultati concreti sul campo di battaglia.

 

Guerra di manovra, guerra d’attrito. L’ esempio storico dell’Operazione Barbarossa

La “guerra di manovra”, in tedesco Bewegungskrieg, “guerra di movimento”, è l’opposto simmetrico della “guerra d’attrito”, Stellungskrieg, “guerra di posizione”. Ogni guerra combina, in percentuali diverse, manovra e attrito. La guerra d’attrito punta a logorare gradualmente le capacità di combattimento del nemico con l’applicazione prolungata e costante di una forza superiore; la guerra di manovra punta a distruggere rapidamente le capacità di combattimento del nemico trovando o creando, e sfruttando abilmente, lo Schwerpunkt, il punto decisivo vitale e debolmente difeso dello schieramento nemico, contro il quale sferrare un rapido, determinante attacco in forze.  Il vantaggio della manovra sull’attrito sembra ovvio: la manovra offre la possibilità di una vittoria rapida e decisiva, ma minaccia anche la possibilità di una sconfitta altrettanto rapida e decisiva, perché attaccare è sempre rischioso e il nemico può sempre dire la sua. Come sottolinea Clausewitz, non esiste la “scienza della vittoria”, e la logica che governa la guerra non è lineare ma paradossale, come illustra il detto romano “si vis pacem para bellum”. La guerra di manovra viene privilegiata degli eserciti che scontano un evidente svantaggio nella guerra d’attrito: eserciti meno numerosi, con capacità materiali o logistiche inferiori a quelle del nemico.

In questa fase il conflitto ucraino, che nelle due fasi precedenti ha visto una combinazione di manovra e attrito, si stabilizza in forma di guerra d’attrito, il tipo di conflitto dove pesa di più la disparità di risorse strategiche tra i contendenti. Nella guerra d’attrito, infatti, quel che più conta per la vittoria è la rispettiva capacità di generare durevolmente forze umane e materiali. È il campo in cui la Russia ha il maggior vantaggio relativo sull’Ucraina.

Accresce il vantaggio russo il fatto politico essenziale che l’Ucraina dipende in tutto e per tutto dall’appoggio occidentale, e che i dirigenti occidentali devono giustificare presso le opinioni pubbliche e l’elettorato il crescente costo politico-economico di questo appoggio. Dunque gli ucraini sono costretti dalla ragion politica a inviare costantemente truppe, anche insufficienti o impreparate, sulla linea di contatto con i russi, mantenendo vivo il conflitto, rinnovando in Occidente l’ammirazione per la loro capacità di resistenza, e alimentando la persuasione che la vittoria finale ucraina sia possibile.

Dal punto di vista militare, in realtà, agli ucraini converrebbe prendersi una pausa, riorganizzare le riserve, rinforzarle e addestrarle, e risparmiare uomini e mezzi in vista di controffensive future. Una potenza dotata di risorse strategiche nettamente inferiori al nemico, infatti, può sperare di vincerlo soltanto con un’abile, aggressiva e rapida, soprattutto rapida guerra di manovra: in una guerra d’attrito, il tempo lavora per la potenza con le maggiori risorse strategiche.

Furono queste considerazioni fondamentali a dettare la forma in cui si è sviluppata e ordinata la potenza militare prussiana prima e tedesca poi, ossia dei maestri di un’aggressiva e rapida guerra di manovra. Sia la Prussia sia la Germania, infatti, hanno dovuto fare i conti con la propria situazione geopolitica: esposizione su più fronti al centro d’Europa, frontiere indifese da ostacoli naturali, limitate risorse naturali e umane; e hanno tentato di risolvere la difficile equazione mettendo a punto un dispositivo militare altamente preparato a condurre con la massima aggressività e perizia rapide guerre di manovra. Esemplari dei successi dello stile germanico le magistrali Blitzkrieg contro Polonia e Francia nella IIGM.  Esemplare, però, anche il fallimento dell’Operazione Barbarossa. La Germania invade l’URSS, ottiene per sei mesi schiaccianti vittorie ma non riesce a provocare il collasso politico e sociale del nemico, e tocca il limite delle proprie capacità logistiche. L’URSS non capitola, si riorganizza, e comincia a generare forze umane e materiali in misura via via crescente e superiore rispetto alle forze che è in grado di generare la Germania.  Saranno necessari quattro anni di durissimo conflitto, ma il destino della Germania è segnato.

Si noti bene che al tempo dell’Operazione Barbarossa tutti gli Stati Maggiori del mondo, abbagliati dai precedenti, splendidi successi tedeschi, davano per scontata la vittoria della Wehrmacht. Essa però avrebbe potuto verificarsi soltanto se l’URSS fosse collassata in seguito ai primi mesi di devastanti sconfitte. L’Operazione Barbarossa è dunque stata un’azzardata scommessa strategica, in cui la vittoria finale dipendeva interamente dal crollo della coesione politica, militare e sociale del nemico. L’Alto Comando tedesco non ha invece tenuto nella dovuta considerazione sia le risorse strategiche attuali dell’URSS, sia, e soprattutto, la sua capacità di generare nuove forze, maggiori delle proprie, per tutto il tempo necessario a concludere vittoriosamente la guerra.

È lo stesso tipo di errore che hanno commesso gli Alti Comandi occidentali in questo conflitto ucraino.

Essi hanno gravemente sottovalutato le risorse attuali della Russia: da questo errore dell’intelligence militare i continui proclami che la Russia starebbe per terminare le sue scorte di missili, proietti d’artiglieria, etc., rivelatisi via via sempre più grotteschi e difformi dalla realtà; hanno gravemente sottovalutato la sua capacità di generare nuove forze umane e materiali nel breve, e nel medio-lungo periodo: di qui l’errata valutazione dell’impatto delle sanzioni economiche sulla Russia, a torto creduto rapidamente incapacitante; hanno gravemente sottovalutato la coesione politica e sociale della compagine russa, la sua volontà di combattere e di stringersi intorno alla bandiera: di qui gli annunci, via via più ridicoli, di un prossimo rovesciamento del governo russo in seguito al dissenso della popolazione e di decisivi settori della classe dirigente.

 

Quarta fase trasformativa della guerra (fine autunno 2022 – inverno 2022/23). Due fazioni nei centri direttivi statunitensi: escalation o de-escalation del conflitto? Tre fatti significativi. Stime delle perdite ucraine e russe. Previsioni. La doppia trappola strategica.

Ritengo trasformativa la presente fase della guerra perché soltanto in questa fase viene chiaramente in luce la sua natura di doppia trappola strategica.

Nella quarta fase della guerra si verificano tre fatti significativi.

Sabotaggio del Northstream 2

Nel novembre 2022 un sabotaggio subacqueo rende inutilizzabile il Northstream 2, il gasdotto costruito per trasportare il metano russo in Germania attraverso il Mar Baltico, senza passare per l’Ucraina. L’inchiesta entra subito in stallo, per l’impossibilità politica di individuarne gli autori: infatti la logica del cui prodest suggerisce che responsabili ultimi dell’attentato siano gli Stati Uniti. Probabilmente, l’operazione è frutto di una collaborazione tra Royal Navy britannica e forze speciali polacche. Motivo del sabotaggio: nella classe dirigente tedesca crescono le preoccupazioni per i disastrosi effetti a lunga scadenza (progressiva disindustrializzazione della Germania) della cessazione di forniture d’energia russa a buon mercato. Il sabotaggio del gasdotto è un vero e proprio atto di guerra contro la Germania, volto a intimidirla perché si allinei senza esitazioni alla strategia di contrapposizione frontale alla Russia decisa dagli USA. L’intimidazione ha successo. Intimidita la Germania, l’unico Stato europeo che non aderisca perinde ac cadaver alla linea statunitense è la piccola Ungheria; nella NATO, l’unico Stato con un elevato grado di autonomia politica è la Turchia.

 

Dichiarazioni pubbliche del gen. Milley, capo dello Stato Maggiore congiunto USA

Nel novembre e di nuovo nel dicembre 2022 il gen. Mark Milley, capo dello Stato Maggiore congiunto statunitense, rilascia irrituali dichiarazioni pubbliche, invitando all’apertura di una trattativa diplomatica con la Russia, e asserendo che “agli ucraini non si può chiedere di più”. Le dichiarazioni irrituali di Milley sono evidente indizio che nei centri decisionali statunitensi confliggono due grandi fazioni: una incentrata nell’establishment bipartisan che dirige la politica estera, favorevole alla prosecuzione a oltranza della guerra in Ucraina ed eventualmente a una sua escalation; e un’altra, incardinata nel Pentagono, favorevole a una de-escalation del conflitto. Il fatto che Milley comunichi pubblicamente le sue posizioni prova che nel dibattito interno all’Amministrazione USA la posizione del Pentagono è minoritaria e teme di restarlo, e che lo scontro tra le due posizioni è molto aspro.

A ulteriore riprova dell’esistenza di questi schieramenti interni alla direzione statunitense, il recentissimo studio pubblicato dalla RAND Corp., Avoiding a Long War: U.S. Policy and the Trajectory of the Russia-Ukraine Conflict[1], [in nota riferimento bibliografico e traduzione italiana dell’abstract] che analizza, dal punto di vista dell’interesse nazionale USA, i costi di un prolungamento della guerra ucraina, raccomanda la de-escalation, e la cauta instaurazione di un processo diplomatico che porti a una conclusione negoziata del conflitto. La RAND Corporation è un importante e prestigioso centro studi che sin dalla sua fondazione fornisce analisi e progetti soprattutto al Pentagono.

 

Riconfigurazione della struttura di comando russo, annuncio di riforma delle FFAA russe

Nel gennaio 2023, il governo russo riconfigura il comando militare delle operazioni in Ucraina, e annuncia una più generale riforma strutturale delle sue Forze Armate. Il militare russo più alto in grado, generale Gerasimov, Capo di Stato Maggiore delle FFAA russe, viene insignito del comando generale delle operazioni in Ucraina, mentre il gen. Surovikin riprende il suo precedente ruolo di Comandante delle Forze Aerospaziali. Il governo ristabilisce i distretti militari di Mosca e Leningrado, ordina la formazione di un nuovo gruppo d’armate in Carelia, alla frontiera finlandese, e la creazione di dodici nuove divisioni dell’esercito. Annuncia altresì che entro il 2026 aumenterà le dimensioni del suo dispositivo militare in servizio permanente effettivo, portandole a 1,5 MLN di uomini. Nel contempo, i massimi dirigenti russi iniziano a dichiarare pubblicamente che la guerra in corso in Ucraina è, in realtà, una guerra tra Russia e NATO. Queste inedite dichiarazioni pubbliche hanno anche – come sempre in guerra – una valenza propagandistica interna, ma interpretate alla luce delle riforme militari in corso suggeriscono con un elevato grado di plausibilità che i decisori russi si preparano per il caso peggiore, ossia per un intervento diretto delle forze occidentali nel conflitto ucraino.

 

Prosegue la guerra d’attrito. Stime delle perdite ucraine e russe

Nel frattempo, sul terreno ucraino la guerra d’attrito continua. Continuano gli attacchi missilistici alle infrastrutture ucraine a doppio uso, civile e militare. Il dispositivo militare russo si consolida sulle posizioni difensive occupate e rafforzate dopo il ripiegamento. Continua e si perfeziona l’addestramento dei riservisti richiamati, e la logistica si adegua gradualmente all’arrivo dei rinforzi e alla prosecuzione degli intensi, costanti attacchi missilistici. I reparti russi sferrano attacchi incrementali sulle linee difensive ucraine, con ridotto impiego di truppe e larghissima, prolungata preparazione d’artiglieria, per limitare il più possibile le proprie perdite. Gli ucraini, intrappolati dalla necessità politica di resistere sempre e comunque e appena possibile attaccare, per giustificare il sostegno occidentale, cordone ombelicale della prosecuzione della guerra, non sono in grado di contrattaccare in forze, ma resistono anche oltre i vantaggi militari della resistenza e subiscono gravissime perdite di uomini e di materiali.

È impossibile, finché dura la guerra, avere dati certi delle perdite. Mentre scrivo, a fine gennaio 2023, fonti occidentali quali Strategic Forecasting, un’importante agenzia di intelligence privata che abitualmente collabora con la CIA, parla di più di 300.000 morti ucraini, per un totale di perdite irrecuperabili intorno ai 400.000 uomini. Le più recenti valutazioni occidentali, non ufficiali, delle perdite irrecuperabili russe parlano di 20.000 morti e 30.000 tra dispersi e feriti gravi. Pur con tutte le necessarie cautele, è abbastanza verisimile che il rapporto tra perdite ucraine e perdite russe si situi tra 10:1 e 5:1. Nelle grandi battaglie della IIGM, il rapporto di perdite tra lo sconfitto e il vincitore fu intorno a 1,3 – 1,5: 1. L’esercito ucraino non sembra essere in grado di preparare, nel prossimo futuro, una controffensiva su grande scala: per l’elevatissimo numero di perdite, soprattutto di ufficiali e sottufficiali veterani; per la scarsità di materiale bellico, nonostante i rinnovati invii di armi occidentali; per la crescente disorganizzazione delle strutture di comando militare; per la crescente, progressiva degradazione delle condizioni economiche e sociali dell’intera Ucraina.

 

Scelte operative dell’Alto Comando russo. Previsioni.

In sintesi, nella quarta fase della guerra comincia a risultare chiaro che il dispositivo militare russo ha raggiunto, o è sul punto di raggiungere, le condizioni necessarie e sufficienti a imprimere al conflitto la direzione voluta dal suo comando militare e politico.

Ovviamente, solo l’Alto Comando russo sa, o saprà, quale sia questa direzione, ma attualmente esso pare in grado di:

  1. proseguire la guerra d’attrito, applicando costantemente sul dispositivo militare ucraino, e sull’intera società ed economia ucraine, la sua forza superiore: così risparmiando la propria risorsa più preziosa, gli uomini. Gli uomini sono la risorsa russa più preziosa dal punto di vista politico, per evidenti ragioni rafforzate dall’approssimarsi delle elezioni presidenziali russe del 2024. Sono la risorsa più preziosa anche dal punto di vista militare, e in special modo lo sono i veterani, che devono addestrare e integrare nei reparti i riservisti richiamati, nessuno dei quali ha esperienza diretta di una guerra a così alta intensità (non ce l’ha nessuno al mondo tranne chi vi ha partecipato, nell’uno o nell’altro schieramento)
  2. passare all’offensiva su grande scala, su una o più direttrici. Prevedibili obiettivi strategici, l’annientamento progressivo della capacità di combattere dell’esercito ucraino; la riconquista delle porzioni territoriali dei quattro oblast annessi alla Russia, e riprese dall’Ucraina in seguito al ripiegamento russo; l’occupazione e l’annessione alla Russia di Odessa e dell’intero territorio della Novorossiya, in modo da escludere l’Ucraina dall’accesso al mare.

Probabilmente, nelle valutazioni dell’Alto Comando russo sono presenti, e non in secondo piano, le previsioni sulla reazione occidentale all’una e all’altra decisione operativa russa. Proseguire la guerra d’attrito consente alle direzioni occidentali di rinviare le decisioni strategico-politiche su escalation o de-escalation, e probabilmente avvantaggia la fazione favorevole alla de-escalation, dandole il tempo di organizzarsi meglio, trovare alleati, diffondere pubblicamente i suoi argomenti. Passare all’offensiva le obbliga a scegliere in tempi brevi, brevissimi se l’offensiva ha presto un chiaro successo. La fazione statunitense favorevole alla de-escalation è tuttora minoritaria: la situazione sul campo la favorisce, ma le manca l’appoggio aperto di almeno uno tra i più importanti alleati europei.

A mio avviso, per la Russia è vantaggioso evitare un’accelerazione del conflitto, sia per i rischi di fallimento e i costi umani sempre associati alle azioni offensive su grande scala, sia per non servire una carta decisiva al “partito della guerra a oltranza” statunitense, che sull’onda dell’emozione potrebbe iniziare una diretta, formale implicazione di forze occidentali nella guerra; per esempio, il varo di una “coalizione dei volonterosi” come proposto nel novembre 2022 a dal gen. (a riposo) David Petraeus, ossia con truppe polacche, rumene, baltiche, etc. che intervengano sotto la propria bandiera, ma non in quanto membri della NATO, in seguito a una richiesta di aiuto militare del governo ucraino: un escamotage giuridico per evitare un aperto conflitto diretto NATO – Russia, che rischierebbe di interessare anche il territorio statunitense.

Quindi, se devo arrischiare una previsione, penso che la Russia continuerà ancora a lungo la guerra d’attrito.

 

Vittoria decisiva della sola Ucraina. Vittoria decisiva con intervento diretto occidentale. Possibilità e probabilità

In estrema sintesi, a un anno dall’inizio della guerra risulta chiaro che una decisiva vittoria militare ucraina sulla Russia è materialmente impossibile, per quanto possano proseguire, o anche aumentare, nelle forme attuali, gli aiuti occidentali. La situazione può cambiare solo con un diretto coinvolgimento di truppe occidentali.

Comincia però ad albeggiare il dubbio, anche nelle direzioni politico-militari occidentali, che un diretto coinvolgimento di truppe occidentali nella guerra non basti ad assicurare, o almeno a rendere altamente probabile, la vittoria decisiva sulla Russia. Dubbiosi sono soprattutto i militari: per questo la fazione statunitense favorevole alla de-escalation si incardina sul Pentagono. Motivi:

  1. l’attuale dispositivo militare dell’intera NATO, Stati Uniti compresi, non è concepito e preparato per una guerra convenzionale ad alta intensità contro un nemico capace di condurla, come la Russia. Dalla fine della Guerra Fredda, tutte le nazioni NATO hanno fortemente ridotto i loro eserciti, dismesso gran parte delle strutture logistiche militari, indirizzato la struttura e l’addestramento delle loro FFAA, e la produzione delle loro industrie militari, a conflitti di breve durata contro nemici nettamente inferiori, in genere appartenenti al “Grande Sud del mondo”; una decisione tutto sommato ragionevole, finché la NATO non si è contrapposta alla Russia, che in effetti non la minacciava affatto.
  2. La Russia, invece, ha strutturato le sue FFAA e la sua industria militare in vista di una guerra difensiva contro la NATO, come è nella tradizione storica di un paese che da sempre deve fronteggiare e respingere grandi invasioni del suo territorio. Sinora ha privilegiato la difesa di ultima istanza, la triade nucleare, ma come prova la guerra in Ucraina non ha abbandonato la preparazione convenzionale e la sta rafforzando. Essa ha inoltre guadagnato, in settori decisivi come la missilistica e la difesa contraerea, la superiorità relativa rispetto agli Stati Uniti. Per compensare lo svantaggio ci vogliono anni.
  3. Un riarmo occidentale è molto arduo, il suo esito incerto, i tempi lunghi. I finanziamenti, anche massicci, non bastano: il denaro può comprare solo quel che già esiste, e quel che già esiste non basta. Per far esistere quello che manca, è necessario anzitutto determinare politicamente la strategia di sicurezza collettiva della NATO, un processo molto complicato e difficile anche per la frammentazione dei centri decisionali. Se il nemico principale della NATO è la Russia, è indispensabile, come minimo, e giusto per cominciare: costruire un alto numero di cacciabombardieri da impiegare in appoggio alla fanteria, e in grado di sopravvivere alle difese missilistiche russe; costruire le infrastrutture logistiche necessarie a un’ampia proiezione delle forze in caso di crisi, con la relativa pianificazione; varare un grande programma di difesa antiaerea integrata del territorio europeo; varare un vasto programma di reclutamento e addestramento truppe, in specie di ufficiali e sottufficiali. Al riguardo, è bene tenere presente che la rinuncia da parte di tutti i paesi NATO alla coscrizione obbligatoria ha provocato la perdita di ingenti riserve addestrate alle quali far ricorso in caso di necessità. In sostanza, in caso di una guerra che ci coinvolga, prenda tempi lunghi e sconti perdite rilevanti, mobilitazioni come quelle indette da Mosca e dall’Ucraina sono quasi impossibili, per i paesi dell’Europa Occidentale. Segue un lungo eccetera.
  4. Ovviamente, un diretto coinvolgimento occidentale nella guerra impedirebbe agli Stati Uniti di concentrarsi sul contenimento della Cina, rinsalderebbe l’alleanza di quest’ultima con la Russia, esporrebbe gli USA a una possibile guerra su due fronti contro due grandi potenze nucleari, e aumenterebbe progressivamente il rischio che nel conflitto con la Russia facciano capolino le armi atomiche. Quanto più diretto e intenso il conflitto convenzionale tra due grandi potenze nucleari come Russia e USA, tanto più probabile che il contendente che si credesse esposto a una probabile sconfitta decisiva mediti seriamente di impiegare le armi nucleari.
  5. Altrettanto ovviamente, in un conflitto diretto tra forze occidentali e Russia le perdite occidentali si conterebbero a decine di migliaia, un costo umano difficile da giustificare politicamente.

 

La doppia trappola strategica

Con l’allargamento a Est della NATO, e insistendo per includervi l’Ucraina, gli Stati Uniti hanno teso una trappola strategica alla Russia, costringendola a scegliere tra due alternative, entrambe molto pericolose nel medio-lungo periodo: accettare il divieto di avere una sfera d’influenza, e la minacciosa presenza di un bastione militare occidentale sulla soglia della Russia europea; oppure intervenire militarmente, assumendosi il grave rischio di un conflitto con la NATO, e compromettendo i propri rapporti politici ed economici con l’Europa. Questa è la prima ganascia della trappola strategica in cui la Russia è entrata ad occhi aperti, dopo aver tentato per quattordici anni di evitarla.

Gli Stati Uniti, però, hanno gravemente sottovalutato le capacità di resistenza e di reazione, militari, economiche, politiche e sociali della Federazione russa, e altrettanto sopravvalutato sia il prestigio deterrente della propria forza, sia le proprie attuali capacità e potenzialità militari ed economiche.  Si trovano dunque a dover scegliere tra due alternative, entrambe molto pericolose nel medio-lungo periodo.

La prima alternativa è la riduzione del danno, una de-escalation del conflitto ucraino che si risolve in una netta sconfitta politico-diplomatica, una pesante perdita di prestigio deterrente, la possibile apertura di faglie di crisi nel sistema di alleanze, e seri contraccolpi politici interni, es. una grave delegittimazione complessiva della classe dirigente.

La seconda alternativa è la fuga in avanti, una escalation a oltranza del conflitto, con l’eventuale – anzi probabile, perché necessario – coinvolgimento diretto di truppe occidentali; il rischio di una guerra convenzionale ad alta intensità per la quale gli USA e la NATO non sono preparati; il possibile futuro interessamento del territorio nazionale statunitense, e in prospettiva, la crescente possibilità di una degenerazione nucleare dello scontro.

Questa è la seconda ganascia della doppia trappola strategica, e ora si richiude sugli Stati Uniti che l’hanno tesa: ma vi sono entrati a occhi chiusi, e solo ora cominciano a vederla.

Ate, la dea che acceca, «da principio seduce l’uomo con amiche sembianze, ma poi lo trascina in reti donde speranza non c’è che mortale fugga e si salvi» (Eschilo, I persiani, 96-100)

Roberto Buffagni

 

[1] Charap, Samuel and Miranda Priebe, Avoiding a Long War: U.S. Policy and the Trajectory of the Russia-Ukraine Conflict. Santa Monica, CA: RAND Corporation, 2023. https://www.rand.org/pubs/perspectives/PEA2510-1.html

Abstract: “La discussione sulla guerra Russia-Ucraina a Washington è sempre più dominata dalla questione di come potrebbe finire. Per informare questa discussione, questa Prospettiva identifica i modi in cui la guerra potrebbe evolversi e in quale modo le traiettorie alternative influenzerebbero gli interessi degli Stati Uniti. Gli autori sostengono che, oltre a ridurre al minimo i rischi di una grave escalation, gli interessi degli Stati Uniti sarebbero meglio serviti evitando un conflitto prolungato. I costi e i rischi di una lunga guerra in Ucraina sono significativi e superano i possibili benefici di una tale traiettoria per gli Stati Uniti. Sebbene Washington non possa determinare da sola la durata della guerra, può adottare misure che rendano più probabile un’eventuale conclusione negoziata del conflitto. Attingendo alla letteratura sulla cessazione della guerra, gli autori identificano i principali ostacoli ai colloqui Russia-Ucraina, come il reciproco ottimismo sul futuro della guerra e il reciproco pessimismo sulle implicazioni della pace. La prospettiva evidenzia quattro strumenti politici che gli Stati Uniti potrebbero utilizzare per mitigare questi ostacoli: chiarire i piani per il futuro sostegno all’Ucraina, assumere impegni per la sicurezza dell’Ucraina, rilasciare assicurazioni sulla neutralità del paese e stabilire le condizioni per la revoca delle sanzioni alla Russia.”

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Carri armati e tragedia, di Michael Brenner

Mai nella memoria è stato così scoraggiante capire cosa sta succedendo durante una grave crisi internazionale come con la vicenda Ucraina.

Quella triste verità deve molto alla totale assenza di resoconti veritieri e analisi interpretative oneste da parte del MSM. Ci vengono servite porzioni pesanti di falsità, fantasia e farragine mescolate grossolanamente in una narrazione il cui rapporto con la realtà è tenue.

L’inghiottimento quasi universale di questa confezione è reso possibile dall’abdicazione della responsabilità – intellettuale e politica – da parte della classe politica americana, dall’alto e potente di Washington attraverso la galassia di carri armati senza pensiero e accademia egocentrica.

Ora, la legione di sceneggiatori di questa storia immaginaria sta lavorando con rinnovata energia per incorporare alcuni nuovi elementi: la decisione del presidente Joe Biden/NATO di inviare una serie eclettica di armature per sostenere le vacillanti forze dell’Ucraina; e le prove crescenti dello smantellamento paralizzante e incrementale del suo esercito da parte dell’esercito superiore della Russia.

Come sempre, quella reazione si rivela un esercizio di comportamento di evitamento. I circa 100 carri armati previsti per arrivare in modo frammentario nel corso del prossimo anno saranno un “punto di svolta”. L’esercito di Putin è una comprovata “tigre di carta”. La “democrazia” è destinata a prevalere sulla barbarie dispotica.

O così ci viene detto in dosi da far rivoltare lo stomaco di olio di serpente. Immagino che tutti abbiamo dei modi per divertirci.

Una confutazione sistematica di questa costruzione mitica è superflua e futile. È stato fatto nell’ultimo anno da analisti capaci, esperti e premurosi che sanno davvero di cosa stanno parlando: il colonnello Douglas Macgregor, il professor Jeffrey Sachs, il colonnello Scott Ritter e una manciata di altri che insieme sono relegati in oscuri siti web e disprezzati da il MSM.

Ecco un’analisi acuta di Ritter in Consortium News dell’effettivo valore militare dell’infusione di carri armati e altre armature e di ciò che questa mossa fa presagire per la traiettoria della guerra.)

A titolo di introduzione, aggiungo la mia personale valutazione dell’attuale quadro strategico e di dove siamo diretti. Si basa sull’inferenza – in una certa misura – così come sulla mia lettura della genealogia del conflitto. I punti principali sono espressi in frasi schiette e dichiarative. Ciò mi sembra necessario per rompere la nebbia delle fabbricazioni (bugie) e delle distorsioni calcolate che oscurano ciò che dovrebbe essere evidente.

Punti di partenza 

Il vertice della NATO dell’aprile 2008 a Bucarest, in Romania, dove le “aspirazioni dell’Ucraina ad aderire alla NATO” sono state formalmente accolte. (Archivio della Cancelleria del Presidente della Repubblica di Polonia, Wikimedia Commons)

Il punto di partenza della crisi è stato nel febbraio 2014, quando l’amministrazione Obama ha ispirato e orchestrato un colpo di stato a Kiev che ha usurpato il presidente democraticamente eletto Viktor Yanukovich. Victoria Nuland, assistente del segretario di stato degli Stati Uniti, era lì a Maidan Square a guidare il tifo e connivenza insieme a suo fratello nella rivoluzione colorata, l’ambasciatore Geoffrey Pyatt.

Hanno collaborato con gruppi ultranazionalisti estremisti e violenti con i quali Washington aveva attivamente coltivato legami per un certo numero di anni. Quegli ultras dominano ancora oggi i servizi di sicurezza ucraini e l’organo politico chiave del governo, il Consiglio di sicurezza.

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Il golpe di Maidan è stato il culmine del radicato obiettivo americano di incorporare un’Ucraina anti-russa nell’orbita organizzativa occidentale: la NATO in primis, come aveva cercato di fare il presidente George W. Bush già nel 2008.

Il picchetto di una Russia tenuta ai margini di un’Europa diretta dagli americani era stato un obiettivo sin dal 1991. L’emergere di un leader forte e altamente efficace come rappresentato da Vladimir Putin ha accelerato la necessità percepita di mantenere la Russia debole e inscatolata.

In cima al furgone, il leader ucraino dell’opposizione di estrema destra Oleh Tyahnybok, a sinistra, insieme a Vitali Klitschko e Arseniy Yatsenyuk, al centro, rivolgendosi ai manifestanti di Euromaidan, 27 novembre 2013. (Ivan Bandura, CC BY 2.0, Wikimedia Commons)

L’insurrezione/secessione del Donbass, provocata dal Primo colpo di Stato accompagnato dall’ascesa al potere di elementi rabbiosi a Kiev dediti a soggiogare i circa 10 milioni di russi del paese, portò all’autonomia delle oblast di Donetsk e Luhansk, nonché all’integrazione delle Crimea (storicamente e demograficamente parte della Russia) nella Federazione Russa.

Da quel momento in poi, gli Stati Uniti hanno elaborato ed eseguito una strategia per invertire entrambi i turni, per rimettere la Russia al suo posto e tracciare una netta linea di separazione tra essa e tutta l’Europa a ovest.

L’Ucraina divenne di fatto un protettorato americano. I ministeri chiave sono stati salati con consiglieri americani, incluso il Ministero delle finanze guidato da un cittadino americano inviato da Washington. È stato intrapreso un massiccio programma di armamento, addestramento e in generale di ricostituzione dell’esercito ucraino. (Negli anni del presidente Barack Obama, il supervisore del progetto era il vicepresidente Joe Biden.)

7 dicembre 2015: il vicepresidente degli Stati Uniti Biden e il presidente ucraino Petro Poroshenko a Kiev. (Ambasciata USA Kiev, Flickr)

Washington ha anche usato la sua influenza per indebolire gli accordi di Minsk II in cui Ucraina e Russia hanno firmato una formula per la risoluzione pacifica della questione del Donbass, presumibilmente sottoscritta da Germania e Francia e approvata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Ora sappiamo da sincere testimonianze pubbliche che Kiev, Berlino e Parigi non avevano alcuna intenzione fin dall’inizio di attuarlo. Piuttosto, era un espediente per guadagnare tempo per rafforzare l’Ucraina al punto da poter riconquistare i territori “perduti” infliggendo una sconfitta militare alla Russia.

[Correlato:  SCOTT RITTER: Merkel rivela la doppiezza di West ]

L’amministrazione Biden ha fatto i preparativi per aumentare le tensioni al punto da rendere inevitabile un conflitto armato. Il bombardamento sporadico della città di Donetsk (dove 14.000 civili sono stati uccisi tra il 2015 e il 2002, secondo una stima ufficiale di una commissione delle Nazioni Unite) è stato moltiplicato, le unità dell’esercito ucraino si sono radunate in massa lungo il confine delimitato. La Russia ha anticipato. Il resto è storia.

(Tutta la recitazione di cui sopra è una questione di pubblico dominio e documentata.)

Marzo 2015: i civili passano mentre l’OSCE monitora il movimento di armi pesanti nell’Ucraina orientale. (OSCE, CC BY-NC-ND 2.0)

Dove siamo ora?

Qui, l’inferenza ha la precedenza.

L’amministrazione Biden si è impegnata all’escalation con il dispiegamento di sistemi di armi pesanti precedentemente preclusi. Ha armato con forza anche i suoi alleati dell’Europa occidentale per fornire armamenti. Come mai? Le persone che guidano la politica a Washington non possono sopportare la prospettiva di una sconfitta.

Vale a dire, uno schiacciamento russo dell’esercito ucraino, la sua incorporazione delle rivendicate quattro province e la fatua narrativa occidentale mostrata come poco più di una serie di bugie. È stato investito troppo in termini di prestigio, denaro e capitale politico perché tale risultato fosse tollerato.

Inoltre, proprio come l’Ucraina è stata usata cinicamente come strumento per mettere in ginocchio la Russia, così la snaturazione della Russia come potenza è vista come parte integrante del confronto globale con la Cina che domina tutto il pensiero strategico.

L’opzione di elaborare termini di coesistenza e concorrenza non coercitiva con la Cina è stata respinta a titolo definitivo. Quasi tutta la classe politica americana è determinata a rafforzare l’egemonia globale del paese e si sta attrezzando per farlo. Il resto del paese deve ancora essere informato ed è troppo distratto per preoccuparsi di prestare attenzione ai segni evidenti di ciò che sta accadendo.

Il programma strategico è stato delineato nel famigerato promemoria del marzo 1991 di Paul Wolfowitz, l’allora sottosegretario per la politica del Pentagono, sulla prevenzione dell’ascesa di qualsiasi superpotenza rivale. Questa è diventata Scrittura per la maggior parte della comunità di politica estera.

(I suoi contenuti, insieme alla genesi dei neo-con che l’hanno adottata molto tempo fa come scrittura sacra, hanno compiuto la trasformazione storica da una sola setta all’essere la fede dottrinale semi-ufficiale dell’intero impero americano.)

2 ottobre 1991: Paul Wolfowitz, a destra, come sottosegretario alla difesa per la politica, durante la conferenza stampa sull’operazione Desert Storm. Gen. Norman Schwarzkopf al centro. (Lietmotiv via Flickr)

L’assoluto fallimento nel far crollare l’economia russa, aprendo così la strada al cambiamento politico a Mosca, e rendendo inutile il suo supplemento al potere cinese è una delusione; ma ciò non turba i veri credenti. Gli Stati Uniti hanno unificato un occidente collettivo imbrigliato come le sue pedine volenterose che acconsentono a qualunque mossa Washington voglia che seguano.

L’evento segnale che sottolinea quella straordinaria subordinazione fu l’accordo della Germania per consentire agli Stati Uniti (e soci) di far saltare in aria gli oleodotti Nordstrom, che i successivi governi di Berlino avevano ritenuto essenziali per soddisfare il fabbisogno energetico dell’industria tedesca.

Si può razionalizzare come la disponibilità del cancelliere Olaf Scholz a “prenderne uno per la squadra”. Quale squadra? Quale prevalente interesse nazionale? Gli annali della storia non registrano un caso paragonabile di uno stato sovrano che si è inflitto un danno così grave di sua spontanea volontà.

Mappa delle esplosioni causate ai gasdotti Nord Stream il 26 settembre 2022. (FactsWithoutBias1, CC-By-SA 4.0, Wikimedia Commons)

Un ulteriore vantaggio della vicenda ucraina, agli occhi dei politici americani, è la cristallizzazione di un sistema internazionale la cui struttura di base è bipolare – un mondo “noi contro loro” simile alla Guerra Fredda – conveniente nella misura in cui pone pochi richieste di immaginazione intellettuale o di abile diplomazia per le quali non hanno né attitudine né appetito.

Tutti i membri del collettivo West hanno aderito al piano di escalation di Biden. Così anche, ovviamente, le fazioni dominanti nel governo del presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

Ci sono buone ragioni per pensare che lo scopo dell’improvvisa visita del direttore della CIA William Burns a Kiev pochi giorni prima dell’annuncio del dispiegamento del carro armato Abrams fosse quello di garantire che non ci fossero disertori nella cerchia ristretta di Zelensky o altri alti funzionari che avrebbero potuto raffreddarsi. piedi alla prospettiva che l’Ucraina diventi il ​​campo di battaglia di una guerra russo-americana con effetti simili a quelli che aveva subito dal 1941 al 1944.

La visita di Burns è stata seguita quasi immediatamente da una massiccia epurazione dei ranghi dirigenziali insieme ai funzionari di livello inferiore. La linea ufficiale, accettata dal sempre flessibile MSM, è stata che questa epurazione rappresentava una virtuosa campagna anticorruzione, anche se nel bel mezzo di una guerra su vasta scala.

Ci è stato detto che Burns è venuto fin lì per chiarire alcuni problemi minori (e forse per fare il bagno?). Lo stesso Zelenskyj era diventato una risorsa troppo preziosa come annunciato salvatore dell’Ucraina per sbarazzarsi di se stesso, come lo era Ngo Dinh Diem in Vietnam nel 1963.

Il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky mostra un regalo fatto dal presidente della Camera Nancy Pelosi dopo il suo discorso al Congresso degli Stati Uniti il ​​21 dicembre 2022. (C-Span still)

Burns ha senza dubbio offerto garanzie di essere al sicuro, chiunque altro sarebbe stato gettato in mare. È quasi impossibile vedere come gli obiettivi degli Stati Uniti possano essere raggiunti in Ucraina. Tuttavia, i neo-conservatori non hanno alcuna “marcia indietro” – per usare l’appropriata frase dell’analista Alexander Mercouris.

Hanno istigato una crociata volta a garantire il dominio globale dell’America, per sempre e subito. L’Ucraina è una stazione di passaggio sulla strada per quella Gerusalemme visionaria. Nel loro grande schema, tuttavia, non sono riusciti a preoccuparsi di una strategia coerente e fattibile per risolvere l’attuale crisi.

Per quanto riguarda il presidente Joe Biden, sembra essere solo nominalmente al comando. È stato interamente catturato dai neoconservatori. Non sente altre voci. Come un falco istintivo per tutta la vita, si sporge nella loro direzione. È vecchio e debole.

Prima della fine dell’anno, è probabile che tutti noi affronteremo il momento della verità. Le forze russe saranno sul Dnepr e, in alcuni punti, oltre. L’esercito ucraino sarà allo stremo, nonostante Abrams, Leopard II, Challenger, Bradley ecc. Cosa fa allora il gruppo di Biden ingannato e incapace? Tutto è possibile.

Michael Brenner è professore di affari internazionali all’Università di Pittsburgh. mbren@pitt.edu

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Ucraina! Il conflitto attraverso le immagini_1a puntata_a cura di Max Bonelli

Con questo filmato avviamo una rubrica quotidiana di documentazione del corso del conflitto in Ucraina. Uno strumento utile a comprendere la natura e le motivazioni di questo confronto e a considerare la realtà verso la quale ci sta trascinando surrettiziamente l’avventurismo delle nostre classi dirigenti. Buona visione, Giuseppe Germinario

Questo è il miglior video di combattimento dall’inizio della guerra. L’episodio ha avuto luogo nella zona di Kreminna

https://rumble.com/v27rhem-ucraina-le-caratteristiche-del-conflitto-attraverso-i-filmati-1a-puntata-a-.html

 

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