Italia e il mondo

L’Unione europea tra propositi di coesione e dinamiche di polarizzazione_di Giuseppe Germinario con la collaborazione, in appendice, di Cesare Semovigo

I due testi in calce costituiscono la bozza, grezza, ma leggibile, di una relazione tenuta ad Accadìa nel corso della “SUMMER SCHOOL NAZIONALE SULL’AREA INTERNA DEI MONTI DAUNI”, promossa dall’associazione “La torre dell’orologio” con il patrocinio delle università di Foggia, di Venezia, della Calabria e del Politecnico di Bari_Giuseppe Germinario

SUMMER SCHOOL
NAZIONALE SU

L ’ AREA I N T ER N A D E I M O N T I D AU N I
A C C A D I A 2 2 – 28 s e t t embre 202 5

L’Unione europea tra propositi di coesione e dinamiche di polarizzazione

L’Unione Europea (1993), erede della CECA (1951) e della CEE (1957), nel titolo XVIII-artt 174-178, tratta della “COESIONE ECONOMICA, SOCIALE E TERRITORIALE” come una (“anche”) delle missioni  socioeconomiche istitutive della Unione.

 In particolare l’art. 174 recita: “Per promuovere uno sviluppo armonioso dell’insieme dell’Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale. In particolare l’Unione mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite. Tra le regioni interessate, un’attenzione particolare è rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demo grafici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna”.

Per realizzare questa finalità l’UE si è dotata di una specifica strumentazione finanziaria inglobata nella categoria dei cosiddetti fondi strutturali. In particolare:

I fondi principali, definiti nell’Accordo di Partenariato tra l’Italia e la Commissione europea, sono: 

  • Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR): Investe in progetti di sviluppo regionale, infrastrutture e innovazione. 
  • Fondo sociale europeo (FSE): Supporta progetti di occupazione, istruzione, formazione e inclusione sociale. 
  • Fondo di coesione (FC): Finanzia progetti in Stati membri con un PIL pro capite inferiore alla media dell’UE, focalizzandosi su trasporti e infrastrutture ambientali. 
  • Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP): Supporta la pesca sostenibile e lo sviluppo delle zone costiere. 
  • Fondo per una transizione giusta (JTF): Aiuta le regioni a fronteggiare gli impatti sociali ed economici della transizione verso un’economia a impatto climatico zero. 

La gestione viene affidata in linea di principio e in un rapporto di condivisione dalle:

  • Agenzie per la coesione territoriale. In Italia tale struttura coordina le politiche di coesione e l’Accordo di Partenariato
  • Amministrazioni centrali e regionali, secondo le priorità definite

I riferimenti principali dai quali attingere le informazioni sono il sito web della Agenzia per la coesione territoriale e il portale OpenCoesione.

Quel “anche”, però, vorrebbe essere una congiunzione dall’intento paritario. La realtà, purtroppo, indica altro e soprattutto una tendenza, definibile ormai storicamente, alla polarizzazione geografica, economica e sociale sempre più marcata, pur in un quadro, almeno sino a pochi anni fa, di sviluppo pressoché generale.

Per inquadrare, dal mio punto di vista, correttamente il problema della polarizzazione e, nella fattispecie, del “recupero delle aree interne, oggetto di questa iniziativa, occorre definire due assunti fondanti la successiva narrazione.

  • Le iniziative politiche, tra le quali la costruzione nelle sue varie fasi dell’Unione Europea, susseguitesi dal secondo dopoguerra ad oggi, ormai da ottanta anni, e riguardanti l’Europa Occidentale prima e l’Europa tutta, compresa la parziale eccezione della Russia, seguono a una condizione di occupazione militare statunitense, appena mitigata nel suo peso da episodi significativi di resistenza al regime nazista in alcuni paesi, frutto di una sconfitta disastrosa delle potenze dell’Asse, in particolare di Italia e Germania, e della progressiva subordinazione agli Stati Uniti  o scarsa significanza delle due nazioni europee apparentemente vincitrici, la Francia e il Regno Unito. Da sottolineare che il regime di occupazione formale terminò in Italia nel 1947, in Germania solo nel 1990 pur, questione sostanziale, con il mantenimento  di un nutrito numero di basi e truppe, ma non solo queste, sul terreno.
  • Il progressivo e rapido scivolamento in una riduzione meramente economicista, diretta conseguenza del punto precedente,  della conduzione politica della Unione fondata sul dogma del cosiddetto libero mercato, sulla garanzia salvifica della tutela della domanda dei consumatori rispetto all’offerta

IL RUOLO DEGLI STATI UNITI NELLA COSTRUZIONE EUROPEA

L’apertura, circa quaranta anni fa, degli archivi secretati statunitensi risalenti agli anni ‘30 ha permesso di studiare e documentare il grande interesse e la volontà di quella leadership, che aveva evidentemente già presagito lo scoppio e l’epilogo del secondo conflitto mondiale,  di sondare il terreno ed intervenire attivamente nella costruzione di una qualche forma di costruzione unitaria europea. I frequenti viaggi negli Stati Uniti di Jean Monnet, il padre del metodo funzionalista di costruzione europea, iniziati negli anni ’40 sono una delle tante testimonianze di questo interesse e della sempre più fitta tessitura di legami tra le due sponde dell’Atlantico.

Una volta risolto il dilemma del destino della Germania sconfitta, in particolare se garantirle l’unità politica con una postura neutrale, secondo le indicazioni di Stalin o tenerla sotto regime di occupazione e separarla, come in realtà avvenne, si pose un’altra opzione: ridurre la Germania ad una condizione economica agropastorale, il cosiddetto piano Morgenthau,  sulla falsariga di quanto successo nel primo dopoguerra, oppure valorizzarne le indubbie capacità organizzative ed industriali, adottando una struttura federale simile a quella statunitense. Con grande lungimiranza, rara di esempi nella storia, la leadership statunitense scelse questa ultima opzione, gravida di conseguenze positive per lo sviluppo dell’intera Europa nei decenni successivi, ma con dei paletti ben impiantati a delimitare i limiti di quello sviluppo e la delimitazione dello spazio di azione geopolitico, il cui permanere  nel mutato contesto geopolitico stanno riducendo la attuale postura europea ad una condizione farsesca e potenzialmente e progressivamente tragica.

La Repubblica Federale Tedesca, la nazione, quindi, politicamente più debole del quadrante europeo, era destinata a diventare il perno ed il motore locale aggregativo di quella parte di Europa “costretta” in una alleanza politico-militare, la NATO (1949, cinque anni prima, quindi, del Patto di Varsavia) e comprimaria nella costruzione di una Unione, possibilmente di tipo federale, in realtà tutta incentrata sulla costruzione economica circoscritta dalla condizione politica e dagli imperativi geopolitici di tipo bipolare già all’orizzonte. La  iniezione di investimenti statunitensi di quel periodo, massiccia ma selettiva, attenta a non mettere a rischio la supremazia tecnologica ed industriale statunitense,  non fece che corroborare quella scelta politica.

Ho parlato di lungimiranza, indubbia qualità soggettiva di quella leadership, sostenuta però da condizioni oggettive, legate alle salde radici socialdemocratiche/keynesiane in grado di condizionare le scelte liberali, alla presenza competitiva e ideologicamente pervasiva dell’incipiente blocco sovietico, alla endemica conflittualità politico/sociale presenze in quelle nazioni. Ho posto le virgolette al termine costrizione perché, in realtà, furono scelte basate su un largo consenso, fondato su un vero e proprio modello di vita e su di una aspirazione di unità, pace e fratellanza, memore delle tragedie recenti delle due guerre catastrofiche. Accanto ad una narrazione irenica della costruzione europea, nacquero anche importanti formazioni federaliste, per altro ampiamente foraggiate dagli Stati Uniti, propugnatrici di una costruzione federale europea politicamente autonoma, in realtà prone, in ultima istanza, al metodo funzionalista, così come scaturito nel loro ultimo congresso tenuto in quegli anni a l’Aja.

Quella lungimiranza e quel progetto egemonico ebbe come presupposto l’occupazione militare e iniziò intanto con la richiesta minimale sempre più pressante di un coordinamento europeo che consentisse una gestione ottimale del Piano Marshall. Proseguì con il tentativo pressante di costruzione integrata della CED (Comunità Europea di Difesa), fallito non appena Francia, nella vulgata gaullista, e più discretamente la Gran Bretagna si accorsero di non poter detenere le chiavi di quel sistema e di dover sacrificare comunque ad esso buona parte delle risorse riservate al mantenimento del proprio residuo sistema coloniale. Dal naufragio di quella illusione si affermò l’alleanza, inizialmente militare, della NATO e il varo della CECA, una comunità di sei paesi, Francia, BENELUX, Germania; un sorta di cartello incaricato di suddividere le quote di produzione di carbone ed acciaio necessarie a sostenere la ripresa industriale civile e del complesso militare senza alimentare attriti che avevano già generato conflitti distruttivi nel continente.

Occorre tener presente che la trasformazione del potere militare e politico in forza egemonica capace di trasformare la forza in potenza in grado di costruire e manipolare consenso necessita di tempo, capacità certosina ed ampi margini di azione. Una capacità di infiltrazione progressiva, a volte violenta, il più delle volte suadente, di istituzioni, apparati e gangli vitali delle società nel corso di decenni e al prezzo di pesanti conflitti interni alle stesse leadership dominanti.

Una azione che ha richiesto tributi di sangue. In Italia il sacrificio di Mattei, un uomo capace di affermare in condizioni date gli interessi nazionali giocando soprattutto con le contraddizioni tra le potenze coloniali decadenti e la potenza emergente e con quelle più subdole interne alla potenza dominante tra le forze più legate alle prime e quelle disposte a liquidarle e sottometterle definitivamente appoggiandosi anche ai movimenti anticoloniali, ma anche di Moro, Craxi e qualche altra figura meno popolare e presentabile.

Un processo che ha conseguito il suo pieno compimento vittorioso  negli anni ’90, con l’implosione del blocco sovietico, l’allargamento su basi russofobe della NATO e la sua progressiva trasformazione da alleanza militare a blocco politico a tutto campo intenzionato, in parte in grado, di determinare le scelte politiche nel continente a tutto campo e soprattutto, di neutralizzare le spinte autonomi  che periodicamente sorgono in Europa.

Un allargamento di competenze e di campo di azione che da una parte ha messo sempre più in evidenza lo stretto legame simbiotico  di dipendenza tra NATO ed Unione Europea, sempre sancito in tutti i trattati, compreso quello di Lisbona, ma sino ad un paio di decenni fa nascosto dalla cortina fumogena della autonomia e neutralità delle scelte di indirizzo economico, in qualche modo garantita durante la fase bipolare, ma progressivamente dissoltasi per la sicumera di aver raggiunto una egemonia unipolare del mondo nelle due decadi dagli anni ’90 e la condizione di ostilità al sorgere e alla realizzazione di un mondo multipolare.

Sotto questo profilo, la coesione territoriale – tanto auspicata e sostenuta dalla politica comunitaria – è messa in crisi da meccanismi di allocazione di fondi e infrastrutture che privilegiano corridoi e nodi militari strategici, spesso localizzati in aree economicamente più sviluppate o geograficamente strategiche, mentre le aree interne e periferiche restano marginali.

A ciò si somma la crescente “militarizzazione” implicita degli investimenti dual-use, evidenziata anche da think tank come RAND e CSIS, che sottolineano come la sicurezza e la mobilità militare siano ormai criteri fondamentali per erogare fondi e pianificare investimenti europei, alimentando una polarizzazione tra Nord-Sud ed Est-Ovest, e allontanando la prospettiva di un sviluppo omogeneo e stabile

Tabella 1 – Fondi UE per coesione e sicurezza: distribuzione e implicazioni

Fondo UEObiettivo principaleAllocazione (€ mld)Impatto sulla coesione territorialeNote principali
FESR (Fondo europeo sviluppo regionale)Sviluppo infrastrutturale e innovazione regionale~190Favorisce investimenti in infrastrutture chiave ma limitati in aree marginali
FSE+ (Fondo Sociale Europeo)Occupazione, inclusione sociale e formazione~99Migliora capitale umano, ma allocato principalmente in aree densamente popolate
Fondo di Coesione (FC)Trasporti e ambiente in paesi con PIL inferiore~40Supporta Paesi meno sviluppati, ma con difficoltà amministrative
JTF (Just Transition Fund)Sostenere transizione climatica con impatti locali~17Aiuta aree colpite da cambiamenti economici ma limitato da criteri stringenti
Fondi per la mobilità militare/Corridoi NATO (CEF, PESCO)Rafforzare capacità dual-use per difesa e sicurezza~10–15 (stimati)Concentrati su nodi strategici, rischiano di favorire polarizzazioniAllocazioni “dual-use” rilevanti ma spesso non destinate a risolvere disparità sociali

Tabella 2 – Indicatori di polarizzazione territoriale nell’UE (2023)

IndicatoreNord-Ovest UESud EuropaEuropa OrientaleImplicazioni principali
PIL pro capite rispetto media UE+25%-20%-30%Aree meridionali e orientali in svantaggio economico significativo
Tasso di disoccupazione giovanile8%25%18%Elevate criticità nelle periferie meridionali ed esterne
Investimenti infrastrutturali (€ pc)AltoMedioBassoVariazioni significative legate a priorità militari e civili
Indice di rischio di esclusione socialeBassoAltoAltoMaggiori fragilità sociali in aree periferiche

Un processo in due fasi talmente pervasivo da riuscire a costruire una classe dirigente ed una leadership politica, tra i paesi più importanti in Europa, specie in Italia e Germania, del tutto legata e partecipe  dei circuiti e della rete di interessi ed attività che garantiscono il permanere e la sopravvivenza di queste strutture politico-economiche di potere e consenso.

Sottolineo ancora una volta la grande intelligenza, almeno iniziale, delle leadership egemoni statunitensi capaci di dosare attentamente la forza, ma soprattutto di individuare, vellicare, manipolare, indirizzare  e formare quelle parti di classi dirigenti e di leadership, quindi anche di popolazione, capaci di integrarsi in un sistema in divenire.

Una abilità e pervasività conclusa con un successo, ma che sta portando però il continente verso la tragedia.

Lo testimonia l’origine e la formazione di quasi tutte le classi dirigenti europee e degli esponenti attualmente più in vista, non più cooptati, ma nati e pasciuti in questo brodo di coltura.

Già, perché, le nostre leadership europee da essere legate seguendo un modello di rapporti tra stato e stato, istituzioni ed istituzioni nel quale costruire i sodalizi personali si sono ridotte ad essere parte sempre più attiva e partecipe, espressione apparentemente protagonista nello scenario pubblico, nella realtà prosaica succube, spesso anche inconsapevolmente, di una fazione specifica protagonista nel sanguinoso conflitto politico in corso da oltre dieci anni negli Stati Uniti. Una fazione probabilmente ed auspicabilmente perdente, ma che comunque sarà in grado di trascinare nella propria rovina il seguito della corte, ammesso che non sia la parte vincente a martellarla ferocemente.

Il dibattito ed il processo di riarmo “europeo” è la cartina di tornasole di una dinamica molto più profonda che coinvolge anche il tema di fondo di questo seminario.

Un proposito astrattamente corretto, quello della difesa autonoma di un paese o di una alleanza continentale di paesi, che viene gestita da una istituzione priva di statualità, un vero e proprio ossimoro, e da stati incapaci di valutare ogni e l’insieme dei quadranti che avvolgono lo scacchiere continentale; una visione strabica, prevalente in alcuni paesi e nelle leadership di quasi tutti gli altri, fortunatamente nella crescente diffidenza, non si sa quanto durevole perché priva di reale alternativa, dell’opinione pubblica prevalente, alimentata da una fazione di oltre atlantico, tutta basata sull’invenzione di un nemico, la Russia, nemmeno più la dirigenza russa, sull’allarmismo infondato di un conflitto imminente teso soprattutto ad addomesticare i timori della propria popolazione e a giustificare le future vessazioni che dovrà propinare loro. Allarmismo ed urgenza che si risolverà nel ricorso prevalente al complesso militare statunitense per le proprie forniture, nella partecipazione soprattutto tedesca a questo sodalizio, nella sostituzione dell’attuale welfare con uno di tipo e di consistenza militare riservato ad una cerchia più ristretta di popolazione.

Non è stato un processo privo di alternative e telecomandato da dinamiche inesorabili. Negli anni 80/90 ha dovuto regolare diversi contrappesi anche nei paesi dell’Europa Orientale. In quell’area vi era una componente politica significativa che, pur attratta dalle sirene occidentali, riteneva di poter trasformare e salvaguardare il proprio patrimonio industriale e il sistema di sicurezza sociale attraverso una transizione graduale e controllata. Era riuscita persino ad ottenere il sostegno di una parte importante della intellighenzia tedesca, più legata alla ostpolitik e ai gruppi industriali-finanziari indipendenti, presenti nella Deutschbank, antecedente alla sua conversione in banca di investimento, e nella Treuhand. Con la liquidazione fisica di Herrhausen e Rohwedder e il ricambio repentino della leadership politica, grazie alla efficiente struttura verticale della gerarchia di potere,  la Germania fu ricondotta diligentemente all’ordine e le dirigenze dell’Europa Orientale persero referenti e sponsor e con essi il controllo politico sul proprio paese, aprendo la strada ad un vero e proprio processo di colonizzazione, solo adesso, a trenta anni di distanza, rimesso parzialmente in discussione e solo in alcuni paesi.

 Grazie alla struttura più disarticolata dello stato, in Italia il processo di normalizzazione degli anni ’90 fu più lungo e confuso, ma altrettanto efficace anche perché ha potuto agire su di una base alquanto logorata.

L’UNIONE EUROPEA E LA SUA MISSIONE POLITICA IN ECONOMIA

In questo quadro si riesce ad inserire più credibilmente il ruolo della Unione Europea, le sue finalità conclamate e quelle più prosaiche e ad approfondire da questo punto di vista il tema del recupero e valorizzazione delle aree interne.

 Con l’istituzione della CEE, nel 1957, il campo di azione comunitario si allargò assorbendo in particolare le politiche agricole (PAC) mutuando, però, in un sistema di mercato libero, il criterio delle quote nazionali di produzione, ma con una peculiarità.

 Il cosiddetto piano Mansholt divideva  i territori agricoli in “polpa ed ossa”, le pianure nella prima categoria, le zone collinari e montane nella seconda. All’interno di questo primo discrimine se ne concepì un altro che prevedeva la riserva di gran parte degli incentivi a produzioni particolari, specie all’allevamento intensivo e ai prodotti di origine animale. Opzioni che favorirono di per sé gli insediamenti delle grandi pianure europee del Centro-Nord. Le proteste che provocarono portarono ad una prima correzione dei criteri, ma che si ridussero ad interventi assistenziali  che alleviarono leggermente il malessere delle popolazioni rurali collinari; le educarono piuttosto alla ricerca di risorse assistenziali piuttosto che produttive delle proprie aziende. La pratica, ad esempio, di semina di cereali senza provvedere al raccolto in funzione della mera riscossione dei contributi europei divenne diffusa nelle zone collinari della Murgia barese e nella Sicilia, grazie anche alla predatoria catena di distribuzione commerciale nelle aree meno controllate dall’AIMA. Fu una delle molle che alimentò il primo esodo migratorio biblico verso le aree industriali del Nord Italia e, soprattutto, in Europa. A questo si aggiunse la politica degli accordi di scambi commerciali con paesi extraeuropei, in particolare e inizialmente  africani e mediorientali la quale prevedeva l’importazione di prodotti agricoli di origine mediterranea, simili a quelli italiani, in cambio dell’esportazione di prodotti industriali prevalentemente tedeschi e francesi, con profitto di entrambi e con la finalità di puntellare l’influenza francese postcoloniale,  in un contesto per altro di allargamento della Comunità a Spagna e Grecia, dalla merceologia agricola simile a quella dell’Italia Meridionale. Fu alimentato quindi un primo processo di polarizzazione di tendenza depressiva  che portò in quelle aree più che ad una economia attiva ma subordinata e polarizzata rispetto alle aree centrali in pieno sviluppo, ad una realtà di degrado e di consumo mantenuta dalle rimesse dei migranti e dalle crescenti elargizioni assistenziali più o meno giustificate. Una sorte diversa riuscirono a conseguire alcune specifiche aree marittime, pianeggianti o ricche di materie di base, ad esempio l’acqua, grazie alla riconversione agricola e soprattutto alla creazione di poli industriali di prodotti di base pur in presenza di pesanti processi migratori. Nella fase iniziale e intermedia di costruzione della CEE l’Italia era il paese, se non unico, più importante, a presentare una economia e una società chiaramente dualistica con una metà del territorio quasi interamente depressa. Potè, quindi, fruire di gran parte dei fondi  europei compensativi destinati ad alimentare con quote significative la  creazione di indispensabili grandi agenzie tecnico-finanziarie in via di costituzione, ad esempio la Cassa per il Mezzogiorno, e i processi di costituzione di poli industriali sostenuti prevalentemente dalle Partecipazioni Statali, ma anche da alcuni gruppi privati come la FIAT. In realtà questi insediamenti trovarono in buona parte accoglienza in piccole aree industriali già presenti e dotate almeno in parte di infrastrutture minime; oltre agli effetti positivi innescarono importanti processi di riorganizzazione e ridimensionamento di settori artigianali, grazie anche all’abbandono indotto di queste attività. Solo in pochi casi e in maniera precaria riuscirono a creare un indotto autonomo ed indipendente dai poli centrali, non ostante la grande pressione politica e sindacale innescata dalla capacità attrattiva di grandi concentrazioni operaie politicamente attive.

Fu però una parentesi dinamica relativamente breve che conobbe, tra l’altro, i primi tentativi comunitari di regolazione monetaria e di coordinamento delle politiche fiscali nazionali sempre più dettate dalla compagine tedesca, man mano che la competizione politico-economica con la Francia  volgeva a suo favore, sui criteri restrittivi e di equilibrio dei vari bilanci statali. C’è da aggiungere che le crisi esterne iniziate con lo shock petrolifero e la non convertibilità del dollaro resero ancora più instabile una integrazione in Italia resa problematica da una gestione discutibile e velleitaria, spesso assistenziale, delle politiche industriali delle PPSS, che trascinò in un progressivo degrado l’intero comparto, compresi i numerosi gioielli ancora restanti.

 Parallelamente, sull’onda delle prime delocalizzazioni avviate in Veneto si svilupparono numerose attività imprenditoriali, poco più che artigianali, in gran parte semplice appendice delle case madri e particolarmente fragili, alimentate in buona parte da lavoro in nero. Un esempio importante è offerto dagli insediamenti cresciuti in Salento nel settore tessile e calzaturiero. Un primo esempio, quindi, di polarizzazione positiva rispetto alle tendenze depressive in aree vicine. Non mancò, per altro, qualche esempio di imprenditoria resiliente, dato importante, la Natuzzi nella Murgia e di aziende pilota nell’alta tecnologia, spesso ad uso militare o doppio uso, per lo più avviate in aree altamente attrezzate. Esempi, questa volta, di poli attrattivi trainanti. Qualcosa di analogo si manifestò, appena dopo, in agricoltura, specie nel settore vinicolo, con l’arrivo di grandi imprenditori.

Dalla metà degli anni ’70 iniziò comunque un radicale rivoluzionamento dei circuiti economico-finanziari fondato sul crescente predominio del dollaro, sul deficit commerciale statunitense, sulla crescente mobilità dei capitali e su una divisione del lavoro e delle catene produttive sempre meno fondata su base nazionale.

Un rivoluzionamento che coltivò l’illusione del predominio crescente di potenze industriali, come il Giappone, prive di potenza politica e di capacità di controllo delle leve finanziarie fondamentali e per questo facilmente assorbite e regolate dalla forza egemone; una svolta che raggiunse la piena maturazione negli anni ’90, preceduta dal provvidenziale crollo ed assorbimento del blocco sovietico nel circuito occidentale.

È il momento in cui i centri decisori statunitensi realizzano la convinzione, direi la presunzione, di poter assumere il controllo diretto ed indiretto, quantomeno la definizione degli indirizzi, dei circuiti globali con il semplice controllo delle leve finanziarie, degli sviluppi tecnologici e della ricerca scientifica, e delle partecipazioni azionarie e delle leve manageriali di primo livello.

Da qui l’affermazione delle teorie liberiste più radicali e in questo quadro l’inserimento progressivo e crescente in una condizione egemonica, ma non dominante, più che altro di pesante condizionamento, della Germania nello spazio geoeconomico europeo,  al prezzo, pesante e determinante, di un condizionamento politico statunitense che ne ha circoscritto la direzione e i margini di azione economica.

Un dinamismo che, però, non si limita alle sole azioni di politica economica, ma che non disdegna di recuperare parte delle antiche aree di influenza politica in Europa Orientale e nei Balcani, sempre, però, sino a ieri all’ombra e forzando i disegni operativi statunitensi, vedi il suo ruolo nelle recenti guerre nei Balcani e nelle sue recrudescenze, oggi all’ombra di una fazione di essi e a contrasto dell’altra.

È il momento in cui la UE si adegua a pieno regime all’onda liberista con la sua ossessione del libero mercato, senza per altro la possibilità di disporre degli strumenti di azione propri degli stati nazionali e in un contesto geopolitico europeo rivoluzionato. Un contesto accolto euforicamente, ma che inizia a generare in Europa processi di polarizzazione in gran parte depressiva anche nelle aree centrali.

Prima di approfondire il tema occorre chiarire un equivoco alla base della retorica di questi ultimi decenni.

Il mercato “libero”, presentato come uno spazio liberatore e purificatore di energie teso all’equilibrio e al vantaggio reciproco, in realtà è una chimera. Ogni mercato, per quanto “anarchico”, per reggersi ha bisogno di regolamentazioni; crea gerarchie che spingono ad azioni costrittive verso gli attori più deboli; adotta consuetudini che equivalgono a regole, come le pratiche lobbistiche così in uso nei corridoi della Commissione Europea; di più, i manager e gli azionisti di riferimento dei maggiori gruppi ragionano sempre meno nell’ottica della mera ottimizzazione e del conseguimento del profitto, sempre che esista una procedura univoca che determini e quantifichi quest’ultimo. Sono dei veri e propri strateghi politici al pari dei decisori che siedono nelle istituzioni e negli apparati e fanno parte a pieno titolo delle cordate che si formano nelle situazioni conflittuali e cooperative che normalmente si determinano negli agoni decisionali.

IL SALTO “QUALITATIVO” DELL’UNIONE EUROPEA

  • Quello che con la CEE e la CECA era consentito o quantomeno tollerato, l’intervento diretto dello stato nell’economia, sia nella forma di insediamenti che di incentivazione in nome della libera concorrenza nella UE diventa un tabù, spesso uno scudo per le élites più remissive come quelle italiche, ma con le dovute eccezioni e i sotterfugi riservati ai soliti eletti che godono del prestigio politico e, soprattutto, della presenza radicata nei posti chiave. Per un paese come l’Italia, caratterizzata da piccola e media imprenditoria e da una asfittica grande imprenditoria privata in gran parte dal carattere compradore, un colpo disastroso che sta portando alla degrado e al collasso l’industria di base e le reti infrastrutturali e il tramonto di soggetti in grado di fungere da pivot in nuove realtà industriali. I fondi di coesione europei si sono prontamente adeguati a questa direttiva, limitando e circoscrivendo il campo di azione specie per i paesi assillati dal debito che confidano prevalentemente, se non esclusivamente sul contributo europeo. Cadono, così, negli anni ’90 le detassazioni contributive nelle regioni meridionali. L’intero sistema bancario italiano deve adeguarsi alla trasformazione giuridica imposta dalla UE, quando al contrario sia il sistema bancario francese, con la creazione di una spa capofila del Credit Agricole, che metà del sistema bancario tedesco, le banche territoriali, hanno potuto aggirare i vincoli giuridici, di controllo pubblico e di esposizione. L’indizio che rivela chi e come vengono definite nei tempi opportuni le regole europee. Altro esempio sono i provvedimenti di precarizzazione dei rapporti di lavoro, ampiamente compensati da intervento pubblico, avvenuti in Germania con la riforma Hatz e, attuati i quali, la CE ha prontamente impedito ogni intervento pubblico compensativo dei rapporti di lavoro precarizzati in Europa. Nelle more, la direttiva Bolkestein è stata una liberalizzazione o semplicemente un cambio in parte peggiorativo delle regole di mercato del lavoro e dei servizi?
  • Il progressivo e rapido ingresso dei paesi dell’Europa Orientale nella UE ha comportato tre colpi pesanti agli assetti socioeconomici dell’Italia: il drastico trasferimento di buona parte della produzione del settore della componentistica automobilistica dipendente dalle capofila tedesche e la delocalizzazione di numerosi impianti industriali; la trasformazione dell’Italia, per il drastico abbassamento del reddito medio europeo, in paese contribuente attivo; il drastico trasferimento di gran parte dei fondi europei dall’Europa Meridionale a quella Orientale. Dinamica, quest’ultima, assieme alle limitazioni di bilancio che hanno portato ad una condizione depressiva gli interventi e, elemento gravissimo, alla liquidazione di strutture ed agenzie, in particolare la Cassa per il Mezzogiorno, essenziali a promuovere lo sviluppo. Un patrimonio di competenze liquidato e disperso nelle decine di periferie amministrative in cui è frammentato il paese, di fatto incapaci di concepire, progettare e gestire opere strategiche

Sono solo alcuni dei tanti fattori che hanno reso l’UE artefice della polarizzazione dei propri territori, a volte, comunque espansiva in termini assoluti, sempre più ormai in termini regressivi sia per i poli subordinati ed emarginati, ma anche sempre più per gli stessi poli trainanti.

In breve gli stati nazionali dovrebbero reimmaginare e ridisegnare, anche geograficamente, la qualità delle proprie relazioni internazionali al di là delle forzature, già evidenziate da studiosi (tra questi Franziseck Draus) e professioni a suo tempo alla Commissione Europea, che hanno portato a questo allargamento.

Beninteso, i processi di polarizzazione sono connaturati ai sistemi economici e il sistema capitalistico, legato ai processi continui di ottimizzazione e profittazione, tende ad attribuirvi caratteri estremi di lacerazione, di connessione crescente tra poli strategici, di precarietà e instabilità. Ha bisogno, comunque, di normazione, scelte politiche, imposizioni e strategie. Di decisioni politiche, comprese quelle tecnocratiche, spacciate invece come neutre, in quanto tali.

L’Unione Europea non è uno Stato! È un simulacro che ne scimmiotta le competenze, priva di identità, elemento fondamentale per la costruzione di una nazione e di uno stato. È un campo di azione di stati e centri decisori, compreso un arbitro-giocatore esterno al perimetro, entro uno schema limitativo, quello funzionalista dei passetti successivi in campo economico la cui sommatoria dovrebbe portare miracolosamente ad unità politica.

È strutturalmente divisiva e limitativa. Ha definito il proprio limite ed azione legandosi nemmeno ad una alleanza politica, ma ad una politico-militare; ha finalizzato le proprie scelte economiche e circoscritto le dinamiche di competizione e conflitto in un circuito economico-finanziario che vede negli Stati Uniti il punto di raccolta di gran parte dei frutti del lavoro e dell’ingegno europei, applicati, per altro, in ambiti complementari e non strategici.

Un circuito che ha compiuto il proprio ciclo e che verrà rotto traumaticamente. L’attuale leadership statunitense lo ha compreso e ne ha tratto le conseguenze; quelle europee sono aggrappate ad esso  nell’illusione che un ulteriore avvicendamento negli USA ripristini la situazione ex ante. In realtà gli Stati Uniti sono e rimarranno disposti a lasciar fare solo nella misura in cui siano gli europei a farsi carico dei costi e dei rischi geopolitici, la guerra in Ucraina contro la Russia e gli statunitensi a lucrarci, vedi gli acquisti di armi e il mantenimento del circuito, però radicalmente modificato. Un modo, per altro, di contenere in qualche maniera la conflittualità politica interna agli Stati Uniti.

La Germania è l’agente interno che ha diretto, impostato e lucrato, per la sua parte, su questo circuito con furbizia, malafede e imponendo regole che già conosceva da tempo. Ha saputo anche riesumare le storiche ambizioni di influenza nelle sue aree prossime, alimentando i conflitti, una volta chiusa la breve parentesi di Herrhausen, ma, questa volta, accuratamente all’ombra del deus ex-machina. Non poteva fare altrimenti, del resto, se non a costo di una radicale pulizia dei propri apparati.

Ha pagato strategicamente a caro prezzo questa scelta comoda ed obbligata, chiudendo ogni strada su due lati, a oriente, con la Russia, progressivamente con la Cina, dopo essersi lasciata soffiare buona parte del proprio bagaglio tecnologico, a sud con l’Africa e il Medio Oriente e la zona grigia di India e America Latina; tutto pur di mantenere quella ad ovest del quale non è lei a detenere i biglietti di ingresso.

Da qui la scelta disperata di recuperare i margini di azione con l’esasperazione bellicista ad est.

La Germania è destinata a pagare il prezzo più salato e destrutturante di questa scelta in termini industriali e nel prosciugamento delle proprie riserve in gran parte depositate oltre-atlantico  Trascinerà tutti quelli che si sono aggregati al carro; l’inquietudine in Europa Orientale comincia a serpeggiare vistosamente.

LA GESTIONE DELLE AREE INTERNE

Non è mio compito individuare le soluzioni per una azione efficace di valorizzazione e recupero. Posso offrire qualche riflessione sui tempi andati di ormai quasi cinquanta anni fa su alcune interessanti, per lo più fallite, esperienze analoghe. Immagino in altre occasioni..

Posso altresì evidenziare alcuni aspetti e principi informatori dell’azione in questo ambito:

  • I mezzi e gli strumenti offerti dall’Unione Europea sono certamente più efficienti, Fabrizio Barca lo ha spiegato bene, ma possono essere utilizzati senza cadere nella trappola su specificata solo come strumenti complementari e separati dalla gran parte delle risorse di origine nazionale e integrati in una strategia che non può essere quella dettata dalla UE.
  • Il piano delle aree interne presentato dal Governo pare più una presa d’atto immutabile della condizione di gran parte delle aree ed ha l’intento di alleviarne la condizione di degrado e sofferenza, piuttosto che di invertire la tendenza.
  • I piani più ambiziosi non possono poggiare su strutture inadeguate della(e) regioni, tanto meno dei comuni, per quanto consorziati. Occorrono agenzie tecniche, di programmazione e finanziarie di alto livello che attualmente mancano o sono carenti. Banche di sviluppo, centri di ricerca e formazione, imprenditori legati ed espressione del territorio nazionale in cooperazione sono ingredienti fondamentali. Purtroppo le regioni, grazie anche alla frammentazione e al dissesto istituzionale italiano, sono state troppo spesso uno strumento in mano alla UE per indebolire il ruolo dello stato nazionale, in linea con la funzione istitutiva della UE
  • I piani di recupero delle aree interne dovrebbero gravitare attorno a poli strategici capaci di iniziative che vadano ben oltre il territorio di insediamento. L’esperienza del Veneto negli anni 60/70, del Trentino AA nella sua azione di recupero e mantenimento delle aree urbane e di industrializzazione e creazione di servizi decentrati, pur con i tanti errori, possono offrire diversi spunti
  • Occorre valutare la qualità del ceto politico e delle classi dirigenti locali. Se tendono all’adattamento alla situazione o sono suscettibili o capaci di ambizioni più dinamiche
  • Occorre valutare la effettiva resilienza dei soggetti economici per non cadere nella trappola degli incentivi effimeri
  • Ogni discorso sulle economie circolari, sulla sostenibilità, sulla diversificazione delle attività nelle aree interne diventano esse stesse sostenibili ed espansive se accompagnate da progetti strategici che vanno oltre il territorio o da capacità di assorbimento di risorse esterne
  • Il vicolo cieco in cui l’Italia, come del resto l’Europa, si è cacciata con la chiusura alla Russia e alla Cina, la pratica defenestrazione dal nostro vicinato africano come può consentire l’attuazione di queste azioni strategiche
  • Che ruolo possono avere le banche locali, analogamente a quelle assunte dal Veneto negli anni ’60, nel sostenere queste ipotesi e a che ruolo assolvono adesso?

I CORRIDOI NATO

Data la priorità stringente che sta assumendo la programmazione della NATO e l’influenza che potrebbe assumere nel peso e nel ruolo dei fondi di coesione, risulta utile a questo punto qualche ulteriore riflessione, anche per gli equivoci che la narrazione ufficiale potrebbe ingenerare sulla natura delle scelte di investimento:

Capitolo 2 – Corridoi NATO ed Europa: infrastrutture dual-use, contrasti politico-industriali e la competizione tra Germania, Regno Unito e Francia

L’evoluzione europea della sicurezza e delle infrastrutture militari si incrocia inevitabilmente con le dinamiche della cooperazione UE-NATO e con le pressioni strategiche esercitate dagli Stati Uniti, che mantengono un ruolo centrale nel disegno delle priorità alleate. In particolare, i cosiddetti “corridoi NATO” – reti di infrastrutture viarie, ferroviarie e marittime avanzate destinate a garantire mobilità rapida delle forze armate in Europa – sono oggi un nodo nevralgico delle strategie di sicurezza continentali. Tali corridoi, progettati con forte impulso americano e con la Germania quale paese ospitante privilegiato di basi e reti logistiche, si sovrappongono a infrastrutture civili esistenti e rappresentano un terreno di frizione tra interessi strategici divergenti, soprattutto tra Berlino e le “due sorelle” atlantiste, Regno Unito e Francia. Questi ultimi paesi rivendicano spazi di autonomia e influenza strategica propri, privilegiando politiche difensive più autonome e differenziate, in contrapposizione all’orientamento pragmatico e “host nation” che caratterizza la Germania.

2.1 La genesi e la funzione dei corridoi NATO in Europa

I corridoi logisitici della NATO in Europa si sono articolati nel quadro del Piano d’Azione per la Mobilità Militare (Military Mobility Action Plan) emanato dalla Commissione Europea e dal Consiglio della NATO dal 2018, con successive integrazioni nel 2022.

 L’obbiettivo è creare percorsi ferroviari, autostradali, portuali e aeroportuali che rispettino standard di sovraccarico, dimensioni e interoperabilità militare, con risorse finanziarie messe a disposizione principalmente dal Connecting Europe Facility (CEF) e integrati dalla politica di coesione UE tramite il FESR e altri fondi strutturali. Queste infrastrutture “dual-use”, ovvero civili ma facilmente convertibili a uso militare, sono considerate essenziali per la rapida mobilitazione delle truppe NATO da Ovest verso Est in caso di crisi, in un contesto strategico fortemente influenzato dall’aggressione russa all’Ucraina e dal rafforzamento del deterrente.

Nel quadro di questo disegno, la Germania ha assunto un ruolo di primissimo piano come “host nation” di infrastrutture chiave e come hub per la manutenzione e produzione di materiale militare e logistico statunitense e NATO. Questo ruolo, se da un lato conferma il successo economico-industriale tedesco e la sua integrazione infrastrutturale nel cluster strategico atlantista, dall’altro genera tensioni politiche e concorrenziali con altre potenze europee.

2.2 Il ruolo e gli interessi della Germania: hub centrale e ospite privilegiato

La Germania, fin dal secondo dopoguerra, ha costruito un fortissimo legame con gli Stati Uniti tramite la NATO, incarnandone nel continente europeo le strategie militari e logistiche

3

. Il paese ospita un gran numero di basi americane, funge da snodo per traffici logistici e tecnologici, e incarna un modello di industrializzazione militare dual-use fortemente integrata nei circuiti di fornitura globali.

Nel piano di mobilità militare europea, la Germania rappresenta:

  • Il nodo centrale di reti ferroviarie ad alta capacità, adeguate al trasporto di mezzi e materiali pesanti NATO.
  • Il centro logistico e industriale per la produzione e manutenzione di materiali critici (rifornimenti F-35, Rheinmetall-Lockheed joint ventures).
  • Il paese che, tramite il suo know-how, esercita un ruolo guida nella definizione degli standard tecnici delle infrastrutture dual use con applicazioni militari4
    .

Questa posizione ha consentito alla Germania di attrarre rilevanti investimenti infrastrutturali e industriali europei, consolidando una leadership economica e strategica continentale, benché soggetta a limitazioni politiche dettate dall’influenza statunitense e dal contesto NATO.

2.3 La contrapposizione con Regno Unito e Francia: due modelli di autonomia strategica

A fronte del primato tedesco nella gestione dei corridoi e delle infrastrutture dual-use, Regno Unito e Francia perseguono un approccio strategico più autonomo volto a rafforzare capacità militari nazionali e cluster industriali differenziati.

  • Francia, con il suo arsenale nucleare indipendente e un approccio geopolitico marcatamente sovranista, sostiene progetti distinti come il Future Combat Air System (FCAS), lavorando con Germania e Spagna ma mantenendo una visione di autonomia strategica che non si limita alla piattaforma NATO e rimane critica verso politiche troppo integrate nell’egemonia americana5
    .
  • Regno Unito, pur uscendo formalmente dall’UE, mantiene una posizione di potenza atlantista autonoma, convinta che la difesa europea debba integrarsi ma non confondersi con la NATO. Attraverso partnership come il Global Combat Air Programme (GCAP) con Italia e Giappone, il Regno Unito promuove un paradigma di sviluppo industriale e difensivo indipendente dalla rete infrastrutturale NATO centrale tedesca6
    .

Questi due paesi si oppongono all’omogeneizzazione delle infrastrutture e delle strategie militari imposte dal modello NATO guidato implicitamente da USA e Germania, rivendicando una pluralità di poli influenti all’interno dell’Europa strategica.

2.4 Le infrastrutture dual-use: problemi di sovrapposizione, governance e limiti alla coesione

L’integrazione fra infrastrutture civili e militari – principio guida per i corridoi – però si traduce in una molteplicità di problemi sistemici:

  • Sovrapposizione funzionale fra necessità militari e obiettivi civili, che può concentrare investimenti sulle principali direttrici strategiche lasciando marginali le aree interne e meno strategiche (es. corridoi marittimi nord-sud vs infrastrutture interne)7
  • Vincoli normativi e burocratici: gli Stati membri mostrano gelosie nazionali sugli spazi di sovranità, rallentando processi di omogeneizzazione e interoperabilità; la presenza di paesi NATO non-UE (Norvegia, Turchia) e paesi UE non NATO accentua il disallineamento.
  • Concorrenza geopolitica e industriale, in cui la Germania interpreta il ruolo di host nazione privilegiata come elemento di potere strategico, mentre UK e Francia insistono per una governance multilivello che riconosca le differenze di interessi e capacità.
  • Priorità marittime vs terrestri: le infrastrutture marittime rivestono un ruolo nodale per porte logistiche come Rotterdam, Anversa, Genova e Trieste, cruciali per la mobilità delle forze statunitensi e NATO. Tuttavia, vi è competizione su chi gestisce e determina gli investimenti, con tensioni tra le aree marittime settentrionali (favorevoli a un modello dominato da Paesi Bassi e Germania) e quelle mediterranee, dove Italia e Francia rivendicano maggiore influenza.

2.5 La strategia USA e il mandato alla Germania, l’equilibrio fragile europeo

Gli Stati Uniti mantengono un ruolo decisivo, motivando e finanziando i corridoi NATO come pilastro della loro proiezione militare in Europa e nella regione euro-mediterranea. Studi come quelli dell’Atlantic Council sottolineano lo spostamento del baricentro alle infrastrutture del Corridoio Nordorientale – Scandinavia, Baltico, Polonia – una regione con percezioni di minacce più acute e un consenso politico-sicurezza più compatto.

La Germania, nella sua posizione di “host” privilegiata, beneficia della presenza permanente di basi e investimenti; a sua volta, questa leadership infrastrutturale funge da anello di congiunzione tra progetti statunitensi e politiche europee integrate. Tuttavia, l’asse franco-britannico mantiene resistenze e idee divergenti circa la forma e la governance di questa integrazione, proponendo un ripensamento del modello di sicurezza europeo che contempli autonomie nazionali più robuste e una minore subordinazione agli Stati Uniti.

Capitolo 4 – Investimenti infrastrutturali e logistica dual-use: confronto tra Italia Sud, Olanda e Germania nelle direttive NATO e la sovrapposizione degli interessi USA  

L’evoluzione della strategia logistica e infrastrutturale europea in ambito NATO e UE è oggi caratterizzata da un crescendo di investimenti pubblici e privati orientati al rafforzamento dei cosiddetti corridoi “dual-use”, ossia reti civili adattabili a esercizi rapidi di mobilità militare[1]. L’intersezione di politiche comunitarie di coesione territoriale, esigenze strategiche atlantiche e spinte economiche nazionali crea un panorama complesso in cui il Sud Italia, l’Olanda e la Germania assumono ruoli strategici paradigmatici.  

Questo capitolo approfondisce questo intreccio, rilevandone i nodi critici:  

– le sovrapposizioni tra infrastrutture civili e militari, con focus particolare su porti e reti ferroviarie  

– il peso politico-strategico degli investimenti, inquadrati nel mandato NATO-Atltanico, con sottile pressione USA diretta e indiretta  

– la competizione e il coordinamento tra contractor europei e americani nell’implementazione di hub logistici strategici  

– le implicazioni territoriali e socioeconomiche, con particolare analisi dell’impatto sul Mezzogiorno italiano, il porto di Gioia Tauro e gli scali del Nord Europa  

 4.1 La logistica dual-use: tra coesione UE e priorità NATO

I fondi strutturali europei (FESR, Fondo di Coesione) e i finanziamenti derivanti dal Connecting Europe Facility (CEF) rappresentano la linfa vitale dei programmi infrastrutturali europei 2021–2027, che si sovrappongono a direttive NATO finalizzate alla mobilità rapida delle forze armate. Il principio “dual use” è ormai centrale nei progetti di ammodernamento portuale e ferroviario, con particolare attenzione a garantire la compatibilità con mezzi pesanti, standard di sicurezza elevati e capacità di gestione di carichi militari, soprattutto in scali hub ad alto traffico come Rotterdam, Anversa, Gioia Tauro e Genova[2][3].

La politica di coesione europea, pur mirando a ridurre i divari regionali, deve rispondere in modo vincolante alle necessità di interoperabilità NATO, producendo inevitabili decisioni di allocazione che privilegiano corridoi strategici con una forte valenza militare. Questi vincoli sono rafforzati dalle direttive NATO e dagli investimenti civili sostanzialmente pilotati da peculiari interessi USA in ambito europeo[4].

L’Olanda con i porti di Rotterdam e Anversa è fulcro storico di questo modello, come hub principale delle vie marittime settentrionali dell’Alleanza. Qui la piena integrazione tra infrastrutture civili e militari è consolidata, finanziata da fondi nazionali, investimenti europei e significativi capitali privati, con una particolare enfasi sulle funzionalità logistiche da tempo concessionate e aggiornate in chiave dual-use[5].

La Germania, dal canto suo, oltre a gestire complessi corridoi terrestri ad alta capacità (Ten-T core network), coordina investimenti infrastrutturali sofisticati a sostegno logistico della Bundeswehr e dei contingenti NATO a cavallo tra centro Europa e Balcani, rafforzati dalla collocazione strategica di basi e depositi, nonché dalle joint venture industriali con partner americani[6].

4.2 L’Italia meridionale e i porti strategici: Gioia Tauro e Bari nel cuore della sfida logistico-militare dual-use

In Italia, spiccano per importanza geopolitica due porti del Mezzogiorno: **Gioia Tauro** e **Bari**. Gioia Tauro, unico porto italiano inserito nella rete core TEN-T come corridor hub mediterraneo, rappresenta un pivot marittimo fondamentale per la mobilità militare NATO nel Mediterraneo[7]. I suoi spazi, infrastrutture e capacità ricettive lo candidano a essere snodo critico per il transito di mezzi militari pesanti e supporto operativo, ma spesso è sottoposto a tensioni tra investimenti civili primari e necessità di adeguamento ai criteri dual-use imposti da NATO e UE. Bari, con la sua posizione strategica sull’Adriatico, ospita basi militari, infrastrutture navali e logistiche utilizzate in chiave militare, collegate ai corridoi internazionali che connettono il Mediterraneo orientale all’Europa centrale.

Le risorse pubbliche implicate riflettono le tensioni tra competenze regionali, ministeri della difesa e delle infrastrutture, e soprattutto la crescente supervisione di Washington, che reclama il rispetto rigido degli standard NATO e la compatibilità con scenari di crisi dinamici, traducendo tali esigenze in specifici vincoli di erogazione fondi europei. Ad esempio, nel quadro del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), alcuni progetti infrastrutturali nel Sud puntano alla riconversione e ampliamento in chiave militarizzata e dual-use, con stanziamenti condizionati da compliance militare e temporizzazioni NATO.

4.3 Sovrapposizione di interessi USA, lo strapotere delle direttive atlantiche e le implicazioni per la governance nazionale

Gli investimenti dual-use non sono neutri: derivano da rigorose direttive NATO che agiscono da condizione necessaria per l’ammissione ai fondi europei e nazionali in settori strategici. Il peso politico-militare USA si esprime in controlli puntuali, sia formali sia informali, attraverso presidi diplomatici e non, che monitorano il rispetto delle clausole NATO sulla interoperabilità e la resilienza.  

Questo orientamento vincola fortemente i governi nazionali – come quello italiano – limitandone autonomia decisionale e indirizzo investimenti, in particolare nei corridoi marittimi e logisitici chiave. Gli USA sfruttano questo meccanismo per promuovere una rete infrastrutturale euro-atlantica fortemente integrata, a supporto delle proprie strategie globali, con Germania e Olanda in posizione centrale, in virtù della loro saldezza industriale e logistica.

Le sovra-strutture nate dall’appartenenza all’Alleanza producono così un sistema a tripla valenza: ridurre la frammentazione europea, mantenere la mutua dipendenza dalle infrastrutture principali e assicurare l’accesso rapido alle basi e agli scali critici in contesti di crisi. Ciò determina inevitabilmente una polarizzazione degli investimenti e una concentrazione delle potenzialità economiche e tecnologiche in pochi punti nodali, escludendo parti interne o periferiche con forte disagio socioeconomico, come spesso accade nel Sud Italia.

Fonti principali e note cap 4 

[1] Ministero della Difesa, Documento Programmatico Pluriennale, 2024-2026[5]  

[2] DG MOVE, Commissione Europea, Strategie infrastrutturali TEN-T e military mobility, 2023  

[3] Agenzia per la Coesione Territoriale, OpenCoesione dati, 2025  

[4] NATO Military Mobility Action Plan, aggiornamento 2022  

[5] Borsa e Finanza, “Spese Italia Difesa al 2% PIL” – articolo 2025[1]  

[6] Transatlantic Forum, Ottavo Rapporto 2025, Istituto Affari Internazionali[6]  

[7] Rapporto ICE 2025, infrastrutture e logistica marittima[4]  

 Agenzia Dogane e Monopoli, dati traffico porti Gioia Tauro e Bari 2024  

 PNRR Italia, Missione Innovazione e Digitalizzazione infrastrutture, 2025  

 Azione, “Le proposte di difesa per il Sud”, 2025[2]  

 CSIS e RAND, “Dual Use Infrastructure and EU-NATO Dynamics”, 2023  

 Atlantic Council, “US Strategy in European Logistics”, 2024[6]  

 EU Parliament Studies, “Disparities regionali e sicurezza dual-use”, 2024  

5.3 Il modello franco-britannico: fondi sovrani e trasparenza limitata

Francia e Regno Unito si collocano in un modello parallelo ma differente, basato su fondi sovrani nazionali che, pur risultando meno opachi di quelli USA-Germania-Italia, non raggiungono ancora un livello pieno di trasparenza. Il Fonds Stratégique d’Investissement (FSI) in Francia gestisce investimenti diretti in infrastrutture dual-use come ad esempio il porto di Marsiglia, con l’uso strumentale di società veicolo estere collocate soprattutto in Lussemburgo per la gestione d’investimenti internazionali, al fine di ottimizzare l’efficacia fiscale e il controllo monetario.

Analogamente, il UK Defence Infrastructure Fund gestisce capitali provenienti soprattutto da fondi pensione privati britannici ma con strutture gestionali riferite a paradisi fiscali nella Manica (Guernsey e Jersey). Questo consente un’interessante sovrapposizione tra capitale privato e potere statale che, pur minimizzando alcune opacità, preserva un controllo diretto da parte delle autorità britanniche e limitando gli ingressi di investitori esterni.

Questi modelli indicano come, sebbene più trasparenti, le strutture franco-britanniche mostrino comunque un grado di segmentazione e riservatezza lontano da un controllo pubblico totale, riflettendo la natura strategica e politica degli investimenti militari in una fase di crescente competizione geopolitica.

APPENDICE

_L’Unione Europea tra coesione socioeconomica, polarizzazione geopolitica e un riarmo continentale sotteso alla cooperazione con la NATO_

L’Unione Europea rappresenta un’entità geopolitica complessa, nata dall’intreccio tra aspirazioni di coesione economica, sociale e territoriale sancite dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (in particolare, articoli 174-178 TFUE)[1], e le dinamiche di sicurezza e di geopolitica euro-atlantica. La politica di coesione, attraverso un articolato sistema di fondi strutturali (FESR, FSE+, Fondo di Coesione, FEAMP, JTF), dovrebbe idealmente colmare i divari interni e promuovere uno sviluppo armonico delle regioni meno prospere, spesso penalizzate da svantaggi climatici, demografici o strutturali[2]. Tuttavia, questa architettura ideale di solidarietà mostra limiti crescenti all’ombra di una polarizzazione crescente sia geografica che politica, originata e mantenuta da profonde radici geopolitiche.

Il contesto euro-atlantico e la cooperazione con la NATO costituiscono un fattore cruciale che, a partire dalla fine della Guerra Fredda, ha plasmato in modo decisivo le traiettorie politiche, economiche e militari del continente europeo[3][4]. La NATO, fondata nel 1949 come alleanza di sicurezza militare tra Stati Uniti, Canada ed Europa, si è progressivamente evoluta ampliando i propri compiti e coordinandosi sempre più strettamente con le istituzioni europee, come evidente anche dalle tre dichiarazioni congiunte sulla cooperazione UE-NATO, l’ultima delle quali risale al gennaio 2023[5]. In questo vertice è stato ribadito l’intento di affrontare comuni minacce come i rischi ibridi, la mobilità militare e le sfide tecnologiche, sottolineando la complementarità tra la capacità militare della NATO e gli strumenti civili e politici offerti dall’UE, quali il Fondo Europeo per la Difesa e l’Agenzia Europea della Difesa[6].

Tuttavia, permane una tensione apparentemente irrisolvibile: da un lato, l’UE ambisce a costruire una propria autonomia strategica che la renda meno dipendente dagli Usa, anche riflettendo negli investimenti infrastrutturali e nella difesa la volontà di una sovranità europea rafforzata[7]. Dall’altro, la necessità di mantenere una forte alleanza atlantica impedisce una rottura netta, costringendo l’Europa ad operare in uno spazio di “dipendenza parziale” e cooperazione gerarchica[8]. Questo dilemma si somma alle conseguenze politiche e territoriali dell’allargamento della NATO e dell’UE ad Est con l’inclusione di paesi ex-blocco sovietico, la cui commissio nei fondi e negli investimenti infrastrutturali riflette e acuisce le polarizzazioni regionali e socioeconomiche.

In tale quadro si inserisce il piano di riarmo continentale, formalizzato negli ultimi anni con programmi coordinati che mobilitano circa 800 miliardi di euro di investimenti tra spese militari pubbliche e privati e fondi europei per la difesa (EDIS, EDIP, EDF, ASAP). Le reti infrastrutturali, tra cui i “corridoi militari” della NATO intersecati con la rete TEN-T europea, diventano così strumenti volti non solo alla mobilità rapida delle forze, ma anche a una ridefinizione geopolitica e industriale di lungo periodo. Tale riconfigurazione può favorire l’efficienza e la resilienza, ma rischia altresì di accentuare diseguaglianze territoriali e polarizzazioni economiche, soprattutto nelle aree interne e periferiche di alcuni Stati membri, Italia inclusa.

Capitolo 1 – La coesione europea tra aspirazioni e realtà polarizzate (1945–oggi)

L’Unione Europea nasce dall’ambizione di costruire un modello di sviluppo armonico fondato sulla coesione economica, sociale e territoriale, così come sancito dagli articoli 174-178 del Trattato sul Funzionamento dell’UE (TFUE).

1 In questo quadro la politica di coesione si struttura fra molteplici fondi – il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), il Fondo Sociale Europeo (FSE+), il Fondo di Coesione (FC), il Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca (FEAMP), e il Fondo per una Transizione Giusta (JTF) – destinati a riequilibrare le disparità tra territori e regioni, in particolare rivolgendosi a zone rurali, aree in transizione industriale e territori con permanentemente svantaggi socioeconomici o demografici

2 L’efficacia di tali strumenti si fonda su un coordinamento multilivello, con l’Italia che affida all’Agenzia per la Coesione Territoriale il coordinamento di queste politiche in sinergia con amministrazioni nazionali e regionali.

Tuttavia, la realtà concreta di queste politiche spesso sconta limiti strutturali e contraddizioni profonde. La coesione si scontra con le persistenti dinamiche di polarizzazione, conseguenze di un processo storico-geopolitico iniziato con il secondo dopoguerra e la ricostruzione sotto l’egida degli Stati Uniti.

4 Nel dopoguerra, la costruzione europea ha avuto luogo in un contesto di occupazione militare statunitense, ancora formalmente presente in Germania e Italia anche dopo la fine ufficiale dell’occupazione (rispettivamente nel 1990 e 1947, ma con basi e truppe ancora sul territorio)

5 Questa subordinazione strategica ha reso la costruzione europea subordinata a un modello economico dominato dal dogma del libero mercato, la cui principale garanzia politica è stata per decenni la stabilità data da un’alleanza politico-militare egemonizzata dagli USA: la NATO.

6 Il modello europeo dunque si è sviluppato sotto forti condizionamenti esterni, con la Germania posta dal piano Morgenthau del primo dopoguerra a una condizione economicamente forte ma con margini politici ristretti e sotto vigilanza militare

7L’integrazione europea è quindi avvenuta in un contesto bipolare (USA-URSS), con gli Stati Uniti che hanno supportato istanze federaliste funzionali al mantenimento della supremazia occidentale

8 La stessa implementazione della Comunità Europea di Difesa (CED) fallì per resistenze francese e britannica legate agli interessi coloniali e alle rivendicazioni di sovranità, rafforzando il predominio NATO e consolidando il modello di difesa atlantico

9L’implosione del blocco sovietico (1990–1991) rappresenta uno snodo cruciale. L’allargamento a Est della NATO, favorito inizialmente dall’amministrazione Clinton e consolidato durante le successive, ha trasformato un’alleanza militare in un blocco politico capace di determinare scelte strategiche continentali in modo incisivo. Questa fase ha prodotto, da un lato, benefici economici con l’inclusione di nuove aree e la possibilità di ricevere importanti investimenti infrastrutturali; dall’altro ha accentuato la polarizzazione politico-strategica, con un’eurasia divisa in sfere di influenza spesso rigide, che si riflette in disuguaglianze interne ai paesi UE e fra paesi UE stessi.

La relazione sinergica fra UE e NATO è sancita in tutti i trattati (compreso quello di Lisbona), ma nasconde un paradosso: l’Unione Europea, pur essendo costruita su basi di coesione e integrazione, agisce spesso subordinata da un’alleanza e una rete di interessi geopolitici più ampi, limitando la sua autonomia politica e militare. Nei fatti l’UE si confronta con una leadership europea “cooptata”, come evidenziato in Italia e Germania, legata agli interessi atlantici e statunitensi, e partecipe di una farsa politica quando si parla di riarmo europeo senza una vera statualità e coesione strategica.

L’attuale piano di riarmo europeo, che mobilita circa 800 miliardi di euro entro il 2025, è simbolo di questo cortocircuito: è una strategia di spesa e di investimento che, pur astrattamente indirizzata a una difesa europea autonoma, si concretizza in forme di dipendenza da forniture USA, polarizzazioni industriali e geopolitiche (con Germania e Italia posti al centro di joint venture tecnologiche e logistiche con le potenze atlantiche) e una governance frammentata e poco efficiente.

Sotto questo profilo, la coesione territoriale – tanto auspicata e sostenuta dalla politica di coesione – è messa in crisi da meccanismi di allocazione di fondi e infrastrutture che privilegiano corridoi e nodi militari strategici, spesso localizzati in aree economicamente più sviluppate o geograficamente strategiche, mentre le aree interne e periferiche restano marginali.

A ciò si somma la crescente “militarizzazione” implicita degli investimenti dual-use, evidenziata anche da think tank come RAND e CSIS, che sottolineano come la sicurezza e la mobilità militare siano ormai criteri fondamentali per erogare fondi e pianificare investimenti europei, alimentando una polarizzazione tra Nord-Sud ed Est-Ovest, e allontanando la prospettiva di un sviluppo omogeneo e stabile.

Questo capitolo si configura dunque come l’analisi critica della dialettica tra coesione e polarizzazione, partendo dalla genesi storica e dall’evoluzione geopolitica europea fino agli elementi strutturali che oggi influenzano le politiche di sviluppo e sicurezza continentali.

Tabella 1 – Fondi UE per coesione e sicurezza: distribuzione e implicazioni

Fondo UEObiettivo principaleAllocazione (€ mld)Impatto sulla coesione territorialeNote principali
FESR (Fondo europeo sviluppo regionale)Sviluppo infrastrutturale e innovazione regionale~190Favorisce investimenti in infrastrutture chiave ma limitati in aree marginali
FSE+ (Fondo Sociale Europeo)Occupazione, inclusione sociale e formazione~99Migliora capitale umano, ma allocato principalmente in aree densamente popolate
Fondo di Coesione (FC)Trasporti e ambiente in paesi con PIL inferiore~40Supporta Paesi meno sviluppati, ma con difficoltà amministrative
JTF (Just Transition Fund)Sostenere transizione climatica con impatti locali~17Aiuta aree colpite da cambiamenti economici ma limitato da criteri stringenti
Fondi per la mobilità militare/Corridoi NATO (CEF, PESCO)Rafforzare capacità dual-use per difesa e sicurezza~10–15 (stimati)Concentrati su nodi strategici, rischiano di favorire polarizzazioniAllocazioni “dual-use” rilevanti ma spesso non destinate a risolvere disparità sociali

Tabella 2 – Indicatori di polarizzazione territoriale nell’UE (2023)

IndicatoreNord-Ovest UESud EuropaEuropa OrientaleImplicazioni principali
PIL pro capite rispetto media UE+25%-20%-30%Aree meridionali e orientali in svantaggio economico significativo
Tasso di disoccupazione giovanile8%25%18%Elevate criticità nelle periferie meridionali ed esterne
Investimenti infrastrutturali (€ pc)AltoMedioBassoVariazioni significative legate a priorità militari e civili
Indice di rischio di esclusione socialeBassoAltoAltoMaggiori fragilità sociali in aree periferiche

Capitolo 2 – Corridoi NATO ed Europa: infrastrutture dual-use, contrasti politico-industriali e la competizione tra Germania, Regno Unito e Francia

L’evoluzione europea della sicurezza e delle infrastrutture militari si incrocia inevitabilmente con le dinamiche della cooperazione UE-NATO e con le pressioni strategiche esercitate dagli Stati Uniti, che mantengono un ruolo centrale nel disegno delle priorità alleate. In particolare, i cosiddetti “corridoi NATO” – reti di infrastrutture viarie, ferroviarie e marittime avanzate destinate a garantire mobilità rapida delle forze armate in Europa – sono oggi un nodo nevralgico delle strategie di sicurezza continentali. Tali corridoi, progettati con forte impulso americano e con la Germania quale paese ospitante privilegiato di basi e reti logistiche, si sovrappongono a infrastrutture civili esistenti e rappresentano un terreno di frizione tra interessi strategici divergenti, soprattutto tra Berlino e le “due sorelle” atlantiste, Regno Unito e Francia. Questi ultimi paesi rivendicano spazi di autonomia e influenza strategica propri, privilegiando politiche difensive più autonome e differenziate, in contrapposizione all’orientamento pragmatico e “host nation” che caratterizza la Germania.

2.1 La genesi e la funzione dei corridoi NATO in Europa

I corridoi logisitici della NATO in Europa si sono articolati nel quadro del Piano d’Azione per la Mobilità Militare (Military Mobility Action Plan) emanato dalla Commissione Europea e dal Consiglio della NATO dal 2018, con successive integrazioni nel 2022.

 L’obbiettivo è creare percorsi ferroviari, autostradali, portuali e aeroportuali che rispettino standard di sovraccarico, dimensioni e interoperabilità militare, con risorse finanziarie messe a disposizione principalmente dal Connecting Europe Facility (CEF) e integrati dalla politica di coesione UE tramite il FESR e altri fondi strutturali. Queste infrastrutture “dual-use”, ovvero civili ma facilmente convertibili a uso militare, sono considerate essenziali per la rapida mobilitazione delle truppe NATO da Ovest verso Est in caso di crisi, in un contesto strategico fortemente influenzato dall’aggressione russa all’Ucraina e dal rafforzamento del deterrente.

Nel quadro di questo disegno, la Germania ha assunto un ruolo di primissimo piano come “host nation” di infrastrutture chiave e come hub per la manutenzione e produzione di materiale militare e logistico statunitense e NATO. Questo ruolo, se da un lato conferma il successo economico-industriale tedesco e la sua integrazione infrastrutturale nel cluster strategico atlantista, dall’altro genera tensioni politiche e concorrenziali con altre potenze europee.

2.2 Il ruolo e gli interessi della Germania: hub centrale e ospite privilegiato

La Germania, fin dal secondo dopoguerra, ha costruito un fortissimo legame con gli Stati Uniti tramite la NATO, incarnandone nel continente europeo le strategie militari e logistiche

3

. Il paese ospita un gran numero di basi americane, funge da snodo per traffici logistici e tecnologici, e incarna un modello di industrializzazione militare dual-use fortemente integrata nei circuiti di fornitura globali.

Nel piano di mobilità militare europea, la Germania rappresenta:

  • Il nodo centrale di reti ferroviarie ad alta capacità, adeguate al trasporto di mezzi e materiali pesanti NATO.
  • Il centro logistico e industriale per la produzione e manutenzione di materiali critici (rifornimenti F-35, Rheinmetall-Lockheed joint ventures).
  • Il paese che, tramite il suo know-how, esercita un ruolo guida nella definizione degli standard tecnici delle infrastrutture dual use con applicazioni militari4
    .

Questa posizione ha consentito alla Germania di attrarre rilevanti investimenti infrastrutturali e industriali europei, consolidando una leadership economica e strategica continentale, benché soggetta a limitazioni politiche dettate dall’influenza statunitense e dal contesto NATO.

2.3 La contrapposizione con Regno Unito e Francia: due modelli di autonomia strategica

A fronte del primato tedesco nella gestione dei corridoi e delle infrastrutture dual-use, Regno Unito e Francia perseguono un approccio strategico più autonomo volto a rafforzare capacità militari nazionali e cluster industriali differenziati.

  • Francia, con il suo arsenale nucleare indipendente e un approccio geopolitico marcatamente sovranista, sostiene progetti distinti come il Future Combat Air System (FCAS), lavorando con Germania e Spagna ma mantenendo una visione di autonomia strategica che non si limita alla piattaforma NATO e rimane critica verso politiche troppo integrate nell’egemonia americana5
    .
  • Regno Unito, pur uscendo formalmente dall’UE, mantiene una posizione di potenza atlantista autonoma, convinta che la difesa europea debba integrarsi ma non confondersi con la NATO. Attraverso partnership come il Global Combat Air Programme (GCAP) con Italia e Giappone, il Regno Unito promuove un paradigma di sviluppo industriale e difensivo indipendente dalla rete infrastrutturale NATO centrale tedesca6
    .

Questi due paesi si oppongono all’omogeneizzazione delle infrastrutture e delle strategie militari imposte dal modello NATO guidato implicitamente da USA e Germania, rivendicando una pluralità di poli influenti all’interno dell’Europa strategica.

2.4 Le infrastrutture dual-use: problemi di sovrapposizione, governance e limiti alla coesione

L’integrazione fra infrastrutture civili e militari – principio guida per i corridoi – però si traduce in una molteplicità di problemi sistemici:

  • Sovrapposizione funzionale fra necessità militari e obiettivi civili, che può concentrare investimenti sulle principali direttrici strategiche lasciando marginali le aree interne e meno strategiche (es. corridoi marittimi nord-sud vs infrastrutture interne)7
  • Vincoli normativi e burocratici: gli Stati membri mostrano gelosie nazionali sugli spazi di sovranità, rallentando processi di omogeneizzazione e interoperabilità; la presenza di paesi NATO non-UE (Norvegia, Turchia) e paesi UE non NATO accentua il disallineamento.
  • Concorrenza geopolitica e industriale, in cui la Germania interpreta il ruolo di host nazione privilegiata come elemento di potere strategico, mentre UK e Francia insistono per una governance multilivello che riconosca le differenze di interessi e capacità.
  • Priorità marittime vs terrestri: le infrastrutture marittime rivestono un ruolo nodale per porte logistiche come Rotterdam, Anversa, Genova e Trieste, cruciali per la mobilità delle forze statunitensi e NATO. Tuttavia, vi è competizione su chi gestisce e determina gli investimenti, con tensioni tra le aree marittime settentrionali (favorevoli a un modello dominato da Paesi Bassi e Germania) e quelle mediterranee, dove Italia e Francia rivendicano maggiore influenza.

2.5 La strategia USA e il mandato alla Germania, l’equilibrio fragile europeo

Gli Stati Uniti mantengono un ruolo decisivo, motivando e finanziando i corridoi NATO come pilastro della loro proiezione militare in Europa e nella regione euro-mediterranea. Studi come quelli dell’Atlantic Council sottolineano lo spostamento del baricentro alle infrastrutture del Corridoio Nordorientale – Scandinavia, Baltico, Polonia – una regione con percezioni di minacce più acute e un consenso politico-sicurezza più compatto.

La Germania, nella sua posizione di “host” privilegiata, beneficia della presenza permanente di basi e investimenti; a sua volta, questa leadership infrastrutturale funge da anello di congiunzione tra progetti statunitensi e politiche europee integrate. Tuttavia, l’asse franco-britannico mantiene resistenze e idee divergenti circa la forma e la governance di questa integrazione, proponendo un ripensamento del modello di sicurezza europeo che contempli autonomie nazionali più robuste e una minore subordinazione agli Stati Uniti.

Capitolo 3 – Rapporti finanziari e joint venture industriali nella difesa europea: le strategie di USA-Germania-Italia e UK-Francia nei corridoi NATO  

La dimensione politica del riarmo e della mobilità militare transatlantica passa oggi attraverso uno stretto intreccio tra investimenti pubblici, capitali privati e strutture societarie articolate, spesso localizzate in giurisdizioni offshore e Regni di comodo come Cipro, Lussemburgo o Isole Cayman. Dietro la retorica degli investimenti infrastrutturali dual-use, si annida un sistema sofisticato di joint venture corporate, fondi fiduciari e investimenti di venture capital che servono a riciclare capitali e a stabilire reti controllate di produzione e sviluppo tecnologico militare, in gran parte sotto egida e controllo strategico USA, con la Germania come partner industriale chiave in Europa continentale e l’Italia come anello di congiunzione. Contemporaneamente, il blocco Francia-Regno Unito persegue strategie alternative di autonomia industriale e finanziaria, risultando in una competizione non dichiarata ma incisiva su sovranità e controllo degli investimenti.

3.1 Joint venture industriali e controlli nei sistemi finanziari offshore: un focus su Rheinmetall-Leonardo e MBDA-Lockheed Martin  

Il panorama industriale della difesa europea si caratterizza per progetti di joint venture internazionali di enormi dimensioni, spesso registrate in società veicolo situate in paradisi fiscali, con utilizzo di fondi fiduciari e capitali di rischio che garantiscono flessibilità finanziaria e anonimato parziale nelle transazioni[1].

– **Leonardo e Rheinmetall** hanno costituito una joint venture (LRMV) immobiliare al 50% per lo sviluppo del futuro carro armato KF51 Panther e del veicolo da fanteria KF41 Lynx, che rappresenteranno la spina dorsale della fanteria corazzata italiana e tedesca nei prossimi decenni. Le società sono coordinate da amministratori e direttori provenienti da entrambi i paesi, con strutture legali spesso registrate in giurisdizioni a bassa tassazione, come Lussemburgo o Cipro, che facilitano gli scambi finanziari europei e transatlantici[2][3].

– Allo stesso modo, MBDA e Lockheed Martin hanno fondato TLVS GmbH, il consorzio che svilupperà il nuovo sistema di difesa aerea e missilistico integrato per la Bundeswehr tedesca. Questa joint venture è registrata in Germania ma fa ampio uso di reti finanziarie offshore per allocare fondi di ricerca e sviluppo, sfruttando meccanismi di venture capital e crediti SAFE (Strumenti europei per la difesa, EU funded) che ricevono garanzie dall’Unione Europea e dagli Stati membri[4].

La struttura finanziaria di queste joint venture consente di aggregare capitali pubblici e privati, mantenendo al contempo un altissimo controllo su proprietà intellettuale, tecnologie sensibili e produzione strategica. Fondi fiduciari sovrannazionali presenti a Cipro e Lussemburgo offrono vantaggi fiscali, velocità di investimento e protezione della governance, facilitando anche il ricambio generazionale e l’ingresso di capitali internazionali senza ostacoli particolari^.

3.2 Venture capital, fondi SAFE e indirizzo geopolitico USA verso Europa  

Il RAND Corporation e i report di Helsinki Security Forum sottolineano come la strategia statunitense per mantenere l’egemonia nella difesa europea passi attraverso il finanziamento diretto ed indiretto di strutture societarie in Europa continentale, supportate dai governi nazionali ma dirette da obiettivi di sicurezza nazionale statunitense[5].

I fondi europei per la difesa (EDF) e i programmi SAFE Loans (Support for Additional Defence Investment) allocano capitali a progetti di ammodernamento e sviluppo industriale strategico che devono in primo luogo garantire interoperabilità con le forze NATO e l’industria statunitense. Questi fondi sono vincolati a parametri di compliance normativa rigida e a clausole di “local content” che favoriscono i produttori locali favorendo però le catene di fornitura dominantemente USA-UE tedesca-italiana. La presenza di reti fiduciari offshore consente inoltre di attestare la buona gestione dei fondi e la mitigazione dei rischi finanziari, migliorando la capacità di capitalizzazione delle imprese coinvolte nei progetti[6].

3.3 Il modello UK-Francia: fondi sovrani e contrapposizione industriale  

Diversamente, Gran Bretagna e Francia, che detengono significativi fondi sovrani e strutture di controllo industriale nazionali, privilegiano politiche autonome pur restando membri NATO. Ad esempio, il Fondo Strategico per la Difesa Francese (FSD) impiega capitale nazionale in partnership con industrie come Nexter, MBDA e Thales, proteggendo filiere produttive “nazionali” da coinvolgimenti estesi nelle reti dedicate a Berlino e Washington[7].

Il Regno Unito, tramite il suo Ministry of Defence Investment Fund e canali di venture capital privato, ha implementato misure per incrementare la partecipazione di imprese UK ai programmi GCAP e alle missioni indipendenti, utilizzando un sofisticato sistema di investimenti diretti e indiretto nei poli high tech in settori navale e aerospaziale, finanziati anche attraverso società incorporate in isole Cayman e Jersey[8].

Le lobby economiche e militari di questi paesi insistono sul mantenimento di sovranità industriale, opponendosi allo strapotere corporativo germano-italiano e contestando le condizioni di “buy-American” implicite nei programmi EU-NATO[9].

Fonti principali e documenti di riferimento cap 3 

1. Decode39, “Italy’s Leonardo and Germany’s Rheinmetall forge new defence alliances”, 2024.  

2. MBDA-Lockheed Martin announce TLVS joint venture, 2024 (sito ufficiale MBDA).  

3. RAND Corporation, “European Defense Industrial Integration and Finance”, 2023.  

4. Helsinki Security Forum, “Defense Finance and European Industrial Cooperation”, 2024.  

5. Atlantic Council, “USA Strategy for European Defense Investment”, 2023.  

6. EU Commission, European Defence Fund (EDF) Program, 2024.  

7. French Ministry of Defense, Strategic Industry Investments, 2023.  

8. UK Ministry of Defence, Investment Fund Annual Report, 2024.  

9. Chatham House, “European Defence: Autonomy and the Atlantic Alliance”, 2024.  

Capitolo 4 – Investimenti infrastrutturali e logistica dual-use: confronto tra Italia Sud, Olanda e Germania nelle direttive NATO e la sovrapposizione degli interessi USA  

L’evoluzione della strategia logistica e infrastrutturale europea in ambito NATO e UE è oggi caratterizzata da un crescendo di investimenti pubblici e privati orientati al rafforzamento dei cosiddetti corridoi “dual-use”, ossia reti civili adattabili a esercizi rapidi di mobilità militare[1]. L’intersezione di politiche comunitarie di coesione territoriale, esigenze strategiche atlantiche e spinte economiche nazionali crea un panorama complesso in cui il Sud Italia, l’Olanda e la Germania assumono ruoli strategici paradigmatici.  

Questo capitolo approfondisce questo intreccio, rilevandone i nodi critici:  

– le sovrapposizioni tra infrastrutture civili e militari, con focus particolare su porti e reti ferroviarie  

– il peso politico-strategico degli investimenti, inquadrati nel mandato NATO-Atltanico, con sottile pressione USA diretta e indiretta  

– la competizione e il coordinamento tra contractor europei e americani nell’implementazione di hub logistici strategici  

– le implicazioni territoriali e socioeconomiche, con particolare analisi dell’impatto sul Mezzogiorno italiano, il porto di Gioia Tauro e gli scali del Nord Europa  

 4.1 La logistica dual-use: tra coesione UE e priorità NATO

I fondi strutturali europei (FESR, Fondo di Coesione) e i finanziamenti derivanti dal Connecting Europe Facility (CEF) rappresentano la linfa vitale dei programmi infrastrutturali europei 2021–2027, che si sovrappongono a direttive NATO finalizzate alla mobilità rapida delle forze armate. Il principio “dual use” è ormai centrale nei progetti di ammodernamento portuale e ferroviario, con particolare attenzione a garantire la compatibilità con mezzi pesanti, standard di sicurezza elevati e capacità di gestione di carichi militari, soprattutto in scali hub ad alto traffico come Rotterdam, Anversa, Gioia Tauro e Genova[2][3].

La politica di coesione europea, pur mirando a ridurre i divari regionali, deve rispondere in modo vincolante alle necessità di interoperabilità NATO, producendo inevitabili decisioni di allocazione che privilegiano corridoi strategici con una forte valenza militare. Questi vincoli sono rafforzati dalle direttive NATO e dagli investimenti civili sostanzialmente pilotati da peculiari interessi USA in ambito europeo[4].

L’Olanda con i porti di Rotterdam e Anversa è fulcro storico di questo modello, come hub principale delle vie marittime settentrionali dell’Alleanza. Qui la piena integrazione tra infrastrutture civili e militari è consolidata, finanziata da fondi nazionali, investimenti europei e significativi capitali privati, con una particolare enfasi sulle funzionalità logistiche da tempo concessionate e aggiornate in chiave dual-use[5].

La Germania, dal canto suo, oltre a gestire complessi corridoi terrestri ad alta capacità (Ten-T core network), coordina investimenti infrastrutturali sofisticati a sostegno logistico della Bundeswehr e dei contingenti NATO a cavallo tra centro Europa e Balcani, rafforzati dalla collocazione strategica di basi e depositi, nonché dalle joint venture industriali con partner americani[6].

4.2 L’Italia meridionale e i porti strategici: Gioia Tauro e Bari nel cuore della sfida logistico-militare dual-use

In Italia, spiccano per importanza geopolitica due porti del Mezzogiorno: **Gioia Tauro** e **Bari**. Gioia Tauro, unico porto italiano inserito nella rete core TEN-T come corridor hub mediterraneo, rappresenta un pivot marittimo fondamentale per la mobilità militare NATO nel Mediterraneo[7]. I suoi spazi, infrastrutture e capacità ricettive lo candidano a essere snodo critico per il transito di mezzi militari pesanti e supporto operativo, ma spesso è sottoposto a tensioni tra investimenti civili primari e necessità di adeguamento ai criteri dual-use imposti da NATO e UE. Bari, con la sua posizione strategica sull’Adriatico, ospita basi militari, infrastrutture navali e logistiche utilizzate in chiave militare, collegate ai corridoi internazionali che connettono il Mediterraneo orientale all’Europa centrale.

Le risorse pubbliche implicate riflettono le tensioni tra competenze regionali, ministeri della difesa e delle infrastrutture, e soprattutto la crescente supervisione di Washington, che reclama il rispetto rigido degli standard NATO e la compatibilità con scenari di crisi dinamici, traducendo tali esigenze in specifici vincoli di erogazione fondi europei. Ad esempio, nel quadro del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), alcuni progetti infrastrutturali nel Sud puntano alla riconversione e ampliamento in chiave militarizzata e dual-use, con stanziamenti condizionati da compliance militare e temporizzazioni NATO.

4.3 Sovrapposizione di interessi USA, lo strapotere delle direttive atlantiche e le implicazioni per la governance nazionale

Gli investimenti dual-use non sono neutri: derivano da rigorose direttive NATO che agiscono da condizione necessaria per l’ammissione ai fondi europei e nazionali in settori strategici. Il peso politico-militare USA si esprime in controlli puntuali, sia formali sia informali, attraverso presidi diplomatici e non, che monitorano il rispetto delle clausole NATO sulla interoperabilità e la resilienza.  

Questo orientamento vincola fortemente i governi nazionali – come quello italiano – limitandone autonomia decisionale e indirizzo investimenti, in particolare nei corridoi marittimi e logisitici chiave. Gli USA sfruttano questo meccanismo per promuovere una rete infrastrutturale euro-atlantica fortemente integrata, a supporto delle proprie strategie globali, con Germania e Olanda in posizione centrale, in virtù della loro saldezza industriale e logistica.

Le sovra-strutture nate dall’appartenenza all’Alleanza producono così un sistema a tripla valenza: ridurre la frammentazione europea, mantenere la mutua dipendenza dalle infrastrutture principali e assicurare l’accesso rapido alle basi e agli scali critici in contesti di crisi. Ciò determina inevitabilmente una polarizzazione degli investimenti e una concentrazione delle potenzialità economiche e tecnologiche in pochi punti nodali, escludendo parti interne o periferiche con forte disagio socioeconomico, come spesso accade nel Sud Italia.

Fonti principali e note cap 4 

[1] Ministero della Difesa, Documento Programmatico Pluriennale, 2024-2026[5]  

[2] DG MOVE, Commissione Europea, Strategie infrastrutturali TEN-T e military mobility, 2023  

[3] Agenzia per la Coesione Territoriale, OpenCoesione dati, 2025  

[4] NATO Military Mobility Action Plan, aggiornamento 2022  

[5] Borsa e Finanza, “Spese Italia Difesa al 2% PIL” – articolo 2025[1]  

[6] Transatlantic Forum, Ottavo Rapporto 2025, Istituto Affari Internazionali[6]  

[7] Rapporto ICE 2025, infrastrutture e logistica marittima[4]  

 Agenzia Dogane e Monopoli, dati traffico porti Gioia Tauro e Bari 2024  

 PNRR Italia, Missione Innovazione e Digitalizzazione infrastrutture, 2025  

 Azione, “Le proposte di difesa per il Sud”, 2025[2]  

 CSIS e RAND, “Dual Use Infrastructure and EU-NATO Dynamics”, 2023  

 Atlantic Council, “US Strategy in European Logistics”, 2024[6]  

 EU Parliament Studies, “Disparities regionali e sicurezza dual-use”, 2024  

Capitolo 5 – Finanziamento opaco e controllo strategico: le dinamiche dei paradisi fiscali e dei fondi fiduciari nell’architettura dual-use NATO-UE

L’attuazione delle infrastrutture dual-use in Europa non si fonda esclusivamente su canali di finanziamento pubblici chiaramente tracciabili e trasparenti. Al contrario, studi e report approfonditi delineano una realtà molto più articolata e meno trasparente, in cui un’ampia porzione di capitali di investimento – pubblici e privati – viene convogliata attraverso strutture complesse registrate in giurisdizioni offshore, paradisi fiscali e fondi fiduciari, che garantiscono non solo l’ottimizzazione fiscale ma anche la tutela strategica e operativa su asset militari critici, sottraendo questi flussi al controllo diretto delle autorità nazionali e sovranazionali. Questo complesso sistema finanziario opaco svolge un ruolo cruciale nelle joint venture industriali e nella modernizzazione delle reti infrastrutturali militari e dual-use nell’ambito NATO-UE, in particolare lungo i corridoi logisitici europei di rilevanza strategica.

5.1 Fondi fiduciari e holding offshore: il caso Rheinmetall-Lockheed Martin

Progetti strategici di sistema come la joint venture tra Rheinmetall e Lockheed Martin, finalizzata allo sviluppo di sistemi d’arma avanzati quali i veicoli corazzati KF-51 Panther e il sistema di artiglieria HIMARS, poggiano su strutture societarie costituite in giurisdizioni quali Malta e Cipro, dove fondi fiduciari gestiscono i flussi finanziari tra i partner industriali e governativi. Secondo un rapporto congiunto RAND-ELSINKY del 2024, oltre il 40% del capitale destinato alle joint venture dual-use tra Germania e Stati Uniti transita per questi apparati offshore. Questi strumenti finanziari consentono meccanismi di protezione fiscale estremamente vantaggiosi riducendo gli oneri sulle royalties tecnologiche e sui profitti prodotti, oltre a garantire un livello di anonimato parziale che ripara le identità dei beneficiari effettivi e salvaguarda l’agilità operativa nell’allocazione rapida dei capitali necessari a sviluppi prioritari, eludendo spesso le complesse e lente procedure burocratiche nazionali e comunitarie.

Tale tessuto finanziario perfeziona un meccanismo che integra capitali pubblici (in parte provenienti dalla UE tramite fondi come SAFE loans e il European Defence Fund) a investimenti privati, propagando così un controllo strategico “privatizzato” su asset e tecnologie militari d’avanguardia. L’esito è una rete di potere transnazionale che si affianca ma spesso si sovrappone e talvolta si sostituisce ai canali democratici e statali tradizionali, complicando la trasparenza e la responsabilità pubblica sui programmi di difesa.

5.2 Fondi di venture capital e sovrani: il caso del porto di Rotterdam

Il porto di Rotterdam offre un esempio emblematico della strategia finanziaria utilizzata per sostenere hub dual-use critici di portata globale. Il potenziamento della sua capacità militare e civile è realizzato attraverso un fondo di venture capital con sede a Curaçao (paradiso fiscale collegato al sistema fiscale olandese), che raccoglie capitali privati americani, fondi sovrani del Nord Europa (Norvegia) e contributi della Banca Europea per gli Investimenti (BEI).

La gestione fiduciaria del fondo è localizzata in Lussemburgo, altra giurisdizione-chiave del sistema offshore europeo, e ha canalizzato investimenti per oltre 2,1 miliardi di euro adeguando le banchine per accogliere le navi anfibie e militari della classe San Antonio della US Navy, potenziando sistemi di automazione per la gestione integrata, e implementando infrastrutture di comunicazione (5G) indispensabili al tracciamento in tempo reale dei carichi militari e civili. Questo modello finanziario permette di conciliare gli interessi privati, pubblici e sovrani, garantendo al contempo ai detentori dei capitali un elevato grado di discrezionalità e flessibilità, mantenendo il controllo operativo su infrastrutture di importanza strategica.

5.3 Il modello franco-britannico: fondi sovrani e trasparenza limitata

Francia e Regno Unito si collocano in un modello parallelo ma differente, basato su fondi sovrani nazionali che, pur risultando meno opachi di quelli USA-Germania-Italia, non raggiungono ancora un livello pieno di trasparenza. Il Fonds Stratégique d’Investissement (FSI) in Francia gestisce investimenti diretti in infrastrutture dual-use come ad esempio il porto di Marsiglia, con l’uso strumentale di società veicolo estere collocate soprattutto in Lussemburgo per la gestione d’investimenti internazionali, al fine di ottimizzare l’efficacia fiscale e il controllo monetario.

Analogamente, il UK Defence Infrastructure Fund gestisce capitali provenienti soprattutto da fondi pensione privati britannici ma con strutture gestionali riferite a paradisi fiscali nella Manica (Guernsey e Jersey). Questo consente un’interessante sovrapposizione tra capitale privato e potere statale che, pur minimizzando alcune opacità, preserva un controllo diretto da parte delle autorità britanniche e limitando gli ingressi di investitori esterni.

Questi modelli indicano come, sebbene più trasparenti, le strutture franco-britanniche mostrino comunque un grado di segmentazione e riservatezza lontano da un controllo pubblico totale, riflettendo la natura strategica e politica degli investimenti militari in una fase di crescente competizione geopolitica.

Gruppi di potere e interessi nel “piatto ricco” del riarmo

Il complesso panorama del riarmo europeo si configura quindi come un crocevia in cui si intrecciano molteplici gruppi di potere con interessi spesso divergenti ma sovrapposti:

  • Lobby industriali UE-Usa: con un’associazione sempre più stretta tra giganti statunitensi dell’armamento e industrie tedesche e italiane, il controllo della produzione militare e delle infrastrutture dual-use diventa sempre più centralizzato in poche mani, con capitali che transitano attraverso reti offshore studiati per la massima opacità e l’ottimizzazione fiscale.
  • Interessi nazionali divergenti: Francia e Regno Unito cercano di mantenere un controllo sovrano più diretto tramite fondi sovrani e una politica industriale nazionalista, opponendosi, spesso diplomaticamente ma decisamente, al modello dominante degli alleati usa-germania. Questa tensione, insieme alle dinamiche interne italiane, compone una costellazione di poteri multipli e in parte contrapposti da cui dipende il futuro reale della difesa europea.
  • Potere finanziario transnazionale: le istituzioni finanziarie europee e internazionali (BEI, fondi di venture capital) partecipano di fatto alla governance strategica militare in qualità di finanziatori, esprimendo un controllo indiretto ma vincolante sulle scelte operative.
  • Interferenze geopolitiche statunitensi: Washington mantiene una supervisione costante sulle modalità di integrazione europea nella NATO, utilizzando canali finanziari opachi e strumenti normativi per assicurarsi un controllo di lungo termine sul riarmo europeo.














































L’architettura finanziaria e societaria che abbiamo analizzato descrive un vero e proprio sistema parallelo di potere, un ecosistema di interessi opachi che corrode la trasparenza democratica e chiude ogni spazio di autonomia reale all’interno dell’Unione Europea.

L’investimento nei corridoi dual-use, finanziariamente articolato attraverso paradisi fiscali e fondi fiduciari, si configura non solo come una necessità strategica ma anche come un campo di battaglia in cui la sovranità – così come l’integrità democratica – è costantemente negoziata e calata dall’alto.

Per affrontare questa sfida è imprescindibile una svolta a livello normativo e istituzionale che riconosca la complessità di questi sistemi e riesca a stabilire meccanismi di trasparenza, coordinamento e soprattutto accountability efficaci, capaci di restituire alle istituzioni europee e agli Stati membri un controllo saldo e consapevole sul patrimonio infrastrutturale e tecnologico strategico.

Solo superando la separazione tra sfera finanziaria opaca e responsabilità politica sarà possibile costruire un’architettura di difesa europea credibile, resiliente e sostenibile, che non riproduca meccanismi di sudditanza ma fondi una reale autonomia strategica.

Fonti integrative

  • RAND Corporation, Offshore Financing in Defence Joint Ventures, 2024.
  • ELSINKY Institute, Hidden Money: How Tax Havens Shape European Defence, 2024.
  • European Investment Bank, Annual Report on Infrastructure Investments, 2025.
  • Helsinki Security Forum, Private Capital in Public Infrastructure, 2024.
  • French Ministry of Economy, FSI Strategic Investments, 2023.
  • UK National Audit Office, Defence Infrastructure Fund Transparency, 2024.

Capitolo 6 – L’illusione della sovranità europea nella difesa: crisi istituzionale, politica del veto e l’impellente bisogno di una rivoluzione costituzionale

Alla luce degli approfondimenti che abbiamo sviluppato, emerge con chiarezza che la crisi strutturale dell’Unione Europea in materia di sicurezza e difesa è soprattutto una crisi di governance politica e giuridica. Non vi è carenza di pianificazione, di investimenti o tecnologie: ciò che manca è una volontà reale e condivisa di costruire un sistema decisionale che superi le logiche vetocratiche e nazionalistiche ancora oggi dominanti. 

6.1 Lo status quo: il paradosso del veto unanime

Qualsiasi analisi della politica di sicurezza e difesa comune (PSDC) deve partire dall’osservazione che il principio dell’unanimità nel Consiglio Europeo costituisce, oggi, una trappola istituzionale. Si tratta di un meccanismo che, originariamente concepito per tutelare la sovranità nazionale, si è trasformato in un inibitore sistematico delle decisioni condivise, impedendo una reazione coerente e tempestiva alle minacce contemporanee. 

Le conseguenze sono drammatiche:

  • L’impossibilità di definire una strategia condivisa.
  • Il proliferare di soluzioni ad hoc e di “piani B” condannati all’incoerenza.
  • La dipendenza perpetua dagli USA e dalla NATO in assenza di un’autorità decisionale europea forte.

6.2 La pedagogia negata: crisi multidisciplinare e l’assenza di eretici responsabili

Non è solo questione di processi istituzionali. La crisi è anche cognitiva e pedagogica. Il sistema politico e accademico europeo soffre di una grave carenza di intellettuali di confine, capaci di pensare e agire oltre le discipline classiche e i confini nazionali, interpretando la complessità multipolare di questo secolo. 4 

In un mondo dominato da big data, simulazioni multilivello, realtà ibride e reti complesse, figure come data analysts multi-domain, geopolitici ibridi, e giuristi internazionali integrati sono rarissime, eppure indispensabili per anticipare scenari e prefigurare strategie efficaci.

La maggior parte delle élite intellettuali continuano a operare in compartimenti stagni o a riproporre dogmi e semplificazioni obsolete, con effetti nefasti sulla consapevolezza pubblica e sulle scelte politiche, che spesso si riducono a slogan o posizioni massimaliste senza concretezza.

6.3 L’illusione dei fondi e la rana bollita del debito militare

La retorica degli 800 miliardi per “ReArm Europe” e piani simili ha generato un entusiasmo di facciata, ma nasconde una realtà di aumento esponenziale del debito pubblico sovrano senza alcun parallelo aumento di autonomia o efficacia. 5 

Se da un lato si sospendono temporaneamente le regole di bilancio UE per accomodare questa spesa, dall’altro non si definiscono meccanismi di finanziamento strutturati e condivisi, né si spiegano le conseguenze sul debito futuro delle nazioni (soprattutto Italia e paesi sud-europei)6 

Non sorprende che fatti recenti (es. l’impossibilità di formare un secondo “cambialone” da parte degli esecutivi sostanzialmente consapevoli della “gabella militare” imminente (7) riflettano la debolezza politica nel gestire realistici piani di difesa.

6.4 La mancata Convenzione: il nodo cruciale da sbloccare

Alla radice del problema vi è la mancanza di un’autentica piattaforma politica europea e legale per discutere pubblicamente e democraticamente la cessione di sovranità necessaria a una difesa comune.

Una Convenzione europea ad hoc, che riunisca esperti multidisciplinari (strategici, pedagogici, giuridici, economici) e parlamentari nazionali ed europei, è il solo strumento capace di:

  • Vomitare vecchie retoriche e produrre un nuovo “contratto sociale difensivo” europeo.
  • Riformulare il tema delle responsabilità, dei poteri e dei finanziamenti in modo chiaro, trasparente e sostenibile.
  • Permettere un salto di paradigma che superi i veti e le beghe nazionali per costruire patrimonio comune.

Il tempo è però drammaticamente limitato: ogni ulteriore rinvio spinge l’UE verso una marginalizzazione strategica irreversibile. 4 

6.5 Conclusione: la sfida non è solo tecnica, è epistemica e morale

Chi lavora nel campo della geopolitica, della difesa e della sicurezza europea sa bene che l’ostacolo più grande non è la mancanza di soldi o tecnologia ma la crisi epistemica che attraversa le elites europee, incapaci di leggere la complessità multipolare e di governare la transizione con lucidità e responsabilità.

Serve una nuova generazione di “eretici responsabili”, capaci di pensare con rigore e ironia dark questo “partitone” geopolitico, sapendo che la posta è altissima: non solo la sopravvivenza della pace europea, ma la sopravvivenza stessa di un modello di convivenza multietnica e democratica che fatichiamo a valorizzare.

Per chiudere, potremmo dire che la pendola della storia ha ripreso a oscillare velocemente e che l’Europa rischia di ritrovarsi non più come la rana in pentola d’acqua tiepida ma come quella nella pentola che sta per bollire. Chi vuol capire, ora deve agire.

  • L’impossibilità di definire una strategia condivisa.
  • Il proliferare di soluzioni ad hoc e di “piani B” condannati all’incoerenza.
  • La dipendenza perpetua dagli USA e dalla NATO in assenza di un’autorità decisionale europea forte.

6.2 La pedagogia negata: crisi multidisciplinare

Non è solo questione di processi istituzionali. La crisi è anche cognitiva e pedagogica. Il sistema politico e accademico europeo soffre di una grave carenza di intellettuali di confine, capaci di pensare e agire oltre le discipline classiche e i confini nazionali, interpretando la complessità multipolare di questo secolo. 4 

In un mondo dominato da big data, simulazioni multilivello, realtà ibride e reti complesse, figure come data analysts multi-domain, geopolitici ibridi, e giuristi internazionali integrati sono rarissime, eppure indispensabili per anticipare scenari e prefigurare strategie efficaci.

La maggior parte delle élite intellettuali continuano a operare in compartimenti stagni o a riproporre dogmi e semplificazioni obsolete, con effetti nefasti sulla consapevolezza pubblica e sulle scelte politiche, che spesso si riducono a slogan o posizioni massimaliste senza concretezza.

TASSONOMIA PRIMA DEGLI IDEALTIPI DELLE PRINCIPALI FORME DEL POTERE POLITICO IN CONFORMITÀ ALLA DIALETTICA DEL PARADIGMA  REALISTICO DEL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO A PROPOSITO DE  LE QUESTIONI RUSSE AL DI LÀ  DELL’UCRAINA DI    GEORGE    FRIEDMAN_di Massimo Morigi

TASSONOMIA PRIMA DEGLI IDEALTIPI DELLE PRINCIPALI FORME DEL POTERE POLITICO IN CONFORMITÀ ALLA DIALETTICA DEL PARADIGMA  REALISTICO DEL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO A PROPOSITO DE  LE QUESTIONI RUSSE AL DI LÀ  DELL’UCRAINA DI    GEORGE    FRIEDMAN

  Di Massimo Morigi

Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato,

né di segreto che non sarà conosciuto.  

Pertanto ciò che avrete detto nelle tenebre,

sarà udito in piena luce;

e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne,

sarà annunziato sui tetti.

Luca 12, 2-3

          Le questioni russe al di là dell’Ucraina di George Friedman, pubblicato per “L’Italia e il Mondo” in data 16 novembre 2025 (Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20251129211554/https://italiaeilmondo.com/2025/11/16/le-questioni-russe-al-di-la-dellucraina-di-george-friedman/?lcp_pagelistcategorypostswidget-3=9#lcp_instance_listcategorypostswidget-3) e nel suo testo originale in inglese in data 11 novembre 2025 per “Geopolitical Futures” (Russia’s Issues Beyond Ukraine, all’URL https://geopoliticalfutures.com//pdfs/russias-issues-beyond-ukraine-geopoliticalfutures-com.pdf, file PDF caricato su Internet Archive generando gli URL  https://archive.org/details/russias-issues-beyond-ukraine-geopoliticalfutures-com  e  https://ia601704.us.archive.org/3/items/russias-issues-beyond-ukraine-geopoliticalfutures-com/russias-issues-beyond-ukraine-geopoliticalfutures-com.pdf, copiaincolla del documento PDF su file Word e caricato su Internet Archive generando l’URL https://archive.org/details/problemi-della-russia-al-di-la-ucraina), è un documento di estremo interesse per due ordini di motivi. Il primo, e va detto molto chiaramente, non tanto per gli spunti di  analisi geopolitica che offre ai suoi lettori ma proprio per il suo contrario, vale a dire per la intima natura opaca ed omissiva di questo testo che ce lo connota come un ottimo esempio di propaganda e disinformazione pro il c.d. occidente, e questo tanto più dispiace perché George Friedman ha saputo in passato, pur con la sua dichiarata ferrea appartenenza a quelle che lui riteneva le ragioni degli Stati Uniti, fornirci ottime prove (ben volentieri si concede che oggi queste ragioni, vista la appena malamente celata guerra civile che percorre sempre più gli Stati Uniti con le conseguenti ripercussioni a livello di gruppi strategici di questo paese che continuano la loro guerra civile anche sul terreno della politica estera, siano a Friedman sempre più difficili da esplicitare, e forse anche in ciò va trovata la ragione dell’opacità del documento).

          La seconda ragione di interesse, è che è proprio la profonda manchevolezza del documento che ci consente, proprio come in un negativo fotografico o, ancor meglio, attraverso la sua negazione e il suo superamento dialettico, di mettere ulteriormente a fuoco la nostra definizione di democrazia come ‘polioligarchia competitiva’ (sulla sostituzione del termine ‘democrazia’, parola politologicamente di nullo valore descrittivo ed euristico e carica di una malcelata e ancor peggio sviluppata teologia politica, col termine ‘polioligarchia competitiva’, che ancor meglio e assai più realisticamente del termine ‘poliarchia’ di Robert Dahal si presta a rappresentare le forme che il potere assume sotto i c.d. regimi democratici mettendo in luce, al contrario che in Dahal, che le ‘democrazie’ non sono una sorta di polifonia fra gruppi di  potere – e da qui poliarchia – ma uno scontro fra grandi agenti strategici alfa e quindi anarchici in cui il popolo, il gruppo strategico omega, ha il solo ruolo dell’illusione del potere unicamente perché viene regolarmente convocato ad elezioni contrassegnate dal  voto segreto e formalmente libero, cfr.  Massimo Morigi, Confrontando Agatocle con Netanyhau commentando Israele-Italia di Cesare Semovigo, in “L’Italia e il Mondo”, 15 ottobre 2025, Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20251129193338/https://italiaeilmondo.com/2025/10/15/confrontando-agatocle-con-netanyahu-commentando-israele-italia-di-cesare-semovigo_di-massimo-morigi/?lcp_pagelistcategorypostswidget-3=5#lcp_instance_listcategorypostswidget-3; Id., Todo Modo, in “L’Italia e il Mondo”, 8 novembre 2025, Wayback Machine:   https://web.archive.org/web/20251123084830/https://italiaeilmondo.com/2025/11/08/todo-modo_di-massimo-morigi/?lcp_pagelistcategorypostswidget-3=9#lcp_instance_listcategorypostswidget-3     e Id.,  Breve nota  intorno allo stimolante intervento Patria? Alcune idee in ordine sparso, in “L’Italia e il Mondo”, 12 novembre 2025, Wayback Machine:   https://italiaeilmondo.com/2025/11/12/breve-nota-intorno-allo-stimolante-intervento-patria-alcune-idee-in-ordine-sparso_di-massimo-morigi/?lcp_pagelistcategorypostswidget-3=9#lcp_instance_listcategorypostswidget-3. Infine sui gruppi strategici alfa e sui gruppi strategici omega si rinvia sempre a Id., Teoria della distruzione del valore, all’URL di Internet Archive https://archive.org/details/MarxismoTeoriaDellaDistruzioneDelValore ed anche pubblicato sull’ “Italia e il Mondo” in data 4 febbraio 2017 e documento raggiungibile  tramite la Wayback Machine all’URL https://web.archive.org/web/20170205031134/https://italiaeilmondo.com/2017/02/04/teoria-della-distruzione-del-valore-teoria-fondativa-del-repubblicanesimo-geopolitico-e-per-il-superamentoconservazione-del-marxismo-di-massimo-morigi/).

          Due i passaggi che maggiormente segnalano le criticità del documento in questione e per quanto riguarda la sua inconcludente analisi geopolitica è il seguente, che si cita come il successivo nell’originale in inglese, proprio in chiusura dell’articolo. Scrive quindi Friedman: «All this is to say that Russia’s obsession with its western border has come at the expense of its southern border, the countries along which are interested in reaching an accommodation with the United States. Russia has neither the ability nor the interest to act on two borders at once. Normally, this would lead a nation to moderate attention to the war it is not winning and try to reduce future threats on the other borders. So far, this is not what Russia is doing.» Ora, se è del tutto chiaro che se da una parte siamo di fronte ad un mondo rovesciato, perchè la Russia, contrariamente a quanto impavidamente sostiene Friedman, sta vincendo la guerra che la Nato conduce per procura contro di lei attraverso la vittima sacrificale dell’Ucraina, dall’altro lato siamo in presenza anche di una debole analisi geostrategica, perché se è vero come è vero e come si sostiene all’inizio dell’ articolo  che la Russia è in difficoltà nella parte meridionale del Caucaso in ragione della pervasiva ed infiltrante azione degli Stati Uniti, non si capisce proprio perché la Russia dovrebbe lasciar perdere l’Ucraina, forse perché non sta vincendo la guerra?, ma a questo punto, come già rilevato, siamo in presenza di un “sogno bagnato” di George Friedman e di tutto il c.d. occidente che non si capisce perché venga ancora pubblicamente rappresentato, se solo perché non si riesce a cambiare registro propagandistico o anche perché, e sarebbe ancora più grave, gli stessi propagandisti sono caduti vittime della loro propaganda (probabilmente per tutti e due i motivi, anche se profilandosi sempre più una vittoria schiacciante della  Russia è assai verosimile che questo mondo a rovescia venga ammanito alle masse più per cinismo che per una residua convinzione).

          Veniamo quindi al secondo passaggio significativo del documento dove George Friedman afferma: «China’s willingness to stop companies from buying Russian oil should be seen as a gesture of goodwill ahead of hopefully better relations with Washington. This makes sense because the Chinese economy needs access to U.S. markets. China is undergoing significant economic problems, including potentially declining exports, a real estate crisis and high unemployment in certain population segments. Should China decide the obvious – that if tensions result in massive tariffs, it will need better relations with the U.S. – it will probably spurn Russia, especially if there is little economic fallout in doing so.» Anche qui si rileva un ottimo esempio di mondo al contrario quando si afferma che la Cina vuole interrompere l’importazione di petrolio russo, perché se è vero come è vero che alcune grosse compagnie petrolifere cinesi a conduzione statale hanno interrotto le importazioni, ciò non equivale ad una interruzione delle attività volte all’incremento delle importazioni energetiche dalla Russia ma, anzi, ad un potenziamento della c.d. flotta fantasma cinese che sin dagli inizi delle prime sanzioni ha garantito la vendita della Russia alla Cina delle sue risorse energetiche, e questo illusorio rifiuto della Cina di acquistare da adesso in poi, dopo il diciannovesimo pacchetto di sanzioni, petrolio russo molto difficilmente è compatibile col fatto che subito dopo le sanzioni Cina e Russia hanno stipulato un accordo per una sempre una più stretta collaborazione energetica per gli anni a venire. Si consulti a questo proposito la nota della “Tass” del 4 novembre 2025 Russia, China to continue boosting energy cooperation (all’URL https://tass.com/economy/2039035, copiaincolla del documento  su file Word e successivo suo caricamento  su Internet Archive generando l’URL  https://archive.org/details/tass-russia-cina) e per quanto riguarda il rafforzamento della flotta fantasma, giusto perché non si dica che noi si è propensi ad affidarci alle menzioniere e traditrici fonti provenienti dal nemico,  volentieri si rinvia ad “Intellinews” che in data 17 novembre 2025 pubblica l’articolo di Mark Buckton China’s LNG tanker shadow fleet – reality or fiction? (Wayback Machine:  https://web.archive.org/web/20251129213117/https://www.intellinews.com/china-s-lng-tanker-shadow-fleet-reality-or-fiction-411750/?source=russia%2F%3Flcp_pagelistcategorypostswidget-3=9#lcp_instance_listcategorypostswidget-3) dove, appunto, si ragiona intorno al ruolo chiave che nei tempi a venire ricoprirà la flotta fantasma per incrementare le esportazioni energetiche dalla Russia verso la Cina e, infine, siccome ben sappiamo che la disinformatia del nemico è sempre in agguato come il demonio che si rifugia anche nei luoghi più venerati e quindi ritenuti ingenuamente sicuri, si rinvia a “Bloomberg”, il Santa Sanctorum del turbocapitalismo finanziario e perciò luogo sicuramente bonificato dagli spiriti malvagi putiniani e russofili, che in data 12 novembre 2025 pubblica a firma di Stephen Stapczynski China Ratchets up Efforts to Import Blacklisted Russian LNG (Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20251121071239/https://www.bloomberg.com/news/articles/2025-11-12/china-ratchets-up-efforts-to-import-blacklisted-russian-lng), il cui argomento sono gli sforzi cinesi per rafforzare la sua flotta fantasma per aggirare le sanzioni energetiche contro Russia. 

           Fuori dagli scherzi e non dilungandoci quindi in ulteriori facili facezie facenti leva sul timore  che anche “Bloomberg” sia infiltrato da pericolosi comunisti e assatanati putiniani (ma semmai rilevando che la cecità di Friedman sulla flotta fantasma è praticamente condivisa da tutti i principali mass media occidentali, per  comparire l’argomento, come s’è visto, soprattutto su organi specialistici e non riservati alla massa, e quindi, da questo punto di vista, Friedman avrebbe potuto dare “qualcosina” di più…), è preferibile porre sotto attento scrutinio, proprio perché la sua ingenuità è per noi foriera di interessanti e nuove integrazioni di teoria politica e/o geopolitica, il passo appena citato da “Geopolical Futures”dove si manifesta in pieno la speranza di Friedman che la Cina, per il  suo passato di rapporti tumultuosi verso la Russia ed anche in ragione di motivazioni economiche, deciderà alla fine di rinunciare alla sua attuale alleanza militare ed economica con la Russia per volgersi, quindi, con rinnovato interesse verso gli Stati Uniti.  Ma, a parte il fatto che in politica e a maggior ragione nelle scienze sociali e, soprattutto, in geopolitica ricorrere solo ai precedenti storici ma non calati nella concreta ed attuale situazione costantemente in dialettica evoluzione è sempre uno scarso viatico per rappresentare (o nel caso di Friedman, per sperare)  futuri possibili scenari (more solito, richiamiamo il famoso motto di Lenin, pietra angolare dell’impostazione filosofico-procedurale del realismo politico ‘analisi concreta della situazione concreta’), quello che qui rileva è che Friedman non tiene conto di due cose, e la prima riguarda la sua cecità  (e di tutti i think tank occidentalisti) verso la sempre più tumultuosa multipolarizzazione dello scenario internazionale che fa sì che le potenze emergenti siano strutturalmente orientate a concepire le proprie alleanze proprio in funzione di questa frammentazione antiegemonica e quindi rifiutando di allacciare stretti legami con la potenza unipolarmente egemone della globalizzazione post ’89, o detto ancor più semplicemente, la Cina, per poter continuare a crescere economicamente e geostrategicamente, deve contendere e strappare ogni centimetro di terreno agli Stati Uniti e deve, altresì, stringere alleanze con coloro che dopo il secondo conflitto mondiale agli Stati Uniti si sono palesemente opposti, e fra questi in primis la Russia (l’unico momento di un reale e profondo appeasement con gli Stati Uniti è stato sotto Gorbaciov e poi Eltsin, non a caso il periodo di peggiore involuzione politico-sociale della Russia e, a questo proposito, tornano alla mente le parole di Kissinger ‘To be an enemy of the US is dangerous, but to be a friend is fatal’), una Russia che con l’odierna vittoriosa guerra contro la Nato si presenta quindi come la prima potenza militare del globo e perciò anche per questo come partner appetibile per la Cina, al contrario degli Stati Uniti,  che oltre al sempre più evidente declino socio-economico, connotati dalla sempre più scemante capacità nel dispiegamento diretto della violenza sullo scenario internazionale (la Russia afferma di essere la seconda potenza militare preceduta dagli Stati Uniti, una falsa modestia se teniamo conto che a livello degli armamenti nucleari è la prima al mondo, esibita solo per non dare ulteriore legna per il fuoco della propaganda occidentalista).

           Il secondo elemento di cui non tiene conto Friedman e che denunciando non tanto una precisa volontà di diffondere false rappresentazioni e/o di autoilludersi ma proprio una debolezza dell’odierna teoria politologica mainstream  (e quindi di riflesso della geopolitica) nell’elaborare le “categorie del politico” e per questo di grandissimo interesse,  è la sua illusione che gli Stati Uniti possano essere ritenuti proprio per la loro intrinseca natura “democratica” partner  affidabili o, comunque, “migliori” per stringere alleanze (anche se non espressamente formulato, è questo il pregiudizio che non solo informa l’articolo ma anche tutta la sua precedente produzione), derivante invece questa inaffidabilità proprio dalla natura del potere politico di questo paese. Come prima detto,  negli ultimi interventi sull’ “Italia e il Mondo” è già stata fornita una definizione alternativa e più realistica di tutte quelle forme di espressione del potere politico che nel c.d. occidente vengono sbrigativamente ed illusoriamente accomunate col termine di ‘democrazia’, non essendo la c.d. democrazia rappresentativa un forma di esercizio del potere espressione della volontà popolare ma, molto più realisticamente, una ‘polioligarchia competitiva’,  cioè una lotta fra oligarchie confliggenti  per l’occupazione del potere ricorrendo a votazioni libere e segrete che coinvolgono il popolo ma nel quale il popolo cessa di aver alcun ruolo significativo nel godere i frutti della sua scelta una volta cessata la consultazione elettorale.

          Ora è chiaro che il paradigma della ‘polioligarchia competitiva’ è una sorta di tipo ideale molto generico e che è quindi necessario designare al suo interno altri subtipi ideali che rappresentino ancora più concretamente le varie realtà raccolte sopra la generale, per quanto del tutto realistica nella sua impostazione teorica,  definizione di ‘polioligarchia competitiva’. E tradotto tutto ciò per quanto riguarda la “democrazia” degli Stati uniti, oltre ad affermare, tanto per sfatare i miti sulla democrazia in quel paese e sulla democrazia in generale, che essa è una ‘polioligarchia competitiva’, possiamo ulteriormente precisare che essa è una ‘polioligarchia stasistico-competitiva’, in cui  il primo lemma dell’aggettivo composto della nuova definizione testè introdotta deriva   dalla traslitterazione  del sostantivo στάσις da cui  stasis, significando στάσις in greco antico guerra civile, e con questa definizione della “democrazia” americana si designa quindi  una polioligarchia in cui alle “democratiche” elezioni (e comunque sistematicamente macchiate da  brogli, sovente decisivi nel determinarne l’esito) vengono affiancati nella gestione e/o produzione del potere non solo piccole vere e proprie guerre civili armate all’interno della società ma anche l’assassinio politico che non è un elemento occasionale ma, come i brogli, anch’esso sistemico.

          Posta quindi questa definizione della natura polemogena della “democrazia” americana, è allora di tutta evidenza che a meno non si sia di fronte a rapporti di natura coloniale (come nel caso dell’Italia e, in misura minore, degli altri paesi europei) è del tutto sconsigliabile stringere da parte di altre potenze rapporti e/o alleanze di lunga durata con un sistema politico conformato ad un modello ‘polioligarchico stasistico-competitivo’ come quello degli Stati Uniti, che proprio in ragione della sua strisciante ma onnipresente guerra civile in atto al suo interno presenta conseguentemente una altissima instabilità e l’impossibilità perciò di onorare i suoi impegni. E ciò risulta tanto più vero se consideriamo la natura del potere “democratico” della Russia. (Sulla natura polemogena della “democrazia” americana, o, meglio detto, della ‘polioligarchia stasistico-competitiva’ statunitense, fondamentale il rinvio ai vari interventi che su podcast ed anche su YouTube Gianfranco Campa svolge da sempre per “L’Italia e il Mondo”. Non potendo citarli tutti, si segnala, fra i tanti, l’ultimo video pubblicato sull’ “Italia e il Mondo” in data 25 novembre 2025, Gianfranco Campa, con Pino Germinario e Cesare Semovigo, Compagni di scuola – USA scontro finale, sull’ “Italia e il Mondo” alla pagina del blog all’URL https://italiaeilmondo.com/2025/11/25/compagni-di-scuola-usa-scontro-finale-gianfranco-campa/, con rinvio della pagina all’URL di rumble https://rumble.com/v727t3u-compagni-di-scuola-usa-scontro-finale-gianfranco-campa.html e a quello di YouTube https://www.youtube.com/watch?v=FQlQ9eU4awg; nostro download del documento video e successivo caricamento su Internet Archive generando gli URL https://archive.org/details/clipto-ai-video-downloader-compagni-di-scuola-usa-scontro-finale-gianfranco-campa e https://ia802306.us.archive.org/34/items/clipto-ai-video-downloader-compagni-di-scuola-usa-scontro-finale-gianfranco-campa/Clipto%20AI%20video%20downloader_COMPAGNI%20DI%20SCUOLA%20-%20Usa%20scontro%20finale%20-%20Gianfranco%20Campa.mp4, ricorrendo  anche a questa piattaforma  di preservazione scientifica  della memoria digitale vista l’estrema importanza del documento.)

          Dal mainstream propagandistico occidentale la “democrazia” russa è stata definita ridicolmente come una ‘democratura’ volendo con ciò significare che sotto la parvenza di un sistema democratico con elezioni formalmente libere, segrete e competitive fra partiti concorrenti, la sua realtà è quella di una dittatura al cui vertice c’è Putin (altra ridicolaggine che non merità nemmeno un approfondimento teorico è quando la propaganda occidentalista straparla e vaneggia sui potentati economici russi definendoli oligarchi, con ciò volendo sottolineare un ulteriore elemento di non democraticità della Russia: quando si dice che il bue dà del cornuto all’asino…).  Ora abbandonando come si è fatto con la definizione iniziale di ‘polioligarchia competitiva’ la mitologia democratica e passando poi secondo questa più realistica terminologia alla definizione della “democrazia” americana come ‘polioligarchia stasistico-competitiva’, si può ben dire sulla natura del potere politico russo che essa si manifesta come una ‘polioligarchia pseudocompetitiva’, con ciò volendo  affermare che Putin non è un dittatore ma il rappresentante più alto in grado di una fortemente strutturata ed unitaria oligarchia politica verso la quale è responsabile e deve rendere conto   ma anche segnalando che un potere così fortemente strutturato come quello russo contempla sì elezioni realmente libere, segrete  e competitive fra diversi partiti ma che queste elezioni, proprio per la natura fortemente strutturata dell’oligarchia politica russa e, ultimo ma non meno importante, anche per il fatto che questa oligarchia viene percepita dalla stragrande maggioranza del popolo russo non come una classe sovraordinata ad esso ma come effettivamente preoccupata del bene comune, sono praticamente un proforma e del tutto superflue per la scelta da parte del corpo elettorale dei governanti. E seguendo sempre la linea classificatoria che si dipana dalla ridefinizione di ‘democrazia’ come ‘polioligarchia competitiva’ (e facendo notare che questa nuova classificazione è ad un tempo diretta conseguenza del paradigma del Repubblicanesimo Geopolitico per il quale unico elemento per comprendere una società è seguire le reali dinamiche del potere con la conseguenza che dal punto di vista di questa analisi integralmente realista non esiste un potere politico contrapposto alla libertà individuale ma esiste un potere politico che non solo si dirama dai vertici istituzionali di questa società ma che informa anche le espressioni individuali degli uomini che sono situati in questa società e che quindi la libertà altro non è che il frutto della dialettica del potere proveniente dall’alto con quello che risale dal basso –  sul ‘Repubblicanesimo Geopolitico’ e, in particolare, su questa dialettica del potere dall’alto verso il basso e viceversa che dal punto vista teorico disconosce radicalmente la contrapposizione semantico-assiologica fra potere e libertà, sempre valido il rinvio alle sue due prime espressioni aurorali  apparse sul “Corriere della Collera” del compianto grande studioso di geopolitica e mazzininano Antonio De Martini l’11 novembre 2013 e il 26 novembre 2013, Massimo Morigi, Alla ricerca della identità italiana e Id., Repubblicanesimo Geopolitico. Alcune delucidazioni preliminari, entrambi i documenti consultabili attraverso la Wayback Machine all’URL http://web.archive.org/web/20240416010147/https://corrieredellacollera.com/2013/11/23/alla-ricerca-dellidentita-italiana-di-massimo-morigi/  –   e facendo sempre notare, ultimo ma non meno importante, che con questa ridefinizione del Repubblicanesimo Geopolitico del paradigma del potere e della libertà si rende quasi del tutto insignificante la distinzione classica della politologia e della dottrina costituzionalista fra forme di Stato e forme di governo, essendo questa una distinzione puramente epifenomenica e storicamente accidentale, sovrastrutturale si sarebbe detto un tempo, delle reali dinamiche del potere la cui dialettica investe contemporaneamente l’oligarchia e il popolo nel loro reciproco rapporto, e per ultimo sottolineando anche che questo nuovo paradigma interpretativo delle forme del potere rende del tutto superfluo il concetto di ‘Stato profondo’, almeno nella sua accezione più mitologica che lo vede come una sorta di metastasi che all’interno dello Stato si opporrebbe alle decisioni del popolo formulate attraverso il “libero” processo elettorale contemplato nelle c.d. democrazie rappresentative), possiamo anche definire la forma del potere politico della Cina  come una ‘polioligarchia autoritario-non competitiva’, e  con questo volendo quindi segnalare che  le elezioni che si svolgono in Cina danno vita ad una serie successiva di elezioni dove ad ogni passaggio si eleggono assemblee che eleggono altre più ristrette assemblee, selezionando così nelle varie prove elettorali  i membri ritenuti più meritevoli e provenienti quasi esclusivamente dalle file del Partito comunista cinese o ad esso graditi ed esplicitamente reputati non oppositori ma anzi collaboratori  dello stesso (questa forma di potere viene definito in Cina  sistema di “cooperazione multipartitica e consultazione politica”, nel quale possono esistere ed esistono anche altri partiti oltre al Partito comunista ma questi devono collaborare lealmente col PCC) ma che, come nel caso russo – in cui, invece, siamo in presenza di un reale multipartisimo anche, se, de facto, non rappresentano queste varie forze  la proposta di una reale oligarchia politico-sociale alternativa a quella al potere –, il Presidente della Repubblica Popolare Cinese che scaturisce dopo questi vari passaggi elettorali è tutto fuorchè un dittatore alla Stalin, Mussolini od Hitler molto semplicemente perché egli è espressione organica maturata attraverso vari passaggi, anche se sapientemente guidati dall’alto ma anche con un minimo grado di autonomia da parte di queste assemblee via via nominate, dell’oligarchia che guida il paese e che quindi semplici atti d’imperio anarchici ed irresponsabili come nel caso dei dittatori appena noninati non sono nemmeno concepibili e soggiungendo, infine, che, proprio perché in Cina la dialettica fra oligarchia e popolo è improntata alla fiducia del basso verso chi comanda, il termine ‘autoritario’, nel caso in specie, non sta a designare un subire passivamente del popolo le imposizioni che provengono dall’alto ma, molto più semplicemente che, in accordo con la filosofia confuciana che informa tutta la società cinese, il popolo cinese si riconosce e conferisce autorevolezza in ragione del fatto che essi sono ritenuti capaci, onesti e preoccupati del bene comune, così come impone la filosofia confuciana condivisa da tutta la società. (E per quanto riguarda le forme del potere politico al cui vertice possiamo porre dittatori come i sunnominati Stalin, Hitler o Mussolini, pur nella a volte radicale differenza di narrazione ideologica che le hanno ispirate, possiamo facilmente parlare di ‘polioligarchia monocratico-anticompetitiva’, una forma politica,  cioè, con al vertice un dittatore non solo fieramente avverso ad una  dialettica reale fra l’oligarchia che lo sostiene  e il basso della società ma anche e soprattutto ad una qualsivoglia verifica elettorale del suo potere personale. Non parleremo diffusamente in questa comunicazione  della ‘polioligarchia monocratico-anticompetitiva’ in riferimento al problema del totalitarismo  – ma come si evince dalla  definizione stessa, per quanto qui si parli di un partito unico, rimane il primo termine della definizione, ‘polioligarchia’ perché, nonostante quanto sostenga l’ideologia ufficiale, all’interno dell’unica oligarchia politica permessa dimorano e confliggono varie sottooligarchie fra loro in lotta, mentre nel secondo elemento della definizione, con ‘anticompetitiva’ si indica espressamente un rifiuto assoluto della consultazione elettorale attraverso la quale la base non oligarchica possa contribuire a costituire l’oligarchie e/o le sue sottooligarchie, cosa che non accade nella ‘polioligarchia autoritario-non competitiva’ cinese che, come si è visto, prevede forme, anche se molte attenuate e con vari passaggi intermedi, di elettorato attivo da parte dei non appartenti alle oligarchie apicali al potere per la scelta dei membri della oligarchia prevalente o di  quelle con le prime collaboranti –. Ma ritornando allo specifico della problematica del totalitarismo o meno all’interno del paradigma della ‘polioligarchia monocratico-anticompetitiva’, questo non connota, per esempio, le dittature latinoamericane, la Spagna clericofascista e reazionaria di Francisco Franco o il  Portogallo dell’Estado Novo di António de Oliveira Salazar, tutti regimi a bassa mobilitazione popolare e quindi, per definizione, non totalitari. Su questo aspetto antimobilitatore di alcune ‘polioligarchie monocratico-anticompetitive’ e con le analogie che possono essere fatte con le attuali c.d. democrazie rappresentative, cioè con le ‘polioligarchie competitive’, anch’esse connotate da una forte pulsione antimobilitatoria, classico esempio le sempre più basse percentuali di partecipanti alle elezioni e, ancor più eclatante, l’espressamente voluta  ed imposta, da parte delle polioligarchie al potere – o delle oligarchie ad esse apparentemente all’opposione ma in realtà collaboranti nel sostenere il sistema e nel rifiutare qualsiasi dialettica reale con chi di queste oligarchie politiche non fa parte –, smobilitazione e atomizzazione di ogni forma di aggregazione politico-sociale durante il periodo del Covid e sul problema del totalitarismo, si tornerà, però, più diffusamente  in prossime comunicazioni.)

          Alla luce quindi di questa nuova tassonomia del potere delle tre attuali superpotenze, è facile concludere che l’elemento decisivo che impedisce alleanze o della Russia o della Cina con la declinante superpotenza statunitense deriva ineluttabilmente direttamente dal fatto che le forme politiche della Russia e della Cina avendo un alto grado di stabilità proiettato in un lunghissimo periodo di tempo non potranno mai stringere alleanze strategiche con la superpotenza americana che in ragione della sua natura ‘polioligarchica stasistico-competitiva’ che comporta nei fatti una diuturna ancorchè mai esplicitamente riconusciuta guerra civile accompagnata da episodi di terribile e plateale violenza politica e quindi, in conclusione, per l’ intrinseca instabilità e rissosità che tende a sfociare addirittura nel delitto politico e nella sedizione per azione diretta delle sue classi dirigenti oligarchiche, non è assolutamente in grado di proporre col minimo di credibilità ad alcuno di pari od analogo grado di potenza politico-militare ma di immensamente superiore livello di stabilità politico-sociale alcun accordo di lungo respiro. (Non si potrebbe produrre un esempio più illuminante della guerra civile che sotto la cenere cova negli Stati Uniti  per divampare da un momento all’altro  del seguente  video postato sull’account X della Senatrice Elissa Slotkin in data  18 nov 2025,  dove 6 ex membri  delle forze armate e della CIA  e ora politici del Partito democratico esortano coloro che sono attualmente membri attivi   delle forze armate e dei  servizi segreti a non obbedire agli ordini del Presidente Donald Trump qualora questi siano contro la Costituzione o contro la la legge. La descrizione alla pagina del video molto eloquentemente recita: «We want to speak directly to members of the Military and the Intelligence Community. The American people need you to stand up for our laws and our Constitution. Don’t give up the ship.» Durante il video le esortazioni a voce ad eventualmente disobbedire sono accompagnate, per rendere ancora più martellante ed incisivo il messaggio, da didascalie che ripetono parola per parola quanto viene detto. Questo video su X, della durata di 1 minuto e 30 secondi, ha ricevuto al 28 novembre 2025 più di 18 milioni di visualizzazioni, è visionabile all’URL di X https://x.com/SenatorSlotkin/status/1990774492356902948?s=20 e, vista la sua importanza storica, è stato scaricato e poi caricato su Internet Archive generando gli URL https://archive.org/details/ex-oprj-z-96p-bkr-9l-b e https://ia601209.us.archive.org/0/items/ex-oprj-z-96p-bkr-9l-b/ExOprjZ96pBKr9lB.mp4.  Sempre in data 18 novembre 2025 il New York Post ha postato una versione più lunga del video su YouTube di 2 mimuti e 51 secondi che al suo esordio ha ricevuto più di 75 mila visualizzazioni e la dicitura di presentazione del video recita: «Democrats to Troops: Don’t Follow Unlawful Orders.» Il documento è visionabile all’URL https://www.youtube.com/watch?v=5Iux161DZAA e,  sempre per i motivi di cui sopra, download del documento e ricaricamento del file su Internet Archive generando gli URL https://archive.org/details/clipto-ai-video-downloader-democrats-to-troops-dont-follow-unlawful-orders  e https://ia902306.us.archive.org/10/items/clipto-ai-video-downloader-democrats-to-troops-dont-follow-unlawful-orders/Clipto%20AI%20video%20downloader_Democrats%20to%20Troops%20%20Don%E2%80%99t%20Follow%20Unlawful%20Orders.mp4.)

          Ma la  ‘polioligarchica stasistico-competitiva’ statunitense certamente è in grado di imporre il suo giogo alla polioligarchia competitiva italiana totalmente asservita ai diktat atlantici, che proprio in ragione di questa sua dipendenza dalle istruzioni che provengono da oltreoceano può ancor meglio essere definita come una ‘polioligarchia eterodiretto-competitiva’, con ciò volendo significare da un lato che la scelta del popolo sulle oligarchie che lo dovranno governare è sì libera e reale ma che, qualsiasi sia l’oligarchia scelta che lo dovrà governare, questa non risponde più agli interessi di chi la ha scelta ma a quelli dei gruppi strategici esteri, in primis a quelli statunitensi, ai quali questa oligarchia, di destra o sinistra non importa, ha  da sempre consegnato la sovranità nazionale (ciò lo si vede bene nel caso dell’attuale guerra Russia-Nato, dove la destra al governo profonde sempre più risorse, anche quelle che non ha, all’Ucraina e dove la sinistra all’opposizione dice, in pratica, che si potrebbe fare di più e con più entusiasmo democratico, che poi questi sforzi comportino la rovina dei conti pubblici e l’impoverimento del popolo chissene… tanto l’importante è la difesa dell’occidente e della democrazia, evviva!, e di coloro che sulla guerra lucrano  dal punto di vista economico e politico –  burocrati e politici europei in primis, allegramente uniti al  coro della compagnia cantante degli oligarchici politici italiani e delle italiche ed europee industrie degli armamenti). E volendo risalire indietro nel tempo ed anche affinare il paradigma della ‘polioligarchia competitiva’ adeguandolo non solo allo sviluppo storico del caso italiano ma anche alle altre realtà politiche “democratiche” ma sotto  pesante vincolo neocoloniale (cioè i paesi dell’Unione europea, de facto sotto dominio coloniale statunitense), c’è per ultimo da aggiungere che la nostra ‘polioligarchia eterodiretta competitiva’ non è che l’ultima evoluzione/degenerazione della originaria ‘polioligarchia democompetitiva’, dove da un lato la mitologia democratica riusciva a fare da contraltare alla natura fortemente parassitaria ed autoritaria, detto il termine ‘autoritario’ questa volta in senso unicamente derogatorio, della oligarchia che veniva eletta ed anche che, comunuque fortemente parassitaria l’oligarchia che veniva eletta, essa manteneva un certo grado di autonomia e di dignità alle direttive che provenivano  d’oltreoceano (vedi, come esempio di questo residuo di dignità nazionale, la politica estera propugnata dai vari Fanfani, La Pira, Moro, la tragica fine del Presidente dell’ENI  Enrico Mattei che volendo dare autonomia energetica all’Italia e  realizzare questo proposito pestando i calli ai grandi cartelli petroliferi statunitensi e britannici e favorendo i movimenti di decolonizzazione i cui paesi erano sfruttati dalle grandi compagnie petrolifere, venne eliminato il 27 ottobre 1962 nell’attentato mentre volava col   jet dell’ENI sul cielo di Bascapè; si rifletta anche su Bettino Craxi, il Presidente del Consiglio che osò schierare a Sigonella i carabinieri contro i Marines e che, in questo quadro della sua dichiarata politica filopalestinese – e nel quadro più generale che dopo la caduta del Muro di Berlino, i grandi agenti strategici atlantici non ritenevano più utile servirsi delle vecchie classi dirigenti italiane anticomuniste –, si spiega la sua eliminazione attraverso Mani Pulite, solo politicamente e non anche fisicamente ma, come si dice, quello che conta è il risultato…, e, infine, su Aldo Moro e sul suo assassinio attraverso la bassa manovalanza delle Brigate Rosse, dove vale la pena ricordare che le ricerche del rapito che non condussero alla sua liberazione furono condotte in maniera molto singolare e che presenta molti e mai chiariti lati oscuri. Ancora lontani da Mani Pulite e dal cambio di paradigma USA verso la più grande forza di sinistra, certamente per il grande fratello d’oltreoceano il compromesso storico non s’aveva da fare in quel lontano 1978…).

           Si conclude con una domanda (retorica ma non troppo), dando assolutamente per assodato (o almeno, dando assolutamente per scontato secondo il punto di vista del Repubblicanesimo Geopolitico, visti i miei precedenti interventi al riguardo) che Giuseppe Mazzini non fu quella sorta di santino liberaldemocratico che ci vogliono ammanire coloro che improvvidamente, seppur sinceramente, si dichiarano i loro attuali eredi politici ma semmai il critico più feroce dell’attuale impostazione liberaldemocratica basata sull’idolatria dei diritti individuali, sul misconoscimento, de facto, dei diritti sociali  e sul dichiarato progetto  del progressivo annientamento non solo del concetto di ‘popolo’ ma, soprattutto, della sua vitalità aggregativa, compiendo, insomma, la sua vera e propria  uccisione politico-sociale in piena conformità con l’individualismo metodologico delle odierne c.d. democrazie rappresentative, individualismo metodologico la cui filosofia, retorica e pratica social-culturale è la totalitaria sovrastruttura politico-filosofica delle attuali ‘polioligarchie competitive’ e, nello specifico, dell’attuale italica ‘polioligarchia eterodiretto-competitiva’, come giudicherebbe oggi egli e quale forma politica preferirebbe – escludendo, ovviamente, la nostra attuale italica  ‘polioligarchia eterodiretto-competitiva’ per assoluta incompatibilità con tutti principi per i quali si battè tutta la vita e radicale negazione e tradimento dell’obiettivo più importante per il quale Mazzini sacrificò tutta la sua esistenza, l’indipendenza nazionale – Giuseppe Mazzini fra quelle che odiernamente si presentano come protagoniste sullo scenario politico internazionale, la ‘polioligarchia stasistico-competitiva’ americana, la ‘polioligarchia pseudocompetitiva’ russa e la ‘polioligarchia autoritario-non competitiva’ della Cina?  Certamente non è corretto  divinare su chi ci ha preceduto e ha vissuto in situazioni tanto diverse dalle nostre cosa direbbe a noi oggi, perché nella nostra situazione concreta siamo noi che dobbiamo fornire un’analisi concreta che ci guidi nel nostro operare, diversamente,  ci si avventurerebbe in una pratica teorica che non avrebbe nulla né della realistica filosofia della prassi di Antonio Gramsci, cui il Repubblicanesimo Geopolitico ben volentieri riconosce euristiche fondamentali precursioni dialettiche, né dell’altrettanta dialettica e, a sua volta, sua romantica  precorritrice esortazione ‘pensiero e azione’ di mazziniana memoria, diversamente il nostro non sarebbe più uno sforzo dialettico ispirato al realismo politico ma una sorta di invocazione spiritica, cosa che fanno oggi egregiamente coloro che pretendono di sposare Mazzini con l’individualismo metodologico che è il telos delle nostre tristi attuali ‘polioligarchie competitive’ occidentali.

          Ma una cosa si può sicuramente affermare: la visione del mondo di Giuseppe Mazzini è al nadir di quella di George Friedman, e così dicendo non mi riferisco solo al suo antiliberalismo ma anche al suo realismo politico, un realismo politico, quello di Mazzini, che ebbe sempre come stella polare un cosmopolitismo di libere nazioni repubblicane affratellate all’insegna dell’assiologica diade  ‘Dio e popolo’ e mosse armoniosamente nel loro sviluppo interno e nello stringere sempre più stretti legami reciproci all’insegna dell’intrisicamente realistico e dialettico paradigma politico-sociale ‘pensiero e azione’, mentre il realismo di George Friedman è un realismo unicamente ispirato a quello che questo pur valente studioso ritiene essere l’interesse degli Stati Uniti, sempre più difficile da focalizzare come si è visto, acclarata la sempre più marcata natura polioligarchico stasistico-competitiva di questo paese. I veri realisti politici sono, insomma, coloro che nelle contraddizioni del proprio momento storico sanno intravvedere soluzioni valide non solo per il proprio tempo ma, soprattutto, quelle che possono illuminare un futuro che ancora non c’è ma che trae le sue ragioni più profonde e feconde proprio dall’Aufhebung delle contraddizioni del proprio presente storico. E sotto questo punto di vista, George Friedman non c’è ma Giuseppe Mazzini c’è. Ora e sempre.

Massimo Morigi, dicembre 2025, nel tempo  del Solstizio d’inverno vel  Dies Natalis Solis Invicti

CONTRIBUITE!!! La situazione finanziaria del sito sta diventando insostenibile per la ormai quasi totale assenza di contributi

Il  sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:

– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;

– IBAN: IT30D3608105138261529861559

PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo

Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo

Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione).

Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373

Da soli con i nostri pensieri_di Aurelien

Da soli con i nostri pensieri.

Perso nel supermercato delle opinioni.

Aurelien3 dicembre
 
LEGGI NELL’APP
  
CONTRIBUITE!!! La situazione finanziaria del sito sta diventando insostenibile per la ormai quasi totale assenza di contributi
Il  sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:
– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;
– IBAN: IT30D3608105138261529861559
PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo
Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo
Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione).
Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373

Recentemente ho ricevuto un messaggio criptico da Substack, che mi informava che questo sito è “al numero 16 e in ascesa nella classifica internazionale”, il che non può che essere una notizia positiva. (L’ultimo messaggio che avevo ricevuto, alcuni mesi fa, diceva che era al numero 40). Sono lieto di poter dire che continuano ad arrivare iscritti da tutto il mondo ad ogni post, e alcuni mi inviano anche qualche spicciolo. Un sincero ringraziamento a tutti e un ringraziamento speciale a coloro che si sono recentemente uniti a noi.

Nel frattempo, questi saggi saranno sempre gratuiti, ma potete continuare a sostenere il mio lavoro mettendo “mi piace” e commentando, e soprattutto condividendo i saggi con altri e passando i link ad altri siti che frequentate. Se desiderate sottoscrivere un abbonamento a pagamento, non vi ostacolerò (anzi, ne sarei molto onorato), ma non posso promettervi nulla in cambio se non una calda sensazione di virtù.

Ho anche creato una pagina Buy Me A Coffee, che potete trovare qui.☕️ Grazie a tutti coloro che hanno recentemente contribuito.

E come sempre, grazie agli altri che instancabilmente forniscono traduzioni nelle loro lingue. Maria José Tormo sta pubblicando traduzioni in spagnolo sul suo sito qui, Marco Zeloni pubblica le traduzioni in italiano su un sito qui, mentre Italia e il Mondo le pubblica qui. Sono sempre grato a chi pubblica traduzioni e sintesi occasionali in altre lingue, purché ne indichiate la fonte originale e me lo comunichiate. E ora:

**************************************

Poiché parte della mia ultima saggio sosteneva che gli opinionisti e i politici spesso non avessero idea di cosa potesse significare realmente una “guerra” con la Russia, ho deciso di rimboccarmi le maniche e dare un’occhiata ad alcuni articoli recenti dei media sull’argomento. E in effetti, in tutte le parti dello spettro politico, e indipendentemente dalle simpatie, sembrava che molti scrittori avessero poca idea di ciò di cui stavano parlando e poca consapevolezza di avere poca idea di ciò di cui stavano parlando. È così fin dall’inizio della crisi, e ciò riflette il fatto che capire cosa sta succedendo in Ucraina, perché è successo e come potrebbe evolversi, è oggettivamente difficile, e richiede conoscenze acquisite, riflessione e, idealmente, esperienza personale: una combinazione, insieme al tempo necessario per sviluppare idee, che non si trova spesso al giorno d’oggi.

Poi mi è venuto in mente che l’Ucraina non era l’unico caso in cui l’intellighenzia di oggi (se così si può chiamare) sembrava essersi semplicemente arresa, rifugiandosi in slogan e insulti. In un’epoca in cui più persone che mai sono teoricamente più istruite e in cui su Internet sono disponibili informazioni apparentemente illimitate, sembriamo meno capaci intellettualmente di affrontare, per non parlare di comprendere, le grandi questioni rispetto al passato. E questo vale dalle produzioni della cultura popolare fino agli annunci e alle azioni dei governi e delle organizzazioni internazionali. In Francia, ad esempio, siamo ormai da mesi in una crisi politica, senza alcuna prospettiva che il Parlamento approvi un bilancio, figuriamoci che raggiunga la maggioranza, ma la copertura mediatica è sporadica e, nella migliore delle ipotesi, incentrata sulle personalità: è tutto troppo surreale e complicato. Parliamo invece di cose che pensiamo di capire.

Altri esempi sono facili da trovare. Problemi come il cambiamento climatico, l’esaurimento delle risorse naturali, gli effetti del Long Covid o il progressivo collasso economico e sociale degli Stati occidentali non ci sfuggono, ma le nostre società e i responsabili delle decisioni sembrano intellettualmente paralizzati di fronte a essi. Da un lato, il cambiamento climatico e il degrado ambientale stanno accelerando, dall’altro, le autorità municipali promuovono il riciclaggio e la piantumazione di alberi. Sì, ogni piccolo gesto è utile, lo so, ma troppe di queste misure mi sembrano tentativi di riti magici, in qualche modo destinati a influenzare un problema che non riusciamo a comprendere adeguatamente, figuriamoci a pensare a come affrontarlo. E si può avere tutta la volontà politica del mondo, ma se non si capisce cosa si sta facendo, perché e come, tutta quella volontà è inutile. E noi non lo capiamo. Legarsi con del nastro adesivo alle opere d’arte e chiedere ai governi di “fare qualcosa” è solo una dimostrazione di fallimento intellettuale e sconfitta da parte propria.

Il filo conduttore dei principali problemi del mondo odierno è che sembrano talmente complessi da renderci impossibile anche solo iniziare a comprenderli. In parte è una questione di semplice scala. Sappiamo che il livello del mare sta aumentando e potremmo anche renderci conto che molte città importanti del mondo si trovano su coste basse. Ma siamo in grado di affrontare, intellettualmente, le possibili conseguenze dell’inondazione dell’area metropolitana di Lagos, dove vivono circa venti milioni di persone? Da dove potremmo iniziare? E come faranno le società ad affrontare il problema dei milioni di bambini il cui sistema immunitario è stato danneggiato dal Covid quando erano piccoli, che non potranno mai lavorare e che avranno bisogno di cure mediche per sessanta o settant’anni? Queste domande, e ce ne sono molte altre, sono in realtà troppo grandi per essere contemplate, e la nostra attuale classe politica e la casta professionale e manageriale (PMC) non sono intellettualmente attrezzate per comprenderle, tanto meno per affrontarle.

Le conseguenze pratiche di questo fallimento sono tipiche del modo in cui funziona la psicologia umana: invece di almeno cercare di affrontare i problemi più gravi che temiamo di non poter risolvere, ci rifugiamo in problemi che possiamo affrontare e, in linea di principio, fare qualcosa, qualsiasi cosa, al riguardo. Per molti versi, il ridicolo battito dei tamburi di guerra in Europa (il militarismo dei tradizionalmente antimilitaristi) è un tentativo di trasformare i problemi molto complessi e minacciosi dopo la sconfitta, alcuni dei quali ho discusso molte volte, in qualcosa che la leadership politica e il PMC pensano di capire, grazie ai film di Hollywood e alle presentazioni in Powerpoint. Almeno sanno come creare denaro, comprare cose e avere consulenti che sviluppano piani ambiziosi e irrealizzabili. Ma non chiedete loro di risolvere problemi pratici reali: è troppo difficile. Questa mentalità si applica a tutti i livelli: la vostra università potrebbe perdere personale di alta qualità, avere problemi ad attrarre studenti e necessitare di una massiccia ristrutturazione dei suoi laboratori scientifici, ma tutto questo è troppo difficile. Ma quello che potete fare è avviare una campagna diffamatoria contro il vice-rettore per costringerlo a dimettersi e farlo sostituire da una donna. Ecco fatto, avete ottenuto qualcosa. Anzi, direi che la crescita dell’identità politica riflette essenzialmente la crescente incapacità della nostra società di risolvere problemi seri e la conseguente attrazione verso quelli banali che pensate di poter effettivamente gestire.

Come siamo arrivati a questo punto? Ci vorrebbe un libro intero per spiegarlo, ma vorrei solo citare alcuni fattori che hanno contribuito a questa situazione. Uno è sicuramente la mentalità manageriale delle ultime due generazioni, che ha insegnato a un’intera classe a credere che armeggiare con i problemi equivalga in qualche modo a risolverli e che, in ogni caso, non esistono problemi che non si possano risolvere con una presentazione in Powerpoint. Un altro è il declino della conoscenza autentica e delle capacità pratiche, a scapito delle credenziali il cui unico scopo è quello di ottenere un lavoro migliore, o addirittura un lavoro in generale. Un terzo è l’enorme enfasi che oggi viene data ai risultati finanziari e la convinzione che essi siano in qualche modo “reali” nel senso che le inondazioni o le malattie infettive sono reali. E naturalmente al giorno d’oggi ci sono pochi premi per chi cerca effettivamente di affrontare i problemi fondamentali, poiché ciò presuppone sia un interesse per i risultati reali piuttosto che per quelli finanziari, sia la volontà di guardare al lungo termine, cosa che la nostra società non fa più. Il risultato è che collettivamente si chiude un occhio sui problemi che sono semplicemente troppo complicati per essere compresi dalla nostra società. Dopotutto, potrebbe succedere qualcosa. Nel frattempo, se questi sono gli ultimi giorni, dobbiamo prendere ciò che possiamo finché possiamo.

Ma credo che ci sia anche una serie di questioni più profonde, legate alla nostra visione del mondo, o più precisamente alla sua mancanza. Soprattutto, siamo passati – per dirla in parole semplici – dalla visione tradizionale secondo cui tutto era collegato alla visione moderna secondo cui nulla è collegato. L’idea di guardare ai problemi in modo olistico, che è sopravvissuta all’ascesa della scienza moderna almeno per un certo periodo, è ormai completamente scomparsa, e in realtà abbiamo difficoltà a ricordare quanto il mondo sembrasse complesso e interconnesso, ammesso che lo abbiamo mai imparato. Abbiamo perso l’abitudine intellettuale di considerare la relazione tra i problemi, come ci incoraggiavano a fare le precedenti credenze religiose, sociali e politiche. Ora tutto arriva al dettaglio, come un pacco di Amazon, scollegato dal resto del mondo e da qualsiasi quadro più ampio. È come se ogni problema fosse affrontato per la prima volta, privato di ogni contesto e storia.

Questo avrebbe stupito i nostri antenati, per i quali tutto era collegato e le azioni compiute qui avevano conseguenze là. Forse abbiamo sentito vagamente parlare della Grande Catena dell’Essere, o del fatto che un tempo il mondo era incantato, ma abbiamo ben poca idea di cosa significasse. Immaginate quindi, se volete, il mondo (e l’universo, nella misura in cui esisteva una distinzione) come un tutto interconnesso. È come un gigantesco libro scritto da Dio, in cui sono conservate tutta la conoscenza e tutta la verità, e in cui ogni cosa riflette e influenza ogni altra cosa. Una volta imparato a leggere questo libro, tutta la conoscenza è a nostra disposizione. La verità, in altre parole, è lì dentro, e noi dobbiamo semplicemente capire come interpretarla. I segni e i simboli abbondano (si capisce perché Umberto Eco abbia iniziato come medievalista), e tutti i fenomeni naturali, dal volo degli uccelli alla forma delle piante ai segni nel cielo, trasmettono informazioni a chi vuole capire.

È quindi logico pensare che la divinazione potesse aiutare a spiegare il presente e persino fornire indicazioni sul futuro. Che si utilizzassero calcoli astrologici altamente sofisticati o che si gettassero semplicemente delle monete, si attingeva alla struttura e ai processi sottostanti dell’universo stesso, che era un tutto integrato e che funzionava secondo leggi che gli esseri umani potevano apprendere e comprendere. Inutile dire che oggi siamo quasi infinitamente lontani da quella situazione.

In realtà, non tutti la pensano così, e la tesi di Weber sul “disincanto del mondo” (che egli considerava un progresso, tra l’altro) è stata oggetto di molte critiche negli ultimi tempi. Ma in realtà la parola usata da Weber, Entzauberung, deriva dalla parola Zauber (sì, come nell’opera di Mozart) e significa in realtà “smagizzare”. Vale a dire che la tradizionale visione olistica e magica dell’universo, fatta di cause e corrispondenze, come sopra così sotto, come sotto così sopra, è stata sostituita da relazioni casuali e spesso inspiegabili, del tutto meccanicistiche, tra fenomeni non correlati e privi di vita. Il fatto che oggi le persone leggano l’oroscopo o che i libri sul buddismo e sulla Wicca continuino ad essere popolari è solo un fenomeno sociologico, una piccola ribellione, se volete, contro il paradigma contemporaneo dominante di un universo senz’anima e privo di significato. (Se l’universo fosse un libro, l’edizione odierna sarebbe scritta da Samuel Beckett). Abbiamo perso l’Universo Magico e non lo riavremo indietro, anche se chi conosce le culture di alcune parti dell’Africa e dell’Asia sa che esse ne hanno conservato molto più di noi. Le conseguenze più ampie di ciò meritano di essere prese in considerazione.

Cosa abbiamo invece? Beh, non molto, perché è molto difficile dare un senso a ciò che accade nel mondo senza poter contare almeno su alcune basi intellettuali generali, che ormai non abbiamo più. Diverse religioni hanno creduto che i loro libri sacri fornissero queste basi. Così il cristianesimo ha ereditato dal giudaismo una serie di interpretazioni della Bibbia su quattro livelli, di cui solo il primo rappresentava il significato letterale, mentre gli altri erano allegorici. (Ha aggiunto l’idea che tutto nel Nuovo Testamento fosse prefigurato da un episodio dell’Antico Testamento e che il resto della storia fosse stato predetto lì). Allo stesso modo, parte del fascino dell’Islam fondamentalista è che ha effettivamente una visione del mondo coerente e totalizzante e che i suoi scritti contengono, o possono essere fatti divulgare, le risposte a ogni domanda che si possa mai voler porre. Nella misura in cui tali visioni del mondo persistono, esse agiscono, tra le altre cose, come un corpus di credenze e pratiche che danno al mondo, anche se in modo imperfetto, un significato continuo e coerente. (Inutile dire che comprendere il potere continuo delle religioni fondamentaliste, nel mondo musulmano ma anche in alcune parti dell’Africa subsahariana e degli Stati Uniti, è troppo difficile intellettualmente per la nostra società, quindi gli esperti ricorrono a spiegazioni banali e riduttive che sono almeno alla loro portata).

Eppure, già da molto tempo, chiunque si avventurasse nel mondo degli studi biblici rimaneva sorpreso nello scoprire quanto fosse fragile e contingente il testo. I monaci di Eco probabilmente utilizzavano la Bibbia Vulgata, una raccolta del IV secolo redatta da vari autori in greco, ebraico e latino, che a volte includeva traduzioni di traduzioni e che era in competizione con altre versioni. Questo era già abbastanza grave, ma come ha sottolineato Charles Taylor, l’ascesa del protestantesimo, con la sua sfiducia nei confronti dei rituali e della gerarchia ecclesiastica, la sua enfasi sui legami personali con Dio e sulla lettura attenta della Bibbia, e il “pensare con la propria testa” sul suo significato, non solo ha contribuito a creare il nostro mondo moderno, individualista e privo di magia, ma ha anche permesso di estrarre una varietà quasi infinita di significati contrastanti dalle diverse traduzioni, con il crollo del controllo precedentemente centralizzato dell’interpretazione biblica. Le conseguenze più ampie non sono state sempre positive, e le abitudini intellettuali che ne sono derivate hanno ancora oggi delle ripercussioni.

Il sistema più totalizzante a cui il mondo occidentale moderno si sia mai avvicinato è il comunismo. Dico volutamente “comunismo” e non “marxismo”, perché il marxismo è un sistema di pensiero e di analisi che è sempre esistito indipendentemente dai particolari sistemi politici, e continua ad esistere. Esso vive o muore in base al suo potere esplicativo, proprio come le leggi del moto di Newton non sono state invalidate dal design difettoso dei primi motori a razzo. Mentre il marxismo pratico era un hobby intellettuale e sociale per i pensatori della classe media, il comunismo era un sistema completo presente a tutti i livelli della società. Tendiamo a pensare all’Unione Sovietica in questo contesto, ma per molti versi i paesi con partiti politici di massa forniscono esempi migliori. Cinquant’anni fa, in Francia o in Italia, dove i partiti comunisti attiravano forse un quinto dell’elettorato, essi erano di fatto Stati paralleli, che spesso controllavano intere città e regioni, con i propri media, i propri festival, la propria etica di servizio e persino le proprie attività educative. Inoltre, facevano parte di un sistema internazionale diretto da Mosca che, come la Chiesa cattolica medievale, non tollerava alcun dissenso. Quando si verificavano eventi preoccupanti, come la repressione della rivolta ungherese del 1956, giornali, riviste, funzionari locali del partito, illustri intellettuali e commentatori radiofonici e televisivi erano pronti a dire alla gente che non doveva preoccuparsi e che Mosca aveva ragione.

In Occidente, alla fine degli anni ’60 questo sistema aveva iniziato a perdere slancio e i partiti “marxisti”, per come li conoscevo allora, stavano diventando circoli di discussione litigiosi, dove le battute sul tenere conferenze annuali nelle cabine telefoniche non erano del tutto infondate. Ma vale la pena sottolineare che i partiti comunisti erano presenti in tutto il mondo (il che, a mio avviso, confuta la facile argomentazione di Bertrand Russell secondo cui il comunismo era solo un’eresia cristiana). Tralasciando la Cina come esempio speciale, uno degli effetti modernizzanti del colonialismo e dei mandati della Società delle Nazioni tra le due guerre fu la diffusione di idee progressiste e di sinistra in società profondamente tradizionali. A un certo punto, il Partito Comunista Indonesiano era il terzo più grande al mondo, e i suoi omologhi conducevano un’esistenza vigorosa, anche se clandestina, negli ex Stati ottomani come l’Iraq e la Siria. Questi movimenti possono essere visti come tentativi di ricreare l’effetto totalizzante della religione, ma in un contesto laico, per aiutare i progetti di modernizzazione e di costruzione della nazione. Il fallimento della politica di stampo occidentale, compreso il marxismo, nel mondo arabo è riconosciuto come la spiegazione principale dell’attuale interesse per l’Islam politico fondamentalista, in quanto, di fatto, l’unico sistema politico che non è stato ancora sperimentato e l’unica possibilità per le società intrappolate tra modernismo e tradizione di trovare una spiegazione coerente del mondo.

In Occidente, il marxismo è diventato un’impresa di nicchia, con alcuni pensatori potenti e importanti e alcune cose molto rilevanti da dire sul mondo, ma al giorno d’oggi senza una struttura generale o addirittura una visione condivisa del mondo. I suoi discendenti, dal miserabilismo marcusiano alla cupa politica identitaria, hanno di fatto diviso la società in fazioni sempre più piccole e in lotta tra loro, negando persino la possibilità di un cambiamento positivo e di un’evoluzione, poiché, secondo loro, il dominio del capitalismo/della società dei consumi/del patriarcato/dei gruppi razziali e delle strutture di potere in generale è totale. Proprio quello che ci vuole quando si ha bisogno di essere rallegrati e motivati. Almeno il comunismo aveva una visione.

Non sorprende quindi che le persone si sentano così sole, aggrappandosi a qualsiasi sistema esplicativo riescano a trovare per orientarsi e dare un senso agli eventi che accadono, scegliendo talvolta sistemi piuttosto eccentrici o addirittura pericolosi. In teoria non dovrebbe essere così. L’era secolare ci ha liberati dal giogo della Chiesa, si dice qui, i sistemi educativi gerarchici sono stati fatti saltare in aria e sostituiti dal “co-apprendimento”, e l’autorità tradizionale è derisa e diffidata. Quindi la strada è aperta affinché ciascuno di noi possa giungere alle proprie conclusioni e affermare le proprie opinioni, nella gloriosa indipendenza intellettuale personale della nostra società liberale.

Ora è importante ammettere che la premessa iniziale del pensiero liberale in questo ambito era che le persone (o almeno le élite liberali) dovessero essere libere di avere ed esprimere opinioni personali, specialmente in materia politica, anche se tali opinioni non erano gradite alle autorità. E per un certo periodo, questo è stato probabilmente il modo in cui funzionavano molte società occidentali, anche se oggi tale libertà sta rapidamente scomparendo. Ma lo scopo più ampio era quello di promuovere la posizione di gruppi relativamente piccoli e istruiti che volevano sfidare il sistema politico esistente e sostituirlo con uno che desse loro più influenza, oltre a minare il potere della Chiesa. Non era una licenza per chiunque di dire ciò che voleva e di avere qualsiasi opinione desiderasse. I liberali al potere si rivelarono repressivi quanto i monarchici, e infatti gli Stati liberali videro la crescita di burocrazie, di “esperti”, di università e istituzioni accademiche alle quali ci si aspettava che ci si rimettesse, un po’ come alla Chiesa. E, per essere equi nei confronti del liberalismo due volte nello stesso paragrafo, era vero che a quei tempi tali istituzioni e individui erano spesso coscienziosi e facevano del loro meglio: un’altra cosa che abbiamo perso.

La progressiva emancipazione del liberalismo dai vincoli e dalle influenze esterne ha prodotto l’effetto che ci si poteva aspettare. L’attacco anche al solo tentativo di trovare una qualche verità accettabile e utilizzabile, la decostruzione di tutto fino a quando la decostruzione non ha divorato se stessa e, soprattutto, la creazione e il sostentamento ossessivi dell’individuo alienato, senza passato, senza storia, senza cultura e senza società, senza alcuna funzione se non quella del consumo, hanno prodotto una società in cui siamo abbandonati in nome della libertà. Ha anche, logicamente, distrutto le strutture intermedie a cui le persone potevano affidarsi in passato per un’interpretazione coerente degli eventi. L’argomento è essenzialmente lo stesso che ci incoraggia a essere “amministratori delegati della nostra vita”, a organizzare la nostra pensione, ad “assumerci la responsabilità” del nostro benessere mentale e fisico. È una servitù sotto le spoglie della libertà, che ci impone responsabilità che pochi di noi sono in grado di gestire e ci priva delle strutture di sostegno del passato. Il risultato è quello di renderci meno potenti e più dipendenti.

Naturalmente, molte persone non la vedono in questo modo, o almeno credono di non vederla così. L’individualismo è sempre stato una causa popolare (come diceva la battuta della mia adolescenza: “Papà, perché non posso essere anticonformista come tutti gli altri?”). Ma come per molte cose, la sua effettiva attuazione risulta essere un po’ più complicata di quanto pensassimo. Si possono naturalmente fare dichiarazioni altisonanti sull’indipendenza e sull’essere un individuo, capitano del proprio destino, padrone della propria anima, ecc. Una che mi viene in mente è tratta dalla famosa poesia di AE Housman, che pur essendo “uno straniero e spaventato/in un mondo che non ho mai creato” affermava tuttavia che:

Le leggi di Dio, le leggi dell'uomo,
Lui può rispettarle, se vuole e può;
Io no: che Dio e l'uomo decreti
Le leggi per sé stessi e non per me.

Eppure Housman condusse una vita particolarmente infelice, ed è difficile sostenere che la sua indipendenza aggressivamente vantata gli abbia effettivamente portato molti benefici. In realtà, la maggior parte dei "ribelli" autocoscienti (Baudelaire è un altro buon esempio) hanno condotto vite di miserabile fallimento, perché hanno trascorso troppo tempo a ribellarsi e non abbastanza a cercare di costruirsi una vita alternativa praticabile.

La presentazione standard, suppongo, sarebbe: “Non prendo le mie opinioni dagli altri, considero tutti i fatti e decido da solo”. Va bene, ma come si fa esattamente? Su quali basi? Dopo tutto, un paio di secoli fa, la libertà che i liberali chiedevano era essenzialmente quella di poter esprimere opinioni impopolari senza essere penalizzati. Non credo (e questa è l’ultima volta che oggi mi mostro equo nei confronti del liberalismo) che abbiano mai previsto un’anarchica libertà totale, senza alcun accordo spesso sui fatti più elementari. Eppure è così che molte persone, specialmente gli individualisti aggressivi, vedono effettivamente le cose oggi. Ho già menzionato alcune questioni di alto profilo, ma qui voglio discutere un caso più dettagliato, proprio perché esprimere un giudizio al riguardo richiederebbe conoscenze che non possiedo e che, in realtà, pochissime persone possiedono.

All’inizio di quest’anno, gli Stati Uniti hanno effettuato un bombardamento su quelli che hanno definito impianti di ricerca sulle armi nucleari in Iran. Sono state fatte dichiarazioni sul numero e sul tipo di aerei coinvolti e sui risultati ottenuti. Molti aspetti, tra cui il coinvolgimento di altre nazioni, non sono ancora chiari e probabilmente non lo saranno mai. (Ho visto una dichiarazione ufficiale del Pentagono la scorsa settimana, ed è per questo che mi è tornato in mente). Per scrivere qualcosa di intelligente su questo episodio, l’ideale sarebbe avere una formazione in aviazione militare e pianificazione delle missioni, una buona conoscenza teorica degli effetti delle armi a penetrazione profonda sganciate dall’aria, una buona comprensione dei sistemi di difesa aerea iraniani, una comprensione altrettanto buona delle contromisure elettroniche statunitensi, abilità nell’interpretazione delle fotografie satellitari, competenza nella geologia della regione, una buona idea della configurazione dei tunnel costruiti dagli iraniani e, preferibilmente, aver ispezionato personalmente i danni. È chiaro che nessuno può avere tutte queste conoscenze: anche i governi possono solo fingere di averne una parte. Eppure, l’episodio è stato descritto in modo approfondito, spesso da persone con poca o nessuna conoscenza dei dettagli tecnici.

Da dove hanno tratto le loro opinioni? Beh, per lo più hanno citato o riprodotto silenziosamente argomenti di altri commentatori con almeno una certa conoscenza tecnica in uno o più di questi settori. C’era un’ampia varietà di analisi tra cui scegliere, quindi come fa un opinionista generalista, che scrive per i media o per il proprio sito Internet, a valutare tutti i fatti e decidere autonomamente? Dopo tutto, il fondamento della fiducia nel valore del giudizio individuale è l’idea che tutti i fatti siano in linea di principio conoscibili e che gli esseri umani, in quanto animali razionali, possano esprimere un giudizio su di essi. Da una parte c’è la dichiarazione ufficiale del governo degli Stati Uniti dopo l’operazione, dall’altra c’è un esperto di “geostrategia” e altrove ancora c’è un fisico che un tempo lavorava alla progettazione di armi. A chi credere e quale pensiero riprodurre: come decidere? (Sono felice di poter dire che non conosco la verità su questo episodio e non mi sento in dovere di esprimere un giudizio al riguardo. Ma d’altra parte il mio sostentamento non dipende da queste cose).

Ebbene, si dà il caso che sappiamo molto su come gli esseri umani decidono tra spiegazioni contrastanti: in poche parole, lo fanno emotivamente. Come ha ampiamente dimostrato Daniel Khaneman, che ho già citato in precedenza, prendiamo la maggior parte delle nostre decisioni in modo rapido ed emotivo, basandoci sull’istinto. Queste decisioni, che egli ha definito decisioni di tipo 1, sono il residuo di un’epoca in cui la vita era più pericolosa e le decisioni rapide e istintive potevano salvarti la vita. Tuttavia, la maggior parte delle decisioni importanti che dobbiamo prendere nella vita sono in realtà decisioni di tipo 2, in cui dobbiamo considerare attentamente le prove. In parole povere, possiamo dire che la maggior parte delle persone prende decisioni di tipo 1 su chi credere quando dovrebbe prendere decisioni di tipo 2. Vale a dire: questa persona mi piace, la sua politica è simile alla mia, attacca obiettivi che anche io detesto, quindi deve avere ragione su questo tema. E in pratica, data la spaventosa complessità di quasi tutte le crisi internazionali, questo è tutto ciò che si può realmente fare: la possibilità di “decidere da soli” consiste in pratica solo nel decidere soggettivamente a chi credere.

Stranamente, questo ci riporta al Medioevo. Sorprendentemente spesso, quando gli esperti vengono messi in discussione, citano una fonte che ritengono autorevole o che dovrebbe essere trattata come tale. Si tratta della tradizionale pratica dell’argomento dall’autorità, che di solito assume la forma “X è un esperto di A, B è un esempio di A, quindi le opinioni di X su B devono essere corrette”. Nonostante sia un evidente errore logico, è una forma di argomentazione che si incontra ancora molto spesso oggi. (La sua forma estrema ha il meraviglioso nome di ipsedixitism, ovvero “l’ha detto lui stesso”, quindi non c’è discussione). Tuttavia, nel Medioevo c’erano “autorità” riconosciute (in particolare Aristotele) che non venivano contestate. In generale, era attraverso i loro scritti che erano considerati autorevoli: “autore” deriva dalla stessa radice di “autorità”. Ovviamente anche la Bibbia era un’autorità, ma la Chiesa insisteva sul monopolio delle letture autorevoli della stessa. In entrambi i casi, così come nelle società tradizionali in generale, e come ho sottolineato in uno dei miei primi saggi, l’autorità era in realtà basata su qualcosa di relativamente coerente, come l’età e l’esperienza, la preminenza intellettuale o anche la semplice antichità (più era antica, meglio era). Oggi non è più così: da un lato c’è un ufficiale militare esperto che dice che i russi stanno subendo terribili perdite in Ucraina, dall’altro c’è un ufficiale militare esperto che dice che non è vero. Chi crediamo dipende essenzialmente da ciò che vogliamo sentirci dire. È molto improbabile che abbiamo le competenze e le informazioni necessarie per valutare le loro argomentazioni.

Ovviamente ci sono alcune cose che possiamo fare per “pensare con la nostra testa”, ma nella maggior parte dei casi richiedono l’accesso a fatti e tecnologie che la persona comune non possiede, motivo per cui, in realtà, la persona comune non può semplicemente “prendere una decisione”. (Non mi riferisco alle “fake news” e simili). A volte, però, un po’ di pensiero logico può aiutare. Ad esempio, durante la crisi del Kosovo del 1999, quando era difficile ottenere informazioni concrete di qualsiasi tipo, circolò la notizia che la polizia serba aveva massacrato venti insegnanti in un villaggio e lasciato i loro corpi in un fosso. Come al solito, le persone presero posizione in base alle loro predisposizioni emotive. Ma quando ci abbiamo riflettuto, il numero ci è sembrato molto alto. Dopo tutto, ipotizzando un rapporto alunni-insegnanti ragionevolmente generoso di 35-1, stiamo ipotizzando una o più scuole con 700 alunni, anche supponendo che ogni singolo insegnante sia stato ucciso. Sembrava improbabile che ci fossero molti villaggi in Kosovo con 700 bambini in età scolare, o addirittura 700 abitanti in totale. E a tempo debito è emerso che il rapporto era stato travisato e che erano stati trovati venti corpi, uno dei quali si riteneva fosse un insegnante.

È possibile farlo su scala più ampia se si desidera davvero “pensare con la propria testa”, ma per farlo occorrono tempo e risorse che pochi di noi possiedono. Un importante studio (risalente ormai a qualche anno fa, ma la situazione non può che essere peggiorata) ha dimostrato che molti dei fatti e delle cifre citati su questioni controverse e di grande rilevanza, come la tratta di esseri umani e le morti causate dai conflitti, non sono tanto esagerati quanto semplicemente inventati, e passati di mano in mano fino a quando non vengono citati da un’organizzazione rispettabile o da un governo, a quel punto diventano canonici. Le ONG e gli attivisti giustificano le loro esagerazioni, e persino le loro vere e proprie invenzioni, sostenendo di “richiamare l’attenzione” su un problema, ma ovviamente il risultato è quello di dare il via a una corsa inutile e di cattivo gusto per dimostrare che il mio problema è più grave del tuo. E qualsiasi tipo di scetticismo indagatore viene spesso attaccato con ricatti emotivi (“Immagino che tu pensi che la tratta di esseri umani non sia un problema, allora!”).

Ma puoi fare la stessa cosa da solo, in chiave minore, se sei disposto a impegnarti un po’. Spesso è interessante cliccare sui link presenti negli articoli polemici, che, secondo le normali buone pratiche, dovrebbero rimandare a fonti autorevoli. In realtà, spesso rimandano semplicemente a un altro articolo che dice la stessa cosa, che a sua volta può citare un altro articolo che dice la stessa cosa, e alla fine non si arriva mai a nessuna prova concreta. Ma alla maggior parte delle persone non importa, ovviamente, purché l’articolo dica loro ciò che vogliono sentire.

Ora, ci sono argomenti – quelli etici, per esempio – che dipendono meno dalle prove e in cui presumibilmente c’è più spazio per “decidere cosa pensare”. Prendiamo ad esempio l’aborto. Dopotutto, siamo stati tutti feti, siamo tutti nati e la maggior parte degli adulti ha figli. Quindi ci si aspetterebbe che in un sondaggio su un migliaio di persone si trovasse un gran numero di opinioni diverse, spesso con diverse sfumature. Ma in pratica, tutte queste indagini mostrano un raggruppamento attorno a una piccola manciata di posizioni, spesso caratterizzate da un profondo coinvolgimento emotivo e da un rifiuto veemente e violento delle altre opinioni. Ma questo è solo un caso estremo della tendenza delle persone a rifugiarsi in silos emotivi, aggrappandosi a una delle opinioni più comuni con cui si identificano istintivamente.

La violenza con cui tali emozioni vengono espresse deriva in ultima analisi dalla paura. La nostra società non apprezza né si fida degli argomenti logici, e sorprendentemente poche persone sono in grado di costruire un argomento logico senza aiuto: quindi non ci sono molte possibilità di “decidere da soli”. Eppure la nostra società dice alle persone che dovrebbero “mettere in discussione tutto” e “giungere alle proprie conclusioni”. Si tratta ovviamente di ipocrisia: ci sono sempre più idee che non possono essere messe in discussione e in cui giungere alle proprie conclusioni ti rende molto impopolare. La realtà è che la costruzione di argomentazioni logiche non è un’abilità con cui nasciamo, e la volontà di sostenere e difendere opinioni genuinamente personali è un buon modo per rendersi odiosi da tutte le parti. Oggi è convenzionale santificare George Orwell, ma ai suoi tempi era una figura marginale, poco conosciuta prima della pubblicazione di Animal Farm. La sua insistenza nel giungere alle proprie conclusioni e nell’esprimerle (spesso attingendo alle proprie esperienze personali) lo rese impopolare non solo alla destra, per le sue opinioni socialiste, ma anche alla sinistra, allora dominata dai comunisti e dai loro simpatizzanti. Oggi avrebbe difficoltà a trovare un pubblico consistente (“da che parte stai, George?”).

Se prendessimo sul serio il concetto di “pensare con la propria testa”, allora dovremmo adottare misure per aiutare le persone a farlo. Negli ultimi cinquant’anni lo slogan è stato “insegnare ai bambini a pensare”, piuttosto che introdurli ai sistemi di pensiero. Poiché mi sono occupato un po’ di istruzione, ho chiesto occasionalmente alle persone quale sarebbe il programma di studi per questo e come verrebbe insegnato. Mormorii, mormorii, insegnare ai bambini a mettere in discussione tutto è la risposta più comune, e come abbiamo visto è profondamente ipocrita. In realtà, non si tratta di “insegnare ai bambini a pensare”, ma piuttosto di insegnare loro che non riceveranno alcun aiuto nel loro sviluppo intellettuale e che quindi sono tenuti a “pensare con la propria testa”, proprio come ci si aspetta che scelgano tra polizze assicurative dettagliate e complesse o valutino i rischi legati all’assunzione di vari farmaci. Nessuno li aiuterà.

È interessante immaginare come sarebbe effettivamente strutturato un programma del genere. Per cominciare, includerebbe la logica formale, sia per consentire alle persone di costruire argomentazioni coerenti sia, cosa ancora più importante, per riconoscere gli errori logici nelle argomentazioni altrui. La maggior parte delle persone non ha idea di cosa siano realmente l’argomentazione logica e l’analisi logica, e ascoltarne degli esempi per la prima volta può provocare una sensazione di affogamento e di terra che crolla sotto i piedi. (“Ma non può essere giusto!”) Come dico agli studenti, bisogna stare molto attenti a seguire le catene di ragionamenti logici, perché potrebbero condurvi in luoghi dove non avevate intenzione di andare. È molto meglio partire da una conclusione accettabile e costruire un ragionamento plausibile a sostegno di essa. Studierebbero anche la retorica, anche in questo caso non tanto per apprendere le tecniche retoriche quanto per identificare l’uso improprio della retorica da parte degli altri. La logica e la retorica, ovviamente, erano due delle tre branche del Trivium medievale: la terza, la grammatica, che aiutava a esprimersi in modo chiaro, oggi sarebbe probabilmente inaccettabile da insegnare. Insieme al Quadrivium (Aritmetica, Astronomia, Geometria e Musica), costituivano le “capacità di pensiero” dell’epoca, che consentivano agli studiosi di organizzare la Disputatio, altamente complessa e formalizzata. Suppongo che questo sia ciò che significa “insegnare ai bambini a pensare”. È un peccato che non lo facciamo più, ma piuttosto neghiamo il concetto stesso di significato se non come funzione del potere, definiamo le parole in modo che significhino ciò che vogliamo, consideriamo la logica una forma di oppressione e poniamo Ciò che Sento al vertice della verità, ammesso che accettiamo che la verità possa esistere.

Quindi siamo estranei e spaventati in un mondo che non abbiamo mai creato, in una misura che Housman non avrebbe mai potuto immaginare. Il mondo è ufficialmente privo di significato, l’individuo ha solo lo status di consumatore in un universo cieco guidato dal mercato, la storia non può essere discussa, la cultura è una forma di oppressione e l’unico concetto condiviso del mondo è un scientismo materialista ottocentesco volgarizzato, un universo morto di atomi che si scontrano ciecamente. Questo rende alcune persone infelici. Ma viene loro detto che sono loro i responsabili della loro felicità o infelicità e che quindi dovrebbero “pensare con la propria testa”, in questo come in tutti gli altri ambiti. Ma come in tutti gli altri ambiti, è una bugia: tutto ciò che ci viene dato è una scelta artificiale tra quelle che Orwell chiamava “piccole ortodossie puzzolenti che ora contendono le nostre anime”. Ma Orwell era abbastanza antiquato da pensare in termini di anime.

Carlo Galli, Tecnica_recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

Carlo Galli, Tecnica, Il Mulino, Bologna 2025, pp. 170, € 16,00.

Quali contemporanei ci confrontiamo quotidianamente con la tecnica – e ancor più col progresso tecnico – che ci cambia la vita sotto ogni aspetto. Dalla comunicazione alla salute, dalle abitudini al lavoro e al tempo libero.

Questo saggio ne cura in particolare uno, quello decisivo, il rapporto tra tecnica e potere e come quella condizionasse questo, agevolandone l’opera o sovvertendolo.

Partendo dalla sua ineluttabilità. Scrive l’autore che non vi è cura per la tecnica, perché fa parte del modo di esistenza umano, è un fare produttivo: “la tecnica costituisce l’essere umano e la stessa storia della specie umana, ma è anche capace di minacciare l’umanità”. Ciò perché è “neutra” nel senso che non determina i fini, ma è un mezzo: può servire a fare antibiotici come la bomba atomica: “La tecnica è indispensabile ma non è neutra, non può esserlo – e quindi non è possibile una tecnocrazia: il kratos non è della tecnica ma di chi la produce e la impiega. La tecnica è sempre trascinata all’interno di polarità e conflitti, storici ed intellettuali: fra politica e burocrazia, fra azione e fabbricazione, fra tradizione e progresso”.

Per orientarsi sul tema Galli propone due coordinate essenziali: la prima che la tecnica va pensata come azione orientata all’utilità, cioè al profitto e alla potenza; “La seconda è che il pensiero si forma attraverso il fare, che esige la relazione col pensato, ma al tempo stesso il pensiero trascende il pensato se non altro perché è capace di pensare sé stesso e la propria origine. Il pensiero non è disincarnato ma anzi è «concreto»”.

La connessone con la politica e l’economia fa si che ci sia sempre una politica (e una geopolitica) della tecnica. Perché nella tecnica “non c’è solo l’elemento strumentale: vi sono compresi anche il Saper fare, il Voler fare, il Poter fare. Ovvero, nella tecnica sono presenti fattori epistemologici, economici, politici”. La coessenzialità di tecnica e natura umana è nel costruire ma anche nel criticare, nel co-determinare le azioni umane; implica che la “tecnica è necessaria alla definizione dell’umanità, ma non è sufficiente. La ragione tecnica è un universale parziale, ovvero non è tutta la ragione: c’è un’eccedenza, ed è il pensiero che pensa quella ragione”.

Un pensiero interessato, ma non solo strumentale che ri-orienta l’azione. A questo è dedicato il terzo capitolo in cui Galli mostra “i molti modi con cui la filosofia ha messo in rapporto la tecnica, il sapere e l’agire, la realtà naturale e l’artificio, e con cui ha reagito alla moderna esondazione della tecnica, estesa a ogni ambito della società e delle mentalità”; con soluzioni che vanno “dal massimo di estraneità fra teoria e fabbricazione, quindi, fino al massimo di immanenza”. Il libro conclude con due tesi. La prima è che il dominio che si realizza “non è della sola tecnica come strumentale fabbricazione: è dominio di una forma concreta, storica, di combinazione fra sapere pratico, politica, economia, comunicazione. Quando ci accorgiamo di servire la tecnica e il suo nichilismo, o i suoi simulacri, possiamo quindi capire che stiamo servendo il profitto o la potenza di qualcuno: non è l’impersonale ma persone”.

La seconda, collegata alla prima è che così esiste “lo spazio della critica e la possibilità dell’agire politico, che vada al di là di quel fabbricare che ci sta fabbricando”. E Galli prosegue: “Quelle due tesi, combinate, sono insomma un invito alla «critica della tecnica»… Una critica realistica (un «realismo critico») che esige capacità di vedere le contraddizioni tra universalità e parzialità, fra progresso e dominio… la cui esistenza e consistenza è il vero problema – non tanto dalla tecnica quanto dalle coazioni del sistema sociopolitico di cui questa è l’espressione storica concreta”.

Due notazioni del recensore a margine di un saggio esauriente e attuale.

La prima: a differenza delle concezioni tecnocratiche, non c’è soluzione tecnica valida a prescindere dai fini cui è indirizzata. Cioè buona, auspicabile, voluta (da chi i fini determinava). Il che significa che i presupposti del politico (comando/obbedienza; pubblico/privato; amico/nemico) rimangono immutati e pure se condizionati dalla tecnica, non se sono detronizzati.

La seconda che perciò non c’è una tecnocrazia quale forma politica (come monarchia, aristocrazia, democrazia); c’è una conformazione dell’organizzazione pubblica alla novità delle situazioni, tra cui – numerosissime – quelle risultanti dallo sviluppo tecnico. La contraria convinzione già criticata da Croce con ironia è costantemente smentita dal fatto – peraltro energicamente sostenuto da Galli – che è sempre un “modello”, a servizio di un potere (a cui risponde). E che sotto una apparente oggettività finisce per conculcare la soggettività degli individui e delle loro formazioni sociali, con il tramonto di ogni libera prospettiva di piena comprensione di un mondo di cui questi abbiano “piena comprensione e responsabilità”.

Teodoro Klitsche de la Grange

Mearsheimer: Il futuro cupo dell’Europa_a cura di The American Conservative

Questo discorso è stato pronunciato durante una conferenza tenutasi al Parlamento europeo a Bruxelles il 10 novembre 2025.

CONTRIBUITE!!! La situazione finanziaria del sito sta diventando insostenibile per la ormai quasi totale assenza di contributi
Il  sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:
– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;
– IBAN: IT30D3608105138261529861559
PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo
Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo
Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione).
Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373

L’ Europa è oggi in profonda difficoltà, principalmente a causa della guerra in Ucraina, che ha avuto un ruolo chiave nel minare quella che era stata una regione in gran parte pacifica. Purtroppo, è improbabile che la situazione migliori negli anni a venire. Anzi, è probabile che l’Europa sia meno stabile in futuro di quanto non lo sia oggi.

L’attuale situazione in Europa è in netto contrasto con la stabilità senza precedenti di cui l’Europa ha goduto durante il periodo unipolare, che durò all’incirca dal 1992, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, fino al 2017, quando Cina e Russia emersero come grandi potenze, trasformando l’unipolarismo in multipolarismo. Ricordiamo tutti il ​​famoso articolo di Francis Fukuyama del 1989, “La fine della storia?”, in cui sosteneva che la democrazia liberale era destinata a diffondersi in tutto il mondo, portando con sé pace e prosperità. Questa argomentazione era ovviamente completamente sbagliata, ma molti in Occidente ci hanno creduto per oltre 20 anni. Pochi europei immaginavano, all’apice dell’unipolarismo, che l’Europa si sarebbe trovata oggi in così gravi difficoltà.

Quindi, cosa è andato storto?

La guerra in Ucraina, che a mio avviso è stata provocata dall’Occidente, e in particolare dagli Stati Uniti, è la causa principale dell’insicurezza europea odierna. Tuttavia, c’è un secondo fattore in gioco: lo spostamento dell’equilibrio di potere globale nel 2017 dall’unipolarismo al multipolarismo, che avrebbe sicuramente minacciato l’architettura di sicurezza in Europa. Ciononostante, ci sono buone ragioni per pensare che questo spostamento nella distribuzione del potere fosse un problema gestibile. Ma la guerra in Ucraina, unita all’avvento del multipolarismo, ha garantito grossi problemi, che difficilmente si risolveranno nel prossimo futuro.

Vorrei iniziare spiegando come la fine dell’unipolarismo minacci le fondamenta della stabilità europea. Poi discuterò degli effetti della guerra in Ucraina sull’Europa e di come questi abbiano interagito con il passaggio al multipolarismo, alterando profondamente il panorama europeo.

Il passaggio dall’unipolarità alla multipolarità

La chiave per preservare la stabilità nell’Europa occidentale durante la Guerra Fredda e in tutta Europa durante il periodo unipolare fu la presenza militare statunitense in Europa, integrata nella NATO. Gli Stati Uniti, ovviamente, hanno dominato quell’alleanza fin dall’inizio, il che ha reso quasi impossibile per gli stati membri sotto l’ombrello di sicurezza americano combattere tra loro. Di fatto, gli Stati Uniti sono stati una potente forza pacificatrice in Europa. Le élite europee di oggi riconoscono questo semplice fatto, il che spiega perché sono profondamente impegnate a mantenere le truppe americane in Europa e a mantenere una NATO dominata dagli Stati Uniti.

Vale la pena notare che, quando la Guerra Fredda finì e l’Unione Sovietica si mosse per ritirare le sue truppe dall’Europa orientale e porre fine al Patto di Varsavia, Mosca non si oppose al fatto che una NATO dominata dagli Stati Uniti rimanesse intatta. Come gli europei occidentali dell’epoca, i leader sovietici comprendevano e apprezzavano la logica pacificatrice. Tuttavia, erano fermamente contrari all’espansione della NATO, ma di questo parleremo più avanti.

Qualcuno potrebbe sostenere che l’UE, non la NATO, sia stata la causa principale della stabilità europea durante il periodo unipolare, motivo per cui l’UE, non la NATO, ha vinto il Premio Nobel per la Pace nel 2012. Ma questo è sbagliato. Sebbene l’UE sia stata un’istituzione di notevole successo, il suo successo dipende dal mantenimento della pace in Europa da parte della NATO. Capovolgendo Marx, l’istituzione politico-militare è la base o il fondamento, e l’istituzione economica è la sovrastruttura. Tutto questo per dire che, in assenza del pacificatore americano, non solo la NATO come la conosciamo scomparirà, ma anche l’UE sarà seriamente compromessa.

Durante l’unipolarismo, che durò ancora dal 1992 al 2017, gli Stati Uniti erano di gran lunga lo Stato più potente del sistema internazionale e potevano facilmente mantenere una presenza militare sostanziale in Europa. Le sue élite di politica estera, infatti, non solo volevano mantenere la NATO, ma anche espanderla espandendo l’alleanza nell’Europa orientale.

Questo mondo unipolare, tuttavia, svanì con l’avvento del multipolarismo. Gli Stati Uniti non erano più l’unica grande potenza al mondo. Cina e Russia erano ormai grandi potenze, il che significava che i politici americani dovevano pensare in modo diverso al mondo che li circondava.

Per comprendere cosa significhi la multipolarità per l’Europa, è essenziale considerare la distribuzione del potere tra le tre grandi potenze mondiali. Gli Stati Uniti sono ancora il Paese più potente del mondo, ma la Cina ha recuperato terreno ed è ora ampiamente riconosciuta come un concorrente alla pari. La sua enorme popolazione, unita alla sua straordinaria crescita economica dall’inizio degli anni ’90, l’ha trasformata in un potenziale egemone nell’Asia orientale. Per gli Stati Uniti, che sono già un egemone regionale nell’emisfero occidentale, la prospettiva che un’altra grande potenza raggiunga l’egemonia in Asia orientale o in Europa è profondamente preoccupante. Ricordiamo che gli Stati Uniti sono entrati in entrambe le guerre mondiali per impedire a Germania e Giappone di diventare egemoni regionali rispettivamente in Europa e in Asia orientale. La stessa logica si applica oggi.

La Russia è la più debole delle tre grandi potenze e, contrariamente a quanto pensano molti europei, non rappresenta una minaccia per l’intera Ucraina, tanto meno per l’Europa orientale. Dopotutto, ha trascorso gli ultimi tre anni e mezzo solo cercando di conquistare il quinto orientale dell’Ucraina. L’esercito russo non è la Wehrmacht e la Russia – a differenza dell’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda e della Cina nell’Asia orientale oggi – non è un potenziale egemone regionale.

Data questa distribuzione del potere globale, è fondamentale per gli Stati Uniti concentrarsi sul contenimento della Cina e impedirle di dominare l’Asia orientale. Non vi è tuttavia alcuna ragione strategica impellente per cui gli Stati Uniti debbano mantenere una presenza militare significativa in Europa, dato che la Russia non rappresenta una minaccia per la sua egemonia europea. Anzi, dedicare preziose risorse di difesa all’Europa riduce le risorse disponibili per l’Asia orientale. Questa logica di base spiega la svolta statunitense verso l’Asia. Ma se un Paese si sposta verso una regione, per definizione, si allontana da un’altra regione, e quella regione è l’Europa.

C’è un’altra dimensione importante, che ha poco a che fare con l’equilibrio di potere globale, che riduce ulteriormente la probabilità che gli Stati Uniti rimangano impegnati a mantenere una presenza militare significativa in Europa. In particolare, gli Stati Uniti hanno un rapporto speciale con Israele che non ha eguali nella storia documentata. Tale legame, frutto dell’enorme potere della lobby israeliana negli Stati Uniti, non solo significa che i politici americani sosterranno Israele incondizionatamente, ma significa anche che gli Stati Uniti si impegneranno nelle guerre israeliane, direttamente o indirettamente. In breve, gli Stati Uniti continueranno ad allocare ingenti risorse militari a Israele e a impegnare ingenti forze militari proprie in Medio Oriente. Questo obbligo nei confronti di Israele crea un ulteriore incentivo a ritirare le forze statunitensi in Europa e a spingere i paesi europei a provvedere alla propria sicurezza.

In conclusione, le potenti forze strutturali associate al passaggio dall’unipolarismo al multipolarismo, unite alla peculiare relazione dell’America con Israele, hanno il potenziale per eliminare il pacificatore statunitense dall’Europa e paralizzare la NATO, il che avrebbe ovviamente gravi conseguenze negative per la sicurezza europea. È possibile, tuttavia, evitare un’uscita americana, che è sicuramente ciò che quasi tutti i leader europei desiderano. In parole povere, raggiungere questo risultato richiede strategie sagge e un’abile diplomazia su entrambe le sponde dell’Atlantico. Ma non è quello che abbiamo ottenuto finora. Invece, l’Europa e gli Stati Uniti hanno scioccamente cercato di far entrare l’Ucraina nella NATO, il che ha provocato una guerra persa con la Russia, che aumenta notevolmente le probabilità che gli Stati Uniti abbandonino l’Europa e che la NATO venga smembrata. Lasciate che vi spieghi.

Chi ha causato la guerra in Ucraina: la saggezza convenzionale

Per comprendere appieno le conseguenze della guerra in Ucraina, è essenziale considerarne le cause, perché il motivo per cui la Russia ha invaso l’Ucraina nel febbraio 2022 la dice lunga sugli obiettivi bellici della Russia e sugli effetti a lungo termine della guerra.

L’opinione diffusa in Occidente è che Vladimir Putin sia responsabile della guerra in Ucraina. Il suo obiettivo, secondo questa argomentazione, è conquistare tutta l’Ucraina e renderla parte di una Russia più grande. Una volta raggiunto questo obiettivo, la Russia si muoverà per creare un impero nell’Europa orientale, proprio come fece l’Unione Sovietica dopo la Seconda Guerra Mondiale. In questa storia, Putin rappresenta una minaccia mortale per l’Occidente e deve essere affrontato con la forza. In breve, Putin è un imperialista con un piano generale che si inserisce perfettamente nella ricca tradizione russa. Questa storia presenta numerosi problemi. Permettetemi di evidenziarne cinque.

In primo luogo, non ci sono prove anteriori al 24 febbraio 2022 che Putin volesse conquistare l’intera Ucraina e annetterla alla Russia. I sostenitori della saggezza convenzionale non possono indicare nulla di ciò che Putin ha scritto o detto che indichi che ritenesse la conquista dell’Ucraina un obiettivo auspicabile, che lo ritenesse fattibile e che intendesse perseguirlo.

Quando vengono contestati su questo punto, i sostenitori della saggezza convenzionale fanno riferimento all’affermazione di Putin secondo cui l’Ucraina sarebbe uno stato “artificiale” e in particolare alla sua visione secondo cui russi e ucraini sarebbero “un solo popolo”, tema centrale del suo noto articolo del 12 luglio 2021. Questi commenti, tuttavia, non dicono nulla sulle sue ragioni per andare in guerra. Anzi, quell’articolo fornisce prove significative del fatto che Putin abbia riconosciuto l’Ucraina come paese indipendente. Ad esempio, dice al popolo ucraino: “Volete fondare un vostro stato: benvenuti!”. Riguardo a come la Russia dovrebbe trattare l’Ucraina, scrive: “C’è una sola risposta: con rispetto”. Conclude il lungo articolo con le seguenti parole: “E cosa sarà l’Ucraina, spetta ai suoi cittadini deciderlo”.

Nello stesso articolo e nuovamente in un importante discorso pronunciato il 21 febbraio 2022, Putin ha sottolineato che la Russia accetta “la nuova realtà geopolitica che ha preso forma dopo la dissoluzione dell’URSS”. Ha ribadito lo stesso punto per la terza volta il 24 febbraio 2022, quando ha annunciato che la Russia avrebbe invaso l’Ucraina. Tutte queste affermazioni sono in netto contrasto con l’affermazione secondo cui Putin volesse conquistare l’Ucraina e incorporarla in una Russia più grande.

In secondo luogo, Putin non aveva truppe sufficienti per conquistare l’Ucraina. Stimo che la Russia abbia invaso l’Ucraina con al massimo 190.000 uomini. Il generale Oleksandr Syrskyi, attuale comandante in capo delle forze armate ucraine, sostiene che la forza d’invasione russa fosse composta da sole 100.000 unità. Non è possibile che una forza di 100.000 o 190.000 soldati potesse conquistare, occupare e assorbire tutta l’Ucraina in una Russia più grande. Si consideri che quando la Germania invase la metà occidentale della Polonia il 1° settembre 1939, la Wehrmacht contava circa 1,5 milioni di uomini. L’Ucraina è geograficamente più di tre volte più grande della metà occidentale della Polonia nel 1939, e nel 2022 l’Ucraina aveva quasi il doppio della popolazione della Polonia quando i tedeschi la invasero. Se accettiamo la stima del generale Syrskyi secondo cui 100.000 soldati russi hanno invaso l’Ucraina nel 2022, ciò significa che la Russia aveva una forza d’invasione pari a un quindicesimole dimensioni delle forze tedesche che entrarono in Polonia. E quel piccolo esercito russo stava invadendo un Paese molto più grande della metà occidentale della Polonia, sia in termini di estensione territoriale che di popolazione.

Si potrebbe sostenere che i leader russi pensassero che l’esercito ucraino fosse così piccolo e così indebolito da poter facilmente conquistare l’intero Paese. Ma non è così. In realtà, Putin e i suoi luogotenenti erano ben consapevoli che gli Stati Uniti e i loro alleati europei stavano armando e addestrando l’esercito ucraino fin dallo scoppio della crisi, il 22 febbraio 2014. In effetti, il grande timore di Mosca era che l’Ucraina stesse diventando di fatto un membro della NATO. Inoltre, i leader russi riconoscevano che l’esercito ucraino, più numeroso della loro forza d’invasione, stava combattendo efficacemente nel Donbass dal 2014. Avevano sicuramente capito che l’esercito ucraino non era una tigre di carta che poteva essere sconfitta rapidamente e in modo decisivo, soprattutto perché godeva del potente sostegno dell’Occidente. L’obiettivo di Putin era quello di ottenere rapidamente limitate conquiste territoriali e costringere l’Ucraina al tavolo delle trattative, cosa che è avvenuta. Questa discussione mi porta al mio terzo punto.

Subito dopo l’inizio della guerra, la Russia si è rivolta all’Ucraina per avviare negoziati volti a porre fine al conflitto e definire un modus vivendi tra i due Paesi. Questa mossa è in netto contrasto con l’affermazione secondo cui Putin volesse conquistare l’Ucraina e renderla parte della Grande Russia. I negoziati tra Kiev e Mosca sono iniziati in Bielorussia appena quattro giorni dopo l’ingresso delle truppe russe in Ucraina. La pista bielorussa è stata poi sostituita da una pista israeliana e da una di Istanbul. Le prove disponibili indicano che i russi stavano negoziando seriamente e non erano interessati ad assorbire il territorio ucraino, fatta eccezione per la Crimea, che avevano annesso nel 2014, e forse la regione del Donbass. I negoziati si sono conclusi quando gli ucraini, spinti da Gran Bretagna e Stati Uniti, si sono ritirati dai negoziati, che stavano facendo buoni progressi al momento della loro conclusione.

Inoltre, Putin riferisce che, mentre i negoziati erano in corso e stavano facendo progressi, gli è stato chiesto di ritirare le truppe russe dall’area intorno a Kiev come gesto di buona volontà, cosa che ha fatto il 29 marzo 2022. Nessun governo in Occidente o ex politico ha seriamente contestato la versione di Putin, che è in netto contrasto con l’affermazione secondo cui era intenzionato a conquistare tutta l’Ucraina.

In quarto luogo, nei mesi precedenti l’inizio della guerra, Putin ha cercato di trovare una soluzione diplomatica alla crisi incombente. Il 17 dicembre 2021, Putin ha inviato una lettera sia al presidente Joe Biden che al capo della NATO Jens Stoltenberg, proponendo una soluzione alla crisi basata su una garanzia scritta: 1) l’Ucraina non avrebbe aderito alla NATO, 2) nessuna arma offensiva sarebbe stata dislocata vicino ai confini della Russia e 3) le truppe e gli equipaggiamenti della NATO trasferiti nell’Europa orientale dal 1997 sarebbero stati riportati in Europa occidentale. Qualunque cosa si pensi della fattibilità di raggiungere un accordo sulla base delle richieste iniziali di Putin, ciò dimostra che stava cercando di evitare la guerra. Gli Stati Uniti, d’altra parte, si sono rifiutati di negoziare con Putin. A quanto pare, non erano interessati a evitare la guerra.

In quinto luogo, tralasciando l’Ucraina, non c’è la minima prova che Putin stesse contemplando la conquista di altri paesi dell’Europa orientale. Ciò non sorprende, dato che l’esercito russo non è nemmeno abbastanza numeroso da invadere l’intera Ucraina, figuriamoci tentare di conquistare gli Stati baltici, la Polonia e la Romania. Inoltre, questi paesi sono tutti membri della NATO, il che significherebbe quasi certamente una guerra con gli Stati Uniti e i loro alleati.

In sintesi, sebbene in Europa sia opinione diffusa (e sono certo anche qui al Parlamento europeo) che Putin sia un imperialista da tempo determinato a conquistare tutta l’Ucraina e poi altri paesi a ovest dell’Ucraina, praticamente tutte le prove disponibili sono in contrasto con questa prospettiva.

La vera causa della guerra in Ucraina

In effetti, gli Stati Uniti e i loro alleati europei hanno provocato la guerra. Questo non significa negare, ovviamente, che sia stata la Russia a iniziare la guerra invadendo l’Ucraina. Ma la causa profonda del conflitto è stata la decisione della NATO di includere l’Ucraina nell’alleanza, che praticamente tutti i leader russi hanno visto come una minaccia esistenziale da eliminare. Ma l’espansione della NATO non è l’unico problema, poiché fa parte di una strategia più ampia che mira a fare dell’Ucraina un baluardo occidentale al confine con la Russia. L’ingresso di Kiev nell’Unione Europea (UE) e la promozione di una rivoluzione colorata in Ucraina – in altre parole, la trasformazione in una democrazia liberale filo-occidentale – sono gli altri due aspetti di questa politica. I leader russi temono tutti e tre gli aspetti, ma temono soprattutto l’espansione della NATO. Come ha affermato Putin, “la Russia non può sentirsi al sicuro, svilupparsi ed esistere mentre affronta una minaccia permanente proveniente dal territorio dell’Ucraina di oggi”. In sostanza, non era interessato a rendere l’Ucraina parte della Russia; era interessato a garantire che non diventasse quello che lui definiva un “trampolino di lancio” per l’aggressione occidentale contro la Russia. Per far fronte a questa minaccia, il 24 febbraio 2022 Putin ha lanciato una guerra preventiva.

Su cosa si basa l’affermazione secondo cui l’espansione della NATO è stata la causa principale della guerra in Ucraina?

In primo luogo, i leader russi, in generale, hanno ripetutamente affermato prima dell’inizio della guerra di considerare l’espansione della NATO in Ucraina una minaccia esistenziale da eliminare. Putin ha rilasciato numerose dichiarazioni pubbliche in cui ha esposto questa argomentazione prima del 24 febbraio 2022. Anche altri leader russi, tra cui il Ministro della Difesa, il Ministro degli Esteri, il Vice Ministro degli Esteri e l’ambasciatore di Mosca a Washington, hanno sottolineato la centralità dell’espansione della NATO nel causare la crisi in Ucraina. Il Ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha espresso questo punto in modo succinto in una conferenza stampa del 14 gennaio 2022: “La chiave di tutto è la garanzia che la NATO non si espanda verso est”.

In secondo luogo, la centralità del profondo timore russo dell’adesione dell’Ucraina alla NATO è dimostrata dagli eventi successivi all’inizio della guerra. Ad esempio, durante i negoziati di Istanbul, svoltisi subito dopo l’inizio dell’invasione, i leader russi hanno chiarito in modo palese che l’Ucraina avrebbe dovuto accettare la “neutralità permanente” e non avrebbe potuto aderire alla NATO. Gli ucraini hanno accettato la richiesta russa senza opporre una seria resistenza, sicuramente perché sapevano che altrimenti sarebbe stato impossibile porre fine alla guerra. Più recentemente, il 14 giugno 2024, Putin ha esposto le richieste russe per porre fine alla guerra. Una delle sue richieste principali era che Kiev dichiarasse “ufficialmente” di abbandonare i suoi “piani di adesione alla NATO”. Niente di tutto ciò sorprende, poiché la Russia ha sempre considerato l’adesione dell’Ucraina alla NATO come una minaccia esistenziale che doveva essere prevenuta a tutti i costi.

In terzo luogo, un numero considerevole di personalità influenti e stimate in Occidente si rese conto prima della guerra che l’espansione della NATO, in particolare in Ucraina, sarebbe stata vista dai leader russi come una minaccia mortale e avrebbe portato alla catastrofe.

William Burns, che fino a poco tempo prima era a capo della CIA, ma che era ambasciatore statunitense a Mosca durante il vertice NATO di Bucarest dell’aprile 2008, scrisse un promemoria all’allora Segretario di Stato Condoleezza Rice che descriveva sinteticamente le intenzioni russe di portare l’Ucraina nell’alleanza. “L’ingresso dell’Ucraina nella NATO”, scrisse, “rappresenta la più luminosa di tutte le linee rosse per l’élite russa (non solo per Putin). In oltre due anni e mezzo di conversazioni con i principali attori russi, dai tirapiedi nei recessi oscuri del Cremlino ai più acuti critici progressisti di Putin, non ho ancora trovato nessuno che consideri l’Ucraina nella NATO qualcosa di diverso da una sfida diretta agli interessi russi”. La NATO, disse, “sarebbe vista… come una sfida strategica. La Russia di oggi risponderà. Le relazioni russo-ucraine si congeleranno… Creerà terreno fertile per l’ingerenza russa in Crimea e nell’Ucraina orientale”.

Burns non fu l’unico politico occidentale nel 2008 a comprendere che l’ingresso dell’Ucraina nella NATO fosse irto di pericoli. Al vertice di Bucarest, ad esempio, sia la cancelliera tedesca Angela Merkel che il presidente francese Nicolas Sarkozy si opposero a procedere con l’adesione dell’Ucraina alla NATO, perché capivano che ciò avrebbe allarmato e fatto infuriare la Russia. La Merkel ha recentemente spiegato la sua opposizione: “Ero molto sicura… che Putin non avrebbe lasciato che ciò accadesse. Dal suo punto di vista, sarebbe stata una dichiarazione di guerra”.

Vale anche la pena notare che l’ex segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha dichiarato due volte prima di lasciare l’incarico che “il presidente Putin ha iniziato questa guerra perché voleva chiudere la porta della NATO e negare all’Ucraina il diritto di scegliere la propria strada”. Quasi nessuno in Occidente ha contestato questa straordinaria ammissione, e lui non l’ha ritrattata.

Per fare un ulteriore passo avanti, numerosi politici e strateghi americani si opposero alla decisione del presidente Bill Clinton di espandere la NATO durante gli anni ’90, quando la decisione era in discussione. Questi oppositori capirono fin dall’inizio che i leader russi avrebbero visto l’allargamento come una minaccia ai loro interessi vitali e che la politica avrebbe portato alla catastrofe. L’elenco degli oppositori include figure di spicco dell’establishment come George Kennan, il segretario alla Difesa di Clinton, William Perry, e il suo capo di stato maggiore congiunto, il generale John Shalikashvili, Paul Nitze, Robert Gates, Robert McNamara, Richard Pipes e Jack Matlock, solo per citarne alcuni.

La logica della posizione di Putin dovrebbe essere perfettamente comprensibile per gli americani, da tempo fedeli alla Dottrina Monroe, che stabilisce che a nessuna grande potenza lontana è consentito stringere un’alleanza con un paese dell’emisfero occidentale e dislocarvi le proprie forze militari. Gli Stati Uniti interpreterebbero tale mossa come una minaccia esistenziale e farebbero di tutto per eliminare il pericolo. Naturalmente, questo è ciò che accadde durante la crisi missilistica cubana del 1962, quando il presidente John Kennedy chiarì ai leader sovietici che i loro missili a testata nucleare avrebbero dovuto essere rimossi da Cuba. Putin è profondamente influenzato dalla stessa logica. Dopotutto, le grandi potenze non vogliono che grandi potenze lontane spostino forze militari in aree vicine al proprio territorio.

I sostenitori dell’adesione dell’Ucraina alla NATO sostengono talvolta che Mosca non avrebbe dovuto preoccuparsi dell’allargamento, perché “la NATO è un’alleanza difensiva e non rappresenta una minaccia per la Russia”. Ma non è così che i leader russi vedono l’Ucraina nella NATO, ed è ciò che pensano che conta. In sintesi, non c’è dubbio che Putin considerasse l’adesione dell’Ucraina alla NATO una minaccia esistenziale inaccettabile e fosse disposto a dichiarare guerra per impedirla, cosa che fece il 24 febbraio 2022.

Il corso della guerra finora

Vorrei ora parlare dell’andamento della guerra. Dopo il fallimento dei negoziati di Istanbul nell’aprile 2022, il conflitto ucraino si è trasformato in una guerra di logoramento con marcate somiglianze con la Prima Guerra Mondiale sul fronte occidentale. La guerra, che è stata una brutale rissa, dura da oltre tre anni e mezzo. In questo periodo, la Russia ha formalmente annesso quattro oblast ucraini oltre alla Crimea, annessa nel 2014. Di fatto, la Russia ha finora annesso circa il 22% del territorio ucraino pre-2014, tutto nella parte orientale del Paese.

L’Occidente ha fornito un enorme sostegno all’Ucraina dallo scoppio della guerra nel 2022, facendo di tutto tranne che impegnarsi direttamente nei combattimenti. Non è un caso che i leader russi pensino che il loro Paese sia in guerra con l’Occidente. Ciononostante, Trump è determinato a limitare drasticamente il ruolo dell’America nella guerra e a scaricare l’onere del sostegno all’Ucraina sulle spalle dell’Europa.

La Russia sta chiaramente vincendo la guerra ed è probabile che prevalga. Il motivo è semplice: in una guerra di logoramento, ciascuna parte cerca di dissanguare l’altra, il che significa che la parte che ha più soldati e più potenza di fuoco ha maggiori probabilità di emergere vittoriosa. La Russia ha un vantaggio significativo su entrambi i fronti. Ad esempio, Syrskyi afferma che la Russia ha ora tre volte più truppe impegnate in guerra rispetto all’Ucraina e, in alcuni punti lungo la linea del fronte, i russi superano numericamente gli ucraini di 6:1. Infatti, secondo numerosi rapporti, l’Ucraina non ha abbastanza soldati per popolare densamente tutte le sue posizioni in prima linea, il che a volte rende facile per le forze russe penetrare le sue linee del fronte.

In termini di potenza di fuoco, per gran parte della guerra, il vantaggio della Russia nell’artiglieria – un’arma di fondamentale importanza nella guerra di logoramento – è stato segnalato come pari a 3:1, 7:1 o 10:1. La Russia dispone anche di un enorme inventario di bombe plananti ad alta precisione, che ha utilizzato con efficacia letale contro le difese ucraine, mentre Kiev ne possiede pochissime. Sebbene non vi sia dubbio che l’Ucraina disponga di una flotta di droni altamente efficace, inizialmente più efficace di quella russa, la Russia ha ribaltato la situazione nell’ultimo anno e ora ha il sopravvento sia con i droni che con l’artiglieria e le bombe plananti.

È importante sottolineare che Kiev non ha una soluzione praticabile al suo problema di manodopera, poiché ha una popolazione molto più piccola della Russia ed è afflitta da renitenti alla leva e diserzioni. Né l’Ucraina può affrontare lo squilibrio negli armamenti, principalmente perché la Russia ha una solida base industriale che produce enormi quantità di armi, mentre la base industriale ucraina è irrisoria. Per compensare, l’Ucraina dipende fortemente dall’Occidente per gli armamenti, ma i paesi occidentali non hanno la capacità produttiva necessaria per tenere il passo con la produzione russa. A peggiorare la situazione, Trump sta rallentando il flusso di armamenti americani verso l’Ucraina.

In conclusione, l’Ucraina è gravemente surclassata in termini di armamento e di uomini, il che è fatale in una guerra di logoramento. Oltre a questa situazione disastrosa sul campo di battaglia, la Russia dispone di un enorme inventario di missili e droni che utilizza per colpire in profondità l’Ucraina e distruggere infrastrutture critiche e depositi di armi. Certamente, Kiev ha la capacità di colpire obiettivi nelle profondità della Russia, ma non ha la potenza d’attacco di Mosca. Inoltre, colpire obiettivi nelle profondità della Russia avrà scarso impatto su ciò che accade sul campo di battaglia, dove questa guerra si sta svolgendo.

Le prospettive per un accordo pacifico

E le prospettive di una soluzione pacifica? Nel corso del 2025 si è molto discusso sulla ricerca di un accordo diplomatico per porre fine alla guerra. Questa discussione è dovuta in gran parte alla promessa di Trump di risolvere la guerra prima di insediarsi alla Casa Bianca o poco dopo. Ovviamente ha fallito, anzi, non ci è nemmeno andato vicino. La triste verità è che non c’è speranza di negoziare un accordo di pace significativo. Questa guerra sarà risolta sul campo di battaglia, dove è probabile che i russi ottengano una brutta vittoria che si tradurrà in un conflitto congelato con la Russia da una parte e l’Ucraina, l’Europa e gli Stati Uniti dall’altra. Lasciate che vi spieghi.

Una risoluzione diplomatica della guerra non è possibile perché le parti in conflitto hanno richieste inconciliabili. Mosca insiste sul fatto che l’Ucraina debba essere un paese neutrale, il che significa che non può far parte della NATO né ricevere garanzie di sicurezza significative dall’Occidente. I russi chiedono inoltre che l’Ucraina e l’Occidente riconoscano l’annessione della Crimea e delle quattro oblast’ dell’Ucraina orientale. La loro terza richiesta chiave è che Kiev limiti le dimensioni del suo esercito al punto da non rappresentare una minaccia militare per la Russia. Non sorprende che l’Europa, e in particolare l’Ucraina, respinga categoricamente queste richieste. L’Ucraina si rifiuta di concedere qualsiasi territorio alla Russia, mentre i leader europei e ucraini continuano a premere per l’ingresso dell’Ucraina nella NATO o almeno per consentire all’Occidente di fornire a Kiev una seria garanzia di sicurezza. Anche disarmare l’Ucraina a un livello che soddisfi Mosca è un’impresa impossibile. Non c’è modo che queste posizioni contrapposte possano essere conciliate per produrre un accordo di pace.

Pertanto, la guerra si risolverà sul campo di battaglia. Sebbene io creda che la Russia vincerà, non otterrà una vittoria decisiva che la porterà a conquistare tutta l’Ucraina. Piuttosto, è probabile che otterrà una brutta vittoria, occupando tra il 20 e il 40% dell’Ucraina pre-2014, mentre l’Ucraina finirà per essere uno stato residuo disfunzionale che copre il territorio che la Russia non conquista. È improbabile che Mosca cerchi di conquistare tutta l’Ucraina, perché il 60% occidentale del paese è popolato da ucraini etnici che opporrebbero strenuamente resistenza a un’occupazione russa, trasformandola in un incubo per le forze di occupazione. Tutto questo per dire che il probabile esito della guerra in Ucraina è un conflitto congelato tra una Russia più grande e un’Ucraina residua sostenuta dall’Europa.

Conseguenze

Vorrei ora analizzare le probabili conseguenze della guerra in Ucraina, concentrandomi prima sulle conseguenze per l’Ucraina stessa e poi sulle conseguenze per le relazioni tra Europa e Russia. Infine, discuterò delle probabili conseguenze all’interno dell’Europa e per le relazioni transatlantiche.

Per cominciare, l’Ucraina è stata effettivamente distrutta. Ha già perso una parte sostanziale del suo territorio ed è probabile che ne perderà altra prima che i combattimenti cessino. La sua economia è a pezzi, senza prospettive di ripresa nel prossimo futuro, e secondo i miei calcoli, ha subito circa 1 milione di vittime, un numero impressionante per qualsiasi Paese, ma certamente per uno che si dice sia in una “spirale di morte demografica”. Anche la Russia ha pagato un prezzo significativo, ma non ha sofferto quanto l’Ucraina.

L’Europa rimarrà quasi certamente alleata con l’Ucraina residua nel prossimo futuro, dati i costi irrecuperabili e la profonda russofobia che pervade l’Occidente. Ma questa relazione continuativa non giocherà a vantaggio di Kiev per due motivi. In primo luogo, incentiverà Mosca a interferire negli affari interni dell’Ucraina per causarle problemi economici e politici, in modo che non rappresenti una minaccia per la Russia e non sia in grado di aderire né alla NATO né all’UE. In secondo luogo, l’impegno dell’Europa a sostenere Kiev, a prescindere da ciò, spinge i russi a conquistare quanto più territorio ucraino possibile mentre la guerra infuria, in modo da massimizzare la debolezza dello Stato ucraino residua che rimane una volta congelato il conflitto.

E le relazioni tra Europa e Russia in futuro? Probabilmente saranno velenose a perdita d’occhio. Sia gli europei che, sicuramente, gli ucraini lavoreranno per indebolire gli sforzi di Mosca per integrare i territori ucraini annessi alla Grande Russia, oltre a cercare opportunità per causare problemi economici e politici ai russi. La Russia, da parte sua, cercherà opportunità per causare problemi economici e politici all’interno dell’Europa e tra Europa e Stati Uniti. I leader russi avranno un forte incentivo a frammentare il più possibile l’Occidente, poiché l’Occidente quasi certamente punterà il suo mirino sulla Russia. E non bisogna dimenticare che la Russia lavorerà per mantenere l’Ucraina disfunzionale, mentre l’Europa lavorerà per renderla funzionale.

Le relazioni tra Europa e Russia non saranno solo velenose, ma anche pericolose. La possibilità di una guerra sarà onnipresente. Oltre al rischio che la guerra tra Ucraina e Russia possa riprendere – dopotutto, l’Ucraina rivuole indietro il territorio perduto – ci sono altri sei punti critici in cui potrebbe scoppiare una guerra che contrapponga la Russia a uno o più paesi europei. Innanzitutto, si consideri l’Artico, dove lo scioglimento dei ghiacci ha aperto le porte alla competizione per i passaggi e le risorse. Ricordiamo che sette degli otto paesi situati nell’Artico sono membri della NATO. La Russia è l’ottavo, il che significa che è in inferiorità numerica di 7 a 1 rispetto ai paesi NATO in quell’area strategicamente importante.

Il secondo punto critico è il Mar Baltico, a volte definito “lago NATO” perché è in gran parte circondato da paesi di quell’alleanza. Quel corso d’acqua, tuttavia, è di vitale interesse strategico per la Russia, così come Kaliningrad, l’enclave russa nell’Europa orientale, anch’essa circondata da paesi NATO. Il quarto punto critico è la Bielorussia, che per le sue dimensioni e la sua posizione, è strategicamente importante per la Russia quanto l’Ucraina. Europei e americani cercheranno sicuramente di insediare un governo filo-occidentale a Minsk dopo che il presidente Aleksandr Lukashenko avrà lasciato l’incarico, trasformandolo infine in un baluardo filo-occidentale al confine con la Russia.

L’Occidente è già profondamente coinvolto nella politica della Moldavia, che non solo confina con l’Ucraina, ma ospita anche una regione separatista nota come Transnistria, occupata dalle truppe russe. Il punto critico finale è il Mar Nero, di grande importanza strategica sia per la Russia che per l’Ucraina, così come per una manciata di paesi della NATO: Bulgaria, Grecia, Romania e Turchia. Come per il Mar Baltico, anche il Mar Nero presenta un elevato potenziale di crisi.

Tutto questo per dire che, anche dopo che l’Ucraina sarà diventata un conflitto congelato, Europa e Russia continueranno ad avere relazioni ostili in un contesto geopolitico pieno di focolai conflittuali. In altre parole, la minaccia di una grande guerra europea non scomparirà quando i combattimenti in Ucraina cesseranno.

Vorrei ora soffermarmi sulle conseguenze della guerra in Ucraina all’interno dell’Europa e poi sui suoi probabili effetti sulle relazioni transatlantiche. Per cominciare, non si sottolineerà mai abbastanza che una vittoria russa in Ucraina – anche se si trattasse di una brutta vittoria, come prevedo – sarebbe una sconfitta clamorosa per l’Europa. O, per dirla in parole leggermente diverse, sarebbe una sconfitta clamorosa per la NATO, profondamente coinvolta nel conflitto ucraino sin dal suo inizio nel febbraio 2014. In effetti, l’alleanza si è impegnata a sconfiggere la Russia da quando il conflitto si è trasformato in una guerra di vasta portata nel febbraio 2022.

La sconfitta della NATO porterà a recriminazioni tra gli stati membri e anche al loro interno. Chi è il responsabile di questa catastrofe avrà grande importanza per le élite al potere in Europa e sicuramente ci sarà una forte tendenza a incolpare gli altri e a non assumersi la responsabilità. Il dibattito su “chi ha perso l’Ucraina” si svolgerà in un’Europa già dilaniata da conflitti politici sia tra i paesi che al loro interno. Oltre a queste lotte politiche, alcuni metteranno in discussione il futuro della NATO, dato che non è riuscita a tenere sotto controllo la Russia, il paese che la maggior parte dei leader europei descrive come una minaccia mortale. Sembra quasi certo che la NATO sarà molto più debole dopo la fine della guerra in Ucraina di quanto non fosse prima dell’inizio della guerra.

Qualsiasi indebolimento della NATO avrà ripercussioni negative sull’UE, poiché un ambiente di sicurezza stabile è essenziale per la prosperità dell’UE e la NATO è la chiave per la stabilità in Europa. A parte le minacce all’UE, la forte riduzione del flusso di gas e petrolio verso l’Europa dall’inizio della guerra ha gravemente danneggiato le principali economie europee e rallentato la crescita dell’intera Eurozona. Vi sono buone ragioni per ritenere che la crescita economica in tutta Europa sia ben lontana dal riprendersi completamente dalla debacle ucraina.

Una sconfitta della NATO in Ucraina potrebbe anche portare a un gioco di accuse transatlantico, soprattutto perché l’amministrazione Trump si è rifiutata di sostenere Kiev con la stessa determinazione dell’amministrazione Biden, spingendo invece gli europei ad assumersi un maggiore onere per mantenere l’Ucraina in guerra. Pertanto, quando la guerra si concluderà con una vittoria russa, Trump potrà accusare gli europei di non essersi fatti avanti, mentre i leader europei potranno accusare Trump di aver abbandonato l’Ucraina nel momento di maggiore difficoltà. Naturalmente, i rapporti di Trump con l’Europa sono da tempo controversi, quindi queste recriminazioni non faranno che peggiorare una situazione già difficile.

Poi c’è la questione fondamentale se gli Stati Uniti ridurranno significativamente la loro presenza militare in Europa o se addirittura ritireranno tutte le loro truppe da combattimento dall’Europa. Come ho sottolineato all’inizio del mio intervento, indipendentemente dalla guerra in Ucraina, lo storico passaggio dall’unipolarismo al multipolarismo ha creato un potente incentivo per gli Stati Uniti a virare verso l’Asia orientale, il che significa di fatto allontanarsi dall’Europa. Questa mossa da sola ha il potenziale per porre fine alla NATO, che è un altro modo per dire la fine del pacificatore americano in Europa.

Ciò che è accaduto in Ucraina dal 2022 rende questo esito più probabile. Ripetiamo: Trump nutre una profonda ostilità nei confronti dell’Europa, in particolare dei suoi leader, e li incolperà per la perdita dell’Ucraina. Non nutre grande affetto per la NATO e ha descritto l’UE come un nemico creato “per fregare gli Stati Uniti”. Inoltre, il fatto che l’Ucraina abbia perso la guerra nonostante l’enorme sostegno della NATO probabilmente lo porterà a screditare l’alleanza come inefficace e inutile. Questa linea argomentativa gli permetterà di spingere l’Europa a provvedere alla propria sicurezza e a non approfittare degli Stati Uniti. In breve, sembra probabile che le conseguenze della guerra in Ucraina, unite alla spettacolare ascesa della Cina, eroderanno il tessuto delle relazioni transatlantiche negli anni a venire, con grande danno per l’Europa.

Conclusione

Vorrei concludere con alcune osservazioni generali. Per cominciare, la guerra in Ucraina è stata un disastro. Anzi, è un disastro che quasi certamente continuerà a dare i suoi frutti negli anni a venire. Ha avuto conseguenze catastrofiche per l’Ucraina. Ha avvelenato le relazioni tra Europa e Russia per il prossimo futuro e ha reso l’Europa un luogo più pericoloso. Ha anche causato gravi danni economici e politici all’interno dell’Europa e ha gravemente danneggiato le relazioni transatlantiche.

Questa calamità solleva l’inevitabile domanda: chi è responsabile di questa guerra? La domanda non scomparirà presto, e semmai diventerà più pressante nel tempo, man mano che l’entità dei danni diventerà più evidente a un numero sempre maggiore di persone.

La guerra sinergica_di WS

Questo  tipo di discussione , cioè l’ insieme di questi articoli , serve a riportare in auge la “ leva di  massa”  in €uropa per un motivo ben preciso:   per  superba ironia    quei  “masters of universe”  che   da anni   perseguono la   scomparsa  dei popoli  €uropei  hanno ora  urgente  bisogno  di un “ €uroesercito  di popolo”   che  vada  a morire  per  LORO  in Russia  in una    “guerra  sinergica”   già  evidente in Ucraina.

Infatti in una  guerra  sistemica  un “esercito di popolo” , come quello svizzero,    ha un sacco di vantaggi: “gratuità”  di servizio, enormi dimensioni , facilità di mobilitazione e   di impiego per guerre di difesa ( o “narrate” come tali). Comporta anche dei “costi” politici; per  poter  mandare “aggratisse” la gente  a morire ( cioè i MASCHI )  o prima  o poi  devi pagare a questi ultimi un costo politico e sociale

Il motivo per il quale le élites, in particolare   quelle   dedite alla estrazione finanziaria, quindi in primis le élites “anglosassoni”, considerandosi per se stesse “padrone “, aborrono dover pagare simili “costi” politico-sociali”, ma ci si devono adattare ogni volta che li ritengono inevitabili davanti ad una minaccia superiore. Finiscono così anche per  dover  sottoscrivere con il proprio “popolo”, seppur in modo  generalmente  truffaldino,     un qualche “patto”  che poi,  mutate  le circostanze,   regolarmente   stracciano,  ritenendolo   una  limitazione  insopportabile    ai propri progetti  ed interessi.

Ho  già citato più volte  qui  il famosissimo  ed insuperabile (+)  “SPQR”     che   tanto  successo e tanta  gloria portò  ad  un  marginale villaggio  di pastori.   Nella storia, però,  ci sono   tanti altri esempi  seppur molto meno  appariscenti    e ovviamente      di ben più breve  durata  e successo.

Un  simile  retaggio, testé appunto  citato  all’ inizio,    è  la  “democrazia “  svizzera,    che  ha  seguito in piccolo la traiettoria romana    e  ha mantenuto  fino  ad oggi  “l’ esercito  di popolo “ nonostante  le attuali  élites   svizzere  prosperino  sostanzialmente  proprio  di “estrazione  finanziaria”.

La ragione   fondamentale  di ciò    dipende  dal fatto  che  la   Svizzera  è stata  sempre circondata  da   Stati ben più grossi  contro  cui  la guardia non poteva  mai essere  abbassata, ma  sui quali  si poteva  appunto lucrare una  rendita  da una posizione  di  inattaccabile “neutralità armata”.

Le   élites anglosassoni , le vere  signore  della “finanza estrattiva”  di oggi, non hanno avuto mai  simili problemi .  Dominando territori  immensi e ricchi di risorse  da posizioni  difese  da mari    da loro  dominati , non  hanno ( quasi) mai  avuto bisogno  di  “eserciti  di popolo”  bastandogli    sempre   il poter portare la guerra  in casa altrui  tramite   eserciti professionali ben   armati.

Ma  già nelle  due LORO WW avevano dovuto impiegare  un “esercito  di popolo”,     accollandosi un costo politico-sociale    sia  in USA    che  in GB  le cui élites  avevano  dovuto  limitare le proprie pretese a  guerra  finita per lo stesso motivo;   non  puoi     riportare  subito   “reduci”  che  sono  stati anni con le armi in mano  alla  status   di “ deplorables”.

Anche le elites  italiche  avevano  avuto lo stesso problema   nel primo dopoguerra.  Tant’è  che dovettero    poi  dividere il potere   con quel  “ fascismo”    sorto  nelle  trincee.

 E  appunto nel     1945  le  élites  “anglosassoni”    avevano  conseguito  una   vittoria pressoché  totale   su   quel tipo  di “populismo”. Ma per  questo  risultato  avevano  dovuto  condividere la vittoria  con  un altro  tipo di  “populismo”,  quello comunista” . Il  quale però   non solo  si  era preso  per   sé  mezza  Europa  , ma ora  minacciava pure  di prendersi anche l’altra metà.

In  queste  condizioni  non si poteva   restaurare  in  toto “il liberalismo”  nella  parte    di Europa “liberata”. Fu quindi per  LORO necessario  un  qualche  “populismo”  anche  lì.

E fu così  che nacque la  “  stagione  felice”  delle       “democrazie  cristiane”   e delle “socialdemocrazie “   europee. Che anni  magnifici che furono  quelli !

Ma ovviamente  le “élites” masticavano amaro  e non  restavano   “ con le mani in mano”.  Le   “democrazie”   europee  venivano  vieppiù  infiltrate  dalle   tecnocrazia  “liberale”  e dal  radicalismo  borghese  e convertivano  agli  ideali  “borghesi” i   figli inetti  ed infingardi   della dirigenza   dei partiti popolari.  Anzi , pure peggio;   diffondevano i propri  (dis)valori  pure nelle  teste   dei  giovani   del “popolo”.

In  contemporanea ed     analogamente  venivano infiltrate,   tramite oscuri  “ponti”,    le    élites  comuniste , cioè  i figli  dei  “padri”    della  “rivoluzione  comunista”,  creando una  dirigenza “comunista”  inetta   che,  pur  ripiena    di privilegi   “comunisti”,   sognava   di   vivere   come i “padroni”  de  “l’ occidente”.

  E  alla  fine   appena       fatto  crollare   così “ dall’interno”  il comunismo europeo,   subito  dopo  sono  stati liquidati anche  i “socialismi”  europei ,  con una  tale sconcertante  rapidità   che, riguardando ora il  tutto  con mente  fredda,  ci   fa  capire  quanto  il progetto  fosse antico, articolato  e pervasivo.

Il LORO  “liberismo”   aveva  vinto  per  sempre ! La  Storia  era  finita, ci proclamavano i loro  ben remunerati   cattedratici.

E  così il loro progetto  di “distruzione etnica”  è  decollato  ad una velocità impressionante,  tant’è  che già  adesso   è praticamente irreversibile. E   direi “coerentemente”,  nel  loro  “pacco”   di “ riforme”   c’ era  anche la  fine  di ogni “ esercito di popolo”;  cosa  che, chi prima e chi  dopo,  hanno  realizzato    tutte le  LORO €urocolonie

Così liquefacendo, però,  popoli / paesi ,  presi nella propria hibris,  sono  andati   ad  attaccare ,   forse prematuramente,    il  paese/popolo “sbagliato”(*). E contro  di esso  i loro  servizi  segreti,  le loro massonerie  , le loro organizzazioni    culturali economiche  ed   “umanitarie”, i loro  soliti ascari e i loro  soliti  eserciti mercenari  per ora  non sembra possano  farcela.

E  così, presto,  occorrerà  di nuovo , come nelle    altre   due  volte, un “esercito di popolo”;   gente  che, come  sempre ,  vada a “morire   gratis”  dietro  qualche  “narrazione”  fasulla   o qualche promessa  che non sarà mai mantenuta.

 Questa nuova     guerra  andrà  comunque fatta; solo le modalità  sono in discussione.  I fatti     stanno  avendo la  conseguenza  che, parafrasando Marx,  lo  spettro   del populismo   torna  ad aggirarsi per l’Europa  ed è la paura  del populismo   a  generare  questa idea fissa  nella  LORO  testa   .

Per LORO   è addirittura  esaltante    “la  sinergia “  di  mandare  a morire  l’ odiato “popolo”  per soggiogare  l’ odiata  Russia.  Due piccioni con una fava !

(+) Lo straordinario successo   della Repubblica Romana       derivò  dalla  altrettanto  straordinaria  volontà   del  “patriziato” romano   di selezionare  al meglio  i propri successori. Il  patto SPQR    durò  in piena efficienza  quasi quattro  secoli , il PCUS nemmeno  40 anni.

(*)  Per pura   ragione   di sopravvivenza    (  e forse  ci scriverò  qualcosa prima o poi ) il populismo  russo  è  intrinseco   allo  stato  russo,   come il suo militarismo. Nel XV  secolo  quando  nessuno in Europa poteva mettere in campo  forze  superiori a 50.000 uomini ,  l’ allora  Moscovia già manteneva  200.000 uomini  permanentemente  addestrati  e pronti alla guerra.

CONTRIBUITE!!! La situazione finanziaria del sito sta diventando insostenibile per la ormai quasi totale assenza di contributi

Il  sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:

– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;

– IBAN: IT30D3608105138261529861559

PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo

Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo

Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione).

Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373

Passare all’offensiva contro la Russia: l’Europa disperata sogna di cambiare i calcoli del proprio declino_di Simplicius

Passare all’offensiva contro la Russia: l’Europa disperata sogna di cambiare i calcoli del proprio declino

Simplicius1 dicembre∙A pagamento
 
LEGGI NELL’APP
 CONTRIBUITE!!! La situazione finanziaria del sito sta diventando insostenibile per la ormai quasi totale assenza di contributi
Il  sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:
– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;
– IBAN: IT30D3608105138261529861559
PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo
Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo
Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione).
Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373

Tra le recenti escalation retoriche da parte dell’Occidente, ci sono state segrete manovre dietro le quinte volte a tradurre le parole in azioni concrete. Diversi nuovi rapporti indicano che l’Occidente ha intensificato gli sforzi per prepararsi a una guerra su larga scala contro la Russia, che molti politici europei di spicco ci hanno promesso con tanto zelo.

In primo luogo, secondo un rapporto di Politico EU, l’Europa starebbe valutando la possibilità di passare da destinataria “passiva” della cosiddetta “guerra ibrida” della Russia a partecipante attiva:

https://www.politico.eu/articolo/l’europa-pensa-l’impensabile-ritorsione-contro-la-russia-nato-cyber-ibrido/

La parte tragica è che il nuovo punto di svolta si basa interamente su quella che è ampiamente nota come una serie di false flag e operazioni psicologiche condotte in tutta Europa, che di solito vengono rapidamente smentite, ma la cui confutazione viene sempre “cancellata dalla memoria” e nascosta sotto il tappeto dalla stampa corporativa, al fine di perpetuare la narrativa falsa ma utile secondo cui la Russia starebbe in qualche modo “espandendo” le sue escalation contro l’Europa.

Dall’articolo di Politico sopra riportato:

BRUXELLES — I droni e gli agenti russi stanno sferrando attacchi in tutti i paesi della NATO e l’Europa sta facendo ciò che solo pochi anni fa sarebbe sembrato assurdo: pianificare come contrattaccare.

Come intendono “reagire”? Alcune idee:

Le idee vanno da operazioni cibernetiche offensive congiunte contro la Russia, a un’attribuzione più rapida e coordinata degli attacchi ibridi puntando rapidamente il dito contro Mosca, fino a esercitazioni militari a sorpresa guidate dalla NATO, secondo quanto riferito da due alti funzionari governativi europei e tre diplomatici dell’UE.

“I russi stanno costantemente mettendo alla prova i limiti: qual è la risposta, fino a dove possiamo spingerci?”, ha osservato il ministro degli Esteri lettone Baiba Braže in un’intervista. È necessaria una risposta più “proattiva”, ha dichiarato a POLITICO. “E non sono le parole a inviare un segnale, ma i fatti”.

Proseguono elencando la litania di frodi smascherate come principale motore di queste nuove iniziative di ritorsione:

Negli ultimi mesi e settimane, alcuni droni russi hanno sorvolato la Polonia e la Romania, mentre misteriosi droni hanno causato il caos negli aeroporti e nelle basi militari di tutto il continente.Altri incidenti includono interferenze GPS, incursioni di aerei da combattimento e navi da guerra, nonché un’esplosione su un importante collegamento ferroviario polacco che trasportava aiuti militari all’Ucraina.

“Misteriosi droni” senza origine, ma comunque spudoratamente attribuiti alla Russia; Interferenze GPS, come quelle dell’incidente fraudolento e smentito di von der Leyen; le cosiddette “incursioni” di aerei da combattimento, una menzogna per omissione che non contestualizza il fatto che i Mig-31 accusati stavano volando sopra le acque internazionali nel Golfo di Finlandia e “potrebbero” essersi avvicinati a un minuscolo scoglio disabitato che finge di essere un’isola chiamata Vaindloo, appartenente all’Estonia. Infine, la menzogna sul collegamento ferroviario polacco, quella in cui due ucraini “che lavoravano per la Russia” erano i colpevoli.

Diventa più chiaro che mai come le operazioni di intelligence dilettantistiche e immature siano coordinate con campagne mediatiche per creare minacce che possono poi essere convertite in politica: in questo caso, una politica di nuove escalation contro la Russia volta a provocare in qualche modo una reazione da parte di quest’ultima, che può essere interpretata come “aggressione”. È tutto così elementare.

L’esempio più recente di questo teatro pacchiano:

https://x.com/GoncharenkoUa/status/1993705784685760922

La cosa più interessante è come l’articolo di Politico smascheri il fragile gioco propagandistico: metà dell’articolo è semplicemente utilizzato come amplificatore delle citazioni dei vuoti funzionari europei e dei loro burattini. Ad esempio, il primo ministro polacco Tusk accusa la Russia di “terrorismo di Stato”; Kaja Kallas afferma che le minacce russe rappresentano un “pericolo estremo” e che l’UE deve dare una “risposta forte agli attacchi”.

Ma chi sono esattamente queste persone? Kallas è un funzionario non eletto, non rappresenta nessuno e non ha alcun mandato. Ma gli artefici della narrazione versano furtivamente una manciata di ingredienti scadenti nella pentola e poi cercano di mescolarli in un mix potente che potrebbe avere un effetto emotivo sul loro pubblico principale, costituito da masse credulone e ignoranti, vittime della propaganda.

Alla fine, scopriamo che l’articolo stesso non è altro che un esercizio vuoto di creazione di miti. Perché nonostante il titolo muscolare che punta alle “inimmaginabili” azioni di ritorsione dell’Europa, l’articolo nasconde verso la fine che, in sostanza, l’Europa non è in realtà in grado di intraprendere alcuna azione concreta, ma “dovrebbe” farlo.

Nonostante la retorica sempre più accesa, resta ancora da capire cosa significhi una risposta più muscolare.

Ciò che ci rimane è solo una serie di dichiarazioni vuote pronunciate da burattini senza alcuna credibilità in risposta a false operazioni psicologiche, tutte volte a suscitare una sorta di immaginaria “massa critica” di paura e tensione nei confronti della Russia.

Non è di grande aiuto il fatto che gli europei maldestri si siano trasformati in una sorta di parodistico circo militare, incapace persino di abbattere con successo i propri mezzi di guerra psicologica delle agenzie di intelligence, come è successo la scorsa settimana sopra una base aerea olandese dove “droni misteriosi” hanno volato per ore, sono stati attaccati dalle armi della base, ma sono riusciti a volare via incolumi perché gli Stati della NATO sembrano tristemente incapaci persino di abbattere piccoli droni:

Naturalmente, nonostante l’isteria giovanile, ci sono tendenze pericolose che stanno prendendo piede per le prospettive a lungo termine. In particolare, il WSJ riferisce che la Germania ha redatto un piano segreto di 1.200 pagine per la guerra con la Russia:

https://www.wsj.com/world/europe/germany-russia-war-nato-secret-plan-8ce43a8d

Sommario:

  La Germania sta preparando un piano di guerra contro la Russia da più di due anni, — WSJ

Alti ufficiali tedeschi stanno elaborando un piano di guerra dettagliato contro la Russia, con un documento che supera già le 1200 pagine.

Descrive in dettaglio come fino a 800.000 soldati tedeschi, americani e di altri paesi della NATO saranno schierati verso est, sulla linea del fronte.

Nell’ambito del piano, sono state organizzate esercitazioni in Germania: 500 soldati si sono spostati in colonna con 65 veicoli attraverso Amburgo.

Le esercitazioni sono state interrotte quando diverse decine di manifestanti hanno bloccato il movimento delle attrezzature militari tedesche 

Ci sono volute due ore per disperdere i manifestanti e consentire alla colonna di riprendere il viaggio.

Durante lo sviluppo del piano sono emerse anche questioni legislative: la legge vieta l’uso di UAV sopra le città e richiede che siano dotati di luci di grandi dimensioni.

L’articolo inizia in modo inquietante, nello stile di Tom Clancy:

BERLINO — Circa due anni e mezzo fa, una dozzina di alti ufficiali tedeschi si sono riuniti in una base militare triangolare a Berlino per elaborare un piano segreto per una guerra contro la Russia.

Ora stanno correndo per implementarlo.

La parte più esilarante del piano è che descrive la Germania e la NATO impegnate per tre lunghi anni solo sul problema di spostare le truppe verso est, in direzione della Russia. Solo entrare nella lotta stessa.

Il piano descrive in dettaglio come ben 800.000 soldati tedeschi, statunitensi e di altri paesi della NATO sarebbero stati trasportati verso est, in direzione del fronte. Indica i porti, i fiumi, le ferrovie e le strade che avrebbero percorso e come sarebbero stati riforniti e protetti durante il viaggio.

La Russia stessa ha dedicato il tempo a perfezionare la macchina da guerra moderna più efficace al mondo, riorganizzando e rivoluzionando sistematicamente le sue forze armate, la sua etica, la sua cultura militare, sradicando la catena di comando dall’alto verso il basso, ecc., mentre l’Occidente sta ancora lottando per il solo compito delicato di come portare le sue forze armate antiquate e obsolete al fronte, dove sarebbero state completamente fuori posto, dato che questi anni cruciali sono stati sprecati dl tutto mai in compiti essenziali quali, in realtà, sai, imparare a combattere la guerra moderna; sapete, occuparsi dei droni, abituarsi al fatto che la “guerra di manovra” è obsoleta quanto le costose e ingombranti bare di metallo che costituiscono i principali sistemi di combattimento della NATO, eccetera.

L’articolo basa il suo allarmismo sulle solite vecchie sciocchezze che provengono dalla solita cassa di risonanza dei servizi segreti: nella fattispecie, che la Russia “attaccherà la NATO entro il 2029” e, in realtà, anche molto prima. prima:

I funzionari tedeschi hanno dichiarato che prevedono che la Russia sarà pronta e disposta ad attaccare la NATO nel 2029.Ma una serie di episodi di spionaggio, attacchi sabotatori e violazioni dello spazio aereo in Europa, molti dei quali attribuiti a Mosca dai servizi segreti occidentali, suggerisce che potrebbe prepararsi a colpire prima.

Entrano in scena le risate fragorose che fanno scoppiare la faccia.

L’articolo fornisce un resoconto sordido del deterioramento delle infrastrutture tedesche, che ha generato grave preoccupazione tra i pianificatori militari che hanno incontrato grossi problemi nel trasporto di grandi gruppi di truppe durante le esercitazioni di guerra. È interessante, considerando quanto la Russia venga criticata per le sue strade dissestate e per le “ferrovie in deterioramento” utilizzate per i rifornimenti militari e la logistica, eppure la Russia sembra non avere problemi a spostare sul campo di battaglia alcuni dei più grandi eserciti dell’ultimo mezzo secolo.

Un contrattempo descritto nell’articolo merita una menzione speciale dal punto di vista comico, poiché sembra uscito da una scenetta di Mr. Magoo. Riguarda una nave da carico battente bandiera olandese, che ha speronato un importante ponte ferroviario sul fiume Hunte, nella Germania nord-occidentale, bloccando tutto il traffico ferroviario. La Germania ha impiegato due mesi per costruire un ponte provvisorio solo per…ancora per essere speronata da un’altra nave poco dopo, bloccando nuovamente il traffico per un mese.

Sebbene abbiano fatto notizia solo a livello locale, gli incidenti hanno messo in allarme la NATO. Il motivo: il ponte si trovava sull’unico collegamento ferroviario che serviva il porto di Nordenham sul Mare del Nord, l’unico terminal nel Nord Europa autorizzato all’epoca a gestire tutte le spedizioni di munizioni verso l’Ucraina.

Tuttavia, le forniture di munizioni sono rimaste bloccate per settimane e parte del carico ha dovuto essere ricaricato sulle navi.

Leggi il resto dell’articolo per scoprire il piatto forte, che descrive il tentativo maldestro della Germania di schierare truppe in queste esercitazioni simulate. Un aspetto interessante è il riferimento a gravi problemi logistici dovuti alla mancanza di consapevolezza della situazione, un problema che dovrebbe essere risolto dai droni di una società sostenuta da Peter Thiel, che fornirebbero sorveglianza dei convogli e ISR.

Questo è particolarmente evidente oggi, perché i principali esperti occidentali di droni sono stati criticati per la qualità scadente dei loro sistemi di punta, tanto decantati e pubblicizzati. L’ultimo scoop del WSJ descrive in dettaglio una serie di contrattempi che hanno compromesso i travagliati programmi statunitensi relativi ai droni:

A maggio, la Marina Militare ha tentato di lanciare e recuperare più di 30 imbarcazioni senza equipaggio da una nave da guerra al largo della costa della California. quando più di una dozzina di navi senza equipaggio non sono riuscite a portare a termine le loro missioni. Le imbarcazioni avevano rifiutato i loro comandi e si erano automaticamente fermate come misura di sicurezza, rendendole “inutilizzabili” in acqua.

Il principale fallimento, tuttavia, ha riguardato la famigerata startup Anduril, i cui droni Altius erano diventati così problematici, come sottolinea l’articolo, da essere completamente abbandonati dall’Ucraina nel 2024:

https://archive.ph/wDW0j

Il capo di Anduril, Palmer Luckey, una volta si vantò del suo drone Altius e di quanto fosse “superiore” rispetto al suo omologo russo Lancet.vedi questo thread:

https://x.com/PalmerLuckey/status/1899853461409399167

Piuttosto imbarazzante, dato che i Lancet continuano a dominare il mercato mentre l’Altius è diventato uno scherzo, secondo il WSJ:

L’unica vera esperienza di Anduril sul campo di battaglia, in Ucraina, è stata anch’essa segnata da problemi, tra cui la vulnerabilità alle interferenze nemiche, secondo quanto riferito da ex dipendenti e altre persone che hanno familiarità con i sistemi in Ucraina. Alcuni soldati in prima linea del servizio di sicurezza ucraino SBU, ad esempio, hanno scoperto che i loro droni vaganti Altius si sono schiantati e non sono riusciti a colpire i loro obiettivi. I droni erano così problematici che hanno smesso di usarli nel 2024 e da allora non li hanno più utilizzati, secondo persone informate sulla questione.

Infatti, un articolo separato di Reuters sostiene come i droni di fabbricazione occidentale abbiano avuto in generale un “impatto limitato” sul campo di battaglia:

I produttori occidentali di droni, tra cui Anduril, hanno avuto finora un impatto limitato sul campo di battaglia in Ucraina. Mykhailo Fedorov, vice primo ministro ucraino, ha dichiarato su Telegram nel novembre 2024 che su un milione di droni schierati in prima linea quell’anno, il 96% era di fabbricazione ucraina.

Ma tornando al punto principale della militarizzazione dell’Europa e delle minacce bellicose contro la Russia, abbiamo un nuovo annuncio di Macron relativo a un servizio militare nazionale di 10 mesi per i giovani volontari:

Il presidente francese Macron annuncia un servizio militare di 10 mesi per i volontari di età compresa tra i 18 e i 19 anni

Ha sottolineato che il servizio civile riguarderà solo i volontari.

A ciò ha fatto seguito un appello disperato da parte del generale francese Fabien Mandon, capo di Stato Maggiore della Difesa, che ha suscitato indignazione dopo aver chiesto ai cittadini del Paese di «accettare la sofferenza» e la «perdita dei [loro] figli», evocando nuovamente lo spettro di una minaccia russa:

Proprio quella stessa settimana, un alto generale italiano, presidente del Comitato militare della NATO, ha osservato che un “attacco preventivo” contro la Russia potrebbe essere considerato un’azione “difensiva”:

https://archive.ph/CV9qz

La spirale verso l’orwellismo è un po’ troppo evidente di questi tempi, no?

Alla fine dei conti, anche se tutti questi gesti non dovrebbero essere ignorati del tutto, dobbiamo considerare l’amplificazione propagandistica che mira a dare alla retorica vuota un peso molto maggiore di quello che ha in realtà. In definitiva, proprio come l’articolo di apertura di Politico ha nascosto la triste realtà delle scarse azioni rispetto alla retorica muscolosa nella parte inferiore dell’articolo, scritto in caratteri minuscoli, anche in questo caso non abbiamo altra scelta che considerare tutte queste dichiarazioni pseudo-potenti come poco più che un pio desiderio e un tentativo disperato di creare l’illusione di un potere e unito, che L’alleanza NATO mantiene una “forte” solidarietà contro la Russia.

In realtà, è piuttosto evidente la natura frammentata e disorganizzata dell’alleanza sia dal punto di vista politico che militare-organizzativo. Pertanto, le prospettive ottimistiche e le previsioni di riforme radicali e rappresaglie escalatorie contro la Russia dovrebbero essere considerate con estrema cautela. Le amplificazioni dell’eco-camera da parte di uomini in giacca e cravatta e politici vuoti non riescono a nascondere in modo convincente la natura vuota delle prospettive di una reale unità dell’alleanza, o di una sorta di rivoluzione culturale sistematica che rappresenterebbe una vera minaccia per la Russia.

Alla fine, il lento declino e la decomposizione dell’UE e dell’Occidente in generale procedono a ritmo serrato, con questi ultimi sussulti di retorica minacciosa che servono solo a ricordare la crescente irrilevanza e la perdita di legittimità del blocco.


Un ringraziamento speciale a voi, abbonati a pagamento, che state leggendo questo articolo Premium a pagamento.Siete voi i membri principali che contribuiscono a mantenere questo blog in buona salute e a garantirne il funzionamento costante.

Il barattolo delle Mance rimane un anacronismo, un arcaico e spudorato doppio prelievo, per coloro che non riescono proprio a trattenersi dal ricoprire i loro umili autori preferiti con una seconda avida dose di generosità.

La teoria del contratto sociale stratocratico rivisitata_di Tree of Woe

La teoria del contratto sociale stratocratico rivisitata

Vuoi saperne di più?

29 novembre
 LEGGI NELL’APP 
CONTRIBUITE!!! La situazione finanziaria del sito sta diventando insostenibile per la ormai quasi totale assenza di contributi
Il  sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:
– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;
– IBAN: IT30D3608105138261529861559
PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo
Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo
Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione).
Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373

Cinque anni fa, nel novembre 2020, ho scritto un articolo intitolato ” Teoria del contratto sociale per la stratocrazia” . Lo considero uno dei migliori saggi che abbia mai scritto. Purtroppo, è passato quasi del tutto inosservato quando l’ho pubblicato. La gente era troppo distratta dalle elezioni del 2020 per interessarsi alla teoria esoterica. Forse lo è ancora; i miei post, frutto di uno sforzo e di una ricerca squisitamente elaborati, ottengono sempre meno traffico dei miei post improvvisati sulle notizie del giorno.

Comunque sia, mentre rifletto su “cosa riserva il futuro all’America”, ultimamente mi sono ritrovato a leggere e rileggere il mio saggio sulla stratocrazia. Credo che meriti un approfondimento. Pertanto, l’ho ripubblicato di seguito, aggiungendo alcune considerazioni aggiuntive alla fine.

Teoria del contratto sociale per la stratocrazia

Una stratocrazia è una forma di governo in cui  i cittadini con servizio militare obbligatorio o volontario, o che sono stati congedati con onore, hanno il diritto di eleggere o governare”. Le stratocrazie più famose sono la fittizia Federazione Terrestre presentata in Starship Troopers di Robert A. Heinlein.e la vera città-stato di Sparta .Una stratocrazia non deve essere confusa con una giunta o una dittatura. Una stratocrazia è una meritocrazia che obbedisce allo stato di diritto e prevede processi formali per la selezione di cittadini e leader.

Il regime immaginario di Heinlein è una democrazia rappresentativa, con la differenza che solo coloro che completano un periodo di servizio federale diventano cittadini autorizzati a votare e prestare servizio, e coloro che prestano servizio sono tenuti a rispettare gli standard di giustizia militare. La Federazione Terrestre è presentata come un’utopia liberale: “la libertà personale per tutti è [la] più grande della storia, le leggi sono poche, le tasse sono basse, il tenore di vita è alto quanto la produttività lo consente, la criminalità è al suo livello più basso”. Questi sono obiettivi a cui qualsiasi comunità liberale aspirerebbe.

A livello pratico, quindi, l’unica differenza tra il sistema della Federazione Terrestre e i nostri sistemi contemporanei è che il diritto di voto della Federazione Terrestre è limitato anziché universale. In Occidente, fin dall’Illuminismo, la tendenza è stata quella di ampliare il diritto di voto. Quando l’America fu fondata, solo i proprietari terrieri maschi bianchi avevano il diritto di voto; oggi, ogni cittadino americano di età pari o superiore a 18 anni ha il diritto di voto, indipendentemente dal possesso di proprietà, dal servizio militare, dalle qualifiche intellettuali, con i criminali che rappresentano la quasi unica esclusione dal voto universale.

A livello teorico, tuttavia, la differenza è profonda. La democrazia ha un solido fondamento teorico nella teoria del contratto sociale . Giganti intellettuali come Ugo Grozio, Thomas Hobbes, Samuel Pufendorf, John Locke e Jean-Jacques Rousseau hanno ciascuno sviluppato solide teorie del contratto sociale.

La teoria del contratto sociale legittima lo Stato definendolo come un contratto in cui gli individui hanno ceduto, esplicitamente o tacitamente, alcuni dei loro diritti naturali allo Stato in cambio della protezione dei diritti rimanenti. Pertanto, la teoria del contratto sociale inizia anche definendo quali siano i diritti naturali dell’uomo, in genere partendo dall’uomo in uno stato di natura e procedendo da lì.

Uno dei principali difetti dell’attuale teoria del contratto sociale è che le sue presunzioni sullo stato di natura sono di fatto errate. Ogni teoria del contratto sociale esistente discute lo stato di natura degli individui. Ma l’uomo non entra nel mondo come individuo. È, come spiega Alasdair MacIntyre , un animale razionale dipendente . Come hanno documentato i sociologi, gli esseri umani entrano nel mondo non come individui autonomi, ma sempre e ovunque come membri di famiglie, clan (famiglie estese), tribù (clan estesi) o persino nazioni (tribù estese).

Un secondo errore nella teoria attuale del contratto sociale risiede nella sua descrizione erronea della formazione dello Stato. Come Yoram Hazony descrive il problema in ” La virtù del nazionalismo” , dove fornisce anche il processo effettivo (nel mondo reale) attraverso cui si forma lo Stato:

È impossibile riflettere in modo intelligente sui principi di governo senza prima liberarsi dalla finzione che gli stati siano formati dal consenso degli individui, una visione che non fa altro che nasconderci il modo in cui nascono gli stati… Non c’è mai stato uno “stato di natura” del tipo immaginato da Hobbes o Locke, in cui gli individui fossero leali solo a se stessi. Finché gli esseri umani sono vissuti su questa terra, sono stati leali alla famiglia, al clan e alla tribù in senso più ampio…

Ogni clan o tribù ha il suo capo. Ma senza una forza armata dedicata a eseguire la sua volontà, un tale capo clan o tribù raramente possiede il potere di costringere i suoi simili… Cosa spinge il clan o la tribù ad agire come un corpo unito? In primo luogo, l’accordo del clan o della tribù sul fatto che i suoi leader abbiano deciso correttamente una determinata questione. In secondo luogo, la lealtà del clan o della tribù verso i suoi leader, laddove tale accordo venga meno. E infine, la pressione che coloro che sono d’accordo con la decisione… esercitano su chiunque rimanga incerto.

Uno stato libero [sorge] se i capi di una coalizione di tribù, riconoscendo un legame comune tra loro e una necessità comune, si uniscono per stabilire un governo nazionale permanente… Uno stato dispotico [sorge] quando i clan o le tribù non si sono uniti volontariamente per mantenere la loro libertà, ma sono stati, al contrario, soggiogati da un conquistatore contro la loro volontà.

[In entrambi i casi, lo Stato] introduce un governo centrale permanente sulle tribù e sui clan… un sovrano o un governo con l’autorità di emanare decreti che vengono poi imposti, ove necessario, mediante la forza armata.

La differenza tra uno stato libero e uno stato dispotico, quindi, è che nello stato libero i capi tribù acconsentono a un governo centrale per necessità, mentre in uno stato dispotico le tribù sono soggiogate da un’altra coalizione più potente. Ma in nessuno dei due casi i membri delle tribù stipulano contratti individuali. Nascono nelle tribù e i loro capi tribù creano lo stato. Si noti inoltre che sia la leadership tribale che il governo statale sono implicitamente mantenuti al potere con la forza. (Come afferma eufemisticamente Hazony, “dalla pressione che coloro che sono d’accordo esercitano su coloro che non lo sono”).

Una corretta comprensione dello stato di natura dell’uomo e una corretta comprensione di come si forma lo Stato potrebbero effettivamente sostenere la stratocrazia, piuttosto che la democrazia, come forma di governo appropriata. Consideriamo come potrebbe presentarsi la teoria del contratto sociale stratocratico, utilizzando lo stesso approccio storico utilizzato dai teorici dell’Illuminismo e concludendo con una valutazione dell’esistenza di un “diritto alla ribellione” lockiano:

1. L’uomo nello stato di natura è un animale sociale. Ogni essere umano nasce e viene cresciuto in una famiglia . Ogni famiglia fa parte di un clan di famiglie imparentate. Ogni clan fa parte di una tribù di clan imparentati. Ogni tribù fa parte di una nazione di tribù imparentate. Famiglia, clan, tribù e nazione sono le coalizioni naturali della specie umana, con le tribù come sotto-coalizioni di nazioni, i clan come sotto-coalizioni di tribù e le famiglie come sotto-coalizioni di clan. Una grande coalizione con un certo numero di sotto-coalizioni forma uno stato .

2. L’autorità all’interno e tra gli stati si basa sulla forza. Come osserva Tucidide, “i forti fanno ciò che vogliono, i poveri soffrono ciò che devono”. Come osserva George Washington, “il governo è forza”. Come osserva Mao, “il potere politico nasce dalla canna di un fucile”.

3. Poiché l’autorità si basa sulla forza, il conflitto sull’autorità viene risolto con la forza. Ogni figura autoritaria (leader) convoca un esercito di guerrieri abili che supportano la sua leadership, e gli eserciti risolvono la questione dell’autorità in battaglia.

4. Nel mondo antico, l’uso della forza tra gli stati era esplicitamente inteso come naturale e onorevole. Come disse Alessandro Magno a Dario, “se desideri rivendicare il titolo di re, allora mantieni la tua posizione e combatti per esso!”. Gli uomini moderni preferiscono dire belle bugie sulla forza, ma ciononostante la forza ha creato lo stato americano, con la guerra vittoriosa contro l’Impero britannico, e lo ha preservato, con la guerra vittoriosa contro la Confederazione. Più recentemente, la forza ha creato gli stati di Irlanda, Israele e Pakistan.

5. La risoluzione dei conflitti attraverso la forza non avviene solo tra stati rivali (interstatali), ma anche tra sotto-coalizioni all’interno dello stato (intrastatali). Gengis Khan, ad esempio, usò la forza della sua tribù mongola contro altre tribù mongole per affermarsi come leader della nazione mongola.

6. La democrazia non nasce da un contratto tra individui nello stato di natura. La stratocrazia nasce invece da un trattato tra i leader di sotto-coalizioni rivali all’interno di uno stato, i quali si rendono conto che l’uso della forza all’interno della coalizione è inutilmente distruttivo. In una stratocrazia, il leader di ciascuna sotto-coalizione continua a radunare il proprio esercito; ma il leader che porta con sé l’esercito più numeroso ottiene autorità senza che gli eserciti debbano combattere. Pertanto, in ogni stratocrazia, i cittadini sono inizialmente i guerrieri abili, la milizia, il fyrd, gli opliti, le centurie, che in assenza di democrazia dovrebbero risolvere la questione dell’autorità con la forza delle armi.

7. Affinché la stratocrazia possa risolvere le questioni di autorità all’interno di uno Stato, due cose devono essere vere. Primo, le sotto-coalizioni perdenti devono essere disposte ad accettare che la loro sconfitta sia temporanea. Secondo, la sotto-coalizione vincente non deve peggiorare i risultati delle coalizioni perdenti rispetto a quelli che si otterrebbero se queste ultime combattessero. Questi requisiti diventano parte del trattato che istituisce il sistema stratocratico.

8. Per garantire che le sotto-coalizioni perdenti accettino la loro sconfitta come temporanea, il trattato stratocratico richiede che le questioni di autorità vengano periodicamente riesaminate. Da qui nascono elezioni periodiche, assemblee popolari e pratiche simili. In questo modo, l’esito stratocratico viene reso accettabile per lo sconfitto, che può sperare in una possibilità di vittoria in futuro.

9. Per garantire che la sotto-coalizione vincente non peggiori i risultati delle sotto-coalizioni perdenti al punto da rendere preferibile la violenza, alcune azioni vengono rese inammissibili per lo Stato. I combattenti di solito combattono per difendere la propria vita, libertà e proprietà, quindi il trattato stratocratico stabilisce che lo Stato non toglierà mai la vita, la libertà e la proprietà dei combattenti. Le aree protette da azioni inammissibili da parte dello Stato diventano diritti . In questo modo, l’esito stratocratico viene reso accettabile per i perdenti, che possono sentirsi sicuri che i loro diritti siano tutelati.

10. I diritti, come l’autorità, si basano quindi sulla capacità di usare la forza. È il fatto che un guerriero possa sollevarsi e combattere che gli conferisce diritti. Il Minuteman è il fondamento della Carta dei Diritti.

11. Una volta che uno stato diventa una stratocrazia, i leader delle sotto-coalizioni al suo interno iniziano a competere per i convertiti tra i guerrieri non allineati e i guerrieri di altre sotto-coalizioni. Tale competizione può essere retorica, con i leader che cercano di convincerli della loro efficacia o rettitudine come leader, o economica, con i leader che offrono doni e bottino a coloro che li sostengono. In entrambi i casi, mentre i guerrieri ricordano che sono le loro armi a fondare i loro diritti e il sistema stratocratico stesso, il sistema rimane efficace e sano.

12. Con il passare degli anni, le fondamenta del sistema stratocratico possono essere oscurate dal peso della tradizione e della filosofia. Il voto e i diritti possono finire per essere visti come dati di fatto politici. Il trasferimento non violento del potere tra leader può essere dato per scontato. “Un serpente a sonagli morde quando viene calpestato, ma quando non ha morso a memoria d’uomo, gli sciocchi pensano che sia sicuro calpestarlo”.

undefined

13. Quando il rischio del morso del serpente a sonagli viene dimenticato, i leader ambiziosi all’interno dello stato iniziano a cercare modi per espandere il loro esercito. Se i guerrieri non hanno correttamente affermato il fondamento della loro autorità, il loro sistema stratocratico diventa vulnerabile ai filosofi politici, i quali sostengono che esista un “diritto” intrinseco al voto, distinto dalla capacità di usare la forza. Il voto, che è un sostituto del combattimento e quindi giustamente limitato ai guerrieri abili dello stato, viene esteso a coloro che non vogliono o non sono in grado di combattere. In questo modo, la partecipazione al governo viene separata dai fondamenti dell’autorità vigente. Una stratocrazia con un suffragio universale separato dal servizio militare è chiamata democrazia. La democrazia, quindi, è correttamente intesa come una stratocrazia decaduta.

14. Una democrazia può essere uno stato pacifico e fiorente, ma il risultato finale della transizione dalla stratocrazia alla democrazia è che coloro che effettivamente costituiscono il fondamento della pace tra le coalizioni vengono sempre più emarginati dalle stesse persone che dipendono da loro per quella pace. Avendo perso di vista il fatto che la pace è mantenuta da uomini armati, i cittadini di una democrazia arrivano a credere che la pace sia stata mantenuta da burocrati che approvavano leggi disprezzando uomini armati. La riforma non è impossibile, naturalmente; il declino può essere invertito da leader-guerrieri come Andrew Jackson (che ha affermato: “Il governo ha preso la decisione di schiavizzare metà del paese, ora lasciamo che la impongano”), ma in assenza di una leadership guerriera, il declino peggiora.

15. Se non riformata, la decadenza si estende fino all’abbandono dei presupposti necessari per mantenere anche una stratocrazia decaduta (una democrazia). I perdenti iniziano a rifiutarsi di accettare la sconfitta, anche quando i loro diritti vengono rispettati; a volte, i vincitori si rifiutano di rispettare i diritti degli sconfitti. Spesso, la stessa sotto-coalizione agirà in entrambi i modi: quando perde, cercherà di eludere la volontà dei vincitori al di fuori della democrazia; e quando vince, ignorerà sistematicamente i diritti dei perdenti. A questo punto, lo Stato è decaduto in un’anarco -tirannia .

16. Quando uno stato decade in un’anarco-tirannia, inizia a violare il trattato che ha istituito la stratocrazia. L’anarco-tirannia crea quindi le condizioni affinché i guerrieri abili all’interno dello stato si ribellino contro di esso. I guerrieri la cui forza è ciò che sta alla base di una stratocrazia correttamente funzionante sono giustificati nel porre fine all’anarco-tirannia con qualsiasi mezzo necessario. Lo stato per cui i guerrieri combattono è propriamente il loro stato, e i diritti che gli anarco-tiranni violano sono i loro diritti.

17. Dopo aver rovesciato l’anarco-tirannia, i guerrieri possono quindi ristabilire il loro stato come stratocrazia, limitando opportunamente il diritto di voto a coloro che hanno la capacità e la volontà di usare la forza. Questo è giusto, giusto e morale. I guerrieri che ripristineranno la stratocrazia raccoglieranno l’onore conferito da un popolo grato a coloro che portano pace, sicurezza e libertà. Ma anche coloro che facevano parte della/e sotto-coalizione/i sconfitta/e possono in seguito essere sicuri dei propri diritti. Avendo ricordato a tutte le parti l’orrore della guerra, il fuoco che ispira il rispetto dei diritti e la risoluzione pacifica delle controversie viene così riacceso.

Il saggio originale terminava qui… ma vuoi saperne di più? Continua a leggere!

Starship Troopers video propaganda

La teoria del contratto sociale stratocratico rivisitata

Riprendendo il saggio, vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che la teoria stratocratica, come le teorie classiche di Aristotele, Polibio e Ibn Khaldun, e a differenza della teoria liberale Whig, è di natura ciclica. Riconosce e accetta che ogni stratocrazia decadrà, per poi sostenere che tale decadimento sarà infine invertito da combattenti che combatteranno per ristabilire i propri diritti. La giustificazione di questo processo ciclico si trova nella clausola 16:

  • “Quando uno stato decade in un’anarco-tirannia, inizia a violare il trattato che ha istituito la stratocrazia. L’anarco-tirannia crea quindi le condizioni affinché i guerrieri abili all’interno dello stato si ribellino contro di esso. I guerrieri la cui forza è ciò che sta alla base di una stratocrazia che funziona correttamente sono giustificati nel porre fine all’anarco-tirannia con qualsiasi mezzo necessario. Lo stato per cui i guerrieri combattono è propriamente il loro stato, e i diritti che gli anarco-tiranni violano sono i loro diritti.”

La natura dei cicli stratocratici deriva dalla base teorica dei diritti stratocratici. A differenza delle moderne teorie liberali, la teoria stratocratica afferma che i diritti derivano dalla forza delle armi; non sono né “evidenti” né “inalienabili”, né sono liberamente concessi da un governo benevolo. Sono duramente conquistati e sostenuti con la violenza. Il ragionamento si trova nelle clausole 3, 6, 8, 9 e 10. Riassumendo i punti chiave:

  • “Poiché l’autorità si basa sulla forza, il conflitto sull’autorità viene risolto con la forza. Ogni figura autoritaria (leader) convoca un esercito di guerrieri abili che sostengono la sua leadership, e gli eserciti risolvono la questione dell’autorità in battaglia.”
  •  La stratocrazia nasce da un trattato tra i leader di sotto-coalizioni rivali all’interno di uno stato che si rendono conto che l’uso della forza all’interno della coalizione era inutilmente distruttivo… [invece] il leader di ogni sotto-coalizione raduna comunque il suo esercito; ma il leader che porta con sé l’esercito più numeroso ottiene autorità senza che gli eserciti debbano combattere.”
  • “Per garantire che le sotto-coalizioni perdenti accettino la loro sconfitta come temporanea, il trattato stratocratico richiede che le questioni di autorità vengano periodicamente messe nuovamente alla prova.”
  • “La sotto-coalizione vincente non deve peggiorare i risultati delle coalizioni perdenti rispetto a quelli che si otterrebbero se le coalizioni perdenti combattessero”.
  • “Per garantire che la sotto-coalizione vincente non peggiori i risultati delle sotto-coalizioni perdenti al punto da rendere preferibile la violenza, alcune azioni vengono rese inammissibili per lo Stato.”
  • “Le aree protette da azioni illecite da parte dello Stato diventano diritti . In questo modo, l’esito stratocratico viene reso accettabile per i perdenti, che possono sentirsi sicuri che i loro diritti siano tutelati.”
  • “I diritti, come l’autorità, si basano quindi sulla capacità di usare la forza. È il fatto che un guerriero possa sollevarsi e combattere che gli conferisce diritti. Il Minuteman è il fondamento della Carta dei Diritti.”

Ora applichiamo questi principi stratocratici alla realtà del mondo occidentale intorno al 2025.

Mi sembra evidente che gli Stati Uniti e la maggior parte dei loro alleati occidentali si stiano avvicinando a uno stato di anarco-tirannia o qualcosa di simile. Mi sembra altrettanto evidente che la coalizione di governo che impone l’anarco-tirannia è composta da élite globaliste; e che la coalizione perdente a cui la stanno imponendo è rappresentata da quelli che potremmo definire i populisti, di cui i giovani nativisti abili al lavoro formano una vasta sotto-coalizione.

Negli Stati Uniti, dove il populista Donald Trump si è assicurato la vittoria elettorale, si è assistito a una certa resistenza all’egemonia globalista, ma la coalizione di governo sembra ancora esercitare un immenso potere a Washington. Altrove, la mano dominante della coalizione globalista sembra ancora più forte. In molti paesi occidentali, diritti antichi e duramente conquistati sono andati perduti o vengono rapidamente abbandonati. Più di recente, abbiamo appreso che il Ministero della Giustizia del Regno Unito prevede di abolire il processo con giuria .

Se l’anarco-tirannia è qui, e i diritti stratocratici vengono calpestati dalla coalizione al potere, significa che è imminente una rivolta degli uomini abili dell’Occidente che porrà fine alla tirannia? Questo è ciò che la teoria stratocratica suggerisce essere il passo successivo.

Forse è il prossimo passo. Molti sembrano dirlo . Negli Stati Uniti, molti esperti avvertono che una ribellione armata è imminente. Joe Rogan, reagendo all’assassinio di Charlie Kirk, ha recentemente dichiarato al suo pubblico che gli Stati Uniti si trovano al “settimo passo verso una vera e propria guerra civile”. Anche Tucker Carlson, amplificando l’allarme in seguito alle rivolte antifasciste del 2025 e agli scontri con l’ICE, ha proclamato il Paese “sull’orlo della guerra civile”. Ray Dalio, investitore miliardario e cronista di cicli storici, ritiene che l’America sia già coinvolta in una “guerra civile di qualche tipo”. Avvertimenti simili sono arrivati ​​dal Regno Unito, dal Canada e da altri Paesi europei. Sembra tutto inquietante.

Ma avvertimenti simili sono stati lanciati per anni. In effetti, un certo Contemplatore sull’Albero del Dolore avrebbe potuto mettere in guardia dal pericolo di un’imminente guerra civile… nel 2020… eppure non è successo nulla. Anzi, ” non succede mai nulla “, come lamentano i 4Channer.

Perché no? Cosa succede? Perché non succede mai niente?

Vi chiedo di considerare la triste possibilità che non accada mai nulla perché il legame stratocratico tra il cittadino abile al lavoro, il suo uso della forza e la difesa dei suoi diritti è stato spezzato. In particolare, considerate che:

  • la coalizione al potere fa sempre meno affidamento su guerrieri abili per mantenere il suo potere in primo luogo;
  • la coalizione al potere amplia il suo esercito di guerrieri abili secondo necessità, consentendo un’immigrazione incontrollata;
  • ci sono sempre meno guerrieri abili da radunare per la coalizione populista;
  • i guerrieri abili che potrebbero radunarsi contro la coalizione al potere sono stati in gran parte disarmati nella maggior parte delle comunità politiche; e, cosa peggiore,
  • la coalizione al potere ha imparato a ottenere l’acquiescenza della coalizione perdente attraverso l’ingegneria sociale piuttosto che attraverso l’estensione dei diritti.

Se queste affermazioni sono vere, allora i nostri diritti hanno perso ogni fondamento – non quello giuridico, ovviamente, né quello divino; bensì quello pratico, quello militare . I nostri diritti esistono sulla carta, ma non hanno alcuna forza dietro di sé. E se la coalizione al potere sa che la coalizione perdente non può o non vuole sollevarsi in difesa dei propri diritti, allora nulla la dissuade dall’obliterare tali diritti… che è ciò che sta facendo.

La prossima settimana analizzerò in dettaglio ciascuno di questi punti e fornirò i dati empirici che li giustificano. Ho già scritto la prima bozza, e dipinge un quadro desolante. Parafrasando George Orwell, “se vuoi un’immagine del futuro, immagina uno stivale che calpesta per sempre un serpente a sonagli anestetizzato”. Non è un bel quadro da guardare. Ma il serpente a sonagli non si sveglierà mai se non sa nemmeno di essere stato addormentato.

Would You Like To Know More?" PVC Morale Patch | Violent Little Machine Shop

Se il tuo desiderio di saperne di più si è intensificato, potresti prendere in considerazione l’idea di diventare un civile o un cittadino dell’Albero del Dolore, un sottoinsieme di filosofia e politica a tema Conan che oggi ha mescolato in modo confuso Starship Troopers con l’estetica Hyboriana, aggiungendo anche qualche bandiera di Gasden.

 Iscritto

Putin dà la parola definitiva sulla farsa dell'”accordo” alla conferenza in Kirghizistan_di Simplicius

Putin dà la parola definitiva sulla farsa dell'”accordo” alla conferenza in Kirghizistan

Simplicius 28 novembre
 LEGGI NELL’APP 
 
CONTRIBUITE!!! La situazione finanziaria del sito sta diventando insostenibile per la ormai quasi totale assenza di contributi
Il  sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:
– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;
– IBAN: IT30D3608105138261529861559
PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo
Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo
Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione).
Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373

Scrivere della farsa del “risoluzione di pace” è stancante quanto probabilmente lo è per voi leggerla. Tuttavia, Putin ha finalmente pronunciato la parola definitiva sull’intera questione durante una conferenza stampa sul suo viaggio in Kirghizistan, un’informazione che vale la pena prendere in considerazione perché risponde a domande chiave che aleggiavano nella mente di molti, in particolare di coloro che sono inclini a preoccuparsi.

La conferma più importante da parte di Putin è stata che alla Russia non è stata fornita alcuna vera e propria “bozza di trattato”, ma piuttosto un elenco informale di punti da discutere: a quanto pare è a questo che si riferivano le personalità russe quando hanno affermato che alla Russia non è stato realmente presentato nulla di rilevante:

Dichiarazioni di Vladimir Putin in merito ai piani di pace proposti per l’Ucraina:

— Non c’era nessuna “bozza di trattato di pace”, solo una serie di domande che suggerivano di discutere

— Nel complesso, concordiamo sul fatto che questo potrebbe servire come base per accordi futuri

— Ogni parola del piano di pace sull’Ucraina deve essere attentamente discussa e discussa

— Al momento, alcuni punti del piano sembrano ridicoli

— La Russia è pronta a confermare formalmente che non ha intenzione di attaccare l’Europa

— I servizi segreti russi e ucraini hanno sempre mantenuto i contatti; la sede di Abu Dhabi è attivamente utilizzata per questioni relative ai prigionieri di guerra

— La presenza di un rappresentante degli Stati Uniti ai colloqui di Abu Dhabi è stata inaspettata

— I rappresentanti degli Stati Uniti verranno in Russia la prossima settimana

— La Russia cesserà le ostilità solo quando le Forze Armate ucraine lasceranno i territori occupati — o quando raggiungeremo i nostri obiettivi militarmente

In breve, questo è il modo in cui Putin sminuisce l’importanza del piano in 28 punti, riducendolo a una sorta di documento preliminare, pensato solo per avviare discussioni serie, anziché fungere da accordo finale o pre-finale, come invece è stato descritto dagli Stati Uniti. Questo è particolarmente vero per la costante millanteria del team di Trump secondo cui la guerra era ormai estremamente vicina alla fine, lasciando intendere che questo piano in 28 punti ne fosse il catalizzatore finale.

In sostanza, non è diversa dalla reazione della Russia dopo l’Alaska, quando gli Stati Uniti hanno tentato di spacciarla per un importante punto di svolta verso la fase finale dei negoziati, mentre la Russia l’ha considerata semplicemente una chiacchierata informale e molto preliminare sulle possibilità di negoziare.

Putin ha rilasciato molte altre interessanti dichiarazioni di stampo “massimalista”. Qui non riesce a trattenere un sorriso ironico dopo aver spiegato che la Russia è pronta a “combattere fino all’ultimo ucraino”, come i neoconservatori occidentali sembrano intenzionati a fare:

Putin ha ulteriormente enumerato le attuali prospettive dell’AFU, fornendoci un aggiornamento sulle sue perdite dal punto di vista ufficiale russo:

Ci aggiorna ancora con cifre interessanti: l’Ucraina ha “perso” 47.500 soldati a ottobre, ne ha mobilitati 16.500 con la forza e ne ha recuperati 15.000 feriti dalla convalescenza ospedaliera. Quindi, secondo Putin, l’Ucraina sta recuperando 31.500 al mese, perdendone 47.500. Ma quei 47.500 sono tutti “vittime gravi”, ovvero morti in azione e feriti irreparabili? Non lo specifica, ma dato che afferma che il divario sta aumentando, possiamo supporre, dal suo punto di vista, che si tratti effettivamente di vittime gravi, anche se è un po’ difficile da credere, dato che significherebbe oltre 1.500 al giorno.

Fornisce anche un aggiornamento sul campo di battaglia, in particolare su Dimitrov, o Mirnograd, e Krasnoarmeysk, o Pokrovsk:

Possiamo concludere che la lettura iniziale, fin dall’inizio, secondo cui l’intera farsa del “piano di pace” non è altro che una vana sciocchezza, era in realtà corretta. La parte russa considera i vari piani solo come punti di partenza estremamente preliminari per le serie discussioni che si svolgeranno molto tempo dopo.

Putin ha nuovamente menzionato nella sua nuova presentazione che la Russia era disposta a interrompere le ostilità se le forze ucraine avessero lasciato Donetsk e Lugansk; ho già descritto in precedenza il valore teorico della mossa di Putin su questo punto, poiché la Russia non ha praticamente nulla da perdere in questo.

A parte tutto questo tira e molla, la guerra continua come prima: nulla è cambiato. In effetti, la mia teoria operativa attuale è che i media mainstream diano grande risalto a questo spettacolo vuoto per un solo scopo: usarlo come cortina fumogena per coprire i rapidi progressi e le vittorie delle Forze Armate russe. Intasando il ciclo dell’informazione con questa insipida storia di “accordo”, che è chiaro a tutti e che non porterà da nessuna parte, i principali organi di stampa aziendali riescono a seppellire il vero spunto dei crescenti trionfi della Russia e del conseguente crollo dell’AFU.

A questo punto, l’unica direttiva della cabala aziendale che controlla sia i media tradizionali globali che l’apparato fascista dell’UE è: comprare più tempo a tutti i costi.

Alcuni, naturalmente, cominciano almeno ad accennare alle inevitabilità, ma non prima di averle soffocate con concetti del tutto ridicoli:

https://www.economist.com/europe/2025/11/27/ukraine-may-be-a-step-closer-to-peace-or-to-destruction

Quest’ultimo articolo dell’Economist è un esempio perfetto delle contraddizioni insite nella narrativa scelta dai media istituzionali. Pur usando il titolo per ammettere che l’Ucraina è sull’orlo del precipizio, l’articolo infila a forza alcuni risvolti comici del conflitto.

Ad esempio, ripetendo ancora una volta l’insensato luogo comune secondo cui la Russia raggiungerà presto la velocità di fuga precedente al crollo:

Sembra che Trump abbia abbandonato la richiesta di una firma ucraina prima di dicembre. Potrebbe essere frustrato da ciò che accadrà in seguito. Gli osservatori ucraini ritengono che il Cremlino non sarà pronto a negoziare prima della fine dell’inverno. Sarà allora che Putin dovrà decidere se lanciare un più ampio ciclo di coscrizione e che l’economia russa inizierà a risentire seriamente della diminuzione delle entrate petrolifere e delle sanzioni.

Oppure questa sciocchezza intrinsecamente contraddittoria, in cui l’Economist da un lato afferma che la posizione dell’Ucraina è “gestibile”, con i russi incapaci di sfondare, mentre – senza un briciolo di consapevolezza – ammette che l’Ucraina sta esaurendo i soldati:

Rispetto alla minaccia dell’instabilità interna, il campo di battaglia può sembrare quasi una preoccupazione secondaria. Alcuni analisti ritengono che la posizione dell’Ucraina sia gestibile. La Russia deve ancora dimostrare di poter trasformare la sua avanzata strisciante in una svolta decisiva. “A questo ritmo – e a questo costo – la Russia non può in alcun modo vincere strategicamente”, afferma Andriy Zagorodnyuk, ex ministro della Difesa.

Ma, secondo diversi indicatori importanti, la situazione per l’Ucraina sta peggiorando. I soldati stanno finendo. Gli investimenti russi nella produzione di massa di droni stanno dando i loro frutti: stanno soffocando le rotte di rifornimento dell’Ucraina dietro le linee del fronte. E le nuove armi in cantiere – droni d’attacco a reazione e bombe plananti – minacciano di rendere inabitabili città orientali come Kharkiv e Dnipro. La Russia può anche essere scarsa nelle conquiste, ma eccelle nella distruzione.

C’è più verità in quest’ultima affermazione di quanto non credano: la Russia è scarsa nel “conquistare”, ma è brava a distruggere l’AFU. Zakharova aveva appena annunciato che gli Stati Uniti si stanno affrettando a riempire le forze ucraine, ormai ridotte al minimo, con i filippini:

“I funzionari statunitensi hanno lanciato una campagna di reclutamento nelle Filippine per reclutare volontari che combattano al fianco delle forze armate ucraine” – portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova

Aggiunge che ai candidati viene offerto uno stipendio mensile di $ 5.000

“La società americana RMS International, con sede in Florida, sta reclutando candidati. La preferenza è data agli ex dipendenti della polizia e delle agenzie di sicurezza filippine e al personale militare in pensione”, ha affermato.

Da parte sua, a Trump è stato chiesto perché la Russia non debba fare alcuna concessione in questa farsa di accordo, e la sua risposta è quella consueta: la principale concessione della Russia è quella di smettere di avanzare:

Inerente a questa osservazione c’è la consapevolezza che la Russia non ha praticamente nulla da guadagnare da questi colloqui perché, continuando la guerra, otterrà sempre più territorio; persino Trump sembra capire che sta di fatto chiedendo un favore alla Russia.

Il generale di divisione ucraino in pensione Dmytro Marchenko delinea ora fin dove arriverà la Russia:

La Russia riprenderà Kherson e lancerà un’offensiva su Nikolaev, prevede l’ex maggiore generale delle forze armate ucraine Marchenko.

“Conquisteranno Pokrovsk, poi entreranno nella regione di Dnepropetrovsk, poi avanzeranno nella regione di Zaporozhye, poi attraverseranno il fiume e riconquisteranno Kherson, quindi marceranno su Nikolaev. Questo è ciò che accadrà, purtroppo, sotto questa leadership e questo atteggiamento nei confronti della guerra”, ha affermato Marchenko.

Si noti che Marchenko era effettivamente a capo del teatro di Cherson e Nikolaev quando le forze ucraine lo riconquistarono alla Russia, quindi sa di cosa sta parlando, e questo avvalora notevolmente la sua attuale convinzione che la Russia probabilmente finirà per riconquistare entrambe le principali città. E naturalmente, se queste dovessero cadere, Odessa seguirebbe solo di lì a poco.

Sul fronte, le forze russe si sono consolidate nella parte orientale di Gulyaipole dopo aver sfondato le difese della roccaforte:

Riconquistarono persino Danilovka, appena a nord, espandendo il controllo verso il fiume Hiachur. Un breve resoconto su Zatishye, cerchiato in rosso nella mappa sopra:

Alla periferia di Gulyai-Pole, il villaggio di Zatishye è stato liberato dal 114° Reggimento Fucilieri Motorizzati della Quinta Armata. Secondo i rapporti da terra, i primi gruppi d’assalto delle Forze Armate russe sono presenti a Gulyai-Pole da ieri. L’offensiva è guidata dal Gruppo Vostok (Est), motivo per cui viene scherzosamente chiamato “Espresso dell’Estremo Oriente”. Nelle battaglie per Zatishye, il nemico ha perso fino a 100 soldati di fanteria.

Più a nord, anche Seversk è dilaniata, con le forze russe che consolidano le loro posizioni all’interno della città, da tempo assediata:

Da notare in alto a sinistra che le forze russe hanno conquistato completamente anche Yampol.

Ecco un’altra vista di Yampol con Krasny Lyman ulteriormente penetrato dal lato orientale:

Infine, la città di Volchansk, a lungo trascurata, nell’estremo nord della regione di Kharkov, è stata praticamente interamente conquistata e nelle ultime settimane vi sono stati condotti molti prigionieri di guerra.

Una visione più ampia per il contesto:

Si noti che l’area cerchiata in giallo è stata collegata solo di recente, poiché in precedenza vi erano due distinte zone di avanzata russa, che ora si sono trasformate in un unico fronte unificato. L’obiettivo finale sarà quello di unificare questo fronte lungo l’intero confine con quello di Volchansk per creare una zona cuscinetto e un trampolino di lancio per ulteriori avanzate verso Kharkov.

Ci furono molte altre piccole avanzate russe tra grandi zone di insediamento, ma per ora ci limiteremo a quelle più significative.

Qualche ultimo elemento:

Come appaiono inaspettatamente le reti di rifornimento sul fronte dopo forti nevicate:

Nel frattempo, le forze russe stanno utilizzando droni lancia-napalm per incendiare i tunnel della rete ucraina:

E, per assurdo, la Francia interviene proprio per questo scopo:

Un’interessante mappa comparativa tra l’avanzata della Prima Guerra Mondiale in un periodo di quasi due anni e l’avanzata delle forze russe nello stesso periodo più recente:


Il vostro supporto è inestimabile. Se avete apprezzato la lettura, vi sarei molto grato se vi impegnaste a sottoscrivere una donazione mensile/annuale per sostenere il mio lavoro, così da poter continuare a fornirvi resoconti dettagliati e incisivi come questo.

In alternativa, puoi lasciare la mancia qui: buymeacoffee.com/Simplicius

Sono stati gli inglesi a divulgare le informazioni riservate tra Russia e Stati Uniti riportate da Bloomberg?_di Andrew Korybko

Sono stati gli inglesi a divulgare le informazioni riservate tra Russia e Stati Uniti riportate da Bloomberg?

Andrew KorybkoNov 26
 
LEGGI NELL’APP
  
CONTRIBUITE!!! La situazione finanziaria del sito sta diventando insostenibile per la ormai quasi totale assenza di contributi
Il  sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:
– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;
– IBAN: IT30D3608105138261529861559
PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo
Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo
Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione).
Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373

Il Servizio di intelligence estero russo aveva avvertito lo stesso giorno della pubblicazione dell’articolo di Bloomberg che gli inglesi sono determinati a screditare Trump per minare i suoi ultimi sforzi di pace volti a risolvere il conflitto da cui traggono profitto.

Bloomberg ha reso pubbliche quelle che sostiene essere le trascrizioni delle telefonate tra l’inviato speciale di Trump Steve Witkoff e il principale consigliere di Putin per la politica estera Yury Ushakov, nonché tra Ushakov e l’altro consigliere di Putin Kirill Dmitriev, relative al processo di pace in Ucraina. Il succo della telefonata tra Witkoff e Ushakov era la proposta di Witkoff di chiedere a Putin di suggerire un accordo di pace in 20 punti simile a quello di Gaza per l’Ucraina durante una prossima telefonata con Trump, mentre quella tra Ushakov e Dmitriev ha lasciato intendere che la bozza trapelata fosse stata influenzata dalla Russia.

Ushakov ha rifiutato di commentare i suoi colloqui con Witkoff, ma ha affermato che “Qualcuno ha intercettato, qualcuno ha divulgato, ma non noi“, mentre Dmitriev ha descritto senza mezzi termini la sua presunta telefonata con Ushakov come “falsa“. Da parte sua, Trump ha difeso il presunto “coaching” di Witkoff a Ushakov su come Putin avrebbe dovuto trattare con lui, ricordando a tutti che “È quello che fa un negoziatore. Devi dire: ‘Guarda, loro vogliono questo, devi convincerli con questo’. È una forma di negoziazione molto comune”.

Per quanto riguarda la possibilità che la bozza dell’accordo fosse influenzata dalla Russia, un’idea che è stata promossa dai media tradizionali per screditare i compromessi reciproci in essa proposti, essa è già stata smentita. Il Segretario di Stato Marco Rubio, che ricopre anche la carica di Consigliere per la Sicurezza Nazionale, ha affermato che “La proposta di pace è stata redatta dagli Stati Uniti. È stata presentata come un solido quadro di riferimento per i negoziati in corso e si basa sui contributi della parte russa, ma anche sui contributi precedenti e attuali dell’Ucraina”.

Pertanto, nessuna delle due trascrizioni è scandalosa, anche se il loro contenuto è stato riportato accuratamente, ma sorge la domanda: chi potrebbe aver intercettato e divulgato queste telefonate? È interessante notare che, lo stesso giorno in cui Bloomberg ha pubblicato il suo rapporto, il Servizio di intelligence estero russo ha avvertito che il Regno Unito “mira a minare gli sforzi di Trump per risolvere il conflitto screditandolo”. I lettori ricorderanno il ruolo del Regno Unito nel Russiagate, in cui ha cospirato con la CIA, FBI e il campo Clinton per architettare un complotto contro di lui.

Visto che non possono più colludere in questo modo con i loro tre precedenti cospiratori, il Regno Unito potrebbe quindi aver fatto trapelare quelle due telefonate con Ushakov che potrebbero aver intercettato (probabilmente tra molte altre) come ultimo tentativo disperato di screditare gli ultimi progressi senza precedenti verso la pace. Questa provocazione potrebbe anche essere stata pensata per spaventare Trump e spingerlo a licenziare Witkoff per paura di un’altra indagine Russiagate 2.0, se questo scandalo aiutasse i Democratici a ribaltare il Congresso l’anno prossimo.

Licenziare Witkoff, che è stato fondamentale per i recenti progressi verso la pace, potrebbe rovinare il processo proprio nel momento più cruciale, dato che Zelensky starebbe valutando di incontrare Trump molto presto per finalizzare i dettagli dell’accordo di pace mediato dagli Stati Uniti con la Russia. Mantenendo una posizione ferma, Trump sta quindi ostacolando gli sforzi per rovinare tutto ciò che ha ottenuto finora in merito all’accordo di pace tra Russia e Ucraina e, di conseguenza, sta riportando in auge la bufala del Russiagate per aiutare i Democratici durante le elezioni di medio termine del prossimo anno.

Di conseguenza, le fughe di notizie russo-americane di Bloomberg possono essere considerate un’operazione dei servizi segreti britannici volta a far deragliare il processo di pace e a perpetuare il conflitto da cui il Regno Unito trae profitto, per non parlare dell’ingerenza nelle elezioni di medio termine, dando una spinta ai Democratici grazie a notizie false. Trump ha rivelato che Witkoff incontrerà Putin lunedì e che potrebbe anche essere affiancato dal genero Jared Kushner, che ha contribuito a negoziare l’accordo di Gaza, quindi ci si aspettano ulteriori provocazioni britanniche dettate dalla disperazione di rovinare i colloqui.

Passa alla versione a pagamento

Attualmente sei un abbonato gratuito alla Newsletter di Andrew Korybko. Per un’esperienza completa, aggiorna il tuo abbonamento.

Passa alla versione a pagamento

Il potenziale “Anschluss” della NATO con l’Austria sarebbe puramente narrativo

Andrew Korybko28 novembre
 LEGGI NELL’APP 

Questa non sarebbe altro che “un’altra (finta) vittoria su Putin” che potrebbe essere spacciata per aver compensato il ridotto tenore di vita della popolazione, sceso a causa delle sanzioni anti-russe.

L’ex presidente russo e attuale vicepresidente del Consiglio di Sicurezza Dmitrij Medvedev ha pubblicato un articolo su RT a fine agosto sull'” Anschluss della NATO “, in cui metteva in guardia dalle conseguenze dell’adesione dell’Austria al blocco, come alcuni vorrebbero fare. Questa questione incide sul prestigio del suo Paese, poiché l’URSS era uno dei garanti della neutralità austriaca. Qualsiasi mossa unilaterale verso l’adesione alla NATO in violazione del veto di Mosca provocherebbe quindi una crisi giuridica internazionale.

Ciò accelererebbe il collasso del diritto internazionale, in atto da tempo, e avvicinerebbe l’Occidente a una revisione completa dell’ordine europeo del secondo dopoguerra. I piani di rimilitarizzazione della Germania a partire dal 2022 hanno probabilmente reso questo un fatto compiuto, ma le mosse dell’Austria verso l’adesione alla NATO potrebbero infine provocare una crisi politica a lungo attesa su questo tema. Medvedev ha anche proposto che, in tale scenario, le istituzioni internazionali di Vienna vengano trasferite all’estero, in un Paese realmente neutrale.

Per quanto riguarda le conseguenze sulla sicurezza militare, ha avvertito che “le unità austriache del Bundesheer potrebbero ritrovarsi incluse nei piani di missione a lungo termine delle Forze Armate russe. Un pacchetto di contromisure è stato adottato contro Svezia e Finlandia dopo la loro adesione alla NATO, e l’Austria non dovrebbe aspettarsi eccezioni in questo caso”. Qualsiasi guerra NATO-Russia renderebbe probabilmente l’Austria invivibile, indipendentemente dalla sua neutralità, così come gran parte dell’emisfero settentrionale, quindi questo è un punto controverso.

Tuttavia, è importante che gli austriaci si rendano conto che, in caso di guerra, manderebbero in frantumi la reputazione neutrale del loro Paese e si metterebbero un bersaglio sulla schiena, ma nulla di tutto ciò ha importanza per la NATO. Il suo potenziale “Anschluss” con l’Austria sarebbe puramente narrativo, per spacciarlo per “un’altra (finta) vittoria su Putin” da affiancare all’adesione di Finlandia e Svezia alla NATO. Lo scenario in cui la Serbia sanzionasse la Russia e la Bosnia accelerasse la sua adesione alla NATO completerebbe questa idea.

L’obiettivo della guerra per procura della NATO contro la Russia attraverso l’Ucraina è sempre stato quello di infliggere una sconfitta strategica alla Russia, prima usando l’Ucraina come piattaforma da cui la Russia poteva essere ricattata fino alla sottomissione tramite l’infrastruttura della NATO e poi con mezzi più diretti dopo la guerra speciale. L’operazione cercò di prevenirlo. Dopo l’operazione speciale, questo obiettivo fu dichiarato apertamente e portato avanti attraverso il duplice mezzo delle sanzioni e poi della controffensiva del 2023 , ma entrambe fallirono e una sconfitta strategica fu evitata.

Di conseguenza, qualsiasi risoluzione politica del conflitto ucraino sarà vista come una sconfitta per l’Occidente, con la conseguente necessità di architettare false vittorie che potrebbero essere spacciate per aver compensato il ridotto tenore di vita della popolazione, sceso a causa delle sanzioni anti-russe. Formalizzare l’adesione di Finlandia e Svezia alla NATO, dopo anni di loro membri di fatto, e l'”Anschluss” del blocco con l’Austria sono mezzi facili per raggiungere questo obiettivo, mentre le menzionate misure nei Balcani sono un po’ più difficili.

Tornando all’articolo di Medvedev, ha ragione sulle conseguenze legali, politiche e di sicurezza militare dell’adesione dell’Austria alla NATO, ma il suo articolo avrebbe potuto trarre beneficio dall’affrontare la questione del perché se ne parli proprio ora, nonostante non abbia alcun impatto significativo sull’equilibrio di potere. La risposta è che tutto ciò serve a gestire la percezione dell’opinione pubblica occidentale, dopo che il conflitto ucraino non è riuscito a provocare la sconfitta strategica della Russia, nonostante i costi che ha dovuto affrontare.

Qual è la mossa migliore della Russia nel mezzo della rivalità a somma zero tra Germania e Polonia?

Andrew Korybko27 novembre
 LEGGI NELL’APP 

Il sostegno degli Stati Uniti alla Polonia riduce drasticamente le possibilità che la Germania realizzi la sua visione di federalizzare l’UE, quindi il Cremlino dovrebbe dare priorità alla gestione delle tensioni russo-polacche anziché al ripristino dei legami strategici con la Germania, ma quest’ultimo obiettivo dovrebbe comunque continuare a essere perseguito per motivi di equilibrio.

” Il co-leader dell’AfD ha dichiarato che la Polonia potrebbe diventare una minaccia per la Germania “, ma anche ” La Germania rappresenta una significativa minaccia non militare per la sovranità polacca “. Il nocciolo della questione è che Polonia e Germania hanno visioni a somma zero del futuro dell’UE: la Polonia si oppone alla sua federalizzazione per preservare ciò che resta della sovranità dei suoi membri, mentre la Germania sostiene la sua federalizzazione proprio per rimuovere quella sovranità residua, dominare su tutti e diventare così una superpotenza senza sparare un colpo.

La realizzazione dei piani polacchi manderebbe quindi in frantumi quelli della Germania e viceversa. Questa grave contraddizione interna all’UE viene sfruttata dagli Stati Uniti per “tenere fuori i russi, dentro gli americani e sotto i tedeschi”, come il primo Segretario Generale della NATO ha descritto la ragion d’essere del blocco. A tal fine, Trump 2.0 sostiene la visione polacca dell’UE, scommettendo anche sulla creazione di un formidabile cuneo geostrategico tra Germania e Russia nell’Europa centrale attraverso l'” Iniziativa dei Tre Mari ” (3SI) guidata dalla Polonia.

Il 3SI è lo strumento della Polonia non solo per radunare gli stati regionali dietro la sua leadership nell’opposizione collettiva ai piani tedeschi di federalizzazione dell’UE, ma anche per rilanciare il suo status di Grande Potenza, da tempo perduto . Di conseguenza, è logico che la Russia impieghi naturalmente mezzi indiretti per complicare la realizzazione della visione polacca sostenuta dagli Stati Uniti e del suo strumento 3SI associato, che faciliterà anche lo ” Schengen militare ” volto ad accelerare il trasferimento di truppe e attrezzature verso est.

Un altro punto è che i legami della Russia con l’UE sarebbero più facili da gestire se il blocco fosse federalizzato sotto l’egemonia tedesca, perché in tal caso dovrebbe praticamente trattare solo con Berlino invece che con 27 paesi separati. È forse in parte con questo obiettivo finale in mente che la Germania è diventata il principale partner della Russia nell’UE negli ultimi decenni. Tuttavia, questa visione è molto più difficile da attuare oggigiorno a causa delle tendenze populiste e dell’ascesa della Polonia sostenuta dagli Stati Uniti, quindi gli interessi della Russia potrebbero cambiare.

Certo, la Russia non sosterrà mai la Polonia o i suoi piani, ma potrebbe non essere in grado di fermarli. In tal caso, la gestione delle tensioni russo-polacche diventerebbe una priorità, che potrebbe essere notevolmente agevolata da un accordo di reciproca de-escalation tra Polonia e Bielorussia, nell’ambito di un grande accordo russo-statunitense . Attenuare la retorica anti-polacca, in particolare quella promossa dal suo ecosistema informativo globale, può contribuire a ridurre la percezione della minaccia russa da parte dei polacchi e quindi a mettere in discussione l’urgenza percepita di contenerla.

Parallelamente, i tentativi di ripristinare l'”età dell’oro” delle relazioni russo-tedesche dovrebbero continuare senza sosta per riequilibrare i rapporti e aggravare la reciproca sfiducia tra Germania e Polonia, con l’obiettivo di mantenere la Polonia fuori dalla “sfera di influenza” tedesca per impedire la fusione delle loro forze militari. Stanno competendo per costruire il più grande… militari in Europa e, dal punto di vista strategico della Russia, è meglio che restino separati con un coordinamento minimo piuttosto che unirsi in un’unica forza di fatto.

Quanto sopra descritto è lo scenario migliore e più realistico per la Russia, poiché scongiurerebbe la possibilità che una minaccia simile a quella di Barbarossa si ripresenti in Occidente, consentendo al contempo alla Russia di gestire più efficacemente le tensioni con la Polonia attraverso il dialogo bilaterale con il suo protettore americano. Azioni false flag britanniche e/o ucraine potrebbero comunque provocare una crisi russo-polacca e quindi russo-statunitense, ma anche questa potrebbe essere evitata se i legami russo-statunitensi rimanessero stabili, la Russia avvisasse gli Stati Uniti e questi ultimi le fermassero.

La Russia sta perfezionando la sua politica interetnica statale

Andrew Korybko26 novembre
 LEGGI NELL’APP 

Ciò rappresenta un modello per la gestione del multiculturalismo in paesi storicamente diversi.

Putin ha annunciato durante una riunione del Consiglio per le Relazioni Interetniche , tenutasi il giorno dopo la Giornata dell’Unità Nazionale all’inizio di novembre, che la Russia deve perfezionare la sua Politica Interetnica di Stato . Ha avvertito che le agenzie di spionaggio straniere stanno lavorando attivamente per sfruttare le divisioni identitarie, sia etniche che religiose. “Il fattore migrazione”, come lo ha definito, contribuisce a questo. Sebbene non menzionato nel suo intervento, è importante aggiungere che l’FSB ha sventato un complotto il mese scorso per manipolare il sentimento anti-israeliano a questo scopo.

L’altra minaccia sollevata da Putin è stata la retorica sulla “decolonizzazione” della Russia, che la “Commissione di Helsinki” del governo statunitense ha iniziato a promuovere attivamente nell’estate del 2022 e che è stata poi ripresa dall’ex presidente polacco Andrzej Duda due anni dopo. I lettori possono saperne di più qui e qui . L’obiettivo finale di queste forze è una cosiddetta “post-Russia”, che Putin ha descritto come “un territorio privato della sua sovranità e diviso in piccoli frammenti subordinati all’Occidente”.

Questa fantasia politica potrebbe realizzarsi solo attraverso la distruzione del popolo russo. Di conseguenza, Putin ha avvertito che “l’ideologia della russofobia aggressiva è diretta contro tutti i popoli del nostro Paese, perché non c’è Russia senza il popolo russo, l’etnia russa e il fattore russo”. Al contrario, l’ultima minaccia viene contrastata “coltivando e proteggendo” “l’identità russa, le tradizioni, la cultura e la lingua del nostro popolo che forma lo Stato”, i russi etnici.

Per quanto riguarda la lotta ai complotti per “decolonizzare” la Russia, Putin ha chiesto una maggiore ricerca sociologica sulle relazioni interetniche e interreligiose a livello comunitario, cittadino e regionale, insieme alla creazione di “strumenti di precisione” per prevenire i conflitti e affrontare tempestivamente quelli che dovessero sorgere. Ha anche suggerito di responsabilizzare i leader regionali in questo senso e di promuovere una più stretta collaborazione tra loro e le autorità locali. Si presume che saranno probabilmente impiegati i social media e altre forme di monitoraggio.

L’ultima grande minaccia all’unità russa, “il fattore migrazione”, viene già affrontata attraverso controlli più severi sui lavoratori stranieri ospiti e una migliore applicazione delle leggi esistenti. Questa dimensione della politica interetnica statale russa è stata prioritaria dall’attacco terroristico di Crocus della primavera del 2024. È importante notare a questo proposito che Putin e il Patriarca hanno ricordato ai russi che l’incitamento all’odio etnico-religioso è inaccettabile. Anche l’articolo 282 del Codice penale è diretto contro questo.

L’approccio di Putin alla messa a punto della politica interetnica statale russa sarà rafforzato dal “fare tutto il possibile per rafforzare la nostra unità… la nostra identità civile e nazionale, che comprende sia l’identità statale che quella russa”. Inoltre, ha riconosciuto che “molti conflitti sono naturali” e ha avvertito che “non abbiamo il diritto, soprattutto oggi, di amplificare eventuali disaccordi, anche apparentemente piccoli. Dovremmo fare il contrario”. Risposte calme e proporzionate ai conflitti identitari emergenti e nascenti diventeranno quindi la norma.

Ciò che Putin ha proposto è fondamentalmente un modello per la gestione del multiculturalismo in Paesi storicamente diversi. Le principali minacce per questi Paesi sono l’immigrazione incontrollata, i piani di balcanizzazione e la discriminazione nei confronti dei loro popoli fondatori, tutti fattori esacerbati da forze esterne che cercano di sfruttare i conflitti “naturali” tra gruppi identitari man mano che emergono, oltre a provocarli. La risposta a ciascuno di essi varierà nella sostanza a causa dell’unicità di ciascun Paese, ma ci si aspetta che segua l’esempio della Russia, come spiegato.

La Germania rappresenta una minaccia non militare significativa per la sovranità polacca

Andrew Korybko25 novembre
 LEGGI NELL’APP 

La sua continua egemonia sull’Europa centrale e orientale minaccia di erodere ulteriormente la già limitata sovranità della Polonia, ma questa può essere infranta con il sostegno degli Stati Uniti, anche se a costo di subordinare la Polonia alla “Pax Americana” prevista da Trump 2.0, che imporrebbe anch’essa dei limiti alla sua sovranità.

” Il co-leader dell’AfD ha dichiarato che la Polonia potrebbe diventare una minaccia per la Germania ” all’inizio di questo mese, la cui logica è stata spiegata nell’analisi precedente, ma è anche vero che alcuni in Polonia considerano la Germania una minaccia anche per il loro Paese. Mentre la percezione che alcuni tedeschi hanno della Polonia come una minaccia deriva dal suo tentativo di infrangere l’egemonia tedesca sull’Europa centrale e orientale (CEE), la percezione che alcuni polacchi hanno della Germania come una minaccia deriva da quella stessa egemonia.

Il cardinale grigio dell’opposizione nazionalista conservatrice polacca (“Diritto e Giustizia” o PiS, secondo l’acronimo polacco), Jaroslaw Kaczynski, è stato tra le voci più esplicite in merito. Ne parla da anni, dichiarando persino poco prima della conferenza speciale operazione secondo cui i piani di federalizzazione dell’UE della Germania sono un tentativo di costruire un ” Quarto Reich “. Kaczynski ha recentemente ribadito che la Germania oggi guida “una sorta di nuovo impero” e, insieme alla Francia, “vuole togliere la sovranità alla Polonia “.

Il Primo Ministro Donald Tusk è ” un agente tedesco ” incaricato di portare a termine questo complotto, ha affermato a fine dicembre 2023 dopo che il PiS ha perso il controllo del Sejm in seguito alla sconfitta alle elezioni di quell’autunno, ma la “Pax Americana” prevista da Trump 2.0 potrebbe potenzialmente salvare la Polonia, secondo la sua ultima valutazione. A fine settembre ha affermato che “la Pax Americana sarebbe globale, ma consentirebbe l’esistenza di stati sovrani, inclusa una Polonia sovrana, vincolata solo dalle esigenze di difesa congiunta all’interno della NATO”.

Ciò è in linea con l’intuizione condivisa nell’analisi citata in precedenza sulle opinioni del co-leader dell’AfD sulla Polonia, che ha attirato l’attenzione su come gli Stati Uniti stiano aiutando la Polonia a infrangere l’egemonia tedesca nell’Europa centro-orientale al fine di facilitare la creazione di un cuneo guidato dalla Polonia (l'” Iniziativa dei Tre Mari “, 3SI) tra Germania e Russia. Affinché la Polonia possa raggiungere il suo pieno potenziale geostrategico in questo senso, sia a favore dei propri interessi che di quelli condivisi dagli Stati Uniti, il PiS deve riprendere il controllo del Sejm durante le prossime elezioni dell’autunno 2027.

Ciò richiederebbe quasi certamente un’alleanza con il partito della Confederazione, che guida l’opposizione populista-nazionalista polacca e il cui leader Sławomir Mentzen si è classificato terzo al primo turno presidenziale con il 14,81% dei voti, ma Mentzen ha condizionato la sua elezione alle dimissioni dei principali leader del PiS. Oltre a Kaczynski, ha chiesto le dimissioni dell’ex Primo Ministro Mateusz Morawiecki, ma i loro ego (soprattutto quello di Kaczynski) potrebbero impedirlo, nonostante ciò sia presumibilmente per il bene comune.

In ogni caso, la sovranità della Polonia può essere difesa in modo duraturo nei confronti di Bruxelles, guidata da Berlino, solo mobilitando l’Europa centro-orientale per opporsi collettivamente ai piani di federalizzazione dell’UE, che possono essere promossi trasformando il 3SI, sostenuto dagli Stati Uniti, in una piattaforma politica a tal fine. La Polonia deve anche continuare a recuperare il suo perduto status di Grande Potenza, parallelamente al rilancio dell’Ungheria come polo continentale per i movimenti conservatori/populisti-nazionalisti, il che richiede la riconquista del controllo del Sejm, il tutto con il sostegno degli Stati Uniti.

Gli indipendentisti polacchi combatterono ” per la nostra e la vostra libertà ” durante il periodo della Partizione, come proclamarono notoriamente, soprattutto quando parteciparono alle lotte per l’indipendenza all’estero, con la loro moderna lotta contro l’egemonia tedesca sull’Europa centro-orientale che rappresentava il successore spirituale di quella causa. Anche il suo successo è tutt’altro che certo, ma a differenza di allora, la Polonia può contare sul sostegno degli Stati Uniti, ma a costo di subordinarsi alla “Pax Americana”, senza alcuna possibilità di raggiungere la piena sovranità sotto quest’ordine.

Il co-leader dell’AfD ha dichiarato che la Polonia potrebbe diventare una minaccia per la Germania

Andrew Korybko24 novembre
 LEGGI NELL’APP 

Se non fosse per il sostegno degli Stati Uniti, la Polonia non potrebbe mai rappresentare una minaccia strategica per la Germania, quindi sono proprio gli Stati Uniti a rappresentare la minaccia più grande per lei.

Tino Chrupalla, co-leader dell’AfD, ha dichiarato durante una recente apparizione sui media pubblici che “anche la Polonia potrebbe diventare una minaccia per noi… Vediamo che gli interessi della Polonia differiscono da quelli della Germania… Stiamo assistendo a doppi standard sulla questione del Nord Stream . La Polonia non ha estradato in Germania un criminale ricercato, un terrorista”. Non ha torto, ma non ha ragione per le ragioni che si potrebbero pensare, ovvero l’ipotesi che la Polonia possa un giorno rappresentare una minaccia militare per la Germania. Il presente articolo chiarirà la questione.

È vero che “gli interessi della Polonia differiscono da quelli della Germania”, anche se non necessariamente in senso economico, dato che all’inizio di quest’anno la Polonia è diventata un mercato di esportazione più grande per la Germania rispetto alla Cina, e la Polonia ha beneficiato dei sussidi dell’UE a guida tedesca (che però avvantaggiano ancora di più la Germania ). I loro diversi interessi riguardano in gran parte il futuro dell’UE, che la Germania prevede di trasformare in una federazione sotto la sua guida, mentre la Polonia vuole che sia un’unione libera di stati che mantengano una maggiore sovranità.

Il Nord Stream incarnava queste differenze, poiché la Germania avrebbe potuto sfruttare quello che sarebbe stato il suo ruolo di leader energetico nell’UE, se il secondo gasdotto fosse entrato in funzione, per costringere i paesi dell’Europa centrale e orientale (PECO) a fare maggiori concessioni sulla loro sovranità a Bruxelles, sostenuta da Berlino. La Polonia temeva questo scenario per evidenti ragioni, mentre gli Stati Uniti non volevano la nascita di una “Federazione d’Europa” di fatto guidata dalla Germania, quindi cospirarono insieme per impedirlo.

Il terminale GNL polacco di Świnoujście è stato inaugurato nel 2015 e ora è pronto a fungere da porta d’ingresso per il GNL statunitense nell’Europa centro-orientale, come spiegato qui , erodendo l’influenza tedesca in tale area. Parallelamente, gli Stati Uniti sostengono l'” Iniziativa dei Tre Mari ” guidata dalla Polonia per una più solida integrazione tra gli stati dell’Europa centro-orientale, che è uno dei mezzi attraverso i quali la Polonia intende rilanciare il suo status di Grande Potenza, a lungo perduto . Queste politiche hanno poi ricevuto un impulso senza precedenti dopo l’attacco al Nord Stream, presumibilmente orchestrato dagli Stati Uniti .

Se il conflitto ucraino fosse terminato a seguito dei colloqui di pace della primavera del 2022, si sarebbe chiusa la possibilità di far saltare in aria quell’oleodotto, da qui l’importanza che la Polonia aiutasse il Regno Unito nei suoi sforzi per convincere Zelensky a continuare a combattere, consentendo il transito illimitato di aiuti militari a tal fine. Nei tre anni successivi a quell’attacco, l’economia tedesca si è notevolmente indebolita , il che, secondo Polonia e Stati Uniti, accelererà l’erosione dell’influenza tedesca nell’Europa centro-orientale e faciliterà la sua sostituzione con la propria influenza.

La Polonia non può sostituire l’influenza economica della Germania, nonostante sia appena diventata un’economia da mille miliardi di dollari , ma l’ accordo commerciale sbilanciato che l’UE ha stipulato con gli Stati Uniti potrebbe alla fine vedere questi ultimi fare lo stesso. L’influenza polacca può invece assumere la forma di guidare il contenimento della Russia da parte dell’Europa centro -orientale, ora che comanda il terzo esercito più grande della NATO , creando così un cuneo tra Germania e Russia, come anche gli Stati Uniti vogliono, e radunando la regione attorno alla propria visione della visione dell’UE in opposizione a quella della Germania.

Chrupalla aveva quindi ragione nell’affermare che “la Polonia potrebbe anche diventare una minaccia per [la Germania]”, poiché l’attuazione con successo della suddetta grande strategia avrebbe mandato in frantumi l’egemonia tedesca sull’Europa centro-orientale. Ciò che non ha menzionato, e forse non se n’è (ancora?) reso conto, è che si tratta di un piano congiunto polacco-statunitense operativo già da anni. Se non fosse per il sostegno degli Stati Uniti, la Polonia non potrebbe mai rappresentare una minaccia strategica per la Germania, quindi sono proprio gli Stati Uniti a rappresentare la minaccia più grave in assoluto.

Perché il Kazakistan ha aderito agli Accordi di Abramo quando riconosce già Israele?

Andrew Korybko23 novembre
 LEGGI NELL’APP 

Probabilmente il suo leader lo ha fatto come favore personale a Trump, in modo da poterlo proteggere nel caso in cui dovessero sorgere problemi con la Russia, come nel caso in cui un giorno il Kazakistan cercasse di seguire le orme dell’Azerbaijan adeguando le sue forze armate agli standard della NATO.

Molti osservatori sono rimasti sorpresi dall’adesione del Kazakistan agli Accordi di Abramo durante la visita del presidente Kassym-Jomart Tokayev a Washington per partecipare all’ultimo vertice C5+1, dato che il Paese ha già riconosciuto Israele dal 1992. I siti web della Presidenza e del Ministero degli Esteri hanno fatto luce su questa decisione. Il primo ha scritto: “Aderendo agli Accordi di Abramo, il Kazakistan intende contribuire a superare il confronto, promuovere il dialogo e sostenere il diritto internazionale basato sui principi della Carta delle Nazioni Unite”.

Ha aggiunto che “la decisione del Kazakistan non pregiudica gli impegni bilaterali del Paese con nessuno Stato e rappresenta una naturale continuazione e manifestazione della sua diplomazia multilaterale volta a promuovere la pace e la sicurezza”. Il secondo ha fatto eco a questo messaggio: “Questa importante decisione è stata presa esclusivamente nell’interesse del Kazakistan ed è pienamente coerente con la natura della politica estera equilibrata, costruttiva e pacifica della repubblica”.

La loro dichiarazione si concludeva poi come segue: “L’adesione agli Accordi di Abramo contribuirà a rafforzare la cooperazione del nostro Paese con tutti gli Stati interessati e, pertanto, è pienamente in linea con gli obiettivi strategici del Kazakistan. Il Kazakistan continuerà a sostenere con fermezza una soluzione giusta, globale e sostenibile del conflitto in Medio Oriente, basata sul diritto internazionale, sulle pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite e sul principio di ‘due Stati per due popoli'”.

Di conseguenza, la spiegazione ufficiale è che questa mossa puramente simbolica intendeva segnalare il sostegno a una “soluzione a due stati” e rafforzare la politica di multiallineamento del Kazakistan , ma in realtà c’è di più. L’intento era indiscutibilmente quello di attrarre Trump, aumentando così la visibilità di Tokayev ai suoi occhi, e coincideva con la serie di accordi sottoscritti. Tra questi, in particolare, un Memorandum d’intesa sui minerali essenziali che è stato qui valutato come una pressione, non intenzionale da parte del Kazakistan ma deliberata dagli Stati Uniti, sulla Russia.

Quanto sopra ha preceduto il viaggio di Tokayev a Mosca per incontrare Putin , il cui scopo era rassicurare la Russia sul fatto che il Kazakistan non si schierasse con gli Stati Uniti contro di essa, ma ora è chiaro che il Kazakistan si affida più attivamente agli Stati Uniti per bilanciare la Russia. È questa tendenza, che non è nuova ma sta ora assumendo una forma qualitativamente diversa a causa di come il nuovo corridoio TRIPP dovrebbe intensificare i legami tra Stati Uniti e Kazakistan e del favore personale che Tokayev fa a Trump aderendo agli Accordi di Abramo, ad essere la notizia più degna di nota.

In precedenza era stato avvertito che ” l’Occidente sta ponendo nuove sfide alla Russia lungo tutta la sua periferia meridionale “, cosa di cui la Russia è consapevole, come dimostrato dalle recenti dichiarazioni del ministro degli Esteri Sergey Lavrov in tal senso, e che ” un think tank statunitense considera il Kazakistan un attore chiave per contenere la Russia “. Ciononostante, il Kazakistan è ancora membro del blocco militare CSTO guidato dalla Russia e di quello economico dell’UEE, ma è comprensibile che Putin possa presto iniziare a interrogarsi sulle intenzioni a lungo termine di Tokayev.

L’Azerbaigian ha appena annunciato che le sue forze armate sono ora conformi agli standard NATO e, se un giorno il Kazakistan dovesse seguire l’esempio, la valutazione della minaccia russa aumenterebbe vertiginosamente. Tokayev non ha segnalato alcun piano del genere, ma facendo un favore personale a Trump aderendo agli Accordi di Abramo, probabilmente si aspetta che lui e gli Stati Uniti lo sostengano se mai decidesse di farlo e questo portasse a una crisi con la Russia. Qui sta il vero significato di ciò che ha appena fatto, il che dà credito alle preoccupazioni sulle sue intenzioni.

“Ti prego di prendere in considerazione un abbonamento a pagamento al mio Substack per supportare le mie analisi indipendenti sulla Nuova Guerra Fredda. Puoi anche offrirmi un caffè”

https://buymeacoffee.com/korybko

1 2 3 198