Pian piano comincia a delinearsi lo scenario dei pretendenti alla carica presidenziale in palio nel 2024. Il bersaglio principale da colpire e possibilmente da abbattere è Trump. Non tanto per il suo spessore politico, quanto per quello che rappresenta nel paese e soprattutto sta contribuendo a consolidare, non ostante tutto e tutti e soprattutto malgrado i suoi errori marchiani che hanno inficiato il percorso già di per sé impervio. La gamma degli ingredienti di questo scontro politico è quanto mai varia ed esaustiva: trovano posto l’esplicita, viscerale ostilità di alcuni, a cominciare dai Clinton, dai Cheney, dagli Obama, l’atteggiamento sordido di agenti interni al partito, tra i quali l’onnipresente Pence, i rivali interni dalla indole opportunistica e trasformista di troppo, come probabilmente de Santis. Questi ultimi i più perniciosi, perché in grado di appropriarsi di alcuni punti programmatici più popolari, ma più innocui del movimento, senza però intaccare la sostanza e gli assetti generali del potere statunitense; in particolare i suoi orientamenti geopolitici. L’epilogo di questo scontro non è però compromesso definitivamente: troppe le divisioni distruttive che lacerano lo schieramento restauratore; troppi i problemi e i nodi da sciogliere in un contesto geopolitico nel quale altri attori stanno acquisendo margini sempre più ampi di autonomia. L’unico obbiettivo che riesce a compattare questa pletora è il tentativo di estromettere giudiziariamente e fisicamente Donald Trump. Anche qui, però, il castello di menzogne sembra poggiare sempre più sulle sabbie mobili; pare destinato ad impantanarsi al netto di qualche errore clamoroso di Trump, paragonabile nella gravità alla defenestrazione improvvida del Generale Flynn dalla sua passata amministrazione. La parabola malinconica, clamorosamente discendente, di Biden ed Harris sono il segno tangibile di questa incertezza; la recente decisione della Corte Suprema in tema di vaccinazioni e legge lettorale e soprattutto l’affossamento della parte più cospicua del programma di spesa anticrisi, soprattutto quella assistenziale e simil-ecologica in grado di compattare il composito schieramento del Partito Democratico, sono le due ultime pietre cadute sulle teste dei restauratori. La riemersione cauta di vecchie cariatidi della politica americana sono il segno della penosa carenza di alternative di protagonisti politici sufficientemente presentabili. Un quadro di incertezza sempre più esposto a colpi di mano pericolosi ed incontrollabili. Buon ascolto, Giuseppe Germinario NB_Questo video costituisce completamento, aggiornamento ed integrazione del seguente link https://www.youtube.com/watch?v=ntYYK…
Ciò che mi ha sorpreso nel discorso di Biden in occasione dell’anniversario di Capitol Hill sono due circostanze.
La prima: riporto un passaggio del discorso così come tradotto nel sito Rai-News “Il 6 gennaio fu un insurrezione armata e il mio predecessore cercò di rovesciare elezioni libere, di sovvertire la costituzione e di fermare un trasferimento pacifico dei poteri attraverso un gruppo di balordi, tutto il mondo ha visto con i suoi occhi”. Ora il Presidente USA parla d’insurrezione armata eseguita da un gruppo di balordi, per sovvertire la costituzione come voluto dal “predecessore”: cioè Trump.
Scrissi nell’occasione che di armi (dalla pistola in su) in mano ai dimostranti non “ne abbiamo viste con i nostri occhi”; ma ancor di più che l’aspetto, il comportamento, la (dis)organizzazione dei facinorosi provava che di colpo di stato, di sovversione della costituzione era umoristico parlarne. Perché – concordo nel mio piccolo con Biden – quello degli invasori di Capitol Hill era, come correttamente ha detto il Presidente “un gruppo di balordi”. Ma proprio per questo rendeva di una improbabilità totale che possa parlarsi di colpo di Stato. Nei colpi di Stato – riusciti o falliti – limitandosi al XX secolo -abbiamo sempre visto un’organizzazione di uomini armati che vinceva un’altra organizzazione armata (Stato o governo). Spesso mirando – in primo luogo – a disorganizzarla, come scrisse in un notissimo saggio Malaparte, sostenendo che i bolscevichi – Trocxkij soprattutto- avevano battuto il governo Kerensky proprio perché avevano cambiato il modello insurrezionale non basandolo su folle pletoriche e disorganizzate ma su militanti determinati, competenti e disciplinati. Comunque in grado di esercitare violenza; perciò armati e “inquadrati”. Anche quando i golpe fallivano, come quello del colonnello Tejero (e soci) nella Spagna post-franchista, i requisiti minimi dell’ordinamento e della organizzazione (militare) restavano invariati. Per cui l’assalto a Capitol Hill, con un pittoresco italo-americano vestito da scudiero di Conan appare il più incredibile colpo di stato della storia.
Per cui – e qua passiamo al secondo aspetto – appare facile declassarlo a folklore politico (come in effetti era). Tuttavia rivelava, proprio nella sua ingenuità, due elementi fondamentali: il rigetto di circa la metà degli americani verso le èlite e l’ascesa del sentimento ostile all’interno della comunità. Disponibile ad azioni avventate e rischiose. Anche per questo la politica di Biden – nel bene e nel male – è risultata assai meno lontana da quella di Trump di quanto si attendevano molti commentatori e opinionisti italiani (e non solo). Non si fa solo questione degli “interessi dello Stato” che non cambiano, mutano assai meno e assai più lentamente dei Presidenti, ma ancor di più di coesione nazionale, fattore determinante della “pace” interna allo Stato.
La pace esterna comporta, scriveva Kant, una “clausola d’amnistia”. Lo stesso può dirsi – fatte le debite proporzioni – per gli atti d’insurrezione.
Quando il consenso agli insorgenti è – potenzialmente – così diffuso, è meglio, smorzare l’ostilità, derogare alla prassi ordinaria, compresa l’applicazione rigorosa del diritto.
Parlare di d’insurrezione armata, di sovvertire la costituzione, va in senso contrario. Non so se ciò porterà a coltivare una repressione legale, ma penso che interesse degli USA e degli amici degli USA è che il Presidente faccia il lavoro del pompiere e non attizzi il fuoco.
Un lavoro inattuale di Massimo Morigi, quindi molto adeguato per i tempi attuali. Dalla prefazione dell’autore stesso: «Sui motivi remoti e contingenti della non pubblicazione nel 2003 di questo piccolo lavoro, che viene ora proposto ai lettori dell’ “Italia e il Mondo” nella sua ultima fase di bozza quasi ultimata che non riuscì nel salto di diventare una pubblicazione vera e propria non sarebbe utile spendere alcuna parola se non dire che si trattava di uno scritto d’occasione che per motivi bizzarri e legati alle dinamiche personalistiche tipiche dei gruppi autoreferenziali non poté venire alla luce in forma cartacea. Più utile, invece, spiegare perché si è deciso di pubblicarlo ora seppur in forma elettronica e nemmeno corretto nella sua bozza. Nella bozza non definitivamente corretta perché un sua conclusiva stesura non avrebbe oggi senso perché una rifinitura non conferirebbe alcun ulteriore significato a questa lavoro perché se un senso questa storia ha è che proprio nel suo fallimento nel venire alla luce e quindi nella grezza incompletezza essa oggi segnala la fine di un mondo di espressività e di illusioni strategiche che già allora erano segnate ma che oggi sono definitivamente tramontate. Ma è proprio dalla forma grezza di questo masso erratico di un’altra epoca geologica della cultura e della politica che ora propongo ai lettori dell’”Italia e il Mondo” che risiede la speranza che dell’originaria espressività strategica che ispirò questo lavoro non tutto è perduto ed anzi possa essere proseguito. Penso che l’immortale esempio di Federico il Grande di Prussia (unico appunto da fare al lascito dialettico-strategico del filosofo di Sans Souci, l’aver scritto l’Anti-Machiavel ma saremmo ben indegni ammiratori del Segretario fiorentino se non fossimo generosi verso questa necessaria dissimulazione) il cui famoso ritratto dopo la sconfitta di Kolin campeggia in frontespizio possa costituire la più adeguata Leitbild a quanto ho qui affermato. Massimo Morigi – gennaio 2022.»
Buona lettura.
Giuseppe Germinario
MASSIMO MORIGI LA LOGGIA “DANTE ALIGHIERI” NELLA STORIA DELLA ROMAGNA E DI RAVENNA NEL 140° ANNIVERSARIO DELLA SUA FONDAZIONE (1863 – 2003)* _________
I PARTE
*In frontespizio: Friedrich der Große nach der Schlacht bei Kolin von Julius Friedrich Anton Schrader (Federico il Grande dopo la battaglia di Kolin, di Julius Friedrich Anton Schrader, 1849)
Prefazione di inizio 2022 dell’autore ai lettori dell’ “Italia e il Mondo” dopo circa un ventennio della non pubblicazione della Loggia “Dante Alighieri” nella storia della Romagna e di Ravenna nel 140° anniversario della sua fondazione (1863 – 2003 ) Sui motivi remoti e contingenti della non pubblicazione nel 2003 di questo piccolo lavoro, che viene ora proposto ai lettori dell’ “Italia e il Mondo” nella sua ultima fase di bozza quasi ultimata che non riuscì nel salto di diventare una pubblicazione vera e propria non sarebbe utile spendere alcuna parola se non dire che si trattava di uno scritto d’occasione che per motivi bizzarri e legati alle dinamiche personalistiche tipiche dei gruppi autoreferenziali non poté venire alla luce in forma cartacea. Più utile, invece, spiegare perché si è deciso di pubblicarlo ora seppur in forma elettronica e nemmeno corretto nella sua bozza. Nella bozza non definitivamente corretta perché un sua conclusiva stesura non avrebbe oggi senso perché una rifinitura non conferirebbe alcun ulteriore significato a questa lavoro perché se un senso questa storia ha è che proprio nel suo fallimento nel venire alla luce e quindi nella grezza incompletezza essa oggi segnala la fine di un mondo di espressività e di illusioni strategiche che già allora erano segnate ma che oggi sono definitivamente tramontate. Ma è proprio dalla forma grezza di questo masso erratico di un’altra epoca geologica della cultura e della politica che ora propongo ai lettori dell’”Italia e il Mondo” che risiede la speranza che dell’originaria espressività strategica che ispirò questo lavoro non tutto è perduto ed anzi possa essere proseguito. Penso che l’immortale esempio di Federico il Grande di Prussia (unico appunto da fare al lascito dialettico-strategico del filosofo di Sans Souci, l’aver scritto l’Anti-Machiavel ma saremmo ben indegni ammiratori del Segretario fiorentino se non fossimo generosi verso questa necessaria dissimulazione) il cui famoso ritratto dopo la sconfitta di Kolin campeggia in frontespizio possa costituire la più adeguata Leitbild a quanto ho qui affermato. Massimo Morigi – gennaio 2022 Massimo Morigi –
La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1 Pag. 2
AI COMBATTENTI DEL BARKA Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1 Pag. 3
Capitolo 1 GLI INIZI Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1 Pag. 7
Se neppure così ci riesci, sii almeno uno di coloro che ci credono: “Iddio innalzerà d’altri gradi coloro di voi che avran creduto e ricevuta la scienza”, e la scienza è al disopra della fede e l’esperienza al disopra della scienza. L’esperienza è emozione , la scienza è procedere per analogie, la fede è pura accettazione per conformismo. Abbi buona opinione di coloro che provano l’emozione o di coloro che posseggono la conoscenza. Sappi, ora che hai appreso quali sono i cinque spiriti, che tutti quanti sono luci, perché rendono palese ogni sorta di cosa esistente, sensibile e immaginaria. Al Ghazali, La nicchia delle luci
“PROCUL O PROCUL ESTE PROPHANI”, dovette sembrare un’esortazione molto a tono ai primi liberomuratori ravennati che intrapresero la sgrossatura della pietra grezza nei locali del monastero di S.Vitale, sulla cui architrave dell’entrata la ammonitrice formula con cui Virgilio dà voce alla sibilla che inizia Enea nel suo percorso nell’Averno respingendone però i compagni(… Via, via profani /gridò la profetessa, itene lunge / dal bosco tutto;e tu meco te n’entra.) il visitatore meno distratto (o meno intruppato nel mordi e fuggi del turismo di massa dei gruppi organizzati) può tuttora leggere traendone, come i primi massoni ravennati di inizio Ottocento ,il confortante pensiero che nella ricerca della parola perduta(o, se vogliamo esprimerci altrimenti, nella ricerca della libertà spirituale)siamo sempre da altri preceduti e guidati. Del resto, non solo le virgiliane reminiscenze poterono sembrare di buon augurio a questi ravennati “liberi e di buoni costumi” che per primi nella città degli Esarchi osarono sfidare la scomunica di Clemente XII (Papa Corsini, forse il Pontefice che attraverso i lavori di miglioramento del suo porto, più si adoperò per lo sviluppo di Ravenna, e da qui il nome di “Porto Corsini” del borgo marinaro che sorge accanto alla riva del porto canale – e di Canale Corsini – e la cui effige marmorea voluta dai ravennati riconoscenti per eternarlo, ironia della sorte, dopo essere stata collocata nell’odierna Piazza del Popolo ,vi fu, nel 1867, rimossa per essere posata proprio nel monastero di S.Vitale ,nel secondo chiostro, dove è tuttora, e da dove la sua veneranda e nobile figura sembra vegliare a che l’ex monastero- ma semel abbas, semper abbas – non debba mai più subire altre latomistiche profanazioni).Oltre alle molto profane e metalliche sollecitazioni del momento storico(la politica napoleonica favoriva la nascita di logge massoniche),di per sé forse del tutto necessarie e sufficienti a spegnere le sempre più fioche ritrosie suscitate dalla scomunica clementina in animi che, pur nella provinciale e sonnacchiosa Ravenna dello Stato della Chiesa, erano state raggiunte e plasmate dalla rivoluzione dei “lumi” e dal suo più grezzo e militare inveramento della conquista napoleonica, altri potenti e vivaci stimoli esoterici potevano promanare dal luogo eletto per le prime tornate e dalla città stessa. Dalla chiesa di S.Vitale in primo luogo. Nella basilica sorta all’inizio del sesto secolo su ordine del Vescovo Ecclesio non vi è solo da prestare attenzione ai mirabili mosaici bizantini. Pure estremamente significativa, per quanto assolutamente opaca dal punta immaginifico e perciò Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1 Pag. 8
inevitabilmente persa da parte del turista mordi e fuggi, ne è la struttura. Questo tempio, infatti, è a pianta centrale ottagonale, tipica peraltro delle chiese bizantine, attraverso la quale i costruttori agli ordini del supremo architetto Giuliano Argentario intesero con ogni evidenza richiamarsi al simbolismo dell’ottagono, figura geometrica che unisce la terra al cielo perché ritenuta momento intermedio fra il quadrato (che rappresenta la terra) e il cerchio (il cielo). Da qui la predilezione bizantina per lo svolgimento dei sacri offici in fabbriche con questa pianta per favorire appunto il congiungimento dell’uomo con Dio. In seguito, la pianta ottagonale fu ripresa nell’Islam (esempio classico la Moschea di Omar a Gerusalemme), nelle chiese templari e per fare un esempio di un edificio non strettamente adibito al culto ma dalle valenze strettamente simboliche, nell’enigmatico castello di Federico II che sovrasta la piana di Andria in Puglia. Un templarismo che se è discutibile che rappresenti un episodio dell’ipotetico continuum iniziatico che partendo dai misteri dell’antico Egitto ,attraversa l’ellenismo e il Medioevo per poi approdare, tramite il momento fondamentale dell’ermetismo neoplatonico rinascimentale, alla moderna liberomuratoria, rappresenta ,invece uno dei principali miti di fondazione dell’ideologia della massoneria simbolica settecentesca e che, con ogni verosimiglianza, non mancò di colpire l’immaginazione di quegli ardimentosi ravennati (non ne andava della salute del corpo ma di quella dell’anima sì, visto che in fondo, anche per spiriti educati illuministicamente, non si può mai essere sicuri cosa ci si debba aspettare una volta passati all’Oriente Eterno…)che per primi si adunarono ritualmente in luoghi così carichi di tradizioni e di insegnamenti per il futuro. Il pavimento di mezzo ,che è stato rialzato dal primo piano in proporzione del sotterramento della Chiesa, è ricoperto di scelti marmi antichi componenti de’ vaghi intrecci ,e dirimpetto al Presbiterio un Laberinto .1 Così Francesco Beltrami nel 1783 parlando di S.Vitale nel suo Forestiere instruito, ci fa capire che sul finire del diciottesimo secolo si era ben consapevoli dell’importanza(ed, ovviamente, del significato, che, pendente la scomunica di Clemente XII e non ancora arrivati i francesi a liberare o ad occupare, se si preferisce, il territorio pontificio, non poteva essere esplicitato in una guida turistica ante litteram quale Il Forestiere) del labirinto pavimentale della più importante chiesa ravennate. “Concetto simbolico proprio dell’ iniziazione massonica – che si riallaccia all’immagine di un viaggio labirintico – che riteniamo non sia soltanto della massoneria “moderna” o “speculativa”, ma probabilmente nella massoneria “antica”, c.d. “operativa” , giacché l’idea del labirinto ,associata a quella della morterinascita iniziatica, si ricollega a molteplici tradizioni ed era ben presente nel Tardo Medioevo ,come attestano molteplici opere degli antichi maestri costruttori e molte opere letterarie.”2 E dalla città stessa in secondo luogo, o perlomeno dall’idea che su di essa si era venuta formando nell’intellighenzia non clericale della città ove riposano le spoglie di Dante(altro topos fortemente identitario per gli avversari del romano pontefice, tanto che nella seconda metà del diciannovesimo secolo a Ravenna la massoneria sarà rappresentata dalla Loggia “Dante Alighieri”),promanavano profonde suggestioni, tant’è che sul Mausoleo di Teodorico, uno dei maggiori simboli “laici”,assieme alla tomba del Poeta costruita dal Morigia nel 1780,della città dell’epoca, sempre il Forestiere instruito ci informa che il mausoleo del re ostrogoto “Vedesi ideato con tal regolare ,e proporzionata disposizione di tutte le sue parti ,che il celebre Polifilo, altrove da me citato ,ne’ suoi misteriosi scientifici sogni Lib.I.cap.17 lo rassomiglia ad un sontuoso rotondo Tempio di elegante struttura da esso lui immaginato ,e descritto.”3 Ora, che nella “Bibbia” della cultura ermetica rinascimentale, l’Hypnerotomachia Poliphili appunto, nel luogo indicato da Beltrami si alluda al mausoleo di Teodorico è un’affermazione del tutto discutibile che meriterebbe ben altro approfondimento di quello che si degnò di fornirci Beltrami (o che fu possibile concedersi al Beltrami stesso, visti i profondi condizionamenti ambientali su cui è inutile ripetersi).Nel capitolo 7 dell’Hypnerotomachia si parla sì di un tempio antico e costruito con perizia architettonica, e a queste caratteristiche potrebbe conformarsi il nostro mausoleo ma la fabbrica
ammirata dal trasognato spasimante di Polia è a pianta circolare(il Mausoleo di Teodorico è, invece, a pianta centrale con due ordini sovrapposti ma decagonale l’inferiore e decagonale prima e circolare poi quello superiore, e ciò ci porterebbe ad escludere che il Polifilo prenestino abbia esemplato ,anche se solo in parte ,il suo onirico edificio dal mausoleo ostrogoto)e consacrato alla Dea Venere Genitrice(e qui il Mausoleo di Teodorico è totalmente irriconoscibile).Ma dando per scontato il pluralismo ed anche l’opacità semantica della cultura iniziatica e riservandoci ad un ulteriore studio lo sviluppo di un argomento che riteniamo di una certa importanza per la nostra storia locale, quello che qui importa sottolineare è che gli antesignani massonici della città della tomba di Dante si mossero in un ambiente che se per quanto riguarda le sollecitazioni essoteriche dovette aspettare la tutela delle armi francesi per la fondazione di una loggia massonica, era certamente aduso per sensibilità e per suggestioni storicomonumentali al discorso esoterico. Ma non vi sono solo le pur importanti – anche se timide e filologicamente discutibili- avance beltramiane nel campo ermetico e simbolico a suffragare l’idea che i reperti monumentali di Ravenna furono uno degli aspetti decisivi per l’affermazione anche a Ravenna sotto il dominio temporale del Papa della cultura esoterica che fra diciottesimo e diciannovesimo secolo investì l’Europa. Uno slancio che doveva avere realmente un gran momento se Camillo Morigia ,accettando la commessa del Cardinal Valenti per edificare il monumento sepolcrale al Divin Poeta , non si peritò d’inserire ad ornamento del timpano del tempietto una serpe che si morde la coda ,l’uroboros, simbolo ermetico-iniziatico dell’eternità del tempo e, per traslato ,dell’eternità del messaggio dantesco. Addirittura, nel progetto originario il simbolismo era ancora più denso: “nel timpano all’interno del cerchio, che si preciserà in un ouroboros, splende un esuberante sole raggiante; sui suoi lati insistono due slanciati pinnacoli piramidali che esibiscono il simbolo della città (la pigna) […] mentre ai lati della lunetta soprastante la porta d’ingresso, la lira e il serto dall’oro completano l’esibizione dei trofei del divino cantore”4 . Rispetto ai segni consentiti da Santa Madre Chiesa tutto ciò era troppo osare e infatti non si osò. Anche l’uroboros che si può considerare ad un tempo un estremo lascito dell’iniziale tessuto simbolico ed anche segno di una fortissima valenza espressiva esoterica, nel suo passaggio dall’ideazione alla realtà attenua la sua carica eversiva. L’osservatore è facilmente indotto a confondere le metalliche verdi squame del serpente con più stereotipate foglie dall’alloro, una sorta di convenzionale tributo al genio poetico al padre della lingua italiana.5 Ma la tomba di Dante non è il solo episodio che ci attesta che la Ravenna di fine diciottesimo secolo fu teatro di tensioni generate dallo scontro fra una Chiesa chiusa nell’ortodossia e la cultura esoterica della nascente massoneria simbolica settecentesca. La sfida si produsse anche all’interno di un edificio sacro, dentro la chiesa di Santa Maria Maggiore. In questa chiesa, infatti, venne sepolto Camillo Morigia, morto il 16 gennaio 1795.Sulla pietra del suo sepolcro volle fosse scritto: “Camillo Morigia ultimo di sua famiglia si raccomanda alle vostre orazioni”. Una iscrizione molto asciutta ,come si vede, con un fioco e convenzionale richiamo alla religione (le orazioni) ma che non denota alcuna palese tensione con la religiosità dominante. Ma il ricordo dell’architetto nella chiesa che accolse le sue spoglie, non è limitata all’iscrizione sulla pietra tombale ma è affidata anche ad un monumento funebre ,del quale è particolarmente significativo il busto in bassorilievo di Morigia poggiante alla base su una panoplia dei principali strumenti liberomuratori. Ora pur ammettendo che squadra, compasso e riga possano costituire un richiamo all’attività professionale del defunto, non si può peraltro non concedere, e con tanta maggiore convinzione, che dopo la scomunica clementina del 1738,la rappresentazione degli attrezzi simbolici dell’Arte Reale ,per di più dentro una chiesa, costituisse una diretta sfida contro il clementino interdetto dell’ In eminenti specula Apostolatus, una sfida ed una polemica che solo chi fosse stato iniziato e fosse profondamente impregnato di cultura esoterica poteva decidere di portare avanti anche al di là della vita terrena. E si deve anche convenire che a distanza di pochi decenni dalla scomunica e dalle conseguenti persecuzioni alla comunità liberomuratoria italiana, non solo In eminenti avesse perso ogni efficacia come deterrente secolare ma fosse pure caduta in profondo discredito presso gran parte di quel clero che avrebbe dovuto proteggere il suo gregge dal diabolico influsso degli
scomunicati massoni ma che in pratica ,come accadde a Santa Maria Maggiore in Ravenna, aveva preferito chiudere gli occhi davanti a tanta ostentata impudenza liberomuratoria, esibita ,addirittura, dentro una chiesa di una città sotto il dominio temporale del Papa. Che lo scontro fra l’ortodossia religiosa e la cultura esoterica che aveva preso la forma della moderna massoneria speculativa fosse una vicenda che accanto a momenti di alta tensione contemplasse pure fasi di appeasement ,era del resto un portato quasi inevitabile dei cambiamenti generali (anche nel clero, specialmente in quello basso, come ci insegna l’imminente rivoluzione francese),nelle prospettive e nei gusti introdotti dalla nuova cultura settecentesca, di cui l’illuminismo costituiva ,se vogliamo, il versante maggiormente esposto sul versante politico, mentre la massoneria speculativa, ultima gemmazione dell’ermetismo rinascimentale dava spazio e possibilità di espressione a tutte quelle istanze di autorappresentazione individuale e di riconoscimento identitario di gruppo messe in crisi dalla secolarizzazione della società e alle quali il discorso troppo pubblico e razionalista dell’illuminismo non riusciva a concedere un soddisfacente ascolto. L’arte del giardino costituisce un esempio estremamente significativo della recherche di questa nuova spiritualità massonica a cavallo fra discorso pubblico prudentemente accennato, istanze private pubblicamente esposte(sempre prudentemente e con circospezione) e autorappresentazione e riconoscimento identitario di gruppo protetto dal velo del segreto(e cioè ,per rifarci ai casi menzionati: uroboros nella tomba di Dante, monumento funebre di Morigia in Santa Maria Maggiore, le riunioni massoniche che avvennero per la prima volta nel suggestivo convento di S.Vitale).Un esempio estremamente significativo che non mancò di manifestarsi anche a Ravenna. Ci stiamo riferendo al giardino del Palazzo della Provincia di Ravenna. Nonostante le varie trasformazioni e demolizioni subite ad iniziare dall’ultimo scorcio dell’Ottocento dal palazzo del conte Ferdinando Rasponi (nel 1866 il palazzo venne venduto dal suo propietario caduto in rovina, il conte Ferdinando Rasponi, ad un certo Geremia Zoli “un cameriere del circolo dei signori [che] trasformò l’intero edificio in un albergo sontuoso: l ’hotel Byron”6 . Nel 1918 ,in seguito all’incapacità dei nuovi gestori subentrati dopo la morte di Zoli ,l’edificio venne acquistato dalla federazione delle Cooperative di Ravenna ,sede che nel 1922 venne incendiata e distrutta dalle squadre fasciste e sulle sue ceneri, nella seconda metà degli anni Venti, venne edificato ,su disegno dell’Arata ,l’attuale palazzo della Provincia),nonostante queste traversie il giardino racchiuso dall’originario palazzo Rasponi ha conservato – non integralmente che sarebbe troppo pretendere – significativi tratti dell’idea originaria. Un’idea che, dicevamo, fu profondamente influenzata dalla cultura esoterica. Ad iniziare dalle piccole piramidi ornamentali collocate sulle balaustre del terrazzo intermedio(la piramide fu uno dei principali simboli della massoneria settecentesca e rifletteva la vera e propria mania culturale “egiziana” di quel secolo, la quale costituì uno dei trait d’union fra l’esoterismo in senso stretto e una moda culturale molto più affine ad un volgare esotismo, anche se è necessario sottolineare che l’ “egizianesimo” non attese il Settecento per manifestarsi ma ,ad iniziare dal mondo greco-romano, approdò nell’epoca moderna legandosi indissolubilmente all’ermetismo rinascimentale, una delle scaturigini della massoneria simbolica appunto). E cariche di simbolismo neoplatonico sono “le sfere collocate ,la prima sulla colonna del capitello corinzio all’ingresso inferiore del parterre, la seconda all’inizio della scalinata che conduce alla sommità del giardino pensile”7 . Abbiamo poi, appesa alla volta della cripta annessa al giardino, un’ulteriore sfera- vero e proprio occultum lapidem – recante la scritta “Sic Vita Pendet Ab Alto”. Su questo occultum lapidem è necessario soffermarci. Abbiamo appena detto che essa è appesa alla volta della cripta ma tale ancoraggio avviene tramite un’erma posta all’esterno della stanza ,sulla sommità del giardino pensile, così da evidenziare le analogie micromacrocosmiche(microcosmo l’interiorità dell’uomo, sfera all’interno della cripta; macrocosmo l’universo esterno, l’erma sulla sommità del giardino).E non è neppure senza significato che la possibilità della sfera (il microcosmo) di rimanere agganciata alla volta sia affidata ad un’erma, che nell’antichità, e probabilmente anche in questo caso, rappresentava il dio Ermete. Trova così spiegazione il motto “Sic Vita Pendet Ab Alto”. Non tanto una mesta e stereotipata considerazione sulla
caducità dell’umana condizione stretta fra gli imprescrittibili diktat dell’Ananke o della divina provvidenza (la pesante sfera lapidea minacciosamente appesa alla volta con un legame che non si riesce ad intuire quanto solido e il motto superficialmente inteso trasmettono esattamente questo stato d’animo di precarietà che ha ben poco di esoterico ma è molto più debitore alla rassegnata Weltanschauung di Santa Madre Chiesa) ma l’orgogliosa e gioiosa affermazione della capacità dell’uomo(il microcosmo) di congiungersi al macrocosmo(l’esterno della cripta ,la sommità del giardino pensile) e che questa potenzialità è garantita sì da Dio ma non il dio che impone un cieco atto di fede (il Dio-Cristo paolino per il quale la fede è superiore alla ragione) ma dal Dio che simboleggia la vera conoscenza, Ermete simbolo della profonda conoscenza interiore. Del resto ,la semantica della continuità micro-macrocosmica è comprovata da ulteriori elementi. La pianta della cripta è ottagonale ,come pure “la sfera in pietra ,sospesa all’apice della volta, ha un decoro [una stella a otto punte ]che allude all’ottagono”8 .Sull ‘ottagono simboleggiante l’unione della terra con il cielo abbiamo già detto, solo che nella fattispecie non si tratta dell’unione della creatura (terra) con il cielo (dio creatore) ma dell’unione micro-macrocosmica assicurata dalla gnosi rappresentata da Ermete. Certamente il degrado imposto da Cronos e dalle vicissitudini della storia ,ha inevitabilmente modificato ed obliterato buona parte dei segni originariamente intesi per dare a questo luogo un senso intimo e profondo non solo legato ad una superficiale fruizione e divertissement (che è il destino ancillare di gran parte dei giardini).Ma i ruderi simbolici affioranti e allora voluti per conferire al giardino la funzione di vero e proprio percorso iniziatico non hanno perduto la capacità di ammonirci che la responsabilità di dare senso alla nostra vita è unicamente nostra ,solo se si abbia la sensibilità ed il coraggio di comprendere che non siamo monadi isolate ma parte di un tutto (rapporto micromacrocosmico).E per essere convinti di ciò basta essere uomini liberi e di buoni costumi e non altro. Ma simboli voluti da chi? Di proposito ,non essendo le nostre ricerche riuscite a svelare né il committente, né il disegnatore né il progetto originario del giardino, ci siamo limitati al commento del simbolismo strettamente archittettonico trascurando quello delle essenze del giardino, le più esposte ai rimaneggiamenti e alle cancellazioni dell’intervento umano. Il giardino esoterico, abbiamo visto, riflette un gusto tipicamente settecentesco, come in Europa ed in Italia fra fine del Settecento ed inizio Ottocento testimoniano le numerose realizzazioni di arte topiaria a sfondo simbolico .Siamo propensi a datare il giardino verso la fine del diciottesimo secolo ,quando lo scontro anche nei territori dello Stato della chiesa fra il cattolicesimo e la massoneria subiva strane pause ed obnubilamenti (ouroboros tomba di Dante e monumento funebre del Morigia docent) o tuttalpiù l’inizio Ottocento della Ravenna sotto il dominio francese(Napoleone favoriva il sorgere di logge massoniche, vista dal gran Corso come instrumentum regni e ,quindi ,in quel periodo un giardino esoterico sarebbe stato ben accetto),mentre escludiamo che ripiombata Ravenna sotto il dominio diretto del Papa (del clima dell’epoca fa testo la famigerata sentenza Rivarola ) ci fosse qualcuno che mai si sarebbe azzardato in un’impresa del genere. Ed anche se vogliamo considerare la famigerata sentenza (1825) come il momento più acuto della repressione delle istanze liberali e settarie, di tutto si può dire sul dominio temporale della Chiesa nell’Ottocento tranne che fosse rivolto ad una sorta di appeasament verso tutto ciò che non fosse riconducibile all’alleanza fra trono ed altare. (L’umanamente triste vicenda di Pio IX nel ’48 col suo iniziale apparente volgersi verso disegni più moderati rispetto ai predecessori per poi ritrarsi impaurito – giustamente – dalle conseguenze delle sue aperture, è l’inconfondibile segno del ruolo regressivo ,al di là della volontà dei singoli, svolto dalla Chiesa nell’Ottocento).E visto che non abbiamo alcuna notizia dell’edificazione dell’esoterico giardino ad unità avvenuta ed anzi dalla segnalazione di Primo Uccellini dal suo Dizionario Storico del 1855,peraltro molto scialba ed opaca9 , apprendiamo il giardino essere già esistente, non ci rimane che tornare agli anni in chiusura del Settecento nel momento dell’appeasement della Chiesa con il latomismo o imperante il dominio francese. Conclusione non molto esaltante ma che ci consente di formulare un’ipotesi d’attribuzione, almeno per quanto riguarda il progettista del giardino. Del massonismo del Morigia abbiamo detto .Non abbiamo però ancora detto
che la nutritissima biblioteca privata di Camillo Morigia ,conservata presso la Biblioteca Classense di Ravenna, contiene oltre una preziosa copia dell’Hypnerotomachia ( ad ulteriore conferma, se ce ne fosse bisogno, delle passioni ermetiche del Conte) ,anche diversi manuali di giardinaggio, alcuni dei quali impregnati di un forte simbolismo massonico, che ben s’inseriscono nell’ipotetico quadro degli interessi simbolico-ermetici del Conte architetto per una progettazione topiaria a sfondo simbolico. Oltre non è possibile andare e riservandoci di approfondire l’argomento in ulteriori studii, molto conviene al momento fare nostra l’ammonizione “Procul O Procul Este Prophani”, su cui dovettero riflettere i primi massoni ravennati e che, oltre ad un evidente risvolto misterico, può anche essere essotericamente intesa come un invito alla prudenza per il ricercatore storico qualora in difetto di documentazione. Documenti di cui si è però in possesso riguardo i primi massoni ravennati, lasciati all’inizio del nostro discorso a confrontarsi con ammonitori ammaestramenti all’entrata del convento dove iniziarono a riunirsi, piante ottagonali di basiliche bizantine(ma evocanti anche ottagoni di chiese templari e moschee) e labirinti pavimentali che suggerivano che l’unione fra il cielo e la terra (l’ottagono) era da conseguire attraverso una morte-rinascita di tipo iniziatico piuttosto che attraverso atteggiamenti fideistici incoraggiati da Santa Madre Chiesa. Ma oltre che cercare di instaurare con questi ardimentosi esploratori di una filosofia e mistica “più efficaci” un legame empatico basato sull’archeologia esoterica della città degli Esarchi e su quanto ci è dato sapere sulla mentalità massonica e cattolica di fine ‘700,possiamo imbatterci, attraverso lo sfoglio degli Annali di Ravenna di Padre Benedetto Fiandrini, nel primo documento ravennate che contiene l’attribuzione ad un nominativo dell’appartenenza massonica. Scrive Padre Benedetto Fiandrini di essere venuto in possesso di una “Sattira in cattivi versi”: Fu ritrovata questa mattina una Sattira in cattivi versi ,quale faceva il ritratto di tutti li Fanatici Giacobini di Ravenna :tal quale fu ritrovata la riporteremmo qui ,con la spiegazione dei diversi nomi.
Vuo’ spiegarvi in pochi versi Li Caratteri diversi De Patriotti nostri Sel permette i miei inchiostri. Costa in primis1 il sapiente. Con stupore della Gente, Da uom rio ,e scelerato, Gesù Cristo ha rinegato, La Madonna ,i Santi suoi. E ancor vive in mezzo a noi? Degno è vivere in Turchia, La tra mezzo a gente ria, E non già frà noi Cristiani Buoni ,e ver Repubblicani. De seguaci poi gran stuolo, A cotesto dietro a volo Se ne vengono portando Ogni vizio esecrando. Se conoscer li volete, Quì descritti li vedrete. Truffatore Lovatelli. 2 Un Ruffiano Maccabelli. 3 Un’Apostata il Severi. 4 Una spia Cervelieri. 5 Ignorante egli è Gambini.6 Altra spia è il Contarini. 7 Il Collina guercio audace
8 Egli è un ver mostro triface Ignorante ,arciminchione, Che vuol far da Sacentone. Una Scimia, un Papagallo, Ve lo mostro ,ed io non fallo Il Cristino dei Rasponi 9 Vero Rege dei Coglioni. Quello poi ,che non ha pari. E’ l’indegno Montanari.10 Uccellini è un gran birbante,11 Pien di fame e protestante. Spia è Pio e farabutto.12 Un Crocìmaco Cornuto E’ la mummia Garavini , 13 Che il Preposto de Tiatini Ei sembrava. E’ un Scellerato, Un iniquo,un Sciagurato. Piavi14 avaro, ingordo, insano, Vende Cristo di sua mano. Fanticcini,o sia Casoni15 Prima feccia de’Bricconi, Questi alfine ha operato Sempre a norma del Casato, Che il proverbio dice, dà Quella botte il vin, che ha. Lovatelli Castellano16 E’ un rio Ladro, un torcimano. Valentini Prete tristo17 Che segnato è pur da Cristo Da Costui state lontani Quel nemico de’Cristiani. Del Roncuzzi la bottega,18 Io lo dico, e niun lo nega, E’ il ridotto de’ Giudei, La Nazion de Farisei; E a mostrarveli più tristi Son peggior de Calvinisti. Ve ne sono a precipizj Oltre tanti pien di vizj. L’Amador i 19,ed il Toschini20 E l’ippocrita Baldini ; 21 Se del figlio22 poi parliamo, Tutti già il lo conosciamo. Evvi il Serra23, evvi il Baroni o . 24 Evvi il Ladro de Spadoni , 25 E il più saggio ,e il più eccellente , D.Corlari26 uom valente. Certo Pampan i 27 Ex frate Valoroso in briconate. Certo Zucch i 28 Bolognese Truffatore del Paese. E Collina29 del Libraro, Magni30 ,e Fava31 van de paro Rota32 il piccolo ,e Ginanni33 D. Perelli34,e Camerani , 35 Il Fuschini Religioso36 Un Bendandi orgoglioso
37 Ed il Bezzi Capitano38 Certo Sirmen uomo insano39 Traversari Segretario,40 Pien d’umore molto vario. Un Serena ,qual penello41 Posto al vento, ha il suo cervello, Come appunto la Farfalla La sua testa or vola ,or balla. Il Cachettico Bianchini42 Si distingue fra i più fini Li più empi malandrini Perfettissimi Giacobini. Il Landoni Poetastro,43 Che nel Club è Capo Mastro. V’entra pur fra tanti sciocchi Il notaro Miserocchi44 Sono insomma tutti quanti Una ciurma di birbanti, Finti son repubblicani Son Fanatici Anticristiani. Oh Repubblica beata! Se la turba qui notata, Di color ,che non han legge, Con un’ordin di chi regge, Dal tuo seno t’estirpasser, Tutti al diavol se n’andasser, Sì ,felici allor saremmo, Tutti quanti ci ameremmo, Come cari,e ver fratelli, Senza aver timor di quelli, Che il bel nome democratico, Or confondon col fanatico; Concambiando con dispreggio, D’esser liberi il bel preggio, Con i vizj, e le sozzure, Le lordezze ,e cose impure, Questi stolti sciagurati, Viver degni frà i dannati. Dunque ,o buon repubblicani, Non fanatici ,né insani, Su la voce con me alzate, La Repubblica gridate, Viva sempre e il buon Governo, Viva sempre ,ed in eterno. E sia solo estirpati Tutti i tristi ,e scelerati. Vivan sempre i democratici, Muoian tutti li Fanatici10
Se la “Sattira” era in cattivi versi (ma abbiamo il fondato sospetto che l’autore altri non sia che il Fiandrini stesso ,il quale dà verosimilmente questo giustizio per depistare), le note biografiche che seguono la “Sattira” – che commentano i nominativi da questa citati – sono senza rischio di attribuzione proprio del Fiandrini e ,a parte di non essere in versi, mantengono lo stesso giudizio liquidatorio di questi:
1) Costa Paolo figlio di Domenico Nob:di Rav:, e nipote di D: Vincenzo Luigi, e di d:Giulio Costa ,il pmo Parroco di San Nicandro, il secondo Rettore del Seminario .Questo giovane non scarso di talenti, ora maritato con…Milzetti di Faenza ,si guastò affatto nell’Università di Padova, e divenne il più empio tra miscredenti Ravennati, e che fù il diabolico maestro di tanta povera Gioventù. 2) Tommaso Conte Lovatelli dall’Aste figlio del qndam Ippolito Lovatelli Dall’Aste, che prese moglie … Correlli di Faenza .Questo Giovane dà saggi continuamente del più empio ,fanatico Atteismo. 3) Vitale Macabelli figlio di Giuseppe Macabelli speziale in Calzoleria, sciocco, ed ignorante fanatico. 4) D: Giuseppe Severi Sacerdote,e già canonico Lateranense ,e Lettore di Filosofia di S:a M: a in Porto ,e Confessore in Chiesa, ora Capitano della Truppa Civica di Galla Placidia, molto attaccato alle correnti massime francesi. 5) Luigi Cervelieri Orologiaro in Calzoleria ,incredulo perfetto. 6) Conte Ruggiero Gamba Ghiselli figlio dell’ottimo Conte Paolo Gamba Ghiselli, e della Religiosissima Marchesa Marianna Cavalli; ora Comandante della truppa Civica, Fanatico terrorista senza Religione. 7) Gregorio Contarini Curiale dimesso figlio del qndam Vittorio Contarini Procuratore, e Nipote del Sr d:.. Contarini Parroco di S:Agata .Ora è capitano della Truppa Civica. Fantico ignorante, ed incredulo. 8) Florio Collina figlio del qndam Marcantonio Collina Droghiere sotto i Volti della Piazza, e fratello di Filippo Centrale del Lamone ignorante irreligionario. 9) Cristino Rasponi figlio del qndam Teseo Rasponi ,e di Lucia Ginanni, che ha in moglie Maria Laderchi di Faenza. Fanatico ignorante e miscredente perfetto. 10) Domenico Montanari di Antonio ,e Rosa Montanari da S:Eufemia ,che sposò Giacinta figlia di Sebastiano Venturi; Ignorantissimo e perfido persecutore dei cattolici . 11) Luigi Uccellini figlio di Giuseppe Uccellini di Cesena Cuoco; al servizio della Stamperia Roveri,e Casali ,perfettamente empio, ed irreligionario. 12) Giambatta Pio figlio del qndam Francesco, e di Rosa Pio, Nipote del celebre d: Domenico Pio Tenore di questa Capella ,e Mansionario; Fratello del valente Antonio Pio ,morto poch’anni sono in età di 43: anni,dopo di essere stato Mro di Capella in Ravenna ,e Mro di Musica a Venezia ,ed alla Corte di Pietroburgo anni 4.Il sudetto sempre eguale a se stesso ,sempre irreligionario, ora stà in ferri a Venezia relegato all’Isola di S: Servolo. 13) Garavini Andrea figlio del valente Fabro Ferrajo Francesco Garavini .Questo Giovane ,che proseguiva la Professione del Padre prese in Moglie Barbara Montanari Sorella del Sudto Dmnco N° 10: entrò nella turba di quelli ,che atterrarono le Croci de’ Capuccini, Capucine &c:, ed era tenuto p. un buon Giovine, in paragone a Giuseppe suo fratello, ma il fatto decise il contrario. 14) Piavi Domenico fabbricatore di Bicchieri ,bocchie , Pistoni ,e Zucche ,che abita vicino al Piazzale di Porto, ora Municipalista. 15) Casoni Oste di Professione da S: Giorgio , uomo empio. 16) Conte Ippolito domnco Castellano Lovatelli ,che fù marito di Maria dal Corno, che abita a Porta Sisi, e che fù Centrale. 17) D:… Valentini Sacerdote, e Mansionario del Duomo, mezzo orbo, che prese in moglie ,op Concubina la Contessa Dejanira Lovatelli Dall’Aste, Sorella di Tommaso Lovatelli. 18) Bottega di Spezieria posta sotto il Palazzo del Sale in faccia al Suffraggio. 19) Amadori dottore… Curiale. 20) Toschini figlio di Mro Gio: Toschini marmorino. 21) dottor Gaspero Baldini Municipale ,che fù nel Cairo d’Egitto p anni 18: uomo doppio ,bacchettone ,ma di niuna Religione. Municipale. 22) Paolo Baldini figlio del sudto nato al Cairo ,che all’Università di Padova perdette il buon costume. 23) Paolo Serra figlio del qndam Antonio Mercante di Pannina sotto i Volti della Piazza. 24) Domenico Baronio figlio di Felice onorato Negoziante,e Banchiere ,che ha p moglie Geltrude Machirelli dama Imolese; quale fece grosse compre di Beni de Regolari, specialmente di Porto,e di S: Vitale. 25) Spadoni… 26) d: Andrea Corlari Sacerdote, e Mro di Rettorica delle Pubbliche Scuole, Poeta ,e factotum di Rav: a ,il primo tra i Preti ,che ponesse indosso l’abito verde Nazionale, e Parucca alla Bruta, e che fù suggeritore, ed inspettore della cassazione di tutte le Inscrizioni di marmo in Rav:a, fù Indi Secretario della Municipalità di Cesenatico ,prese in moglie Marianna Godi, dopo averla tenuta p tant’anni sua Concubina. Dopo finita la democrazia fù tradotto a Venezia in ferri relegato all’Isola di S: Giorgio in Alega. 27) Pampani… di Cervia ex frate Carmelitano ,che fù più volte veduto a far l’esercizio militare mischiato alla Truppa Civica, e specialmente nell’empia Compagnia de Granatieri; morì poscia ammazzato nel Riminese. 28) Zucchi… di Bologna Mercante di Paste di Puglia, e droghe nella Strada di Pal Serrato ;fanatico Giacobino. 29) Gasparo Collina figlio di Franco Collina Librajo nella Strada di Pal Serrato, grand’atteo Giacobino. 30) Clemente Magni ,figlio del così detto Capit: Magni da Porta Adriana perfetto Franc – Mason.
31) Domenico Fava Nipote di Giuseppe Fava Librajo in faccia al Piazzale di S: Francesco. 32) Bartolomeo Rota figlio del qndam Benedetto, e Benedetta Rota , e fratello di Giovanni Municipale, Giovine di poco sale. 33) Conte Girolamo Ginanni figlio del qndam Con: Bartolomeo, e Vittoria Ginanni, ignorante fanatico. 34) D: Gaspare Perelli Canonico della Marca Sacerdote, detto il Capelano de Giacobini. 35) Camerani Luigi droghiere, e che fù un tempo Municipale,accerrimo contro i Regolari. 36) D… Fuschini ex Canonico Lateranense di Porto. 37) Francesco Bendandi Chirurgo ,che abitava in faccia a S. Apollinare ,e che morì appresso 1799. 38) Francesco Bezzi già Capitano sotto il Papa ,che abita in Corso, in faccia alle Monache di Santa Chiara, che si fe’ ricco coll’usurpazione delle masserizie de Luoghi Regolari, allorché furono soppressi, e de quali n’era stato egli il Sopraintendente. 39) Lodovico Sirmen ,celebre suonatore di Violino insigne fanatico anticattolico, che p sua Confessione , era da 30: anni in poi ,che non erasi accostato ai Sagramenti. 40) Pietro Traversari Segretario della Municipalità p i meriti del Padre che fù celebre Segretario, e benemerito de Magistrati di Ravenna del suo tempo. 41) … Serena Computista della Municipalità. 42) Paolo Bianchini Chirurgo figlio di Gaetano Bianchini celeberrimo Professore di Chirurgia , ora Edile ,e del Comitato di Pulizia fanatico fautore delle correnti massime Francesi, abita in faccia al Monte di Pietà. 43) Jacopo Landoni Poeta Fanatico; che poi anche in tempo di democrazia mutò costume con edificazione dei buoni. Vedi p.371. 44) Francesco Maria Miserocchi Notaro da S: Eufemia figlio di Lorenzo Miserocchi . Fù Inspettore de Beni attinenti alla Pubblica Beneficenza, Gran Fanatico, assieme col Giovin Figlio Lorenzo , e che fù fautore di D: Giuseppe Loreta Parroco di Sta M: a in Coelos eo. Altri molti ne erano in Ravenna di simil razza ,ma troppo sarìa il volerli qui annumerar tutti ad uno p uno; basterà soltanto a tempo , e luogo indicarne i nomi. Si vede peraltro, che la detta Canzone fù fatta da un Democratico Repubblicano, ma non fanatico Giacobino; ma se anche li democratici condannavano l’empietà de Sudti, e simili anonimati, cosa avran dovuto dire i buoni, che in silenzio bevevano a sorsi il Calice amaro della Persecuzione.11 La nota 30 commenta il nome di Clemente Magni che viene ritratto nella satira come “perfetto FrancMason” ,osservazione del Fiandrini che ci permette di qualificarla come la prima fonte in ordine cronologico che ci parli della Massoneria a Ravenna. Ma ancor più importante al fine di inquadrare nella giusta prospettiva il documento è l’affermazione finale di Fiandrini che “Si vede peraltro, che la detta Canzone fù fatta da un Democratico Repubblicano, ma non fanatico Giacobino”, l’estremo tentativo di Fiandrini di depistare sull’attribuzione della satira, proposito tuttaltro che deplorevole viste le convulsioni che scuotevano la Repubblica Cisalpina all’inizio del ‘ 98. “La Cisalpina produceva in quei primi mesi del 1798 il suo massimo sforzo per aggiornare il ritmo e lo stile di vita di un’intera città [Ravenna] ai dettami delle nuove idee rivoluzionarie ,ma cercava di farlo con una pioggia di provvedimenti che rischiavano seriamente di sortire l’effetto opposto.[Si assistette così] a una sorta di violenza sulla società per farle accettare, volente o nolente, la nuova situazione[…].[L’ordine] giunto da Faenza di eliminare dalle strade o coprire le immagini votive della Madonna fu percepito dal popolo come l’inizio di un odio antireligioso[…]. [Ma il] peggio doveva ancora venire: la tensione in città crebbe rapidamente […] in un crescendo di satire politiche anonime e di atti sacrileghi che culminarono nella vicenda della “crocimachia” ”12 .Nella notte tra il 10 e l’11 aprile 1798 quelli che vennero subito definiti crocimachi abbatterono tutte le croci che incontrarono sul loro cammino. Lo sdegno popolare fu immenso e le reazioni agli atti sacrileghi furono tenute a freno solo dalla paura dell’eventuale reazione delle forze francesi, che non avrebbero esitato, se necessario, a compiere una durissima repressione. La “Sattira in cattivi versi” – probabilmente del Fiandrini – e le successive note biografiche – sicuramente del Fiandrini – ,si inseriscono così in un cupo quadro dove al tradizionale antimassonismo cattolico si sovrappone una torbida situazione di tumulti, spiate, delazioni e liste di proscrizione a futura memoria (anche questo sono la “Sattira” e le note biografiche), che rende completamente impossibile distinguere il torto dalla ragione e dove appare del tutto evidente l’impraticabilità di una
storiografia vista come una sorta di tribunale penale. Essere “uomini liberi e di buoni costumi” significa anche, pensiamo, non lasciarsi abbagliare da nessuna ideologia, in primo luogo la propria, ed impiegare gli strumenti critici che ci sono concessi, e quindi anche la ricerca storica, per esercitare una profonda compassione, nel senso etimologico del termine, verso le vicende di coloro che ci hanno preceduto e, conseguentemente, verso coloro che ci circondano. Il giornale di Ravenna del Conte Pompeo Raisi ,manoscritto conservato anch’esso presso la Biblioteca Classense di Ravenna, rappresenta la seconda fonte in ordine cronologico che si occupi della massoneria a Ravenna. Il 24 agosto 1803 Raisi annota nel suo Giornale di riunioni che avvengono a Ravenna fra i giacobini più esagitati e che i convenuti si distinguono per una particolare foggia del cappello. Più che di fronte ad una riunione massonica, ci troviamo probabilmente al cospetto di assemblee politiche che del cerimoniale massonico hanno mutuato un certo formalismo nel presentarsi alle riunioni e probabilmente dei segni di riconoscimento. Passano tre anni e il 23 maggio 1806 Raisi ci segnala una vera e propria riunione massonica: Non si mette più in dubbio la Loggia dei Liberi Muratori erretta in Forlì nel locale di S. Domenico ,il di cui capo è il Sig. ex canonico Albicini ammogliato e che esigge dai suoi conserti il titolo di Venerabile .Ieri notte in detto luogo dove stettero fino a giorno fecero una ben lauta cena alla quale intervennero 150 persone colà radunate da tutto il Dipartimento , e v’erano purtroppo ancora dei nostri Ravignani.13 La Loggia in questione è la “Reale Augusta”, Loggia tipicamente napoleonica ad iniziare, in primo luogo, dal trarre il nome dalla Viceregina d’Italia, la consorte di Eugenio Beauharnais ,la Principessa Augusta Amelia di Baviera. E siccome alla piaggeria non c’è mai limite, non solo a Forlì si era scelto di dare questo nome alla locale loggia massonica ma anche a Brescia ,Treviso, Ancona ed altrove. Ma quello che interessa più sottolineare del documento è che , per quanto non fosse ancora nata una vera e propria loggia ravennate, erano iniziati dei contatti con la vicina Forlì per giungere a questo risultato. Contatti che si dovevano svolgere a ritmo alquanto serrato se Raisi in data 20 giugno 1806 annota: Il Sig. ex canonico Albicini Capo della Loggia dei Liberi Muratori che si è eretta in Forlì è venuto a Ravenna e non si è fatto vedere che dai suoi seguaci, che ha radunati di notte in San Vitale, e tosto è ripartito per la sua patria. Questi sono i preliminari, ma la loggia qui non è ancora formata, o almeno scopertamente da poterlo asserire con verità.14 E finalmente in data 3 agosto 1806 possiamo considerare fondata la prima loggia massonica ravennate: In questa notte nel locale di S. Vitale vi è stata adunanza dei Muratori in numero di 18. Si chiusero alle ore 5 pom., cenarono in due tavole una di 6 l’altra di 12 dopo la mezzanotte nella cucina grande di detto luogo senza serventi e i piatti furono consegnati al principio del primo chiostro da un incognito ,e rimandati addietro quelli che li avevano portati. Li sei principali che mangiarono nella tavola separata furono il Sig.ri Casoni, Gaspare della Scala, Santini ,uno di Bertinoro, uno di Cesena e un altro di Faenza ,ch’erano venuti per comuni affari ,dopo avere tenuto una lunga seduta fuori di Faenza nel Palazzo Conti verso Bologna. Alla sud.a ora si fecero chiudere da un servente, che portò via la chiave, e in appresso presentatosi il Sig. Uccellini non fu ricevuto ,dicendo che non era compreso fra gli invitati. Vi erano tra i principali ancora il militare Tordo , Pietro Runcaldier, etc. etc. e la cena costò sc. 10,20. Sul far del giorno soltanto ritornarono alle loro case. Il pagamento si fa per via di mandati dal Sig. Gaspare Scala, e quando sono in radunanza si danno il titolo di cavagliere (!) 15 Una curiosa notazione. Il “Sig. Uccellini” – Luigi Uccellini, padre di Primo Uccellini – non fu ammesso alla riunione perché “non era compreso fra gli invitati”. Forse una giusta misura prudenziale e di buon senso verso un individuo che piuttosto che nell’ “edificare templi alla virtù” si era distinto in qualità di crocimaco nell’abbattimento per le pubbliche vie del principale simbolo della cristianità e nel prendere a sciabolate immagini sacre ? Ma nonostante l’accuratezza delle informazioni del manoscritto di Raisi che ci dà conto del numero e dei nomi dei protagonisti
della nascita della loggia massonica di Ravenna ed anche del suo accrescersi (2 giugno 1807 : “E’ cresciuta di molto la Loggia dei Liberi Muratori in S. Vitale ,contandosi in oggi composta di 70 individui e più”16), fino ad arrivare a segnalare la costituzione di una sorta di loggia giovanile (30 gennaio 1808: “Si parla di una Unione che si va preparando con qualche effetto detta degl’Incipienti [per selezionare nuovi giovani elementi per] i Liberi Muratori”17), il Conte non ci informa sul nome della loggia Ravennate. Nome che apprendiamo dall’ultimo manoscritto da noi preso in considerazione, conservato sempre presso la Biblioteca Classense di Ravenna il Disegno levato da una originale Medaglia fatta coniare e posta in circolazione dai così detti Liberi Muratori l’anno 1807 di Don Luigi Badessi. Il manoscritto, datato 17 marzo 1808, non contiene informazioni rilevanti sulla loggia ravennate e sarebbe più significativo come indice di una cieca mentalità antimassonica ( “In Ravenna fuvi pure questa funesta semenza, ed in alcune stanze del soppresso Convento di S.Vitale fù piantata la presidenza de’ Miscredenti aleati. Da medesimi si fece cuniare la dicontro delineata Medaglia coi Moti, e cogli Emblemma , che si vedono descritti”18). Ma la descrizione della medaglia consiste nel disegno originale ,allegato al manoscritto, della Medaglia della Loggia “La Pigneta” di Ravenna, rappresentando un lato della medaglia una fenice che risorge dalle ceneri ancora ardenti19 spiccando il volo verso il sole e recante inciso il motto “Sic virtus resurgit”; l’altro lato con incisa la scritta “La Pigneta Or.:di Ravenna” – il nome appunto della Loggia – con la riproduzione di tre pini intrecciati e con alla base la cifra 5806, che indica il 1806, l’anno profano di fondazione della Loggia. Ovviamente la sorte di questa loggia ravennate sarà strettamente legata alle vicende del Regno d’Italia e riuscirà a sopravvivere solo pochi mesi alla sua dissoluzione e al ritorno dello Stato pontificio. L’ultima segnalazione del manoscritto Raisi sulla massoneria ravennate è in data 17 marzo 1815: Per ordine del comandante Carlos Ardos e del Maggior Brener furono fatte alcune perquisizioni in parecchie case .Furono arrestati il Sig. Verlicchi di Lugo qui dimorante, Marcello Nardi aiutante maggiore della guardia urbana assoldata ,Agostino Triossi ,Tomaso Lovatelli di Meldola Segretario generale di Governo, e il Colonnello Pietro Runcaldier Capitano del Porto nell’ufficio del quale furono trovati 25 fucili scarichi, e 45 nella sua casa nascosti tra due muri ,e fu arrestato Bergossi casermiere di S.Vitale per certo fuoco appiccatosi ad una camera ,dicono a bella posta da lui ,per abbruciare tutto quello che apparteneva setta dei Liberi Muratori ,nella qual camera tenevano le loro conferenze.20 Su Ravenna e sulla Romagna era così scesa la notte della reazione e le attività latomistiche ,ancor più che nel resto del Paese, dovettero praticamente cessare. Non cessò, invece, ed anzi assunse toni più accesi che nel resto d’Italia, l’insofferenza romagnola verso il ritorno dell’ancien régime: in fondo la ventata d’oltralpe ,nonostante tutti i suoi difetti e contraddizioni, aveva soffiato impetuosa e il confronto con la restaurazione – in Romagna nella versione Papa Re, una delle peggiori in assoluto – risultava impietoso e senza appello. La repressione papalina non ebbe troppa difficoltà a demolire la massoneria di tipo napoleonico: troppo conosciuti ,molto dei quali con ruoli pubblici, i suoi componenti, e sovente compromessi col passato regime. Non poteva però cancellare – compito veramente sovraumano che non poteva riuscire nemmeno da chi pensava di trarre forza e legittimità da Dio stesso – il ricordo delle passate libertà, di cui le logge massoniche con le loro riunioni dove sedevano gomito a gomito i più diversi ceti furono una delle più riuscite traduzioni pratiche, una nuova ed inedita forma di socialità che rivoluzionava la caratteristica principale e più odiosa dell’ancien régime ,la rigidissima separatezza fra le classi, un vero e proprio sistema castale che non aveva nulla da invidiare con quello induista. E se la Massoneria fu facilmente demolita ,il costume massonico di riunire uomini di diversa provenienza ed esperienza, non più ora “ per edificare templi alla virtù e scavare oscure e profonde prigioni al vizio” – come recita un odierno cerimoniale massonico ma ben espressivo delle finalità della Massoneria sin dai suoi esordi – e nel contempo fungere da supporto per la politica del gran Corso e dei suoi proconsoli italiani , ma per , mutate le circostanze , cospirare per la libertà , era definitivamente entrato nella mentalità italiana, specialmente in Romagna. Non altra spiegazione trova l’incredibile sentenza Rivarola del 1825 .
Uso questo termine non in riferimento alla moltitudine di persone che furono colpite dalla sentenza che porta il nome del Cardinal Legato Agostino Rivarola : “La sentenza investì più di 700 persone e fra queste 7 furono condannate a morte (sentenza che però non fu eseguita) , 6 all’ergastolo, innumerevoli altre a pene carcerarie minori ( bisogna comunque tenere nel debito conto la durezza delle carceri del Papa Re) ,fino a giungere a quasi trecento persone le quali pur variamente condannate non dovettero subire il carcere.”21 No ,incredibile non fu tanto la sentenza ma lo spaccato che essa ci presenta della situazione sociale e cospirativa di allora ( in questo senso una delle migliori dimostrazioni della teoria dell’eterogenesi dei fini nella storia: Rivarola non intese certo lavorare per gli adepti di Clio) . “ La sentenza Rivarola, infatti, colpisce indistintamente individui di tutti i ceti e di tutte le condizioni: accanto al nobile viene condannato anche il nullatenente, dediti, tutti appassionatamente, alla cospirazione secondo i loro mezzi e le loro possibilità. Una cospirazione esercitata soprattutto attraverso le sette carbonare , come nel resto d’Italia, le quali però possiamo affermare attraverso la sentenza Rivarola che in Romagna ebbero uno degli sviluppi più rigogliosi di tutto il Paese”22 , segno evidente che il costume massonico di riunire uomini diversi per condizione e per censo ma legati dalla volontà di combattere per la libertà e contro il Papa Re ( in un certo senso la versione dell’ epoca dell’ essere “uomini liberi e di buoni costumi” ) era ormai una delle caratteristiche più peculiari – e a nostro giudizio migliori – della mentalità romagnola. Una mentalità romagnola che già di per sé portata all’iperbole e innestandosi nell’indubbia propensione massonica per una certa teatralità , non paga di rappresentare una sfida terribile per la reazione ( e di pagarne quindi, come si è visto, le durissime conseguenze) , arriverà anche ad informare ad una notevole melodrammaticità ( ma mai come in questo caso absit iniuria verbo ) i nomi di questi numerosi gruppi cospirativi : Figli di Marte, Figli della Speranza, Fratelli Artisti, Maestri Perfetti, Fratelli del Dovere, Ermolaiti, Illuminati, Latinisti, Adelfia, Siberia, Turba , Federati, Americani23. La sentenza Rivarola del ’25 costituisce quindi la terribile istantanea “di un popolo che, primo in Italia, in tutte le sue articolazioni, scinde decisamente le sue sorti da quelle della restaurazione”24, come era già stato anticipato dai moti del ’21 e come sarà dimostrato dal succedersi degli eventi dopo la sentenza. Nel ’31 la Romagna verrà scossa da moti cui seguirà una dura repressione ( il più tragico epilogo di quella vicenda sarà lo scontro presso Rimini fra i patrioti del generale Zucchi e le truppe austriache, un episodio di tale drammaticità ed esemplarità che spinse Mazzini a scrivere la sua prima opera politica, la commovente La notte di Rimini, maledizione alla Francia di Luigi Filippo). Nel ‘43 e nel ’45 la Romagna sarà lo scenario di ulteriori moti . Per la Repubblica Romana cadranno 96 romagnoli e 76 saranno i feriti. Forlì, con un abitato cittadino , alla vigilia della seconda guerra d’Indipendenza, di 15000 unità ,fornì a questa guerra 800 volontari, un contingente altissimo in rapporto alla popolazione urbana (in pratica, quasi tutti gli uomini idonei alle armi ). A Monterotondo ,glorioso episodio militare dell’altrimenti infausta spedizione di Garibaldi del ’67 nell’agro romano, dei 150 caduti complessivi, 32 sono i romagnoli di Caldesi e Valzania. Ma questo suo costante essere all’avanguardia nelle lotte risorgimentali, questa partecipazione incessante e generosa contro ogni forma di oppressione ( in primis quella pontificia ma, concluso il Risorgimento, contro la soluzione moderata che era stata data della questione nazionale) trovano il suo incunabolo nella radiografia della società romagnola che emerge dalla sentenza Rivarola. Una regione povera (i condannati dalla sentenza sono rappresentativi di tutti i ceti e professioni e numerosi sono anche gli indigenti) ma che nonostante tutto e a dispetto di tutto non ha mai smesso di sognare un avvenire migliore. E gli strumenti più adeguati per iniziare concretamente a lottare per questo sogno sono quelli lasciati in eredità dalla liberomuratoria, praticamente dissolta dall’alleanza del Trono con l’Altare ma trasmutatasi, come in una sorta di processo alchemico, nella Carboneria ed in tutte quelle sette e conventicole paracarboniche di cui la lettura della sentenza Rivarola ci restituisce uno degli spaccati più impressionanti ( ma anche più rasserenanti, ché la storia degli “uomini liberi e di buoni costumi” che si associano per scaraventare in “oscure e profonde prigioni” le tirannie è sempre edificante ).
Sotto questo punto di vista, va giudicata e condannata con tutta la severità possibile la tesi del Luzio25 tesa a ridicolizzare l’apporto della Massoneria nel Risorgimento italiano, imperniata sulla fallace inferenza che siccome nel Risorgimento non si ebbe, in pratica, alcuna attività latomistica, l’influsso della Massoneria nel processo unitario debba considerarsi inesistente. Che è un po’ come dire che il Cristianesimo perché perseguitato e ridotto per lunghi periodi in clandestinità sotto l’Impero, poté acquisire un fondamentale ruolo storico e politico per la civiltà occidentale solo dopo l’Editto di Milano del 313, col quale Costantino il Grande rese per la prima volta esplicitamente tollerato il culto soterico cristiano – paolino. In realtà la tesi del Luzio più che un errore – orrore storiografico fu un vero e proprio calcio del somaro inflitto mentre la Massoneria stava spirando sotto le amorevoli cure del Cav. Benito Mussolini, il quale con il pronto intuito che caratterizzò sempre la sua attività politica, ben aveva compreso che la trasformazione dell’Italia postrisorgimentale liberale in stato totalitario passava attraverso la demolizione della Massoneria. E per dare più peso alla sua pseudotesi storiografica, non si peritò Luzio di brandire “contro la Libera Muratoria nientemeno che la relazione con la quale Mussolini intimò alle Camere di regolamentare l’iscrizione dei pubblici dipendenti alle associazioni (cioè vietò di iscriversi alla Massoneria). Proprio allora era in pieno svolgimento il dibattito che si concluse con il forzato autoscioglimento delle Logge, preludio a quello dei partiti politici e sindacati di opposizione”26. Se la tesi di Luzio non ne guadagnò in autorevolezza, quello che era andato così perduto in credibilità fu a tutto vantaggio della deterrenza rivolta contro la Massoneria e ,in generale, contro chiunque si fosse azzardato ad ergersi contro il novello dittatore, non importa se ricorrendo ai riservati strumenti muratorii e a quelli più essoterici dei partiti politici e dei sindacati. Anche se non certo annoverabile fra gli amici della Massoneria (anzi), fu in quelle circostanze più equanime Antonio Gramsci che bollò la Massoneria come il “partito della borghesia” e come tale il nemico di sempre delle forze progressiste. Ma in questa stereotipata fraseologia, è ben possibile cogliere un grano di verità insieme ad una profondissima inquietudine che tormentava il fondatore del partito comunista d’Italia. Il grano di verità. La Massoneria non era mai stato il partito della borghesia ma certamente con la borghesia (anche se non solo con questa : Andrea Costa e tutti i socialisti che transitarono fra le Colonne molto difficilmente potrebbero essere definiti borghesi per censo e mentalità) essa fu uno dei momenti privilegiati per il formarsi dell’identità italiana. L’inquietudine. Al di là delle parole d’ordine sul socialismo prossimo venturo che avrebbe fatto dell’Italia la copia latina della Repubblica dei Soviet, Gramsci aveva capito benissimo che per molti anni i giochi erano fatti e che sarebbe scesa sull’Italia per molto tempo la cappa della dittatura mussoliniana. Definire la Massoneria il partito della borghesia, corrispose da parte di Gramsci, in quelle circostanze storiche, nient’altro che ad un esercizio consolatorio e di rimozione che consisteva nella creazione di un nemico di cartapesta ( la massoneria – borghesia ) per non vedere il nemico in carne ed ossa, il fascismo, che si stava facendo un solo boccone di Massoneria (messa fuori legge) , borghesia ( nel senso dell’Italia liberale che dopo la prima guerra mondiale ed il fascismo non riuscirà più a ritrovare sé stessa) e di socialisti riformisti o rivoluzionari che dir si voglia che, come Gramsci, dovettero scontare anni di carcere e di confino (assieme a chi socialista o comunista non lo era affatto come il Gran Maestro Domizio Torrigiani, Carlo Rosselli, Emilio Lussu e tanti altri il cui unico difetto era di amare la libertà) se non addirittura l’eliminazione fisica (come don Minzoni, Matteotti, Gobetti e Amendola, uccisi dal fascismo proprio perché nel ventaglio delle loro rispettive posizioni costituivano ,comunque, l’alternativa possibile alla rivoluzione dei soviet e alla controrivoluzione totalitaria che aveva travolto il paese). Una sorta quindi, quello di Gramsci, di omaggio postumo alla liberomuratoria, da parte di un avversario che ha intuito – ma che non ha il coraggio di esplicitare fino in fondo – che la fine di questo suo nemico, sostituito da un ben più terribile leviatano ,che non sarà mai partito di nessuno ma solo di sé stesso, significa anche la sua fine. D’ora in avanti la parola sarebbe passata ai Luzio e, ancor più, ai suoi mandanti morali. Per molti anni non l’avrebbero ceduta a nessuno.
1 F. Beltrami, Il Forestiere instruito delle cose notabili della città di Ravenna, Ravenna, 1783, p.167. 2 E. Bonvicini, Esoterismo nella massoneria antica, vol. 1, La simbologia celata nelle regole costruttive, Roma, Atanor, 1993, p.225. 3 F. Beltrami, Il Forestiere instruito… cit., pp.193-194. 4 N. Pirazzoli, P. Fabbri, Camillo Morigia (1743-1795). Architettura e riformismo nelle Legazioni, Imola, Santerno Edizioni, 1976, p.75. 5 Un altro uroboros con evidenti richiami simbolici è quello posto al vertice dell’ iscrizione sulla facciata del Capanno Garibaldi di Ravenna. L’iscrizione di datazione incerta – ma probabilmente risalente al periodo immediatamente successivo all’ entrata di Ravenna nel Regno d’Italia – celebra con ampollosi riferimenti al tema della natività – ma bisogna tenere conto della mentalità del tempo e degli entusiasmi per la fine del potere temporale del Papa – l’impresa dei salvatori ravennati di Garibaldi dopo la caduta della Repubblica Romana del 1849: “Questa sacra capanna/ che nel 1849 tolse alla strage/degli erodiani austriaci e di Roma/Garibaldi liberatore/i battezzati italiani/onoreranno/come quella/di Betlemme di Nazaret” 6 U. Foschi, Case e famiglie della vecchia Ravenna, Ravenna, Longo, p.55. 7 E. M. Ferrucci, Il Palazzo della Provincia di Ravenna. Suggestioni di un percorso d’architettura, Ravenna, Longo, 1997, p. 62. 8 Ibidem, p.48. 9 P. Uccellini, Dizionario storico di Ravenna e di altri luoghi di Romagna, Ravenna, 1855, p.343. 10 B. Fiandrini, Annali ravennati dalla fondazione della città fino alla fine del secolo XVIII, vol.III, ms. ,presso Biblioteca Classense di Ravenna , alla data 28 luglio 1798. 11 Ibidem. 12 A. Varni, L’età giacobina e napoleonica a Ravenna, in A. Varni (a cura di ) “I giacobini” nelle Legazioni. Gli anni napoleonici a Bologna e Ravenna, ( Atti dei convegni di studi svoltisi a Bologna il 13-14-15 novembre 1996, a Ravenna il 21-22 novembre 1996), Costa Editore, vol. III, p. 16. 13 P. Raisi, Giornale di quanto è avvenuto di più rimarcabile dopo l’arrivo dei francesi in Ravenna proseguito dal cittadino Pompeo Raisi dal 1798, vol. VI, ms., presso Biblioteca Classense, alla data 23 maggio 1806. 14 Ibidem, vol. VI, alla data 20 giugno 1806. 15 Ibidem, vol.VII, alla data 4 agosto 1806. 16 Ibidem, vol. VII, alla data 2 giugno 1807. 17 Ibidem, vol.VII, alla data 30 gennaio 1808. 18 L. Badessi, Disegno levato da una originale Medaglia fatta coniare , e posta in circolazione dai così detti Liberi Muratori l’anno 1807,ms., datato 17 marzo 1808, presso Biblioteca Classense di Ravenna. 19 Molto curiosamente ,alla base della colonna sud di Piazza del Popolo di Ravenna, quella che sorregge la statua di S. Apollinare, è scolpita una fenice. Sia il basamento della colonna sud che quello della colonna nord furono scolpiti nel 1483 da Pietro Lombardo, lo stesso scultore che scolpì il bassorilievo di Dante Alighieri posto sopra l’arca che custodisce le ossa del Poeta, che fu “fedele d’amore” e quindi non ignaro di esoterismo. Forse i fondatori della Loggia “La Pigneta” si ispirarono direttamene a questo motivo per la loro medaglia, forse è un’ipotesi azzardata come molte altre che potrebbero essere formulate su questa singolare coincidenza. Certamente , tutte s’inscrivono nell’ orizzonte di quei numerosi affioramenti misterico-simbolici che- come si è visto – contraddistinguono la nostra città. 20 P. Raisi, cit.,vol. VIII, alla data 17 marzo 1815. 21 M. Morigi, Perché dalla Romagna la continuità democratica, in “Nuova Repubblica “, 11 aprile 1996, n.5. 22 Ibidem. 23 Singolare, al limite del folcloristico ma ben espressivo di una mentalità romagnola totalmente “ all’opposizione”, rispetto al nuovo ordine reazionario, è l’incontro di Byron con gli “Americani”, riportato in L. Miserocchi, Ravenna e ravennati nel secolo XIX .Memorie e notizie, Ravenna, Società Tipo-editrice Ravennate e mutilati, 1927,pp.252-253:”Nello stesso anno sorse pure in Ravenna una compagnia di cacciatori denominata “Gli Americani” (in ricordo ,sembra ,della rivoluzione d’America). Essa è così rievocata da Byron nel Diario del suo soggiorno in Romagna sotto la data del 29 gennaio 1821. ‘Cavalcando nella foresta (intendi pineta) m’inbattei in una compagnia di uomini tutti armati, i quali erano denominati “Gli Americani”; essi cantavano a tutta possa in romagnolo: Siam tutti soldati per la libertà! Sem du ,sem tri-sem tot d’un partì/semsi,sem ott – sem tot patriot! Passando ,mi salutarono. Io restituii loro il saluto e proseguii nel mio cammino’. Per questo spirito patriottico e per una cavalcata in maschera ,con gilè rosso, cappello rosso e pantaloni bianchi, organizzata dalla compagnia nel febbraio 1821, e che riuscì una clamorosa manifestazione di sentimenti liberali, il Legato Cardinale Rusconi comprese che non si trattava di una semplice società di cacciatori , ma di una nuova e pericolosa setta politica. Cominciarono quindi le persecuzioni contro coloro che fossero gravemente indiziati di appartenere alla setta degli Americani.” 24 M. Morigi, Perché dalla Romagna…,cit. Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1 Pag. 22 25 A. Luzio, La Massoneria e il Risorgimento italiano, Bologna, Zanichelli, 1925, 2 voll. 26 A. A. Mola ,Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Milano, Bompiani, 1993,
p.22. Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … –
Belt & Road Phase 2 va oltre l’infrastruttura
Intervista con il professor David Arase dell’Università di Hong Kong e dell’Hopkins-Nanjing Center
Di SCOTT FOSTER
29 DICEMBRE 2021
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Il corridoio economico Cina-Pakistan da 60 miliardi di dollari è una parte importante della Belt and Road Initiative cinese. Immagine: CPEC/Facebook Tieni d’occhio la Belt & Road Initiative della Cina nel nuovo anno. Sta succedendo più di quanto generalmente si creda.
Belt & Road non è solo la costruzione di “corridoi” di trasporto terrestre e marittimo attraverso e intorno all’Asia verso l’Africa, l’Europa e oltre per facilitare il commercio; non solo porti e porti costruiti dai cinesi lungo le coste dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina che potrebbero essere trasformati in basi navali; non solo una “diplomazia della trappola del debito” volta a trascinare le nazioni in via di sviluppo in un ordine internazionale cinese emergente.
David Arase, professore onorario presso l’Asia Global Institute presso l’Università di Hong Kong e professore residente di politica internazionale presso l’Hopkins-Nanjing Center della Johns Hopkins University School of Advanced International Studies, affronta questi punti in modo molto dettagliato.
Dettagli più che sufficienti per smentirci dall’idea che – i suoi metodi e i suoi scopi essendo stati chiamati in causa dalla rumorosa diplomazia americana – Belt & Road sia in svantaggio.
In un saggio pubblicato , Arase scrive che i cinesi sono da tempo consapevoli delle carenze dell’originale Belt & Road Initiative (BRI) incentrata sulle infrastrutture fisiche – compreso il rischio di credito, ambientale e reputazionale – e se ne stanno occupando in modo completo , modo lungimirante:
Con il secondo Belt and Road Forum (BRF) nel 2019, la Cina aveva reagito alle prospettive di rischio-rendimento negative della fase iniziale di cooperazione annunciando una nuova era “verde e sostenibile” per la Belt and Road…
Meno notato, ma forse più significativo, è stato il nuovo focus sull’armonizzazione di diversi regimi legali, politici e di standard tecnici tra i paesi BRI collegati. Nel suo discorso al BRF del 2019, [il presidente cinese] Xi ha sottolineato che “dobbiamo promuovere la liberalizzazione e la facilitazione del commercio e degli investimenti, dire no al protezionismo e rendere la globalizzazione economica più aperta, inclusiva, equilibrata e vantaggiosa per tutti”. In termini concreti, ciò significava promuovere standard uniformi per le zone di libero scambio, la protezione della proprietà intellettuale, le regole sul trasferimento di tecnologia, la riduzione delle tariffe, la stabilizzazione del tasso di cambio, l’applicazione dei trattati commerciali e la risoluzione delle controversie commerciali e di investimento…
Mentre sarebbe ancora necessaria la cooperazione in progetti di infrastrutture pesanti per aggiornare la connettività dei corridoi, la cooperazione BRI si è espansa nella tecnologia: tecnologie digitali ad alta intensità di conoscenza (la “via della seta digitale”), industrie legate alla salute (la “via della seta della salute”) e complesse Progetti di Internet of Things (IoT) basati sul 5G come le città intelligenti (“cooperazione per l’innovazione”).
Con questo come sfondo – e non potendo incontrarmi a causa del virus – ho intervistato via e-mail il professore di Tokyo. Ecco la prima parte dell’intervista modificata in due parti:
D: Hai parlato prima del fatto che la Belt & Road cinese non è solo una questione di promozione del commercio attraverso le infrastrutture, ma una geostrategia completa con una componente militare. Potresti approfondire?
I progetti infrastrutturali Belt & Road creano una testa di ponte per il commercio, gli investimenti, la finanza, la tecnologia e la logistica cinesi per entrare nelle economie dei paesi in via di sviluppo molto più piccoli e per modernizzare e dominare i settori in cui possono operare con profitto.
Se l’economia modernizzata di un paese raggiunge un punto in cui non può essere mantenuta senza le imprese cinesi e l’accesso alla finanza, al commercio e alla tecnologia cinesi, i governi messi in questa situazione sarebbero soddisfatti, corrotti o costretti a seguire le richieste e le preferenze cinesi per garantire le proprie interesse per la stabilità economica e politica.
Potrebbero persino essere persuasi a richiedere la cooperazione con l’Esercito di liberazione popolare e i ministeri della sicurezza civile cinese per proteggere e difendere i loro investimenti congiunti in infrastrutture e connettività Belt & Road con la Cina.
Se questo tipo di situazione si diffondesse in tutta l’impronta della Belt & Road, con le loro future prospettive economiche e politiche in gioco, i governi di tutta l’Eurasia non avranno altra scelta che cooperare con le agende di governance economica, politica e di sicurezza della Cina, anche se queste minano e sostituiscono quelle degli Stati Uniti e dei suoi alleati.
La BRI promuove questo tipo di strategia geo-economica fornendo “hardware” o impianti fisici, attrezzature, trasporti, energia e infrastrutture digitali finanziate da banche statali e costruite e gestite da imprese statali cinesi.
Queste entità di punta dello stato di partito portano un intero ecosistema di esportatori cinesi, subappaltatori, fornitori di servizi di lavoro, imprese private e piccoli imprenditori ovunque siano costruiti i progetti Belt & Road.
D: Ma questo processo non crea sempre più risorse all’estero che la Cina deve proteggere?
Esattamente. Quando uno stato accumula interessi acquisiti all’estero, deve provvedere alla loro protezione. L’ordine [internazionale] basato su regole ha stabilito norme concordate a livello multilaterale e giuridicamente vincolanti che disciplinano l’acquisizione e la protezione degli interessi esteri.
Ma affinché il sistema funzioni in assenza di un governo mondiale, tutte le parti contraenti devono rispettare le norme che si sono impegnate a sostenere.
Secondo l’ordine attuale, ci sono due ragioni diverse per sviluppare capacità armate e reclutare alleati per difendere i tuoi interessi all’estero. Uno è quello di difendere i tuoi diritti legittimi secondo l’ordine basato sulle regole. L’altro è rivendicare con forza nuovi diritti e imporre nuove norme di governance per migliorare i propri interessi a spese delle norme esistenti e dei diritti di altri attori.
L’accumulo di interessi all’estero è ciò che la Belt & Road Initiative fa in grande stile attraverso e intorno all’Eurasia. Mentre la Cina costruisce porti, piantagioni, miniere, ferrovie, parchi industriali e zone commerciali, nuovi mercati, nuove rotte di trasporto e comunità di cittadini d’oltremare, non può essere criticata per aver cercato modi per proteggerli.
D: Significa che ciò che è iniziato come attività economica è ora collegato alla difesa nazionale della Cina?
Al contrario, lo è stato fin dall’inizio.
La Belt & Road Initiative è stata lanciata nell’autunno 2013 insieme a iniziative diplomatiche, politiche e istituzionali complementari per costruire un nuovo tipo di ordine internazionale incentrato sulla Cina. Queste iniziative dei partner includevano la “diplomazia della periferia”, la costruzione di una “comunità di destino comune” e l’Asian Infrastructure Investment Bank.
L’infrastruttura Belt & Road deve essere costruita in conformità con i mandati legali e politici formali della Cina che implementano l’integrazione o la fusione militare-civile. La legge sulla mobilitazione della difesa nazionale del 2010 stabilisce che i progetti di infrastrutture civili “strettamente correlati alla difesa nazionale devono soddisfare i requisiti di difesa nazionale e possedere funzioni di difesa nazionale” e devono essere consegnati per uso militare quando necessario.
Le guardie di sicurezza camminano davanti a un cartellone per il Belt and Road Forum per la cooperazione internazionale a Pechino il 13 maggio 2017. Foto: AFP / Wang Zhao
Il 13 ° Piano quinquennale (2017-21) prevede progetti integrati di sviluppo civile-militare nelle regioni marittime d’oltremare. Il libro bianco sulla difesa del 2015 richiede uno sviluppo di infrastrutture che tenga conto sia dell’uso civile che militare che sia “compatibile, complementare e reciprocamente accessibile”.
E la legge nazionale sui trasporti del 2017 richiede “pianificazione, costruzione, gestione e utilizzo delle risorse nei settori dei trasporti come ferrovie, strade, corsi d’acqua, aviazione, condutture e porti allo scopo di soddisfare i requisiti della difesa nazionale”.
Le imprese statali cinesi che progettano e costruiscono infrastrutture BRI devono agire in conformità con queste leggi.
D: E questo, presumo, porta inevitabilmente all’espansione delle attività cinesi legate alla sicurezza all’estero?
Sì. La Cina non riconosce alcuna connessione formale tra Belt & Road e l’Esercito di Liberazione Popolare. Ma in realtà, l’estensione degli interessi di investimento all’estero tramite Belt & Road richiede che i ruoli e le missioni di protezione all’estero dell’esercito stiano al passo.
Secondo i pianificatori strategici dell’esercito, “dove gli interessi nazionali si espandono, deve seguire il supporto della forza militare”. Pertanto, l’influenza geopolitica della Cina avanza con l’Iniziativa Belt & Road all’avanguardia e con l’Esercito di Liberazione Popolare che fa da retroguardia per proteggere gli investimenti Belt & Road e le rotte commerciali da potenziali minacce.
Nello svolgere le sue missioni di protezione all’estero di Belt & Road, l’Esercito di Liberazione del Popolo dovrebbe trovare governi partner di Belt & Road disposti ad accettare istruzione, addestramento e attrezzature militari che migliorano la propria sicurezza nazionale e la sicurezza degli investimenti cinesi.
L’Esercito di Liberazione del Popolo dovrebbe anche trovare il porto di Belt & Road e le infrastrutture di trasporto accessibili, familiari e facili da usare in caso di emergenza, se necessario.
Con l’avvio della Belt & Road Initiative dal 2013, non è casuale che la legge antiterrorismo del 2015 abbia autorizzato la polizia armata popolare a svolgere missioni antiterrorismo all’estero e che il white paper della difesa del 2015 abbia aggiunto la salvaguardia della sicurezza degli interessi cinesi all’estero. e mantenere la pace regionale e mondiale per le missioni strategiche dell’Esercito di Liberazione Popolare.
Il white paper della difesa del 2019 descrive “interessi all’estero” come operazioni e supporto militari all’estero migliorati, strutture logistiche all’estero, operazioni di protezione delle navi, sicurezza strategica delle rotte marittime e operazioni di evacuazione all’estero e di protezione dei diritti marittimi.
Nel 2020, la legge sulla difesa nazionale è stata rivista per aggiungere “salvaguardia degli interessi cinesi all’estero” e ha autorizzato l’Esercito di liberazione popolare a “mobilitare le sue forze” per “difendere i suoi interessi nazionali e interessi di sviluppo e risolvere le differenze con l’uso della forza” come aggiunte. alle “missioni e compiti” dell’esercito.
Le attività della Belt & Road e gli investimenti commerciali e gli interessi commerciali successivi costituiscono ovviamente interessi di sviluppo all’estero, quindi ora l’Esercito di Liberazione Popolare, aiutato dalla diplomazia cinese, deve sviluppare cooperazione e capacità per difendere questi interessi se ordinato dal Partito Comunista Cinese. .
Non è che l’esercito cinese si sia fatto cogliere impreparato. La marina cinese completerà una terza portaerei (e nuovo modello) entro l’estate 2021 e ha iniziato a costruirne una quarta. Ha anche sviluppato una forza antiterrorismo in grado di dispiegarsi all’estero, un corpo di marina di spedizione e un corpo di paracadutisti con grandi nuovi tipi di navi da trasporto marittimo e aereo per dispiegare queste forze.
Con una sola base d’oltremare ufficialmente riconosciuta a Gibuti, la protezione all’estero degli interessi di sviluppo di Belt & Road richiederà la negoziazione di accordi con i paesi ospitanti per la transizione di porti, aeroporti e zone di sviluppo che fino ad ora erano esclusivamente civili in strutture a uso doppio o parallelo disponibili per supportare un livello rafforzato di presenza strategica dell’Esercito di Liberazione del Popolo per garantire gli interessi di sviluppo dei paesi partner cinesi e Belt & Road.
D: In che modo questo cambia il calcolo della geostrategia Belt & Road?
Oltre ad assicurare il sostegno alle operazioni dell’Esercito di Liberazione Popolare, i dividendi includono la definizione dell’agenda nei forum di governance regionale; la conquista dei mercati e l’approvvigionamento di risorse critiche; Belt & Road cooperazione con i partner militari e di polizia dello stato del partito per garantire interessi e aumentare l’influenza con i partner; e l’influenza politica attraverso l’istruzione e la formazione di politici, funzionari governativi, soldati e poliziotti e giovani nei paesi partner. Per un partito-stato dedito all’agenda del sogno cinese, tali guadagni politici e strategici potrebbero superare di gran lunga il costo finanziario delle cancellazioni del prestito del progetto Belt & Road.
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Scott Foster, laureato alla Johns Hopkins University School of Advanced International Studies di Washington, DC, è un analista presso LightStream Research a Tokyo. Seguilo su Twitter: @ScottFo83517667
Talleyrand, commentando la fucilazione del duca d’Enghien, spiegò che era più grave di un delitto: era un errore.
Sono d’accordo e invece di soffermarmi sui delitti del fascismo ( lo fanno ormai anche i fascisti), mi soffermerò sul suo errore: il disprezzo del consenso.
Non parlo, ovviamente, della ricerca del consenso a tutti i costi, sport favorito delle mezze tacche, ma del consenzo che nasce dal confronto che forma la volontà generale.
Il fascismo trasformò i comizi in riti, i giornali di opposizione, chiusero, fu creata l’EIAR, la radio che diffondeva il pensiero unico del capo e l’Agenzia Stefani che “notiziava” il popolo d’Italia.
Tutti presidiati da fidi omuncoli con l’obbiettivo di rendere impossibile qualsiasi alternativa.
La logica conseguenza fu la creazione disorganica e spontanea di una cultura divergente che guardava al passato ( la monarchia) o al futuro ( un nebbioso utopico socialismo).
Questa considerazione affiora alla mente, vedendo più che ascoltando, la diffusione televisiva del trentottesimo “discorso di addio” di Sergio Mattarella mentre la popolazione era ancora scioccata dai catastrofici aumenti delle utenze più indispensabili al vivere.
Il disprezzo degli italiani che costui millanta di aver servito, traspare dall’aver parlato solo bene di sè, col pretesto di fare l’identikit del prossimo presidente; con platee plaudenti a successi economici, salutistici e morali che abbiamo visto…
Ha portato avanti unicamente l’argomento della sua successione usando disinvoltamente persino la citazione di un pensionato deceduto – suprema gaffe- a causa di un esplosivo difetto nella fornitura di gas aumentato del 55% mentre la sua pensione – se fosse vissuto – avrebbe avuto un incremento dell’1,5%.
Cambiamenti dai tempi di “ Duce dacci la luce” ne abbiamo avuti e non solo nelle insegne dei tabaccai come insinuò quel disfattista di Salvemini.
L’EIAR ora ha invertito l’acronimo e si chiama RAI; la STEFANI si chiama ANSA, i giornali invece di assaltarli vengono riempiti di denari dalla presidenza del Consiglio di cui dovrebbero essere i controllori.
Questa riciclata fabbrica del consenso annidata al Quirinale promette “l’immancabile vittoria finale” fidando nel “ potente alleato” mentre gli italiani, specie i giovani guardano al passato ( il fascismo) che, per fortuna non hanno conosciuto, e al futuro ( un nebbioso cosmopolitismo).
Siamo di fronte a nullità che ci ripropongono il nulla parlando del nulla con una opposizione che vale ancor meno arrocata nei suoi neo acquisiti attici.
Pensare solo a sè non è un delitto .
È il solito errore.
Ci hanno negato il diritto di comunicare con la pubblica opinione.
Errore pagato dai vecchi fascisti.
Non saranno questi nuovi melliflui fascistelli a fare eccezione.
Negli Stati Uniti stiamo assistendo ai primi segnali di un ribaltamento della narrazione che ha giustificato sino ad ora la gestione della pandemia da parte dell’establishment dominante. Di fronte alla evidenza stridente della realtà, alle nubi che si affacciano all’orizzonte circa il dissesto economico provocato e le probabili implicazioni di lunga durata delle scelte farmacologiche adottate in grande fretta diventa sempre più arduo proseguire sulla stessa strada non ostante il sostegno monolitico della gran cassa mediatica. Rappresenta il tentativo, probabilmente estremo, di consentire ai naufraghi dell’attuale panorama politico non solo di riemergere dalla crisi di consenso, di autorità e di autorevolezza in cui sono sprofondati, ma di riprendere saldamente in mano il controllo della situazione, riuscendo nel capolavoro di coinvolgere pesantemente nella responsabilità di una gestione fallimentare e cinica Donald Trump. E’, infatti, il primo reale momento di rottura, probabilmente non ancora irreparabile, del profondo legame dell’ex presidente con lo zoccolo duro del suo elettorato, grazie anche ad una clamorosa ingenuità. Non sappiamo se fatale. Siamo ancora agli inizi e il finale dello spartito non è ancora stato scritto. Richiederà il sacrificio di alcuni capri espiatori in campo democratico e neocon. Le incognite però sono ancora troppe: il caso Epstein, di fatto oscurato, ma non ancora chiuso; il dilemma dei rapporti con la Cina e soprattutto con la Russia non più eludibile, grazie ai passi intrapresi da Putin e Lavrov; l’immigrazione sempre più incontrollata e la situazione economica a dir poco incerta; gli stati federati che sempre più intraprendono iniziative contrastanti con gli indirizzi del governo centrale; la polarizzazione drammatica all’interno del Partito Democratico; le possibili alternative che stanno emergendo nella leadership trumpiana. Tutti fattori che rischiano di risucchiare la ciurma dei naufraghi proprio nel momento in cui riescono ad aggrapparsi a qualche relitto per rimanere a galla, rendendo improcrastinabile l’avvento di nuovi timonieri. Sempre che ci siano. In Italia i sintomi di una crisi quantomeno di autorevolezza non mancano; come al solito la classe dirigente tarderà a cambiare lo spartito, scritto da altri e riprodotto malamente dai nostri epigoni. Buon ascolto_Giuseppe Germinario
Una dozzina d’anni fa Berlusconi – o meglio i suoi seguaci – contrapposero alla Costituzione formale la Costituzione materiale, suscitando la consueta raffica di anatemi ed esorcismi degli intellos di sinistra, che della costituzionale formale, o meglio della loro interpretazione del testo normativo, avevano fatto il proprio shibboleth. E avvertivano che il richiamo a quella materiale rischiava di rovinargli il giocattolo.
È appena il caso di ricordare che il termine (non il concetto) di costituzione materiale era opera di un acuto giurista come Costantino Mortati, membro dell’assemblea costituente della Repubblica, in buona parte sviluppando quanto espresso quasi un secolo prima da Ferdinand Lasalle nella nota conferenza “Über Verfassungswesen”, ove il rivoluzionario riconduceva la costituzione agli “effettivi rapporti di potere che sussistono in una data società”, alla forza attiva “che determina le leggi e le istituzioni giuridiche”. Scriveva Lassalle che “Gli effettivi rapporti di potere che sussistono in ogni società sono quella forza effettivamente in vigore che determina tutte le leggi e le istituzioni giuridiche di questa società, cosicché queste ultime essenzialmente non possono essere diverse da come sono” (il corsivo è mio); ed elencava i relativi “pezzi di costituzione”: il potere del re, quello dell’aristocrazia, della borghesia che comunque assicuravano un ordine, effettivo e concreto, e con ciò la coesione sociale. Così la costituzione è l’insieme – dei rapporti di forza reali – ed organizzati – di una comunità politica. E cos’è la Costituzione formale? Rispondeva Lassalle “Questi effettivi rapporti di forza li si butta su un foglio di carta, si dà loro un’espressione scritta, e, se ora sono stati buttati giù, essi non solo sono rapporti di forza effettivi, ma sono anche diventati, ora, diritto, istituzioni giuridiche, e chi vi oppone resistenza viene punito”.
Riprendendo e sviluppando la concezione di Lassalle, Mortati scriveva “Rimanendo nell’ordine di idee per ultimo esposte di una raffigurazione della costituzione che colleghi strettamente in sé la società e lo stato, è da ribadire quanto si è detto sull’esigenza che la prima sia intesa come entità già in sé dotata di una propria struttura, in quanto ordinata secondo un particolare assetto in cui confluiscano, accanto ad un sistema di rapporti economici, fattori vari di rafforzamento, di indole culturale, religioso ecc., che trova espressione in una particolare visione politica, cioè in un certo modo d’intendere e di avvertire il bene comune e risulti sostenuta da un insieme di forze collettive che siano portatrici della visione stessa e riescano a farla prevalere dando vita a rapporti di sopra e sotto-ordinazione, cioè ad un vero assetto fondamentale che si può chiamare «costituzione materiale» per distinguerla da quella cui si dà nome di «formale»”. A questo è affidata una “funzione di rafforzamento delle garanzie di conservazione della sottostante compagine sociale, non è tuttavia da dimenticare che è in quest’ultima, nell’effettivo rapporto delle forze da cui è sostenuta che deve trovarsi il vero supporto dell’ordine legale”1 (il corsivo è mio).
La Costituzione materiale consiste essenzialmente nelle forze politiche e sociali che hanno voluto e sostengono l’assetto fondamentale di poteri delineato da quella formale in norme collocate “al sommo della gerarchia delle fonti”.
Ma cosa succede se l’assetto delle forze politiche e sociali (cioè la costituzione materiale) cambia (com’è naturale) e quella formale (cioè la regolamentazione normativa) rimane la stessa? Il problema è ricorrente, dato che, come scriveva Hauriou, un ordinamento giuridico è un agmen, un esercito in marcia che adatta sempre la propria formazione alla situazione storica, pur conservando un assetto ordinato. Se però il divario tra regole e assetto delle forze diverge, si apre un dualismo che, nei casi estremi, conduce alla guerra civile, cioè all’“appello a Dio” di Locke. Il quale così significava che non c’è potere (superiore) sulla terra in grado di decidere un tale conflitto. Nella tarda modernità, nostra contemporanea, è stato notato più volte – in tutt’altro contesto da quello giuridico – che il divario tra élite e popolo si è allargato (da Lasch a Laclau, a tanti altri). Così si costituisce una situazione che prelude ad un nuovo insieme di rapporti di potere, che riarmonizzi le due costituzioni: sostanziale e formale.
Qualcuno dirà che non è vero che lo iato si sta allargando, che tutti vogliono la costituzione più bella del mondo, e via salmodiando. Ma ad un pensiero realista occorre riscontrare non tanto se quello iato è frutto di manipolazione (potrebbe esserlo, almeno in parte) ma se esiste realmente un modo più sicuro o se preferite, meno insicuro per accertare se esiste in una democrazia il consenso soprattutto elettorale che aveva il sistema nel complesso e ancor più le “forze politiche e sociali” che sostenevano il vecchio ordine e quello che hanno coloro che sostengono il nuovo.
Applicando questo criterio occorre ricordare che la Costituzione formale fu approvata dei partiti del CLN, che avevano circa il 90% dei seggi alla costituente. Le successive elezioni politiche del 18/04/1948 diedero al complesso dei partiti ciellenisti oltre il 90% dei suffragi popolari. Con ciò la costituzione – e quello che sarebbe stato poi l’arco costituzionale – otteneva un consenso “bulgaro”. Bella o brutta che fosse il consenso c’era e non lo si può negare.
Fino agli anni 80 la situazione, pur nella divaricazione tra comunisti e non comunisti, confermava un consenso ampio ai partiti dell’“arco costituzionale”. Ma il crollo del comunismo incrinava prima e dissolveva poi il sistema dei partiti della “prima Repubblica” e con esso il maggior sostegno della costituzione formale. Uscivano dal Parlamento tutti i partiti laici, la DC si riduceva ad un quarto di quel che era e si spezzava in (almeno) due tronconi, i comunisti perdevano buona parte del loro elettorato ed erano costretti a cambiare nome. Diventavano forze maggioritarie partiti che non facevano parte del CLN o ne erano stati esclusi. Dal 1994 in poi quelli eredi dell’arco costituzionale ottengono suffragi di una minoranza, ma la Costituzione formale è rimasta sostanzialmente la stessa (tranne per le modifiche al titolo V e qualche altro ritocco, apparente).
Negli ultimi dieci anni poi, il divario si è allargato: crescita dei partiti anti-establishment ma che ha prima raggiunto e poi passato regolarmente la maggioranza dei suffragi (v. elezioni dal 2018 in poi).
La novità degli ultimi mesi è che i tre maggiori partiti italiani (Lega, FdI e PD, a leggere i sondaggi) sono in un testa a testa intorno al 20%, e pochi decimi di percentuale (al massimo un punto pieno), indicano quale primo partito FdI, ossia il partito erede degli esclusi dall’arco costituzionale, mentre il PD, il partito (residuo) dell’arco, è più o meno sullo stesso livello di consensi.
Quasi tutti i suffragi non attribuiti ai due partiti epigoni (dell’arco e non dell’arco) sono espressi a partiti che ne stavano fuori per l’ovvia ragione che non esistevano (Lega, 5Stelle, FI e vari minori); né sono credibili le dichiarazioni ad usum delphini di lealismo alla costituzione formale di qualche dirigente, e dall’altro perché spesso i partiti suddetti caldeggiano riforme costituzionali incisive, un po’ perché quelle professioni d’intenti sono strumentali ad obiettivi tattici (di lotta tra, ma ancor più, nei partiti).
Resta il fatto che da un consenso al 90%, l’ “arco costituzionale” è attualmente tra il 20 e, tutt’al più (con minori vari) il 30% dell’elettorato.
Oltretutto tra le forze non riconducibili all’arco/non arco, sono prevalenti quelle che includono nella futura maggioranza (a quanto risulta dai sondaggi) proprio gli eredi del ventennio; altri sono critici verso la Costituzione formale, al punto di aver proposto vasti rimaneggiamenti della medesima.
Da questo deriva che l’ “antifascismo” in particolare inteso come conventio ad excludendum dalla maggioranza elettorale ha un consenso di una minoranza, ragguardevole ma pur sempre minoranza. In conclusione abbiamo un dato reale (la Costituzione materiale) che non corrisponde da tempo a quella formale. Resta da capire quanto possa durare una Costituzione formale non sostenuta da “forze politiche e sociali” coerenti alla stessa.
Emerge così un conflitto tra legittimità e legalità che è la principale causa della debolezza, interna e ancor più internazionale, della Repubblica.
Teodoro Klitsche de la Grange
1 E proseguiva sottolineando l’intrinseca giuridicità, onde realizzare “un sistema di rapporti gerarchizzati secondo criteri di dominio e di soggezione”, v. Istituzioni di diritto pubblico, Tomo I, Milano 1976, pp. 30-31
DEL DISCORSO LUNGO E DI QUELLO CORTO. Ho finito ieri di leggere “Il capitalismo della sorveglianza” di S. Zuboff, eletto fondamento della tradizione critica degli ultimi decenni assieme a Primavera silenziosa, No Logo, Impero, Il Capitale del XXI secolo etc (questo ultima lista la riferisco come di altri, non è mia). La tesi del libro è condensata -in parte- nel titolo e declinata secondo quanto riportato dalle principali recensioni che troverete facilmente sui motori di ricerca.
Ma del libro mi interessa rilevare un altro aspetto. Il libro sviluppa 539 pagine nette, al netto cioè delle note. Non è né noioso, né difficile da seguire, anzi, merito dell’autrice è quello di dipanare la matassa con accorta lentezza ritornando più volte sui punti precedenti di modo da costruire nel tempo, la struttura di ciò che intendeva comunicare. Sono quindi 539 pagine “necessarie”. Necessarie all’autrice per dirci ciò che aveva da dirci, necessarie al lettore per assorbire informazioni, tesi, concetti e struttura del discorso. Discorso riferito a fatti, molti fatti, interpretati e giudicati con parziale giustificazione del sistema mentale dell’autrice quanto ad interpretazione e giudizio. L’autrice è docente di psicologia sociale ad Harvard, ma si è immersa a fondo nell’argomento riportandoci non solo analisi ma fatti con analisi. La parte della sua immagine di mondo dedicata a questo lavoro di analisi, dichiara esplicitamente il debito di conoscenza con Marx, Durkheim, Weber, Arendt, Polanyi forse più di ogni altro.
Il punto è che, in auto-analisi, debbo rilevare una differenza di conoscenza tra quello che sapevo prima di leggerlo e dopo. La tesi mi era nota, mi era nota a grandi linee la tesi specifica della Zuboff ma mi era nota la faccenda più in generale avendone letto in più di una dozzina di testi oltre la marea di articoli che turbinano nell’argomento, già da parecchio tempo. Tuttavia, solo la lettura delle 539 pagine mi ha dato tutti i livelli del discorso fatto dalla Zuboff. È un po’ come coi concetti.
Se provenite da una vasta e profonda conoscenza di un argomento, il concetto vi permette di zippare tutta la conoscenza che risiede nella vostra mente, in un sintetico. Quel sintetico agile e limitato, lo potrete usare con altri sintetici per costruire nuovi pensieri. Nella vostra mente ci sarà l’argomento vasto ed approfondito da una parte e per certi usi, la sua condensazione nel concetto che userete per costruire altri argomenti dall’altra. Tutto ciò ha base però nella conoscenza del discorso lungo.
Dopodiché potrete scrivere una recensione per chi non ha letto il libro o addirittura citarne il concetto dentro altri discorsi. L’informazione di massa, nei media moderni o in quello ultra-moderno di Internet (social, blog etc.), veicola solo i concetti. Spesso neanche quelli, si va direttamente al giudizio. Ma cosa capisce la gente dei concetti se non è stata esposta al processo di condensazione del discorso lungo in quello breve che è appunto il concetto? O peggio cosa capisce di un giudizio se non ha neanche il concetto per non dire del discorso lungo che questo vorrebbe zippare?
Prendiamo l’ultimo Rapporto Censis. Viaggiano articoli di commento e tabelline postate sui social con commenti vari. Chi usa il testo per sostenere A, chi per sostenere B, chi per invalidare quello che sostiene B e viceversa, chi per invalidare alla radice la credibilità del Censis e dei suoi dati statistici sintetici. Stamane sono andato su loro sito ed ho letto una sintesi meno sintetica di una tabellina sul tema dell’irrazionalità, che allego. Be’ la sintesi che pure è sintetica rispetto al testo del Rapporto è molto diversa nel senso e significato rispetto ai commenti che girano nell’informazione e nella suburra social.
Di nuovo, il discorso lungo io non l’ho neanche letto visto che non ho letto il Rapporto (per anni, quando lavoravo, andavo a comprare e poi leggere il Rapporto Censis perché era la fonte principale di una vasta analisi sociale, un tipo di analisi che cinquanta anni fa facevano in molti ed in molti modi ed era parte della cultura medio-alta diffusa con fonti plurali. Negli ultimi decenni s’è fatta sempre meno, comunicata ancora meno e da ultimo, per niente, senza che nessuno se ne lamentasse). Potrei dire di conoscere abbastanza l’argomento per varie ragioni di studio e di interesse, ma ciò che mi sembrava emergere esponendomi al flusso delle informazioni, non corrisponde neanche un po’ alla pur limitata sintesi dell’articolo pubblicato dallo stesso Censis che ho letto stamane. Di nuovo, quali sono i rapporti tra i nostri discorsi brevi e quelli lunghi nel dibattito pubblico?
Oggi abbiamo folle che credono alla scienza ed altri che non ci credono a priori. Cinquanta anni fa era consenso diffuso almeno nelle vaste platee critiche (che erano più vaste delle attuali) il concetto di “non neutralità della scienza e degli scienziati”. Il che però non significava pensare a priori che qualsiasi informazione scientifica fosse una bufala ideologica. Di nuovo, il discorso lungo predispone ad assorbire informazioni, schemi interpretativi, riferimenti su cui applicare la lente critica per filtrare il tutto e discernere il grano dal loglio, facendosi una opinione. Il discorso breve invece dà l’illusione di avere un concetto, quindi una conoscenza, ma in realtà dà solo un geroglifico il cui senso e significato non si ha. Tale geroglifico inserito nel giudizio dato dalla fonte a cui prestiamo credibilità a priori, determina la nostra illusione di conoscenza.
Farò un altro esempio. Tempo fa mi sono concesso qui nel mattatoio dell’intelligenza che è facebook, un cinque minuti di polemica con una signora che sosteneva l’evidenza della bufala del problematico problema climatico, rilanciando il concetto che la CO2 era la “molecola della vita”. Come poteva la molecola della vita insidiare la vita? La signora non sapeva che non è la qualità intrinseca della CO2 ma la sua quantità il problema. La signora spedita sulla superfice di Venere dove l’eccesso di CO2 crea un effetto serra tale che al suolo ci sono 400°, si sarebbe letteralmente squagliata in pochi secondi anche se prima, per sua fortuna, sarebbe morta di collasso per colpa della sua “molecola della vita”.
Quello climatico è un discorso lungo, come quello economico, ambientale, geopolitico, politico e sociale, tecno-scientifico, filosofico o qualsivoglia altro. Questi discorsi lunghi richiedono tempo, tempo per conoscere, digerire, elaborare, sintetizzare, costruire sintesi di sintesi, dibattere con altre menti. Tempo che mediamente nessuno ha poiché nel nostro ordinamento il tempo è denaro ed il denaro è la fiche del gioco, gioco sociale che non possiamo non giocare sebbene il casinò non l’abbiamo scelto noi, ci siamo stati “gettati”.
Noi viviamo in una società che si dice dell’informazione, ma il sottostante è una società dell’ignoranza. La società dell’informazione è una società dei discorsi brevi, dei concetti (se ti va bene, più spesso delle sole “asserzioni”), dell’illusione di sapere ciò su cui esprimiamo giudizi. Questa grande illusione della società dell’informazione, che scambia la conoscenza con l’informazione, il discorso lungo con quello breve, copre una società profondamente ignorante, siamo nella palese diseguaglianza della conoscenza da cui ogni altra sopravviene.
La società è profondamente ignorante per il semplice fatto che i discorsi lunghi presuppongono il tempo ed il tempo è una risorsa scarsa passibile di usi alternativi, ma non scelti in libertà perché il contratto sociale (oggi derogato sistematicamente da élite strette tra ignoranza ed irrisolvibile conflitto di interessi) impone che più della metà del tempo di veglia sia dedicato a procurarsi le fiche del gioco, che poi è la nostra stessa esistenza; quindi, un gioco “che non si può non giocare”.
Il rischio adattivo che corriamo perché siamo capitati in un mondo sempre più complesso ovvero fatto di questioni molteplici la cui conoscenza presupporrebbe molto tempo, è che questo mondo va da una parte e dall’altra va la nostra illusione di partecipare al discorso pubblico, alimentata da asserzioni senza concetto o concetti senza conoscenza nel turbinio informativo a cui ci dedichiamo quando non abbiamo altro da fare, oltretutto convincendoci che l’informazione del discorso breve possa surrogare la conoscenza del discorso lungo.
Il che ci porterebbe ad una istanza politica prioritaria: rivendicare il tempo. Le teorie politiche critiche, ma direi “alternative allo stato di cose” perché sono svariati decenni che avremmo dovuto capire che la critica è un passivo mentre il mondo è un attivo e l’attivo non viene all’essere dal passivo (dal non essere), dovrebbero avere in cima al proprio elaborato il punto: senza il tempo non c’è conoscenza, senza conoscenza non c’è democrazia, senza democrazia falliremo l’adattamento e ne patiremo lungamente e dolorosamente le conseguenze.
Con una società dell’ignoranza dentro un’era in cui aumenta vistosamente la complessità, la predizione è facile, ma non confortante. Scusate la lunghezza.
[A chi mai interessasse, il paper del Censis: https://www.censis.it/rapport…/la-societ%C3%A0-irrazionale. Una breve aggiunta sul tema del giorno: l’irrazionale. Il concetto è ingannevole, il ragionamento irrazionale non rinuncia affatto alla razionalità, solo, la applica ad una insufficiente conoscenza. Non c’è una epidemia di illogica, c’è una epidemia di ignoranza. ]
Un ceto politico chiaramente impresentabile, incapace di un pensiero autonomo e preda dei giochi di potere e di colpi di mano. Il tempo stringe e con esso diventa stringente la necessità di un ricambio politico interno alla componente democratica e neoconservatrice in grado di sostenere il confronto con Donald Trump e soprattutto il trumpismo. Si tratta però di una ricerca quasi disperata, ridotta al lumicino di pochi uomini, scarsamente rappresentativi. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
“Essere antimoderni non ha molto senso”, una conversazione con Johann Chapoutot
In Le Grand Récit , edito dal PUF, Johann Chapoutot analizza i principali discorsi sulla dotazione e sul dare significato, dal provvidenzialismo alla cospirazione. L’abbiamo incontrata per discutere del suo approccio storico, delle domande che può sollevare e di come il suo libro si collega al resto del suo lavoro.
Johann Chapoutot, La grande storia. Introduzione alla storia del nostro tempo , Parigi, PUF, “Hors collection”, 2021, 384 pagine, ISBN 978-2-13-0825 ,URL https://www.puf.com/content/Le_Grand_R%C3%A9cit
Lanciandoti in questo libro, ti sei detto che il tuo approccio storico non è più sufficiente per illuminare il nostro tempo?
Anzi, no, è anche il contrario. Molte persone mi hanno chiesto se mi faccio da parte con questo libro. Ma in realtà ho l’impressione di aver approfondito quello che è il cuore della mia professione, che è l’attenzione al significato della storia negli occhi degli stessi attori. Ci sono modi diversi di fare storia: da parte mia, preferisco un approccio culturalista, internalista e comprensivo a un approccio che sarebbe più esternista e con una pretesa esplicativa.
Mi interrogo sul significato dato agli atti dagli attori e quindi sul discorso della donazione e della dotazione di senso, cioè alla storia. Mi interessano queste forme di discorso che sono trame narrative e ho voluto spiegare, nell’introduzione, nella conclusione e nel capitolo 9, un certo modo di fare la storia. Tutto questo nasce da un suggerimento del mio amico e complice Christian Ingrao che mi ha consigliato di scrivere un articolo su come, con gli altri, faccio la storia.
Riflettendo sul discorso, sulla storia del dare significato, mi sono detto che avrei fatto questo punto metodologico ed epistemologico. Quindi sono al centro di quello che faccio di solito. Molte persone si sono stupite che io parli troppo di filosofia o di discipline umanistiche, ma è sufficiente aprire la mia tesi per rendermi conto che l’ho sempre fatto. Questo è ciò che leggo e ciò che pratico. Per dirla semplicemente, non passo il mio tempo a leggere Himmler. Quello che ho letto nella mia vita è filosofia, saggi, letteratura, sociologia e anche i miei colleghi storici, ai quali cerco di rendere omaggio in questo lavoro.
Ho fatto quello che faccio di solito, spiegandolo. Quello che mi sorprende, però, è il modo in cui viene accolto il mio lavoro. Scrivo questi lavori soprattutto per le mie figlie e per me stessa, per spiegare, mettere un po’ d’ordine, definire e capire almeno il nostro stare al mondo. E infatti è stata mediaticamente e socialmente appropriata perché incontra le domande contemporanee.
Tu affermi che i nazisti sono ” del nostro tempo e del nostro posto”, estendendo qui la riflessione iniziata in Liberi di obbedire . Capisci che questa affermazione può confondere? Inoltre, più che del nostro tempo e del nostro luogo, i nazisti non sono forse il prodotto della civiltà industriale nata nel XIX secolo? Si ha l’impressione che tu ti stia allontanando dal tuo primo lavoro sulla genealogia intellettuale del nazismo e rifletta invece sulla permanenza del nazismo nelle nostre società.
A monte e a valle sono collegati. Il mio oggetto di studio non è il nazismo. È piuttosto il mio campo nel senso di archeologi o antropologi. Il mio obiettivo è piuttosto, andare in fretta, la modernità, vale a dire questo particolare essere-nel-mondo, diverso da quello che conoscevamo prima della Rivoluzione francese. L’industrializzazione e le forme di abbandono sociale di massa indotte dall’urbanizzazione, dall’industrializzazione e dal disincanto religioso provocarono disincanto nel mondo a cui il nazismo fu una risposta esplicita. Il nazismo ha saputo sedurre, convincere o addirittura entusiasmare perché rispondeva concretamente alle grandi domande sull’essere-nel-mondo di chi si poneva queste domande: cosa sono ? da dove vengo? dove stiamo andando ? È un insieme di domande fondamentali a cui le narrazioni e i discorsi tradizionali non riuscivano più a rispondere.
Ecco perché il nazismo è, di fatto, il nostro tempo e il nostro luogo. Questo è qualcosa su cui insisto perché trattiamo il nazismo, specialmente nei media o pubblicamente, attraverso il prisma dell’aberrazione, dell’eccezione o dell’anomalia. Lo capisco ed è così che ho iniziato a lavorare sull’argomento, come tutti gli altri. Ma quando guardiamo al nazismo, ci rendiamo conto che tutto ciò che viene detto e affermato è molto banale. Ciò che è sognato e pianificato lo è meno. Aggiungiamo che, geograficamente e temporalmente, il nazismo non è la Papua del XIII secolo o l’India del XVII secolo, ma piuttosto l’Europa del XX secolo. Infatti è il nostro tempo e il nostro luogo, e deriva da questa matrice che hai evocato:
Il mio obiettivo è, per andare veloci, la modernità, vale a dire questo particolare essere-nel-mondo, diverso da quello che conoscevamo prima della Rivoluzione francese.
JOHANN CHAPOUTOT
Per il downstream è la stessa cosa. Allo stesso modo in cui non c’è una creazione ex nihilo nel 1933, non c’è volatilizzazione dal 1945. I fondamenti della nostra civiltà occidentale per andare rapidamente – estrattivismo, produttivismo e alienazione – che si sono cristallizzati nella seconda metà del XIX secolo in Europa e gli Stati Uniti, non si dissolsero. I fondamenti ci sono, ci sono anche le domande e, infatti, i fenomeni di cui i nazisti erano “esponenti” (mi riferisco qui al termine tedesco Exponent ), vale a dire illustrazioni particolarmente vivide, non si sono dissipati successivamente.
L’idea di considerare un lavoratore come una risorsa, un’idea tipicamente nazista, questa reificazione dell’altro come agente produttivo, è alla base della definizione di “risorse umane” che oggi “gestiamo”. hui. Ecco perché ho proposto queste idee in Free to Obey , che ha ricevuto un eccesso di onore o un eccesso di indegnità. Un eccesso di onore da parte di coloro che sentivano che avevo finalmente dimostrato che la nostra vita quotidiana era nazista, che non è il mio punto. Un’eccessiva indegnità da parte di chi sentiva che stavo ributtando tutto sul nazismo, che stavo facendo una sorta di reductio a hitlerum , quando non lo ero.
Il momento nazista, il fenomeno nazista ci permettono di leggere la nostra modernità ad occhio nudo, come i cromosomi della mosca Drosophila che prediligiamo negli insegnamenti di biologia perché sono così grandi che possiamo guardarli senza strumenti più sofisticati. microscopio.
Nel ” nazificare” il nostro presente, non c’è il rischio, da un lato, di perdere di vista ciò che mostri in parte del tuo lavoro, vale a dire che ci sarebbe una banalità del nazismo, che era prima del 1939 un espressione politica tra le altre risposte alla modernità industriale? E d’altra parte, non rischiamo di perdere di vista ciò che tuttavia costituisce la singolarità storica del nazismo, se si considera la lunga storia dell’estrema destra in Europa?
Ci sono due equivoci. Prima di tutto, non sto “nazificando” il contemporaneo. In Free to Obey , non ho inventato questo generale delle SS vicino a Himmler che divenne papa dirigente e creatore della più grande business school in Germania dopo il 1945. Non ho inventato Reinhard Höhn, esiste, inoltre c’è un buon lavoro su di esso. Da questo caso di studio, ho voluto suggerire un certo numero di linee di pensiero, ad esempio il fatto che mi sono spiegato meglio i conati di vomito che la nozione di “gestione delle risorse umane”. Quando i nazisti parlano di Menschenmaterial, c’è qualcosa come un bagno culturale comune tra l’ufficiale delle SS Reinhard Höhn degli anni ’30 e ’40 che riflette sulla scomparsa dello stato, la proliferazione delle agenzie e l’uso corretto del materiale umano e il Reinhard Höhn del 1956, ex generale delle SS ridiventato professore-dottore e creatore di business school acclamato come “papa del management” per il suo 95esimo compleanno nel 2000. Ancora una volta, non sono io a presentarlo come tale, c’è la Bundesvereinigung der Deutschen Arbeitgeberverbände (BDA), il sindacato dei datori di lavoro tedesco, il MEDEF tedesco.
Allora dobbiamo vedere cosa intendiamo per nazismo. Dirò una cosa che ho già detto e scritto e che può suscitare una forma di fraintendimento: il nazismo non può essere ridotto alla Shoah, e la Shoah non è solo nazismo.
La Shoah non è solo nazismo perché è un’impresa comune a tutta l’Europa. Tutti ci sono entrati. Dai prefetti francesi ai nazionalisti lituani, passando per gli ustascia croati e gli antisemiti polacchi. Ci sono arrivati su istigazione tedesca, ma i tedeschi stessi – guardate il lavoro di Jan Tomasz Gross – erano inorriditi dai pogrom polacchi che si svolgevano davanti ai loro occhi. È lo stesso nel Baltico o nei Balcani con gli ustascia: i tedeschi presenti sono allarmati dalla violenza antisemita dei locali.
Allora, il nazismo non è solo la Shoah. Il nazismo è stato, prima del 1941, almeno 8 anni – più se torniamo al 1919 o al 1920 – di un’esperienza politica acclamata da tutte le parti: in Francia, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. . Non è stato così per tutti ovviamente: i comunisti erano contrari, anche i socialdemocratici, anche alcuni democristiani. Ma l’“Hitler più che Blum” denunciato da Mounier e poi da Marc Bloch non è un mito. È sorprendente vedere come le élite britanniche rimuginassero con il loro sguardo benevolo su un Hitler che sembrava loro la parata ideale contro il bolscevismo, la soluzione per uccidere la sinistra e i sindacati e trasformare la Germania in “una zona di investimento ottimale”. . Dal 1933 infatti la Germania, considerando il programma di riarmo e vedendo che non ne rimane più, è una “zona di investimento ottimale” – un concetto che ho sviluppato dalla zona valutaria ottimale. Puoi avere un ritorno sui tuoi investimenti unico al mondo grazie alle condizioni di produzione offerte dal paese.
Il nazismo prima del 1941 non è né Treblinka né Sobibor. Queste sono realtà che conosco un po’. E mi sorprende quando alcune persone si accigliano: sono l’unico storico francese premiato da Yad Vashem, per La loi du sang . Per questo mi ha lasciato un po’ perplesso. Allo stesso tempo mi dico che studiando a lungo un fenomeno non ci si rende più conto che ciò che appare ovvio dopo un lento assestamento non lo è affatto per il pubblico. Lo iato tra ricercatore e pubblico sta crescendo fatalmente.
La cosa più sorprendente di Free to Obey è il salto da un caso di studio a una lettura molto più generale del management della Germania occidentale e persino dell’Europa occidentale dopo il 1955. Credi che non sia questo a provocare la sorpresa dell’accoglienza?
Prima del 1945, Reinhard Hohn è un tipico individuo del mondo degli intellettuali delle SS, per citare Christian Ingrao1o Michael Wildt. E i suoi amici, quelli con cui lavora sono Werner Best – il numero due della Gestapo – e Wilhelm Stuckart – il redattore delle Leggi di Norimberga. Ed è con loro che lavora a questa rivista chiamata Empire. Ordine razziale. Spazio abitativo ( Reich, Volksordnung und Lebensraum ) per riflettere sull’attrito dello Stato e sulla mutazione delle strutture per amministrare in modo ottimale il Grande Impero.
Il nazismo non può essere ridotto all’Olocausto, e l’Olocausto non è solo nazismo.
JOHANN CHAPOUTOT
Dopo il 1945, fu celebrato durante il suo 95esimo anniversario come il “papa della gestione”. La sua scuola ha formato 700.000 dirigenti assunti in più di 2.000 aziende tedesche. È un fenomeno sociale di massa ed è in questo che possiamo passare da un caso di studio a un fenomeno più generale. Soprattutto perché nella sua scuola non si è corretto, non si è pentito di nulla e non ha mai avuto una parola per il passato. E, inoltre, impiegò, come insegnanti nella sua scuola, alte kameraden,vale a dire, l’ex SS. Franz-Alfred Six condannato a Norimberga per genocidio attivo – sul campo – rilasciato, divenne direttore marketing di Porsche ed era professore di marketing nella sua business school. Il professore di medicina Karl Kötschau che, dopo il 1945, continuava a dire che era necessario eliminare i malati o gli handicappati, divenne professore di “sviluppo personale”. Il dottor Justus Beyer, condannato a Norimberga per genocidio attivo, insegnava lì come professore di diritto commerciale.
Il XXI secolo costituisce una cesura, soprattutto dal punto di vista di cui ti occupi, cioè della creazione del senso, della narrazione?
Forse dipende da dove mettiamo la sillabazione. Le cronologie più argomentate parlano del 1989 e altre del 2001. La cesura non è piuttosto la fine degli anni ’70 con la grande crisi industriale vissuta dalla prima patria della rivoluzione industriale che è la Grande? -Brittany, dall’azienda reazione politica, pienamente assunta quale è quella di Margaret Thatcher che incarna e attua ciò che Grégoire Chamayou ha ben studiato in La società ingovernabile2, cioè soluzioni neoliberiste. Con questo intendo un liberalismo vantaggioso per il capitalismo finanziario, tutto sotto il dominio di uno stato spogliato di quasi tutto tranne la sua capacità di mantenere l’ordine. Perché ci vuole ordine per fare affari. Ecco perché abbiamo acclamato Hitler negli anni ’30 e Pinochet negli anni ’70.
La cesura non sarebbe dunque l’arrivo al potere di Margaret Thatcher nel 1979, subito prima di Ronald Reagan, poi Helmut Kohl nel 1982-1983 nella RFT? Siamo, inoltre, poco prima della famosa svolta di austerità del 1983 in Francia e dell’arrivo di Laurent Fabius che segna sia una svolta nel discorso politico sulla questione dell’immigrazione – il famoso “Monsieur Le Pen fa le buone domande ma dai loro risposte sbagliate”3– e un cambiamento anche nella concezione della normativa e della legge con l’inizio della deregolamentazione. Non abbiamo aspettato Chirac nel 1986, è iniziato molto chiaramente nel 1984.
Per continuare sulla cesura rappresentata dal XXI secolo, la cospirazione contemporanea è una risposta alla scomparsa di strutture politiche o religiose capaci di spiegare il mondo?
Se consideriamo l’importanza dell’abbandono del religioso, che è evidente in Occidente, potremmo ipotizzare che il religioso rimarrebbe importante nel vuoto, in modo spettrale o spettrale, nel senso che parleremmo di un membro fantasma . Se facciamo questa ipotesi, è chiaro che in questa lettura, per riprendere una visione aroniana delle religioni laiche, il complotto è un modo di fare a meno della religione senza aver pianto una trascendenza. Questa diventa una trascendenza negativa in cui il male – l’ebreo, il rettile o altro – finisce per avere una virtù perché spiega tutto. I problemi individuali e sociali hanno una causa ovvia e comprensibile.
Per questo inserisco le teorie e le storie della cospirazione in una prospettiva più ampia e in una cronologia più ampia, facendo riferimento ad esempio all’opera di Franck Collard sulla congiura dei lebbrosi nel Medioevo.4.
Ci vuole ordine per fare affari. Ecco perché abbiamo acclamato Hitler negli anni ’30 e Pinochet negli anni ’70.
JOHANN CHAPOUTOT
C’è una permanenza: dietro il caos impenetrabile che mi colpisce, c’è una “causalità diabolica”. Uso questa espressione di Leon Poliakov e Norman Cohn in The Fanatics of the Apocalypse5. Questa causalità mi rassicura perché è identificata e fornisce significato. Ciò risponde a un’esigenza terapeutica: trovare un senso alla propria infelicità è fondamentale. Io stesso sono stato sorpreso di apprendere che una psicoanalista, Nathalie Zajde, che tratta pazienti nati da sopravvissuti all’Olocausto, ha prescritto La Legge del Sangue.6ai suoi pazienti . Perché è importante che i pazienti che soffrono abbiano un discorso significativo che smascheri e decostruisca il progetto di sterminio dei nazisti iscrivendolo in un’epoca e nella propria razionalità. La cospirazione è una forma di terapia selvaggia su larga scala in un modo del tutto paragonabile a un fenomeno che non ho menzionato nel mio libro, le epidemie di stregoneria negli anni ’60 e ’70 studiate da Jeanne Favret-Saada in Le parole morte gli incantesimi7. È una risposta a un enorme trauma sociale: la legge Pisani-Ferry, l’americanizzazione dell’agricoltura, gli input chimici, l’estirpazione del boschetto per fare grandi campi aperti. Il modo per rispondere a questi traumi di massa è immaginare che ci sia stato lanciato un incantesimo che si traduce nella morte di una mucca, nel guasto del trattore o in difficoltà finanziarie. Io sono uno storico, sto solo osservando, ma gli antropologi o gli psicologi hanno qualcosa da dire sulle sorgenti di tutto questo. È ovvio che il bisogno di ermeneutica c’è e la cospirazione risponde meravigliosamente bene perché è un modo di fare religione senza Dio, ma pur conservando il Diavolo, perché si mantiene una figura detestabile, odiata, un “Chi”? Ornato con piccole corna.
Tracci paralleli tra la Francia contemporanea e l’antica Roma, in particolare confrontando il loro fascino con il mito dell’età dell’oro. Non è problematico questo miscuglio di tempi? Non dà l’impressione che la storia sia un’eterna ripartenza o un ciclo? Possiamo davvero mettere sullo stesso piano Salluste ed Éric Zemmour?
Vista così, in effetti non è una buona cosa ed è meglio fare come Gérard Noiriel che mette Zemmour allo stesso livello di Edouard Drumont!
Il riavvicinamento all’Impero Romano è opportuno in quanto la Repubblica francese e la città politica francese furono costruite in riferimento al romanismo. La rivoluzione è avvenuta ” in abiti romani ” – qui torno a Marx. Possiamo citare Camille Desmoulins che afferma: ” Avevamo la testa piena di greco e latino, eravamo repubblicani universitari. “. Tutto contribuisce a ciò che noi pensiamo come romano, in particolare la virtù stoica del cittadino che deve pensare l’interesse generale contro il suo interesse privato. Pertanto, la storia antica ha un’importanza, un significato in Francia a partire dalla Rivoluzione francese, che rafforza l’eredità del Rinascimento e poi dei Gesuiti conferendole una dimensione civica. Quindi è importante vedere che siamo stati nutriti dall’innutrizione.
Ma quando leggiamo testi del I secolo aC e della nostra epoca, l’apice dell’Impero, gli autori romani non smettono mai di lamentarsi. Ed è ancora possibile che noi siamo gli eredi di questa insoddisfazione per il presente. Del resto, da decenni, le generazioni politiche e accademiche si sono formate alla versione latina su questi testi, traducendo la congiura di Catilina di Sallustio, traducendo Livio, Tacito e tutti si lamentano dicendo che “era meglio prima”, che il mos maiorum era perduto, che la virtus patrum doveva essere ritrovata. Potrebbe aver lasciato il segno.
Come i romani, abbiamo un’idea alta di noi stessi: l’ urbs è civiltà, cultura e non siamo mai all’altezza del nostro ideale, ma l’ideale romano era immenso. In Francia è la stessa cosa, dalla Rivoluzione francese abbiamo l’ambizione di parlare per il genere umano. C’è un rovescio della medaglia in questo messianismo, che è questo tipo di cupa delizia, quella che consiste nel dire che non siamo all’altezza di ciò che affermiamo di essere. Messianismo e Declineismo sono due facce della stessa medaglia.
Precisamente, non si comprende appieno cosa distingua “ i grandi istmi” del contemporaneo dai grandi racconti che descrivi nella prima parte del libro. Vedendoli come le rovine dei grandi ” -ismi” che sono crollati, non è correre il rischio di non prendere così sul serio queste nuove storie, questi discorsi che hanno un significato? Prendi ad esempio messianismo e decadenza come ” istmi” e ammetto di non vedere appieno come questi discorsi siano meno potenti o meno validi come spiegazione del mondo del provvidenzialismo, se non che non sono sostenuti da mille anni di -vecchie strutture?
Hai perfettamente ragione in termini di ermeneutica. La loro valenza ermeneutica è analoga, comparabile, se non identica. Ma è nella loro facoltà di mobilitazione che è più problematico. Il declino non ti farà invadere la Polonia perché è deplorevole, ed è per questo che mi chiedo se uno Zemmour possa andare molto lontano.
Ma il declino, o l’ondata che provoca, spinge l’Inghilterra fuori dall’Unione Europea, e probabilmente partecipa all’elezione di Trump.
Sì, ma è un ballottaggio, non è la campagna di Russia. Andare a votare è importante, ma non è l’epopea escatologica della costruzione del nuovo “impero romano” da parte dei fascisti nel 1936, dell’invasione della Russia o delle rivoluzioni francese e bolscevica.
Il mito che potrebbe essere più mobilitante è “l’illimitato”, rappresentato da Jeff Bezos o Elon Musk. È l’ultimo avatar di un progressismo tecnicista che cerca di salvarsi cercando di fuggire da un pianeta che abbiamo reso inabitabile per investire, in una grande epopea spaziale, un pianeta inabitabile. Vediamo che non morde e che provoca persino reazioni ostili.
Il declino non ti farà invadere la Polonia perché è deplorevole, ed è per questo che mi chiedo se uno Zemmour possa andare molto lontano.
JOHANN CHAPOUTOT
In termini ermeneutici ci sono forti valenze, ma in termini di mobilitazione della performatività, non credo. Ma questa rimane una discussione aperta.
Questa performatività mobilitante non è però un fenomeno costante nelle grandi storie che citi. Se prendiamo ad esempio la storia del cattolicesimo, per lunghi periodi non vi furono conseguenze della sua capacità ermeneutica se non quella di riunire ogni domenica i singoli. Dove siamo oggi?
In primo luogo, è vero che questo potere di mobilitazione non è sempre stato al suo apice. Ma c’era ugualmente una struttura capace di operare una riconquista evangelizzatrice, cosa che oggi non avviene più, anzitutto perché non ci sono più sacerdoti a sufficienza. Alla fine del XVI secolo, con il Concilio di Trento, il potere della Chiesa era tale da poter controriformare e iniziare una riconquista cattolica. È lo stesso nel XIX secolo. C’è stato un grande livellamento, già prima della Rivoluzione francese – che Michel Vovelle mostra molto bene – ma c’è la rete di conventi, parrocchie, seminari che permette questa seconda controriforma dell’Ottocento.
Attualmente è molto più discutibile: la tecnostruttura, i mezzi non ci sono più. Potremmo finalmente elaborare un trittico basato su tre opere di storici: Le Goff nella Nascita del Purgatorio8, Michel Vovelle che mostra l’apogeo e l’inizio del dubbio e Guillaume Cuchet, che mostra la morte del dogma9. Questi tre storici ci offrono, con le loro opere, tutta la vita del dogma, e Guillaume Cuchet si pone questa domanda, nella sua ultima opera, della scomparsa o meno del cattolicesimo in un luogo che doveva esserne se non la culla a almeno un vettore importante.
Tu difendi un altro approccio storico che può sembrare, a prima vista, sorprendente, un pensiero controfattuale. Quanto è fruttuoso questo approccio per lo storico e più in generale per la comprensione del nostro tempo?
Venivo dal mio stesso cortile, in questo caso il suolo tedesco. Dagli anni Cinquanta c’era una scuola storica – chiamata bundesrepublikanisch – perché gli storici che l’hanno inventata provenivano dalla Germania occidentale e avevano abbracciato la causa del diritto fondamentale e della democrazia parlamentare. Nati negli anni ’30, hanno cercato di fare la genealogia del nazismo.
Vediamo che tutti questi storici intorno alla Scuola di Bielefeld hanno fatto tesi sull’Ottocento, ogni volta per individuare i segni della catastrofe. Era un approccio teleologico che generalmente collegava il bismarckiano e il guglielmino del XIX secolo al nazismo. Sulla loro scia si stabilì una doxa, quella del Sonderweg, del percorso particolare di una Germania le cui modernizzazioni sarebbero state divergenti. Ci sarebbe stata da una parte una modernizzazione economica e tecnica molto reale e dall’altra una modernizzazione politica che non sarebbe mai avvenuta. In altre parole, il binomio capitalismo/liberalismo politico non si sarebbe verificato. Tutto ha portato al 1933 nel loro approccio.
Ciò può essere dovuto alla difficoltà di leggere la storia tedesca in quanto per molto tempo non c’è stata la Germania – praticamente fino al 1990 – e per renderla storicamente visibile, creiamo un’autostrada che va da Lutero a Hitler, addirittura da Hermann il Chérusque a Hitler. È una sorta di determinismo culturalista e teleologico che finirebbe sistematicamente nel 1933.
Ma, ed è quello che ho difeso nel mio libro sulla storia contemporanea della Germania10, si potrebbe immaginare un altro percorso che va dal 1848-1849 fino al 1949-1990 passando per il 1919 e la Repubblica di Weimar. Quest’ultimo non è stato un successo, ma dobbiamo ancora vedere cosa ha pesato su questo regime. L’idea di teleologia, finalismo e determinismo mi ha sempre infastidito perché non si tratta solo del 1933 nella storia tedesca.
L’idea di teleologia, finalismo e determinismo mi ha sempre infastidito perché non tutto si riduce al 1933 nella storia tedesca.
JOHANN CHAPOUTOT
Ero quindi molto interessato all’approccio di Quentin Deluermoz e Pierre Singaravélou quando hanno lanciato un seminario di esame epistemologico dell’approccio controfattuale per dimostrare che non era limitato all’ucronia, come “è praticato dai romanzieri di fantascienza”. Al contrario, hanno voluto dimostrare che è stato un passo fruttuoso per la storia. Tutti facciamo il controfattuale senza saperlo quando privilegiamo un’ipotesi rispetto a un’altra e mettiamo da parte i futuri non realizzati. Il lavoro sul futuro che non è accaduto, sugli orizzonti inesplorati che erano possibili, permette di rivisitare un’epoca in modo molto più fruttuoso.
Sono molto interessato agli anni ’30 francesi e i miei nonni erano giovani durante questo periodo. Presumo che non avessero pensieri suicidi ogni mattina pensando all’affare Stavisky o alla crisi, ma che stessero sognando qualcosa che non era né il giugno 1940 né il maresciallo Pétain. Riaprire le possibilità è un imperativo epistemologico perché i contemporanei, come te e me ora, non sanno cosa accadrà in futuro, anche quello vicino. Ma abbiamo supposizioni, desideri e ansie. Le tombe non dovrebbero essere sigillate, ed è per questo che ho iniziato le mie 100 parole di storia11con la parola “Futuro” perché la storia non è pia recitazione di fatalità ma, al contrario, scuola del futuro. Quelle che studiamo sono persone che hanno avuto il loro desiderio, la loro apertura, la loro indeterminatezza e la loro libertà. Sta a noi restituirli.
L’ucronia nazista è affascinante. Molti autori, come Robert Harris o Philippe K. Dick, si sono divertiti a immaginare mondi in cui il Terzo Reich non fosse caduto. E c’è una domanda reale per questo tipo di storia. Rischierebbe un’ipotesi per spiegare questo successo?
Penso che sia principalmente legato alla popolarità della storia reale e documentaria della Seconda Guerra Mondiale. Che ci piaccia o no, questa rappresenta senza dubbio l’ultima grande epopea disponibile, con un male ben identificato, e davvero atroce, un bene che è altrettanto, e una vittoria del bene sul male. Tutto questo è anche molto cinematografico perché la propaganda dell’epoca, da entrambe le parti, sapeva benissimo come mettere in scena. Questo ha una prima conseguenza, televisiva: la Seconda Guerra Mondiale è onnipresente sugli schermi. E anche quando le catene dicono di non voler più affrontare questo periodo, continuano perché i successi di pubblico sono enormi.
Allo stesso modo in cui siamo effettivamente interessati a questo periodo, l’interesse per l’ucronia è che è un modo per allontanare il male, il nazismo. Il nazismo è la chiusura di fronte all’universo delle possibilità e l’apertura di cui parlavamo. Tutto è determinato e necessario. Il nazismo è un lungo discorso apodittico. Hitler lo dice: il nazismo è biologia applicata, scienza applicata, antropologia razziale applicata. Pertanto, non c’è discussione possibile. È così, e se non è così, moriremo. Potremmo benissimo essere pacifisti, disse Hitler, ma moriremo se lo siamo. Questo spiega la pesante macabra ironia dei nazisti. Ho sempre avuto una profonda diffidenza verso chi dice che è così e non altrimenti. Non c’è alternativa ”di Thatcher.
L’interesse per l’ucronia è che è un modo per allontanare il male, il nazismo.
JOHANN CHAPOUTOT
Se il nazismo è la chiusura, l’ucronia permette di riscrivere la storia e sfidare questa cronologia imposta dai nazisti, e questo in modo paradossale perché in genere li fa sopravvivere, li fa vincere la guerra ma per sconfiggerli meglio in fine . Perché in quasi tutte le ucraine finiscono per perdere. E ciò che rende ancora più piacevole la loro sconfitta è il fatto di prolungare il piacere, dando loro una lezione di storia e alla fine conquistandoli .
Leggendo queste storie, cerchiamo di rassicurarci. Come, inoltre, cerchiamo di rassicurarci leggendo divulgazioni ultrafattuale sulla storia del nazismo che ci permettono di dirci che non abbiamo più niente a che fare con esso e che il nazismo è scomparso nel 1945, sostituito dalla democrazia e dalla crescita economica. Ma questa crescita è in parte organizzata da uomini come Reinhard Höhn.
Si parlava del futuro, della mancanza di alternative. Ciò si ricollega alla crisi ecologica che stiamo attraversando e che sta provocando una perdita di significato, uno sconvolgimento all’interno del nostro contemporaneo “ regime di storicità”. Con la concezione del futuro che diventa nuvoloso, che posto può prendere il discorso ecologico? È questo un nuovo “ messianismo ” ?
Mi sono posto questa domanda quando stavo scrivendo questo libro e, ad essere completamente onesto, ero incazzato. Non ho davvero trovato una risposta soddisfacente. La domanda che mi sono posto è: dovremmo parlare di narrativa ecologica, soprattutto nelle sue varianti collassologiche, collassologiche, a rischio di banalizzare la cosa e perdere di vista il fatto che le figure e le curve ne parlano – stesso, che i fenomeni catastrofici ci sono già e non bisogna quindi scherzarci sopra. Stiamo rendendo il pianeta inabitabile, stiamo contribuendo alla sesta grande estinzione, che potrebbe essere anche la nostra se rimaniamo sulle tendenze attuali.
In altre parole, e forse sto tornando a una forma di ingenuità epistemologica, da una parte ci sarebbe la verità delle figure, delle curve e della realtà e non devo banalizzarla, da storico, dicendo che è solo un discorso. Ma posso cadere vittima di critiche e molti giornalisti mi hanno fatto questa domanda. Mi sembra che trattando questo come mero discorso si cada in una forma di negazionismo climatico, che nega l’ovvietà di questo cambiamento.
Tracci un attraente ritratto di un aspetto importante della storia delle idee in epoca contemporanea. Ma resta una storia molto libresca: sono le pubblicazioni dei libri e le controversie tra autori che scandiscono la tua cronologia. Studiando un’epoca segnata dall’alfabetizzazione e poi dalla politicizzazione di massa, non fai affatto la storia “ dal basso” e ti interessi poco all’uso e all’appropriazione delle storie che presenti. Non hai paura di scrivere una storia di idee in ” provette”?
Questa è una domanda che si pone sempre quando si fa storia culturale. La storia culturale, o meglio culturalista (nell’idea che il significato degli attori ha un interesse) è davvero fedele a quanto ha detto benissimo Pascal Ory, che è una “storia sociale delle rappresentazioni?”» Con questa dimensione sociale di appropriazione, di formulazione, di esperienza sociale, o si ricade nel solco di una tradizione accademica della storia delle idee totalmente disincarnata dove, come dici, vediamo Leon?Brunschvicg rispondere a Henri Bergson che discuteva di Kant senza questa società pungente. Risponderei comunque che Kant morde la società, e oh quanto!
Da una parte ci sarebbe la verità delle figure, delle curve e della realtà e non devo banalizzarla, da storico, dicendo che è solo un discorso.
JOHANN CHAPOUTOT
A proposito, sto ancora parlando di proprietà. Nel capitolo sulla cospirazione parlo molto di social media. Ci sono infatti due capitoli sulla letteratura perché parlo di “Crisi della narrativa”. Nel capitolo sul provvidenzialismo ho cercato di vedere cosa pensavano gli stessi credenti da parte protestante, cattolica ed ebraica, quindi mi sono rivolto ai teologi. E questo ha vere implicazioni ogni domenica nella pastorale, nella vita concreta di chi vi aderisce e segue il messaggio del magistero. Non è quindi decorrelato dalla società e dalle pratiche sociali. Allo stesso modo, per il fascismo, il nazismo e lo stalinismo, non mi sono perso nelle controversie tra Rosenberg e Hans Günther o tra Bukharin e Trotsky. ho provato a vedere affidandosi in particolare all’opera di Nicolas Werth, quali erano, socialmente, le pratiche di appropriazione di questi discorsi. Per il fascismo parlo di cinema e per il mio lavoro sul nazismo le mie fonti non sono letterarie.
Sono molto attento a questo perché non dobbiamo farci ingannare da quella che Bourdieu ha giustamente chiamato “l’illusione scolastica” in cui ci si lascia andare. Ma non dobbiamo nemmeno ignorare l’efficacia delle idee.
Una preoccupazione antimoderna attraversa il tuo libro al punto che ci si chiede se tu veda qualche motivo di speranza nel presente e nel futuro. Che cos’è?
Antimoderno, non certo perché sono molto felice di vivere nel nostro tempo. Sono molto felice di avere uno stato di diritto che mi protegga e di non temere che Alexandre Benalla possa beneficiare della totale impunità. Sono molto felice di essere trattato come sono e sto molto meglio in Francia che in Afghanistan, non è nemmeno una domanda. Non ha molto senso essere antimoderni.
Ma chi si vanta dell’intelligenza è preoccupato, non appena dichiariamo di pensare di essere preoccupato. In questa modernità che vivo con gratitudine, vedo anche molte cose sbagliate e molte cose anche strutturalmente legate alla modernità che non mi si addicono: estrattivismo, produttivismo, reificazione, alienazione, disprezzo dell’umano, distruzione del nostro biotopo, tutto ciò non mi si addice. Ma non è antimoderno preoccuparsi di tutto questo. Altermoderno, forse?
Inoltre, non ritengo la mia conclusione negativa o senza speranza. Al contrario, c’è scetticismo nei confronti delle grandi storie perché, come te immagino, diffido di tutto ciò che è “grande” o pretende di essere “grande”, sono molto pascaliano in questo senso, e Pascal è anche molto presente nel mio libro perché era molto presente anche nel XX secolo. Le “dimensioni degli stabilimenti” mi fanno ridere. Quindi sono davvero scettico su ciò che afferma di essere grande e ho anche un’immensa speranza, forse legata all’avere figli. C’è una grande apprensione di avere figli, ma ci accorgiamo che con un po’ di umorismo, un po’ di scambio, dialogo e un po’ di amore, l’essere umano cresce molto bene, e la dialettica tra gli individui sta andando molto bene.
Direi quindi che il mio libro è attraversato da due tensioni: scetticismo e distacco nei confronti del macro ma un immenso ottimismo sul micro , sull’organizzazione concreta delle vite, sui cambiamenti, sulla riflessione, sull’intelligenza delle persone. I sistemi sono bloccati e avvelenati fino all’osso, come dimostra la Quinta Repubblica. Che una persona proclami seriamente una guerra contro un virus e incoraggi gli scherzi dei suoi collaboratori, non è possibile, e il sistema che lo consente è un male.
Ma a livello di terra, vedo sviluppi molto benefici, ulteriormente accentuati dalle sfide covidiane. I nostri contemporanei si sono uniti a noi durante questi confinamenti: hanno sperimentato quello che stiamo vivendo noi, i ricercatori, cioè stare soli nella vostra stanza, pensare, porsi domande fondamentali, e in questo vedo una speranza immensa.
In questo contesto, le lettere, l’umanità, la bella fuga, l’ otium , sì, l’abbracciano, che ci nutre.
FONTI
Christian Ingrao, Believe and Destroy: Intellectuals in the SS War Machine , Fayard, 704 pagine.
Grégoire Chamayou, La società ingovernabile , La Fabrique, 336 pagine.
Laurent Fabius in L’ora della verità, 5 settembre 1984: “Penso che l’estrema destra sia risposte false a domande reali. Le domande sono vere, è il tema dell’insicurezza di cui parlavamo prima […]”.
Franck Collard, “Una voce medievale. La congiura degli ebrei e dei lebbrosi. ”, L’Histoire (n° 231), aprile 1999
Norman Cohn, I fanatici dell’Apocalisse: correnti rivoluzionarie millenarie dall’XI al XVI secolo , Aden Belgio, 482 pagine
Johann Chapoutot, La legge del sangue. Pensare e agire come un nazista ., Gallimard, 576 pagine