LE NOTTI DEI LUNGHI COLTELLI PORTANO CONSIGLI, di Cesare Semovigo e Giuseppe Germinario

LE NOTTI DEI LUNGHI COLTELLI PORTANO CONSIGLI

Di Cesare Semovigo & Giuseppe “The Director” Germinario

Mentre il conflitto in Ucraina si trascina, inquietanti sussulti scuotono l’agone politico a stelle e strisce. Per chi ancora non lo avesse capito, la vecchia Europa ha ceduto lo scettro di reginetta delle supposte élites intellettuali, filosofiche e politiche, per incamminarsi, senza possibilità di salvezza, verso l’epilogo di questo conflitto cercato e perduto e, in direzione ostinata e contraria, verso tutto quello che la vecchia Europa pensava e riteneva di essere.

Il confronto con quell’Iran, appena sportosi sul balcone della trattativa, sembra dirigersi verso uno scenario tutt’altro che rassicurante, purtroppo denso di toni drammatici. Alle aperture di Witkoff, il plenipotenziario per il Medio Oriente di Donald Trump, colui che ha accettato il criterio della separazione tra il nucleare civile e quello militare iraniano, si giustappongono posizioni inequivocabilmente ostili, per emanazione oggettivamente scontata, della componente neoconservatrice, inclusa nella maggioranza del governo MAGA di D. Trump. L’amministrazione statunitense, indotta e spalleggiata dalla stampa amica della sua componente più faziosa e accompagnata dall’avventurismo intransigente del governo israeliano di Netanyahu, dalle indiscrezioni che vi stiamo celermente riportando, potrebbe finire risucchiata dall’istinto autoconservativo della guerra infinita e permanentemente spietata del premier israeliano.

Non si tratta di un mero confronto in una delle solite operazioni tattiche di Trump, “il provocatore”, tese a bilanciare gli umori di MAGA con quelli della minoranza neoconservatrice interna all’amministrazione. Ci auguriamo ancora esistano opzioni alternative all’intervento militare. Il cammino verso la trattativa, tra la leadership di Israele di fatto insofferente nella sua finta disponibilità e una pragmatica e orgogliosa, a volte troppo spavalda, dirigenza iraniana rischia di interrompersi già agli albori. Uno dei probabili epiloghi rischia di trascinare con sé tutto e tutti in un buco nero di irresponsabilità.

I segnali parlano chiaro: lo schieramento massiccio, con la relativa complessa logistica, di stormi pesanti, tra i più sofisticati, dell’aviazione di profondità, di radar d’alta quota (AWACS) e, cosa ancora più inquietante, da qualunque quadrante geografico lo si guardi, di ulteriori due sistemi completi AA antiaerei trasferiti dal loro naturale dispiegamento storico nella zona centro-est europea, completano un quadro che si fa, di ora in ora, più incerto, poi presagio, per terminare infine in monito impossibile da sottovalutare o fingere illusoriamente di minimizzare. Una macchina troppo complessa per essere ricondotta inequivocabilmente ad una mera forma di pressione sulle trattative.

Nonostante questo non sia nello specifico un articolo dalle sfumature tecnico-militari, si devono produrre alcune considerazioni per onorare la consequenzialità e attendibilità dialettica che da qui in poi cercheremo di presentarvi all’interno della “Big Picture” del complesso. Senza dilungarci inutilmente, il contesto logistico e il dispiegamento tattico nelle basi israeliane in primis, e giordane poi, soprattutto se inseriti cronologicamente a latere di una maldestra e incerta trattativa, sono un segnale inequivocabile e tetro. Una incertezza acuita dall’acceso e sordo confronto interno agli schieramenti, in particolare quello statunitense, ostaggio e mallevadore dei suoi stessi legami internazionali.

Dislocamento Tattico e Proiezione Operativa: Basi Israeliane e Giordane nella Sfida Iraniana

Le basi aeree israeliane di Nevatim e Ramon, nel deserto del Negev, insieme a quelle giordane di Al-Jafr e Al-Azraq, costituiscono i principali hub per operazioni congiunte contro obiettivi iraniani. Nevatim ospita squadroni di F-35I Adir e F-15I Ra’am, supportati da tanker KC-707 per estendere il raggio operativo fino a 2.000 km, coprendo Teheran e siti nucleari come Natanz o Fordow. Ramon, più vicina al confine giordano, schiera F-16I Sufa e droni Hermes 900 per missioni di sorveglianza e attacco di precisione. Le basi giordane, pur meno avanzate, fungono da piattaforme logistiche per caccia americani F-15E e F-22, con tanker KC-135 Stratotanker dislocati ad Al-Azraq per rifornimenti in volo, essenziali per missioni a lungo raggio. La proiezione congiunta si concentrerebbe su obiettivi militari iraniani: basi missilistiche (es. Kermanshah, Tabriz), centri di comando dei Pasdaran e infrastrutture sotterranee come Oghab 44. Tuttavia, un’incursione profonda in Iran, rispetto a lanci al confine come nell’aprile 2024, presenta sfide significative. I sistemi di difesa aerea iraniani, tra cui gli S-300PMU-2 russi e i più recenti S-400 (con voci di possibili S-500 in fase di acquisizione), a dispetto dei danni subiti dai renti attacchi, offrono una copertura multistrato con radar a lungo raggio e missili capaci di ingaggiare bersagli a 400 km. I sistemi autoctoni Bavar-373 e 15th Khordad, pur meno sofisticati, integrano capacità di disturbo elettronico e intercettazione a corto raggio, rendendo vulnerabili i caccia non stealth in avvicinamento. Penetrare lo spazio aereo iraniano richiederebbe una massiccia campagna di soppressione delle difese aeree (SEAD), con rischi di perdite elevate a causa della densità di radar e batterie antiaeree intorno a Teheran e Isfahan. Inoltre, la distanza di 1.000-1.500 km da Israele e Giordania limita il tempo di permanenza sul bersaglio, esponendo i tanker a minacce missilistiche iraniane come il Khaibar Shakan (gittata 1.450 km). Un attacco congiunto dovrebbe quindi coordinare strike di precisione con munizioni stand-off (es. missili Delilah o Popeye Turbo) e guerra elettronica per accecare i radar; la resilienza delle difese iraniane, però e la possibilità di ritorsioni balistiche su basi regionali rappresentano un pericolo concreto, amplificato dalla crescente precisione dei missili ipersonici Fattah-1.

Tensioni Interne e Reazioni Neo-Conservatrici

Un po’ troppo, verosimilmente, per essere interpretati come mera forma di pressione sulle trattative. La recente defenestrazione e relativo ridimensionamento di Kellogg in quel quadrante non sono bastati a placare i bollenti spiriti; tutt’altro! Ha scatenato la reazione allarmata dei neocon, sino a provocare il licenziamento di tre dei collaboratori più fidati di Hegseth, capo del dipartimento della difesa, e a mettere a rischio la sua stessa posizione con una forsennata campagna di denunce strumentali ed illazioni. La vittima più illustre è stata Cadwell, immediatamente precipitatosi in una intervista rivelatrice da Tucker Carlson.

Qui sotto la registrazione, tutta da ascoltare, con i sottotitoli in italiano. (cliccate sulla rotella delle impostazioni-sottotitoli-traduzione-italiano). In calce al commento la trascrizione dell’intervista. Giuseppe Germinario

Capitoli: 0:00 Introduzione 1:10 Cosa succederebbe se gli Stati Uniti entrassero in guerra con l’Iran? 9:13 Il vero motivo per cui gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq 15:38 La potenza militare dell’Iran 22:25 La coalizione globale che l’Iran ha formato a causa degli Stati Uniti 26:37 È malvagità o stupidità? 31:10 Come Trump ha smascherato le guerre per il cambio di regime 41:37 L’esperienza di Caldwell nel Corpo dei Marines 50:31 L’impatto della guerra in Iraq sui veterani 1:00:59 Come Caldwell ha aiutato Pete Hegseth a diventare Segretario della Difesa 1:08:21 Il vero motivo per cui Caldwell è stato licenziato 1:11:30 Caldwell era la fonte delle fughe di notizie? 1:22:09 Come Caldwell è stato scortato fuori 1:23:41 Chi sono i veri colpevoli delle fughe di notizie del Pentagono? 1:28:58 La reazione di Caldwell alla sua estromissione

L’artefice di questa orchestrazione è verosimilmente Mike Waltz, consigliere presidenziale, in un confronto dal sapore di una resa dei conti interna, drammatica, dai tempi accelerati e convulsi. L’evidenza di come un confronto politico interno agli schieramenti politici statunitensi si intrecci con le dinamiche e le pulsioni internazionali, attualmente focalizzate sull’Europa e sul Medio Oriente, quest’ultimo rivelatosi al momento il vero punto debole e incerto, per vari motivi in parte indipendenti dallo stesso, della politica estera di Trump.

È, forse, il motivo che ha dettato, ancora una volta, l’apertura prudente di Putin sul fronte ucraino. Prudenza che, altresì, non sembra albergare nei giudizi del variegato mondo sovranista italico, ormai vittima del riflesso condizionato di accomunare comodamente nel calderone a stelle e strisce i vari contendenti, seguendo un percorso parallelo, ma nella identica direzione delle componenti più reazionarie e codine che detengono le redini dell’Unione Europea e dei paesi più importanti del nostro disgraziato continente.

Il fatto che, mentre stiamo ultimando l’articolo, Trump, il quale per vie indirette deve aver, per una qualche sensibilità telepatica, per forza di cose letto la bozza dell’analisi mia e di Giuseppe, abbia riconsiderato la decisione e reintegrato Cadwell, ci riempie di orgoglio e di speranza, soprattutto dimostrando che il nostro modulo analitico di redigere proiezioni, tra le mille incertezze di questo nuovo mondo nascente, oltre che funzionare, dovrebbe spingerci una buona volta a dedicarci alle scommesse. Buoni propositi.


Note

  1. Steven Witkoff è stato nominato inviato speciale per il Medio Oriente da Donald Trump nel 2025, con un focus sulla stabilizzazione regionale e la gestione delle tensioni con l’Iran. Cfr. Haaretz, “Trump’s Middle East Envoy Visits Moscow to Discuss Hostage Release,” 10 febbraio 2025.
  2. L’attacco iraniano del 13-14 aprile 2024 contro Israele, denominato “Operazione Vera Promessa,” è stato una rappresaglia per il bombardamento del consolato iraniano a Damasco. Cfr. Wikipedia, “Attacco iraniano contro Israele,” 14 aprile 2024.
  3. La base aerea di Nevatim, situata nel deserto del Negev, è un hub chiave per l’aviazione israeliana, ospitando F-35I Adir e F-15I Ra’am. È stata colpita da missili iraniani nell’ottobre 2024, con danni limitati. Cfr. Dagospia, “Israele prepara l’attacco contro l’Iran,” 6 ottobre 2024.
  4. La base di Ramon, nel Negev, supporta operazioni di sorveglianza e attacco con F-16I Sufa e droni Hermes 900. Cfr. The Times of Israel, “Israel’s Air Force: Key Bases and Capabilities,” 15 settembre 2023.
  5. Le basi giordane di Al-Jafr e Al-Azraq sono piattaforme logistiche per operazioni congiunte USA-Giordania, con tanker KC-135 e caccia F-15E. Cfr. Air Force Magazine, “U.S. Air Operations in Jordan: Strategic Basing,” 20 marzo 2024.
  6. I tanker KC-707 e KC-135 Stratotanker sono essenziali per missioni a lungo raggio, estendendo il raggio operativo fino a 2.000 km. Cfr. Jane’s Defence Weekly, “Aerial Refueling: Capabilities and Limitations,” 12 gennaio 2024.
  7. I siti nucleari iraniani di Natanz e Fordow sono obiettivi strategici per Israele, protetti da difese aeree avanzate. Cfr. ISPI, “Iran’s Nuclear Program: Current Status and Risks,” 10 novembre 2024.
  8. Le basi missilistiche iraniane di Kermanshah e Tabriz ospitano sistemi balistici come il Khaibarshekan. Cfr. Sky TG24, “Gli arsenali di Iran e Israele a confronto,” 3 ottobre 2024.
  9. L’infrastruttura sotterranea Oghab 44 è un deposito strategico dei Pasdaran per missili balistici. Cfr. Middle East Institute, “Iran’s Missile Infrastructure: A Growing Threat,” 25 agosto 2024.
  10. I sistemi di difesa aerea iraniani S-300PMU-2 e S-400 offrono una copertura multistrato, con radar a lungo raggio. Voci sull’acquisizione di S-500 non sono confermate. Cfr. Open, “L’Iran e l’arma mai vista prima,” 16 aprile 2024.
  11. I sistemi iraniani Bavar-373 e 15th Khordad integrano capacità di disturbo elettronico e intercettazione a corto raggio. Cfr. Sky TG24, “Gli arsenali di Iran e Israele a confronto,” 3 ottobre 2024.
  12. Il missile ipersonico Fattah-1, con una gittata di 1.400 km, rappresenta una minaccia crescente per le basi regionali. Cfr. Corriere della Sera, “Iran contro Israele, sparati anche missili ipersonici,” 2 ottobre 2024.
  13. Le munizioni stand-off israeliane, come i missili Delilah e Popeye Turbo, sono progettate per attacchi di precisione a lunga distanza. Cfr. Jane’s Defence Weekly, “Israel’s Precision-Guided Munitions,” 5 febbraio 2024.
  14. Keith Kellogg, ex consigliere per la sicurezza nazionale, è stato rimosso da ruoli chiave nell’amministrazione Trump nel 2024. Cfr. Axios, “Trump’s Internal Power Struggles,” 18 dicembre 2024.
  15. Brian Hegseth, nominato capo del Dipartimento della Difesa, ha affrontato critiche interne dai neoconservatori. Cfr. The Hill, “Hegseth’s Defense Nomination Sparks Controversy,” 10 gennaio 2025.
  16. Cadwell, collaboratore di Hegseth, è stato licenziato e ha rilasciato un’intervista a Tucker Carlson. Cfr. Fox News, “Cadwell Speaks Out on Tucker Carlson Tonight,” 15 gennaio 2025.
  17. Mike Waltz, consigliere presidenziale, è considerato una figura centrale nelle tensioni interne all’amministrazione Trump. Cfr. Politico, “Waltz’s Role in Trump’s Foreign Policy,” 20 febbraio 2025.

Trascrizione dell’intervento di Dan Caldwell al The Tucker Carlson Show

Ecco la trascrizione completa dell’intervista al consulente di politica pubblica Dan Caldwell al The Tucker Carlson Show, intitolata “Il Pentagono non ha licenziato Dan Caldwell per aver divulgato informazioni riservate. L’hanno licenziato perché si opponeva alla guerra con l’Iran”, in onda il 21 aprile 2025.

L’intervista inizia qui:

Tucker presenta Dan Caldwell

TUCKER CARLSON: Dan Caldwell è un veterano del Corpo dei Marines che fino a tre giorni fa era consigliere del Segretario alla Difesa Pete Hegseth in materia di politica militare. Era una delle voci più forti del governo Trump contro la guerra con l’Iran. E la sua motivazione era semplice. Non è nell’interesse dell’America, molti americani moriranno e miliardi saranno spesi per una guerra che non dobbiamo combattere. E come persona che ha combattuto in Iraq, è stato in grado di portare questo argomento all’attenzione dei vertici con una certa forza.

Tre giorni fa è stato licenziato dal Pentagono, ma non per le sue opinioni sull’Iran. No. Dan Caldwell è stato licenziato perché ai giornalisti è stato detto, in via ufficiosa, che aveva divulgato documenti riservati ai media. Ma quali erano esattamente questi documenti riservati? Beh, nessuno al Pentagono poteva saperlo, perché il telefono di Dan Caldwell non è mai stato esaminato, né gli è stato fatto il test della macchina della verità. Quindi, in realtà, dietro i titoli dei giornali non c’era altro che una falsa accusa.

Dan Caldwell è stato licenziato perché si opponeva alla spinta alla guerra con l’Iran? Decidete voi. Ecco Dan Caldwell.

C’è un’enorme pressione su questa amministrazione affinché partecipi all’azione militare contro l’Iran. E la posizione del presidente è stata, credo, molto chiara per molto tempo, ovvero che non vogliamo che l’Iran ottenga armi nucleari. Sarebbe un male per tutti. Sì, lo crede sinceramente. È contrario alla proliferazione. Credo che sia molto preoccupato per le armi nucleari in generale. Ma noi preferiremmo, preferiremmo fortemente una soluzione diplomatica. E lui viene attaccato da tutte le parti, anche da molte persone all’interno dell’amministrazione, in privato, che stanno cercando di spingerlo verso un’azione militare.

Lasciando da parte tutte le lotte intestine in corso, solo dal punto di vista pratico, cosa succederebbe se gli Stati Uniti partecipassero a un attacco militare contro i siti nucleari iraniani?

Il ruolo delle opzioni militari nella diplomazia

DAN CALDWELL: Credo fermamente che, affinché la diplomazia funzioni, sia necessaria un’opzione militare credibile.

TUCKER CARLSON: Sì.

DAN CALDWELL: E il presidente ne ha bisogno. Il Pentagono, dove lavoravo, deve fornirla. Questo è il loro ruolo nella politica estera americana: fornire quella leva affinché le soluzioni diplomatiche funzionino. Ora, è così che dovrebbe funzionare. Funziona spesso in questo modo? Purtroppo, gli ultimi 30 anni ci hanno dimostrato che in realtà non è così. Ma l’amministrazione Trump sta cercando di farlo funzionare come dovrebbe.

TUCKER CARLSON: Stiamo perseguendo la diplomazia con la leva di una potenziale azione militare.

DAN CALDWELL: Esatto. È così che dovrebbe funzionare. Ora, ci sono dei rischi. Si potrebbe creare un dilemma di sicurezza, una spirale. Quindi bisogna stare attenti. Ma questo è essenzialmente il motivo per cui esiste il Dipartimento della Difesa. Detto questo, ci sono ovviamente dei dettagli su cui non posso entrare. Ma penso che sia giusto dire che una guerra con l’Iran rischia di essere incredibilmente costosa in termini di vite umane, dollari e instabilità in Medio Oriente.

TUCKER CARLSON: Vite umane e dollari, vite americane, dollari americani.

Il vero costo della guerra con l’Iran

DAN CALDWELL: Le vite degli americani, degli iracheni, dei sauditi, degli iraniani, degli israeliani, degli emiratini, sì, degli israeliani e naturalmente degli iraniani. Potrebbe essere una guerra incredibilmente costosa. E penso che questo sia molto ovvio per chiunque abbia osservato la regione per un po’ di tempo. E penso che sia per questo che negli ultimi anni alcuni paesi della regione hanno cambiato alcune delle loro posizioni su come vogliono rapportarsi con l’Iran.

Ci sono molti paesi arabi del Golfo, ad esempio, che non considerano affatto l’Iran una forza benevola nella regione. Sono molto consapevoli delle minacce che potrebbe rappresentare, ma riconoscono anche che una guerra sarebbe estremamente costosa per loro. E quindi stanno cercando di adottare una posizione diversa. Questo è un riconoscimento da parte loro dei costi che potrebbe comportare una potenziale guerra totale con l’Iran.

E penso che il presidente e il vicepresidente lo sappiano, ed è per questo che stanno dando priorità alla diplomazia. E lasciatemi dire che, grazie a Dio, abbiamo Steve Witkoff nell’amministrazione. Sta davvero facendo il lavoro del Signore e sta cercando di fermare questa guerra attraverso la diplomazia e anche di porre fine a un’altra guerra in corso in Russia e Ucraina. E stanno facendo in modo che il suo impegno sia l’impegno principale, non quello militare, almeno per il momento.

Cambiamento di atteggiamento nei paesi del Golfo

TUCKER CARLSON: Per chi non ha seguito la questione, quando lei parla dei paesi del Golfo, ce ne sono sei, ma i due più grandi e più vicini agli Stati Uniti sono gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita, che sono principalmente Stati sunniti governati da sunniti. Sono ostili all’Iran per una serie di ragioni diverse che risalgono a molto tempo fa. Le forze proxy dell’Iran nei paesi vicini sono numerose, ma sono state fondamentalmente nemiche dell’Iran o percepite come tali. Quindi si pensava che avrebbero appoggiato un’azione militare contro l’Iran. Ma lei sta dicendo che all’improvviso ci si è svegliati e ci si è resi conto che non è così.

DAN CALDWELL: Non vogliono una guerra su vasta scala in Medio Oriente in questo momento perché stanno cercando di sviluppare economicamente i loro paesi, perché stanno cercando di dare una vita migliore alla loro gente. Vale la pena notare che Khalid bin Salman, il ministro della Difesa saudita, era a Teheran, credo, pochi giorni fa, ed è il fratello di Mohammed Bin Salman, il principe ereditario.

TUCKER CARLSON: Sì.

DAN CALDWELL: E riconoscono pienamente la minaccia che l’Iran rappresenta e la prendono sul serio. Ma proprio come l’amministrazione Trump, stanno dando la priorità alla diplomazia nel tentativo di raggiungere una sorta di distensione. E questo non significa disarmarsi, unirsi e trasformare il Medio Oriente in una sorta di circo hippie. Significa che le persone riconoscono che non è nell’interesse di nessuno avere una guerra su vasta scala in Medio Oriente.

Il rischio di una guerra regionale su vasta scala

TUCKER CARLSON: Quindi l’idea che possa scoppiare una guerra su vasta scala è praticamente assente dai resoconti dei media americani. Quindi l’idea è che gli Stati Uniti, probabilmente in collaborazione con Israele, o viceversa, Israele in collaborazione con gli Stati Uniti, distruggerebbero, credo sei siti nucleari iraniani e questo sarebbe più o meno la fine, non si arriverebbe a una guerra su vasta scala. Insomma, non credo di aver mai letto alcun resoconto che suggerisca che potrebbe diventare una guerra su vasta scala. Ma lei sta dicendo che potrebbe.

DAN CALDWELL: Senti, nel momento in cui iniziano a volare bombe o proiettili, non si può mai dire con certezza cosa succederà esattamente. Ma penso che, dato che l’Iran è stato messo alle strette ed è indebolito, ha subito molti fallimenti nella regione. Credo che questo crei effettivamente un’opportunità per una diplomazia migliore e più intensa. Ma c’è chi sostiene che crei un’opportunità per ulteriori azioni militari.

E ancora una volta, forse è vero, ma tutto indica che qualsiasi tipo di attacco provocherebbe probabilmente una guerra su vasta scala in Medio Oriente. E ancora una volta, non entrerò nei dettagli di ciò che ciò potrebbe comportare, ma questo è il probabile esito di qualsiasi serie di attacchi prolungati contro alcune parti dell’Iran.

Gli americani a rischio nella regione

TUCKER CARLSON: L’altro giorno ho visto un grafico che mostrava il numero di installazioni militari statunitensi in quella regione intorno al Golfo Persico-Arabico. Non so se fosse un elenco completo, ma ce ne sono molte e le informazioni sono di dominio pubblico. Ci sono molti militari americani di stanza in quella regione e in diversi luoghi. In alcuni luoghi non sono molti. Non sono basi enormi e ben difese. Sembrano piccole basi, anche in Iraq e Siria. Ma altre, voglio dire, perché quelle persone non dovrebbero essere a rischio?

DAN CALDWELL: Non si tratta solo dei militari. Si tratta dei diplomatici nelle grandi ambasciate in luoghi come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Kuwait. In alcuni luoghi ci sono anche familiari che vivono in Medio Oriente. Quindi non sono solo i militari ad essere a rischio. Sono i dipendenti del governo americano, principalmente il personale diplomatico. Sono anche molti i lavoratori americani nella regione, che lavorano nell’industria petrolifera, nell’industria finanziaria. Ci sono molti americani che sarebbero a rischio, non solo i militari. E questo è, ancora una volta, qualcosa che, come lei sottolinea molto bene, viene spesso trascurato in qualsiasi discussione sull’azione militare.

Il rischio per la sicurezza interna

TUCKER CARLSON: Beh, non viene nemmeno menzionato. Non viene nemmeno menzionato. La minaccia alla vita degli americani non viene nemmeno menzionata. E questo, ovviamente, senza nemmeno considerare il potenziale terrorismo. Voglio dire, l’11 settembre è successo perché gli estremisti non erano d’accordo con la politica estera americana. Lo hanno ripetuto più e più volte. Dovremmo ignorarlo e pensare che l’hanno fatto perché odiavano la nostra libertà. Quello che hanno fatto è stato malvagio. Ovviamente non lo giustifico in alcun modo, ma hanno detto perché l’hanno fatto. Non siamo d’accordo con quello che state facendo. E hanno attaccato il territorio degli Stati Uniti e ucciso 3.000 americani. Quindi, voglio dire, c’è da preoccuparsi, visto quanti iraniani sono entrati illegalmente nel Paese sotto l’amministrazione Biden, che probabilmente ci sono agenti del governo iraniano qui e che potrebbero esserci atti di terrorismo se lo facessimo.

Come gli errori della politica estera del passato hanno portato alle sfide attuali

DAN CALDWELL: Voglio dire, questo è un rischio che si corre con qualsiasi operazione militare all’estero. Penso che questo sia un altro motivo per cui dobbiamo prendere più sul serio la difesa e la sicurezza interna. Ma sì, è un rischio reale.

Tornando al paragone con l’11 settembre, direi che una serie di errori nella politica estera e nella politica di sicurezza americana hanno spianato la strada all’11 settembre. Mi riferisco all’incapacità dell’FBI e della CIA di collaborare, alla decisione di finanziare, attraverso nazioni amiche, alcuni gruppi per consentire la crescita di determinate forze per combattere il comunismo, che all’epoca era probabilmente la decisione giusta vista la minaccia rappresentata dall’Unione Sovietica. Ma la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.

E uno dei motivi per cui ci troviamo nella situazione in cui siamo in Medio Oriente con l’Iran è, dobbiamo essere onesti, la guerra in Iraq. Saddam Hussein era un freno all’Iran, in quanto costringeva l’Iran a dedicare risorse per scoraggiare l’Iraq, che ora l’Iran non ha bisogno di impiegare per scoraggiare l’Iraq in modo convenzionale o attraverso i propri proxy. Ora possono investire quei soldi in gruppi come Hezbollah, gli Houthi e anche dedicare più risorse al loro programma missilistico e potenzialmente anche al loro programma nucleare.

Questo è, secondo me, uno degli aspetti che non si può trascurare quando si discute di politica estera e che troppo pochi affrontano: come siamo arrivati a questo punto? È come se la gente non volesse parlare di come siamo arrivati alla situazione attuale in Ucraina. Sai, l’espansione della NATO ha giocato un ruolo importante in questo. Sai, 30 anni di politica estera americana fallimentare nei confronti dell’Europa orientale. Il sostegno a certe rivoluzioni, il sostegno a certe figure politiche.

C’erano persone intelligenti, da George Kennan fino all’ex direttore della CIA, Bill Burns, che la pensasse come pensasse, che avevano avvertito che sarebbe successo. E ancora una volta, queste decisioni che prendiamo in un determinato momento, molto concentrate su una cosa, hanno conseguenze di secondo e terzo ordine che a volte sono molto facili da vedere, che sono abbastanza ovvie. Se qualcuno avesse avuto una minima comprensione della regione e delle dinamiche di potere nella regione nel 2003, lo avrebbe saputo. Cavolo. Rimuovere Saddam Hussein, per quanto terribile fosse, avrebbe inevitabilmente avvantaggiato l’Iran. Non se ne è quasi parlato nel periodo precedente al…

TUCKER CARLSON: Beh, no, io ero nel Paese quando è successo tutto questo e non ne sapevo nulla, ma mi sembrava ovvio. Se hai un Paese a maggioranza sciita e imponi la democrazia, qualunque cosa essa sia, a quel Paese e all’improvviso ti ritrovi con un governo sciita, è probabile che si allinei con l’Iran. Giusto. È passato dall’essere un baluardo contro l’Iran a un alleato dell’Iran, cosa che rimane, credo, di fatto.

DAN CALDWELL: Il governo iracheno è di fatto un proxy iraniano.

TUCKER CARLSON: Ok, ma perché farlo? Io non lo capisco. Voglio dire, era questo? Stiamo andando troppo lontano, ma è direttamente rilevante per ciò che sta accadendo in questo momento. Sì, anche io, che sono un giornalista di 35 anni, potevo capire che avrebbe avuto questo effetto. Perché i geni responsabili della nostra politica non ci hanno pensato? O forse ci hanno pensato. Forse c’era qualcuno più grande che…

Le capacità militari dell’Iran

DAN CALDWELL: Potrebbe essere una conversazione di tre ore. Penso che ci siano molte ragioni per cui abbiamo invaso l’Iraq, nessuna delle quali valida. Ma l’unica cosa che va riconosciuta è che anche prima dell’11 settembre c’era un tentativo di creare le condizioni affinché gli Stati Uniti potessero invadere l’Iraq. Pensavano che rovesciando Saddam si sarebbe scatenata una pace e una democrazia in tutto il Medio Oriente, cosa che precedeva l’11 settembre.

C’erano iniziative come il Progetto per un Nuovo Secolo Americano, c’era Paul Wolfowitz alla fine dell’amministrazione Bush, molto arrabbiato perché George H.W. Bush non era arrivato fino a Baghdad. E poi c’era questo momento post-guerra fredda in cui gli Stati Uniti non erano semplicemente una superpotenza, erano una iperpotenza e non c’era nessuno che potesse sfidarci efficacemente.

La Russia era un disastro. La Cina era ancora in ascesa, alcuni potevano prevedere cosa stava per succedere, ma l’ipotesi era che, una volta entrati nell’OMC e instaurato il libero scambio, la Cina sarebbe diventata una democrazia. E quando non hai nessuno al mondo che possa sfidarti o controllarti efficacemente, questo può creare condizioni politiche interne che portano la gente a pensare che non ci saranno conseguenze per la politica estera americana.

Penso anche che la nostra esperienza nei Balcani e il modo in cui sono andate quelle guerre abbiano convinto gran parte dell’establishment americano della sicurezza che avremmo potuto affrontare l’Iraq in modo piuttosto economico e rapido e che non sarebbe stato un grosso problema. Lo si è visto molto nei primi giorni della guerra in Iraq. La gente gongolava, pensava che una volta abbattuta la statua di Saddam in piazza Firdos, che tra l’altro è stata abbattuta dai marines della 1ª Divisione, saremmo usciti abbastanza rapidamente. E la storia ha dimostrato che non è stato così.

TUCKER CARLSON: No, certamente no. Beh, qualunque fosse il motivo, le azioni del governo statunitense sotto George W. Bush hanno notevolmente rafforzato l’Iran. Hanno rimosso il principale baluardo contro la loro espansione e liberato un sacco di denaro, come hai appena detto. Quindi eccoci qui. Stiamo affrontando un’enorme pressione per entrare in guerra con un Paese che non è l’Iraq, che in realtà è più potente dell’Iraq. Molte di queste informazioni sono di dominio pubblico, ma per quanto ne so stai facendo del tuo meglio per non rivelare nulla di riservato, ma per quanto puoi caratterizzarlo utilizzando informazioni disponibili pubblicamente. Qual è l’attuale forza dell’Iran, secondo te, come potenza militare?

DAN CALDWELL: Ripeto, sono chiaramente in difficoltà. Chiunque abbia seguito ciò che è successo loro nella regione negli ultimi sette, otto mesi può rendersene conto. Sì, Hezbollah ha subito sconfitte significative. L’Iran ha perso quello che era probabilmente il suo alleato più stretto nella regione, Bashar Al-Assad, e ha perso un importante canale di approvvigionamento di armi e rifornimenti per il Libano, il che limita la sua capacità di aiutare Hezbollah a ricostruirsi.

Ha subito alcune battute d’arresto a causa dei primi attacchi aerei israeliani alla fine dello scorso anno. E vorrei chiarire che si è trattato di attacchi molto limitati e mirati. La risposta iraniana era stata effettivamente preannunciata. E, ancora una volta, non ho alcuna informazione al riguardo, ma sembra che gli israeliani sapessero che sarebbe arrivata. Erano preparati. Avevano il sostegno degli Stati Uniti per respingerla.

TUCKER CARLSON: A me è sembrato simbolico.

DAN CALDWELL: Sì, così sembra. Quindi, ribadisco, non possiamo negare che abbiano subito alcune battute d’arresto significative. Tuttavia, conservano ancora notevoli capacità militari convenzionali, una forza missilistica efficace, dispongono di proxy efficaci in Iraq e hanno un programma di droni molto efficace.

Penso che la forza missilistica iraniana, più ancora di un potenziale programma nucleare, sia la garanzia ultima della sopravvivenza del regime e della nazione. E questo ci riporta alla loro esperienza nella guerra Iran-Iraq, quando Saddam Hussein, a volte con il sostegno indiretto o diretto degli Stati Uniti, utilizzava i suoi missili Scud e i bombardieri Tupolev per bombardare e attaccare efficacemente le città iraniane. Gli iraniani non avevano una difesa efficace contro di loro, né un modo efficace per contrattaccare l’Iraq.

Riuscirono a procurarsi alcuni missili Scud dalla Libia e da altre fonti. È una storia interessante. Gheddafi e Saddam avevano questo tipo di rivalità, quindi la Libia, pur essendo uno Stato arabo, laico e socialista, un po’ come l’Iraq, finì per appoggiare l’Iran, ma non fu mai in grado di eguagliare le capacità di attacco a lungo raggio dell’Iraq. Questo è uno dei motivi principali per cui hanno investito così tanto nello sviluppo di missili, droni, missili da crociera e cose simili in grado di colpire tutta la regione. E questa è la vera minaccia.

La vera minaccia iraniana

TUCKER CARLSON: Le armi convenzionali iraniane, i missili, giusto?

DAN CALDWELL: Al momento sì.

TUCKER CARLSON: Giusto. Quindi, quando sentiamo dire che sono indeboliti, ci riferiamo principalmente alle loro difese aeree.

DAN CALDWELL: Non mi addentrerò necessariamente in questo argomento. Ma parte delle loro capacità convenzionali sono state indebolite, ma non sconfitte, e conservano ancora capacità significative.

TUCKER CARLSON: Mi sembra che chi ha riflettuto a lungo su questo argomento sia giunto alla conclusione che se partecipassimo a un attacco contro i loro impianti nucleari, morirebbero molti americani.

DAN CALDWELL: C’è una possibilità concreta che ciò accada. Come si dice in gergo militare, nessun piano sopravvive al primo contatto. E in gran parte è vero che nessuna ipotesi sopravvive al primo contatto. Ma c’è comunque un rischio significativo che ciò accada. E penso sia giusto dire che questo sta pesando nelle valutazioni di molte persone all’interno dell’amministrazione.

TUCKER CARLSON: Quindi il punto nevralgico per gran parte del commercio mondiale di petrolio è proprio la parte finale, il terminale dell’ingresso nel Golfo Arabico, nel Golfo Persico, nello Stretto di Hormuz, come è noto. E lei pensa che l’Iran sia in grado di chiuderlo?

DAN CALDWELL: Penso che sia un rischio reale, se non quello di ridurre in modo significativo la capacità di trasportare energia attraverso quella via marittima vitale.

TUCKER CARLSON: Cosa succederebbe ai prezzi globali del petrolio?

DAN CALDWELL: Ci sarebbe un aumento catastrofico. Ora, col tempo, il mercato del petrolio potrebbe sicuramente risolversi da solo. Ci sarebbe una maggiore produzione qui a livello nazionale e altrove. Il petrolio è fungibile, ma inizialmente avrebbe un impatto piuttosto catastrofico sui mercati petroliferi globali in un momento in cui gli Stati Uniti stanno affrontando alcune difficoltà economiche.

La coalizione globale contro gli Stati Uniti

TUCKER CARLSON: Quindi si potrebbe assistere a una catastrofe sia sotto forma di una potenziale depressione globale che di morte di molti americani in quella regione e qui, a seguito di una guerra con l’Iran. Il terzo punto che non credo sia mai stato menzionato in nessuno dei resoconti che ho letto su questi piani per bombardare l’Iran e liberarlo dal suo programma nucleare è il fatto che l’Iran fa ora parte di una coalizione globale di grandi paesi che si oppongono a noi.

DAN CALDWELL: Ora, vedi, questo è molto interessante, Tucker. Perché fanno parte di quella coalizione? È a causa della nostra stupidità che costringiamo questi paesi, che non hanno interessi naturalmente allineati, a unirsi. L’Iran è una teocrazia sciita. La Russia è un paese autoritario governato da Vladimir Putin e da un gruppo di oligarchi. La Cina è uno Stato quasi comunista e quasi capitalista. La Corea del Nord è uno degli ultimi veri paesi comunisti autoritari sulla faccia della terra.

Molti di questi paesi dovrebbero avere tensioni naturali. E ci sono stati momenti nel dopoguerra fredda in cui un paese come la Russia era disposto a fare cose come non vendere armi all’Iran perché non voleva causare instabilità in Medio Oriente. Inoltre, nonostante abbia sostenuto alcuni nemici di Israele, la Russia ha sempre avuto buoni rapporti con questo Paese.

Così gli israeliani, insieme agli Stati Uniti, sono riusciti a convincere i russi in momenti cruciali a non vendere armi all’Iran o a non compiere determinate azioni. E così, mentre si avvicinavano, c’erano ancora delle divergenze tra loro. E siamo onesti, la Russia ha avuto problemi significativi con il radicalismo islamico nel proprio Paese. E non vuole sostenere un regime che in passato ha sostenuto i radicali islamici, sia sunniti che sciiti, in tutto il Medio Oriente e in altre parti del mondo.

Perché sono stati spinti l’uno verso l’altro? Beh, perché abbiamo adottato questa mentalità di autarchia contro democrazia. E ancora una volta, prima non era ben definito, ma abbiamo iniziato a raggruppare questi paesi. Ecco un ottimo esempio: l’Asse del Male. Quando hanno detto che esisteva questo asse del male composto da Iran, Iraq e Corea del Nord, ne abbiamo semplicemente parlato. L’Iran e l’Iraq si odiavano. Erano nemici naturali. E tra l’altro, la Corea del Nord, cosa…

TUCKER CARLSON: Cosa c’entra la Corea del Nord?

DAN CALDWELL: Ecco una cosa interessante. L’Iran, l’Iraq e la Corea del Nord hanno interrotto le relazioni durante la guerra Iran-Iraq perché erano molto vicini agli iraniani. E sembra che i nordcoreani abbiano fregato gli iracheni negli anni ’90. Non è stato confermato, ma potrebbero averli fregati quando i nordcoreani hanno offerto loro di vendere loro delle armi. E i nordcoreani sono piuttosto famosi per questo. Hanno preso i soldi e hanno detto: “Sì, non possiamo darveli”.

In realtà ci hanno provato una volta all’inizio degli anni ’90 – ancora una volta, non posso dire se questa storia sia vera, ma l’ho letta su un blog militare – hanno cercato di pagare alcune attrezzature militari russe con parti di auto usate.

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Russia e Cina sono due paesi con antagonismi storici. Hanno un confine comune per cui hanno combattuto guerre durante il periodo sovietico. I cinesi considerano la Siberia e le sue risorse come proprie. La sua popolazione, non credo stia crescendo in questo momento perché hanno ucciso 100 milioni di bambine. Ma questa è un’area con risorse di cui hanno bisogno e che è stata oggetto di conflitti in passato.

Ci dovrebbe essere tensione tra questi due paesi. Ma la nostra politica estera di metterli tutti nello stesso calderone, sanzionarli, trattarli come un fronte unito, ha in qualche modo voluto…

TUCKER CARLSON: L’ha reso reale, li ha resi un fronte unito.

DAN CALDWELL: Sì. E non dovrebbe essere così. Dovremmo essere in grado di separarli perché hanno interessi che non coincidono. Dovremmo essere in grado di lavorare di più con i russi. E spero che se Steve Witkoff avrà successo e altri membri dell’amministrazione – ci sono molte persone in gamba nell’amministrazione che stanno lavorando sulla Russia e sull’Ucraina in questo momento – se avranno successo, forse potremo arrivare a un punto migliore con la Russia e loro potranno aiutarci con l’Iran.

Incompetenza o malizia?

TUCKER CARLSON: Mi permetta di interromperla. Tutto quello che sta dicendo è, tra l’altro, di dominio pubblico. Non sta facendo supposizioni. È ovvio. Nessuna persona onesta lo negherebbe. E queste politiche sono così folli che sembrano quasi formulate da persone che stanno cercando di affondare gli Stati Uniti. Sono politiche ostili agli interessi americani, non indifferenti.

DAN CALDWELL: Sai, penso che forse sia una possibilità. Ma più ho interagito con alcune di queste persone e le ho viste da vicino, più mi sembra di aver dato loro troppo credito.

TUCKER CARLSON: Voglio dire, non attribuire mai alla cospirazione ciò che può essere spiegato con la stupidità. È questo che stai dicendo?

DAN CALDWELL: Ci sono sicuramente forze malvagie in gioco, ma gran parte di questo è stupidità e pigrizia. Nel mio breve periodo al Pentagono, come con l’Ucraina, molte persone al Pentagono volevano continuare a fare quello che stavamo facendo in Ucraina. Alcuni di loro avevano davvero un impegno ideologico nei confronti del progetto ucraino. Penso che molti degli ufficiali…

TUCKER CARLSON: Un’Europa orientale più transgender.

DAN CALDWELL: Sai, Zelensky come salvatore del liberalismo globale.

TUCKER CARLSON: La guerra contro il cristianesimo. Ci sono tutti dentro. Sì.

Il punto di vista del Pentagono sull’Ucraina

DAN CALDWELL: Quindi penso che, data la loro esperienza, in un certo senso si possa in qualche modo simpatizzare con loro, perché hanno simpatizzato con l’Ucraina. Ma ho visto molto, e molto era dovuto al fatto che è più facile dire che dovremmo continuare a fare quello che stiamo facendo piuttosto che ammettere che abbiamo sbagliato e pensare a un modo diverso di fare le cose. Penso che più che l’ideologia, e l’ideologia gioca un ruolo importante, sia la convinzione che l’America debba essere l’egemone globale per imporre l’egemonia liberale. Ma in realtà per molte persone, e penso che lo stesso valga per il Dipartimento di Stato, è più facile dire di no. È semplicemente più facile dire di no.

TUCKER CARLSON: Lo credo anch’io. Ho trascorso molto tempo a contatto con la burocrazia. Penso che sia vero. È proprio come un principio della fisica. Gli oggetti in movimento tendono a rimanere tali. Ne sono completamente convinto. Ma guardando il quadro generale, allargando un po’ lo sguardo. Un’altra guerra in Medio Oriente. Penso che la stragrande maggioranza degli americani e sicuramente la stragrande maggioranza degli elettori di Trump stiano dicendo: “Aspettate un attimo. No”. Infatti, il presidente è stato eletto in gran parte grazie alla promessa di non coinvolgerci in un’altra guerra senza fine. Quindi sono davvero colpito, ma tu sei l’esperto, dalla pressione esercitata sull’amministrazione affinché lo faccia, affinché ci coinvolga in un’altra guerra in Medio Oriente. L’hai percepita?

La spinta alla guerra con l’Iran

DAN CALDWELL: Penso che ci sia chiaramente una coalizione molto forte all’interno degli Stati Uniti che vuole che ci sia un’altra guerra in Medio Oriente. E questo va oltre i partiti, solo per precisare. Ne ho scritto su Foreign Affairs con un mio amico, Reed Smith.

Durante la campagna elettorale, i democratici hanno attaccato Trump per essere troppo conciliante con l’Iran. E lo hanno attaccato per non aver fatto di più dopo l’uccisione di Soleimani, per non aver fatto di più dopo alcuni attacchi con droni iraniani contro l’Arabia Saudita nel 2019. Lo hanno accusato di essere troppo debole con l’Iran. E il Partito Democratico ha tirato fuori Liz Cheney, tra tutti, e con l’appoggio di suo padre lei è andata negli Stati chiave, parlando dell’importanza di rimanere, cito, forti in Medio Oriente e di continuare a finanziare una guerra impossibile da vincere in Ucraina. E questa è stata la posizione che hanno adottato.

Quindi è qualcosa che va oltre il tradizionale modo di pensare alla politica estera americana, basato sulla contrapposizione tra destra e sinistra, che è nato alla fine della Guerra Fredda o anche prima. In realtà è antecedente alla fine della Guerra Fredda. Risale alla Guerra Fredda, quando, nell’era post-Vietnam, i Democratici erano i pacifisti e i Repubblicani i falchi. È qualcosa che va davvero oltre. E c’è questo movimento trasversale che vuole mantenere l’America impegnata nel mondo. E penso che sia positivo per l’America essere impegnata nel mondo, ma impegnata in modo che il suo obiettivo primario non sia quello di proteggere gli interessi americani o la sicurezza o le condizioni di prosperità americana, ma quello di garantire che l’America imponga l’egemonia liberale.

Tornando all’Iran, ci sono molte ragioni per cui la gente vuole la guerra con l’Iran. Penso che, in fin dei conti, molte persone credono ancora che sia possibile portare a termine con successo guerre di cambio di regime in Medio Oriente.

TUCKER CARLSON: Guerre di cambio di regime. Pensavo che si trattasse solo di eliminare una mezza dozzina di siti nucleari iraniani perché non vogliamo che l’Iran abbia armi nucleari.

Il vero obiettivo: il cambio di regime

DAN CALDWELL: Beh, penso che Donald Trump li abbia smascherati perché in sostanza sono alcuni dei più grandi sostenitori della guerra con l’Iran, che si tratti di gruppi come la Foundation for Defense and Democracy o di scrittori di certe testate. In sostanza, stanno dicendo che il problema della diplomazia è che non porta al cambio di regime, che la politica dovrebbe essere il cambio di regime. È quasi come se la questione nucleare servisse in realtà a creare un percorso verso il cambio di regime. E in realtà si torna sempre a questa idea che molti di loro credono profondamente, e alcuni lo dicono apertamente, che avremmo potuto avere successo in Iraq. E invece l’Iraq è un disastro. È un caos assoluto.

TUCKER CARLSON: Beh, è un proxy dell’Iran.

DAN CALDWELL: Sì.

TUCKER CARLSON: Il Paese che odiano.

DAN CALDWELL: Vorrei solo fare una precisazione. Le forze più letali in Medio Oriente. Le forze che rappresentano il rischio maggiore per le forze armate statunitensi sono le Forze di Mobilitazione Popolare in Iraq. Si tratta di un braccio armato ufficiale del governo iracheno che abbiamo creato dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003, che finanziamo con aiuti e le cui truppe continuiamo ad addestrare con un paio di migliaia di soldati ancora presenti in Iraq.

Quindi le truppe americane in Iraq in questo momento vengono attaccate da persone che fanno parte dello stesso governo che le truppe americane stanno aiutando a sostenere e le cui forze di sicurezza stanno aiutando ad addestrare. È la missione di politica estera più controproducente e folle del mondo in questo momento. E spero che l’amministrazione apporti dei cambiamenti in tal senso. Ma è così che stanno le cose.

TUCKER CARLSON: Voglio dire, negli ultimi, non so, 22 anni, 24 anni, credo, dall’11 settembre. Incredibile. Il nostro record con il cambio di regime in Medio Oriente è stato del 100% di fallimenti.

DAN CALDWELL: Sì. E se vai in Libia, vai in Siria.

TUCKER CARLSON: Sì, ma fallimenti a tutti i livelli.

DAN CALDWELL: Nemmeno lo Yemen. Puoi includere lo Yemen perché abbiamo sostenuto il vecchio governo prima che crollasse e lo Yemen precipitasse in una guerra civile.

Il disastroso bilancio dei cambiamenti di regime

TUCKER CARLSON: Non ha reso gli Stati Uniti più sicuri o più ricchi. A proposito, direi che non ha nemmeno reso più sicuri i nostri alleati, per quanto lo desiderassero. Non è stato un bene nemmeno per loro, per quanto posso vedere. Ed è stato un disastro per milioni di persone, esseri umani in quei paesi. Ma soprattutto non ha aiutato gli Stati Uniti. Quindi come potete, con la faccia seria, sostenere un’altra guerra di cambio di regime contro un paese reale che non è la Libia, non è l’Iraq, è l’Iran, è l’Impero Persiano? Come potete dirlo ad alta voce? Lo stanno davvero dicendo ad alta voce?

DAN CALDWELL: Sì. Alcuni lo dicono ad alta voce. Sì. Pensano che il figlio dello Scià sia riapparso. Secondo me questo tizio è il figlio più fallito che esista. E poi ci sono gruppi come il MEK, i Mujaheddin del Popolo Iraniano, che pagano molti politici americani per difenderli e sostenere un cambio di regime. In sostanza stanno dicendo: “Ehi, abbiamo dei governi in attesa che possono semplicemente piombare lì e tutto andrà bene se vi liberate dei mullah”. Dove l’abbiamo già sentita questa?

TUCKER CARLSON: Sai, è difficile credere che sia tutto vero.

DAN CALDWELL: So che lo è.

TUCKER CARLSON: È difficile da credere, ignorando i fatti più evidenti degli ultimi 30 anni.

DAN CALDWELL: Si torna a quello che dicevo riguardo a ciò che ho osservato al Pentagono. Penso che sia più facile sostenere sempre le stesse cose piuttosto che dire che dovremmo fare qualcosa di diverso.

Pressioni del Congresso per la guerra

TUCKER CARLSON: Cosa ne pensi del senatore? Forse hai un’esperienza diversa, ma io sento continuamente parlare dei senatori repubblicani. Sono sicuro che ci siano anche democratici, ma sento parlare dei repubblicani, Lindsey Graham è il più evidente, ma molti altri esercitano costantemente pressioni sull’amministrazione affinché intraprenda una guerra di regime change contro l’Iran. Non confermerò i tuoi candidati. Faremo pressioni, intendo dire minacce, minacce all’amministrazione Trump per costringerla a condurre una guerra di regime change contro l’Iran. Quale potrebbe essere il loro motivo? Qual è?

DAN CALDWELL: Guarda lì? Penso, e ne ho già parlato in passato, che a Washington D.C. ci sia una disconnessione tra i repubblicani eletti, ad eccezione di quelli attualmente alla Casa Bianca, e la base, ovvero ciò che la base crede realmente in materia di politica estera. E quindi la base non vuole nuove guerre, proprio come gli elettori.

TUCKER CARLSON: Stai parlando delle persone che li hanno messi lì.

Il divario tra elettori e politici

DAN CALDWELL: E più volte abbiamo visto la maggioranza degli elettori repubblicani in molte di queste primarie dire che volevano meno guerre. In molti casi i repubblicani erano ora meno bellicosi nel complesso. E, sai, i sondaggi non raccontano sempre tutta la storia, ma si è visto che in generale gli elettori democratici stanno diventando più bellicosi, soprattutto a causa dell’Ucraina, mentre gli elettori repubblicani e indipendenti stanno diventando sempre più diffidenti nei confronti delle guerre all’estero.

Tuttavia, poiché la politica estera spesso non è una questione di primaria importanza per molti elettori, non rientra tra le loro tre priorità principali. Molti repubblicani e democratici riescono a farsi eleggere nonostante abbiano un pessimo curriculum in materia di politica estera. Ora ci sono elezioni in cui questo fa la differenza. Nel 2016, ad esempio, ci sono prove concrete che il fatto che Donald Trump fosse considerato meno aggressivo di Hillary Clinton ha giocato un ruolo decisivo nella sua vittoria in Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, contee che sono passate da Obama a Trump e che avevano livelli più alti di quello che si definisce sacrificio militare, ovvero soldati schierati, feriti o uccisi, rispetto ad alcune contee adiacenti. Questo ha probabilmente contribuito sia alla sua vittoria del 2016 che, forse, a quella del 2024.

Ora, ho dei cari amici che sono molto più esperti di me in materia di sondaggi e scienze sociali, e potrebbero non essere d’accordo con me. Ma ci sono stati momenti in cui gli incentivi politici erano effettivamente quelli di essere meno aggressivi, ma questo non si è visto nella maggior parte delle elezioni. Quindi ci sono molti leader repubblicani, in particolare, che sono semplicemente scollegati dalla base.

Ora, penso che la buona notizia sia che si sta iniziando a vedere un cambiamento, e lo si è visto con gli aiuti all’Ucraina, dove penso che l’ultimo voto importante sugli aiuti all’Ucraina, e potrebbe effettivamente essere l’ultimo voto importante sugli aiuti all’Ucraina di sempre, abbia visto più della metà dei repubblicani al Senato votare contro e più della metà del Senato, o, mi scusi, dei membri della Camera votare contro. E questo è passato da soli sei repubblicani che hanno votato contro il primo grande pacchetto di aiuti all’Ucraina nel 2022 e solo 40 repubblicani alla Camera, ad oggi circa 26, 27 senatori e poi quasi 110, 113, più o meno in quel range, repubblicani alla Camera che hanno votato contro. Quindi hai visto dei cambiamenti e sicuramente i repubblicani eletti dal 2018 sia alla Camera che al Senato sono molto meno falchi di quelli eletti prima di loro. Questo è indiscutibile.

TUCKER CARLSON: Beh, non ha funzionato. Non ha funzionato. E non credo che chiunque metta al primo posto gli interessi degli Stati Uniti possa davvero arrivare a un altro cambio di regime, a una guerra in Iran. È quasi una prova evidente che non si stanno mettendo al primo posto gli interessi del proprio Paese. È così che la vedo io. Forse sono troppo severo.

Politica estera America First

DAN CALDWELL: No. E penso che questo ci riporti a una semplice convinzione su quale sia lo scopo della politica estera americana. Credo, e penso che il presidente Trump, il vicepresidente Vance, credo persino il segretario Rubio, il segretario Hagseff e altri membri dell’amministrazione credano fondamentalmente che lo scopo della politica estera americana sia garantire la sicurezza americana e le condizioni della nostra prosperità.

Questo non significa che garantiremo una crescita del PIL del 3%. Sono le cose che ci permettono di essere prosperi. Quindi, ad esempio, dare priorità alla difesa del Canale di Panama rispetto alla questione irrilevante di quale oligarca dell’Europa orientale possa saccheggiare il Donbas come credono loro. Credono che questo sia più importante perché il Canale di Panama è indiscutibilmente più importante per noi di chi controlla il Donbas o chi controlla un pezzo di deserto desolato in Medio Oriente.

TUCKER CARLSON: Ben detto. Beh, finalmente è arrivata la Pasqua, e non c’è modo migliore per ricordare la storia di Gesù Cristo. Morire per i propri peccati è la cosa più potente che sia mai accaduta nella storia. È davvero l’inizio della storia e vale la pena celebrarlo. La Pasqua ha abbracciato la libertà della resurrezione su Hallow, l’app di preghiera numero uno al mondo. Unisciti a Liz Tabish, che interpreta Maria Maddalena nella serie Chosen, all’attore Kevin James e ad altri in un’esperienza di preghiera coinvolgente e gioiosa, degna della Pasqua stessa. Ogni singolo giorno imparerai a camminare in libertà nonostante le circostanze, spesso opprimenti, della tua vita quotidiana e a lasciar andare le cose a cui sei attaccato e che ti causano sofferenza. E invece abbraccia la pace e la libertà che derivano dal riporre la tua fiducia in Dio, l’unico posto in cui riporre la tua fiducia. Entra quindi nella gioia della Pasqua con una breve preghiera, una riflessione, una meditazione ogni singolo giorno che ti aiuteranno a continuare le abitudini che cambieranno tutto, quelle che stabilisci durante la Quaresima. Noi qui amiamo Hallow. Amiamo l’app. Sappiamo che piacerà anche a te. Contiene migliaia di preghiere, meditazioni, musica, ti aiuta a costruire un’abitudine quotidiana di preghiera e ad avvicinarti a Dio. Scaricate Hallow oggi stesso su hallow.com/Tucker. Avrete tre mesi gratis. Ne sarete sinceramente grati. Lo sarete. Come sei stato coinvolto in tutto questo? Qual è la tua storia? E posso dire che avrei dovuto chiedertelo nel saggio. Qual era la tua… Hai lasciato il Pentagono in circostanze di cui spero potremo parlare. Cosa facevi quando te ne sei andato?

Il ruolo di Dan Caldwell al Pentagono

DAN CALDWELL: Ero un consulente senior del Segretario alla Difesa. Mi occupavo di politica. Ero il consulente senior dell’ufficio politico. Il mio lavoro quotidiano consisteva nel consigliare il segretario in materia di politica, assicurarmi che fosse preparato per le riunioni, assicurarmi che fosse preparato per determinati discorsi e colloqui e fornirgli consulenza politica quando necessario.

Avevamo un team politico molto competente. Il sottosegretario alla Difesa per le politiche è appena stato confermato. Grazie a Dio. Bridge Colby sta facendo un ottimo lavoro. Al Pentagono è necessario avere qualcuno nell’ufficio di presidenza che sia in grado di collegare efficacemente il segretario alle politiche. E la politica ha così tanti compiti e così tante cose su cui concentrarsi che è necessario qualcuno in prima linea che possa aiutare, che sia un consulente politico immediato in grado di entrare e parlare subito con il segretario.

TUCKER CARLSON: Giusto. Ok. È questo il lavoro che sognavi da bambino? Come sei finito qui?

Infanzia e servizio militare

DAN CALDWELL: Sai, è buffo, una parte di me non voleva nemmeno andare al Pentagono. Non era necessariamente qualcosa che sognavo. Voglio dire, penso che il mio primo lavoro fosse quello che mi appassionava davvero, come molti ragazzini: il pompiere.

TUCKER CARLSON: Dove sei cresciuto?

DAN CALDWELL: Sono cresciuto… Sono nato in California, ho vissuto per un po’ in Massachusetts, ma la mia casa è a Scottsdale, in Arizona. È lì che considero casa mia. I miei figli sono nati lì. I miei genitori vivono ancora lì. Mia nonna vive ancora lì. Ho ancora molti familiari lì, e quella sarà sempre casa mia.

TUCKER CARLSON: Quindi come hai… Eri nell’esercito?

DAN CALDWELL: Sì, nel Corpo dei Marines.

TUCKER CARLSON: Eri nei Marines? Come sei finito lì?

DAN CALDWELL: Ho frequentato una scuola gesuita per soli ragazzi. Gli ultimi due anni sono stati molto intensi. L’aspettativa era che tutti andassero all’università. Alla fine del liceo, però, non volevo più studiare. Non volevo andare all’università, ma era una cosa che dovevo fare.

Così mi sono trascinato a Tucson per frequentare l’Università dell’Arizona. E, sinceramente, ero infelice. Non avevo alcuna motivazione per andare a lezione o fare qualsiasi cosa, odiavo la mia vita. Poi un giorno, il mio migliore amico, un caro amico che amo da morire, James O’Connor. Era un mio compagno di liceo. Aveva lasciato l’Arizona State University e si era arruolato nell’esercito come paracadutista, come suo padre, ed era stato assegnato alla 101ª divisione come membro dell’unità Pathfinder.

È andato in Iraq nell’autunno del 2005. Ricordo che mi mandò un messaggio su AOL Instant Messenger dicendo: “La mia squadra è stata quasi colpita da un ordigno esplosivo improvvisato”. E io pensai: “Cosa ci faccio qui? Devo andare a combattere”. Da bambino ero molto interessato alla storia militare. E mio nonno, che è molto importante per me, era un paracadutista. Ma io ero ossessionato dal Corpo dei Marines. Mi fece leggere due libri. The Nightingale Song, che parla di…

TUCKER CARLSON: Un libro fantastico.

DAN CALDWELL: È un libro fantastico. Onestamente, lo rileggo ogni due anni.

TUCKER CARLSON: E lui ha pubblicato… Credo che sia morto ormai, era un giornalista del Baltimore Sun, ma ha pubblicato una versione più lunga, una sorta di versione integrale, che è fantastica.

DAN CALDWELL: E poi mi ha fatto leggere Fields of Fire di Jim Webb.

TUCKER CARLSON: Oh, mio Dio.

DAN CALDWELL: E Jim Webb è uno dei miei…

TUCKER CARLSON: Sono entrambi libri sul Vietnam.

DAN CALDWELL: Sì. E quindi avevano una visione senza veli del Corpo dei Marines, ma io volevo comunque farne parte. Così ho ricevuto il messaggio di James e ho detto: “Devo andarmene da qui”. Ho mollato tutto. L’ho detto ai miei genitori, che erano furiosi, non erano affatto contenti.

TUCKER CARLSON: Sì. Erano spaventati.

DAN CALDWELL: E mi dispiace ancora per la paura che ho causato loro, perché alla fine mi sono arruolato nella fanteria.

TUCKER CARLSON: Ti sei arruolato?

DAN CALDWELL: Sì, come 0311 nel Corpo dei Marines. I miei primi due anni nel Corpo dei Marines…

TUCKER CARLSON: È una delle cose meno affascinanti che si possano fare.

DAN CALDWELL: Sai una cosa? Per alcune persone sì. E so che alcuni dei tuoi collaboratori sono marines.

TUCKER CARLSON: Sì. Ma marines arruolati.

DAN CALDWELL: Sì. E con tutto il rispetto per loro, ma nella fanteria c’era un detto che diceva: “Se non sei nella fanteria, non sei un cazzo”.

TUCKER CARLSON: Sì.

DAN CALDWELL: E tutto ciò che faceva il Corpo dei Marines, dalle squadriglie di caccia all’artiglieria ai carri armati, era a sostegno dei fucilieri arruolati, che individuavano e distruggevano il nemico e respingevano i suoi attacchi con il fuoco e le manovre. Quindi tutto era a sostegno del 0311 che faceva il suo lavoro. E quindi adoro stare nella fanteria. E c’era una sorta di convinzione che, se eri nella fanteria, ti sentivi superiore agli altri, che fosse vero o no. La tua vita era più dura. Ma era un motivo di orgoglio, e questo mi piaceva.

TUCKER CARLSON: Quindi tu… In sostanza, hai lasciato l’università e ti sei arruolato nel Corpo dei Marines durante una guerra.

Carriera militare e dispiegamento

DAN CALDWELL: Sì. Era il 2005. Le cose andavano a gonfie vele in Iraq. L’Afghanistan era in fermento, ma la situazione era già grave prima di peggiorare ulteriormente.

Durante i miei primi due anni al campo di addestramento, sono stato selezionato per un programma chiamato Yankee White. Si tratta del programma di supporto presidenziale. Se hai mai visto i marines salutare davanti alla Casa Bianca, loro fanno parte del programma di supporto presidenziale. Come parte di questo programma, sono entrato a far parte della Marine Security Force a Camp David. Ho trascorso lì quasi due anni, credo, durante la presidenza di Bush. È stata una destinazione fantastica. Mi è piaciuta moltissimo. Alcuni dei miei amici più cari, con cui ho prestato servizio lì, sono ancora miei amici oggi. Era un comando fantastico, avevo un ottimo sergente maggiore, un ottimo comandante e un ottimo sergente di plotone.

Ho trascorso due anni lì, poi, una volta terminato il mio periodo, sono stato assegnato al 2° Battaglione, 1° Marines, il che è stata una grande fortuna. Sono stato assegnato a un’altra compagnia fantastica, la Fox Co. 2:1. Abbiamo fatto un addestramento e siamo stati dispiegati in Iraq. Era la fine del 2008, l’inizio del 2009.

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Sarò onesto, non era così male come a Ramadi e Fallujah qualche anno prima. È stato un dispiegamento per lo più tranquillo, con alcune eccezioni. Ci sono stati alcuni incidenti e cose del genere. Ma quando hai lasciato l’Iraq in quel momento, pensavi: “Ok, non sarà come Scottsdale, in Arizona, ma potrebbe funzionare. Potrebbe essere un po’ come Tijuana, in Messico”. Ma cinque anni dopo, ad eccezione di Al Assad, tutti i luoghi in cui ero stato in Iraq erano sotto il controllo dell’ISIS.

TUCKER CARLSON: I luoghi in cui ti trovavi personalmente?

DAN CALDWELL: Sì. Dalla città di Hit al Sinjar meridionale, la montagna dove erano intrappolati gli yazidi, dove ci sono stati quei massacri e dove hanno ridotto in schiavitù tutte le donne. Io ero… Eravamo tutti intorno al monte Sinjar. Abbiamo trascorso molto tempo con gli yazidi. Sono persone molto interessanti. La loro religione è molto interessante. Adorano quello che l’Occidente, molti occidentali, chiamerebbero il diavolo. Non credo che sia molto accurato. Ma erano molto filoamericani. Erano sempre vestiti con abiti colorati e venivano a salutarci. Mentre quando eri nelle zone sunnite, ti ignoravano e ti guardavano come per dire: “Quando ve ne andate?”. E così, cinque anni dopo, tutto era andato in pezzi.

TUCKER CARLSON: E molte di quelle persone che ti salutavano erano morte o schiave sessuali.

DAN CALDWELL: Sì. Ho una foto su Twitter con due giovani ragazzi yazidi, che ora sono morti o in un campo dell’ISIS. Forse sono riusciti a tornare, ma probabilmente questa è la realtà, purtroppo.

Carriera post-militare e riflessioni

TUCKER CARLSON: Dove ti trovavi cinque anni dopo, quando hai visto questo?

DAN CALDWELL: Lavoravo alla Concerned Veterans for America. È lì che ho incontrato Pete Hegseth. Una cosa che è successa in quei cinque anni e che ha continuato a succedere è che ho visto… Ho fatto due cose. Ho imparato molto sul perché è iniziata la guerra, ho imparato quali decisioni ci hanno portato lì, e non ho avuto una transizione dall’oggi al domani. Ci è voluto un po’ di tempo, ma ho visto l’impatto sulla mia comunità di veterani e da allora la situazione è solo peggiorata.

TUCKER CARLSON: Qual è stato… Sono sicuro che potresti parlarne per ore. Ma se dovessi riassumere l’effetto della guerra in Iraq sui ragazzi che conoscevi, quale sarebbe?

DAN CALDWELL: Tre marines con cui ho prestato servizio, sia nel 2/1 che a Camp David, sono stati uccisi in azione. Una mezza dozzina sono rimasti gravemente feriti, alcuni con doppia amputazione. Tutti in Afghanistan. Beh, alcuni in Iraq. Mentre siamo qui, circa 20 si sono suicidati o sono morti a causa di ferite riportate in servizio.

TUCKER CARLSON: 20?

DAN CALDWELL: Questo riguarda chi ha prestato servizio nella fanteria. È molto comune. Ci sono state unità di fanteria che hanno combattuto nella battaglia di Fallujah e Ramadi e in altri conflitti molto intensi che hanno causato più suicidi tra i marines che morti in azione.

Riflessioni sulla guerra in Iraq

TUCKER CARLSON: Lei cerca davvero di affrontare questo argomento senza lasciarsi sopraffare dall’odio. Non vuole diventare un odiatore, ma è difficile quando si sentono cose del genere e si pensa a qualcuno come David Frum, che non è nemmeno americano, che urla contro le persone, definendole bigotte perché non vogliono partecipare a un’altra guerra per cambiare regime. Insomma, è difficile.

DAN CALDWELL: È una vergogna che gli sia permesso di frequentare persone rispettabili. Penso che la guerra in Iraq sia stata un crimine mostruoso. È l’unico modo in cui posso descriverla. È stato innanzitutto un crimine contro il popolo iracheno e poi contro il popolo siriano, perché queste due guerre sono chiaramente collegate.

Sai, l’ISIS è stato essenzialmente formato nelle prigioni americane. Beh, l’ISIS è nato dal gruppo di Zarqawi, ma i leader come Baghdadi, e persino il nuovo presidente della Siria, Jelani, erano nelle prigioni americane e hanno incontrato persone che alla fine avrebbero contribuito a formare il nucleo della leadership di Al Nusra, che è la branca di Al Qaeda. E poi l’ISIS. Baghdadi ha incontrato in prigione, in una prigione americana, dei leader militari iracheni e ha iniziato a imparare di più sulle tattiche militari. E molte delle persone con cui era in prigione sarebbero state quelle che lo avrebbero aiutato a conquistare gran parte dell’Iraq e della Siria.

TUCKER CARLSON: Cosa ha significato… Non sei la prima persona a cui lo chiedo, ma come ci si sente ad essere qualcuno che ha effettivamente prestato servizio lì, che voleva prestare servizio, che ha abbandonato l’università per arruolarsi, non per entrare nel ROTC, ma per arruolarsi nel Corpo dei Marines. Cosa ha significato… Hai dedicato tutta la tua vita a questo. E poi vedere la carneficina, gli americani le cui vite sono state distrutte, e poi rendersi conto che era tutto falso. Che effetto ha avuto su di te?

DAN CALDWELL: Ha iniziato a spingermi verso la posizione che ho ora in materia di politica estera. Dobbiamo fare qualcosa di diverso. E in un certo senso mi ha radicalizzato su questo tema.

E in realtà c’è chi sostiene che bisogna essere… Quando si parla di politica estera, bisogna essere freddi e distaccati. Alcuni dicono che i realisti devono essere freddi e distaccati. Non sono necessariamente d’accordo. Ma, sai, quando sento parlare di una nuova operazione militare o qualcuno parla di qualcosa, il mio primo pensiero è: come sarà per i ragazzi? Come sarà per i ragazzi che saranno in prima linea? E per gli uomini, ma anche per le donne. È solo che, è un po’ come se non potessi fare a meno di guardare attraverso quel prisma e a volte devi distaccarti da esso. Ma la cosa importante è che dobbiamo impedire che questo accada di nuovo. Non può succedere di nuovo.

TUCKER CARLSON: Non potrei essere più d’accordo con te e vorrei che più persone esprimessero questo punto di vista. Penso che sia… Quindi, tra i ragazzi con cui hai prestato servizio nel Corpo dei Marines in Iraq, diresti che molti sono d’accordo con te?

DAN CALDWELL: Sì, sì. Di destra, di sinistra, la maggior parte di loro è ferocemente anti-interventista. Alcuni di loro mi fanno sembrare Paul Wolfowitz.

TUCKER CARLSON: E stai parlando dei ragazzi che hanno prestato servizio e hanno portato i fucili in Iraq?

DAN CALDWELL: Sì, esatto. E lo abbiamo fatto anche noi di Concerned Veterans for America. Abbiamo condotto molti sondaggi quando ero lì e abbiamo costantemente riscontrato che i veterani e le famiglie dei militari erano più contrari alle nuove guerre con margini piuttosto evidenti rispetto alla popolazione generale nel suo complesso.

Il costo umano della guerra

TUCKER CARLSON: È interessante. Hai parlato di morte, di caduti in azione, di feriti, di feriti gravi, di suicidi, di traumi psicologici.

DAN CALDWELL: Mi dispiace, non ho nemmeno menzionato le famiglie distrutte.

TUCKER CARLSON: Beh, è proprio quello che stavo per chiederti. Continua.

DAN CALDWELL: Intendo dire l’alto tasso di divorzi.

TUCKER CARLSON: Alti tassi di divorzio. Ne parlavamo prima di andare in onda. Conosco molti marines arruolati. Mio padre era uno di loro. Non lo so. Non credo di conoscere nessun ragazzo che si sia arruolato nei Marines durante la guerra al terrorismo che non sia divorziato. Sono sicuro che ce ne sono, ma forse me lo sto immaginando?

DAN CALDWELL: Ci sono alcune comunità di forze armate e forze speciali che hanno tassi di divorzio del 90%.

TUCKER CARLSON: Il 90%, sì. Lo sottovalutiamo. È un disastro per le persone coinvolte e per i loro figli. È una vera tragedia. Una vera tragedia. Il divorzio è una morte. E quindi, se si ha un tasso di divorzi del 90%, non capisco perché nessuno si fermi a riflettere su come non si possa fare questo alle persone.

DAN CALDWELL: Sì.

TUCKER CARLSON: Sei d’accordo?

DAN CALDWELL: Sì. Ora, guarda, voglio dire, il divorzio è sempre stato un problema nell’esercito. Ci sono molti ragazzi che si sposano troppo giovani per uscire dalla caserma. Ne abbiamo parlato prima. Ma è lo stress delle missioni in queste unità specifiche che fa aumentare il tasso di divorzi in alcune unità. E quando hai ragazzi che passano il 70, 80% del loro tempo lontano da casa, in addestramento o in missione, è difficile. Il servizio militare sarà sempre difficile. Ma l’aumento del ritmo delle missioni che abbiamo avuto, in particolare dopo l’11 settembre, ha esacerbato la situazione.

TUCKER CARLSON: Beh, è la prima cosa che ho notato quando ho iniziato a occuparmi di queste cose o ad andare lì. Questi ragazzi facevano un numero incredibile di dispiegamenti. E penso semplicemente che se continui a mandare un uomo in guerra, col tempo lo distruggi. No.

DAN CALDWELL: Sì.

TUCKER CARLSON: Come potresti non farlo?

DAN CALDWELL: Sì. Penso che tutti abbiano un punto di rottura. E ci sono persone che sono in grado di farlo. Ci sono persone nelle unità Ranger che sono al loro 15°, 16° dispiegamento, persone che sono in servizio da oltre 20 anni.

TUCKER CARLSON: Che effetto ha su di te?

DAN CALDWELL: Beh, può avere tantissimi effetti. Voglio dire, ci sono persone che riescono semplicemente ad accendere e spegnere e a metterlo in una scatola. Ma direi che per tutti, fisicamente, ti distrugge. Sai, ci sono ragazzi di 38 anni che hanno il corpo di sessantenni. Anche mentalmente può logorarti.

Il prezzo della guerra per i veterani

TUCKER CARLSON: Ho discusso spesso in pubblico con Dan Crenshaw e l’ho preso in giro molto. E lo dico con sincerità. Lo guardo e penso: sei stato danneggiato dalla guerra. Mi dispiace. Insomma, non conosco Dan Crenshaw, ma conosco molte persone che sono state danneggiate dalla loro esperienza, davvero danneggiate.

DAN CALDWELL: Sai, direi che anche lui è un po’ un caso anomalo nella comunità, dove continua, per qualche motivo, a sostenere la supremazia americana e lo status quo. E sempre più spesso, la maggior parte dei suoi compagni veterani repubblicani stanno in realtà rifiutando questa posizione.

TUCKER CARLSON: Beh, lo odiano. E capisco, capisco perfettamente perché, ma è squilibrato come quel tipo. Non è che abbiamo un disaccordo sulle politiche come quel tipo. C’è qualcosa che non va in lui. E forse sono troppo generoso, ma non posso fare a meno di sospettarlo, conoscendo molti tipi come lui.

DAN CALDWELL: Capisco perché lo dici. Insomma, ha minacciato di ucciderti, giusto?

TUCKER CARLSON: Ha minacciato di uccidermi. Ma non mi preoccupo. Sto solo cercando di essere cristiano e generoso al riguardo. È una persona molto ferita, e forse lo è sempre stata, ma conosco un sacco di persone ferite che hanno vissuto esperienze simili. Immagino che anche tu ne conosca alcune.

DAN CALDWELL: È stato devastante per la nostra comunità. Davvero. E c’è chi dice: “Oh, la parola ‘danno’, cercano di ammorbidirla. Oh, non dovresti usare la parola ‘danno’. Questo è il modo corretto per descriverlo”.

TUCKER CARLSON: Lo dico con amore, compassione e gratitudine per tutto quello che hanno fatto per noi, per il loro patriottismo e la loro dignità. E non lo dico per criticarli. Lo dico come si direbbe di qualcuno a cui si vuole bene e che si odia vedere soffrire. Capisci?

DAN CALDWELL: Sì, sì, sono d’accordo.

La vita dopo il servizio militare

TUCKER CARLSON: Quindi esci dal Corpo dei Marines. Cosa fai?

DAN CALDWELL: Finisco l’università. Non volevo davvero andare all’università, ma l’ho finita in due anni, due anni e mezzo. Ho lavorato per un membro del Congresso per un paio d’anni.

TUCKER CARLSON: Come ti sentivi quando sei uscito? Ha avuto effetti duraturi su di te?

DAN CALDWELL: Sai, i primi mesi dopo aver lasciato il Corpo dei Marines sono stati difficili. Stavano succedendo alcune cose nella mia vita privata. Mio padre, in un periodo in cui l’economia era davvero in crisi, è morto per overdose. E poi lasciare il Corpo dei Marines, lasciare un gruppo di ragazzi che consideravi tuoi fratelli e vivere da solo in un appartamento… non è stato un periodo divertente.

Pensavo che sarebbe stato fantastico. Avevo un bel po’ di soldi da parte grazie alle missioni. Avrei usufruito del GI Bill. Avrei frequentato un’università famosa per le feste. Ma alla fine mi sono detto: “Ehi, mi laureo e basta. Voglio trovare un lavoro”. Mi sono sposato e ho buttato al vento l’università.

Poi ho trovato lavoro per un membro del Congresso in Arizona. All’inizio mi occupavo principalmente dei veterani, ed era davvero gratificante aiutare i veterani a ottenere i benefici a cui avevano diritto. Ho imparato molto su quanto fossero disfunzionali il Dipartimento degli Affari dei Veterani e il Dipartimento della Difesa, perché aiutavo persone che avevano problemi con quest’ultimo.

Dopo due anni e mezzo lì, ad essere sincero, avevo bisogno di guadagnare di più. A quel punto avevo un figlio. Così un mio amico mi ha presentato Concerned Veterans for America, che all’epoca era gestita da Pete Hegseth, e sono stato assunto prima come addetto al lavoro sul campo, poi come responsabile legislativo e infine come uno dei direttori politici.

TUCKER CARLSON: Quanto tempo è rimasto lì?

DAN CALDWELL: Sono stato affiliato a Concerned Veterans for America in un modo o nell’altro per quasi nove anni.

TUCKER CARLSON: Wow.

DAN CALDWELL: Alla fine sono diventato direttore esecutivo e anche quando ho cambiato lavoro ho mantenuto il ruolo di consulente senior.

TUCKER CARLSON: Huh. E sei stato vicino a Pete per tutto il tempo?

DAN CALDWELL: Quando era con Concerned Veterans for America? Sì, abbiamo lavorato a stretto contatto, insieme a Darin Selnick, un altro membro che ha lasciato il Pentagono la settimana scorsa. Io lavoravo principalmente con lui sulle politiche e sulla comunicazione, concentrandomi soprattutto sui nostri sforzi per riformare il Dipartimento degli Affari dei Veterani.

Il passaggio all’amministrazione Trump

TUCKER CARLSON: Facciamo un salto in avanti alla campagna del 2024. Trump vince a novembre e c’è una corsa frenetica per formare l’amministrazione. Che ruolo ha avuto in questo?

DAN CALDWELL: All’inizio, anche prima delle elezioni, era tutto molto informale perché il presidente Trump inizialmente non ha fatto una transizione formale come quelle che si erano viste in precedenza, il che, in realtà, credo che in un certo senso fosse una buona idea in quel momento. Forse non capivo il perché, ma a causa di tutte le fughe di notizie e altre cose che lo avevano danneggiato nella prima campagna, alla fine la transizione è stata gestita molto meglio. E penso che gran parte del merito vada, ovviamente, al presidente stesso, ma anche a Susie Wiles e, credo, a Sergio Gore, che era a capo del personale.

Quindi all’inizio ho lavorato con un gruppo di persone per individuare persone che potessero lavorare al Dipartimento della Difesa. Un giorno ho ricevuto una telefonata da qualcuno che mi ha chiesto: “Ehi, cosa sai di Pete Hegseth?” Ho fornito alcune informazioni su di lui, poi ho chiamato Pete. Eravamo rimasti in contatto, ma non lavoravamo più a stretto contatto come prima. Gli ho detto: “Ehi, solo per tua informazione, la commissione di transizione ha chiesto di te”. E lui mi ha risposto: “Sì, lo so, sto per essere preso in considerazione per il ruolo di Segretario alla Difesa”. E io: “Wow, ok, fantastico”.

Così, pochi giorni dopo, durante il weekend del Veterans Day, ha ottenuto il lavoro. Ho iniziato a lavorare con lui durante la fase di conferma. L’ho aiutato a difendersi da molti attacchi che gli venivano rivolti e l’ho aiutato con la strategia. Ma alla fine ho assunto il ruolo di suo principale collegamento con il personale, aiutandolo a selezionare e collocare il personale all’interno del Dipartimento della Difesa. Quindi volavo spesso in Florida e lavoravo con persone davvero fantastiche del team PPO.

TUCKER CARLSON: Quindi a quel punto non lavoravi per il governo?

DAN CALDWELL: No, lo facevo su base volontaria e pagavo i voli di tasca mia.

TUCKER CARLSON: Davvero. Ti hanno rimborsato?

DAN CALDWELL: Per ora no.

TUCKER CARLSON: Quindi sta pagando di tasca sua per aiutare Pete Hegseth. È ovviamente un forte sostenitore di Pete Hegseth. È così?

DAN CALDWELL: Sì, ho sostenuto con forza la sua candidatura a Segretario alla Difesa.

TUCKER CARLSON: Sì. Sì, lo conosco. Lo conosco molto bene, ovviamente. Lavoro con lui. È un brav’uomo.

DAN CALDWELL: E vorrei solo dire che, sai, alla fine sono state scritte molte storie su di me e sul personale, che io fossi il burattinaio e che avessi il potere decisionale finale e che stessi cercando di bloccare le persone che sostenevano questo o quello o che si opponevano a questo e quello. Erano tutte sciocchezze. Voglio dire, lascia che te lo ripeta, c’erano persone nel team PPO che erano molto più radicali di me in materia di politica estera. E quindi in molti casi non avevo nemmeno bisogno di bloccare le persone non allineate. Venivano già bloccate da altre persone nelle fasi precedenti del processo.

TUCKER CARLSON: Beh, devo dire che non credo che un ascoltatore imparziale possa accusarla di essere radicale in alcun senso. Mi sembra assolutamente mainstream. Nulla di ciò che ha detto mi sembra ideologico, folle, marginale o qualcosa del genere. Hai prestato servizio nel Corpo dei Marines durante una guerra. Non pensavi che la nostra politica servisse il Paese o le persone che lo difendono. E stai solo cercando di tenerlo bene a mente mentre contribuisci a creare la politica per la prossima generazione.

DAN CALDWELL: Sì.

TUCKER CARLSON: È una valutazione corretta…

L’esperienza di Dan Caldwell nell’amministrazione Trump

DAN CALDWELL: Penso che sia assolutamente corretto. E vorrei solo sottolineare che una cosa straordinaria del lavoro durante la transizione – a volte difficile, a volte frustrante – e poi nell’amministrazione è stata la presenza di tante persone valide in questa amministrazione.

Ricordo di aver lavorato molto con la prima amministrazione Trump. Potete vedermi su Internet. Ero in piedi dietro al presidente mentre firmava i disegni di legge sui veterani. Il presidente ha twittato una volta su una mia apparizione sui media. Ricordo che c’erano persone della Casa Bianca e del Dipartimento degli Affari dei Veterani che cercavano di dissuadere me e Concerned Veterans for America dal sostenere qualcosa che il presidente voleva, in particolare la scelta del Dipartimento degli Affari dei Veterani, ovvero dare la possibilità di scegliere ai veterani o rendere più facile licenziare i dipendenti del Dipartimento degli Affari dei Veterani che non facevano bene il loro lavoro. Si trattava di funzionari politici che dicevano: “Perché volete farlo? È troppo radicale. Sapete, dobbiamo solo sistemare questo o quello”.

E questa volta, credo che, come in ogni amministrazione, ci siano persone che non sono d’accordo con il presidente. Ma una delle cose più belle del lavorare nell’amministrazione è stata avere amici e persone che condividono il tuo modo di pensare in tutta l’agenzia.

TUCKER CARLSON: Sì.

DAN CALDWELL: E poterli chiamare e scambiarsi idee. È stata un’esperienza davvero positiva, devo dire. E anche tu hai assistito a questa transizione.

Preoccupazioni sulla direzione della politica estera

TUCKER CARLSON: Beh. E tu lo senti. Lo senti. E io non sono coinvolto affatto. Sto solo osservando. Ma sembra che il modo più veloce per far deragliare l’intero progetto – l’amministrazione Trump e gli Stati Uniti d’America – sia una guerra con l’Iran. Ed è per questo che sto osservando la situazione con la massima attenzione possibile, perché ho la sensazione che, ancora una volta, se odiassi Donald Trump e odiassi ciò che l’amministrazione sta facendo in materia di immigrazione, commercio, anti-wokeness, o qualsiasi altra cosa, e volessi fermarla, la prima cosa che faresti sarebbe esercitare pressioni affinché l’esercito americano entrasse in guerra con l’Iran. Insomma, questa è la mia opinione al riguardo.

DAN CALDWELL: Lo penso anch’io. E anche continuare a fare quello che abbiamo fatto in precedenza in Russia e Ucraina, questo è certo.

TUCKER CARLSON: Certamente. Anche se non capisco perché. Beh, vi chiederò tutto questo, ma sembra che Wyckoff stia dando un grande aiuto in questo senso. Dio lo benedica.

DAN CALDWELL: Insomma, ho già detto che è una manna dal cielo.

TUCKER CARLSON: Dio benedica Steve Wyckoff. Non potrei essere più d’accordo. Come uomo, come strumento di pace e come figura ormai fuori dalla storia.

Ok, quindi, da un punto di vista esterno, hai commesso forse un errore professionale concedendo interviste prima di entrare in carica, descrivendo le tue opinioni in materia di politica estera, che secondo me sono perfettamente in linea con il pensiero dominante negli Stati Uniti, ma fuori dal mainstream dei guerrafondai di Washington. Quindi, in pratica, la gente sapeva che non eri completamente d’accordo con il programma di cambio di regime. È corretto?

DAN CALDWELL: Sì, ero molto aperto al riguardo. Ne ho parlato apertamente. E la maggior parte delle volte in cui dicevo che non dovevamo farlo, era in realtà a sostegno delle preferenze dichiarate dal presidente. Il presidente chiaramente non vuole questo nel suo primo mandato. C’erano persone nella sua amministrazione che lo volevano. Lui chiaramente non lo voleva. Quindi era un sostegno a chi non voleva la guerra.

TUCKER CARLSON: Ma Donald Trump ha detto – e ora le sue azioni lo dimostrano chiaramente – che preferirebbe di gran lunga una soluzione diplomatica. Giusto?

DAN CALDWELL: Non voglio parlare a nome del presidente, ma è abbastanza ovvio che è quello che vuole.

TUCKER CARLSON: Beh, l’ha detto. Voglio dire, l’ha detto di nuovo e ci ha basato la sua campagna, quindi non è una posizione folle. E ora le cose stanno diventando così assurde in questo Paese che dire questo ti rende un bigotto o qualcosa del genere, un nazista. È come se volessi ignorare tutto questo e tornare alla tua esperienza.

Quindi sto solo guardando da fuori e penso, avendo passato la mia vita a Washington, che Dan Caldwell ha un bersaglio sulla schiena. Non so se lui lo sa.

DAN CALDWELL: Sì.

Accuse di fuga di informazioni riservate

TUCKER CARLSON: E poi all’improvviso leggo che sei un traditore. Sei stato praticamente cacciato dal Pentagono per aver divulgato informazioni riservate. Per aver divulgato informazioni riservate. Giusto. E poi è iniziata la campagna diffamatoria, la campagna per screditare la tua reputazione, ed ecco come si è svolta. Non voglio turbarti. Forse non ne sei nemmeno a conoscenza. Dan Caldwell ha divulgato informazioni riservate ai media liberali, ai media, alla NBC News, per esempio. Quindi voglio essere completamente sincero con te. Hai divulgato informazioni riservate contro il volere dei tuoi superiori ai media?

DAN CALDWELL: Assolutamente no.

TUCKER CARLSON: Hai fotografato materiale riservato e poi hai inviato le foto di quel materiale a un giornalista della NBC News?

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DAN CALDWELL: Assolutamente no. E non ho parlato con nessun giornalista della NBC mentre ero al Pentagono.

TUCKER CARLSON: Lei… Sa di cosa è stato accusato?

DAN CALDWELL: No, non lo so. Seduti qui in questo momento, io, Darin Selnick e Colin Carroll, le altre due persone che sono state accompagnate fuori dal Pentagono, inizialmente sospese dal servizio e poi licenziate venerdì, non ci è stato detto, al momento della registrazione: primo, per cosa siamo stati indagati. Due, se l’indagine è ancora in corso. E tre, se c’è stata davvero un’indagine. Perché ci sono molte prove che dimostrano che non c’è stata un’indagine vera e propria. Ma, ripeto, in questo momento ci sono molte incognite. Come direbbe un ex Segretario alla Difesa, ci sono molte incognite. Alcune cose sono abbastanza chiare, ma non abbiamo idea di cosa stiamo indagando nello specifico.

TUCKER CARLSON: Possiamo sapere alcune cose solo dai dettagli. Eccone un paio. È stato sottoposto al poligrafo?

DAN CALDWELL: No, non sono mai stato collegato a un poligrafo da quando sono entrato nel Dipartimento della Difesa.

TUCKER CARLSON: Ok. Ha rinunciato ai suoi dispositivi di comunicazione privati? Al suo telefono privato?

DAN CALDWELL: No.

TUCKER CARLSON: A nessuno?

DAN CALDWELL: No.

TUCKER CARLSON: Ok, questo solleva una domanda ovvia. Sto cercando di non usare la parola con la F perché le bugie mi stanno facendo impazzire. Lei è accusato di aver divulgato informazioni riservate, ma le persone che la accusano non hanno modo di sapere se l’ha fatto o meno perché non l’hanno sottoposto al poligrafo né le hanno sequestrato i dispositivi. I tuoi dispositivi privati. Esatto.

DAN CALDWELL: Voglio dire, ci sono…

TUCKER CARLSON: Non puoi nemmeno fare questa accusa perché…

DAN CALDWELL: Non c’è modo di farlo. Ci sono così tante cose che mi impedirebbero di fare ciò che hai descritto. E, ripeto, non so nemmeno se è davvero questo il motivo per cui sono indagato, ammesso che ci sia un’indagine vera e propria.

Ma il punto è che a chi mi ha chiesto cosa sta succedendo ho risposto ripetendo qualcosa che ho sentito nei Marine Corps durante la nostra preparazione per l’Iraq. Credo fosse in un corso chiamato “combattimento da cacciatore”, che non è quello che sembra. In realtà si tratta di osservare meglio le cose. Ricordo molto chiaramente un istruttore che diceva: “Quando vi trovate in questo ambiente, non credete a nulla di ciò che sentite e solo alla metà di ciò che dite”. E penso che questo debba applicarsi anche a questa situazione.

TUCKER CARLSON: Sì. Il problema è che si tratta di un’accusa molto grave: lei avrebbe tradito il suo capo e amico Pete Hegseth, con cui ha lavorato per oltre un decennio e che ha sostenuto fin dall’inizio. Penso che sia tutto. Non voglio parlare per lei, ma lei è accusato di aver tradito Hegseth, che è sotto attacco da parte di persone che vogliono la guerra con l’Iran. Siamo sinceri. Lei è accusato di averlo tradito, di aver tradito il presidente e di aver commesso un reato. È un reato. Non si tratta semplicemente di dire: “Ehi, Dan Caldwell ha cattivo gusto in fatto di cravatte”. Si tratta di dire: “Dan Caldwell è un criminale”.

Gli altri funzionari licenziati

DAN CALDWELL: Sì. È solo che, sapete, a volte penso che non ho ancora capito bene cosa sta succedendo. E vorrei parlare degli altri due signori che stanno vivendo la mia stessa situazione. Quello che sta succedendo a loro è in un certo senso più irritante perché, come avete detto, io ho un profilo pubblico. Ho preso alcune posizioni che non dovrebbero essere controverse, ma lo sono. E mi sono esposto per promuovere cose che molti esponenti dell’establishment della politica estera non volevano. Questo non giustifica ciò che mi sta succedendo. Ma, siamo onesti, questa è la natura dei giochi che si fanno a Washington.

Darin Selnick e Colin Carroll sono patrioti. Lasciatemi parlare un po’ di Darin. Darin è un’altra persona che ha lavorato con il segretario Hegseth per oltre un decennio. È qualcuno che ha trascorso decenni lavorando con i veterani e sulle questioni sanitarie dei militari. Ha servito nella prima amministrazione Bush al Dipartimento degli Affari dei Veterani. Ha ricoperto un ruolo fondamentale nella prima amministrazione Trump. È stato una figura chiave nel promuovere il VA Mission Act, uno dei più grandi successi della prima amministrazione Trump, che ha riformato radicalmente il modo in cui il Dipartimento degli Affari dei Veterani fornisce assistenza sanitaria.

Darin, credo, può andare a dormire ogni sera sapendo di aver salvato la vita a migliaia di veterani grazie alle riforme che ha contribuito a promuovere. È un veterano dell’Air Force. Tra un incarico e l’altro nel governo, ha lavorato con me e Pete alla Concerned Veterans for America, contribuendo a sviluppare riforme rivoluzionarie per il VA che sono state in gran parte attuate dalla prima amministrazione Trump.

Per tornare, ha lasciato la sua bella vita a Oceanside, in California. Sua moglie è rimasta lì e lui ha preso un appartamento squallido ad Arlington, in Virginia, e ha lavorato a volte 16, 16 ore al giorno per portare avanti il programma del segretario. Ha svolto un ruolo chiave nell’eliminare dall’amministrazione le sciocchezze woke e DEI. Darin è stato uno dei principali promotori di questo cambiamento.

TUCKER CARLSON: Da come lo descrivi, Darin Selnick non sembra una persona coinvolta nelle lotte politiche o un ideologo fanatico.

DAN CALDWELL: Prima di parlare di Colin, devo dire che non so cosa pensino Darin Selnick e Colin Carroll dell’Iran. Per quanto ne so, Darin potrebbe essere un segreto sciita duodecimano. Colin Carroll potrebbe voler bombardare l’Iran fino a far brillare la sabbia. Darin era un vice capo di gabinetto che si occupava delle operazioni di back-office, del personale e della politica sanitaria militare.

Colin Carroll, lasciatemi parlare di Colin perché anche lui è una persona incredibile. Colin si è laureato all’Accademia Navale. Ha prestato servizio come marine di ricognizione in combattimento. Poi è diventato letteralmente un ingegnere missilistico lavorando nel settore tecnologico, in aziende come Anduril. Ed era il capo di gabinetto di Steve Feinberg. Colin si occupava di scienza, ricerca e sviluppo e bilancio. Era molto coinvolto. Questi signori erano patrioti e non meritavano – nessuno di noi merita – di essere trattati in questo modo. Ma in un certo senso, quello che sta succedendo loro mi fa arrabbiare ancora di più.

Il complesso ambiente del Pentagono

TUCKER CARLSON: E non è nemmeno chiaro, dovrei dire fin dall’inizio che il Dipartimento della Difesa del Pentagono è la più grande organizzazione umana al mondo, ha più persone di qualsiasi altra, credo nella storia del mondo. E la posta in gioco è alta. È in gioco il futuro del mondo. È il Dipartimento della Difesa. Hanno armi nucleari. E quindi la pressione esercitata su quell’agenzia dall’esterno, ma anche le lotte al suo interno, la rendono uno degli ambienti di lavoro più complicati e insidiosi mai creati. È giusto?

DAN CALDWELL: È giusto. E direi che l’unica cosa che avevamo in comune, anzi, un paio di cose che avevamo in comune, era che stavamo minacciando molti interessi consolidati, ognuno a modo suo, e avevamo persone che nutrivano vendette personali contro di noi.

TUCKER CARLSON: Sì.

DAN CALDWELL: E penso che abbiano usato le indagini contro di noi come arma. Penso che sia parte di ciò che sta succedendo qui. Ma guarda, Colin, e lasciami dire che Steve Feinberg, che non conoscevo prima, ha tutta la mia stima.

TUCKER CARLSON: Anch’io.

DAN CALDWELL: Penso che sarà un fantastico vice segretario. Steve Feinberg e Colin avrebbero rivoluzionato il modo in cui vengono effettuate le acquisizioni, il modo in cui viene fatto il bilancio, il modo in cui facciamo scienza e ricerca. E Colin ha una sola velocità, quella di andare avanti. E non aveva paura di sfidare le persone quando si comportavano in modo stupido e volevano continuare a fare le stesse cose. Darin è uguale. Darin ha fatto arrabbiare molte persone che vogliono continuare a usare l’esercito come un gigantesco esperimento di scienze sociali.

TUCKER CARLSON: Giusto.

DAN CALDWELL: Quindi noi, e ovviamente ho alcune opinioni sul ruolo dell’America nel mondo, come abbiamo discusso, siamo un po’ controversi. Tutti noi, a modo nostro, abbiamo minacciato interessi davvero consolidati.

TUCKER CARLSON: Le tue opinioni sono controverse solo a Washington D.C., giusto? Lascia che te lo dica. Giusto? In realtà, è così. Non sono controverse in nessun altro posto di questo Paese o del mondo.

I conflitti interni al Pentagono

DAN CALDWELL: Abbiamo minacciato molti interessi consolidati all’interno e all’esterno dell’edificio.

TUCKER CARLSON: Vorrei solo ribadire questo punto perché è il nocciolo della questione, è il motivo per cui lei è qui. Perché è stato licenziato e accusato di aver tradito il suo capo, il suo presidente, la sua nazione. Lei, non voglio parlare per lei, non ha divulgato informazioni riservate ai media. Non è mai stato sottoposto al test del poligrafo e non ha mai consegnato il suo telefono personale. Tutte queste affermazioni sono vere?

DAN CALDWELL: È tutto corretto al 100%. E lasciami dire che, in realtà, il mio primo istinto quando sono venuti a scortarmi fuori dal mio ufficio è stato quello di pensare che volessero costringermi a testimoniare contro il segretario, perché il segretario è sotto indagine dell’ispettore generale per tutta la faccenda del Signal Gate. Il mio primo istinto è stato quello di pensare che facesse parte di tutto questo.

TUCKER CARLSON: Quindi c’era un’indagine su una fuga di notizie. Penso che il presidente, come tutti i presidenti, non voglia fughe di notizie. Voglio dire, nessuno vuole fughe di notizie, giusto? Se sei al comando, non vuoi che i tuoi dipendenti facciano fughe di notizie contro di te. Quindi c’era questa indagine sulle fughe di notizie che andava avanti da settimane. Giusto. Lei era… il suo accesso alle informazioni riservate era limitato durante quel periodo?

DAN CALDWELL: Assolutamente no. Infatti, il giorno in cui sono stato scortato fuori dall’edificio, sono entrato, non entrerò nei dettagli, nella sala più alta dei briefing dell’intelligence e fino al momento in cui sono stato portato fuori dal mio ufficio, stavo lavorando su sistemi altamente riservati.

TUCKER CARLSON: Quindi stavi esaminando informazioni altamente riservate fino al momento in cui ti hanno portato fuori e separato con l’accusa di aver divulgato informazioni riservate?

DAN CALDWELL: Stavo facendo il mio lavoro. Parte del mio lavoro consisteva nell’esaminare le informazioni di intelligence, aiutare a formulare raccomandazioni al Segretario, dare la mia opinione, lavorare con il team politico. E la maggior parte del nostro lavoro veniva svolto su sistemi riservati.

TUCKER CARLSON: Il motivo per cui insisto su questo punto è che non ha alcun senso.

DAN CALDWELL: Non ha alcun senso per me.

TUCKER CARLSON: Giusto. Quindi, se lei… Perché, giusto per chiarire, lei non vuole che qualcuno divulghi informazioni riservate dal Pentagono.

DAN CALDWELL: Mi faccia capire bene, questo è un problema del Dipartimento della Difesa. Ci sono state cose che sono state condivise con i media, in particolare, direi, la questione Panama. Questo è inaccettabile.

TUCKER CARLSON: Sono stato destinatario di informazioni riservate per decenni, anche dal Pentagono sotto forma di fughe di notizie. E tutti i giornalisti che fanno il loro lavoro sanno bene che ci sono molte fughe di informazioni riservate, te lo posso garantire.

La vera fonte delle fughe di notizie dal Pentagono

DAN CALDWELL: Ma siamo onesti, tutti sanno da dove provengono. Provengono dai funzionari di carriera che non apprezzano ciò che il presidente, il segretario e il vicepresidente intendono fare. Ci sono persone nello staff congiunto che ho imparato a rispettare, ma molte di loro sono incredibilmente ostili al segretario, al presidente e alla visione del mondo del vicepresidente. È abbastanza ovvio che è da lì che proviene la maggior parte delle fughe di notizie. C’è un altro posto meno ovvio. Vorrei solo sottolineare una cosa mentre siamo qui oggi, Tucker, e questo potrebbe cambiare prima che il programma vada in onda. Ma mentre siamo qui oggi, Susan Rice, Michelle Flournoy ed Eric Edelman sono ancora in buoni rapporti con il Dipartimento della Difesa.

TUCKER CARLSON: Cosa?

DAN CALDWELL: Esatto.

TUCKER CARLSON: Sono ancora Susan Rice. Susan Rice, Obama, Susan Rice.

DAN CALDWELL: Sì. Susan Rice è ancora membro del Consiglio di politica di difesa proprio mentre siamo qui seduti oggi. Quando questo programma andrà in onda, la situazione potrebbe cambiare. Ma mentre siamo qui oggi, lei fa ancora parte del Consiglio per la politica di difesa. Ora, questo non significa che possa entrare nell’edificio e avere accesso a tutto ciò che vuole, ma significa che lavora con i dipendenti del Dipartimento della Difesa, può interagire con loro e ha le credenziali e l’affiliazione con il Dipartimento della Difesa.

TUCKER CARLSON: Ma Susan Rice non ha alcuna esperienza rilevante per un lavoro del genere. È una politicante di basso livello.

DAN CALDWELL: Esatto. Eppure, mentre siamo qui nell’aprile del 2025, a circa 100 giorni dall’inizio del primo mandato del presidente, lei e un gruppo di altre persone incredibilmente ostili al presidente e alla sua visione del mondo rimangono nella politica di difesa.

TUCKER CARLSON: Ne sei sicuro?

DAN CALDWELL: Puoi andare sul sito web e controllare subito. Ho verificato con Colin e Darin e anche loro lo hanno confermato.

TUCKER CARLSON: Beh, è scioccante.

DAN CALDWELL: E ancora una volta, direi che se vuoi capire da dove potrebbero provenire le fughe di notizie, quello sarebbe un punto di partenza.

Le incongruenze dell’indagine

TUCKER CARLSON: Quindi. Ma torniamo alla tua storia, non mi dilungherò oltre. Ogni volta che ne parlo, ti irrigidisci. Percepisco la tua frustrazione e io…

DAN CALDWELL: Dovresti dire che sei frustrato tu.

TUCKER CARLSON: Beh, sono completamente convinto che si tratti di sciocchezze e di sciocchezze sinistre. Ma se lei è oggetto di un’indagine, un’indagine sulle fughe di notizie, se gli investigatori avessero stabilito che lei stava divulgando informazioni riservate ai media, probabilmente non avrebbe continuato ad avere accesso a informazioni riservate, giusto?

DAN CALDWELL: Esatto. E probabilmente oggi non sarei qui.

TUCKER CARLSON: Saresti in prigione, amico. Ti avrebbero ammanettato. Giusto.

DAN CALDWELL: Se avessi divulgato informazioni riservate. Beh, ripeto, voglio solo chiarire questo punto. Ancora non so se il termine che hanno usato sia quello corretto. E quello che usa il Dipartimento della Difesa è divulgazione non autorizzata di informazioni. Se penso che ci sono molte voci e che la gente sta sfruttando questa cosa, possiamo parlarne. Se avessi davvero fatto alcune delle cose che persone anonime su Internet e al Pentagono dicono che ho fatto, sarei in manette.

TUCKER CARLSON: E non lo sei.

DAN CALDWELL: No, non lo sono. Sarei come Reality Winner o Bradley Manning o Edward Snowden o una di quelle persone.

TUCKER CARLSON: Mi sembra molto ovvio, pur avendo molti meno dettagli di lei, che lei sia una delle persone percepite come un ostacolo alla guerra per il cambio di regime in Iran e che questo sia stato il suo crimine. Mi sembra ovvio.

DAN CALDWELL: Penso che sia complicato. Ci sono altri livelli. Ma sulla base di ciò che è successo da allora, penso che sia un fattore, e che venga usato contro di me perché penso che vogliano perseguire anche me. E penso che sia successo. Non posso dirlo con certezza, ma solo ipotizzare che se qualcuno alla Casa Bianca non avesse detto: “Ok, dobbiamo fermare questa cosa”, probabilmente ci sarebbero state altre persone trattate allo stesso modo in cui sono stati trattati Colin, Darin Selnick e me.

TUCKER CARLSON: Quindi il modo più veloce per mettere fuori gioco qualcuno ed eliminare la sua influenza, e nel tuo caso il suo lavoro, è dire alla persona per cui lavora che quella persona ti sta tradendo. Quella persona ti sta tradendo. E quindi, voglio dire, mi sembra, ancora una volta, sto mettendo parole nella tua bocca, ma mi sembra che tu abbia provato questo. Sembra che tu senta ancora che le tue opinioni sono allineate con quelle del presidente, al 100%.

DAN CALDWELL: Non sarei entrato in questa amministrazione se non la pensassi così. Ripeto, non parlo a nome del presidente, ma c’è anche un’altra cosa. Avevo questo atteggiamento al Pentagono e forse era perché, vedeva, vedevo questo atteggiamento che avevo ancora, sa, quando ero nei Marine, del tipo: “Ehi, quando viene presa una decisione, quando abbiamo deciso una linea d’azione, ci assicuriamo che venga eseguita correttamente”.

TUCKER CARLSON: Sì.

DAN CALDWELL: E lei continua a sollevare preoccupazioni. Continua a farlo. Se vede qualcosa che non va, può farlo. Ma se è così disgustato da ciò che sta accadendo, allora dovrebbe dimettersi.

TUCKER CARLSON: Quindi, secondo me, lei sta dicendo che ha servito il suo capo, i suoi capi, anche quando non era d’accordo.

DAN CALDWELL: Esatto.

TUCKER CARLSON: Come hai fatto nel Corpo dei Marines degli Stati Uniti.

DAN CALDWELL: Esatto.

TUCKER CARLSON: Ok. Come ti fa sentire? Non vorrei nemmeno chiedertelo, ma lo farò. Come ti fa sentire? Voglio dire, devi sentirti come se stessi vivendo in un sogno, un incubo.

Impatto personale e leadership del Pentagono

DAN CALDWELL: Come ho detto prima, a volte mi sembra che non sia ancora del tutto reale, perché sembra proprio un sogno. È come se mi aspettassi di svegliarmi alle 4:30, prepararmi per andare al lavoro, portare a spasso il cane, lasciarlo all’asilo per cani e poi tornare al Pentagono. In un certo senso mi sembra che stia succedendo davvero e mi sembra che non mi sia ancora entrato bene in testa, ma è stato terribile. Intendo dire, l’impatto sulla mia famiglia. Sai, volevo cercare di nasconderlo a mia madre il più a lungo possibile perché ero preoccupato. È una persona molto ansiosa. Le voglio un bene dell’anima. È una santa. Non volevo dirglielo. Poi, un’ora dopo, qualcuno ha fatto trapelare alla Reuters esattamente quello che mi era successo. E sei ore dopo hanno fatto lo stesso con Darin. E poi, 12 ore dopo, hanno fatto lo stesso con Colin.

Quindi, sapete, è stato devastante e ha causato molto stress alla mia famiglia. L’unica cosa che voglio dire è che sono amico e sostenitore di Pete Hegseth da molto tempo e sono personalmente devastato da tutto questo. È semplicemente orribile e tutto il resto. Ma alla fine dei conti, mettendo da parte tutto questo, Pete Hegseth deve essere un Segretario alla Difesa di successo. E l’intero Dipartimento della Difesa non può continuare a essere consumato dal caos. Hanno un ottimo team. Hanno un ottimo vice segretario. Abbiamo appena parlato di Steve Feinberg. Hanno uno dei leader del movimento America First in politica estera, Bridge Colby, un mio caro amico che dirige il dipartimento politico, ora di fatto il numero tre del Pentagono.

Ha molti ottimi collaboratori di livello medio e junior sotto di lui, e arriveranno alcuni ottimi sottosegretari. Si tratta di persone di livello mondiale. Non sono politicanti. Persone come Mike Duffy dell’A&S, Emil Michaels dell’ANS Acquisition and Sustainment del Research and Engineering Service. I segretari, credo, saranno ottimi. Dan Driscoll, anche se ha un secondo lavoro alla guida di un’agenzia che non dovrebbe esistere, l’ATF, penso che abbia dimostrato di essere un ottimo segretario dell’esercito.

E guarda, una delle cose che preferisco, Tucker, è ammettere di essersi sbagliati sulle persone. Una persona su cui mi sono sbagliato è John Phelan. Ero scettico sul suo ruolo di segretario della Marina. E finora, devo dire, lui e il suo team hanno iniziato alla grande. Penso che Troy Mink sarà un fantastico segretario dell’Aeronautica. E quindi c’è questo fantastico team sotto il segretario che può permettergli di avere un successo incredibile. Deve superare questa cosa. Deve circondarsi di un team solido nel front office. E questo non è un appello per riassumermi. Io, sinceramente, voglio solo andare avanti e tornare a fare quello che facevo prima, essere un sostenitore dall’esterno. Ma, ma, sai, senza Darin, me e altri, lui, lui, ha bisogno di un team forte. E ci sono persone fantastiche che penso potrebbero farlo.

TUCKER CARLSON: E questo presidente del Joint Chiefs.

DAN CALDWELL: Oh, devo dire che è interessante. Lo hai citato. Il presidente Dan Razin Caine. Incredibilmente impressionante. E in realtà penso, se devo essere sincero, che una delle cose che ha scatenato l’opposizione al presidente Trump e al segretario sia stata proprio la sua nomina. Molti volevano che il segretario e il presidente seguissero la strada normale, comprese alcune persone all’interno dell’amministrazione, e scegliessero un comandante combattente, un generale Kurilla o un ammiraglio Paparo. A me l’ammiraglio Paparazzi piace molto.

Ma volevano che seguissero quella strada. Invece hanno fatto qualcosa che doveva essere fatto: hanno tirato fuori dal pensionamento un uomo di grande successo. Qualcuno che non ha fatto tutto nel modo giusto e non ha soddisfatto tutti i requisiti nella sua carriera, ma che è incredibilmente intelligente, incredibilmente attento nel modo in cui affronta i problemi, per diventare presidente. E questo ha sconvolto molte carriere.

Se guardi questi libri in cui viene spiegato come si promuovono i generali, ci sono delle piccole mappe che indicano dove andranno le persone e ci sono molte persone che andranno in questo ruolo, in quello, e poi il presidente del Joint Chief of Staff, il vice presidente. Diventeranno il capo di stato maggiore dell’esercito. E promuovendo Kang, hanno sconvolto molte carriere. È difficile sopravvalutare quanto questo gesto sia stato offensivo per gran parte della leadership militare degli Stati Uniti. E penso che questo sia stato uno dei motivi per cui abbiamo iniziato a vedere più fughe di notizie, a partire dalla metà di marzo.

TUCKER CARLSON: E non provenivano da te?

DAN CALDWELL: No, assolutamente no. E, ripeto, è ovvio per chiunque abbia lavorato al Pentagono da dove provenissero.

TUCKER CARLSON: Ti ringrazio molto per aver dedicato tutto questo tempo, Tucker.

Considerazioni finali

DAN CALDWELL: È stato un onore essere qui. E vorrei solo dire che penso che dovresti essere orgoglioso perché hai svolto un ruolo fondamentale nell’aiutare a fermare alcune cose davvero brutte nella politica estera. La tua piattaforma ha davvero contribuito a invertire la tendenza, penso, in molti modi diversi. E penso che tu meriti molto credito per questo.

TUCKER CARLSON: Voglio solo essere utile, ma lo apprezzo molto. Dan Caldwell, grazie mille e buona fortuna.

DAN CALDWELL: Grazie.

Negoziati con l’Iran in gioco, di Kamran Bokhari

Negoziati con l’Iran in gioco

Con una crisi di successione incombente, Teheran è alla disperata ricerca di un alleggerimento delle sanzioni.

Da

 Kamran Bokhari

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17 aprile 2025Aprire come PDF

La diplomazia dell’amministrazione Trump con l’Iran va ben oltre la non proliferazione nucleare. Qualunque cosa accada, avrà implicazioni enormi per Teheran in un momento in cui il regime è sull’orlo di una transizione critica della leadership. Per molti versi, i colloqui tra Stati Uniti e Iran sono molto più difficili degli sforzi per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina. Indipendentemente dal loro esito, i negoziati tra Stati Uniti e Iran rimodelleranno il Medio Oriente e si riverbereranno in tutta l’Eurasia.

Il 15 aprile, l’inviato speciale del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump in Medio Oriente, Steve Witkoff, ha chiesto sui social media all’Iran di eliminare il suo programma di arricchimento nucleare. Il giorno prima, dopo un incontro con il ministro degli Esteri iraniano in Oman, aveva dichiarato a Fox News che l’amministrazione cercava solo di limitare le capacità di arricchimento dell’Iran, non di smantellarlo completamente. Questo cambiamento retorico è avvenuto dopo una controversa riunione alla Casa Bianca a cui hanno partecipato Witkoff, il vicepresidente JD Vance, il segretario di Stato Marco Rubio, il segretario alla Difesa Pete Hegseth, il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz e il direttore della CIA John Ratcliffe. Secondo un rapporto di Axios, Vance, Hegseth e Witkoff sono favorevoli al compromesso per garantire un accordo, mentre Rubio e Waltz chiedono lo smantellamento completo.

Il disaccordo all’interno della Casa Bianca di Trump riflette tensioni strategiche più profonde. Innanzitutto, un accordo che per ora limita l’arricchimento non eliminerebbe il rischio che l’Iran oltrepassi la soglia nucleare nel tempo. Gli ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica non possono fare molto per monitorare le attività di un regime determinato a trasformare la tecnologia nucleare in arma. Le proposte di ispettori statunitensi sono difficilmente praticabili, dato il mezzo secolo di ostilità tra le due nazioni.

Inoltre, l’opzione militare rimane sul tavolo, ma è in contrasto con l’obiettivo dichiarato da Trump di evitare “guerre per sempre”, soprattutto in Medio Oriente, la regione più instabile del pianeta. Ma soprattutto, il sistema internazionale è già instabile mentre l’amministrazione Trump sta rivedendo la politica estera degli Stati Uniti. L’ultima cosa che Washington vuole è essere risucchiata di nuovo nel Medio Oriente, come è successo a molte amministrazioni precedenti, invece di concentrarsi sui modi per contrastare l’ascesa geoeconomica e tecnologica della Cina.

Eurasia | Iran


(clicca per ingrandire)

Evitare la guerra è ancora più critico per l’Iran. La Repubblica islamica è al suo punto più debole dal 1979. La sua economia è in crisi e la disaffezione dell’opinione pubblica è ai massimi storici. Un attacco statunitense distruggerebbe probabilmente gli impianti nucleari iraniani e potrebbe portare al collasso del regime stesso.

Quando ha raggiunto l’accordo nucleare del 2015 con l’amministrazione Obama, Teheran sperava di aver trovato un equilibrio tra la sua ambiziosa politica estera e il contenimento del dissenso in patria. Questa convinzione è stata disattesa quando la prima amministrazione Trump ha annullato l’accordo nel 2018 in favore della “massima pressione”. L’Iran ha cercato di rilanciare l’accordo durante l’amministrazione Biden, ma la Casa Bianca l’ha ritenuto troppo tossico dal punto di vista politico.

Poi le cose sono peggiorate. L’Iran ha pagato un prezzo altissimo per aver sostenuto Hamas dopo l’attacco a sorpresa del gruppo contro Israele il 7 ottobre 2023. Un anno dopo, le forze israeliane hanno decimato la leadership di Hezbollah, il principale gruppo della rete regionale di proxy dell’Iran, e ne hanno distrutto le capacità offensive. Di conseguenza, meno di due mesi dopo, Teheran ha perso un altro alleato con il crollo del regime di Assad in Siria. Privato dei suoi proxy nel Levante, l’Iran ha avuto poche opzioni per rispondere a un’offensiva israeliana contro la sua rete e ha colpito direttamente Israele, solo per vedere ulteriormente esposte le sue profonde vulnerabilità quando gli attacchi di rappresaglia israeliani hanno neutralizzato una parte significativa delle sue difese aeree. Le fratture all’interno del regime iraniano si sono allargate. Dalla supervisione di una sfera contigua che si estendeva fino al Mediterraneo orientale, Teheran sta ora difendendo la sua presa sull’Iraq.

Il regime iraniano, sempre più disfunzionale, non può sperare di continuare a reprimere il dissenso pubblico ancora a lungo. Ogni giorno che passa, il governo della Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, che ha guidato la Repubblica islamica per 36 dei suoi 46 anni e che questo mese compie 86 anni, si avvicina alla fine. Una volta che Khamenei sarà fuori dai giochi, l’esercito – a sua volta diviso tra l’ideologico Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche e il più professionale Artesh (forze armate regolari) – sostituirà probabilmente il clero come nucleo del regime. Un accordo a dir poco fragile. Soprattutto, Teheran deve evitare che la morte di Khamenei diventi un punto di raccolta per una rivolta pubblica, mentre il Paese passa a un nuovo e difficile accordo di condivisione del potere. Pertanto, l’Iran ha bisogno di un po’ di tregua dalle sanzioni per poter migliorare la situazione economica e politica interna prima che inizi la crisi di successione.

La conservazione del regime è sempre stata l’obiettivo principale della Repubblica islamica. Non è mai andata oltre la modalità di sopravvivenza perché la sua ideologia non ha mai preso piede a livello nazionale. La sua crisi di legittimità è stata aggravata dall’incapacità di costruire un’economia sostenibile, conseguenza della sua posizione revisionista e del confronto permanente con gli Stati Uniti e con l’intera regione. Dal 2002, Teheran ha usato il suo programma nucleare per ottenere un limitato alleggerimento delle sanzioni. Questa strategia si è ora scontrata con un muro. L’Iran ha perso l’influenza. È più disperato che mai, ma qualsiasi apparenza di resa potrebbe innescare il disfacimento del regime. Ecco perché i negoziati tra Stati Uniti e Iran non si limitano a costruire un accordo, come nel caso della diplomazia tra Stati Uniti e Russia.

Washington è divisa sulla portata e sui termini di un accordo, ma la discordia a Teheran è molto più grave. Le realtà geopolitiche impediscono all’Iran di ritirarsi. Ma l’incoerenza interna del regime e il potenziale di percezione errata aumentano il rischio che l’Iran faccia male i conti. Un fallimento della diplomazia porterebbe probabilmente alla guerra.

Nel frattempo, i negoziati tecnici e politici procederanno lentamente. Nel migliore dei casi, un accordo negoziale bloccherebbe il percorso dell’Iran verso l’armamento nucleare in cambio di un limitato alleggerimento delle sanzioni. Ma qualunque cosa accada, l’ambiente strategico iraniano è sul punto di cambiare radicalmente.

Trattativa Iran Usa , Netanyau rimane fuori_Con Roberto Iannuzzi e Antonello Sacchetti

Geopolitica su Italia e il Mondo: Trattativa Iran Usa , Netanyau rimane fuori incassando l’ennesima esclusione Steve Witkoff si dimostra un asso nella manica della nuova amministrazione Trump. Guarda ora! Su *Italia e il Mondo*, Cesare Semovigo e Giuseppe Germinario ospitano Roberto Iannuzzi e Antonello Sacchetti, maestri di Medio Oriente e Iran, per un’analisi think tank che svela gli intrighi geopolitici del 2025. Scopri di più nella playlist *Medio Oriente: Iannuzzi e Sacchetti*! Parleremo dell’inviato speciale Usa Steve Witkoff e della brillante operazione strategica Iraniana.

Roberto Iannuzzi “Intelligence for People” Antonello Sacchetti @www.diruz.it ” Guarda ora! ” Seguici Metti Like e ricordati di selezionare la campanella , entra nel nostro Team !

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Di che “guerra” si tratta?_di Aurelien

Di che “guerra” si tratta?

Intendiamo davvero quello che intendono loro?

Aurélien16 aprile
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Come sempre, grazie a chi fornisce instancabilmente traduzioni in altre lingue. Maria José Tormo pubblica traduzioni in spagnolo sul suo sito qui , e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Anche Marco Zeloni pubblica traduzioni in italiano su un sito qui. Sono sempre grato a chi pubblica occasionalmente traduzioni e riassunti in altre lingue, a patto che citi l’originale e me lo faccia sapere. Ora:

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A quanto pare, la guerra è nell’aria, o almeno all’orizzonte, o se non è così, forse è imminente. Anche se non abbiamo un’idea chiara di dove possa essere localizzata esattamente, la “guerra” è apparentemente “probabile”, se non inevitabile, tra gli Stati Uniti, Israele o entrambi e l’Iran, e anche tra gli Stati Uniti e la Cina, anche se le cause e la natura di tale conflitto non sono chiare. Gli esperti si chiedono se il sostegno occidentale all’Ucraina significhi che siamo “in guerra” con la Russia. I politici insistono sul fatto che non sia così. Per diversi anni, altri esperti hanno previsto cupamente che la crisi ucraina avrebbe portato inevitabilmente a una guerra nucleare, forse per caso, o forse a causa di una spinta intrinseca e inarrestabile che va oltre il mero controllo umano.

In uno dei miei precedenti saggi , ho cercato di contestualizzare i timori sull’escalation e sulla guerra nucleare, e di spiegare che i modelli di escalation non riflettono ciò che accade nel mondo reale, né il concetto di “guerra” ha un’azione. Le guerre non “scoppiano” e basta, né l’escalation verso un Armageddon o qualcosa di simile è inevitabile. Ma noto che c’è ancora molta confusione su questi argomenti e, come spesso accade, la confusione nell’uso delle parole tradisce una più profonda confusione di idee e concetti.

In questo saggio cercherò quindi di fare due cose. La prima è spiegare in termini semplici le parole e i concetti coinvolti in questo “dibattito” e di spiegare cosa si intenderebbe realmente, se solo si fosse in grado di usarli correttamente. La seconda è chiedermi cosa significhino realmente tutti questi discorsi di “guerra con l’Iran” e “guerra con la Cina”, e se coloro che ne parlano con superficialità abbiano la minima idea di cosa stiano parlando. (Risposta breve: no.)

Tralascerò l’immensa letteratura sulle cause della guerra, perché la maggior parte non è molto illuminante e si basa in gran parte sul presupposto altamente discutibile che le guerre siano causate dalla naturale aggressività umana di persone come te e me: un argomento che ho affrontato più o meno diverse volte. Allo stesso modo, si può leggere la storia della guerra – un argomento affascinante – in libri come il classico di John Keegan . Esistono molte definizioni di guerra, tutte piuttosto simili, e non ha senso elencarle o cercare di giudicare tra loro. In sostanza, si riferiscono tutte a episodi di violenza organizzata prolungata tra entità politiche strutturate per obiettivi particolari, generalmente caratterizzati da brevi episodi di violenza più estrema che chiamiamo “battaglie”.

Un motivo per non soffermarsi troppo sulle definizioni è che sono tutte incerte. Molte guerre sono in realtà più vicine a episodi di violenza di massa e banditismo, alcune si interrompono e ripartono, altre hanno livelli di intensità molto bassi, le “guerre civili” per il controllo di uno stato possono svolgersi contemporaneamente a guerre tra stati, diverse fazioni all’interno di uno stato possono combattere su fronti diversi con altri stati, e sia l’inizio che la fine delle guerre sono oggetto di frequenti disaccordi tra gli esperti. Alcuni episodi storicamente chiamati “guerre” tra potenze coloniali e popolazioni indigene (ad esempio le conquiste arabe) sono probabilmente più complessi di così, mentre alcuni episodi più recenti (come la saga dell’indipendenza algerina) presentano alcune caratteristiche delle guerre, ma non necessariamente tutte. E in molti casi, “guerra” è un termine usato per comodità dagli storici successivi. Nessuno, credo, era consapevole di aver vissuto la Guerra dei Trent’anni, per non parlare della Guerra dei Cent’anni (“mancano solo altri trentatré anni, grazie a Dio!”), etichette controverse attribuite in modo piuttosto arbitrario dagli storici a lunghe e complesse sequenze di eventi, che spesso comportavano tregue, cessate il fuoco, tradimenti, negoziati, mutevoli coalizioni ed episodi di crudeltà insensata.

Gli storici generalmente collocano la prima guerra documentata nella storia nel 2700 a.C. in Mesopotamia, tra Elam e Sumer. Non sappiamo molto di quella guerra, ma è significativo che si sia verificata tra regni e, per migliaia di anni, la guerra è stata una preoccupazione e un’attività centrale di re e principi: per Alessandro Magno, era praticamente tutto ciò che faceva, a parte fondare città. La guerra era allora, e rimase fino a tempi molto recenti, una prerogativa degli stati, un caso estremo della rivalità e delle ambizioni che li contrapponevano, e talvolta li portavano ad agire come alleati.

Tuttavia, alcune consuetudini belliche erano ampiamente rispettate. Una qualche forma di giustificazione, o almeno un pretesto, era tipica, come una legittima rivendicazione al trono (si pensi al primo atto dell’Enrico V di Shakespeare ) o una provocazione da parte di un altro stato. Col passare del tempo, gli attacchi a sorpresa che scatenavano guerre senza preavviso (come nella guerra russo-giapponese del 1904-05) furono sempre più considerati antisportivi. La forma finale di questo approccio fu praticamente sancita in un documento poco noto , la III Convenzione dell’Aja del 1907, relativa all’apertura delle ostilità . Come suggerisce il nome, questo documento riguarda ciò che accade prima di una guerra e non ha nulla a che fare con le modalità di condotta : un punto su cui tornerò brevemente più avanti. Il documento in sé è interessante in quanto offre uno scorcio di un mondo ormai scomparso, in cui la guerra era qualcosa che gli stati semplicemente facevano.

Il preambolo, certo, afferma che è ” importante, al fine di garantire il mantenimento di relazioni pacifiche, che le ostilità non inizino senza preavviso “, ma questo è tutto ciò che si riferisce alla pace. Il resto del (breve) testo obbliga le parti contraenti a riconoscere che

“…le ostilità tra loro non devono iniziare senza un preavviso esplicito, sotto forma di una dichiarazione di guerra, motivata, o di un ultimatum con dichiarazione di guerra condizionata” e che

“l’esistenza di uno stato di guerra deve essere notificata senza indugio alle Potenze neutrali”,

Il resto della Convenzione riguarda questioni amministrative. Sebbene la Convenzione vincolasse solo i suoi firmatari, come tutti gli accordi simili, fornisce un quadro chiaro di come gli Stati concepivano la guerra e la pace prima del 1945. Infatti, quando Gran Bretagna e Francia dichiararono guerra alla Germania nel 1939, seguirono esattamente questa procedura: ultimatum seguito da dichiarazione motivata. Inoltre, venivano solitamente adottate una serie di misure convenzionali: chiusura delle ambasciate, rimpatrio o internamento di cittadini stranieri, sequestro di navi e così via.

Ciò significa che la “guerra” è uno stato di cose generato da un atto linguistico. Cinque minuti prima che Neville Chamberlain trasmettesse al popolo britannico il 3 settembre 1939, Gran Bretagna e Germania non erano in guerra. Cinque minuti dopo, lo erano. Le dichiarazioni di guerra potevano essere supportate, o meno, da richieste, ultimatum e giustificazioni, ma erano essenzialmente unilaterali: l’altra parte non era tenuta ad accettare la dichiarazione. La definizione originale di guerra era quindi essenzialmente giuridica e verbale, e un “belligerante” in questo senso è semplicemente uno Stato che si considera in guerra.

Queste idee risalgono ai tempi in cui tutte le persone istruite parlavano latino, e quindi le giustificazioni includevano quello che allora (e spesso lo è ancora) era chiamato casus belli , che letteralmente significa “caso di guerra”. Tuttavia, è importante capire che questo significa “pretesto” o “ragione” per la guerra: non significa “esempio” o “istanza”. Quindi, i governi britannico e francese avevano affermato che un’invasione tedesca della Polonia sarebbe stata per loro un casus belli, e avevano emesso un ultimatum minacciando di dichiarare guerra se l’invasione non fosse stata fermata. L’ultimatum fu ignorato e quindi il casus belli fu attivato. Ma non esiste un casus belli in sé e per sé.

Tutto ciò, spero, contestualizzi alcune delle recenti dichiarazioni più azzardate sul “rischio di guerra” con la Russia, o se l’Occidente sia effettivamente “in guerra” con quel Paese, o se, ad esempio, il coinvolgimento diretto dell’Occidente negli attacchi ucraini possa essere considerato “un atto di guerra”. Queste domande sono sostanzialmente prive di significato, perché i russi possono, se vogliono, semplicemente proclamare l’esistenza di uno stato di guerra in qualsiasi momento. Allo stesso modo, non esiste un automatismo: i russi possono ignorare le azioni occidentali; dipende interamente da loro. Gli scontri diretti tra forze di Paesi diversi non sono frequenti, ma si sono verificati. Quindi i voli americani degli U2 sull’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda furono violazioni del territorio nazionale e avrebbero potuto costituire un casus belli se l’Unione Sovietica avesse voluto trattarli come tali, ma non lo fece. Allo stesso modo, l’abbattimento di un U2 nel maggio 1960 causò una grave crisi diplomatica, ma nessuna delle due parti lo considerò un pretesto per la guerra. All’altro estremo della scala, negli anni ’80 si verificarono importanti battaglie terrestri e aeree in Angola, che coinvolsero sudafricani, angolani, cubani e russi, ma nessuno di questi paesi si considerava “in guerra” con nessun altro.

Cosa sono dunque questi “atti di guerra” di cui sentiamo parlare? Come sempre, ci sono molteplici definizioni contrastanti e, come spesso accade, dicono sostanzialmente la stessa cosa. Un “atto di guerra” è un atto militare che si verifica durante una guerra. Beh, grazie per l’informazione. Oggigiorno, come spiegherò tra poco, la “guerra” è vista in modo piuttosto flessibile, ma nonostante ciò, il problema non è cosa sia un dato atto, ma come viene trattato dal Paese che lo subisce.

Dopo il 1945, i Processi di Norimberga e la Carta delle Nazioni Unite, con lo stridio dei freni e l’odore di gomma bruciata, il discorso internazionale sulla guerra cambiò radicalmente. Quelle che di fatto sono dichiarazioni di guerra sono riservate al Consiglio di Sicurezza, ed è lui che dovrebbe intervenire per porre fine ai conflitti. L’unica eccezione è l’articolo 51 della Carta, che riconosce che il diritto intrinseco all’autodifesa, che tutti gli Stati hanno sempre avuto, non viene pregiudicato. Pertanto, se Israele invadesse il Libano, i libanesi manterrebbero il diritto di difendersi in attesa dell’arrivo delle forze ONU per espellere gli invasori.

Ora, questo è essenzialmente un cambiamento puramente politico e giuridico. Conflitti su larga scala continuano a verificarsi nel mondo, e parliamo colloquialmente di guerra del Vietnam, guerre in Iraq e, più genericamente, di guerre civili e guerre d’indipendenza. In termini di sostanza, non vi è alcuna reale differenza rispetto al passato, ma in termini di struttura e retorica, le dichiarazioni di guerra in quanto tali sono ormai fuori moda e l’uso ufficiale del termine stesso è stato molto limitato negli ultimi anni.

Uno dei problemi di questo argomento è che il gruppo più interessato e motivato a discutere di questi cambiamenti e sviluppi è quello degli avvocati. Ciò significa che, molto rapidamente, le discussioni generali sui cambiamenti nella natura della guerra si trasformano in esercizi volti a stabilire quale legge si applichi a quale situazione. Questo può essere affascinante a suo modo, ma non aiuta molto il nostro scopo qui. Tuttavia, poiché gran parte di questo dibattito si insinua nell’arena politica e viene ripreso e goffamente manipolato da vari esperti, mi limiterò a dire una parola al riguardo.

La Convenzione dell’Aja, la Carta delle Nazioni Unite e, in effetti, tutti gli accordi internazionali tra Stati sono esempi di ciò che viene chiamato Diritto Internazionale, che in linea di principio regola i rapporti tra Stati. Ho scritto diverse volte sulla controversia sul Diritto Internazionale e sulla sua effettiva idoneità a essere applicato, dato che non può essere applicato. Ciononostante, nella misura in cui esiste un corpus di consuetudini e prassi scritte che influenza il comportamento degli Stati, questo è il punto. E le “violazioni” del Diritto Internazionale sono violazioni da parte degli Stati, non dei loro governi, motivo per cui tutti quegli esperti che per tanti anni si sono chiesti pubblicamente perché Tony Blair non fosse stato processato per l’invasione dell’Iraq non avevano capito la questione. Come abbiamo visto di recente, la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja può pronunciarsi sulle controversie tra Stati, ma su questioni essenzialmente tecniche. Il caso sudafricano contro Israele è stato abilmente costruito per sfruttare la capacità della Corte di pronunciarsi su una controversia tra Stati (in questo caso chi aveva ragione su Gaza) ma, nonostante quanto si possa leggere, nessuno può “presentare un reclamo” alla Corte internazionale di giustizia per il comportamento di uno Stato.

Il diritto internazionale (se di diritto si tratta) riguarda quindi qui il comportamento degli Stati in tempo di conflitto, e questo è solitamente espresso in un’ulteriore espressione latina, ius ad bellum , che probabilmente è meglio intesa come “il diritto relativo al comportamento degli Stati rispetto ai conflitti”. Anche in questo caso, si applica agli atti degli Stati, ed è piuttosto diverso da un altro concetto normalmente espresso in latino, ius in bello. Qui, ci occupiamo del diritto relativo alla condotta dei singoli individui , in circostanze in cui tale diritto si applica. L’espressione comunemente impiegata per descrivere queste circostanze è ” conflitto armato” . Ora, un conflitto armato e una guerra sono concettualmente distinti, sebbene il primo abbia ampiamente sostituito la seconda nei testi tecnici, e la maggior parte dei dizionari ora includa i conflitti armati sotto la voce generale di “guerra”. (La confusione qui riguarda quindi tanto il lato dell’offerta quanto quello della domanda.)

La semplice distinzione è che, come afferma il CICR , un conflitto armato è “uno stato di fatto di ostilità che non dipende né da una dichiarazione né dal riconoscimento dell’esistenza di una “guerra” da parte delle sue parti”. Si tratta quindi di uno stato di cose oggettivo, non del risultato di un atto di parola, e un conflitto armato può esistere anche se un governo lo nega. I conflitti armati non richiedono il riconoscimento formale degli Stati, e può esserci un conflitto armato in una determinata area di un Paese (ad esempio la RDC orientale) ma non altrove. Inoltre, i conflitti armati richiedono preventivamente il rispetto di determinate leggi.

Forse non vi sorprenderà apprendere che, nonostante il termine sia ampiamente utilizzato da quasi ottant’anni, non esiste una definizione generalmente accettata di “conflitto armato”, e per gran parte di quel periodo non vi è stato alcun tentativo specifico di elaborarne una. Ma questo a sua volta è dovuto al fatto che l’attenzione era rivolta alla creazione e al perfezionamento di un quadro giuridico per regolamentare tali conflitti in linea di principio, piuttosto che all’effettiva ricerca delle caratteristiche di quelli reali. Solo quando il Tribunale per la Jugoslavia avviò i processi contro individui in relazione ai combattimenti in quel Paese e nei suoi successori, si rese necessaria una definizione per dimostrare la giurisdizione della Corte sui presunti crimini. Nella cosiddetta sentenza Tadic , la Corte definì un conflitto armato come ” ogniqualvolta vi sia ricorso alla forza armata tra Stati o a una violenza armata prolungata tra autorità governative e gruppi armati organizzati o tra tali gruppi all’interno di uno Stato”. Ora, inevitabilmente molto dipende da come si definiscono parole come “protratto” e “organizzato”, ma questa definizione, che è stata influente anche se non universalmente accettata, sottolinea utilmente che esiste un tipo di situazione di violenza su larga scala la cui esistenza è un fatto oggettivo e non deve necessariamente corrispondere al senso tradizionale di “guerra” totale. (In effetti, poiché un conflitto armato è definito dall’attività , si potrebbe sostenere paradossalmente che non ci fu alcun conflitto armato nella maggior parte dell’Europa dal settembre 1939 al maggio 1940, sebbene ci fosse certamente uno stato di guerra.)

Questo punto è importante ai nostri fini, perché dimostra che il vecchio modello, in cui una provocazione o una disputa avrebbe portato a una guerra generale tra gli Stati, è ormai obsoleto, e lo è da parecchio tempo. Teoricamente, aerei cinesi e statunitensi potrebbero combattersi a Taiwan, come fecero in Corea durante il conflitto, senza che nessuna delle due parti si rendesse conto di essere “in guerra” con l’altra, né che si innescasse un processo automatico di escalation verso l’Armageddon. Nel caso dell’Ucraina orientale del 2014, si applica il Diritto Internazionale Umanitario, poiché quel conflitto era evidentemente prolungato e tra gruppi organizzati. Ma questo diritto (o più precisamente il suo sottoinsieme, il Diritto dei Conflitti Armati) si applica agli individui, non agli Stati, motivo per cui parlare di “denunciare” uno Stato presso la Corte Penale Internazionale, ad esempio, è privo di significato.

Questo è tutto ciò che dirò sulla terminologia e sulla legge. Se pensate che, nonostante queste spiegazioni, entrambe le situazioni rimangano un po’ confuse, potete essere perdonati. Il punto chiave, tuttavia, che merita di essere sottolineato, è che esistono tre ampie possibili tipologie di situazioni. La prima riguarda le ostilità su piccola scala tra paesi, che sono essenzialmente incidenti diplomatici e non rientrano in alcun modo nella soglia di un conflitto armato. La seconda riguarda il caso in cui un conflitto armato esiste effettivamente e sono coinvolti diversi stati, ma in cui tale situazione è circoscritta e vi sono limitazioni politiche e geografiche a ciò che è consentito accadere. Questa è la situazione in Ucraina oggi, dove i combattimenti sono limitati a determinate aree e dove persino gli attori principali hanno imposto alcune limitazioni alle loro azioni. La terza – che non si vedeva dal 1945 – è una guerra generale, in cui tutte le risorse degli antagonisti sono impegnate in un’azione militare mirata alla sconfitta totale e spesso all’occupazione del nemico.

Il fatto che queste distinzioni non siano realmente comprese, o addirittura necessariamente riconosciute, spiega gran parte della confusione che circonda i possibili conflitti che coinvolgono le potenze occidentali e spiega in una certa misura il misto di bellicosità ignorante e di irrazionale paura che caratterizza la copertura mediatica di tali potenziali conflitti nei media occidentali.

Stando così le cose, vorrei ora procedere in modo logico per cercare di decostruire alcune delle idee più bizzarre che circolano al momento su una “guerra” tra Stati Uniti e Iran, probabilmente con il supporto di Israele, forse di altri stati, e una sorta di “guerra” tra Stati Uniti e Cina per Taiwan. Non mi è chiaro se, in entrambi i casi, i fautori (e, per estensione, gli oppositori) di tali avventure militari capiscano il vero significato delle parole che usano, o se le usino nello stesso senso.

Innanzitutto, chi immagina una “guerra” tra Cina e Stati Uniti nel senso tradizionale del termine? Chi crede che il governo statunitense si aspetti con compiacimento di vedere Washington, New York e molte altre città trasformate in macerie fumanti, nella speranza di poter rivendicare una qualche “vittoria” sulla Cina? Anzi, qualcuno sa dire cosa significherebbe effettivamente una “vittoria” sulla Cina? Nessuno, sospetto, ed è per questo che tutte queste chiacchiere e ragionamenti superficiali sono così potenzialmente pericolosi.

Siamo tutti vittime, in una certa misura, delle nostre esperienze passate, e lo siamo ancora di più quando si tratta di guerra e pace. È comune criticare i militari e i governi per aver combattuto l’ultima guerra (così come criticarli per non aver imparato dalla storia), ma in ultima analisi l’esperienza passata deve essere almeno una guida parziale, poiché i tentativi di indovinare “il futuro della guerra” in astratto sono quasi sempre disastrosamente sbagliati. Di certo, nessuno aveva previsto nei dettagli come sarebbe stata la guerra in Ucraina. Durante la Guerra Fredda, l’aspettativa occidentale (e, per estensione, sovietica) era di una Seconda Guerra Mondiale potenziata, il che potrebbe benissimo essere stato corretto. Da allora, il concetto stesso di “guerra” si è in qualche modo offuscato. Non si tratta solo dell’esperienza occidentale in Afghanistan e Iraq, sebbene questo sia importante, a essere generalizzata, ma anche del fatto che i conflitti in tutto il mondo nei trent’anni successivi al 1990 sono stati essenzialmente a bassa tecnologia, coinvolgendo generalmente milizie o forze armate scarsamente addestrate. Spesso (come in Mali e nella Repubblica Democratica del Congo nel 2013, e in Iraq un anno dopo) gli eserciti convenzionali crollavano completamente di fronte a forze irregolari determinate. Le uniche contromisure efficaci – contro lo Stato Islamico, ad esempio – sembravano essere una guerra sofisticata ad alta precisione, con ingenti investimenti in intelligence, droni e forze speciali.

Non è solo che i militari di oggi sono cresciuti e hanno trascorso la loro carriera in questo tipo di operazioni, ma è anche, e forse ancora più importante, che leader politici, consiglieri, esperti e funzionari governativi sono cresciuti con una serie di presupposti sulla guerra che, come la maggior parte di tali presupposti nella maggior parte delle epoche, hanno assunto come caratteristiche permanenti. E a dire il vero, in realtà non c’era alcun bisogno di una massiccia guerra convenzionale aerea/terrestre in Ucraina: organizzarla ha richiesto tempo, sforzi e stupidità considerevoli.

Quali sono queste ipotesi? La prima e più importante è che la guerra avvenga Laggiù. La guerra non è propriamente “guerra” in senso tradizionale, ma piuttosto un’applicazione limitata di una forza schiacciante contro un nemico incapace di minacciarci in modo simile. Questo è stato effettivamente vero dalla Prima Guerra del Golfo in poi, quando l’Iraq non è riuscito a minacciare i territori o gli interessi vitali delle nazioni che attaccavano le sue forze. Le perdite in entrambe le Guerre del Golfo sono state enormemente inferiori al previsto e nessuna è stata inflitta ai paesi d’origine. Se da un lato questo ha certamente incoraggiato l’arroganza e un mal riposto senso di superiorità tra gli stati occidentali, dall’altro ha cambiato radicalmente il modo in cui la guerra stessa veniva intesa dai loro decisori.

Il secondo presupposto era che l’inizio, la portata e la durata di qualsiasi guerra fossero in larga parte di competenza dell’Occidente. A differenza della Guerra Fredda, dove l’Occidente si aspettava di difendersi da un attacco sovietico deliberato (seppur con qualche preavviso), da allora in poi ogni uso della forza militare è stato il risultato di decisioni politiche nelle capitali occidentali. Non si è sempre trattato di scelte del tutto libere (si pensi, ad esempio, all’immensa pressione pubblica esercitata sulla Francia dagli stati della regione per intervenire in Mali), ma in teoria avrebbero potuto essere decise diversamente. C’erano il tempo e lo spazio per formare coalizioni, creare forze, condurre addestramenti e dispiegarsi in una regione senza interferenze. Una volta sul posto, le forze occidentali avrebbero generalmente avuto l’iniziativa, la scelta dei mezzi da impiegare e una schiacciante superiorità in termini di potenza di fuoco e mobilità. Mentre le forze occidentali potevano essere attaccate direttamente, solitamente tramite ordigni esplosivi improvvisati (OED) o attentatori suicidi, e mentre a Kabul o Bassora ambasciate e quartier generali militari potevano essere bombardati, gli scontri a fuoco più gravi erano relativamente rari e generalmente su piccola scala. Allo stesso modo, quando divenne chiaro che certe guerre non potevano essere vinte, l’Occidente fu in grado di ritirarsi, se non sempre in buon ordine, almeno più o meno quando lo desiderava. Si dava per scontato che questa fosse la natura intrinseca della guerra, almeno da quel momento in poi.

Il terzo è che, come accennato in precedenza, i costi umani e materiali della guerra sarebbero stati relativamente bassi rispetto alle guerre del passato. I francesi persero 25.000 morti e 65.000 feriti in Algeria dal 1954 al 1962, gli Stati Uniti persero 60.000 morti e il doppio dei feriti in Vietnam. Al contrario, in vent’anni di operazioni in Afghanistan, gli Stati Uniti persero circa 2.500 morti, e altre nazioni sostanzialmente meno. Ciò che conta qui non è solo la differenza nel costo umano – le perdite umane non furono un fattore determinante nella decisione di ritirarsi, a differenza di precedenti conflitti – ma piuttosto la convinzione che questo sarebbe stato il modello per il futuro. Le unità avrebbero potuto essere inviate in missioni operative e sarebbero tornate sostanzialmente intatte. L’idea che – come ora in Ucraina – intere unità potessero essere annientate o rese operativamente inutili era scomparsa dalla comprensione della classe strategica occidentale. La disponibilità russa ad accettare perdite significative a sostegno di importanti obiettivi politici a lungo termine ha causato timore, incredulità e incomprensione in Occidente. Allo stesso modo, sebbene alcune attrezzature andassero perdute, spesso a causa di incidenti, non era necessario pensare a programmi di sostituzione completa. Allo stesso modo, il consumo di munizioni era basso e poteva essere recuperato dalle scorte. Si presumeva che la guerra sarebbe stata altrettanto economica in futuro.

Infine, sebbene le forze schierate in tali conflitti fossero complessivamente piuttosto ingenti, venivano generalmente impiegate in piccole quantità. Le campagne erano complesse, affari politico-militari internazionali, con una forte dimensione umanitaria, non le tradizionali campagne di operazioni militari coordinate su larga scala. L’idea stessa di organizzare e comandare simultaneamente decine di migliaia di truppe in operazioni era di fatto scomparsa dalla mentalità degli eserciti occidentali e dei loro leader, fatta eccezione per esempi storici e guerre teoriche del futuro. Un generale occidentale di oggi potrebbe aver comandato un battaglione in operazioni, ma probabilmente nulla di più. Allo stesso modo, aerei, elicotteri e unità di artiglieria venivano impiegati in piccole quantità in attacchi di precisione. Per questo motivo, le scorte di munizioni e pezzi di ricambio non dovevano essere molto grandi. Allo stesso modo, l’equipaggiamento era ottimizzato per la facilità e la velocità di movimento, non per la protezione contro gli attacchi cinetici. Quindi, i cannoni semoventi pesanti e protetti non erano necessari, e probabilmente creavano più problemi di quanto valessero. Al loro posto vennero utilizzate armi più leggere e maneggevoli, e la durata della canna, ad esempio, non era un problema perché era improbabile che sparassero così tanti colpi.

Come ho già suggerito più volte, non si trattava necessariamente di una serie di conclusioni errate, ma si basava sul fatto che le circostanze politiche rimanessero relativamente favorevoli e che non ci fosse alcun rischio di una guerra aerea/terrestre su vasta scala. Dopotutto, passare da operazioni ad alta intensità a operazioni a bassa intensità è molto più facile che passare dall’altra. E in effetti, non è ancora chiaro quali siano effettivamente le “lezioni” del conflitto ucraino per il futuro, e potrebbe non esserlo per un po’ di tempo. Ad esempio, l’apparente predominio dei droni potrebbe rivelarsi ingannevole a lungo termine: i russi sembrano schierare carri armati protetti da droni, dotati di rulli antimine e spazio per imbarcare la fanteria: il campo di battaglia del futuro potrebbe assomigliare alla guerra navale di un secolo fa. Oppure potrebbe non esserlo.

Quindi il vero problema qui è una mancanza di immaginazione, unita a una mancanza di curiosità sul significato effettivo delle parole. Per quanto ne so, coloro che parlano di “guerra” con la Cina non intendono con questo termine nulla che uno storico militare possa comprendere. Sembrano prevedere uno scontro navale dentro e intorno allo Stretto di Taiwan per sventare un’invasione cinese. Ma non è affatto chiaro che questo sia ciò che i cinesi vorrebbero fare, né che accetterebbero sportivamente di avere il tipo di guerra che gli Stati Uniti volevano, con i loro combattimenti aria-aria e i gruppi da battaglia delle portaerei, e la presunta superiorità della tecnologia e delle capacità statunitensi. (Vale sempre la pena scoprire cosa pensa la parte avversa di una guerra, prima di pianificare di parteciparvi.) L’ipotesi che l’Occidente possa sempre controllare la natura di un’ipotetica guerra non è comunque corroborata dall’esperienza concreta. Al contrario, un blocco selettivo di Taiwan, con il cappio che si stringe lentamente nell’arco di mesi, sarebbe molto più complicato da gestire. Sebbene sia importante non prendere troppo sul serio i risultati delle esercitazioni di guerra – che dipendono in larga misura dalle ipotesi iniziali – sembra che tali esercitazioni negli Stati Uniti abbiano correttamente individuato una debolezza importante, ovvero il tempo limitato che la Marina può effettivamente trascorrere schierata in una determinata area prima di dover partire per rifornirsi. È anche abbastanza chiaro che la quantità di munizioni a disposizione di un gruppo da battaglia di portaerei, in particolare per la sua autodifesa, probabilmente limiterà anche il tempo per cui le navi possono essere utilizzate prima di rischiare di essere sopraffatte. Questo è in parte dovuto alla geografia (Taiwan è vicina alla Cina) e in parte alle ipotesi sopra esposte.

Il risultato è che gli Stati Uniti sembrano aver individuato un tipo di impegno militare che, nella terminologia che abbiamo esaminato sopra, sarebbe un conflitto armato, per giunta localizzato, combattuto secondo regole che sarebbero in grado di imporre. Non è chiaro se qualcuno abbia mai pensato che la Cina potesse colpire le basi statunitensi in Giappone, o persino negli Stati Uniti stessi, o i sistemi satellitari e di raccolta di informazioni, perché tali possibilità sono semplicemente al di fuori dell’esperienza, o persino dell’immaginazione di coloro che sono coinvolti. Allo stesso modo, non è molto ovvio quali sarebbero gli obiettivi politici di una simile guerra: Taiwan subirebbe probabilmente danni terribili in una simile “guerra”, anche se i cinesi cercassero di evitare il più possibile i danni collaterali.

Chi parla di “guerra” con l’Iran sembra anche dare per scontato di poter dettare che tipo di guerra (per usare i nostri termini, “conflitto armato”) sarebbe. Qui, il presupposto è apparentemente che gli Stati Uniti (e forse Israele) scatenerebbero attacchi contro l’Iran, probabilmente prendendo di mira quelli che si presume siano impianti di arricchimento dell’uranio. Fine. Mentre senza dubbio gli aerei statunitensi dovrebbero schivare alcuni missili di difesa aerea, il bombardamento dell’Iran, come quello dello Yemen o della Somalia, si presume sia un’attività autogiustificativa, e gli iraniani accetterebbero docilmente la loro punizione. Sebbene siano stati proposti diversi ambiziosi obiettivi politici, tra cui la fine del programma nucleare civile iraniano e della maggior parte dei suoi programmi missilistici, nessuno ha spiegato a quale di questi obiettivi, se ce n’è uno, si intende servire una qualche forma di bombardamento, per non parlare di quali misure un attacco aereo produrrà i risultati sperati. E non c’è molto altro che si possa tentare. Un’invasione via terra di un paese montuoso di 80 milioni di persone non è nemmeno pensabile, e la potenza marittima non avrebbe alcun valore anche se non fosse così vulnerabile.

In realtà, non c’è alcun motivo per cui l’Iran dovrebbe astenersi dal bombardare le basi statunitensi nella regione e forse dal lanciare un massiccio attacco contro Israele. Non c’è consenso sulla gittata esatta dei missili iraniani, e tanto meno sulla loro gittata effettiva, ma non è questo il punto. Il fatto è che, per quanto ne so, le possibili reazioni iraniane sono state semplicemente ignorate. Qui, sospetto, un’influenza importante è l’esperienza delle due Guerre del Golfo. Spesso si dimentica che, soprattutto nel 1991, le difese irachene erano moderne e apparivano formidabili, ma in entrambe le occasioni l’esercito iracheno ha opposto una resistenza molto più debole del previsto, essenzialmente perché il suo sistema di controllo fortemente centralizzato semplicemente non ha funzionato. Le armi chimiche che l’esercito iracheno possedeva, e che preoccupavano l’Occidente nel 1991, non sono mai state utilizzate perché l’ordine non è mai arrivato. Per analogia, ci si aspetta quindi che altri eserciti non occidentali si comportino altrettanto male, o meglio, non c’è esperienza istituzionale e quindi consapevolezza della loro efficacia. Allo stesso modo, la caduta del regime di Assad sembra alimentare aspettative smisurate che qualcosa di simile accada in Iran. Ma, nonostante il forte malcontento e la profonda infelicità nei confronti del regime dei mullah, non c’è assolutamente alcuna indicazione che attacchi stranieri possano incitare una sorta di rivolta popolare.

Abbiamo quindi a che fare in parte con orizzonti limitati, immaginazione limitata ed esperienze limitate. Ma c’è un altro fattore finale da menzionare. Il sistema statunitense è riconosciuto per essere tentacolare, conflittuale e, in parte per questo, in gran parte impermeabile alle influenze esterne e persino alla realtà. L’energia burocratica è dedicata quasi interamente alle lotte interne, che vengono portate avanti da coalizioni mutevoli nell’amministrazione, al Congresso in Punditland e nei media. Ma queste lotte riguardano in genere il potere e l’influenza, non i meriti intrinseci di una questione, e non richiedono alcuna competenza o conoscenza effettiva. Notoriamente, e con grande irritazione degli europei, la politica dell’amministrazione Clinton sulla Bosnia fu il prodotto di furiose lotte di potere tra ONG rivali ed ex membri dei diritti umani, nessuno dei quali conosceva la regione o vi era mai stato.

Il sistema è sufficientemente vasto e complesso da consentire di intraprendere la carriera di “esperto di Iran”, ad esempio, sia all’interno che all’esterno del governo, senza aver mai visitato il Paese o parlarne la lingua, e semplicemente riciclando il buon senso comune in modo da attrarre favoritismi. Ci si troverà a combattere battaglie con altri presunti esperti, all’interno di un perimetro intellettuale molto ristretto, in cui solo alcune conclusioni sono accettabili. Ad esempio, un’analisi che concludesse che gli Stati Uniti non potrebbero vincere una “guerra” contro l’Iran, o che subirebbero perdite proibitive anche in caso di vittoria, implicherebbe che, di conseguenza, gli Stati Uniti non dovrebbero attaccare l’Iran, il che è politicamente inaccettabile come conclusione.

Tutte le nazioni soffrono in una certa misura di pensiero di gruppo, soprattutto quelle con sistemi governativi molto ampi e quelle con un certo grado di isolamento dal mondo esterno. Gli ultimi giorni dell’Unione Sovietica ne sono un esempio, e ancora oggi le dimensioni del sistema cinese rendono complicata la comprensione di gran parte del resto del mondo. Ma gli Stati Uniti sono un esempio paradossale di uno stato che è presente ovunque, senza essere particolarmente influenzato dalle conseguenze di questa presenza. Il sistema di Washington è così vasto e così goffo che a volte ho la sensazione che tenere conto del resto del mondo sia semplicemente un problema aggiuntivo eccessivo.

In tali circostanze, il rischio reale è che gli Stati Uniti, magari trascinando con sé altri Paesi, si lascino coinvolgere in qualcosa che non comprendono e non possono controllare. Convinti di stare combattendo una Guerra del Golfo 3,0 o una Somalia 7,4, rischiano di intromettersi in conflitti che potrebbero avere conseguenze incalcolabilmente pericolose per tutti noi. Certo, la potenza militare degli Stati Uniti è enormemente superiore a quella dell’Iran in termini aggregati, ma no, questo non ha importanza in questo caso. Il problema è che l’Iran può infliggere danni inaccettabili alle forze e agli eserciti statunitensi, e gli Stati Uniti non possono danneggiarlo abbastanza da garantire nemmeno obiettivi politici minimi. Certo, la capacità marittima e aeronavale degli Stati Uniti è superiore a quella della Cina, ma no, questo non ha importanza in questo caso. Il problema è che la Cina può infliggere danni inaccettabili alle forze e agli alleati statunitensi, e gli Stati Uniti non possono in alcun modo influenzare efficacemente la Cina continentale. Questo mi sembra ovvio, e immagino che lo sia anche per voi. Per molti a Washington, la paura non è tanto che non sia ovvia, quanto piuttosto che tali idee non gli siano mai passate per la mente.

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La guerra all’Iran non sarebbe una passeggiata, di Galen Carpenter

La guerra all’Iran non sarebbe una passeggiata

I politici spesso non riescono a comprendere quanto sarebbe terribile un conflitto proposto.

Il Presidente Donald Trump continua a dare segnali contrastanti, ma in generale di linea dura, per quanto riguarda la politica degli Stati Uniti nei confronti dell’Iran. Per quanto riguarda la questione delle armi nucleari, ha mostrato una maggiore apertura ai negoziati con Teheran rispetto al suo primo mandato, quando ha silurato l’accordo multilaterale allora in vigore. Tuttavia, la posizione di Washington è ancora caratterizzata da richieste massimaliste sulla maggior parte delle questioni specifiche, persino fissando una scadenza di soli due mesi perché l’Iran concluda un accordo con gli Stati Uniti. Inoltre, anche la nuova posizione marginalmente più conciliante riguardo al programma nucleare di Teheran è completamente controbilanciata dalla posizione estremamente bellicosa dell’amministrazione nei confronti degli alleati iraniani Houthi nello Yemen. Questa settimana, Trump ha avvertito che avrebbe ritenuto l’Iran responsabile di qualsiasi attacco condotto da questa fazione. Le forze statunitensi hanno già lanciato una nuova ondata di attacchi aerei nello Yemen.

Altri falchi del GOP, tra cui i senatori Tom Cotton (R-AR) e Ted Cruz (R-TX), hanno sostenuto per anni l’uso della forza contro l’Iran e non mostrano segni di ammorbidimento della loro posizione. “Per molto tempo sono stato disposto a chiedere inequivocabilmente un cambio di regime in Iran”, ha dichiarato Cruz nel dicembre 2024. Gli integralisti hanno cercato di prevenire gli avvertimenti che un intervento militare rischierebbe di scatenare un’altra guerra infinita in Medio Oriente. Scrivendo nel 2015, Cotton ha sostenuto che coloro che si oppongono ad attaccare l’Iran “vogliono farvi credere che si tratterebbe di 150.000 truppe meccanizzate pesanti sul terreno in Medio Oriente, come abbiamo visto in Iraq, e questo semplicemente non è il caso”. Invece, ha assicurato ai lettori, “si tratterebbe di qualcosa di più simile a ciò che il Presidente Clinton fece nel dicembre 1998 durante l’Operazione Desert Fox. Diversi giorni di bombardamenti aerei e navali contro le strutture irachene per le armi di distruzione di massa”.

Lo stesso Trump è giunto a una conclusione simile nel 2019. Ha sottolineato che se gli Stati Uniti usassero la forza contro l’Iran, Washington non metterebbe gli stivali sul terreno, ma condurrebbe il conflitto interamente con la vasta potenza aerea americana. Trump non ha mostrato dubbi sull’esito, affermando che una guerra del genere “non durerebbe molto a lungo” e che significherebbe “l’eliminazione” dell’Iran. Il senatore Cotton è rimasto altrettanto fiducioso in una vittoria facile e veloce. Ha affermato che la guerra sarebbe finita in due attacchi aerei.

Tali vanti ricordano in modo inquietante la dichiarazione che Kenneth Adelman, ex assistente del Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld e figura di spicco della politica estera statunitense, fece prima della guerra in Iraq. Adelman aveva notoriamente previsto che una guerra per spodestare il leader iracheno Saddam Hussein sarebbe stata una “passerella“. Più di 4.000 militari americani morirono in quel conflitto e Washington è ancora impantanata nei disordini più di 20 anni dopo la fiduciosa previsione di Adelman.

Inizialmente, sembrava che Trump nel suo secondo mandato avrebbe ricevuto consigli molto più sensati da alcuni dei suoi attuali consiglieri. Tulsi Gabbard, il suo direttore dell’intelligence nazionale, ad esempio, ha avvertito per anni di non essere superficiale sulle probabili conseguenze di un attacco all’Iran. Una volta, infatti, ha rinfacciato a lui e ad altri falchi che ostentavano ottimismo sulla facilità di una guerra contro l’Iran le previsioni di Adelman sull’Iraq. Una guerra del genere “farebbe sembrare la guerra in Iraq una passeggiata”, ha ammonito. La “devastazione e il costo” sarebbero “di gran lunga superiori a qualsiasi cosa abbiamo sperimentato prima”. Tuttavia, Gabbard sembra ora aver adottato una posizione più conflittuale. Ha persino invitato altri Paesi ad unirsi agli Stati Uniti nell’attaccare gli obiettivi Houthi nello Yemen. Sebbene questa posizione non segni necessariamente un cambiamento importante nelle sue opinioni sull’imprudenza di lanciare una guerra contro l’Iran stesso, la sua nuova dichiarazione è preoccupante.

Purtroppo, la fiducia che una guerra incombente possa produrre una vittoria rapida e definitiva per i “buoni” è una fantasia che ha attirato e intrappolato numerosi leader politici nel corso della storia. I sostenitori dell’amministrazione di Abraham Lincoln si recarono a Washington nel luglio del 1861 per vedere l’imminente battaglia di Manassas nella Virginia settentrionale. Alcuni di loro portarono con sé cestini da picnic, come se l’occasione non fosse altro che una gita festosa e ricreativa. Quasi quattro anni dopo, dopo enormi distruzioni e sanguinose battaglie che avevano collettivamente consumato le vite di oltre 600.000 soldati, era diventato terribilmente evidente che l’ottimismo iniziale su una rapida fine della guerra era stato tragicamente errato.

Tuttavia, gli arroganti leader politici e militari europei di entrambe le parti della guerra che si profilava all’inizio del 1914 commisero un errore ancora più sanguinoso. Dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, nel luglio dello stesso anno, c’era una diffusa fiducia nelle autorità europee e nella stampa che la guerra sarebbe finita entro Natale. Più di 4 anni dopo, quando finalmente i combattimenti cessarono, oltre nove milioni di soldati erano morti.

Nel marzo 1965, il presidente Lyndon B. Johnson intensificò notevolmente la presenza militare americana nel Vietnam del Sud, inviando decine di migliaia di uomini in più. Il contingente esistente di qualche migliaio di truppe statunitensi aveva sicuramente svolto un ruolo più importante rispetto al loro titolo ufficiale di “consiglieri” di combattimento, ma fino all’escalation del 1965, le unità sudvietnamite avevano svolto la maggior parte dei combattimenti contro le forze comuniste. Il team di consiglieri civili e militari di Johnson era estremamente fiducioso che con forze statunitensi molto più capaci che ora si occupavano dello sforzo bellico, un trionfo decisivo sarebbe stato imminente. Il sottosegretario di Stato George W. Ball è stato l’unico alto funzionario dell’amministrazione ad esprimere dubbi su questa tesi. Gli altri responsabili politici civili e militari di alto livello non avevano chiaramente previsto che sarebbero passati quasi otto anni prima che l’ultimo membro del personale combattente statunitense potesse tornare a casa dal Vietnam e che più di 58.000 truppe americane sarebbero morte durante la crociata.

Occasionalmente, la previsione di una rapida vittoria all’inizio di una guerra si rivela vera, come è accaduto per gli Stati Uniti nella Guerra ispano-americana del 1898 e nella Guerra del Golfo Persico del 1991. Molto più spesso, però, una “passeggiata” prevista si trasforma in un tritacarne umano di molti anni. Anche se gli eventi successivi non producono un bagno di sangue di dimensioni mostruose come la Guerra Civile e la Prima Guerra Mondiale, i combattimenti diventano spesso una missione prolungata, inutile e controproducente. Gli interventi militari americani in Vietnam, Iraq e Afghanistan rientrano tutti in questa categoria.

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Ci sono molteplici ragioni per concludere che una guerra contro l’Iran sarebbe l’opposto di una “passeggiata”. Come è già emerso, gli alleati Houthi di Teheran nello Yemen sono stati in grado di causare significative interruzioni del traffico commerciale nel Mar Rosso. Tale instabilità è potenzialmente in grado di produrre importanti effetti negativi sull’economia globale. I correligionari sciiti di Teheran in Iraq sono in grado di creare grattacapi alle restanti forze statunitensi nel Paese. Anche gli alawiti assediati, che dominavano il governo recentemente estromesso in Siria, sono ancora abbastanza forti da organizzare attacchi di guerriglia contro le forze statunitensi.

L’Iran stesso ha capacità militari tutt’altro che banali. I leader militari statunitensi temono da tempo che se l’Iran affondasse una petroliera o un’altra nave di grandi dimensioni nello stretto di Hormuz, l’impatto sul flusso di petrolio e sul resto dell’economia globale sarebbe estremamente grave. Questo rischio non si è dissolto negli ultimi anni, anzi è aumentato. L’aspetto forse più preoccupante è che l’Iran è un attore significativo per quanto riguarda la tecnologia dei droni militari. La Russia ha acquistato più di un migliaio di droni iraniani e li ha utilizzati in modo piuttosto efficace nella sua guerra contro l’Ucraina.

Lanciare un attacco all’Iran sarebbe una mossa avventata che potrebbe scatenare un’altra grande guerra in Medio Oriente. Farlo con l’aspettativa che l’attacco produca una vittoria rapida e decisiva per gli Stati Uniti a basso costo di sangue e tesoro sarebbe il massimo della follia arrogante. L’amministrazione Trump deve allontanarsi dall’abisso che si avvicina.

L’autore

Ted Galen Carpenter

Ted Galen Carpenter è redattore presso The American Conservative, senior fellow presso il Randolph Bourne Institute e senior fellow presso il Libertarian Institute. Per 37 anni ha ricoperto varie posizioni politiche presso il Cato Institute. Carpenter è autore di 13 libri e di oltre 1.200 articoli sugli affari internazionali. Il suo ultimo libro è Unreliable Watchdog: The News Media and U.S. Foreign Policy (2022).

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Trump dovrebbe opporsi a un’altra guerra in Medio Oriente che danneggerebbe l’America_di Justin Logan

I termini esatti di un dibattito e di uno scontro politico interno alla amministrazione statunitense_Giuseppe Germinario

Un coinvolgimento militare in Yemen o in Iran è una proposta perdente.

Justin Logan: Trump dovrebbe resistere a un’altra guerra americana in Medio Oriente
Nel suo discorso inaugurale, il presidente Donald Trump ha chiarito che vuole che la storia lo ricordi come un “pacificatore e unificatore”. Nel suo racconto , “misureremo il nostro successo non solo in base alle battaglie che vinciamo, ma anche in base alle guerre a cui concludiamo e, forse più importante, alle guerre in cui non entriamo mai”.Questo obiettivo è in pericolo. Forze interne ed esterne alla sua amministrazione stanno cercando di trascinare il presidente in altre guerre in Medio Oriente. Una possibilità sarebbe un’espansione della guerra di basso livello che il suo predecessore Joe Biden ha perso contro gli Houthi in Yemen. Un’altra possibilità, più importante, sarebbe una guerra a tutto campo con l’Iran. Entrambe le guerre sarebbero perdenti e danneggerebbero sia il paese che l’eredità di Trump.Iniziamo dallo Yemen. In quel piccolo e povero paese, il movimento Houthi attacca le spedizioni nel Mar Rosso da quando Israele ha attaccato Gaza dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023.Il danno economico derivante dall’interruzione delle spedizioni nel Mar Rosso è stato consequenziale, ma sopravvivibile. Tuttavia, uno sguardo alla mappa chiarisce chi paga il costo dell’interruzione: il commercio Asia-Europa. Grazie al facile accesso degli Stati Uniti sia all’Oceano Pacifico che all’Oceano Atlantico , grandi e bellissimi oceani , come direbbe il presidente, il commercio con entrambi i continenti non si basa principalmente sul Medio Oriente.”Libertà di operazioni di navigazione” e “protezione delle spedizioni globali” sembrano obiettivi nobili in astratto, ma, nel tentativo di proteggere le spedizioni attraverso il Mar Rosso, la politica americana sta effettivamente sovvenzionando il commercio della Cina con l’Europa. Come mostra il grafico sottostante, il trasporto di container è aumentato di prezzo da quando è iniziata la campagna degli Houthi, ma non tanto quanto durante il Covid-19, e non per la maggior parte del commercio statunitense (quelle linee piatte in basso):

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E qui, come sempre, gli Stati Uniti stanno facendo il grosso del lavoro per l’Europa e la Cina. L’Unione Europea ha gonfiato il petto a gennaio, annunciando che la sua campagna da 8,3 milioni di dollari aveva eliminato 19 droni Houthi e quattro missili, una piccola frazione delle centinaia di missili e droni abbattuti dall’operazione Prosperity Guardian di Washington. Nel frattempo, gli acquisti cinesi di petrolio iraniano stanno finanziando gli stessi droni e missili contro cui gli americani stanno cercando di difendere il commercio Asia-Europa. Comunque, la prosperità di chi stiamo proteggendo?Ma persino lo sforzo degli Stati Uniti è stato inefficace. L’assurdità della campagna è stata dimostrata in una risposta di Joe Biden a una domanda del gennaio 2024 se gli attacchi americani contro gli Houthi stessero funzionando. Biden ha risposto : “Quando dici ‘funzionano’, stanno fermando gli Houthi? No. Continueranno? Sì”.In una lunga e leggendaria tradizione militare statunitense, questa campagna infruttuosa è anche incredibilmente costosa. La Marina degli Stati Uniti ha lanciato più missili di difesa aerea durante la campagna contro gli Houthi di quanti ne avesse lanciati nei 30 anni precedenti , a un costo di oltre 1 miliardo di dollari. Utilizzare sistemi placcati in oro nel tentativo di difendere le navi europee e cinesi dai droni e dai missili Houthi low-tech non significa certo mettere l’America al primo posto.Trump ora sembra propenso a intensificare la campagna aerea contro gli Houthi, ma ci sono poche ragioni per pensare che funzionerà. Lo Yemen è stato polverizzato durante la campagna aerea saudita di sette anni e, sebbene abbia causato grandi danni alla popolazione civile, il controllo degli Houthi sul territorio non è diminuito. È improbabile che una campagna aerea statunitense più ampia produca un risultato diverso.Nel frattempo, la campagna del Mar Rosso si è combinata con la guerra in Ucraina per diventare un’attrazione abbastanza grande per le risorse americane che alti funzionari militari statunitensi hanno emesso lamentele senza precedenti. Il comandante dell’INDOPACOM Samuel Paparo ha ammesso durante un discorso di novembre alla Brookings Institution che queste guerre stavano “divorando la capacità di fascia alta degli Stati Uniti d’America… Intrinsecamente, impone costi alla prontezza dell’America a rispondere nella regione indo-pacifica, che è il teatro più stressante per la quantità e la qualità delle munizioni perché la RPC è il potenziale avversario più capace al mondo”.Una conclusione che si potrebbe trarre da questo è che una nuova campagna aerea contro gli Houthi è una cattiva idea. Un’altra conclusione sarebbe che è tempo di fare le cose in grande: colpire il patrono degli Houthi, l’Iran. L’attuale consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz ha accennato a questo caso lo scorso novembre quando ha detto : “Stiamo bruciando la prontezza per decine di miliardi di dollari per quello che in realtà equivale a un gruppo eterogeneo di terroristi che sono proxy dell’Iran. L’Iran è il nocciolo della questione”.Sabato, il New York Times ha riferito che “alcuni assistenti alla sicurezza nazionale” – presumibilmente Waltz incluso – “vogliono perseguire una campagna ancora più aggressiva” volta a spodestare gli Houthi dal controllo del territorio che attualmente detengono. Il Times ha aggiunto in un inciso che “il primo ministro Benjamin Netanyahu di Israele ha spinto il signor Trump ad autorizzare un’operazione congiunta USA-Israele per distruggere le strutture di armi nucleari dell’Iran”.Il tentativo di Netanyahu di convincere gli Stati Uniti ad attaccare l’Iran non è una novità , ma è difficile sopravvalutare quanto l’Iran sia centrale nel pensiero del CENTCOM e nei circoli politici del Medio Oriente nell’esercito in generale. Il comandante del CENTCOM Michael E. Kurilla ha riassunto questo atteggiamento durante un’udienza del marzo 2024 presso il Comitato per i servizi armati del Senato, quando si è lamentato del fatto che “l’Iran sta usando tutti i suoi proxy nella regione [e] non ne stanno pagando il costo”. Implicazione? Dovremmo imporre costi all’Iran.Gli ufficiali che hanno prestato servizio nel CENTCOM e nei suoi dintorni negli ultimi due decenni hanno un conto in sospeso con l’Iran, comprensibilmente. Le milizie irachene legate all’Iran hanno ucciso centinaia di militari americani durante l’occupazione americana dell’Iraq, e l’Iran continua a complicare i piani americani per la regione.
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Ma per gli Stati Uniti precipitarsi in una guerra con un paese mediorientale molto più grande e popoloso dell’Iraq significherebbe gettare benzina sul fuoco, che poi probabilmente si estenderebbe a tutta la regione. Da parte sua, Kurilla andrà in pensione nel giro di qualche mese, il che lascerebbe la pulizia di qualsiasi conflitto esteso a Trump e al successore di Kurilla.Come ha descritto il vicepresidente JD Vance lo scorso ottobre, le relazioni tra Stati Uniti e Israele, “A volte avremo interessi sovrapposti, e a volte avremo interessi distinti. E il nostro interesse principale è non andare in guerra con l’Iran. Sarebbe un’enorme distrazione di risorse. Sarebbe enormemente costoso per il nostro paese”.Vance aveva ragione allora, e ha ragione adesso. Sperperare più munizioni americane in una campagna a raffica contro gli Houthi significa buttare via soldi buoni dopo soldi cattivi, e gettarsi in una guerra con l’Iran è l’esatto opposto della soluzione che Trump dice di volere: un accordo . Per proteggere la sua eredità e mettere gli americani al primo posto, il presidente Trump dovrebbe dire di no a coloro che lo spingono in un’altra guerra in Medio Oriente, altrimenti “sei licenziato”.
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Iran tra mutamenti e mutazioni Con Cesare Semovigo, Roberto Iannuzzi, Antonello Sacchetti

#iran #geopolitica #Pezeshkian #multipolarismo #Kameney #mediooriente La transizione e l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca ha determinato una accelerazione delle dinamiche geopolitiche specie in Medio Oriente. Nessuno è uscito sonoramente sconfitto dal conflitto in corso, con la notevole eccezione della Siria. Rimane l’evidenza di un importante cambiamento degli equilibri in corso. Israele pare aver guadagnato terreno, ma allo stesso tempo sembra assumere un ruolo minore nei disegni della nuova amministrazione. L’Iran, al contrario, a causa dei colpi ricevuti, grazie alla capacità di deterrenza dimostrata, ai traumatici avvicendamenti nella dirigenza sembra promettere profonde trasformazioni ed adattamenti dei propri orientamenti geopolitici. Il recente accordo con la Russia e i primi abboccamenti con la amministrazione statunitense rappresentano il prodromo di nuovi assetti interni ed esterni. Ne parliamo in questo video registrato ormai una settimana fa. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Quanto vale l’accordo di partnership strategica tra Russa e Iran?_di Roberto Iannuzzi

 


Quanto vale l’accordo di partnership strategica tra Russa e Iran?

Le potenzialità di cooperazione fra Mosca e Teheran sono promettenti, se i due paesi riusciranno a escogitare sistemi comuni per sfuggire alle sanzioni. Resta l’incognita della stabilità regionale.

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Il presidente russo Vladimir Putin insieme all’omologo iraniano Masoud Pezeshkian (KremlinCC BY 4.0)

Appena tre giorni prima dell’inaugurazione della presidenza Trump, lo scorso 17 gennaio, Russia e Iran hanno firmato dopo lunghe trattative un atteso “accordo di partenariato strategico globale”.

La coincidenza è stata rilevata soprattutto dai commentatori occidentali, i quali hanno ricordato l’aiuto fornito da Teheran a Mosca sul teatro di guerra ucraino (in particolare attraverso l’invio di droni di fabbricazione iraniana).

Essi hanno anche menzionato il fatto che il nuovo presidente americano ha preannunciato un atteggiamento duro nei confronti dell’Iran, ed ha invece promesso di porre fine al conflitto in Ucraina, sebbene non sia assolutamente certo in qual modo, e (a detta dello stesso Trump)non sia escluso un inasprimento delle sanzioni contro Mosca.

Dal canto suo, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha negato che vi fosse qualche relazione tra la firma dell’accordo e l’insediamento di Trump, ma l’evento ha segnato senza dubbio un ulteriore rafforzamento delle relazioni fra due paesi che sono entrambi oggetto di un duro embargo occidentale ed hanno rapporti conflittuali con l’Occidente.

La firma del trattato è avvenuta al Cremlino, in occasione della visita a Mosca del presidente iraniano Masoud Pezeshkian a capo di una nutrita delegazione.

Questo evento lungamente atteso si inserisce in una fase in cui soprattutto l’Iran si sente minacciato “dall’amministrazione Trump, da Israele, dal crollo del regime siriano, dal collasso di Hezbollah”, ha affermato Nikita Smagin, analista che ha lavorato per i media governativi russi a Teheran prima dello scoppio del conflitto ucraino.

Tra gli osservatori, vi è chi ha descritto l’intesa come una “svolta epocale” e chi l’ha sminuita definendola vaga e inferiore alle aspettative.

Nessuna intenzione di inasprire i rapporti con l’Occidente

Nematollah Izadi, l’ultimo ambasciatore iraniano in Unione Sovietica, l’ha descritta come un patto volto a rafforzare la fiducia reciproca. Secondo lui, Teheran punterebbe a rassicurare Mosca che non tradirà questo promettente rapporto bilaterale anche se nel frattempo tenterà una distensione delle relazioni con l’Occidente.

Pezeshkian, esponente dell’ala riformista iraniana, ha vinto le elezioni presidenziali con una piattaforma che punta a porre al primo posto il miglioramento delle malandate condizioni economiche del paese.

Ciò può essere ottenuto solo attraverso l’abrogazione delle durissime sanzioni che soffocano l’economia iraniana, e dunque tramite una risoluzione della questione nucleare per via negoziale.

Il programma nucleare di Teheran ha ormai raggiunto un livello di sviluppo tale da rendere l’Iran una potenza nucleare “latente”. I vertici iraniani sono soddisfatti di questo risultato e sperano di riaprire il dialogo con l’Occidente.

Pezeshkian, in accordo con la Guida Suprema Ali Khamenei, punta non solo ad ottenere la rimozione delle sanzioni, ma anche a scongiurare un attacco militare israelo-americano alle installazioni nucleari del paese che potrebbe sprofondare l’intera regione in una guerra catastrofica.

Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca pone senz’altro una pesante ipoteca su un simile tentativo. Fu lui ad uscire unilateralmente dall’accordo nucleare con Teheran negoziato dal suo predecessore Obama, e fu lui a far assassinare il generale Qassem Soleimani, considerato alla stregua di un eroe nazionale in Iran. Ma gli iraniani paiono determinati a tentare ugualmente.

Segnali incoraggianti, peraltro, provengono anche dalla Casa Bianca, dove il presidente appena insediato sembra intenzionato ad affidare il negoziato con l’Iran a Steve Witkoff, l’inviato speciale che ha già imposto a Netanyahu il cessate il fuoco a Gaza.

Dal canto suo, Mosca è sembrata aver a cuore che l’accordo di partenariato con l’Iran non venisse interpretato come la nascita di un’alleanza anti-occidentale ed anti-israeliana.

E’ probabilmente per questa ragione che la firma dell’intesa è stata così a lungo rinviata. In occasione del vertice dei BRICS, lo scorso ottobre nella città russa di Kazan, l’accordo sembrava sul punto di essere ratificato, ma il presidente russo Vladimir Putin chiese a Pezeshkian di compiere un’altra visita a Mosca appositamente per sottoscrivere questo documento.

La richiesta, che poteva essere attribuita a ragioni di protocollo, fu invece verosimilmente motivata dall’esigenza russa di attendere un allentamento delle tensioni in Medio Oriente (infuriava in quel momento la guerra fra Israele e Hezbollah in Libano, e i rapporti fra Teheran e Tel Aviv erano tesissimi).

Un lungo percorso di avvicinamento

L’idea di un accordo di partnership strategica, che sostituisse il precedente trattato siglato dai due paesi nel 2001, emerse per la prima volta nel 2020. Non essendo riuscito a migliorare le relazioni con l’Occidente, l’allora presidente iraniano Hassan Rohani decise di guardare ai paesi non occidentali.

Il primo accordo di partnership strategica fu siglato con la Cina nel marzo 2021. Seguirono quelli con Venezuela e Siria. I negoziati con la Russia si sono intensificati dopo lo scoppio del conflitto ucraino. Secondo alcune fonti diplomatiche, la finalizzazione del testo avrebbe richiesto da 20 a 30 sedute negoziali nel corso di cinque anni.

Nel frattempo, i rapporti fra i due paesi si sono rinsaldati a livello economico e militare a causa della crisi ucraina e dell’isolamento nel quale entrambi si sono venuti a trovare in conseguenza dell’ostracismo occidentale.

Il testo dell’accordo di partenariato, dunque, non contiene novità particolarmente eclatanti, ma più che altro riassume ed esplicita il rafforzamento delle relazioni registratosi negli ultimi tre anni, e gli accordi che ne sono derivati nei diversi settori di cooperazione.

Il nuovo trattato contiene 47 articoli che coprono un gran numero di aree differenti: la cooperazione economica e commerciale, la collaborazione tecnologica, l’impiego pacifico dell’energia nucleare, l’antiterrorismo, la cooperazione regionale, ecc.

A differenza degli accordi stipulati dalla Russia con Corea del Nord e Bielorussia, il documento non contiene una clausola di “difesa comune”.

Ciò è probabilmente dovuto al fatto che la Russia non vuole correre il rischio di andare direttamente in guerra contro Israele o gli Stati Uniti per difendere l’Iran.

Per altro verso, anche i vertici iraniani conservano un certo livello di cautela nei confronti di Mosca, ricordando le cessioni territoriali che il paese dovette fare all’impero russo nella prima metà del XIX secolo e il ruolo di potenza coloniale che quest’ultimo giocò sul territorio iraniano, in competizione con l’impero britannico, all’inizio del XX.

Molto più di recente, frizioni si sono registrate fra Teheran e Mosca in occasione dell’inaspettato e repentino crollo del regime del presidente Bashar al-Assad in Siria, importante alleato di entrambi nella regione mediorientale.

Si tratta tuttavia di dissapori non in grado di guastare la partnership fra i due paesi, sebbene i loro interessi strategici non siano sempre convergenti.

Riserbo sulla cooperazione militare

Il testo dell’intesa prevede in compenso (articolo 4) lo scambio di informazioni di sicurezza e di intelligence, aggiungendo che il livello di cooperazione in quest’ambito sarà specificato in “accordi separati”.

L’articolo 5, che riguarda le relazioni militari, copre un vasto ambito ma è anch’esso a prima vista alquanto vago: “Le parti contraenti si consulteranno e coopereranno nel contrasto a comuni minacce militari e di sicurezza di natura bilaterale e regionale”.

Anche in questo caso, tuttavia, il testo specifica che lo sviluppo della cooperazione militare fra gli organismi competenti sarà implementato da accordi separati. Sembra dunque che il trattato sia improntato ad un certo livello di segretezza per quanto riguarda la collaborazione militare e di intelligence.

In riferimento alle sanzioni di cui entrambi i paesi sono oggetto, il documento invece dichiara esplicitamente che Mosca e Teheran collaboreranno per contrastare “l’applicazione di misure coercitive unilaterali” e “garantiranno la non-applicazione” delle suddette misure “rivolte direttamente o indirettamente contro ciascuna delle parti contraenti”.

Il nodo del Caucaso

Una sezione importante dell’accordo è dedicata al Caucaso, dove si deciderà una componente non secondaria del futuro della partnership fra i due paesi.

L’articolo 12, definito di “fondamentale importanza” da alcuni esperti russi della regione, impegna i due firmatari a rafforzare la pace e la sicurezza in quest’area (oltre che in Asia Centrale, Transcaucasia e Medio Oriente) ed a “cooperare con l’obiettivo di impedire l’ingerenza” e la “presenza destabilizzante” di “paesi terzi”.

Si può ragionevolmente ipotizzare che tali paesi includano gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, Israele, i paesi dell’UE, e probabilmente la Turchia.

A tale riguardo, va ricordato che i “flirt” del premier armeno Nikol Pashinyan con Stati Uniti e UE, e gli stretti rapporti del presidente azero Ilham Aliyev con Turchia e Israele, pongono Erevan e Baku in contrasto rispettivamente con Mosca e Teheran.

L’articolo 14 impegna le parti a promuovere l’espansione del commercio tra l’Iran e l’Unione Economica Eurasiatica(UEE), di cui la Russia è paese fondatore. Quest’anno vedrà l’implementazione di un accordo di libero scambio tra Iran e UEE che ridurrà i dazi sul 90% delle merci scambiate.

A questo proposito è di particolare importanza il confine condiviso fra l’Iran e l’Armenia, paese membro dell’UEE, nella provincia montuosa di Syunik.

L’Azerbaigian rivendica in questa regione il cosiddetto “corridoio di Zangezur” che lo metterebbe in collegamento con la sua exclave di Nakhchivan. Un’ambizione che punta a creare quello che Teheran definisce il “corridoio Turanico NATO”, il quale unirebbe le repubbliche dell’Asia centrale, e le loro risorse energetiche, alla Turchia (membro dell’Alleanza Atlantica) tramite Azerbaigian e Nakhchivan.

Corridoio di Zangezur

La realizzazione di tale corridoio avrebbe l’effetto di permettere alla NATO di avere accesso al Mar Caspio. Si comprende dunque come l’esito di questa disputa sarà fondamentale per il futuro dei rapporti tra Russia e Iran.

La sfida energetica e commerciale

L’articolo 13 si concentra esclusivamente sulla regione del Caspio, importante per Mosca e Teheran non solo sotto il profilo della sicurezza (come abbiamo visto), ma anche di quello energetico, dei trasporti e della cooperazione commerciale.

Esso riflette l’aspirazione dell’Iran a diventare un hub internazionale del gas, una visione che i vertici russi avevano in passato proposto alla Turchia, quando i rapporti fra i due paesi erano più amichevoli.

Mosca intenderebbe riorientare parte dei propri piani di esportazione energetica dalla Cina (con Pechino, infatti, continuano a sussistere problemi nella definizione del prezzo di esportazione del gas) in direzione dell’Iran, in una sorta di “pivot verso sud” che rappresenterebbe una terza via di sbocco delle risorse energetiche russe, alternativa a quella europea e a quella cinese.

Tramite un gasdotto che dovrebbe attraversare l’Azerbaigian, Mosca esporterebbe inizialmente appena 2 miliardi di metri cubi di gas all’anno verso l’Iran, per poi arrivare fino a 55 miliardi, la stessa capacità dell’ormai inutilizzabile Nord Stream 1 diretto in Germania.

Tecnologie ed investimenti russi potrebbero inoltre sbloccare le enormi riserve di gas iraniano, liberando Teheran dalla crisi energetica che paradossalmente la sta soffocando a causa delle sanzioni e della mancanza di investimenti, e portando i due paesi a creare una sorta di cartello del gas in grado di gestire i prezzi globali e rifornire la vicina India.

Caspio e Caucaso sono essenziali per la realizzazione del cosiddetto International North-South Transport Corridor (INSTC), corridoio logistico che consente a Mosca di esportare i propri beni verso l’Asia e l’Africa attraverso l’Iran, bypassando il Baltico, il Mar Nero e il Canale di Suez.

L’INSTC (in rosso) e la rotta tradizionale attraverso il Canale di Suez (in blu) (Public Domain)

Il valore degli scambi tra Russia e Iran è tuttavia al momento abbastanza magro, aggirandosi fra i 4 e i 5 miliardi di dollari. L’economia iraniana continua ad essere fiaccata dalla scarsità di investimenti e dal pluridecennale embargo occidentale.

Lo sviluppo dell’INSTC dovrebbe fornire a Mosca e Teheran un importante canale per aggirare le sanzioni che affliggono entrambi i paesi, i quali a tal fine stanno anche integrando i propri sistemi nazionali di pagamento. Nel 2024, le transazioni effettuate in rubli russi e rial iraniani hanno rappresentato oltre il 95% del commercio bilaterale.

Le potenzialità di cooperazione economica fra Russia e Iran sono dunque promettenti, nella misura in cui i due paesi riusciranno a escogitare sistemi comuni per sfuggire al cappio delle sanzioni.

Da un punto di vista militare, invece, Mosca e Teheran non sono completamente allineate, e ciò lascia soprattutto Teheran esposta al rischio di un intervento militare israelo-americano qualora dovesse fallire il prossimo negoziato con l’amministrazione Trump appena insediatasi.

Text of joint comprehensive strategic agreement between Iran and Russia

Mosca, IRNA – Il testo dell’accordo strategico globale congiunto tra la Repubblica Islamica dell’Iran e la Federazione Russa, che è stato firmato dai presidenti dei due paesi, Masoud Pezeshkian e Vladimir Putin, venerdì 17 gennaio 2025, in una cerimonia al Cremlino, è stato pubblicato sotto forma di un’introduzione e 47 articoli come segue:

TREATIA

sul Partenariato strategico globale

tra la Repubblica islamica dell’Iran e la Federazione russa.

La Repubblica islamica dell’Iran e la Federazione russa, di seguito denominate “le Parti contraenti”,

esprimendo l’interesse a portare le relazioni interstatali amichevoli a un nuovo livello e a conferire loro un carattere globale, a lungo termine e strategico, nonché a rafforzarne le basi giuridiche,

convinti che lo sviluppo di un partenariato strategico globale serva gli interessi fondamentali della Federazione Russa e della Repubblica Islamica dell’Iran,

basandosi sui profondi legami storici tra i popoli iraniano e russo, sulla vicinanza delle loro culture e dei loro valori spirituali e morali, sulla comunanza di interessi, sui forti legami di buon vicinato e sulle ampie opportunità di cooperazione in campo politico, economico, militare, culturale, umanitario, scientifico, tecnico e in altri settori,

tenendo conto della necessità di rafforzare ulteriormente la cooperazione nell’interesse della pace e della sicurezza a livello regionale e globale,

Desiderando contribuire a un processo oggettivo di formazione di un nuovo ordine mondiale multipolare giusto e sostenibile, basato sull’uguaglianza sovrana degli Stati, sulla cooperazione in buona fede, sul rispetto reciproco degli interessi, sulle soluzioni collettive ai problemi internazionali, sulla diversità culturale e di civiltà, sul principio del diritto internazionale in conformità con la Carta delle Nazioni Unite, compresa la rinuncia alla minaccia o all’uso della forza, sulla non interferenza negli affari interni e sul rispetto dell’integrità territoriale di entrambi gli Stati,

Riaffermando l’impegno a rispettare lo spirito, gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite e le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute in materia di relazioni amichevoli e cooperazione tra gli Stati, nonché guidati da tutti gli accordi esistenti tra le Parti contraenti, compresa la Dichiarazione tra la Repubblica islamica dell’Iran e la Federazione russa sulla promozione del diritto internazionale datata 27 Khordad 1399 dell’Hijri solare (corrispondente al 16 giugno 2020),

Sottolineando che il Trattato tra la Persia e la Repubblica Socialista Federale Sovietica Russa del 7 Esfand 1299 di Solar Hijri (corrispondente al 26 febbraio 1921), il Trattato di Commercio e Navigazione tra l’Iran e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche del 5 Farvardin 1319 di Solar Hijri (corrispondente al 25 marzo 1940), il Trattato sulle basi delle relazioni reciproche e sui principi della cooperazione tra la Repubblica Islamica dell’Iran e la Federazione Russa datato 22 Esfand 1379 del Solar Hijri (corrispondente al 12 marzo 2001) e altri strumenti fondamentali conclusi dalle Parti contraenti hanno gettato una solida base giuridica per le relazioni bilaterali,

hanno concordato quanto segue:

Articolo 1

Le Parti contraenti cercheranno di approfondire ed espandere le relazioni in tutti i settori di reciproco interesse, di rafforzare la cooperazione nel campo della sicurezza e della difesa, di coordinare strettamente le attività a livello regionale e globale, in linea con un partenariato globale, a lungo termine e strategico.

Articolo 2

Le Parti contraenti attuano una politica statale basata sul rispetto reciproco degli interessi nazionali e della sicurezza, sui principi del multilateralismo, della soluzione pacifica delle controversie e sul rifiuto dell’unipolarismo e dell’egemonia negli affari mondiali, nonché sul contrasto dell’ingerenza di terzi negli affari interni ed esterni delle Parti contraenti.

Articolo 3

Le Parti contraenti rafforzano le loro relazioni sulla base dei principi di uguaglianza sovrana, integrità territoriale, indipendenza, non ingerenza negli affari interni dell’altra Parte, rispetto della sovranità, cooperazione e fiducia reciproca.

2. Le Parti contraenti adotteranno misure per promuovere reciprocamente i suddetti principi nei vari livelli di relazione a livello bilaterale, regionale e globale e aderiranno e promuoveranno politiche coerenti con tali principi.

3. Nel caso in cui una delle Parti Contraenti sia oggetto di un’aggressione, l’altra Parte Contraente non fornirà all’aggressore alcuna assistenza militare o di altro tipo che possa contribuire al proseguimento dell’aggressione e contribuirà a garantire che le divergenze sorte siano risolte sulla base  della Carta delle Nazioni Unite e delle altre norme applicabili del diritto internazionale.

4. Le Parti contraenti non permetteranno l’uso dei loro territori a sostegno di movimenti separatisti e di altre azioni che minacciano la stabilità e l’integrità territoriale dell’altra Parte contraente, nonché a sostegno di azioni ostili reciproche.

Articolo 4

1. Al fine di rafforzare la sicurezza nazionale e affrontare le minacce comuni, i servizi di intelligence e di sicurezza delle Parti contraenti si scambiano informazioni ed esperienze e aumentano il livello della loro cooperazione.

2. I servizi di intelligence e di sicurezza delle Parti contraenti cooperano nell’ambito di accordi separati.

Articolo 5

1. Al fine di sviluppare la cooperazione militare tra le rispettive agenzie competenti, le Parti Contraenti condurranno la preparazione e l’attuazione dei rispettivi accordi in seno al Gruppo di lavoro sulla cooperazione militare.

2. La cooperazione militare tra le Parti Contraenti coprirà un’ampia gamma di questioni, tra cui lo scambio di delegazioni militari e di esperti, gli scali in porto di navi e imbarcazioni militari delle Parti Contraenti, l’addestramento del personale militare, lo scambio di cadetti e istruttori, la partecipazione – previo accordo tra le Parti Contraenti – alle esposizioni internazionali di difesa ospitate dalle Parti Contraenti, lo svolgimento di competizioni sportive congiunte, di eventi culturali e di altro tipo, le operazioni congiunte di soccorso e salvataggio marittimo, nonché la lotta alla pirateria e alle rapine a mano armata in mare.

3. Le Parti Contraenti interagiranno strettamente nello svolgimento di esercitazioni militari congiunte nel territorio di entrambe le Parti Contraenti e al di fuori di esso, di comune accordo e tenendo conto delle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute applicabili.

4. Le Parti Contraenti si consulteranno e coopereranno per contrastare le minacce militari e di sicurezza comuni di natura bilaterale e regionale.

Articolo 6

1. Nell’ambito di un partenariato globale, a lungo termine e strategico, le Parti contraenti confermano il loro impegno a sviluppare la cooperazione tecnico-militare sulla base dei rispettivi accordi tra loro, tenendo conto degli interessi reciproci e dei loro obblighi internazionali, e considerano tale cooperazione come una componente importante per il mantenimento della sicurezza regionale e globale.

2. Al fine di garantire un adeguato coordinamento e l’ulteriore sviluppo della cooperazione tecnico-militare bilaterale, le Parti contraenti terranno sessioni degli organi di lavoro pertinenti su base annuale.

Articolo 7

1. Le Parti contraenti cooperano a livello bilaterale e multilaterale nella lotta contro il terrorismo internazionale e altre sfide e minacce, in particolare l’estremismo, la criminalità organizzata transnazionale, la tratta di esseri umani e la presa di ostaggi, l’immigrazione clandestina, i flussi finanziari illeciti, la legalizzazione (riciclaggio) dei proventi del crimine, il finanziamento del terrorismo e la proliferazione delle armi di distruzione di massa, il traffico illecito di merci, denaro, strumenti monetari, beni storici e culturali, armi, stupefacenti, sostanze psicotrope e loro precursori, lo scambio di informazioni operative e di esperienze nell’ambito della guardia di frontiera.

2. Le Parti contraenti sostengono l’interazione nella protezione dell’ordine pubblico e nel mantenimento della sicurezza pubblica, nella protezione di importanti strutture statali e nel controllo statale del traffico di armi.

3. Le Parti contraenti coordinano le loro posizioni e promuovono sforzi congiunti per combattere le sfide e le minacce menzionate nelle pertinenti sedi internazionali, nonché cooperano nell’ambito dell’Organizzazione internazionale di polizia criminale (INTERPOL).

4. Le Parti contraenti, nell’attuazione della cooperazione prevista dal presente articolo, si ispirano alla loro legislazione nazionale e alle disposizioni dei trattati internazionali di cui sono parti.

Articolo 8

1. Le Parti contraenti tutelano i diritti e gli interessi legittimi dei loro cittadini sul territorio delle Parti contraenti.

2. Le Parti contraenti sviluppano la cooperazione in tutti i settori giuridici di interesse, in particolare per quanto riguarda l’assistenza legale in materia civile e penale, l’estradizione e il trasferimento di persone condannate a pene detentive e l’attuazione di accordi per il recupero dei proventi di reato.

Articolo 9

1. Guidate dall’obiettivo di mantenere la pace e la sicurezza internazionali, le Parti contraenti si consultano e cooperano nell’ambito delle organizzazioni internazionali, comprese le Nazioni Unite e le sue agenzie specializzate, sulle questioni globali e regionali che possono, direttamente o indirettamente, rappresentare una sfida per gli interessi comuni e la sicurezza delle Parti contraenti.

2. Le Parti contraenti cooperano e sostengono su base reciproca l’appartenenza di ciascuna Parte contraente alle organizzazioni internazionali e regionali pertinenti.

Articolo 10

Le Parti contraenti cooperano strettamente per il controllo degli armamenti, il disarmo, la non proliferazione e le questioni di sicurezza internazionale nell’ambito dei pertinenti trattati internazionali e delle organizzazioni internazionali di cui sono parti e si consultano regolarmente su tali questioni.

Articolo 11

1. Le Parti contraenti attuano la cooperazione politica e pratica nel campo della sicurezza informatica internazionale conformemente all’Accordo tra il Governo della Repubblica islamica dell’Iran e il Governo della Federazione russa sulla cooperazione nel campo della sicurezza informatica del 7 Bahman 1399 del Solar Hijri (corrispondente al 26 gennaio 2021).

2. Le Parti contraenti contribuiscono alla creazione, sotto l’egida delle Nazioni Unite, di un sistema di sicurezza internazionale dell’informazione e di un regime giuridicamente vincolante per la prevenzione e la risoluzione pacifica dei conflitti basato sui principi di uguaglianza sovrana e di non interferenza negli affari interni degli Stati.

3. Le Parti contraenti ampliano la cooperazione nel campo della lotta all’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione a fini criminali, coordinano le azioni e promuovono congiuntamente iniziative nell’ambito delle organizzazioni internazionali e di altre sedi negoziali. Le Parti contraenti promuovono la sovranità nazionale nello spazio informativo internazionale, scambiano informazioni e creano le condizioni per la cooperazione tra le autorità competenti delle Parti contraenti.

4. Le Parti contraenti sostengono l’internazionalizzazione della gestione della rete Internet di informazione e telecomunicazione, sostengono l’uguaglianza dei diritti degli Stati nella sua gestione, considerano inaccettabile qualsiasi tentativo di limitare il diritto sovrano di regolare e garantire la sicurezza dei segmenti nazionali della rete globale e sono interessate a un maggiore coinvolgimento dell’Unione internazionale delle telecomunicazioni nella soluzione di questi problemi.

5. Le Parti contraenti sostengono il rafforzamento della sovranità nello spazio internazionale dell’informazione attraverso la regolamentazione delle attività delle imprese internazionali nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nonché attraverso lo scambio di esperienze nella gestione dei segmenti nazionali di Internet e lo sviluppo di infrastrutture nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, e cooperano nel campo dello sviluppo digitale.

Articolo 12

Le Parti contraenti faciliteranno il rafforzamento della pace e della sicurezza nella regione del Caspio, dell’Asia centrale, della Transcaucasia e del Medio Oriente, collaboreranno per prevenire le interferenze nelle regioni specificate e la presenza destabilizzante di Stati terzi in tali regioni e scambieranno opinioni sulla situazione in altre regioni del mondo.

Articolo 13

1. Le Parti contraenti cooperano al fine di preservare il Mar Caspio come una zona di pace, buon vicinato e amicizia basata sul principio della non presenza nel Mar Caspio di forze armate non appartenenti agli Stati costieri, nonché per garantire la sicurezza e la stabilità nella regione del Caspio.

2. Le Parti contraenti, tenendo conto dei vantaggi della loro vicinanza territoriale e della loro connettività geografica, si sforzano di utilizzare tutte le capacità economiche del Mar Caspio.

3. Le Parti contraenti interagiscono attivamente per promuovere e approfondire il partenariato multidimensionale tra gli Stati della regione del Caspio. Durante la cooperazione nel Mar Caspio, le Parti contraenti si ispirano a tutti i trattati internazionali pentalaterali in vigore tra gli Stati del Caspio, di cui la Federazione russa e la Repubblica islamica dell’Iran sono parti, e confermano la competenza esclusiva degli Stati litoranei del Caspio nell’affrontare le questioni relative al Mar Caspio. Le Parti contraenti migliorano l’interazione bilaterale sulle questioni relative al Mar Caspio.

4. Le Parti contraenti cooperano, anche nell’ambito di attività progettuali congiunte, nel campo dell’uso sostenibile delle opportunità economiche del Mar Caspio, garantendo al contempo la sicurezza ambientale, la protezione della diversità biologica, la conservazione e l’uso razionale delle risorse biologiche acquatiche e dell’ambiente marino del Mar Caspio, e adottano misure per combattere l’inquinamento del Mar Caspio.

Articolo 14

Le Parti contraenti approfondiscono la cooperazione all’interno delle organizzazioni regionali, interagiscono e armonizzano le posizioni all’interno dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai nell’interesse del rafforzamento del suo potenziale nei settori della politica, della sicurezza, dell’economia e in ambito culturale e umanitario, e facilitano l’espansione dei legami commerciali ed economici tra l’Unione Economica Eurasiatica e la Repubblica Islamica dell’Iran.

Articolo 15

Le Parti contraenti promuovono lo sviluppo della cooperazione tra i loro organi legislativi, anche nel quadro delle organizzazioni parlamentari internazionali, dei vari formati multilaterali, dei comitati e delle commissioni specializzate, dei gruppi competenti per le relazioni tra l’Assemblea federale della Federazione russa e l’Assemblea consultiva islamica (Parlamento islamico) della Repubblica islamica dell’Iran, nonché della Commissione per la cooperazione tra la Duma di Stato dell’Assemblea federale della Federazione russa e l’Assemblea consultiva islamica (Parlamento islamico) della Repubblica islamica dell’Iran.

Articolo 16

1. Le Parti contraenti sviluppano la cooperazione interregionale, assumendo la sua particolare importanza per ampliare l’intera gamma delle relazioni bilaterali.

2. Le Parti contraenti creano condizioni favorevoli all’instaurazione di legami diretti tra le regioni russe e iraniane, facilitano la conoscenza reciproca delle loro potenzialità economiche e di investimento, anche attraverso l’organizzazione di missioni commerciali, conferenze, mostre, fiere e altri eventi interregionali.

Articolo 17

Le Parti contraenti sosterranno la cooperazione commerciale ed economica in tutti i settori di reciproco interesse coordinando tale interazione nell’ambito della Commissione permanente russo-iraniana per il commercio e la cooperazione economica.

Articolo 18

1. Le Parti contraenti facilitano lo sviluppo della cooperazione commerciale, economica e industriale, creando vantaggi economici reciproci, compresi gli investimenti comuni, il finanziamento delle infrastrutture, la facilitazione dei meccanismi commerciali e imprenditoriali, la cooperazione nel settore bancario, la promozione e la fornitura reciproca di beni, opere, servizi, informazioni e risultati di attività intellettuali, compresi i diritti esclusivi su di essi.

2. Consapevoli delle loro capacità di investimento, le Parti contraenti possono effettuare investimenti congiunti nell’economia di Stati terzi e, a tal fine, mantenere il dialogo nel quadro dei pertinenti meccanismi multilaterali.

Articolo 19

1. Le Parti contraenti contrastano l’applicazione di misure coercitive unilaterali, comprese quelle di natura extraterritoriale, e considerano la loro imposizione come un atto illecito e ostile a livello internazionale. Le Parti contraenti coordinano gli sforzi e sostengono le iniziative multilaterali volte a eliminare la pratica di tali misure nelle relazioni internazionali, guidati, tra l’altro, dalla Dichiarazione della Repubblica islamica dell’Iran e della Federazione russa sui modi e i mezzi per contrastare, attenuare e rimediare agli impatti negativi delle misure coercitive unilaterali, datata 14 Azar 1402 del Solar Hijri (corrispondente al 5 dicembre 2023).

2. Le Parti contraenti garantiscono la non applicazione di misure coercitive unilaterali dirette o indirette contro una delle Parti contraenti, le persone fisiche e giuridiche di tale Parte contraente o i loro beni soggetti alla giurisdizione di una Parte contraente, le merci, le opere, i servizi, le informazioni, i risultati di attività intellettuali, compresi i diritti esclusivi su di essi provenienti da una Parte contraente e destinati all’altra Parte contraente.

3. Le Parti contraenti si astengono dall’aderire a misure coercitive unilaterali o dall’appoggiare tali misure di terzi, se tali misure colpiscono o sono dirette direttamente o indirettamente contro una delle Parti contraenti, le persone fisiche e giuridiche di tale Parte contraente o i loro beni soggetti alla giurisdizione di tali terzi, le merci originarie di una Parte contraente e destinate all’altra Parte contraente, e/o le opere, i servizi, le informazioni, i risultati dell’attività intellettuale, compresi i diritti esclusivi su di essi forniti da fornitori dell’altra Parte contraente.

4. Qualora una terza parte introduca misure coercitive unilaterali nei confronti di una delle parti contraenti, le parti contraenti si adoperano concretamente per ridurre i rischi, eliminare o attenuare l’impatto diretto e indiretto di tali misure sui legami economici reciproci, sulle persone fisiche e giuridiche delle parti contraenti o sui loro beni soggetti alla giurisdizione delle parti contraenti, sui beni originari di una parte contraente e destinati all’altra parte contraente, e/o sulle opere, i servizi, le informazioni, i risultati dell’attività intellettuale, compresi i diritti esclusivi su di essi, forniti dai fornitori delle parti contraenti. Le Parti contraenti si adopereranno inoltre per limitare la diffusione di informazioni che potrebbero essere utilizzate da tali terzi per imporre e inasprire tali misure.

Articolo 20

1. Al fine di incrementare il volume degli scambi commerciali reciproci, le Parti contraenti creeranno le condizioni per sviluppare la cooperazione tra le organizzazioni di prestito, tenendo conto degli strumenti giuridici internazionali in materia di lotta al riciclaggio dei proventi del crimine e al finanziamento del terrorismo di cui le Parti contraenti sono parte, utilizzeranno vari strumenti di finanziamento del commercio, svilupperanno progetti comuni di sostegno alle esportazioni, svilupperanno il potenziale di investimento, amplieranno gli investimenti reciproci tra individui, società pubbliche e private e garantiranno un’adeguata protezione degli investimenti reciproci.

2. Le Parti contraenti sviluppano la cooperazione al fine di creare una moderna infrastruttura di pagamento indipendente da Stati terzi, di passare a regolamenti bilaterali in valute nazionali, di rafforzare la cooperazione interbancaria diretta e di promuovere prodotti finanziari nazionali.

3. Le Parti contraenti ampliano la loro cooperazione al fine di sviluppare il commercio e incoraggiare gli investimenti nelle zone economiche speciali/libere delle Parti contraenti.

4. Le Parti contraenti forniranno assistenza alle zone economiche speciali/libere della Federazione russa e della Repubblica islamica dell’Iran nello svolgimento di attività volte alla creazione di joint venture in aree di reciproco interesse e presteranno attenzione alla creazione di zone industriali.

5. Le Parti contraenti si dichiarano pronte a sviluppare una cooperazione reciprocamente vantaggiosa nei settori dell’estrazione dell’oro, della lavorazione dell’oro, dei diamanti e dei gioielli.

Articolo 21

1. Le Parti contraenti, tenendo conto delle loro capacità e competenze, sostengono una stretta cooperazione nel settore dei trasporti e riaffermano la loro volontà di sviluppare in modo globale il partenariato nel settore dei trasporti su base reciprocamente vantaggiosa.

2. Le Parti contraenti creano condizioni favorevoli per l’operatività dei vettori della Federazione russa e della Repubblica islamica dell’Iran, la facilitazione del processo di trasporto di merci e passeggeri con tutte le modalità di trasporto e l’aumento dei loro volumi, l’uso efficace delle infrastrutture stradali e di confine.

3. Le Parti contraenti svilupperanno la cooperazione nel settore dei trasporti stradali, ferroviari, aerei, marittimi e multimodali, nonché nella formazione di specialisti nel settore dei trasporti.

4. Le Parti contraenti collaborano attivamente allo sviluppo di corridoi di trasporto internazionali che attraversano il territorio della Federazione Russa e della Repubblica Islamica dell’Iran, in particolare il corridoio di trasporto internazionale Nord-Sud. Tale cooperazione comprende la promozione delle merci provenienti dalle Parti contraenti nei mercati degli Stati terzi, nonché la creazione di condizioni per lo sviluppo di un trasporto senza soluzione di continuità attraverso i corridoi di trasporto, sia nel trasporto bilaterale che in quello di transito attraverso i loro territori.

5. Le Parti contraenti introdurranno sviluppi moderni nel settore dei sistemi di trasporto digitali.

6. Le Parti contraenti sostengono uno stretto coordinamento all’interno delle organizzazioni internazionali del settore dei trasporti, stabiliscono una cooperazione reciprocamente vantaggiosa tra le autorità esecutive e le organizzazioni del settore dei trasporti e facilitano la loro partecipazione agli eventi internazionali del settore.

Articolo 22

1. Le Parti contraenti ampliano la cooperazione nel settore del petrolio e del gas secondo i principi di uguaglianza e di reciproco vantaggio e adottano misure per migliorare la sicurezza energetica delle Parti contraenti attraverso l’uso efficiente dei combustibili e delle risorse energetiche.

2. Le Parti contraenti promuovono la cooperazione energetica bilaterale nei seguenti settori:

2.1. Assistenza scientifica e tecnica, scambio di esperienze e introduzione di tecnologie avanzate e moderne nella produzione, lavorazione e trasporto di petrolio e gas;

2.2. Assistenza alle aziende e alle organizzazioni russe e iraniane del settore dei combustibili e dell’energia nell’espansione della cooperazione, comprese le forniture di energia e le operazioni di swap;

2.3. Promozione degli investimenti attraverso la cooperazione bilaterale nei progetti di sviluppo dei giacimenti di petrolio e gas nel territorio delle Parti contraenti;

2.4. Promozione di progetti infrastrutturali importanti per la sicurezza energetica globale e regionale;

2.5. Garantire un accesso non discriminatorio ai mercati energetici internazionali e aumentarne la competitività;

2.6. Cooperazione e attuazione di una politica coordinata nell’ambito di forum internazionali sull’energia, come il Forum dei Paesi esportatori di gas e l’OPEC-plus.

3. Le Parti contraenti rafforzeranno il livello di cooperazione e lo scambio di opinioni ed esperienze nel settore delle fonti energetiche rinnovabili.

Articolo 23

Le Parti contraenti promuovono lo sviluppo di relazioni a lungo termine e reciprocamente vantaggiose per la realizzazione di progetti comuni nel settore dell’uso pacifico dell’energia nucleare, compresa la costruzione di impianti nucleari.

Articolo 24

1. Le Parti contraenti sviluppano la cooperazione nei settori dell’agricoltura, della pesca, della veterinaria, della protezione e della quarantena delle piante e della produzione di sementi al fine di incrementare gli scambi reciproci e l’accesso dei prodotti agricoli ai mercati delle Parti contraenti e ai mercati degli Stati terzi.

2. Le Parti contraenti adottano le misure necessarie per garantire la sicurezza dei prodotti agricoli, delle materie prime e degli alimenti, che devono soddisfare i requisiti stabiliti in materia di controllo sanitario ed epidemiologico, veterinario, fitosanitario di quarantena e delle sementi (ispezione), nonché i requisiti per la manipolazione sicura dei pesticidi e dei prodotti chimici agricoli o altri requisiti stabiliti dalla legislazione delle Parti contraenti.

Articolo 25

Le Parti contraenti attuano la cooperazione doganale, compresa la realizzazione di progetti per la creazione di un corridoio doganale semplificato, il riconoscimento reciproco dei rispettivi programmi di operatore economico autorizzato al fine di promuovere la creazione di catene di approvvigionamento sicure, l’organizzazione della cooperazione amministrativa e lo scambio di informazioni doganali tra le rispettive autorità doganali.

Articolo 26

Le Parti contraenti, al fine di promuovere una concorrenza leale nei mercati nazionali e migliorare il benessere della popolazione, sviluppano la cooperazione nel campo della politica antimonopolistica.

Articolo 27

Le Parti contraenti sviluppano la cooperazione su questioni quali il riconoscimento reciproco di norme, rapporti di prova e certificati di conformità, l’applicazione diretta di norme, lo scambio di esperienze e sviluppi avanzati nel campo dell’uniformità delle misure, la formazione di esperti e la promozione del riconoscimento dei risultati delle prove tra la Federazione russa e la Repubblica islamica dell’Iran.

Articolo 28

Le Parti contraenti interagiscono nei settori dell’assistenza sanitaria, dell’educazione medica e della scienza, anche nell’ambito delle organizzazioni internazionali competenti, nei seguenti ambiti:

1.) Organizzazione del sistema sanitario statale e gestione dell’assistenza sanitaria;

2.) Prevenzione e trattamento delle malattie trasmissibili e non trasmissibili;

3.) Protezione della salute materna e infantile;

4.) Regolamentazione statale della circolazione dei farmaci per uso medico e dei dispositivi medici;

5.) Promozione di uno stile di vita sano;

6.) Ricerca medica;

7.) Introduzione delle tecnologie digitali nell’assistenza sanitaria;

8.) Formazione professionale degli specialisti del settore sanitario;

9.) Altri settori di cooperazione di interesse reciproco.

Articolo 29

1. Le Parti contraenti rafforzano la cooperazione per garantire il benessere sanitario ed epidemiologico della popolazione sulla base della legislazione nazionale e delle politiche statali di prevenzione e controllo delle infezioni, nonché dei trattati internazionali di cui le Parti contraenti sono parti.

2. Le Parti contraenti rafforzano il coordinamento nel campo del benessere sanitario ed epidemiologico e della sicurezza alimentare.

3. Le Parti contraenti promuovono l’armonizzazione dei requisiti sanitari e degli standard di sicurezza alimentare e la partecipazione reciproca agli eventi pertinenti da esse organizzati.

Articolo 30

1. Le Parti contraenti promuovono e rafforzano legami a lungo termine e costruttivi nei settori dell’istruzione superiore, della scienza, della tecnologia e dell’innovazione, realizzano progetti scientifici e tecnici comuni, incoraggiano l’instaurazione e lo sviluppo di contatti diretti tra le istituzioni educative e scientifiche interessate delle Parti contraenti.

2. Le Parti contraenti promuovono il partenariato diretto tra le istituzioni educative e scientifiche di istruzione superiore interessate, anche per quanto riguarda lo sviluppo e l’attuazione di programmi e progetti scientifici, tecnici e di ricerca congiunti, lo scambio di operatori scientifici e pedagogici e di studenti, l’informazione scientifica e tecnica, la letteratura scientifica, i periodici e le bibliografie.

3. Le Parti contraenti facilitano lo scambio di esperienze e informazioni su questioni relative alla regolamentazione giuridica nel campo delle attività scientifiche, tecniche e innovative, l’organizzazione e lo svolgimento di seminari scientifici congiunti, simposi, conferenze, mostre e altri eventi.

4. Le Parti contraenti promuovono lo studio della lingua, della letteratura, della storia e della cultura ufficiali dell’altra Parte contraente nei loro istituti di istruzione superiore.

5. Le Parti contraenti assistono i propri cittadini nel perseguire l’istruzione in istituti scolastici dell’altra Parte contraente.

Articolo 31

Le Parti contraenti rafforzano l’interazione e lo scambio di opinioni e di esperienze in materia di esplorazione e sfruttamento dello spazio extra-atmosferico per scopi pacifici.

Articolo 32

Le Parti contraenti rafforzano i legami tra i mezzi di comunicazione di massa, nonché in settori quali la stampa e l’editoria, la promozione della letteratura russa e persiana, nonché le relazioni socio-culturali, scientifiche ed economiche, incoraggiando la conoscenza reciproca e i contatti di comunicazione tra i popoli della Federazione russa e della Repubblica islamica dell’Iran.

Articolo 33

Le Parti contraenti incoraggiano i loro mezzi di comunicazione di massa a cooperare ampiamente per sensibilizzare l’opinione pubblica e sostenere la libera diffusione delle informazioni al fine di opporsi congiuntamente alla disinformazione e alla propaganda negativa diretta contro la Federazione russa e la Repubblica islamica dell’Iran e di contrastare la diffusione di false informazioni di importanza pubblica che minacciano gli interessi nazionali e la sicurezza di ciascuna delle Parti contraenti, nonché altre forme di abuso dei media.

Articolo 34

1. Le Parti contraenti promuovono ulteriori interazioni nel campo della cultura e dell’arte, anche attraverso lo scambio di eventi culturali e la promozione di contatti diretti tra le loro istituzioni culturali al fine di mantenere il dialogo, approfondire la cooperazione culturale e realizzare progetti comuni a fini culturali ed educativi.

2. Le Parti contraenti facilitano la familiarizzazione dei popoli della Repubblica islamica dell’Iran e della Federazione russa con la cultura e le tradizioni reciproche, promuovono lo studio delle lingue ufficiali (russo e persiano), incoraggiano i contatti tra le istituzioni scolastiche, compreso lo scambio di esperienze tra i professori di lingua russa e persiana, la loro formazione e riqualificazione professionale, lo sviluppo di materiale didattico per lo studio del russo e del persiano come lingue straniere, tenendo conto delle specificità nazionali, e incoraggiano i contatti tra le personalità della letteratura, dell’arte e della musica.

3. Le Parti contraenti creeranno condizioni favorevoli per il funzionamento del Centro culturale iraniano a Mosca e del Centro culturale russo a Teheran, in conformità con l’Accordo tra il Governo della Repubblica islamica dell’Iran e il Governo della Federazione russa sull’istituzione e il quadro operativo dei Centri culturali del 24 Farvardin 1400 del Solar Hijri (corrispondente al 13 aprile 2021).

Articolo 35

Le Parti contraenti sostengono un’intensa cooperazione nel settore pubblico e privato nei campi della promozione del patrimonio culturale, del turismo, dell’arte e dell’artigianato, al fine di sensibilizzare la popolazione alla ricchezza socio-culturale e alle varie attrazioni turistiche della Federazione Russa e della Repubblica Islamica dell’Iran e di promuovere i contatti diretti tra le loro organizzazioni turistiche.

Articolo 36

Le Parti contraenti incoraggiano gli scambi bilaterali di giovani, facilitano l’instaurazione di contatti diretti tra associazioni creative, sportive, socio-politiche e altre associazioni giovanili e promuovono conferenze, seminari e consultazioni tematiche congiunte sulle questioni giovanili.

Articolo 37

Le Parti contraenti facilitano il rafforzamento della cooperazione nel campo della cultura fisica e dello sport attraverso lo scambio di allenatori e altri specialisti in educazione fisica e sport, nonché l’ampliamento dei contatti diretti tra le loro organizzazioni sportive.

Articolo 38

Le Parti contraenti si prestano reciprocamente assistenza per la prevenzione, la risposta e la mitigazione delle catastrofi naturali e di origine umana, nonché per lo sviluppo e il miglioramento del sistema di gestione delle crisi.

Articolo 39

Le Parti contraenti cooperano nel campo della protezione dell’ambiente attraverso la condivisione di esperienze sull’uso razionale delle risorse naturali, l’introduzione di tecnologie rispettose dell’ambiente e l’attuazione di misure di protezione ambientale.

Articolo 40

Le Parti contraenti facilitano la cooperazione e lo scambio di opinioni ed esperienze nel campo della gestione delle risorse idriche.

Articolo 41

Le Parti contraenti, al fine di definire aree e parametri specifici di cooperazione previsti dal presente Trattato, possono, se necessario, concludere accordi separati.

Articolo 42

Le Parti contraenti si scambieranno opinioni sull’attuazione delle disposizioni del presente Trattato, anche in occasione di vertici periodici e riunioni ad alto livello.

Articolo 43

Il presente Trattato non pregiudica i diritti e gli obblighi delle Parti contraenti derivanti da altri trattati internazionali.

Articolo 44

Qualsiasi controversia derivante dall’interpretazione o dall’attuazione delle disposizioni del presente Trattato sarà risolta attraverso consultazioni e negoziati tra le Parti contraenti per via diplomatica.

Articolo 45

1. Il presente Trattato è soggetto a ratifica ed entrerà in vigore allo scadere di 30 (trenta) giorni dalla data dell’ultima notifica scritta del completamento da parte delle Parti Contraenti delle relative procedure interne, e sarà valido per 20 (venti) anni con rinnovo automatico per successivi periodi di cinque anni.

2. Il presente Trattato sarà denunciato se una delle Parti contraenti notificherà per iscritto all’altra Parte contraente la sua intenzione di denunciare il presente Trattato al più tardi 1 (uno) anno prima della sua scadenza.

Articolo 46

La cessazione del presente Trattato non pregiudicherà i diritti e gli obblighi delle Parti Contraenti, così come i loro progetti, programmi o accordi in corso che sono stati realizzati nel corso dell’attuazione del presente Trattato prima di tale cessazione, a meno che non concordino diversamente per iscritto.

Articolo 47

Di comune accordo scritto delle Parti contraenti, il presente Trattato può essere emendato e integrato. Tali emendamenti e integrazioni costituiranno parte integrante del presente Trattato ed entreranno in vigore in conformità con l’articolo 45 dello stesso.

Il presente Trattato, composto da un preambolo e da 47 (quarantasette) articoli, è stato concluso nella città di Mosca il 28 dicembre 1403 dell’Hijri solare, corrispondente al 17 gennaio 2025, in due originali in lingua persiana, russa e inglese, tutti i testi facenti ugualmente fede.

In caso di disaccordo nell’interpretazione o nell’attuazione del presente Trattato, sarà utilizzato il testo inglese.

Per

la Repubblica Islamica dell’Iran

Per

Federazione Russa

Persian Gulf Arab leaders urging Trump to soften stance on Iran: Report

Teheran, IRNA – I leader dei Paesi arabi della regione del Golfo Persico hanno chiesto al presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump di adottare “una posizione più morbida” nei confronti della Repubblica islamica dell’Iran, secondo quanto riportato da un rapporto.

Il New York Times ha riportato lunedì che i leader arabi hanno anche esortato Trump – che diventerà ufficialmente presidente degli Stati Uniti il 20 gennaio – ad adottare “una linea più dura nei confronti di Israele”.

Durante il suo primo mandato, Trump ha ritirato gli Stati Uniti da un accordo storico tra l’Iran e sei potenze mondiali, tra cui l’America. Aveva fatto campagna elettorale contro l’accordo ed era amareggiato dal fatto che non avesse portato benefici finanziari agli Stati Uniti. Successivamente, poiché l’Iran si rifiutava di negoziare un altro accordo con uno Stato perfido, Trump ha lanciato quella che ha definito una campagna di “massima pressione” su Teheran.

Sempre durante il suo primo mandato, Trump ha abbracciato i Paesi arabi in quella che era percepita come una coalizione anti-Iran.

In quello che il New York Times descrive come un cambiamento significativo, quegli stessi Paesi arabi hanno ora chiesto al prossimo presidente degli Stati Uniti di ammorbidire la sua posizione sull’Iran durante il suo secondo mandato.

Il rapporto ha evidenziato i commenti pubblici dei leader arabi nell’ultimo anno, da quando Israele ha lanciato una guerra contro la Striscia di Gaza nell’ottobre 2023, e ha affermato che i commenti rivelano un riposizionamento dell’atteggiamento.

L’orrenda perdita di vite umane e l’essenziale appiattimento della Striscia di Gaza, che molti Paesi ora considerano equivalente a un genocidio, ha spinto i leader arabi, in precedenza per lo più ignari della condizione dei palestinesi sotto l’occupazione e l’assedio israeliano, a cambiare la loro posizione.

La guerra israeliana in corso ha ucciso più di 46.500 palestinesi, e non solo.

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SITREP 1/17/25: L’accordo storico tra Russia e Iran imitato nella trovata dell’ultimo minuto di Starmer a Kiev, di Simplicius

SITREP 1/17/25: L’accordo storico tra Russia e Iran imitato nella trovata dell’ultimo minuto di Starmer a Kiev

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Una grande giornata di incontri per il futuro: il presidente iraniano Masoud Pezeshkian è atterrato a Mosca per firmare l’atteso accordo economico e di difesa globale con Putin:

L’accordo firmato tra Russia e Iran contiene una clausola sul rafforzamento della cooperazione nel campo della sicurezza e della difesa, come indicato nel primo articolo del documento.

Il terzo articolo stabilisce che se una delle parti subisce un’aggressione, l’altra non deve fornire alcuna assistenza all’aggressore.

La Russia e l’Iran hanno inoltre concordato la cooperazione tra le agenzie di intelligence al fine di rafforzare la sicurezza nazionale e contrastare le minacce comuni.

Articolo 5

2. La cooperazione militare tra le Parti contraenti copre un’ampia gamma di questioni, tra cui lo scambio di delegazioni militari e di esperti, lo scalo di navi da guerra e di imbarcazioni nei porti.

4. Le Parti contraenti si consultano e cooperano nel campo della lotta contro le minacce militari comuni e le minacce alla sicurezza di natura bilaterale e regionale.

Articolo 8

1. Le Parti contraenti proteggono i diritti e gli interessi legittimi dei loro cittadini nel territorio delle Parti contraenti.

L’analista russo Starshe Edda commenta la differenza tra le due partnership strategiche con la Corea del Nord e ora con l’Iran:

La differenza chiave tra i trattati della Russia con l’Iran e la RPDC è la questione dell’alleanza. Il trattato firmato con Pyongyang – unione incondizionata, contiene obblighi più sostanziali delle parti per il sostegno militare rispetto alla maggior parte dei documenti odierni, compreso il famigerato Trattato del Nord Atlantico del 1949, che ha formato il blocco NATO. Ai sensi dell’articolo 4, le parti si impegnano espressamente, senza alcuna riserva sulle consultazioni e così via, a fornirsi reciprocamente assistenza militare e di altro tipo con tutti i mezzi disponibili.

L’accordo con l’Iran è diverso. Il suo articolo 3 prevede l’obbligo, nel caso in cui una delle parti venga attaccata, di non sostenere l’aggressore e di contribuire alla risoluzione del conflitto.

Questa è una differenza fondamentale nell’attuale mondo in guerra, e i motivi sono chiari: la Russia e l’Iran hanno visioni piuttosto diverse del mondo, anche in Medio Oriente, e non sarebbe necessario adeguarsi all’obbligo di Teheran di coprirlo in caso di attacco – la maggior parte dei conflitti iraniani si trova al di fuori del campo degli interessi russi. E viceversa.

Ma ecco cosa l’Iran e [la Russia] possono aiutarsi a vicenda – anche in termini di elusione dei – regimi di sanzioni, ci aiuteremo a vicenda. Anche per quanto riguarda la produzione di armi.

Allo stesso tempo Keir Starmer ha effettuato una “visita a sorpresa” a Kiev dove ha tentato di superare la Russia firmando una “partnership di 100 anni” con l’Ucraina, impegnando miliardi di dollari delle tasse dei cittadini britannici:

Starmer ha promesso di “esplorare le opzioni per le basi militari [britanniche] in Ucraina”. L’accordo completo sul sito ufficiale del governo britannico può essere letto qui. L’interpretazione comune è che Starmer sia stato inviato dai suoi padroni globalisti per impedire a Zelensky di cadere sotto la persuasione di Trump per porre fine alla guerra. Gli europei in generale sono ora terrorizzati dall’idea di essere “tagliati fuori” dai negoziati ucraini, dato che Trump è intenzionato a toglierli di mezzo e a trattare direttamente con Putin, senza che l’Europa abbia, come sempre, voce in capitolo sul proprio futuro.

Questo è avvenuto sulla scia delle notizie secondo cui il Regno Unito e la Francia hanno continuato a tenere “incontri segreti” riguardo al dispiegamento di truppe di pace in Ucraina.

Anche l’articolo del Telegraph sembra dubbio, visto il triste depauperamento annuale che le forze armate britanniche hanno subito negli ultimi tempi, con l’esercito che sarebbe sceso al numero più basso di truppe dai tempi di Napoleone:

L’invio di truppe britanniche sul terreno in Ucraina avviene in un contesto di tagli alle Forze Armate che hanno messo in discussione la loro credibilità come forza combattente.

Il numero di soldati dell’Esercito è sceso sotto le 73.000 unità a maggio per la prima volta dall’era napoleonica, mentre tutti e tre i servizi militari hanno faticato a reclutare e trattenere il personale negli ultimi anni.

Nel frattempo, nuovi rapporti affermano che la Francia sta preparando segretamente un contingente di 2.000 truppe per entrare in Ucraina e ha condotto i giochi di guerra “Perseus” che apparentemente simulano combattimenti sul fronte bielorusso:

Questo è interessante per due motivi:

In primo luogo, perché i generali bielorussi hanno ora dichiarato che esistono piani segreti ucraini per impadronirsi di parti della Bielorussia e rovesciare il governo per espandere la guerra; in secondo luogo, perché fonti russe riferiscono che, nonostante le “affermazioni”, le esercitazioni hanno simulato il confine bielorusso, in realtà hanno imitato l’area del fiume Dnieper:

Intelligence online scrive che la Francia ha addestrato segretamente 2.000 delle sue truppe per entrare in Ucraina. Nell’autunno del 2024 si sono tenute le esercitazioni segrete Perseus, che prevedevano il dispiegamento di forze speciali francesi sul territorio dell’Ucraina per respingere un attacco dalla Bielorussia. Tuttavia, per qualche ragione, le esercitazioni sono state condotte in un’area che imitava il fiume Dnieper.

Military Watch conferma che si tratta della parte del Dnieper a nord di Kiev. Ciò che è ancora più interessante è che l’articolo del Telegraph specificamente nota che i piani britannici includono una potenziale zona di schieramento a Kiev, come una delle tre potenziali:

Il Telegraph scrive di tre scenari per il dispiegamento di un contingente di truppe britanniche in Ucraina. Creare punti lungo la zona cuscinetto, pattugliati da jet da combattimento ed elicotteri d’attacco e forze di reazione rapida nelle retrovie.

Nella seconda opzione, si vuole creare una linea di difesa intorno a Kiev, che libererà alcune unità delle Forze Armate dell’Ucraina in prima linea. La terza opzione, la più probabile, prevede l’invio di truppe nell’Ucraina occidentale sotto la copertura di un potente sistema di difesa aerea e l’addestramento delle forze armate ucraine.

Per me, tutto questo non è altro che il solito tentativo di elaborare un piano comune per proteggere l’Ucraina dalla caduta quando la Russia supererà completamente le linee dell’AFU e quest’ultima inizierà a crollare in massa. Lo dicono loro stessi nell’articolo del Telegraph sopra citato:

Una coalizione di volenterosi potrebbe essere formata per creare un cordone difensivo attorno alla capitale ucraina, alleggerendo le forze ucraine da inviare in avanti per arginare qualsiasi avanzata russa.

Questa è una teoria che è stata discussa da funzionari e strateghi nelle capitali occidentali, ma è vista come un’opzione nucleare, che pochi sono realmente disposti a prendere in considerazione.

Gli “alleati” sanno di avere un numero limitato di truppe a disposizione, quindi stanno disperatamente cercando di decidere se sia più efficace proteggere la zona del Dnieper, la capitale di Kiev o qualcos’altro, come Odessa. In realtà, alla Russia non importerà molto, perché l’articolo 5 non si applica al territorio ucraino e i potenziali contingenti NATO in Ucraina non avranno molte spalle logistiche o infrastrutture locali per affrontare una grande spinta russa.

Lo stesso Zelensky ha appena messo ulteriormente in imbarazzo la NATO dichiarando che tutta l’Europa non ha alcuna possibilità di contrastare la Russia da sola senza l’aiuto dell’Ucraina – ascoltate attentamente qui sotto, è una delle poche volte in cui Zelensky non mente:

Due notti fa l’Ucraina ha lanciato il più grande attacco di droni dell’intera guerra contro la Russia, facendo temere che tutti i promessi “programmi” occidentali per aumentare la produzione di droni dell’Ucraina siano finalmente giunti a pieno regime:

Da ieri sera, le regioni della Federazione Russa sono state sottoposte al primo massiccio attacco di missili e UAV delle Forze Armate dell’Ucraina, per un totale di almeno 200 droni. I danni maggiori sono stati causati alla regione di Saratov: la maggior parte degli UAV sono stati abbattuti, ma alcuni hanno volato. È stato attaccato il complesso di carburante ed energia – la raffineria di petrolio di Saratov. Per la seconda volta in una settimana, è stato colpito il deposito di petrolio Kristall della Federal Reserve a Engels. Al momento, l’eliminazione delle conseguenze continua in entrambi i siti.

In Tatarstan, Kazan è stata sotto attacco, colpita dai droni “Fierce” e “Inferno”. Sotto attacco è stata la base di gas liquefatti presso l’impianto di Kazanorgsintez, i serbatoi sono in fiamme. Sono stati avvistati arrivi di droni nella zona residenziale e Aviastroitelny-vicino all’impianto S. P. Gorbunov, dove volavano droni nemici. Per la prima volta, il lavoro della difesa aerea è stato notato nella città di Almetyevsk, diverse centinaia di chilometri a sud-est di Kazan – gli impianti petroliferi erano sotto attacco.

Nella regione di Bryansk, è stato attaccato l’impianto chimico di Bryansk nel villaggio di Seltso. Per l’attacco, l’APU ha utilizzato missili ATACMS e Storm Shadow, oltre a UAV. I danni esatti all’azienda non sono ancora chiari. Altri 35 UAV sono stati registrati nella regione di Orel, Voronezh, Kursk e Tula. 14 droni sono stati abbattuti sopra i distretti Millerovsky e Tarasovsky della regione di Rostov.

Ciò avviene subito dopo che il NY Times ha annunciato un nuovo programma segreto degli Stati Uniti per finanziare lo sviluppo di droni in Ucraina, per un importo aggiuntivo di 1,5 miliardi di dollari di bilancio nero, non previsto dai fondi della precedente amministrazione Biden. E questo programma è stato avviato solo a partire dal 2024, e non dall’inizio della guerra:

il New York Times, citando un documento declassificato, scrive di aver investito 1,5 miliardi di dollari nello sviluppo di UAV delle Forze Armate dell’Ucraina a partire dal settembre 2024. Questo fa parte di altre infusioni segrete di cui non siamo a conoscenza. Secondo Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, questo investimento ha avuto un “reale impatto strategico” sul corso delle ostilità.

Il denaro è stato stanziato per l’acquisto di pezzi di ricambio, il processo è controllato da agenti speciali della CIA inviati in Ucraina.
Gli investimenti su larga scala in UAV sono stati accelerati, il che è interessante – dopo l’offensiva delle Forze Armate dell’Ucraina nell’autunno del 2022 nella regione di Kharkiv, quando sono stati raggiunti i limiti delle “normali capacità dell’Ucraina”.

Inoltre, Forbes riporta che il tanto atteso impianto di droni Anduril “Hyperscale” sta finalmente sorgendo in Ohio, diventando il più grande progetto infrastrutturale della storia dell’Ohio:

Il nuovo impianto, annunciato dal governatore dell’Ohio Mike DeWine, dal vicegovernatore Jon Husted e da JobsOhio, rappresenta il più grande nuovo progetto mai realizzato nella storia dell’Ohio per numero di addetti.

L’articolo offre però anche una dose di realtà: Il vice segretario alla Difesa Kathleen Hicks, principale “paladina” del progetto Replicator, se ne va, mettendo in dubbio il futuro del progetto. Questo dopo che già l’anno scorso l’ex capo di Google Eric Schmidt aveva ammesso che molte delle loro iniziative, come il Progetto White Stork, erano fallite a causa dell’incapacità di ottenere sufficiente consenso e slancio sui progetti da parte dei vari partner coinvolti. La fabbrica Anduril di cui sopra è solo all’inizio della costruzione: chissà quando potrà realisticamente assumere e formare quei 4.000 lavoratori ed essere operativa.

In ogni caso, apparentemente in risposta agli attacchi dell’Ucraina, la Russia ha lanciato una propria serie di attacchi feroci alle infrastrutture ucraine:

In risposta agli attacchi dell’ATACMS e al tentativo di interrompere le forniture di gas attraverso il “Turkish Stream”, le forze armate russe hanno preso di mira le infrastrutture del gas e dell’energia in Ucraina, secondo il Ministero della Difesa russo.

Hanno colpito con successo l’infrastruttura di terra del più grande deposito sotterraneo di gas dell’Ucraina a Stryi, nella regione di Lvov.

Non è stato menzionato il fatto che, secondo quanto riferito, sono state colpite anche diverse centrali termoelettriche. Inoltre, un altro centro di addestramento è stato colpito dagli Iskanders a Krivoy Rog, con filmati che mostrano corpi sparsi per tutto l’edificio e varie segnalazioni di potenziali addestratori NATO uccisi, come questa:

❗️I missili russi a Krivoy Rog hanno ucciso un istruttore di F-16 danese.

Negli attacchi di oggi alla scuola di aviazione di Krivoy Rog è stato ucciso un istruttore di piloti della NATO proveniente dalla Danimarca. I suoi amici hanno confermato la morte oggi sui social media.

Il danese avrebbe rivelato la sua posizione a una prostituta locale. – via Missione Z

Ma nonostante le promesse forse troppo ambiziose di Anduril e simili, l’Ucraina ha fatto delle innovazioni nel settore dei droni. Un paio di settimane fa ho riferito di come i nuovi droni navali ucraini fossero armati con missili aria-aria sovietici R-73 e avessero già abbattuto con successo elicotteri russi vicino alla Crimea.

Ora un sistema di difesa aerea Tor è stato colpito da un drone navale ucraino che fungeva da nave madre per gli FPV. Il drone navale ha consegnato gli FPV in Crimea, presumibilmente fungendo anche da estensore del segnale, consentendo loro di decollare per trovare e distruggere l’unità Tor a terra.

Detto questo, la Russia ha momentaneamente fatto un balzo in avanti nella corsa ai droni, con annunci che affermano che i droni a fibra ottica “Vandal” sono destinati a essere prodotti in serie in cinque fabbriche separate:

In Russia si sta creando una rete di stabilimenti per l’assemblaggio dei droni Prince Vandal Novgorodsky.

Gli impianti saranno situati nella parte europea del Paese e nell’area dell’operazione militare speciale. I laboratori riceveranno i kit di assemblaggio per la produzione di droni per una specifica missione di combattimento.

I droni kamikaze FPV, controllati tramite cavo a fibre ottiche, sviluppati a Novgorod dal centro Ushkuynik sono resistenti alla guerra elettronica. Hanno iniziato ad arrivare alle forze armate russe nell’agosto del 2024. I dispositivi possono essere utilizzati in qualsiasi momento della giornata grazie alla dotazione di una telecamera con una termocamera.

Ora la Russia continua ad avanzare, mostrando di recente gli ultimi FPV alimentati dall’intelligenza artificiale prodotti in modo nativo e distribuiti in massa:

Nonostante ciò, sul terreno le forze russe continuano ad avanzare, con eterno dispiacere dei commentatori occidentali:

Come accennato da Roepcke sopra, le forze russe hanno ora tagliato una delle arterie principali per Pokrovsk, con la battaglia per la città vera e propria che inizierà presto:

Gli esperti ucraini scrivono le loro previsioni su come prenderà forma l’assalto:

Come farà il nemico a catturare Pokrovsk e Mirnograd?

Il testo sarà la mia personale visione dell’operazione, in più parti. Tenendo conto di come il nemico vede la sua condotta.

Preciso subito che non saranno pubblicate informazioni che possano danneggiare le Forze di Difesa.

Il diagramma mostra la visione del nemico.

1. È ovvio che per prima cosa cercheranno di tagliare tutte le vie principali che collegano Pokrovsk con la regione del Dnieper.

Ce ne sono due: verso Mezhova e Pavlograd.

Il primo è già stato perso nella zona di Kotlyny-Udachny. Il nemico deve catturare entrambi i villaggi per stabilizzare il cuneo.

Per quanto semplice possa sembrare sul diagramma, in realtà questo richiede l’allocazione di risorse paragonabili a quelle di un intero esercito combinato.

Poi – dovranno catturare Hryshyne (Grishina). Un grande villaggio, diviso da un fiume e da alture. Le risorse non sono meno necessarie.

Nella prossima parte esamineremo tutti gli altri aspetti dell’operazione. Sarà domani.

Postale ucraino

Toretsk è stata ora essenzialmente catturata interamente, con sempre più gemiti:

La mappa precedente è già obsoleta da un paio di giorni, ecco la nuova mappa:

Ma la più grande è stata Velyka Novosilka, dove le forze russe hanno effettuato quasi un intero accerchiamento, oltre ad aver iniziato a spingere nella città stessa da sud-ovest.

Suriyak scrive:

L’esercito ucraino non può più tenere Velyka Novosilka ancora a lungo. Negli ultimi giorni l’esercito russo ha sviluppato completamente l’accerchiamento operativo intorno alla più grande località dell’ovest dell’oblast’ di Donetsk. Analogamente a quanto accaduto a Selydovo, i russi iniziano ad assaltare la città da un asse costringendo le truppe rimaste a ritirarsi verso i campi e le linee forestali che sono le ultime vie di fuga mentre i droni e l’artiglieria li inseguono. Le porte dell’oblast’ di Dnipropetrovsk sono già aperte su questo fronte.

Una visione più ampia:

Non è detto che possa reggere ancora a lungo.

Nelle aspettative sempre più alte sull’approccio di Trump alla “fine della guerra”, abbiamo l’ultima notizia che sostiene ancora una volta che la squadra di Trump ha intenzione di giocare duro con la Russia, imponendo sanzioni a Putin per convincerlo a sedersi al tavolo, come al solito secondo “fonti anonime interne”:

Il team di Trump sta sviluppando una massiccia strategia di sanzioni per forzare un accordo tra Russia e Ucraina nei prossimi mesi.

▪️Al contempo, gli Stati Uniti intendono esercitare pressioni sull’Iran e sul Venezuela, riferisce Bloomberg, citando fonti.

▪️Si considerano due approcci principali:

➖una serie di raccomandazioni politiche – se la futura amministrazione ritiene che una soluzione alla guerra in Ucraina sia in vista – “include alcune misure in buona fede a favore dei produttori di petrolio russi sanzionati che potrebbero aiutare a mediare un accordo di pace”. Ovvero, alleggerire le sanzioni contro la Russia,

➖nuove sanzioni e maggiori pressioni se diventerà chiaro che la Russia si rifiuta di porre fine alla guerra.

▪️Per ora, questi piani del team di Trump sono nelle fasi iniziali e, in ultima analisi, dipendono dal presidente eletto stesso.

➖“I consiglieri di Trump si troveranno in ultima analisi a dover affrontare lo stesso problema dell’amministrazione Biden: come evitare gravi interruzioni dell’offerta e dei prezzi nel mercato del petrolio in un momento in cui Washington ha imposto ampie sanzioni ai tre maggiori produttori mondiali. Un’altra sfida: calibrare il giusto equilibrio tra l’uso degli strumenti di guerra economica e il desiderio di preservare lo status del dollaro come valuta di riserva mondiale”, commenta Bloomberg.

RVvoenkor

Ecco perché la Russia sta firmando vari accordi globali con Stati amici, a prova di sanzioni proprio per questa possibilità. La Russia è il Paese più sanzionato al mondo da diversi anni ormai e qualche altra sanzione da parte di Trump non metterebbe certo Putin “in ginocchio” e non gli farebbe improvvisamente piangere lo zio sull’Ucraina.

L’ex vicecomandante dell’Aidar Ihor Mosiychuk fornisce la sua prospettiva su come andranno questi “negoziati”:

Come ultima nota, Zelensky ha fatto un’affermazione molto interessante riguardo a una questione che abbiamo approfondito a lungo qui: i numeri mistificati della forza lavoro ucraina. Prima di tutto, per contestualizzare, ricordiamo che recentemente il deputato della Rada Goncharenko si è chiesto dove fosse finito il “milione di uomini” dell’esercito, e perché ci sia una presunta “disparità di truppe” con le forze russe quando la Russia, secondo lo stesso Syrsky, avrebbe solo 700 mila uomini.

Qui Zelensky afferma in modo sconcertante che le Forze Armate dell’Ucraina hanno in realtà 880.000 uomini e la Russia solo ~600.000. Che sollievo! Si scopre che l’AFU supera di gran lunga le forze russe, dopo tutto!

Ma quello che dice dopo è veramente mistificante. Vedete, nonostante abbia meno truppe, la Russia è in grado in qualche modo di concentrare quelle truppe in numero maggiore in alcuni fronti chiave, dando la mera apparenza di un vantaggio. Quindi questo finalmente spiega tutto!

Ovviamente, il naturale seguito non trova mai risposta: Come è possibile che il Paese con la più grande forza attiva e dispiegata non sia in grado di concentrare quella forza in quantità maggiore rispetto all’avversario relativamente meno numeroso? La logica, a quanto pare, fa difetto.

Un’altra spiegazione recente, tuttavia, ha suscitato il mio interesse: secondo il canale Rezident, l’Ucraina ha 100.000 ufficiali di mobilitazione TCC, con altri 300.000 “servizi di sicurezza” sparsi in tutto il Paese, che sorvegliano i confini e svolgono altri lavori di retroguardia. Si può notare un problema di disparità: La Russia non ha bisogno di un tale numero di lavoratori di retroguardia perché non si affida alla mobilitazione forzata, ma a volontari che si presentano quotidianamente ai centri di reclutamento. Allo stesso modo, la Russia non è in pericolo di invasione lungo gran parte dei suoi confini, a differenza dell’Ucraina.

Quindi, possiamo vedere che una porzione molto più grande della forza totale di truppe attivamente contate dell’Ucraina è utilizzata per ruoli posteriori non di combattimento. Quindi, anche se i numeri dei due eserciti fossero più o meno equivalenti, l’Ucraina sarebbe in svantaggio, dovendo utilizzare molte più truppe in grado di combattere al fronte in queste funzioni. Nel frattempo, la Russia ha già una linea separata di coscritti che non sono ammessi nell’SMO, ma che svolgono tutti i compiti di retroguardia senza essere una perdita di potenziale di truppe da combattimento attivo.

Se l’Ucraina ha più di 800k truppe totali, ma se ~400k di esse sono costrette a fare lavori di retroguardia non di combattimento, non di supporto come la mobilitazione e il pattugliamento dei confini, allora rimangono solo 400k+ per il combattimento attivo in prima linea. Nel frattempo, la Russia può avere i 600-700k che Zelensky sostiene, ma la maggior parte di loro è disponibile per ruoli di combattimento, o almeno per ruoli di supporto, cioè quelli che supportano direttamente i ruoli di combattimento, piuttosto che essere in una classe totalmente estranea come i mobilitatori TCC; questi sono ruoli come autisti, tecnici, logistici, analisti di intelligence, cuochi, ecc.

In breve: a causa dei problemi di morale e di mobilitazione, l’Ucraina è costretta a spendere una quantità sproporzionata di forza lavoro in ruoli che non influiscono direttamente sull’efficienza del combattimento. Questo è solo un altro modo di guardare alle disparità di forza, grazie alle perspicaci noccioline di Zelensky.

Marco Rubio riassume la situazione: Il problema dell’Ucraina non è che sta finendo i soldi, ma che sta finendo gli ucraini:

Naturalmente, continua affermando erroneamente che la Russia “dovrà fare delle concessioni” nei negoziati. Tutto il mondo, a parte la marcia oligarchia statunitense, sa che la Russia non ha bisogno di fare nulla del genere. È il massimo dell’errore affermare letteralmente in una frase che l’Ucraina sta esaurendo gli ucraini, poi in quella successiva che la Russia dovrà fare delle concessioni: non ha alcun senso. No, tutto ciò che la Russia deve fare è realizzare la battuta profetica di Rubio continuando a macinare finché l’Ucraina non sarà “senza ucraini”: voilà, game over.

In effetti, uno degli scandali più grandi in corso in Ucraina continua a ruotare attorno alla mobilitazione forzata di piloti e tecnici dell’aeronautica per combattere in prima linea e nelle squadre d’assalto. Ha preso piede e ora l’intero paese si è espresso.

In primo luogo, la controversa deputata della Rada Maryana Bezugla ha dichiarato:

Poi il resoconto ufficiale dello Stato Maggiore dell’AFU lo ha effettivamente confermato:

Un altro ufficiale ucraino conferma, mettendo in guardia dal deleterio effetto a cascata che ciò avrà sulle difese aeree dell’Ucraina e su tutto il resto:

E un’altra precisazione da un ufficiale dell’aviazione:

Contraddicendo le affermazioni dello stato maggiore secondo cui solo “alcuni” tecnici vengono inviati al fronte, l’ufficiale dell’aviazione di cui sopra afferma che quasi tutti quelli della sua unità vengono arruolati forzatamente al fronte.

Ho detto prima che la Russia ha fatto questo anche in una certa misura , ma è stato chiarito da almeno una persona informata che la Russia ha inviato solo ciò che era essenzialmente “surplus” o unità ridondanti che non erano necessarie nelle sue ali aeree, poiché l’aeronautica russa è molto più grande di quella ucraina e quindi logicamente ha molte più unità “inattive” ed “estranee”. Quanto sia vera questa spiegazione, non possiamo dirlo con assoluta certezza. Ma possiamo dire che non c’è un tale livello di proteste e panico nazionale per la questione terribile come quella vista in Ucraina sopra.


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Secondo quanto riferito, è stato raggiunto un accordo di cessate il fuoco a Gaza, mentre sia Biden che Trump se ne prendono il merito, di Simplicius

Secondo quanto riferito, è stato raggiunto un accordo di cessate il fuoco a Gaza, mentre sia Biden che Trump se ne prendono il merito

16 gennaio
Nel frattempo: Trump ha invitato tutti i funzionari coinvolti nella gestione del conflitto ucraino a dare le dimissioni alle ore 00:01 del 20 gennaio, altrimenti…Sono già pronti, intanto, duemila nuovi funzionari pronti a sostituire gli uomini di apparato. Ne occorreranno almeno il doppio.
Netanyau ha dichiarato che non ci sarà alla cerimonia di insediamento di Trump. Ruggini che riemergono o rischi alla sicurezza? Vedremo se ci ripenserà.
Il quadro geopolitico in Medio Oriente cambierà parecchio. Tra Turchia, Sauditi, Israele e Iran gli equilibri cambiano, ma manca un vincitore assoluto. Tempi di mediazione. L’effetto di bilanciamento della sconfitta in Ucraina con una vittoria in Medio Oriente è praticamente diluito. Trump ha acquisito credito, ma non sarà l’unico mediatore in quell’area e non solo_Giuseppe Germinario

La grande notizia del giorno: Israele ha annunciato ufficialmente un cessate il fuoco e la potenziale fine della guerra di Gaza. Hamas rilascerà 33 ostaggi (numerologia interessante, come sempre) e Israele ritirerà le sue forze militari da Gaza.

L’operazione si svolgerà in tre fasi, la prima delle quali avrà inizio il 19 gennaio, appena un giorno prima dell’insediamento di Trump, come se fosse un omaggio:

L’annuncio è stato accolto con grandi applausi in tutto il nord di Gaza, dove i combattenti di Hamas sarebbero usciti dai loro tunnel per festeggiare apertamente nelle strade: non ci sono dubbi, questa è considerata una vittoria monumentale dalla resistenza:

Hamas ha dichiarato il cessate il fuoco con Israele una vittoria

Secondo l’accordo, nella seconda fase del cessate il fuoco, l’esercito israeliano dovrà lasciare Gaza.

Hamas deve restituire gli ostaggi sopravvissuti e in cambio riceverà i suoi compagni detenuti nelle prigioni israeliane. Questa era la richiesta di Hamas; Israele ha insistito sul rilascio dei suoi cittadini senza alcuna condizione.

Nella terza fase dell’accordo, i resti degli ostaggi assassinati saranno restituiti alle famiglie in Israele e a Gaza avrà inizio la ricostruzione postbellica su larga scala.

In Israele stesso si sta già definendo l’accordo “cattivo” e si sostiene che sia stato imposto dagli Stati Uniti.

Ascolta qui sotto l’ammissione di Blinken:

“In effetti Hamas ha reclutato quasi tanti nuovi militanti quanti ne ha persi.”

Non sorprendetevi se il numero reale sarà molto più alto di quanto perso; se non è ancora così, lo sarà in futuro.

Dopo molto più di un anno di combattimenti, la “più grande forza militare del pianeta” non è riuscita a sconfiggere Hamas, nemmeno dopo aver ricevuto un assegno in bianco per il totale massacro indiscriminato e il genocidio della popolazione civile senza alcuna ripercussione, un margine di manovra non concesso a nessun’altra forza militare nella storia recente.

Il fatto è che le IDF hanno avuto un esito disastroso e il motivo per cui si è arrivati all’accordo è dovuto al fatto che nelle ultime settimane si è registrato un aumento significativo delle morti tra i soldati delle IDF:

Di recente è giunta la notizia che il 4% di tutti i decessi tra le truppe dell’IDF sono stati suicidi:

E segnalazioni di 20.000 feriti tra le IDF solo nel conflitto di Gaza:

In un umoristico cenno alla politica americana, sia Biden che Trump si sono presi separatamente il merito dell’accordo di cessate il fuoco, sebbene la CNN sostenga che entrambe le parti abbiano lavorato insieme su di esso. Tenete presente che Netanyahu ha recentemente sospeso i piani per partecipare all’insediamento di Trump, a quanto si dice, dopo lo sgarbo di quest’ultimo: Trump ha pubblicato un video di Jeffrey Sachs che chiama Netanyahu un “profondo, oscuro figlio di puttana”.

In effetti, Haaretz ha addirittura affermato che la recente “aggressività” di Trump, che probabilmente include la frecciatina di cui sopra, ha portato al cessate il fuoco, presumibilmente perché Netanyahu ha letto il cambiamento nel vento e ha capito che sarebbe stato adesso o mai più, poiché la futura amministrazione di Trump è percepita come dotata di un approccio più duro e pratico nel raggiungere un accordo:

I “patrioti” israeliani si sentono traditi da un Trump che aveva affermato di voler dare ad Hamas “l’inferno” e che ha subito costretto Bibi a un accordo:

Zimri: “Quindi tutta la sua gente ha mentito: è una grande delusione”.

Magal: “Parla dell’inferno e nel frattempo manda il suo inviato a firmare un accordo. È un accordo il cui impatto sarà molto difficile. Questa è la verità.” Ha aggiunto che l’ultima speranza rimasta è che Hamas rifiuti un accordo: “Un ministro del governo mi ha detto che dobbiamo pregare di nuovo affinché Dio indurisca il cuore del faraone.”

Ma naturalmente, questo è solo l’ultimo capitolo dell’incubo ciclico e senza fine del colonialismo razzista israeliano:

Non possiamo avere grandi confidenze sul suo successo, soprattutto considerando che alti funzionari israeliani come Ben-Gvir hanno già espresso la speranza che l’accordo fallisca e senza dubbio faranno del loro meglio per indebolirlo in ogni modo possibile.

Ha anche poca attinenza con i continui attacchi di Israele su vari altri paesi circostanti, dal Libano e dalla Siria allo Yemen. Israele ha persino intensificato gli attacchi su Gaza oggi, uccidendone una dozzina circa, si suppone che avessero bisogno di saziare la loro sete di sangue come consolazione per l’imminente cessazione delle ostilità.

In effetti, un rapporto appena precedente sosteneva che Israele aveva addirittura scatenato il suo primo attacco diretto contro le truppe di Jolani:

L’aeronautica militare israeliana ha condotto il suo primo attacco contro le forze del gruppo terroristico HTS, che ha preso il potere in Siria.

L’attacco aveva come obiettivo un convoglio di militanti nella provincia di Quneitra per impedirgli di avvicinarsi alle forze dell’IDF presenti sul territorio.

Fu proprio in quel periodo che Erdogan rivolse un forte rimprovero a Netanyahu, invitandolo a smettere di colpire la Siria, mentre continuavano a crescere le tensioni tra la Turchia e i suoi alleati siriani e Israele.

Erdogan:

“Le azioni aggressive delle forze che attaccano il territorio siriano, Israele in particolare, devono cessare il prima possibile. Altrimenti, causeranno esiti sfavorevoli per tutti.”

Non ci resta che speculare se questa nuova minaccia in aumento sia la principale delle ragioni per cui Netanyahu ha finalmente acconsentito a un cessate il fuoco che aveva rifiutato molte volte in precedenza. Con la continua pessima performance dell’IDF, in particolare il suo grave fallimento nell’incursione nel territorio libanese, Netanyahu potrebbe aver scelto di ridurre il peso della guerra su più fronti per liberare risorse da concentrare sulla potenziale nuova minaccia dall’asse turco-siriano.

Il fetore di tutto ciò seguirà i demoni dell’amministrazione Biden per molti anni a venire:


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