30° podcast_Primarie elezioni americane 2020_Il partito repubblicano, di Gianfranco Campa

Nel podcast precedente Gianfranco Campa ha prospettato la situazione nel Partito Democratico in vista delle elezioni presidenziali del 2020. In questo podcast ci offre qualche aggiornamento su una situazione già così fluida per poi passare a qualche rapido cenno sulle dinamiche nel versante politico opposto, il Partito Repubblicano. Non c’è ancora molto da dire. Tutto dipende dall’eventuale ricandidatura di Donald Trump. Nel caso dovesse farlo, eventuali candidature alternative serviranno probabilmente a comprendere la forza della fronda al Presidente interna a quel partito. I guai verranno fuori prepotentemente in caso di rinuncia di Donald Trump. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

 https://soundcloud.com/user-159708855/podcast-episode-30

Peter Altmaier “Nationale Industriestrategie 2030”, di Alessandro Visalli

I veli di ipocrisia e le cortine fumogene legate ad una visione ed ambizione unipolare del dinamiche geopolitiche, del quale il multilateralismo rappresenta la forma più sofisticata di sistema di relazioni, stanno cadendo uno alla volta man mano che le ambizioni di diversi attori geopolitici cominciano ad emergere in aperta competizione. L’ambito economico rappresenta sì uno degli spazi di intervento, ma direttamente connesso agli altri e subordinato e impregnato di strategie politiche. Il piano strategico nazionale dell’industria tedesca, ampiamente illustrato e commentato da Alessandro Visalli, ci offre un ulteriore tassello di una rappresentazione più realistica di queste dinamiche entro le quali si possono collocare eventi importanti come il recente trattato franco-tedesco. Realismo che contribuirà a far sbiadire ulteriormente l’aura di potenza costruita artificialmente attorno a quel paese e alla sua classe dirigente. Una illusione dalla quale pochi sono riusciti a sottrarsi, tra questi il gruppo storico di conflitti e strategie del quale ha fatto parte l’attuale Italia e il mondo e pochi altri analisti italiani, tra questi Giuseppe Masala. Buona lettura_Giuseppe Germinario

NB_ Qui sotto un vecchio articolo su una parvenza di politica industriale in Italia

http://italiaeilmondo.com/2017/01/22/203/

Peter Altmaier “Nationale Industriestrategie 2030”

tratto da http://tempofertile.blogspot.com/2019/02/peter-altmaier-nationale.html

Il Ministro dell’industria e dell’energia del governo tedesco, Peter Altmaier dell’Udc, ha appena pubblicato un Rapporto preliminare per la strategia a medio termine del paese. Si tratta, come rimarca anche Bloomberg, di un documento di grande rilevanza per il riposizionamento ideologico, e quindi strategico, del paese guida dell’Unione Europea. Simili reazioni si sono avute su “Il Foglio”, secondo il quale “La Germania punta sullo Stato per garantire un futuro alla sua industria”, o da parte de “Il Giornale”, per il quale “Berlino alza le barricate per difendere le imprese dallo shopping cinese”. Sono usciti anche articoli per DW, “German minister defends controversial industrial strategy”, secondo il quale i critici (Ifo, ad esempio, o Lars Feld) sostengono che sia incompatibile con un’economia di libero mercato, o il New Observerper il quale la Germania definisce una strategia per i “campioni” nazionali. O, ancora, il Financial Times, che vede ‘una tinta francese’ nel riportare in primo piano la politica industriale.

Come scrive lo stesso Altmaier è la prima volta che viene elaborata un’esplicita strategia industriale il cui scopo è “fornire una risposta razionale” a questioni chiave del presente. In primo luogo l’aggressiva presenza internazionale dei fondi sovrani cinesi e il rischio che le nuove tecnologie ‘leggere’ e basate sull’informatica evoluta possano mettere in secondo piano la tradizionale abilità ingegneristica ‘hard’ della Germania.

Come vedremo il documento è uno splendido esempio di razionalità ordoliberale e conferma, a chi fosse stato in questi anni particolarmente distratto, che le élite centroeuropee inseriscono la propria azione in una consapevole ed intenzionale politica di potenza che ha tradizione e storia nel paese.

Secondo quanto sostiene il documento le “questioni chiave del presente” sono:

–        come sostenere i livelli di ricchezza del paese nel contesto di politiche economiche che a volte sono protezionistiche degli altri paesi e con riferimento alla sfida dell’innovazione? Su questa domanda centrale è innestato un richiamo storico-ideologico ben preciso, la centralità e protagonismo dello Stato nella tradizione ordoliberale rappresentata dalla figura chiave di Ludwig Erhard nella “creazione e conservazione delle prosperità[1]. Ovviamente, come risultava dal programma “Prosperità per tutti[2], di Erhard, la legittimazione di questo attivismo dello Stato è ricercata nella “promessa a tutti i cittadini, a tutti gli strati sociali”. Una promessa che per il Ministro è stata garantita dalla formula ordoliberale della “economia sociale di mercato[3] della quale viene rivendicata la superiorità rispetto a qualsiasi forma di economia pianificata, come dimostrerebbe anche l’introduzione di elementi di mercato in Cina[4].

–        L’equilibrio di potere economico mondiale è in una fase di cambiamento profonda e rapida, da un lato accelera la globalizzazione, ma dall’altro cambia; infatti aumenta l’intervento degli Stati e cessano gli accordi multilaterali. Dunque ci sono vincitori e perdenti, e siamo solo all’inizio di questa trasformazione.

–        La Germania deve agire consapevolmente in questa situazione, partecipando attivamente e con successo allo sviluppo in corso. In particolare occorre salvaguardare le competenze tecnologiche chiave, senza restare fermi, come Stato, e non fare nulla. In perfetta coerenza con l’approccio neoliberale la soluzione è avere insieme sia più Stato sia più economia di mercato. Ciò perché la composizione delle scelte individuali delle singole aziende non è sufficiente per contrapporsi con successo alle sfide globali. La politica industriale pubblica in questi casi deve promuovere, attivare e proteggere le imprese e la vitalità delle forze di mercato, garantendo la conservazione dell’innovazione e della competitività. Questa è “responsabilità e compito dello Stato”, in linea con i principi della “economia sociale di mercato”.

Più in dettaglio, gli obiettivi del Programma sono:

–        lavorare con le parti al recupero della competenza tecnologica e della leadership industriale, a livello nazionale, europeo e mondiale in tutti i settori permanenti.

–        Farlo come condizione della performance economica complessiva della Germania e del benessere dei suoi cittadini.

–        Aumentando gradualmente la quota del valore aggiunto industriale verso il 20% su base europea e il 25% su base nazionale.

–        Utilizzando essenzialmente le forze del mercato privato e solo eccezionalmente l’intervento diretto dello Stato.

Descrivendo la situazione di background e quindi le sfide il Rapporto individua una congiuntura nella quale il vantaggio dell’industria tedesca si sta rapidamente riducendo. Fino ad ora i costi di manodopera e produzione relativamente più alti erano stati compensati efficacemente dalla superiorità tecnologica e quindi in termini di qualità. Ma i paesi competitori, ed in primis la Cina, stanno riducendo rapidamente il gap, grazie a joint venture, acquisizioni, ed investimenti in ricerca. D’altra parte ci sono settori, come i nuovi materiali e le innovazioni di automotive sostenibile, nei quali la Germania è in ritardo. Oppure come l’accesso globale e “l’economia piattaforma”, che sono egemonizzati dagli Usa o in Cina.

Invece nella IA la ricerca è abbastanza avanzata, ma le applicazioni sono indietro, ciò pone anche un problema di sovranità dei dati, ma più in generale di digitalizzazione (come ricordava qualche giorno fa Ashoka Mody[5]).

Altro settore arretrato è quello delle biotecnologie, o nella più generale ‘economia delle start-up’, data la presenza decisiva della finanza venture americana.

In definitiva il futuro e la competitività dell’industria tedesca dipende dalla capacità della parte pubblica di individuare e stimare le linee di sviluppo più promettenti in tempo utile, senza farsi catturare dal successo attuale, che potrebbe facilmente essere vanificato in futuro.

Del resto tutti gli altri principali paesi fanno una cosa del genere:

–        gli Stati Uniti si facevano guidare dai grandi gruppi tecnologico come Apple, Amazon, Google, Microsoft, che investono centinaia di miliardi di dollari in ricerca per la IA, la digitalizzazione, la guida automatica e la biotecnologia. L’attuale amministrazione ha modificato la rotta verso la protezione e stimolazione delle industrie di base come quelle metallurgiche, l’automotive e l’agricoltura.

–        Il Giappone investe sull’industria automobilistica, la IA, la robotica.

–        La Cina svolge una politica industriale molto attiva in oltre dieci settori-chiave, e con la nuova via della seta cerca di controllare la logistica mondiale. Il rischio è che in caso di successo interi settori potrebbero vedere il predominio cinese e dunque l’impossibilità di competere.

Dunque è necessario padroneggiare le nuove tecnologie, in particolare quelle ‘di base’ e potenzialmente ‘dirompenti’, come la digitalizzazione guidata dall’intelligenza artificiale, nella medicina diagnostica e nella guida, ad esempio, e lo sviluppo di piattaforme informatiche di messa in contatto dei fornitori e richiedenti dei servizi. Questa modalità di relazione e di gestione del mercato può creare, per il Rapporto, grandi vantaggi in termini di disponibilità e trasparenza dei prezzi, ma può anche agire nel senso opposto se sono interamente monopolizzate da pochi grandissimi attori che controllano dati e capitali[6].

Un altro settore chiave è la combinazione di automazione produttiva e comunicazione sulla base di piattaforme (Industria 4.0[7]), altri sono le nanotecnologie, le biotecnologie, i nuovi materiali e l’informatica quantistica.

La politica industriale tedesca, dunque, deve:

–        riaffermare la sovranità e la capacità industriale e tecnologica,

–        riconoscere e proteggere l’importanza di avere tutti gli anelli della catena del valore internamente nel paese, dove queste sono state interrotte, o sono a rischio occorre operare prevenire un’ulteriore erosione o invertirne il corso,

–        lottare per ogni posto di lavoro industriale, che è molto difficile da recuperare in seguito, per tutte le industrie, vecchie e nuove,

–        rafforzare le PMI, in particolare le medie aziende molto specializzate,

–        ma, al contempo, “le dimensioni contano”, quindi bisogna avere campioni nazionali in grado di competere alla pari con i giganti americani o cinesi, cosa che negli ultimi anni non è accaduto, tutti grandi gruppi sono storici, nessuno è emerso negli ultimi cinquanta anni,

–        assicurarsi che il divieto di acquisizione di società da parte di concorrenti stranieri si applichi per la sicurezza nazionale, come oggi, ma anche nei settori sfidati di leadership tecnologica sopra ricordati. In questi casi lo Stato può fornire assistenza e in casi limite intervenire direttamente per acquisirle; “pertanto è prevista la creazione di una struttura nazionale di partecipazione regolata dal Parlamento” che operi nei casi più grandi, di importanza economica e di rilevanza “esistenziale”, e in modo appropriato e proporzionale. Un esempio di immediata partecipazione statale necessarie è per ridurre la distanza competitiva che si sta creando nel settore della guida automatica,

–        stabilire che la protezione, attraverso interventi statali necessari per ragioni politiche generali, ed anche i sussidi mirati sono necessari per “compensare gli effetti negativi della concorrenza”, ripristinando condizioni di parità, “ciò deve essere possibile in conformità con la normativa UE”, ad esempio bisogna agire:

o   sui prezzi dell’energia elettrica e dell’energia,

o   sull’importo delle imposte sulle società,

o   sull’impatto dei contributi di sicurezza sociale (che devono essere sempre inferiori al 40%),

Forse spaventato dalle conseguenze di vasto profilo di quanto fin qui detto, in linea con la tradizione ordoliberale, ma in frizione con la retorica liberoscambista, segue la recita di un catechismo:

–        “Lo stato non può in nessun momento prendere decisioni commerciali per gli individui. Le aziende intervengono. Ogni azienda deve decidere da sola quale strategia vuole tenere e quali investimenti realizzare. Questo deriva dalla convincente unità di decisione e responsabilità. Ecco perché è compito di ogni azienda, che si tratti di investire in nuove tecnologie o no. Come il risultato di un’azione imprenditoriale deve rendere il successo e il fallimento altrettanto possibili se l’economia di mercato deve avere successo.

–        Lo stato non dovrebbe essere arbitro ed intervenire nella competizione tra le singole società, né nella competizione nazionale né in quella internazionale. È l’unico modo in cui il processo dell’allocazione ottimale delle risorse può avere successo, il miglior fornitore può affermarsi per il massimo valore aggiunto per tutti.

–        I principi del mercato e il vantaggio comparativo (Ricardo) restano validi. L’attenzione ad essi e la loro esecuzione sono nell’interesse di tutti gli interessati. Garantiscono che il successo di un’economia non è a spese di un’altra. Piuttosto possono crescere insieme e diventare più forti se riconoscono questi principi e li applicano”.

Quindi la Germania è sì impegnata per mercati aperti, e per l’espansione del multilateratismo come garanzia verso il protezionismo, ma contemporaneamente deve “lavorare intensamente per eliminare le disuguaglianze e gli svantaggi esistenti”. E quindi contrastare attivamente le distorsioni della concorrenza negli altri paesi, a tale scopo:

1-     Revisionare la dottrina degli aiuti di Stato e del diritto alla concorrenza,

2-     Abilitare aiuti temporanei in settori di elevata innovazione,

3-     Contrastare il dumping e l’abuso di posizione dominante,

4-     Facilitare le aggregazioni industriali nelle aree in cui servono grandi dimensioni per competere.

Questa politica industriale deve peraltro, per il documento, anche diventare la politica della UE; quindi anche nei paesi nei quali è in corso una deindustrializzazione (es. Italia) questa deve essere fermata[8]. Si propone la formazione di un “Consiglio dei Ministri dell’Industria”.

Non sfugge che se faccio discendere il benessere dei cittadini, e la legittimazione dell’azione e della stessa esistenza della funzione pubblica, dalla presenza di ‘campioni nazionali’ e di leadership nei settori di punta interpretando la competizione come predominio, il confine tra ‘libero’ mercato di scambio e ‘distorsione’ diventa confuso. Dal punto di vista che si assume, e che si difende orgogliosamente, il nazionalismo economico è solo a qualche centimetro di distanza.

La Germania, insomma, conferma ancora una volta che quando il proprio interesse nazionale, e quello delle sue principali lobbies, è minacciato è capace di svolte repentine. Purtroppo, anche quando prende una linea che potrebbe essere condivisa, tende a farla per le ragioni che riverberano la sua storia[9].

 

[1] – La differenza tra liberalismo classico e neoliberalismo, in particolare nella versione ordoliberale, è che il secondo enfatizza molto di più l’ordine come dovere politico e l’appello alla responsabilità individuale, che lo porta a temere l’economia di comando (Ropke) e l’eccessiva crescita del potere dello Stato, causa della dissoluzione del legame sociale per effetto della deresponsabilizzazione. Tuttavia l’azione dello Stato è legittima e necessaria proprio per promuovere l’aumento della qualità della vita (l’argomento qui stilizzato da Altmaier),e  per creare un’organizzazione economicamente efficiente e rispettosa della dimensione morale dell’uomo, come dice Eucjker, 1952, “capace di funzionare e degna dell’uomo”. Centrale, nella prospettiva ordoliberale, in questo similmente a quella neoliberale, è la concorrenza, che si va a sostituire in posizione centrale anche al libero mercato competitivo fondato sullo scambio e quindi alla metafisica naturalistica (e teologica) della ‘mano invisibile’. La concorrenza è il principio cardine dell’ordine economico, capace di salvaguardare al contempo la libertà. Ma, questo il punto cruciale, la concorrenza non è un dato naturale, ma l’essenza che deve essere imposta in forza di una ‘decisione di base’, come diceva Erhard. Gli interventi statali sono quindi possibili e necessari, ma devono essere ‘giusti’ in base agli obiettivi istituiti e una ‘politica regolatrice’ orientata ad eliminare gli ostacoli frapposti all’affermazione dei principi di concorrenza.

[2] – L. Erhard, “Benessere per tutti”, Garzanti, 1957. In questo libro lo Stato è posto come protettore supremo della concorrenza e della stabilità monetaria. L’intervento pubblico è legittimo in quanto ogni cittadino ha diritto di godere di uguaglianza di diritti e di un quadro istituzionale stabile. Gli interventi devono riferirsi sempre a regole generali e mai privilegiare singole posizioni, avvantaggiandole.

[3] – Nel saggio di Bohm, “Società privata e economia di mercato”, 1966, viene rovesciata la tradizionale gerarchia tra diritto pubblico e diritto privato e quindi fonda il “sociale” come gioco tra individui sottomessi ad un unico ordine giuridico (di diritto privato). “Economia sociale di Mercato”, termine messo in campo da Muller-Armack, fra i negoziatori del Trattato di Roma, significa allora economia di mercato e nella quale si instaura la ‘democrazia del consumo’ per mezzo della concorrenza. L’economia è ‘sociale’ perché obbedisce alle scelte dei consumatori, un concetto che fu inizialmente criticato dai socialisti, per i quali il termine rinviava casomai a solidarietà e cooperazione. Ma per Armack questa forma produce la massima ricchezza e benessere, ed è ‘ordine artificiale’ istituito con un atto definitorio degli scopi essenziali di una società. Nel definirli è dunque l’atto (di fondare la concorrenza come principio di ordine) che costituisce la società, rovesciando il meccanismo rousseuiano. Dunque, anche se può non sembrare, la “economia sociale di mercato” degli ordoliberali è proprio direttamente opposta allo Stato Sociale, o stato welfarista, il cui funzionamento tende a ridurre la concorrenza.

[4] – Casomai sarebbe il peculiare sistema misto, nel quale tuttavia predomina ampiamente lo Stato che provvede a garantire i risultati economici ed individuali, ad essere all’origine del successo cinese. E’ difficile immaginare due culture così lontane.

[5] – Ashoka Mody non si stupisce dell’avvio della recessione nella seconda metà del 2018 in Germania. Secondo la sua analisi le cause sono molteplici: il rallentamento del commercio mondiale nel 2018 e dell’economia cinese, a sua volta causato in parte dalla interruzione di stimoli che rischiavano di far crescere eccessivamente bolle immobiliari e creditizie nel paese orientale, in parte dai conflitti commerciali in corso. Secondo fattore, il calo vertiginoso delle vendite di auto, diesel in particolare, sul mercato interno tedesco a causa degli scandali avviati dagli Usa. C’è molta geopolitica in questa congiuntura, ma c’è anche molta fragilità strutturale del sistema tedesco: un’enorme dipendenza dalla domanda estera, e paradossalmente dalle politiche pseudo-keynesiane che in patria si rifiutano ma che all’estero si sfruttano parassitariamente. Ancora, l’obsolescenza della struttura industriale e persino della cultura tecnica a causa di storiche carenze di investimenti pubblici e privati in un’economia interamente rivolta alla tesaurizzazione finanziaria. Ora servirebbe la politica, ma gli interessi costituiti di un’industria che vale il 14% del Pil e che non si vuole rinnovare verso la motoristica elettrica e verso una maggiore elettronica che oscura i tradizionali punti di forza ingegneristici del paese, li impediscono. La Germania, sostiene Mody, rischia di perdere la corsa tecnologica globale, mentre l’economia si polarizza tra vecchi lavori sicuri in sofferenza, per l’internazionalizzazione delle reti di produzione, e il lavoro povero che si estende, e quindi mentre il quadro politico si frammenta.  Cfr “German is a diminished giant, and that spells trouble for Europe”.

[6] – Ad esempio Amazon, cfr “Amazon e il suo monopolio

[7] – Cfr, “Industria 4.0 e le sue conseguenze”.

[8] – La coerenza con il primato della ‘capacità competitiva’, che significa della capacità di prevalere, dei campioni e dei settori nazionali, con l’affermazione che l’intera Europa deve industrializzarsi scaturisce dalla pratica: con il mercato interno più forte, e con la corona di paesi satellite istituita, la Germania è nella posizione di subordinare le altre filiere produttive, incorporandole in posizione subalterna nella propria rete logistica e di subfornitori. In linea di massima è quanto sta succedendo, come si vede anche dalle reazioni dei ceti imprenditoriali del nord Italia al rischio di scontro e/o rottura.

[9] – Si veda, ad esempio, Marc Bloch, “La natura imperiale della Germania”, Emile Durkheim, “La Germania al di sopra di tutto”.

Venezuela! Apparenze e realtà_intervista a Giuseppe Angiuli

Le informazioni che ci arrivano dal Venezuela devono attraversare un filtro molto selettivo costituito dai partigiani del regime di Maduro e dai suoi più feroci avversari. Comprensibile nel clima di scontro aperto ormai generatosi per la contrapposizione durissima all’interno del paese e per il gioco geopolitico cruciale in atto in una area, l’America Meridionale, sino a poco tempo fa considerata il cortile di casa esclusivo degli Stati Uniti. Quel continente ha conosciuto innumerevoli tentativi di emancipazione quasi tutti naufragati, con l’eccezione di Cuba, in pochi anni. Il Venezuela proseguirà su questa falsariga? Buon ascolto, Giuseppe Germinario

Giuseppe Angiuli aderisce al  Centro Studi per la promozione del Patriottismo Costituzionale. E’ una associazione politica che si pone quale obiettivo fondante il recupero della piena sovranità per l’Italia nell’auspicabile contesto di un nuovo mondo a carattere multipolare. 

Il Centro Studi organizza e promuove dibattiti, convegni e riflessioni prevalentemente sulle seguenti tematiche: critica al modello di  finanz-capitalismo globalista, liberazione dell’Italia dai Trattati ultra-liberisti dell’€urozona, adozione di misure ed interventi di tipo keynesiano in economia, rilancio del ruolo dirigista dello Stato nel campo della programmazione economica, rafforzamento di un sistema di welfare moderno ed inclusivo, ripristino di un modello solidale e garantista delle relazioni di lavoro.

Dalla mia palla di cristallo: colpo di Stato in USA?!, di Roberto Buffagni

Dalla mia palla di cristallo: colpo di Stato in USA?!

 

Cari Amici vicini & lontani, ieri la mia palla di cristallo è stata hackerata da qualcuno o Qualcuno, non so. O è stato Putin, o è stata un’Entità Non Identificata,  o è stato un dodicenne smanettone, fatto sta che quando l’ho accesa a) la trasmissione non era come al solito a colori, ma in bianco e nero b) i protagonisti della vicenda che mi ha presentato esistono, esistono eccome: sono il Presidente Trump e la Speaker del Congresso USA Nancy Pelosi; ma gli eventi che ho visto dipanarsi non, ripeto NON sono accaduti nella realtà.

Perlomeno, non sono accaduti nella nostra realtà, anche se ci sono coincidenze e sovrapposizioni tra la nostra realtà, la realtà a colori, e la realtà in bianco e nero che mi ha raccontato la palla di cristallo. Cercando una spiegazione, mi sono detto: “E se questi eventi si fossero effettivamente svolti in una realtà parallela? In un universo che esiste, invisibile e impercettibile, accanto al nostro?”

Va be’, la smetto con la fantascienza filosofica e vi racconto.

Vi ricordate che qualche giorno fa, nella nostra realtà a colori, il Presidente Trump ha fatto un dispetto alla Speaker del Congresso, la democrat Nancy Pelosi? No? Ve lo ricordo io.

La Pelosi programma un viaggio in due tappe, con un’ottantina di persone al seguito: Europa, sede Nato di Bruxelles, per un incontro con Macron, Merkel e rappresentanti delle FFAA americane ed europee; destinazione finale, Afghanistan. Ma Trump blocca il viaggio d’autorità, le manda una letterina provocatoria “In Afghanistan non ci vai, spendi troppo

e diffonde la foto del cumulo di bagagli di Nancy abbandonato su un carrello in corridoio, davanti al suo ufficio presidenziale.

Fin qui, tutto normale: la mia palla di cristallo me lo racconta in bianco e nero, ma è successo anche nella nostra realtà, la realtà a colori. 

Nella realtà parallela in bianco e nero, però, il dispetto di Trump non è un dispetto, e non è un viaggio qualsiasi il viaggio di Nancy in Europa e in Afghanistan. Nella realtà parallela in bianco e nero, la Pelosi se ne va in Afghanistan per crearsi un alibi mentre accade un evento che è qualcosa di più di un dispetto: e fa tappa alla sede NATO di Bruxelles per preparare il terreno alle conseguenze di quell’evento.

A proposito! Che ci fa la Pelosi con quella dozzina di bagagli per un viaggio di pochi giorni?

L’evento che racconta in bianco e nero la mia palla di cristallo – l’evento che si svolge nella realtà parallela – è un attentato alla vita del Presidente Trump e del Vicepresidente Pence. Un giovane estremista islamico uccide Presidente e Vicepresidente degli Stati Uniti, e dunque fa accedere alla Presidenza la terza carica dello Stato nordamericano: la Speaker del Congresso Nancy Pelosi.

Anche nella nostra realtà a colori era previsto che proprio nei giorni in cui Nancy programmava di trovarsi in Afghanistan, Trump e Pence comparissero insieme in un evento pubblico. Poi però, annullato da Trump il viaggio di Nancy, all’evento pubblico ha partecipato di persona il solo Vicepresidente Pence. Trump si è limitato a una partecipazione in videoconferenza. C’è di più. Sempre nella nostra realtà a colori, il 18 gennaio scorso Donna Brazile[1], personalità al vertice dei Democrats USA, ha twittato: “Madam Speaker today/President Pelosi shortly thereafter/MLK weekend is underway”. Traduzione: “Oggi Signora Speaker/Fra poco Presidente Pelosi/il fine settimana dedicato alla memoria di Martin Luther King sta arrivando”. Il Martin Luther King Day 2019 è stato lunedì 21 gennaio, e dunque il MLK weekend era sabato 19 e domenica 20. Ma..maledetta palla! Il messaggio è scomparso. Cos’è? Censura ai tempi di Merlino, dai posteri conosciuto come Zuck er Berg? Ops! Un momento! Sono riuscito a fissare il messaggio nei miei occhi. Eccolo!

 

In quei giorni era previsto che la Pelosi fosse in viaggio.

E qui finisce la trasmissione della mia palla di cristallo. Grazie al Cielo, il terribile evento che mi ha raccontato in bianco e nero  non è accaduto a colori, nella nostra realtà.  Se davvero la trasmissione in bianco e nero della mia palla di cristallo proviene da un universo parallelo, non posso che compiangerne gli abitanti: l’assassinio di Presidente e Vicepresidente degli Stati Uniti non solo è un colpo di Stato che sovverte le istituzioni e la società nordamericana, ma destabilizza il mondo intero, e rischia di provocare un conflitto militare tra le grandi potenze. Che il loro Dio Parallelo li aiuti.

Cari amici, ripeto! Attenzione e cautela. La palla di cristallo può essere veritiera, ma è una lente che ingrandisce, deforma, scopre altri mondi ad occhi che sanno e vogliono leggere. Nel nostro mondo dobbiamo accontentarci di tastare nell’ombra e scorgere, attraverso un spiraglio di luce caravaggesco, Nancy Pelosi che nel frattempo presiede alla firma della fine dello shut down con un corredo rituale di otto penne.

 

 

Negli Stati Uniti una prerogativa da Presidente piuttosto che da portavoce della Camera. Cosa vorrà dire?

 

 

[1] https://en.wikipedia.org/wiki/Donna_Brazile

GLI USA E L’EGEMONIA DISTRUTTRICE a cura di Luigi Longo

GLI USA E L’EGEMONIA DISTRUTTRICE

a cura di Luigi Longo

 

 

L’ambigua ritirata statunitense dalla Siria e il nulla osta dato ad Israele di attaccare le installazioni militari iraniane in Siria hanno come obiettivo di fondo la guerra contro l’Iran.

Propongo, al riguardo, la lettura dell’articolo di Manlio Dinucci, apparso su il Manifesto del 22 gennaio 2019 con il titolo Israele, licenza di uccidere, perché mette in evidenza il ruolo di Israele e della Nato nelle strategie statunitensi nel Medio Oriente finalizzate alla pianificazione della prossima guerra con l’Iran, per ostacolare il temuto coordinamento tra Russia, Cina e le potenze emergenti (come l’Iran) in grado di mettere in discussione l’egemonia distruttrice degli Usa. La stessa strategia fu realizzata dagli USA per la distruzione della Libia, tramite i loro sicari: Francia, Inghilterra e Italia, con l’uccisione di Mu’ammar Gheddafi.

Così scrissi nel 2015:<< Gli USA nel 2011, tramite la Francia e l’Inghilterra (che avevano ed hanno interessi economici e di accaparramento di risorse energetiche), l’Italia (che oltre a perdere i suoi interessi economici ed energetici doveva e deve svolgere il ruolo di nazione-spazio di infrastruttura militare a disposizione dei comandi USA e USA-NATO) e i miliziani dell’IS, hanno dato la stura alla disintegrazione di una nazione e di un popolo come la Libia. Mu’ammar Gheddafi è stato eliminato per ragioni evidenti e precise: per aver portato la Libia ad essere una nazione superando le divisioni tribali; per averla fatta diventare la nazione sovrana più importante dell’Africa; per aver costruito una strategia di sviluppo non dipendente soltanto dalle risorse energetiche; per le sue azioni politiche ed economiche intraprese in Medio Oriente; per il ruolo svolto nella costruzione dell’Unione Africana (gli stati uniti d’Africa) con obiettivi strategici di autodeterminazione e di costruzione di un polo geopolitico sovrano come il continente africano, con una sua moneta, un fondo monetario africano, una banca centrale africana; per il suo anticolonialismo >>*.

Gli Usa sono una potenza mondiale devastante, distruttrice di popoli e di territori; sono l’emblema di una crisi profonda dell’Occidente che non riesce ad esprimere più un senso della vita, un’idea di rapporto sociale e di sviluppo; altro che contraddizioni: c’è il vuoto! Certo, la vita continua, nonostante tutto, ma si regge su un equilibrio dinamico sociale “sopra la follia” (parafrasando Vasco Rossi).

La mancanza di una idea di sviluppo, di un nuovo rapporto sociale trova la sua ragion d’essere nella fine di un’idea della modernità. Siamo in presenza di uno sviluppo squilibrato sotto tutti gli aspetti (umano, politico, economico, sociale, culturale, scientifico, tecnologico) che ha ridotto la modernità a un nonsense, cioè a quella incapacità di vedere le storture presenti e ad immaginare che, a partire da esse, sia possibile rilanciare una nuova modernità basata su paradigmi diversi proprio a iniziare dalla prima esperienza storica della modernità.

I nostri decisori attuali e passati sono servi volontari e, come tali, non hanno nessun interesse a pensare strategie di cambiamento per ribellarsi al padrone USA (siamo molto al di sotto della dialettica hegeliana del servo-padrone!), con l’unico risultato evidente di portare il Paese (e intendo la maggioranza della popolazione che non decide nulla!) al degrado economico, politico, sociale e culturale.

 

 

* Luigi Longo, Che ci fa l’Islamic state (IS) in Libia? Perché non lo chiediamo agli Usa, in www.conflittiestrategie.it, 2/3/2015.

 

 

 

 

 

 

 

ISRAELE, LICENZA DI UCCIDERE

L’arte della guerra. Dopo che Israele ha ufficializzato l’attacco contro obiettivi militari iraniani in Siria, sui media italiani nessuno ha messo in dubbio il «diritto» di Tel Aviv di attaccare uno Stato sovrano per imporre quale governo debba avere

Manlio Dinucci

 

«Con una mossa davvero insolita, Israele ha ufficializzato l’attacco contro obiettivi militari iraniani in Siria e intimato alle autorità siriane di non vendicarsi contro Israele»: così i media italiani riportano l’attacco effettuato ieri da Israele in Siria con missili da crociera e bombe guidate. «È un messaggio ai russi, che insieme all’Iran permettono la sopravvivenza al potere di Assad», commenta il Corriere della Sera.

Nessuno mette in dubbio il «diritto» di Israele di attaccare uno Stato sovrano per imporre quale governo debba avere, dopo che per otto anni gli Usa, la Nato e le monarchie del Golfo hanno cercato insieme ad Israele di demolirlo, come avevano fatto nel 2011 con lo Stato libico.

Nessuno si scandalizza che gli attacchi aerei israeliani, sabato e lunedì, abbiano provocato decine di morti, tra cui almeno quattro bambini, e gravi danni all’aeroporto internazionale di Damasco, mentre si dà risalto alla notizia che per prudenza è rimasta chiusa per un giorno, con grande dispiacere degli escursionisti, la stazione sciistica israeliana sul Monte Hermon (interamente occupato da Israele insieme alle alture del Golan).

Nessuno si preoccupa del fatto che l’intensificarsi degli attacchi israeliani in Siria, con il pretesto che essa serve come base di lancio di missili iraniani, rientra nella preparazione di una guerra su larga scala contro l’Iran, pianificata col Pentagono, i cui effetti sarebbero catastrofici.

La decisione degli Stati uniti di uscire dall’accordo sul nucleare iraniano – accordo definito da Israele «la resa dell’Occidente all’asse del male guidato dall’Iran» – ha provocato una situazione di estrema pericolosità non solo per il Medio Oriente. Israele, l’unica potenza nucleare in Medioriente – non aderente al Trattato di non-proliferazione, sottoscritto invece dall’Iran – tiene puntate contro l’Iran 200 armi nucleari (come ha specificato l’ex segretario di stato Usa Colin Powell nel marzo 2015).

Tra i diversi vettori di armi nucleari, Israele possiede una prima squadra di caccia F-35A, dichiarata operativa nel dicembre 2017. Israele non solo è stato il primo paese ad acquistare il nuovo caccia di quinta generazione della statunitense Lockheed Martin, ma con le proprie industrie militari svolge un ruolo importante nello sviluppo del caccia: le Israel Aerospace Industries hanno iniziato lo scorso dicembre la produzione di componenti delle ali che rendono gli F-35 invisibili ai radar.

Grazie a tale tecnologia, che sarà applicata anche agli F-35 italiani, Israele potenzia le capacità di attacco delle sue forze nucleari, integrate nel sistema elettronico Nato nel quadro del «Programma di cooperazione individuale con Israele».

Di tutto questo non vi è però notizia sui nostri media, come non vi è notizia che, oltre alle vittime provocate dall’attacco israeliano in Siria, vi sono quelle ancora più numerose provocate tra i palestinesi dall’embargo israeliano nella Striscia di Gaza. Qui – a causa del blocco, decretato dal governo israeliano, dei fondi internazionali destinati alle strutture sanitarie della Striscia – sei ospedali su tredici, tra cui i due ospedali pediatrici Nasser e Rantissi, hanno dovuto chiudere il 20 gennaio per mancanza del carburante necessario a produrre energia elettrica (nella Striscia l’erogazione tramite rete è estremamente saltuaria).

Non si sa quante vittime provocherà la deliberata chiusura degli ospedali di Gaza. Di questo non ci sarà comunque notizia sui nostri media, che hanno invece dato rilievo a quanto dichiarato dal vice-premier Matteo Salvini nella recente visita in Israele: «Tutto il mio impegno per sostenere il diritto alla sicurezza di Israele, baluardo di democrazia in Medio Oriente».

 

10 domande sulla guerra, di Elio Paoloni

Domande assolutamente ben poste da Elio Paoloni. Sia per il merito delle motivazioni e degli argomenti che le legittimano, sia per il momento scelto. Conoscendo Elio e la sua posata inquietudine, deve averci rimuginato parecchio. Il suo appello ad intervenire sull’argomento è probabilmente il segno di una crescente apprensione riguardo alla situazione e alle dinamiche che stanno avviluppando il mondo, quello a noi apparentemente lontano e quello prossimo, all’interno stesso della nostra casa. I vecchi equilibri stanno rapidamente saltando come pure le prassi e le chiavi di interpretazione che ci hanno guidato e ingabbiato sino ad ora; con essi stanno cambiando stati d’animo e modalità di reazione non solo delle classi dirigenti ma anche di strati sempre più larghi di popolazione. A partire dal secondo dopoguerra le classi dirigenti italiche, più di ogni altra, hanno accuratamente rimosso questi temi. Una pesante cappa di conformismo ha oppresso sino a poco tempo fa quasi inavvertitamente il mondo intellettuale. Eppure il paese in passato ha conosciuto tra i propri figli il capostipite moderno, Machiavelli e ha conosciuto giganti, come Pareto e Gramsci, del realismo politico e della teoria politica. La catastrofe politica della seconda guerra mondiale e la successiva progressiva erosione del concetto stesso di difesa dell’interesse nazionale hanno prodotto una classe dirigente, a partire soprattutto dagli anni ’90, sempre più priva di radicamento identitario, abile a cogliere e vellicare soprattutto le debolezze di un popolo, del tutto incapace di assumere un qualsiasi ruolo attivo nell’agone europeo e mondiale. La condizione perfetta per trascinare nell’inconsapevolezza e nell’impreparazione generale ancora una volta una nazione tra i flutti di un mare geopolitico sempre più intricato. Qualche reazione inizia ad emergere. La fretta frenetica legata all’urgenza e all’accavallarsi degli eventi rischia di spingere a soluzioni forse peggiori, avventuriste e cialtrone, analoghe a quelle che ci hanno trascinato allegramente nella seconda guerra mondiale. Non sono mancate nel frattempo menti fertili e motivate, anche nell’oggi stesso; i più però conoscono l’ostracismo silenzioso, l’omertà e le blindature degli ambienti istituzionali. Italia e il mondo accoglie volentieri l’invito alla discussione di Elio Paoloni. E’ nata con queste finalità. Spera che sia colto negli ambienti cui il sito si rivolge ed anche oltre. Non pretende esclusive nella pubblicazione dei contributi; chiede semplicemente che ci siano trasmessi per fare di questo spazio un terreno concreto di confronto_Buona lettura_Giuseppe Germinario

 

 

10 domande sulla guerra

Diciamo subito che non si tratta qui di introdurre tesi pacifiste: si dà per scontato che chiunque non tragga direttamente vantaggi dalla guerra (non appartenga cioè a quella minoranza che non viene mai direttamente toccata da lutti e rovine) e non sia né fanaticamente indottrinato né patologicamente violento, desidera la pace; parimenti scontato è che questo non ha mai impedito le guerre. Rovesciando la nota formula di von Clausewitz, del resto, sia Carl Schmitt che Michel Foucault ebbero ad affermare che è la politica (la pace) ad essere continuazione della guerra con altri mezzi. Oppure vanno di pari passo, come notava argutamente Thomas Friedman: “La mano invisibile del mercato non funzionerà mai senza un pugno visibile. McDonald’s non può diffondersi senza McDonnel Douglas, il fabbricante di F- 15”.

 

Partiamo dunque da una incontrastabile verità: la guerra è ineliminabile, con buona pace dei pacifisti d’ogni tempo (non proprio di tutti i tempi dato che per secoli la categoria dei pacifisti non è esistita) i quali fanno bene a cercare di evitare questa o quell’altra guerra – folle chi non lo tenta – ma errano cercando di evitarla ‘ad ogni costo’, a prescindere. Chi davvero vuole la pace neppure la nomina. Prepara la guerra o fa finta di prepararla. “Tutte queste teorie sulla pace universale, le conferenze per la pace, ecc. – notava G. I. Gurdjieff –  non sono che pigrizia e ipocrisia. Se si costituisse effettivamente un gruppo sufficiente di uomini desiderosi di arrestare le guerre, essi comincerebbero a fare la guerra a coloro che non sono della loro opinione. Ed è ancora più certo che farebbero la guerra a uomini che vogliono anch’essi impedire le guerre, ma in un altro modo”.

 

Un terribile amore per la guerra, di James Hillman, si apre con una scena del film sul generale Patton, che passeggia per il campo di battaglia a combattimento finito: terra sventrata, carri armati bruciati, cadaveri. Volgendo lo sguardo a quello scempio, il generale esclama: «Come amo tutto questo. Che Dio mi aiuti, lo amo più della mia vita». Per Hillman la guerra è una pulsione primaria della nostra specie, dotata di una carica libidica non inferiore a quella delle pulsioni che la contrastano e insieme la rafforzano: l’amore e la solidarietà. Hillman spazza via la retorica degli adagi progressisti – basati su una lettura caricaturale della «pace perpetua» teorizzata da Kant – risalendo al carattere mitologico di tale ambivalenza: l’inseparabilità di Ares e Afrodite. Ma soprattutto, ricorrendo a dettagliati rapporti dal fronte, a lettere di combattenti, ad analisi di esperti in strategia – oltre che a tutti gli scrittori e tutti i filosofi che alla guerra hanno tributato meditazioni decisive, da Twain a Tolstoj, da Foucault a Hannah Arendt – Hillman ci rammenta la scandalosa verità: più che un’incarnazione del Male, la guerra è in ogni epoca – come mostrato dalla contiguità tra le descrizioni omeriche e i reportage dal Vietnam – una costante della dimensione umana. O meglio, troppo umana.

 

Non è il caso di insistere sugli aspetti antropologici, psicologici, sociologici della guerra, benché non si possa fare a meno di considerarli, sia pure di riflesso. Le pulsioni, gli istinti, i condizionamenti che inducono l’uomo alla violenza sono stati abbondantemente sviscerati, compresa quella, apparentemente nobile, della scoperta di sé: La guerra – scriveva Norman Mailer – è la prova di tutte le prove. È in guerra – sostiene – che un uomo va fino in fondo a se stesso e sa veramente chi è. L’idea che la guerra sia una cartina di tornasole per un uomo è antichissima ma la guerra è profondamente cambiata e, vivendo una fase di guerra per bande su scala planetaria, si partecipa in effetti a molti conflitti e forse – più o meno consapevolmente – lo stiamo già facendo, senza sottoporci, per ora, ad alcuna prova. Tuttavia l’alpinismo, o l’apnea profonda, potrebbero costituire un test meno pernicioso.

Per Erich Fromm la guerra reca vantaggi anche alla salute morale di una nazione: risveglia i valori di altruismo e di solidarietà… porta in luce i sentimenti essenziali… con la presenza della morte, dà un enorme valore alla vita… sarebbe molto utile nella nostra società in cui impera la crisi di identità e nella quale – a causa dell’impossibilità della guerra dovuta alla deterrenza nucleare – assistiamo all’aumento di criminalità, suicidi, problemi della droga e nevrosi. Salutare, insomma, come certe malattie, dopo le quali riscopriamo la bellezza della vita e l’importanza dei valori. I morti tuttavia non riscoprono un bel nulla.

 

Questa ricognizione tralascia in ogni caso l’atteggiamento del singolo violento o indottrinato, che non si rende conto quasi mai delle conseguenze delle sue azioni. E’ stata anche indagata, a dire il vero, la somiglianza tra i comportamenti del singolo e quelli di un organismo complesso. Ma si tratta del comportamento delle masse – che amplifica proprio le pulsioni più distruttive – quello descritto da Joseph de Maistre ne Le serate di San Pietroburgo: “L’uomo, colto all’improvviso da un furore divino, estraneo all’odio e alla collera, avanza sul campo di battaglia senza sapere quel che vuole e nemmeno quel che fa. Che cos’è dunque questo terribile enigma? Niente è più contrario alla sua natura e nulla gli ripugna di meno: compie con entusiasmo atti che lo fanno inorridire. Non avete notato che sul campo di morte l’uomo non disubbidisce mai? Potrà massacrare Nerva o Enrico IV; ma il più vergognoso tiranno, il più insolente macellaio di carne umana non sentirà mai pronunciare sul campo di battaglia la frase: Non vogliamo più servirvi. L’angelo sterminatore gira come il sole attorno a questo infelice globo e non lascia respirare una nazione se non per colpirne altre”. In effetti la jacquerie fu una rivolta contro il fisco, non contro la leva.

 

Nel suo carteggio con Freud sulla necessità di evitare la guerra, Einstein citava i mezzi con i quali una minoranza può asservire alla propria cupidigia le masse (scuola e stampa innanzi tutto) ma era incredibilmente perspicace – e controcorrente – anche nell’individuare il bersaglio più facile: non le masse incolte bensì la cosiddetta “intellighenzia” che cede per prima a queste rovinose suggestioni collettive, poiché l’intellettuale non ha contatto diretto con la rozza realtà, ma la vive attraverso la sua forma riassuntiva più facile, quella della pagina stampata. Stigmatizza proprio quello che oggi viene da più parti definito ‘ceto medio semicolto’. Più pessimista – o realista – Freud non credeva alla possibilità di evitare le guerre. Non lo riteneva, in fondo, neppure auspicabile: Le conquiste dei Romani diedero ai paesi mediterranei la preziosa pax romana. La cupidigia dei re francesi di ingrandire i loro possedimenti creò una Francia pacificamente unita, fiorente. Ma sa anche che i successi della conquista di regola non sono durevoli; le unità appena create si disintegrano. Un altro che credeva a una qualche utilità delle guerre, o almeno alla loro inevitabilità.

 

Per Julien Freund l’uomo può cambiare vita ma non cambiare la vita. Conducendo vita pia sul piano privato può sottrarsi al male (o al demoniaco) ma non può sconfiggere, sul piano pubblico, la vita stessa, ovvero l’impulso vitale volto all’accrescimento del potere: “Questo impulso di vita, nulla può esorcizzarlo, né una contabilità di tutti i morti di tutte le guerre, né i dipinti dell’orrore delle rivoluzioni”.

Ecco, questo termine così neutro, contabilità, è il denominatore degli interrogativi che seguono. Domande che riguardano pragmaticamente proprio l’utilità, ovvero gli aspetti economici e il rapporto costo/benefici, anche applicato, brutalmente, alle perdite umane. In particolare la soglia di perdite e distruzioni che i decisori ultimi si prefiggono nel momento di intraprenderla. E soprattutto il reale vantaggio che ne trae il paese vincitore ovvero la valutazione più difficile da farsi. La famosa definizione della guerra come ‘levatrice della storia’ presuppone un andamento lineare della storia, pur con temporanei arretramenti e deviazioni, in un progresso costante. Il nostro mondo è migliore di tutti quelli precedenti, sostengono tutti, tranne, a volte, gli sconfitti. Non vi è mai controprova, naturalmente. Ma anche ammesso che questo mondo sia migliore, chi ci dice che non avrebbe potuto essere ancora migliore senza la guerra che lo ha creato?

Nella storia non esiste possibilità di comparazione, purtroppo: l’ucronia è roba da romanzieri, non da storici.

Per gli storici – scriveva Elias Canettile guerre sono come sante: esse, simili a temporali utili o inevitabili, irrompono dalla sfera del sovrannaturale nell’ovvio e comprensibile corso del mondo. Io odio il rispetto degli storici dinanzi a una cosa solo per il fatto che è avvenuta, i loro criteri falsi, a posteriori, la loro impotenza che striscia dinanzi a ogni forma di potere.

Diversi storici – per amor del vero – hanno provato a riflettere sul “se invece”. Se un banale episodio può cambiare il corso di una vita, come in Sliding doors, figuriamoci una guerra. Non sarà scientifico supporre cosa sarebbe successo se avesse vinto Hitler (un classico) ma chiederselo è un’esigenza umanissima e potente. E’ ovvio che le narrazioni riguardanti il capovolgimento del corso delle guerre risultino più avvincenti. Ma sarebbe ben più utile immaginare cosa sarebbe successo se le guerre, molto semplicemente, non fossero state combattute. E’ possibile? E quanto è possibile avvicinarsi a quella che sarebbe stata la realtà senza quella guerra? Non è semplice curiosità, fatuo arzigogolare: riguarda in fondo proprio la possibilità di una valutazione razionale della lotta. Chi stila una dichiarazione di guerra deve pur avere in mente degli scenari.

 

La definizione futurista (sola igiene del mondo) mi è sempre sembrata stupida: se darwinianamente in guerra muore il più debole, si tratta della frangia debole del settore in ogni caso più forte: giovane, sano, dotato di abilità. Troviamo infatti del tutto naturale che a crepare sia il meglio della popolazione, gli unici che potrebbero davvero essere utili anche nella ricostruzione. E’ stata un’amica a farmelo notare, con buon senso tipicamente femminile. Perché piangere sulla morte dei vecchi e degli invalidi? E quei fior di giovani? Sono veloci, resistenti, manipolabili: ovvio che siano loro a dover essere spediti in battaglia. Ma a qualcuno è venuto mai in mente di mandare avanti un reggimento di vecchiardi? La Vecchia Guardia di Napoleone non fa testo, era una riserva, un corpo pretoriano.

Anch’io però, devo confessarlo, sono vittima dell’ipocrisia che porta a compiangere le vittime civili, categoria che ormai comprende solo vecchi e bambini, dato che le soldatesse (ammesso che desinenze del genere siano ancora consentite) hanno ottenuto – a partire dagli Stati Uniti – la facoltà di recarsi in prima linea, cancellando l’irragionevole discriminazione che permetteva loro di accoppare solo per interposto guerriero. Dal secondo conflitto mondiale, in effetti, assistiamo alla guerra totale, nella quale la popolazione viene coinvolta direttamente nella guerra (terroristicamente, con bombardamenti privi di qualsiasi interesse bellico) mentre in precedenza veniva coinvolta sì pesantemente ma solo dopo – o durante – la conquista di territori.

In ogni caso la Grande Guerra dette un’energica sfoltita anche agli esponenti del movimento futurista e Boccioni, prima di morire, fece in tempo a coniare l’equazione guerra=insetti+noia. Io mi sarei tenuto un gigante come Boccioni e avrei lasciato al nemico parecchie ettari di pietraia insieme ai tirolesi, che dobbiamo pure ricoprire d’oro. Così, a proposito di costi/benefici.

 

Vero è che la pulizia bellica serve a regolare l’equilibrio tra popolazione e risorse, anche se le nuove tecniche di coltivazione e allevamento smentiscono Malthus e i suoi nipotini. D’altro canto ogni paese spera che la diminuzione della ‘domanda’ avvenga a scapito dell’avversario. Nessuno troverebbe opportuno ridurre la propria di popolazione. Almeno in passato: oggi ormai la maggior parte dei conflitti è scatenata da una categoria di persone prive di reali radicamenti su un territorio, cosmopoliti di fatto, stranieri anche a se stessi, incapaci di patriottismo o di empatia con qualsivoglia popolo.

Di sicuro quella frase va riferita allo spazzar via istituzioni fatiscenti per far nascere un uomo nuovo, una società completamente diversa, anche tecnologicamente più progredita. “La guerra ha sempre promosso la mobilità sociale – notava Erich Fromm – infatti le classi dinamiche sono sempre a favore della guerra”. E siamo alle solite: occorrerebbe valutare, caso per caso, se le istituzioni ‘nuove’ nate da questa palingenesi siano state davvero auspicabili. Vi è una forte corrente di pensiero che ritiene aprioristicamente di sì. Io mi permetto di dubitarne ma gradirei il conforto del parere di persone non necessariamente reazionarie. Ambrose Bierce scrisse che Dio usa le guerre per insegnare la geografia alla gente. Qualcuno, di certo, le usa per divertirsi a disegnare cartine geografiche nuove. Onnipotenza 2.0.

 

Non prenderei in considerazione le rivoluzioni: scatenate da una classe sociale, o da un’etnia, hanno obiettivi sufficientemente chiari, per quanto finiscano vittime anch’esse, forse ancor di più, dell’eterogenesi dei fini. I rischi sono valutati con sufficiente accuratezza: cosa si ha da perdere (spesso, come da celeberrimo aforisma, solo le proprie catene), cosa si può ottenere. Le rivoluzioni, come i colpi di stato, riescono o falliscono, non sono soggette ad escalation. L’assalto al Palazzo d’Inverno costò cinque morti, anche se occorrerebbe considerare il lungo strascico contro le armate bianche. La lunghezza della lotta di Mao non fa testo perché spezzettata da guerre e coinvolgimenti diretti di potenze straniere.

 

La domanda fondamentale, a ben vedere, è questa: alea a parte, quanto conta la valutazione realistica e quanto, invece, gli organismi decisionali di un paese (ma anche di una grossa fazione, o di una minoranza, o di una banda criminale) ovvero le élites meno influenzabili, anzi deputate a influenzare, coloro insomma che conoscono bene le conseguenze, coloro che agiscono freddamente, episodicamente o per mestiere, e sanno valutare le probabilità di uscirne indenni, con vantaggio, possono a loro volta essere influenzati da pulsioni inconsce, da riflessi pavloviani, dall’orgoglio, da ogni genere di retaggio?

Carl Schmitt sosteneva che non esistono guerre condotte per motivi puramente religiosi, o puramente morali, o puramente giuridici, o puramente economici. Può sembrare che alcune siano state scatenate unicamente per l’uno o l’altro motivo, ma solo se vi era la possibilità di inserire tali motivazioni in una riconoscibile dicotomia amico/nemico. Distinzione che il giurista tedesco pone alla base di ogni agire politico, come si trattasse di un dato sociologico, ma che ci riporta, in fondo, alla psicologia del profondo.

Esistono dunque decisioni puramente razionali? Normalmente no: nessun individuo è un essere puramente razionale. Esattamente come le folle. Ma gli organismi che di solito decidono le guerre dovrebbero essere in grado di formulare quanto di più vicino a una decisione razionale. Raramente si tratta della decisione di un singolo: anche un dittatore o un monarca assoluto hanno consiglieri, ministri, gran vizir; interpellano generali che hanno conoscenze specifiche; spesso devono tener conto delle valutazioni di sostenitori, finanzieri, boiardi. E’ vero che ognuna di queste figure ha interessi personali – e non solo – da tutelare e che ognuno di loro è condizionato da fattori non razionali, tuttavia l’insieme di queste valutazioni, contemperandosi, dovrebbe condurre – viene da pensare – a una decisione informata, avveduta, logica; di sicuro al male minore.

Succede davvero questo?

 

Qualcuno ha fatto notare che la politica statunitense verso la Russia è stata dettata per decenni dalla russofobia di un ex polacco, Zbigniew Brzezinski e dalla volontà di rivalsa di Madeleine Albright, una cecoslovacca. Sciocchezze? Le decisioni sono in realtà prese da ampi organismi supportati da stuoli di esperti, consulenti, teste d’uovo? Sarà. Ma una cosa che ho imparato – da profano – è che la pervicacia e la furbizia di un singolo ben introdotto nei gangli di comando può determinare qualsiasi evento. La più grave eredità di un marxismo forse malinteso è quella di averci costretto a pensare solo in termini di masse, di forze, di condizioni oggettive: i protagonisti sono solo portati in carrozza da queste forze e ognuno di loro avrebbe potuto essere sostituito. E’ l’opportuno contrappeso a una storiografia affollata unicamente da biografie di re e condottieri, tuttavia, portata alle estreme conseguenze, ha effetti grotteschi. L’Italia del dopoguerra, ad esempio, era affollata da traditori, voltagabbana, vigliacchi e, soprattutto, avidi arrivisti; qualsiasi funzionario messo a capo di un ente pubblico si sarebbe adagiato nel tran tran. Non Enrico Mattei, patriota e grande statista (anche se non si occupò ufficialmente di politica e di governi). In compagnia di un gruppo di gitanti Lenin si impossessò in un batter d’occhio di un paese immenso. E Stalin ne ha fatto una potenza industriale e militare in pochi decenni. Condizioni oggettive? Nel bene e nel male l’abilità di un uomo e soprattutto le sue reali intenzioni, la sua devozione agli interessi della patria, fanno davvero la storia. E viceversa: un vigliacco, un folle, un venduto, possono distruggere una nazione in men che non si dica.

 

Tutti noi abbiamo ben impresse nella memoria immagini spaventose e. soprattutto, numeri spaventosi. Ma poniamo per un istante che a un soggetto avveduto, potente e scaltro, riesca una guerra lampo. Cominciamo col dire che occorrerebbe diffidare delle riuscitissime guerre lampo, spesso seguite da lutti decennali, come ebbero ad imparare Adolf Hitler, Saddam Hussein e poi Bush insieme ai suoi successori. Ma restiamo nel solco delle ipotesi più rosee: chi ci dice che la vittoria sarà un successo? Sembra un gioco di parole ma riguarda l’aspetto cui si accennava sopra: se ogni guerra è levatrice occorre attendersi qualche novità. Chi può assicurarci che saranno ancora importanti le risorse a cui il paese tendeva, magari rimpiazzate da altre conquiste della tecnologia? Non dimentichiamo che mentre ancora si combatteva sanguinosamente per la conquista delle piantagioni di caucciù si iniziavano a produrre i primi pneumatici in gomma sintetica. Come essere certi che i guadagni che una lobby si attendeva non saranno vanificati da variazioni finanziarie, monetarie, legislative? O che le mire della classe sociale che ha appoggiato quella guerra andranno in fumo perché una nuova classe si affermerà in seguito a quella guerra? Ripensiamo a un episodio: per ottenere un po’ di consenso i generali argentini si impossessarono di quattro isolette davanti casa e nel giro di pochi mesi perdettero ogni potere. Certi andazzi fanno venire in mente i versi di una canzone di Enzo Jannacci, “Si potrebbe andare tutti quanti allo zoo comunale/per vedere come stanno le bestie feroci/e gridare aiuto, aiuto è scappato il leone/e vedere di nascosto l’effetto che fa”. Qualcuno è andato allo zoo per segare davvero le sbarre e ha poi scoperto che quando i leoni scappano non ti puoi nascondere: ti buttano giù le torri, ti accoppano l’ambasciatore, ti sgozzano i giornalisti.

L’eterogenesi dei fini è un fenomeno ricorrente nella storia – come pure in ogni singolo atto quotidiano – ma alla fine di una guerra non è solo ricorrente: è matematico. Questo dovrebbe inibire le smanie di ogni potente, ancor più del rischio di una vittoria di Pirro, con danni e decimazioni tali da impedire qualsiasi trionfo. Ma non succede.

Troppi i fattori da considerare: chi decide cosa è irrinunciabile? Esistono prassi consolidate, naturalmente: ci sono apparati che sanno perfettamente cosa una determinata nazione deve considerare vitale. Non si tratta mai però di un solo fattore, e già decidere la gerarchia di essi è complicato: competenza e capacità di previsione non sono sufficienti. E se ci sono buone probabilità che la guerra asfalti il paese, che senso ha opporsi? Tanto vale salvare delle vite. Non tutti pensano che salvare la pelle sia la cosa più importante, ma a certi livelli non si può davvero immaginare di poter fare la conta per verificare quanti cittadini la pensano così, per cui si torna sempre allo stesso punto: quali saranno le priorità in tempi bellici dei governanti, solitamente eletti in tempi di pace per occuparsi dei bilanci economici e non dei bollettini delle perdite umane?

 

Poniamo allora le domande che tutti si sono posti almeno una volta, sforzandoci di evitare che risultino retoriche. E rammentando che difficilmente sarà un generale a illuminarci: in fondo non sono i militari a prendere la decisione fondamentale (come da ammonimento di Clemenceau: La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai militari). Neppure un economista avrà le risposte. Perché non può esserci un valore comune, oggettivo, di ‘mondo migliore’. Perché non c’è alcuna possibilità di calcolare l’equivalenza tra il costo di una vita umana e quello di un barile di petrolio, tra la frustrazione di un popolo e due palmi di territorio, tra la vita apparente dei reduci e le rosee prospettive commerciali. Oppure sì?

Difficile trovare risposta a domande che mescolano valori quantitativi a valori qualitativi. Sarebbero necessari gli sguardi di un sociologo, di un teologo, di un moralista, di un ingegnere, di uno storico e di uno storico dell’arte. Certe risposte sono appannaggio forse solo dei filosofi, o di grandi menti non specializzate. Magari dei poeti. Ma un ampio ventaglio di intervistati potrebbe darci di sicuro qualche lume.

 

 

 

 

1 – Quante volte, davvero, i costi economici di una guerra (vinta, s’intende) sono stati sopravanzati dai benefici? Joseph E. Stiglitz ha scritto sull’Iraq che una volta pagato il prezzo di questa guerra, il debito nazionale americano sarà aumentato di tremila miliardi di dollari. Quanto se ne può guadagnare con quel po’ di petrolio in più a buon prezzo a disposizione? Quanto ci guadagneranno le industrie belliche? Ma, soprattutto, quanti di quei soldi saranno pagati dalle industrie beneficiarie – sotto forma di tasse e di occupazione – e quanti invece dal contribuente medio? Si possono contabilizzare i vantaggi derivanti dall’impoverimento degli altri paesi, che avranno meno accesso – o accesso più caro – alle risorse petrolifere? E, soprattutto, queste stime chi è in grado di farle? Già, sono tante domande, però collegate.

 

2 – Il polpo sacrifica i tentacoli per salvarsi, come la lucertola la coda. Accessori che ricrescono. Quanti milioni di euro costituiscono la coda di una nazione? Quanti milioni di cittadini ne costituiscono un tentacolo? Quanti tentacoli può perdere un polpo senza morire? C’è un numero di morti accettabile per un paese? Anzi per un pianeta, visti gli attrezzi disponibili?

 

3 –  Forse il solo indiscusso merito della guerra dei cent’anni è stato quello di fornire agli storici, con la sua cessazione, un comodo spartiacque per indicare la fine del medioevo. Lo sfacelo economico e le sofferenze per la popolazione (in particolare per i sudditi continentali, i cui sovrani potrebbero essere considerati gli ‘aggressori’) sono indescrivibili: 116 anni di saccheggio sistematico, deliberato, ininterrotto; fame, malattia, stupri, degradazione, morte. Il Pangloss di turno opporrà che, nonostante la bancarotta di tutto un continente, alla fine il sistema feudale era stato sorpassato, la Pulzella aveva ricompattato i patrioti francesi (e purtroppo diviso i cattolici, dato che anche i nemici, all’epoca, erano cattolici) e il mondo entrava in una nuova era. Ma non si viveva meglio in un feudo pacifico e florido che sotto un sovrano avido, spietato, lontano? E, ammesso che così non fosse, i vari sovrani impegnati nella contesa hanno mai pensato, per un solo momento, a questi ipotetici – e in ogni caso puramente casuali – vantaggi per il popolo?

 

4 – Si pensa alle guerre come unico motore del progresso. Forse perché le ricerche militari impegnano velocemente grandi risorse nei miglioramenti tecnologici. Ma non basterebbero le gare di Formula 1? O l’industria aeronautica (la cui storia iniziò nel ‘700 per il puro diletto dei nobili) o astronautica (che nasce forse in un orizzonte militare ma è, appunto, orizzonte, non guerra guerreggiata, tant’è che americani e russi nello spazio ci vanno insieme)?

 

5 – Quanto migliore deve diventare un paese per giustificare la distruzione dei tesori d’arte, simboli della cultura e della religione del popolo che ha guerreggiato? Strade e ponti si ricostruiscono, certo, anche più moderni. Forse è per questo che dicono che è un mondo migliore. Magari più somigliante a quello del vincitore. Ma il Senso, l’Identità, la Dignità possono sopravvivere a certe demolizioni? Ammetto che questo aspetto è il meno quantificabile di tutti. Non è questione di numeri: c’è oro (o mucchio di diamanti, visto l’argomento) sufficiente a compensare la demolizione – operata dagli inglesi stessi durante la seconda guerra mondiale – del Crystal Palace di Londra, la prima struttura realizzata completamente in vetro, considerata uno dei più begli edifici mai costruiti, perché le sue rilucenti vetrate erano un pericoloso punto di riferimento per i bombardieri nazisti? O la distruzione del tempio di Gerusalemme, la violazione del Sancta Sanctorum, la sottrazione dell’Arca dell’Alleanza? Anche se, a pensarci bene, qualcuno potrebbe sostenere che la diaspora va vista come un fausto evento, avendo diffuso il genio ebraico nelle varie nazioni.

 

6 – Non è un caso che siano i giovani a dover combattere: tradizionalmente erano le ‘teste calde’, affascinate dall’avventura, desiderose di mettersi alla prova, di sfuggire alla monotonia borghese. Ma sono proprio i giovani, in Occidente, a infoltire le schiere dei movimenti pacifisti. Mollezza dell’Occidente o presa di coscienza?

 

7 – L’impero di Bisanzio, uno dei più lunghi e prosperosi di tutti i tempi, è stato anche quello che ha guerreggiato meno di tutti. Un mix di intimidazione, lusinghe, corruzione di funzionari stranieri, istigazione ai conflitti tra gli altri stati, li ha tenuti lontani da guerre vere per secoli. Possibile che solo i bizantini abbiano avuto questa capacità? Ci sono aspetti irripetibili, esclusivi di quell’Impero?

 

8 – ­Il modo più veloce di finire una guerra è perderla (George Orwell). Pare che così la pensassero gli ammiragli italiani durante la seconda guerra mondiale. Ma nella Grande Guerra, invece, si poteva fare una pace dopo i primi massacri di trincea, quando fu chiaro, come scrisse Mario Praz, che si trattava soltanto di un’agonia di animali in agguato? In quanti hanno capito che nessuno in realtà l’avrebbe ‘vinta’? E non parlo solo dello scarso – e controproducente – bottino italico. O i morti in realtà non contano (almeno finché non si prospetta una rivoluzione, come per la Russia nella prima Guerra Mondiale) e conta solo il ‘non perdere la faccia’?

 

9 – Ogni guerra è disputa di cani sopra un mucchio di croccantini. Inevitabile che ci si azzanni per la razione quotidiana (la razione K) ma alcuni cani vogliono anche un’altra razione. Giusto, è la scorta per domani. Poi c’è quella di dodopomani. Quando le pretese diventano eccessive? Quanto grano, o banane, o rame possono bastare a tenere in vita un paese? D’accordo, le risorse sono limitate per definizione; ciascuno vorrebbe averne l’accesso esclusivo. Ecco la guerra. Ma esiste una linea oltre la quale ci si sta accapigliando per il superfluo. E’ percepibile questa linea a chi aggredisce? Sa che è una guerra immorale? O a un certo punto la nozione stessa di superfluo viene meno?

 

10 – Finora ci siamo occupati di chi ha possibilità di decisione. Ci sono paesi che non hanno molta scelta: subiscono l’aggressione e basta. Forse anche loro avrebbero avuto qualche possibilità di evitarla accettando una razione di croccantini. Il punto è sempre lo stesso: la quantificazione. Quanti rospi si possono ingoiare? La sopravvivenza è accettabile a qualsiasi condizione? Tra le rigorose condizioni di legittimità morale che la Chiesa richiede per la legittima difesa si ritrova questa: “che ci siano fondate condizioni di successo”. Quando i Vietcong iniziarono la lotta pensavano davvero alla vittoria o bastava loro sapere che la reazione all’oppressione era giusta e onorevole, anche se fossero stati annichiliti? Il debole, dunque, deve subito capitolare? Oppure una sconfitta gloriosa (ma anche umiliante come quella di Sedan) potrebbe rinsaldare i sopravvissuti per secoli alimentando il revanscismo fino al riscatto?

il nuovo trattato franco-tedesco, a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto il testo del trattato franco-tedesco che verrà sottoscritto il 22 gennaio prossimo ad Aquisgrana in occasione del 59° anniversario del primo storico trattato sancito dai due governi.

Il contesto storico è molto diverso; l’autorevolezza e la credibilità dei due attuali contraenti non è paragonabile a quella dei primi garanti; gli stessi mallevadori di quel primo accordo, gli Stati Uniti, sembrano combattuti al proprio interno riguardo al destino da riservare alla attuale Unione Europea. La grandezza emotiva di quell’accordo poggiava su un retaggio; la memoria di due potenze l’una decaduta, l’altra distrutta da un conflitto estremo e risolutivo. La sua ambivalenza veniva dissolta in appena un paio di anni con il naufragio dei propositi gaullisti di separare l’alleanza politico-diplomatica atlantica dal sodalizio militare della NATO attraverso la creazione di un polo militare e di deterrenza nucleare autonomi franco-tedesco. L’ambivalenza del prossimo rischia di dissolversi nel momento stesso del concepimento dell’accordo. Esso poggia sul proposito di un unico mercato mondiale senza barriere, o per meglio dire con barriere e regole mirate, reso ipotizzabile solo da un dominio unipolare pressoché totale di una superpotenza. Ipotesi manifestamente impraticabile da parte di Stati Uniti e Cina, del tutto velleitaria da parte dell’asse franco-tedesco. Ciò non ostante, la forza di inerzia dei centri decisionali sostenitori di questo processo è ancora rilevante e può portare ad ulteriori sviluppi e sussulti dei rapporti comunitari prima e non ostante gli evidenti segni di decomposizione. I prossimi mesi ci diranno se si tratta ancora di un processo comunitario che interessa l’intero subcontinente europeo oppure della costruzione surrettizia di una area di influenza franco-tedesca più limitata all’interno dell’Europa, ma che consenta alla Francia di mantenere, pur se in condominio, una parvenza di egemonia nel Nord-Africa e nel Vicino Oriente. Sta di fatto che tutti i passi concreti, ancorché velleitari, di questo trattato, compresa la proposta di assegnazione del seggio dell’ONU alla Germania, contrasta con una retorica europeista sempre più spenta e autoreferenziale. Un progetto, nell’una e nell’altra veste che vede designata come vittima sacrificale la sorella Italia. In qualche maniera il nostro paese sembra aver superato la pressoché totale passività che ha contraddistinto la propria politica estera degli ultimi trenta anni; i nuovi centri politici in via di formazione non sembrano però ancora in grado di comprendere la natura, l’entità e la drammaticità dello scontro politico in atto. Le tentazioni di trasformismo e ritorno a Canossa sono ricorrenti non ostante il contenzioso tra Commissione Europea e stati nazionali sembra allargarsi ad altri protagonisti di tutto rispetto come la Spagna. La gestione della trattativa sui vincoli finanziari e la piega che sta prendendo la conformazione della futura Unione bancaria e dell’ESM non lasciano presagire granché di buono non ostante gli spazi aperti dal nuovo corso americano. Si spera che finiscano almeno le pratiche degli annunci roboanti seguite da “momenti Tsipras”. Il primo compito di queste forze è quello di assumere e far comprendere la durezza e le pesanti implicazioni di politiche di interesse nazionale magari meno urlate, ma più assertive. Un popolo va temprato e reso responsabile_Germinario Giuseppe

https://www.latribune.fr/economie/union-europeenne/le-nouveau-traite-franco-allemand-qui-sera-signe-le-22-janvier-804036.html

https://www.les-crises.fr/urgent-texte-integral-et-analyse-du-traite-franco-allemand-daix-la-chapelle-qui-sera-signe-le-22-janvier/

Trattato tra la Repubblica francese e la Repubblica federale di Germania sulla cooperazione e l’integrazione franco-tedesche

La Repubblica francese e la Repubblica federale di Germania

Riconoscendo lo storico successo della riconciliazione tra i popoli francese e tedesco a cui il trattato del 22 gennaio 1963 tra la Repubblica francese e la Repubblica federale di Germania sulla cooperazione franco-tedesca ha dato un contributo eccezionale e da cui è nata una rete senza precedente per le relazioni bilaterali tra le loro società civili e le loro autorità pubbliche a tutti i livelli,

Convinti che sia giunto il momento di elevare le loro relazioni bilaterali a un livello superiore e di prepararsi alle sfide che affliggono sia gli Stati che l’Europa nel 21 ° secolo, e di convergere le loro economie e modelli sociali, a promuovere la diversità e avvicinare le loro società e i loro cittadini,

Convinto che la stretta amicizia tra Francia e Germania sia stata decisiva e resti un elemento indispensabile di un’Unione europea unita, efficace, sovrana e forte,

Impegnati ad approfondire la loro cooperazione in materia di politica europea al fine di promuovere l’unità, l’efficacia e la coesione dell’Europa, pur mantenendo questa cooperazione aperta a tutti gli Stati membri dell’Unione europea,

Impegnato nei principi, nei diritti, nelle libertà e nei valori fondatori dell’Unione europea, che difendono lo stato di diritto in tutta l’Unione europea e lo promuovono all’estero,

In allegato a lavorare verso la convergenza sociale ed economica verso l’alto all’interno dell’Unione europea, per rafforzare la solidarietà reciproca e promuovere il costante miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro in conformità con i principi di base europea dei diritti sociali, compresi prestando particolare attenzione alle donne di empowerment e la parità di genere,

Riaffermando l’impegno dell’Unione europea a favore di un mercato mondiale aperto , equo e basato su regole, con l’accesso sulla base di reciprocità e di non discriminazione e governata da elevati standard ambientali e sociali,

Consapevoli dei loro diritti e obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite,

Impegnato fermamente a un ordine internazionale e al multilateralismo basato su regole, di cui le Nazioni Unite sono l’elemento centrale,

Convinti che prosperità e sicurezza possono essere raggiunte solo agendo con urgenza per proteggere il clima e preservare la biodiversità e gli ecosistemi,

Agire secondo le rispettive norme costituzionali e giuridiche nazionali e all’interno del quadro giuridico dell’Unione Europea,

Riconoscendo il ruolo fondamentale della cooperazione decentrata dei comuni, dipartimenti, regioni, Länder, il Senato e il Bundesrat, nonché la cooperazione tra il plenipotenziario della Repubblica federale di Germania per gli Affari Culturali del Trattato di cooperazione franco-tedesca e competenti ministri francesi,

Riconoscendo il ruolo essenziale della cooperazione tra l’Assemblea nazionale e il Deutscher Bundestag, in particolare nel quadro del loro accordo interparlamentare del 22 gennaio 2019, che costituisce una dimensione importante degli stretti legami tra i due paesi, hanno convenuto quanto segue :

Capitolo 1: Affari europei

Articolo 1 st

I due stati stanno approfondendo la loro cooperazione sulla politica europea. Promuovono una politica estera e di sicurezza comune efficace e forte e rafforzano e approfondiscono l’Unione economica e monetaria . Si sforzano di ultimare il completamento del mercato unico e di costruire un’Unione competitiva basata su una solida base industriale, che serva da base per la prosperità, promuovendo la convergenza economica, fiscale e sociale , nonché il carattere duraturo in tutte le sue dimensioni.

Nota OB: ma in nome di cosa dovremmo convergere con gli standard tedeschi, e non con quelli italiani, ad esempio?

Articolo 2

I due Stati membri si consultano regolarmente a tutti i livelli preliminarmente i principali eventi europei, cercando di stabilire posizioni comuni e di concordare prese di posizione coordinate tra i loro ministri. Si coordinano sul recepimento della legge europea nella propria legislazione nazionale.

Capitolo 2: Pace , sicurezza e sviluppo

Articolo 3

I due stati stanno approfondendo la loro cooperazione in materia di politica estera, difesa, sicurezza esterna e interna e sviluppo, cercando al contempo di rafforzare la capacità di azione autonoma dell’Europa. Si consultano a vicenda al fine di definire posizioni comuni su qualsiasi decisione importante che riguardi i loro interessi comuni e di agire congiuntamente in tutti i casi in cui ciò sia possibile.

Nota OB: ma in nome di cosa dovremmo convergere con le visioni e le esigenze tedesche, e non quelle spagnole ad esempio? Ci sono paesi di seconda classe nell’Unione?

Articolo 4

(1) In seguito agli impegni che li vincolano ai sensi dell’articolo 5 del trattato del Nord Atlantico del 4 aprile 1949 e dell’articolo 42, paragrafo 7 del trattato sull’Unione europea del 7 febbraio 1992, modificato dal trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 che modifica il trattato sull’Unione europea e il trattato che istituisce la Comunità europea, i due Stati, convinti dell’indissociabilità dei loro interessi di sicurezza, convergono sempre più i loro obiettivi e le loro politiche di sicurezza e difesa , rafforzando in tal modo i sistemi di sicurezza collettiva di cui fanno parte. Si prestano aiuto e assistenza con tutti i mezzi a loro disposizione, compresa la forza armata, in caso di aggressione armata contro i propri territori. L’ambito di applicazione territoriale della seconda frase del presente paragrafo corrisponde a quello dell’articolo 42, paragrafo 7, del trattato sull’Unione europea.

(2) I due Stati agiranno congiuntamente in tutti i casi, ove possibile, in conformità con le rispettive norme nazionali, al fine di mantenere la pace e la sicurezza. Continuano a sviluppare l’efficienza, la coerenza e la credibilità dell’Europa nel campo militare . In tal modo, si impegnano a rafforzare la capacità d’azione dell’Europa e a investire congiuntamente per colmare le lacune in termini di capacità, rafforzando così l’Unione europea e l’Alleanza del Nord Atlantico .

Nota OB: Ricordiamo che i deputati tedeschi silurarono il Trattato dell’Eliseo durante la ratifica aggiungendo nel preambolo un riferimento alla NATO che non apparve lì …

(3) I due Stati si impegnano a rafforzare ulteriormente la cooperazione tra le loro forze armate al fine di stabilire una cultura comune e schieramenti congiunti. Stanno intensificando lo sviluppo di programmi di difesa comuni e li espandono ai partner. In tal modo, intendono promuovere la competitività e il consolidamento della base industriale e tecnologica della difesa europea. Sono favorevoli alla cooperazione più stretta possibile tra le loro industrie della difesa, sulla base della loro reciproca fiducia. Entrambi i paesi svilupperanno un approccio comune alle esportazioni di armi attraverso progetti comuni.

Nota OB: esportazione di armi, una priorità …

(4) I due stati istituiscono il Consiglio franco-tedesco di difesa e sicurezza come organo politico per gestire questi reciproci impegni. Questo Consiglio si riunirà al più alto livello a intervalli regolari.

Articolo 5

I due stati estendono la cooperazione tra i ministeri degli affari esteri, incluse le loro missioni diplomatiche e consolari. Si scambieranno alti funzionari. Stabiliranno scambi all’interno delle loro rappresentanze permanenti presso le Nazioni Unite a New York, in particolare tra le loro squadre del Consiglio di sicurezza, le loro rappresentanze permanenti presso l’Organizzazione del trattato del Nord Atlantico e le loro rappresentanze permanenti presso le Nazioni Unite. Unione europea, nonché tra gli organismi dei due Stati responsabili del coordinamento dell’azione europea.

Nota OB: ma in nome di cosa dovrebbe convergere con le visioni e le esigenze tedesche, e non l’inglese per esempio?

Articolo 6

Nel settore della sicurezza interna, i governi dei due Stati stanno rafforzando ulteriormente la loro cooperazione bilaterale nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata, nonché la loro cooperazione nel settore giudiziario e in materia di intelligence e polizia. Esse attuano misure comuni di formazione e impiego e creano un’unità comune per le operazioni di stabilizzazione nei paesi terzi.

Nota OB: poter andare in guerra allora. Perché non è indicato “dopo l’approvazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”?

Articolo 7

I due Stati si impegnano a stabilire un partenariato sempre più stretto tra l’Europa e l’Africa rafforzando la loro cooperazione nei settori dello sviluppo del settore privato, dell’integrazione regionale, dell’istruzione e della formazione professionale, dell’uguaglianza di genere e dell’emancipazione femminile, con l’obiettivo di migliorare le prospettive socioeconomiche, la sostenibilità, il buon governo e la prevenzione dei conflitti, la risoluzione delle crisi, compreso il mantenimento della pace, e la gestione delle situazioni post-conflitto. I due Stati stabiliscono un dialogo politico annuale sulla politica di sviluppo internazionale per intensificare il coordinamento della pianificazione e dell’attuazione delle politiche.

Articolo 8

(1) Nel quadro della Carta delle Nazioni Unite, i due Stati coopereranno strettamente in tutti gli organi delle Nazioni Unite. Essi coordineranno strettamente le loro posizioni, come parte di un più ampio sforzo di consultazione tra gli Stati membri dell’UE in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e in conformità con le posizioni e gli interessi dell’Unione europea. Agiranno di concerto per promuovere alle Nazioni Unite le posizioni e gli impegni dell’UE nei confronti delle sfide e delle minacce globali. Faranno del loro meglio per raggiungere una posizione unitaria dell’Unione europea negli organi competenti delle Nazioni Unite.

(2) I due Stati si impegnano a proseguire i loro sforzi per completare i negoziati intergovernativi sulla riforma del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. L’ammissione della Repubblica Federale di Germania come membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è una priorità della diplomazia franco-tedesca.

Nota OB: No. La priorità è portare India, Nigeria o Sud Africa e Brasile o Argentina, in modo che il loro continente sia rappresentato …

Capitolo 3 Cultura, istruzione, ricerca e mobilità

Articolo 9

Entrambi gli stati riconoscono il ruolo decisivo svolto dalla cultura e dai media nel rafforzare l’amicizia franco-tedesca. Di conseguenza, sono determinati a creare per i loro popoli uno spazio condiviso di libertà e opportunità, nonché uno spazio culturale e mediatico comune. Sviluppano programmi di mobilità e di scambio tra i loro paesi, in particolare per i giovani nel quadro dell’Ufficio gioventù franco-tedesco, e definiscono obiettivi quantificati in questi settori. Al fine di promuovere collegamenti sempre più stretti in tutti i settori dell’espressione culturale, anche attraverso istituti culturali integrati, stanno mettendo in atto programmi specifici e una piattaforma digitale, in particolare per i giovani.

Articolo 10

I due stati stanno avvicinando i loro sistemi educativi sviluppando l’apprendimento reciproco delle rispettive lingue, adottando, in conformità con la loro organizzazione costituzionale, strategie per aumentare il numero di studenti che studiano la lingua del partner, azioni per il riconoscimento reciproco dei diplomi e l’istituzione di strumenti di eccellenza franco-tedeschi per la ricerca, l’istruzione e la formazione professionale, nonché programmi integrati doppi franco-tedeschi sotto l’egida di istruzione superiore.

Nota OB: tedesco, ovviamente, la lingua strategica del XXI ° secolo …

Articolo 11

Entrambi gli stati promuovono il collegamento in rete dei loro sistemi di istruzione e ricerca, nonché le loro strutture di finanziamento. Continuano lo sviluppo dell’Università franco-tedesca e incoraggiano le università francesi e tedesche a partecipare a reti di università europee.

Articolo 12

I due stati stanno istituendo un fondo comune dei cittadini per incoraggiare e sostenere le iniziative dei cittadini e il gemellaggio tra città allo scopo di avvicinare i loro due popoli.

Capitolo 4 Cooperazione regionale e transfrontaliera

Articolo 13

(1) I due Stati riconoscono l’importanza della cooperazione transfrontaliera tra la Repubblica francese e la Repubblica federale di Germania al fine di rafforzare i legami tra cittadini e imprese su entrambi i lati della frontiera, compreso il ruolo essenziale delle autorità locali e di altri attori locali a questo riguardo. Intendono facilitare la rimozione degli ostacoli nei territori di confine al fine di attuare progetti transfrontalieri e facilitare la vita quotidiana degli abitanti di questi territori.

(2) A tal fine, conformemente alle rispettive norme costituzionali dei due Stati e nei limiti del diritto dell’Unione europea, i due Stati dotano gli enti regionali e locali frontalieri e le entità transfrontaliere come gli Eurodistretti di poteri appropriati , risorse dedicate e procedure accelerate per superare gli ostacoli all’attuazione di progetti transfrontalieri, in particolare nei settori economico, sociale, ambientale, sanitario, energetico e dei trasporti. Se nessun altro mezzo consente loro di superare questi ostacoli , possono essere concesse adeguate disposizioni legali e amministrative, comprese deroghe . In questo caso, dipende dai due Stati adottare la legislazione appropriata.

Nota OB: Ma si tratta di avere regioni di prima e seconda zona in Francia!

(3) Entrambi gli Stati rimangono impegnati a preservare standard elevati nei settori del diritto del lavoro, della protezione sociale, della salute e sicurezza e della protezione ambientale.

Articolo 14

I due stati hanno istituito un comitato di cooperazione transfrontaliera comprendente parti interessate quali le autorità statali e locali, i parlamenti e entità transfrontaliere come i distretti dell’euro e, se necessario, le euroregioni interessate. Tale comitato è responsabile del coordinamento di tutti gli aspetti dell’osservazione territoriale transfrontaliera tra la Repubblica francese e la Repubblica federale di Germania, definendo una strategia comune per la scelta dei progetti prioritari e monitorando le difficoltà incontrate nei territori frontalieri. e presentare proposte per rimediarvi, nonché per analizzare l’impatto della nuova legislazione sui territori di confine.

Articolo 15

Entrambi gli stati si impegnano a raggiungere l’obiettivo del bilinguismo nelle aree di confine e sostengono le comunità di confine per sviluppare e attuare strategie appropriate.

Nota OB: tedesco, ovviamente, la lingua strategica del XXI ° secolo …

Articolo 16

I due stati faciliteranno la mobilità transfrontaliera migliorando l’interconnessione tra le reti digitali e fisiche tra loro, compresi i collegamenti ferroviari e stradali. Lavoreranno a stretto contatto nel campo della mobilità innovativa, sostenibile e universalmente accessibile per sviluppare approcci o standard comuni per entrambi gli stati.

Articolo 17

Entrambi gli Stati incoraggiano la cooperazione decentrata tra comunità nei territori non frontalieri. Si impegnano a sostenere le iniziative lanciate da queste comunità implementate in questi territori.

Capitolo 5 Sviluppo sostenibile, clima, ambiente ed affari economici

Articolo 18

Entrambi gli Stati stanno lavorando per rafforzare il processo di attuazione degli strumenti multilaterali relativi allo sviluppo sostenibile, alla salute globale e alla protezione dell’ambiente e del clima, in particolare l’Accordo di Parigi del 12 dicembre 2015 e l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile. A tal fine, collaborano strettamente per formulare approcci e politiche comuni, tra cui la messa in atto di misure per la trasformazione delle loro economie e la promozione di azioni ambiziose per combattere i cambiamenti climatici. Garantiscono l’integrazione della protezione del clima in tutte le politiche, compresi regolari scambi trasversali tra i governi nei settori chiave.

Articolo 19

I due Stati promuoveranno la transizione energetica in tutti i settori pertinenti e, a tal fine, svilupperanno la loro cooperazione e rafforzeranno il quadro istituzionale per finanziare, sviluppare e attuare progetti comuni, in particolare nei settori delle infrastrutture, energia rinnovabile ed efficienza energetica.

Articolo 20

(1) I due stati stanno approfondendo l’integrazione delle loro economie al fine di stabilire una zona economica franco-tedesca con regole comuni. Il Consiglio economico-finanziario franco-tedesco promuove l’armonizzazione bilaterale della loro legislazione, in particolare nel campo del diritto commerciale, e coordina regolarmente le politiche economiche tra la Repubblica francese e la Repubblica federale di Germania per promuovere la convergenza tra i due stati e migliorare la competitività delle loro economie.

Nota OB: Incredibile. È vero che non eravamo abbastanza legati dall’UE, mettiamo uno strato con la Germania …

(2) I due Stati istituiscono un “Consiglio degli esperti economici franco-tedesco” composto da dieci esperti indipendenti per presentare a entrambe i governi le raccomandazioni riguardanti la loro azione economica.

Nota OB: ah, il ritorno di esperti economici “indipendenti” non eletti …

Articolo 21

I due stati stanno intensificando la loro cooperazione nel campo della ricerca e della trasformazione digitale, tra cui l’intelligenza artificiale e innovazioni dirompenti. Promuoveranno linee guida internazionali sull’etica delle nuove tecnologie . Per promuovere l’innovazione, creano iniziative franco-tedesche aperte alla cooperazione a livello europeo. I due Stati metteranno in atto un processo di coordinamento e finanziamenti congiunti per sostenere programmi congiunti di ricerca e innovazione.

Articolo 22

Le parti coinvolte e gli attori interessati di entrambi gli stati si riuniscono in un forum per il futuro franco-tedesco per lavorare sui processi di trasformazione delle loro società.

Capitolo 6 Organizzazione

Articolo 23

Le riunioni tra i governi dei due Stati hanno luogo almeno una volta all’anno,alternativamente nella Repubblica francese e nella Repubblica federale di Germania. Dopo l’entrata in vigore del presente trattato, il Consiglio dei ministri franco-tedesco adotta un programma pluriennale di progetti di cooperazione franco-tedeschi. I segretari generali per la cooperazione franco-tedesca responsabili della preparazione di questi incontri monitorano l’attuazione di questo programma e riferiscono al Consiglio dei ministri.

Articolo 24

Un membro del governo di uno dei due Stati parteciperà, almeno una volta a trimestre, in alternanza al Consiglio dei ministri dell’altro Stato.

Nota dell’OB: Bene, vediamo … E se no, gli spagnoli, gli italiani, i polacchi sentiranno odore di petrolio? 

La prospettiva di avere davanti a sé un simile mastodonte piacerà sicuramente a tutti gli altri stati medio-piccoli dell’UE …

Articolo 25

I consigli, le strutture e gli strumenti della cooperazione franco-tedesca sono soggetti a revisione periodica e, se necessario, sono adattati senza indugio agli obiettivi concordati. La prima di queste verifiche dovrebbe aver luogo entro sei mesi dall’entrata in vigore del trattato e proporre gli adeguamenti necessari. I segretari generali per la cooperazione franco-tedesca valutano regolarmente i progressi. Informano i parlamenti e il Consiglio dei ministri franco-tedesco dello stato generale di avanzamento della cooperazione franco-tedesca.

Articolo 26

I rappresentanti delle regioni e dei Länder, nonché il comitato di cooperazione transfrontaliera, possono essere invitati a partecipare al Consiglio dei ministri franco-tedesco.

Capitolo 7: Disposizioni finali

Articolo 27

Il trattato integra il trattato del 22 gennaio 1963 tra la Repubblica francese e la Repubblica federale di Germania sulla cooperazione franco-tedesca ai sensi del paragrafo 4 delle disposizioni finali del presente trattato.

Articolo 28

I due Stati si informano reciprocamente, tramite il canale diplomatico, del completamento delle procedure nazionali necessarie per l’entrata in vigore del presente trattato. Il presente trattato entra in vigore alla data di ricevimento dell’ultima notifica.

Fonte: la Tribune , 16/01/2019

Ridislocamenti nel Vicino Oriente_traduzione di Roberto Buffagni

I documenti mostrano che gli  Stati Uniti stanno espandendo in modo massiccio la loro presenza presso la base aerea della Giordania tra screzi Turchia e Iraq

 

Era stato annunciato un ritiro, in realtà è una ridislocazione dello schieramento militare americano nel Vicino Oriente. Non riguarda solo la Siria, ma l’insieme delle relazioni con i paesi di quell’area, in particolare la Turchia e l’Iraq. Se poi si aggiunge che per la prima volta una portaerei a propulsione nucleare di prima classe, con tutta la sua squadra, si è avventurata nel Golfo Persico, nelle immediate vicinanze dell’Iran il quadro comincia a definirsi meglio. Ancora una volta gli alti e bassi nello scontro politico interno alla classe dirigente americana determinano involontariamente il solco profondo entro il quale si muove la politica estera americana_Giuseppe Germinario

http://www.thedrive.com/the-war-zone/25955/docs-show-us-to-massively-expand-footprint-at-jordanian-air-base-amid-spats-with-turkey-iraq?fbclid=IwAR3zI3kGt38ssi7CDAA-gW7OsGq_vouy7lXathP3CV-743SSvz7Zr4V–3w

Decine di milioni di dollari trasformeranno questa base in Giordania in un nuovo importante hub regionale per jet da combattimento, droni, aerei cargo e altro.

di Joseph Trevithick, gennaio 14, 2019

Le forze armate statunitensi stanno portando avanti piani per espandere notevolmente la propria presenza nella base aerea di Muwaffaq Salti in Giordania, per ospitare meglio un ampio mix di aerei da combattimento, aerei da attacco al suolo, droni armati, aerei da carico e altro ancora. Il progetto di costruzione da svariati milioni di dollari arriva quando l’amministrazione del presidente Donald Trump sta per ritirare le forze americane dalla vicina Siria. Ma mentre le nuove strutture della base giordana potrebbero aiutare a sostenere le operazioni siriane in via indiretta, serviranno uno scopo ben più importante nel fornire un’alternativa ad altre importanti sedi operative nella regione, specialmente in Turchia, dove dissidi politici potrebbero ostacolare l’accesso degli Stati Uniti in nel mezzo di una crisi.

 

Il Corpo dei Genieri dell’Esercito degli Stati Uniti, che sta supervisionando il lavoro a Muwaffaq Salti, ha rilasciato specifiche e disegni relativi ai nuovi piazzali, alle vie di rullaggio e ad altre strutture associate su FedBizOpps, il sito web principale delle opere pubbliche federali degli Stati Uniti, l’11 gennaio 2019. I documenti stessi risalgono all’autunno del 2018. Il bilancio della difesa per l’anno fiscale 2018 includeva più di $ 140 milioni per gli ammodernamenti alla base della Royal Jordanian Air Force, che gli Stati Uniti hanno utilizzato attivamente per le operazioni regionali almeno dal 2013.

 

I documenti contrattuali non menzionano Muwaffaq Salti per nome, che le forze armate statunitensi descrivono generalmente come una “posizione segreta”, ma includono immagini satellitari annotate che mostrano chiaramente che si tratta della base in questione. Precedenti annunci contrattuali hanno indicato che il 407th Air Expeditionary Air della US Air Force attualmente supervisiona le operazioni di ordinaria amministrazione nella base.

 

Il nuovo incremento delle forze armate statunitensi sembra focalizzato sulla crescita della presenza dell’Air Force specificamente nella base; e la maggior parte dei miglioramenti sarà effettuata sulla pista meridionale della base. Questi includono un piazzale attrezzato per gli aerovelivoli, un piazzale attrezzato per l’addestramento delle forze speciali e la preparazione delle operazioni speciali, un piazzale attrezzato per l’appoggio aereo al suolo (CAS) per le operazioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione (ISR).

Google Earth

A satellite image of Muwaffaq Salti Air Base as of May 2017.

USACE

An annotated satellite image of Muwaffaq Salti Air Base, showing the locations of the various planned upgrades.

Il piazzale attrezzato per gli aerovelivoli di quasi 28.000 mq. con annesso spazio di carico e scarico di 3700 mq., sarà abbastanza grande da ospitare fino a due aerei da carico C-17 Globemaster III e uno C-5 Galaxy contemporaneamente. Ciò consentirà il movimento di grandi quantità di personale, munizioni, carburante e altri materiali all’interno e all’esterno della base, il che sarebbe fondamentale per le operazioni aeree di lunga durata.

 

Muwaffaq Salti potrebbe anche fungere da punto di trasbordo, con squadre che trasferiscono il carico su aeromobili più piccoli, come il C-130 Hercules, per spostarsi verso altre sedi operative in altre parti della regione. I C-17 hanno anche la capacità di operare da piste di atterraggio non rinforzate. Il piano di costruzione degli Stati Uniti a Muwaffaq Salt comprende anche un “hot point” di carico  di quasi 26.000 mq. sul lato nord della base per lo scarico rapido e il caricamento di materiale da aerei in transito.

USAF

C-17s at an undisclosed location supporting US operations against ISIS in Iraq and Syria in 2018.

Nella parte meridionale della base, gli Stati Uniti prevedono anche di aggiungere un piazzale attrezzato 41.000 mq. per il recupero del personale e le operazioni speciali. Questo avrà spazi di parcheggio dimensionati per l’airlifter C-130J-30 di della misura maggiore, ma molto probabilmente sarà la sede di distaccamenti di operazioni speciali MC-130. Ci sarà anche spazio per quattro rotori inclinabili Osprey CV-22B.

 

Gli MC-130 dell’Air Force possono fungere da navi cisterna per i CV-22, contribuendo a estendere la loro portata e dando alle forze operative speciali la capacità di spostare rapidamente piccole unità e carichi da e verso i siti dispersi nella regione, o di appoggiare attacchi aerei su specifici obiettivi . Inoltre, gli Ospreys hanno un vantaggio di velocità rispetto agli elicotteri tradizionali, nonché varie contromisure elettroniche e altri sistemi di autodifesa e capacità di volo a bassissima quota (NOE), che consentono all’aereo di raggiungere rapidamente l’area obiettivo e ridurre la sua vulnerabilità alle difese ostili.

 

Come tali, i CV-22 in Giordania potrebbero essere chiamati per inserire rinforzi, esfiltrare i feriti o le forze sotto il fuoco, eseguire missioni di ricerca e soccorso (CSAR) e altre funzioni di recupero del personale. Il CASR è una considerazione particolarmente importante per le operazioni aeree sostenute e una in cui gli Stati Uniti hanno opzioni storicamente limitate nella regione. Ad esempio, al momento, le forze armate statunitensi hanno reparti in Kuwait, Iraq e Turchia per fornire quel tipo di capacità in Iraq e in Siria.

USACE

A more detailed breakdown of the personnel recovery/special operations forces apron, showing the C-130J-30- and CV-22-sized parking spaces.

Il cosiddetto grembiule “CAS / ISR” sarà di gran lunga la più grande aggiunta singola, coprendo quasi 125.000 mq. Ciò consentirà agli Stati Uniti di costruire tre dozzine di spot con rivestimenti protettivi e tettoie, tutti dimensionati per caccia F-15 o F-16, nonché pere gli aerei d’ attacco terrestre A-10. Ci sarà un altro piazzale con quattro spot per MQ-9 Reapers, oltre a più shelter chiusi, ciascuno in grado di ospitare due dei droni, anch’essi collegati a quest’area.

Sebbene descritto come CAS / ISR focalizzato per scopi di pianificazione edilizia, ciò darebbe agli Stati Uniti la possibilità di utilizzare Muwaffaq Salti per estese operazioni di combattimento aereo. L’aereo che questo piazzale  può ospitare può eseguire pattugliamenti aerei di combattimento, interdizione e varie altre missioni.

USACE

A closer look at the CAS/ISR apron with the MQ-9 shelters at the top and additional parking spaces for those drones to the right.

Il dimensionamento degli spazi di parcheggio potrebbe consentire lo spiegamento di altri jet da combattimento, anche da servizi diversi dall’aeronautica militare statunitense, a seconda delle necessità. Nel settembre 2018, l’Air Force ha condotto uno schieramento temporaneo di caccia stealth Raptor F-22 dalla base aerea di Al Dhafra negli Emirati Arabi Uniti a Muwaffaq Salti, insieme al personale di supporto in un aereo cisterna KC-10 Extender.

Questo è qualcosa che potrebbe diventare più comune e richiedere meno supporto esterno, con gli aggiornamenti dell’infrastruttura. Il Corpo dei Marines degli Stati Uniti gestisce anche una forza di risposta alle crisi terrestri con calabroni F / A-18C / D, tra gli altri velivoli, che potrebbero utilizzare le strutture ampliate.

The video below shows the F-22s from the Air Force’s 380th Air Expeditionary Wing deploying to an “undisclosed location” September 2018.

Il video qui sopra mostra gli F-22 della 380a Air Expeditionary Wing dell’Air Force che si sta dispiegando in una “località sconosciuta” nel settembre 2018.

 

Oltre ai vari piazzali, le forze armate statunitensi costruiranno nuove piste di rullaggio, strade di accesso, aree di supporto vitale e altre infrastrutture per sostenere la più ampia presenza americana a Muwaffaq Salti. Il Corpo dei Genieri dell’Esercito stima che il lavoro avrà un costo tra $ 25 e $ 100 milioni, lasciando anche dei fondi significativi per altre aggiunte. La data di scadenza per  presentare le offerte su questo contratto è il 19 febbraio 2019, ma non è prevista una data per la conclusione dei lavori.

 

Il piano chiarisce che gli Stati Uniti stanno cercando di accrescere la propria presenza sul sito e trasformarlo in una base strategica più permanente. Questo potrebbe essere importante, considerando gli sforzi dell’amministrazione Trump per sradicare le forze americane dalla Siria.

 

La tempistica esatta per il ritiro non è chiara. Resta inoltre da vedere in che modo si evolverà la politica degli Stati Uniti in merito alla lotta in corso contro ISIS in Siria e in Iraq, nonché al più ampio conflitto in Siria.

 

Sono stati segnalati casi in cui è probabile che le forze statunitensi si trasferiscano in strutture in altri paesi limitrofi. Da lì, potrebbero rimanere vicini per appoggiare le forze locali sostenute dagli americani e altri partner statunitensi che ancora combattono in Siria, se necessario.

USAF

A US Air Force F-16C Viper taxies at Muwaffaq Salti during the multi-national Falcon Air Meet in 2011.

Il video qui sopra mostra gli F-22 della 380a Air Expeditionary Wing dell’Air Force che si sta dispiegando in una “località sconosciuta” nel settembre 2018.

 

Oltre ai vari piazzali, le forze armate statunitensi costruiranno nuove piste di rullaggio, strade di accesso, aree di supporto vitale e altre infrastrutture per sostenere la più ampia presenza americana a Muwaffaq Salti. Il Corpo dei Genieri dell’Esercito stima che il lavoro avrà un costo tra $ 25 e $ 100 milioni, lasciando anche dei fondi significativi per altre aggiunte. La data di scadenza per  presentare le offerte su questo contratto è il 19 febbraio 2019, ma non è prevista una data per la conclusione dei lavori.

 

Il piano chiarisce che gli Stati Uniti stanno cercando di accrescere la propria presenza sul sito e trasformarlo in una base strategica più permanente. Questo potrebbe essere importante, considerando gli sforzi dell’amministrazione Trump per sradicare le forze americane dalla Siria.

 

La tempistica esatta per il ritiro non è chiara. Resta inoltre da vedere in che modo si evolverà la politica degli Stati Uniti in merito alla lotta in corso contro ISIS in Siria e in Iraq, nonché al più ampio conflitto in Siria.

 

Sono stati segnalati casi in cui è probabile che le forze statunitensi si trasferiscano in strutture in altri paesi limitrofi. Da lì, potrebbero rimanere vicini per appoggiare le forze locali sostenute dagli americani e altri partner statunitensi che ancora combattono in Siria, se necessario.

Sebbene l’Iraq sia stato citato come il paese più probabile per accogliere le unità che si ritirano dalla Siria, la Giordania potrebbe facilmente essere un’altra opzione, e già ospita una significativa presenza militare americana. Oltre a ciò, alcuni membri del parlamento iracheno erano irritati dal fatto che Donald Trump non si fosse incontrato personalmente con il primo ministro Adil Abdul-Mahdi durante la sua visita a sorpresa nel paese nel dicembre 2018.

 

I membri dell’attuale governo di coalizione in Iraq, che sta anche cercando di migliorare le relazioni con l’Iran, hanno richiesto un ritiro completo delle forze americane dal paese. Qualunque sia l’esito di questo particolare contrasto, esso potrebbe limitare la capacità delle forze armate statunitensi di utilizzare le basi in quel paese in futuro.

 

L’espansione di Muwaffaq Salti potrebbe ridurre la necessità di altre sedi operative regionali, che sono diventate negli ultimi anni sempre più politicamente insostenibili, in generale. Quando il piano generale divenne pubblico per la prima volta nel 2017, arrivò in un momento in cui c’erano anche preoccupazioni significative sulla continuità della base aerea di Al Udeid in Qatar, che è la più grande base aerea americana del Medio Oriente ed è stato un hub centrale per le operazioni nella regione e oltre per decenni. Puoi leggere di più su quanto sia vitale questa base per l’esercito americano qui.

Sfortunatamente, il Qatar rimane invischiato in un importante dissidio politico con Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto, tra gli altri, che hanno interrotto le relazioni diplomatiche e bloccato il paese economicamente. Tuttavia, il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha firmato un memorandum d’intesa con i funzionari del Qatar per avviare piani per espandere significativamente Al Udeid, anche durante una visita nel paese il 13 gennaio 2019.

US Department of State

US Secretary of State Mike Pompeo, at center in suit, arrives in Qatar on Jan. 13, 2019.

“Siamo tutti piùforti quando lavoriamo insieme”, ha detto Pompeo in una conferenza stampa, in cui ha anche affermato che la disputa di quasi 20 mesi tra il Qatar e altri paesi della regione si è “trascinata troppo a lungo”. L’alto diplomatico è ora in Arabia Saudita e, tra le altre cose, probabilmente continuerà a sostenere una risoluzione della situazione.

 

Oltre a ciò, Muwaffaq Salti si trova a circa 1.000 miglia da Al Udeid, rendendolo mal posizionato per essere un sostituto di quella base. Sembra più probabile che la principale forza trainante dell’espansione in Giordania sia le tensioni a lungo latenti tra Stati Uniti e Turchia. Nonostante entrambi siano membri della NATO, entrambi i paesi si sono allontanati a causa di una serie di dispute, tra cui la decisione della Turchia di acquistare missili S-400 dalla Russia, i crescenti legami di Ankara con Mosca in generale, e il sostegno degli Stati Uniti ai gruppi curdi in Siria, che le autorità turche considerano terroristi.

USAF

A-10 Warthog ground attack aircraft arrive at Incirlik Air Base in Turkey to support operations against ISIS in 2015.

 La Turchia e gli Stati Uniti sono anche coinvolti in una disputa su Fethullah Gülen, un ex alleato politico del sempre più dittatoriale presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che ora vive in esilio auto-imposto negli Stati Uniti. Le autorità turche accusano Gülen di aver architettato un tentato colpo di stato del 2016 contro Erdoğan, ma gli Stati Uniti hanno finora negato, adducendo l’insufficienza di prove.

 

La questione del sostegno americano ai curdi, in particolare, è stato un fattore importante nella decisione iniziale di Trump di ritirare le forze statunitensi dalla Siria e la sicurezza dei civili curdi in tutte le aree in cui le forze turche o turche potrebbero prendere il controllo della situazione. . Da allora le autorità statunitensi hanno chiesto assicurazioni dalla Turchia che non tenterà di attaccare i curdi e Trump stesso ha minacciato di “devastare economicamente la Turchia” se Ankara non è d’accordo con queste condizioni.

 

Inizia il lungo ritiro della Siria colpendo duramente il poco rimanente califfato territoriale ISIS, e da molte direzioni. Attaccherà di nuovo dalla base vicina esistente se riformerà. Distruggerà economicamente la Turchia se colpiscono i curdi. Crea una zona sicura di 20 miglia ….

– Donald J. Trump (@realDonaldTrump), 13 gennaio 2019

 

 

 

Il presidente ha anche insistito sul fatto che non voleva che i curdi “provocassero” la Turchia. Non è del tutto chiaro se i “curdi” in questo caso si riferisce a civili curdi, il gruppo di forze democratiche siriane a maggioranza curda appoggiato dagli Stati Uniti che sta combattendo contro l’ISIS, o entrambi. La Turchia ha ripetutamente dichiarato l’intenzione di schiacciare i combattenti curdi, anche se sono allineati con l’SDF, attraverso la Siria settentrionale.

 

Vale anche la pena notare che gli Stati Uniti forniscono intelligence e altro supporto alle operazioni militari turche contro altri gruppi militanti curdi attivi in ​​Turchia. Quindi, come il governo turco potrebbe interpretare eventuali richieste da parte delle loro controparti americane e quanto gli Stati Uniti potrebbero essere disposti a rispondere a qualsiasi apparente violazione di tali clausole resta da vedere.

 

…. Allo stesso modo, non voglio che i curdi provocino la Turchia. La Russia, l’Iran e la Siria sono stati i maggiori beneficiari della politica a lungo termine degli Stati Uniti di distruggere l’ISIS in Siria: nemici naturali. Ne beneficiamo anche noi, ma è ora di riportare a casa le nostre truppe. Fermate le GUERRE INFINITE!

– Donald J. Trump (@realDonaldTrump), 13 gennaio 2019

 

Tutto ciò rappresenta un rischio permanente per l’accesso alla base aerea di Incirlik, un importante hub regionale per l’esercito americano che funge da base per i jet da combattimento che operano nella regione, un sito di stoccaggio di armi nucleari tattico e un importante punto di trasbordo , potrebbe finire in un momento critico. Muwaffaq Salti, a meno di 400 miglia a sud, è ben posizionato per soppiantare Incirlik, così come altre località operative in Turchia, per operazioni convenzionali se il governo turco dovesse fermare le operazioni americane da quelle basi.

 

Tutto sommato, gli aggiornamenti a Muwaffaq Salti aumenteranno la capacità dell’America di operare in quella parte del Medio Oriente al di fuori di qualsiasi operazione attualmente in corso, in Siria o altrove, per gli anni a venire e cementeranno ulteriormente le relazioni USA-Giordania. Con questo in mente, potremmo iniziare a vedere lavori in altri siti in Giordania oltre a Muwaffaq Salti nei prossimi anni. Se le stime del Corpo dei Genieri  sono accurate, ci saranno decine di milioni di dollari per progetti di costruzione nel paese.

 

 

L’EPICENTRO DELL’EUROPA, di Pierluigi Fagan

tratto da Facebook https://www.facebook.com/pierluigi.fagan/posts/10216883739541348

TRATTATO DI AQUISGRANA. Il prossimo 22, Merkel e Macron, firmeranno il trattato di Aquisgrana che aggiorna e rilancia l’asse stabilito con il trattato dell’Eliseo del 1963, a suo tempo firmato da De Gaulle ed Adenauer, già riconfermato e rinforzato dall’accordo Mitterand e Kohl del 1988 da cui l’UE e l’euro.

Questa sottile linea rossa nel tempo, verrà intersecata dalla sottile linea rossa dello spazio. Aquisgrana, infatti, è città di confine tra i due Paesi, oltre ad essere stata in passato capitale dei Merovingi, sede principale dell’inquieto Carlo Magno e sede di incoronazione di ben 37 imperatori del Sacro Romano Impero. In realtà, Aquisgrana non è proprio al confine con la Francia ma perfettamente incastonata alla giunzione tra Belgio, Olanda e Germania, poco sopra il Lussemburgo e a 40 km da Maastricht. Siamo dunque nel cuore del cuore del motore storico dei tentativi di superare lo stato-nazionalismo europeo che aveva portato al doppio conflitto bellico della prima metà del Novecento. Quella CECA (1951) promossa da belgi, olandesi, lussemburghesi che, terrorizzati di trovarsi in mezzo ai due giganti che si erano fatti ben sette guerre nel precedente secolo e mezzo, convinsero i francesi a tender la mano ai rivali germanici stremati e paralizzati dal peso della tremenda e mefistofelica eredità prussiano-nazista. L’Italia di De Gasperi venne invitata ad aggiungersi per ragioni cosmetiche, come far sembrare continentale un processo che riguardava specificatamente solo questa problematica parte dello spazio geo-storico che si chiama Europa.

Nel tanto vociare che si fa sull’Unione europea, fa specie proprio la mancanza di storici che ricordino le radici lunghe dei processi di cui vediamo il finale affioramento. Seppelliti da analisi monetariste, econometriche, ricostruzioni sul pensiero neoliberale, riviscenza della teoria delle élite ed altre letture last minute in cui si riflettono su i fatti i presupposti che fondano singoli sguardi conoscitivi trovando magicamente corrispondenza tra questi ed i fatti stessi, la ragione geo-storica non trova posto. Non essendo di moda, rimane inutilizzata. Peccato perché invece si mostra palesemente come sia questa ad ordinare il processo: gli interessi dei popoli (gli interessi di quei popoli nella specifica interpretazione che ne hanno dato le loro élite, ovvio) che da più di 15 secoli abitano quella zona, popoli poi formalizzati in nazioni ma di origine, abitanti quello che è un continuum geografico. Ciò che deriva da questa storia di lunga durata, arriva infine a spiegare l’essenza dell’Unione europea e dell’euro stesso, il sospettoso darsi la mano tra i due storici rivali mentre le ancelle che stanno in mezzo spargono essenze di gelsomino per celebrare.

Per questo chi scrive, si ostina periodicamente a riproporre l’idea di una Unione latino-mediterranea (idea nata da un francese, per quanto di origine russa), strappare la Francia a quell’abbraccio e metterla nel suo altro contesto antropo-storico, opponendo alle origine franche quelle gallo-celtiche-cattolico romane. Doppia identità che è intrinseca all’identità francese, contraddizione da sfruttare per noi italiani altrimenti condannati a vivere accanto ad un sistema che ancorché oggi frazionato in stati diversi, in prospettiva potrà contare su 180 milioni di individui per un Pil teorico oggi di 7mila mld di US$, terzo soggetto economico planetario. Ma è predicare nel deserto, logica aliena, ragionamento incomprensibile per chi ragione in termini monetari, economici, di fatti politici evenemenziali.

A gli italiani val bene invece scoprire il “sovranismo” o sbavare alla finestra per esser invitati come valletti a questa partouze agghindata da premessa dei finti ed impossibili Stati Uniti d’Europa. Ci ritroveremo o servi loro o servi dei loro nemici, britannici, americani, russi. Ad Arlecchino del resto, si pone sempre e solo la scelta di quale padrone servire, dal tempo dei Romani, per “noi” non si rinviene altra alternativa.

“Approfondire e sviluppare ulteriormente la collaborazione economica, sociale, politica, culturale e tecnologica, climatico ed ambientale” il contenuto del trattato secondo il portavoce del governo tedesco S. Seibert. Siamo all’inseminazione in vitro dei reciproci DNA stato-nazionali. C’è da dire che i due più recenti interpreti del decennale processo, Merkel e Macron, non sono certo all’apice della loro forza e legittimità, ma qui gli interpreti contano fino ad un certo punto, contano di più le élite alle loro fondamenta. E quelle élite che fanno il cuore della ricchezza europea, ben sanno dei loro interessi e ben sanno che navigare nei procellosi mari dell’era complessa senza una strategia di lungo corso, equivale ad andare a schiantarsi. Strategia, quella forma di pensiero ad idee incatenate tra loro che fonda la filosofia politica proprio qui da noi con Machiavelli. Avremmo potuto e dovuto rivendicare nei fatti questa ben più nobile discendenza, abbiamo invece preferito quella della Commedia dell’Arte che nacque proprio alla morte del fiorentino.

[Evitate i rimbrotti sulla coazione auto-denigratoria che offende l’italico orgoglio. Sottolineare la mancanza di statura strategica del pensiero italiano non è lesa maestà, è realistica auto-critica. Del resto se i giganti del nostro pensiero politico attuale sul tema sono i Calenda ed i Bagnai, i Borghi e le Bonino, abbiamo ben poco da offenderci.]

Il Pendolo di Erdogan, di Antonio de Martini

Turchia: nuove grane con le FFAA. Due generali (Temel comandante delle Truppe operanti in Siria e Irak e Barut comandante la IV brigata Commandos) sono stati esonerati e assegnati a compiti burocratici.

Ambienti filo occidentali si stanno affannando a illustrare divergenze strategiche tra militari e governo, ma – mentre queste spiegherebbero l’avvicendamento di Temel, non collimano con l’allontanamento di un semplice comandante di brigata- si ipotizza una ambizione politica dei due che disponevano dei mezzi e del carisma che sono mancati ai golpisti del 2016.

Altri analisti mormorano di una intenzione dei militari di forzare la mano al governo che procederebbe, a loro avviso, con troppa cautela nelle sue ambizioni territoriali e indugia ad attaccare i curdi. I militari vorrebbero approfittare per debellare i curdi di YPG mentre il governo avrebbe mire sul territorio siro-iracheno.

Da seguire, perché ogni volta che Erdogan sente odore di golpe , si avvicina a Putin e comunque sempre dai russi dipende il “ via libera” verso Mossul .

È proprio per scongiurare questa intesa che gli USA avrebbero deciso di rallentare la loro ritirata dalla Siria e il Senato si appresta a censurare la scelta di Trump alla riapertura dei lavori.

La posizione di forza di Putin consiste nella sua capacità di giocare su tutti i tavoli, mentre gli USA non riescono a interagire che con Israele i cui interessi peraltro iniziano a distinguersi.

Il Consigliere della Casa Bianca Bolton è a Ankara mentre la capa della CIA è , contemporaneamente, a Istanbul per tamponare i “ leaks”sul caso Khassoghi che ormai fanno parte del balletto diplomatico del Levante e che mettono in forse i 110 miliardi residui di ordinativi sauditi alla industria militare USA.

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