Barboncini, processi e buchi nell’acqua, di Roberto Buffagni

Barboncini, processi e buchi nell’acqua

 

Cari Amici vicini & lontani,

in queste belle giornate estive due fatti di cronaca campeggiano sui media: lo sbarco di immigrati tunisini a Lampedusa con barboncino (di nazionalità ignota) al seguito[1], e l’autorizzazione a procedere per il caso Open Arms[2] contro Matteo Salvini concessa dal Senato[3].

L’autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini per il caso Open Arms è motivata, ovviamente, da ostilità politica nuda e cruda, manifestata in forma particolarmente indecente , perché a) si è trattato di un atto squisitamente politico compiuto da un ministro in carica b) la responsabilità politica di quell’atto è condivisa, come minimo, dal Presidente del Consiglio del governo giallo-verde Giuseppe Conte, che andrebbe dunque processato anch’egli: cosa un po’ complicata e ossimorica, visto che Conte continua ad essere il Presidente del Consiglio in carica anche del governo giallo-rosa, sostenuto dalla maggioranza che ha appena votato l’autorizzazione a procedere contro Salvini.

Probabilmente, a Matteo Salvini non dispiace la prospettiva di finire sotto processo per il caso Open Arms, perché gli serve su un vassoio d’argento l’opportunità di presentarsi come vittima di un’ingiustizia e unico difensore degli italiani dai pericoli dell’immigrazione incontrollata. Tant’è vero che ha già diffuso il trailer dello spettacolo mediatico-giudiziario di cui sarà protagonista, dichiarando a caldo «Contro di me festeggiano i Palamara, i vigliacchi, gli scafisti e chi ha preferito la poltrona alla dignità. Sono orgoglioso di aver difeso l’Italia: lo rifarei e lo rifarò. Vado avanti, a testa alta e con la coscienza pulita»

L’autorizzazione a procedere è sicuramente un’ingiustizia; resta da vedere se Salvini sia una vittima.

Secondo me, sì: Salvini è una vittima, ma è una vittima anzitutto di se stesso e della povertà desolante della sua cultura e azione politica. Motivo? Ecco il motivo, anzi i motivi.

  1. La maggioranza parlamentare che l’ha indecentemente mandato a processo l’ha costituita lui, con la sua decisione dell’agosto scorso di far cadere il governo, nella speranza di provocare nuove elezioni e di incassare un diluvio di consensi[4]. All’epoca, la decisione di Salvini fu attribuita a valutazioni strategiche così raffinate da risultare accessibili solo a un Olimpo di pochi eletti strateghi. Ai molti perplessi si ingiunsero umiltà, silenzio, fiducia, come ai militi dell’Arma (mele marce escluse). Salvo prossimi, miracolosi rovesciamenti della situazione, forse implicanti intervento dei Piani Superiori (dagli USA di Trump a Padre Pio) mi pare si possa pacificamente riscontrare che le valutazioni strategiche di cui sopra erano, tutto sommato, sbagliate.
  2. L’azione politica per cui Salvini viene oggi indecentemente processato, e le altre analoghe da lui compiute come Ministro degli Interni, ovvero la chiusura dei porti agli immigrati clandestini, aveva già allora due caratteristiche principali: a) faceva acquisire una valanga di consensi a Salvini b) era ovviamente insufficiente per affrontare sul serio il problema (enorme) dell’immigrazione[5], perché da un canto è impossibile chiudere efficacemente i porti nell’attuale quadro politico e legislativo, e dall’altro, il problema dell’immigrazione si può affrontare solo se si ha una visione adeguata della politica internazionale, in particolare dei rapporti tra l’Italia e i paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

Evidentemente, per Salvini era rilevante soltanto l’aspetto sub a) della sua azione politica, cioè il fatto che gli faceva acquisire tanti consensi. Consensi che in un regime di democrazia parlamentare a suffragio universale hanno certo importanza decisiva, per un politico, ma che non sono tutto; anche perché come si acquisiscono, così si perdono: e se si acquisiscono con azioni dimostrative attente anzitutto all’immagine, ma che non producono alcun risultato concreto, si perdono quando l’immagine di autorevolezza e di sbrigativa efficacia proiettata con l’ausilio di Photoshop si appanna, o addirittura viene smentita dai fatti.

Qualcosina di meglio e di più anche Salvini avrebbe potuto fare, quando era ministro, anche sotto il profilo dell’immagine. Qui vi racconto un minimo esempio di quel qualcosina di più e di meglio.  Ce ne sono certamente altri, ma vi racconto questo perché lo conosco bene, visto che alla Lega l’ho proposto io.

Come sanno i lettori di italiaeilmondo.com e non solo loro (se n’è parlato in più occasioni sulla stampa nazionale, è stato presentato in un importante convegno internazionale in Tunisia, lo conoscono molto bene il governo tunisino e l’ambasciatore italiano a Tunisi) il nostro collaboratore Antonio de Martini è il referente italiano di un importante e suggestivo progetto, appoggiato da tre Università italiane, “Mare nel Saharahttps://www.medinsahara.org/

In pillola, è la ripresa aggiornata di un antico progetto francese, mai realizzato per contrasti politici, che fu appoggiato da Ferdinand de Lesseps[6], promotore ed esecutore del Canale di Suez e del Canale di Panama. Nel deserto tunisino vi sono vaste depressioni naturali, gli chott, site in prossimità del Mediterraneo. Escavandole per aumentarne la profondità, e sterrando un canale, vi si potrebbe far irrompere il Mar Mediterraneo, creando un mare artificiale. Con l’evaporazione, esso cambierebbe il microclima, rendendo fertili i terreni circostanti. Risultano subito chiare le ricadute positive economiche e sociali per la Tunisia e per l’Italia. Per la Tunisia, creazione immediata di 60.000 posti di lavoro, estensione della superficie coltivabile e creazione di una nuova leva di agricoltori; sviluppo di pesca e turismo marittimo (il 20% del PIL tunisino si deve al turismo). Per l’Italia, 4-5 miliardi di euro di lavori per imprese italiane, alle quali sarebbero commessi i lavori che esigono superiori capacità e tecnologie; cessazione dell’immigrazione clandestina dalla Tunisia; accrescimento del prestigio e dell’influenza politica italiana nella regione che è la cintura di sicurezza geopolitica naturale per l’Italia, la costiera mediterranea dell’Africa; replicabilità dell’iniziativa anche altrove, per esempio in Algeria, dove esistono condizioni geografiche analoghe. Ma invito i lettori a consultare il sito https://www.medinsahara.org/, dove troveranno le informazioni essenziali su questo bel progetto.

Per quanto riguarda la Lega, e in generale il defunto governo giallo-verde, l’opportunità e il vantaggio politico, anche di immagine, di promuovere un progetto simile mi parevano abbaglianti come il sole del deserto. Anzitutto, sul piano dell’immagine e del consenso, appoggiare questo progetto significava  fare per primi quel che gli avversari politici immigrazionisti dicono sempre di voler fare e non fanno mai: “aiutarli a casa loro”: e quindi tappare la bocca all’avversario. Per forze politiche prive di esperienza internazionale e di governo nazionale come Lega e Cinque Stelle, inoltre, sponsorizzare un progetto del genere implicava presentarsi come forze responsabili e lungimiranti, capaci di strategia internazionale. Per Matteo Salvini personalmente, poteva essere una buona occasione per smentire le accuse d’essere un capopopolo incolto e chiacchierone di cui lo bersagliano gli avversari,  proponendosi invece come statista affidabile, che sa coinvolgere persino gli avversari politici in progetti di vasto respiro: se avesse voluto respingere a priori e disprezzare un progetto di cui tutto si può dire tranne che sia razzista, il PD si sarebbe trovato in grave imbarazzo.

A ciò si aggiunga che per acquisire gli elementi di valutazione indispensabili a decidere se passare alla fase operativa vera e propria, bastava finanziare con 3-400.000 euro uno studio di fattibilità, del quale sono già individuate le fasi essenziali. Se per una delle mille ragioni possibili si fosse poi deciso di non dare il via al progetto, nessuno avrebbe potuto accusare i promotori politici di aver sprecato ingenti risorse; e intanto, essi avrebbero incassato l’effetto promozionale di un nobile, encomiabile tentativo di affrontare il problema, sul serio enorme, dell’immigrazione.

Così, all’insediamento del governo giallo-verde interessai al progetto il sen. Alberto Bagnai, e lo misi in contatto con Antonio de Martini. Il sen. Bagnai, però, non ritenne opportuno incontrare de Martini (che peraltro abita anch’egli a Roma) e lasciò cadere la proposta.

Grazie alla cortese disponibilità di un intermediario, incontrai poi l’On. Riccardo Molinari, capogruppo leghista alla Camera. L’ On. Molinari, che qui colgo l’occasione di ringraziare, mi ha ricevuto con prontezza e cortesia, e mi ha dedicato due ore del poco tempo di cui dispone un politico molto impegnato. Nel nostro colloquio gli illustrai il progetto, e da lui richiestone mi diffusi sull’importanza politica e geopolitica del Mediterraneo per il nostro paese. In lui trovai un interlocutore attentissimo, intelligente e molto disponibile, benché la materia in discussione non facesse parte della sua esperienza politica precedente. Ci congedammo con l’intesa che l’On. Molinari avrebbe portato il progetto, con le sue implicazioni, all’attenzione del segretario del suo partito, Matteo Salvini.

Risultato: un buco nell’acqua.

E’ vero: l’attuazione del progetto “Mare nel deserto” non avrebbe risolto definitivamente il problema dell’immigrazione, né soddisfatto l’ambizione di Matteo Salvini di guidare il governo italiano. Forse, però, se Matteo Salvini, invece di scavare un buco nell’acqua dopo l’altro, avesse fatto scavare qualche buco nella sabbia del deserto tunisino, oggi si troverebbe meglio. L’Italia e la Tunisia, di sicuro.

That’s all, folks.

 

 

 

[1] https://www.corriere.it/cronache/20_luglio_28/migranti-barboncino-travestiti-turisti-nuove-tecniche-sbarco-c3dcb4c0-d0a0-11ea-b3cf-26aaa2253468.shtml

[2] https://www.corriere.it/cronache/20_luglio_30/caso-open-arms-tar-scontro-ministri-ecco-cosa-accadde-f687df6e-d23d-11ea-9ae0-73704986785b.shtml

[3] https://www.corriere.it/politica/20_luglio_30/salvini-va-processo-il-caso-open-arms-senato-concede-l-autorizzazione-procedere-37b84b96-d27e-11ea-9ae0-73704986785b.shtml

[4] L’ho commentata nel settembre 2019, e purtroppo devo constatare che ci ho indovinato: http://italiaeilmondo.com/2019/09/11/lezioni-di-umilta-di-roberto-buffagni/

[5] Qui, in una serie di tre articoli, ne tratto sotto il profilo del conflitto politico su base etnico/religiosa che immigrazione e allargamento dello ius soli possono causare: http://italiaeilmondo.com/?s=ius+soli

[6] https://it.wikipedia.org/wiki/Ferdinand_de_Lesseps

Libro – Il Medio Oriente in fase di ristrutturazione (4/5), di Eugène Berg

Sappiamo che il Medio Oriente si concentra in uno spazio relativamente piccolo, un massimo di domande di natura geopolitica, molteplici antagonismi, nonché questioni politiche, religiose, economiche, sociali e culturali. Nessuno spazio al mondo come quello situato tra il Mediterraneo, il Mar Nero, il Mar Caspio, il Mar Rosso e il Mar Arabico ha così tante guerre, conflitti, scontri e sconvolgimenti. Da qui il grande interesse che si lega all’opera monumentale di Gérard Fellous dedicata alla regione del Medio Oriente, a differenza di qualsiasi altra.

A giudicare da cinque volumi, in oltre 2.500 pagine ampie e ben documentate che coprono tutti i paesi, tutte le domande relative a questa vitale area geopolitica alla confluenza di tre continenti.

Gérard Fellous ha seguito nella sua carriera giornalistica le evoluzioni geopolitiche dei paesi del Medio e del Medio Oriente, alla guida di un’agenzia di stampa internazionale. Esperto per le Nazioni Unite, l’Unione europea, il Consiglio d’Europa per i diritti umani e l’Organizzazione internazionale della Francofonia, è stato consultato da numerosi paesi arabo-musulmani. Il segretario generale della Commissione consultiva nazionale per i diritti umani (CNCDH) a nove primi ministri francesi, tra il 1986 e il 2007, ha trattato, in simbiosi con la società civile, le questioni della società sottoposte alla Repubblica.

Senza essere in grado di darne una spiegazione nella sua totalità, prendiamo in considerazione gli elementi essenziali, esaminando i cinque volumi, che costituiscono altrettanti punti di riferimento essenziali.

Volume 4: Siria: un devastante conflitto asimmetrico

La crisi siriana – equazione con molte incognite in cui piccole cause generano grandi conseguenze, in una sorta di “effetto farfalla”, sembra essere l’epicentro di una profonda destabilizzazione e il modello di sconvolgimento regionale. Nove anni dopo il suo scoppio, il caos siriano sotto Bashar al-Assad è, in larga misura, mantenuto da quattro potenze egemoniche, tre regionali, come abbiamo visto: Turchia, Iran e Arabia Saudita e una internazionale : Russia, a cui si sono unite varie coalizioni statali di geometrie diverse. Queste interferenze si sovrappongono sul campo siriano, come “bambole russe”. La Turchia, in costante guerra contro i curdi, ma anche occasionalmente contro il regime siriano, strumentalizza sul suo territorio quasi 4 milioni di rifugiati siriani.

Una vera borsa di nodi 

La Russia, alleata “occasionale” della Turchia, è decisamente ostile a tutti gli oppositori o ribelli che potrebbero minacciare il regime siriano. Lo scontro tra sunniti e sciiti si riflette in Siria da una “guerra fredda” tra Iran e Arabia Saudita che produce costantemente scontri armati, come in tutta la regione. Gli Stati Uniti, sotto le successive presidenze di Barak Obama e Donald Trump, hanno cercato, non senza difficoltà, di adattarsi alle mutevoli realtà della Siria, rifiutando di “impegnarsi come in passato in Vietnam. in Afghânistân, volendo creare lì nuovi equilibri. L’Unione europea è timidamente coinvolta di fronte al flusso incontrollato di rifugiati siriani, cui si aggiungono immigranti economici dal Sahel. Questi poteri sono più o meno coinvolti,

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La Repubblica araba siriana offre quindi un paradigma geopolitico che consente di decifrare la nuova decomposizione-ristrutturazione di tutto il Medio Oriente. Nel corso degli anni, questo paese si è trovato all’epicentro di tensioni multiple. A causa dell’assenza di una nuova leadership politica e militare regionale, un vuoto lasciato dall’Egitto, in cui Iran, Turchia e Arabia Saudita stanno cercando di imporsi. La crisi umanitaria siriana è tra le più gravi al mondo. 700.000 persone sopravvissero in 15 aree assediate, tra cui 300.000 bambini. Quasi 5 milioni di persone, tra cui oltre 2 milioni di bambini, vivevano in aree estremamente difficili da ottenere per gli aiuti umanitari a causa di incessanti combattimenti, insicurezza e restrizioni alla libera circolazione.

Alla domanda che tutti si pongono, perché il regime di Assad è stato in grado di durare per più di otto anni dopo l’inizio di una guerra civile scoppiata nel 2011, quando molti altri regimi autocratico nel mondo mediorientale è stato spazzato via o modificato in paesi come Tunisia, Algeria, Yemen , Egitto, Bahrain o Iraq, Gérard Fellous fornisce sei elementi della risposta.

Le ragioni della sussistenza del regime siriano 

Ha beneficiato di un esercito professionale e ben equipaggiato la cui forza principale non era nel piccolo numero della sua fanteria, supportata da milizie radunate e mercenari stranieri, ma nella sua forza aerea e nella sua difesa antiaerea notevolmente rafforzata da trasferimenti tecnici e di investimento dall’Iran e dalla Russia. Per la sua difesa antiaerea, il materiale obsoleto del tipo SA-5, SA6 e SA-7 che possedeva, è stato sostituito dai missili antiaerei SA-17, SA-22 e SA-24 di modelli recenti. Il regime siriano era quindi presente nel suo spazio aereo, lasciando inizialmente alle forze aeree della coalizione solo gli attacchi contro i territori detenuti da Daesh.

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A differenza della Libia, le forze aeree occidentali hanno trovato molto più difficile distruggere le forze aeree siriane e gli attacchi antiterroristici, con il rischio di imbattersi in una copertura russa. Solo l’aviazione israeliana ha fatto intrusioni più di cento volte nello spazio aereo siriano, o da quello del Libano, per distruggere centri di raccolta e convogli missilistici iraniani destinati a Hezbollah e ai combattenti. iraniani. Assad ha la possibilità di sparare alla folla di civili solo con armi leggere, riservando pesanti munizioni per la distruzione di edifici e gas venefici nei centri urbani detenuti da gruppi militari ribelli. Pertanto, i carri armati e l’artiglieria erano stati usati solo con parsimonia contro importanti località detenute dagli avversari dell’ASL (Esercito siriano libero). Oltre a un esercito convenzionale progettato per il campo di battaglia, o contro Israele, il clan Assad fece appello a forze meglio addestrate nel combattimento asimmetrico, adottando una tattica di controinsurrezione. La Russia e l’Iran hanno lavorato per dissuadere qualsiasi suggerimento di un intervento diretto da parte dell’Occidente contro le infrastrutture militari siriane, in particolare l’aria, come nel caso della Libia.

Nel quadro delle Nazioni Unite, la Russia, e in parte la Cina, ha bloccato qualsiasi risoluzione che consentisse operazioni militari dirette contro il regime di Assad. L’Iran ha reso la Siria il primo dei campi di battaglia della sua “guerra che incombe sull’America”. Teheran si occupò quindi dell’addestramento di 50.000 combattenti delle forze speciali siriane e inviò le proprie “forze speciali di Al-Quds” in prima linea a sostegno dei combattenti di Hezbollah. Mantenendo una selvaggia repressione contro qualsiasi inclinazione di opposizione o ribellione, il regime di Assad ha mantenuto un equilibrio di potere attraverso il terrore, che gli è stato rapidamente favorevole. Dopo i primi colpi contro la folla di manifestanti, il regime ha continuato ad arrestare e imprigionare migliaia di ribelli, uomini, donne e persino bambini,

Terrorismo delle popolazioni, una strategia redditizia

Terrorizzando le popolazioni, sunnite o minoritarie, la strategia di Damasco è stata quella di tentare di tagliare l’opposizione politica e militare dal suo popolare substrato. La violenza e la crudeltà del regime non sono “libere”, corrispondono a un freddo calcolo politico. La mancanza di credibilità politica e la frammentazione dell’opposizione in esilio sono state sfruttate a suo vantaggio dal regime di Assad. Damasco ha tratto grande beneficio dal loro dissenso interno, soprattutto quando il CNS (Consiglio nazionale siriano) è stato accusato dall’ASL di opportunismo, di essere tagliato fuori dalle realtà sul terreno o di essere dominato dai Fratelli Musulmani. Attuando, agli occhi dell’opinione mondiale, la massima: “Tra due mali, scegli il meno dannoso”,

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Dal 2012, Damasco si è sforzato di squalificare la FSA, insistendo sul fatto che il Fronte di Al-Nosra era più disciplinato, non praticando il saccheggio e il racket dei siriani, supportati dai patroni del Golfo. La propaganda ufficiale ha suggerito che il Fronte di Al-Nusra spesso soppianta l’FSA, essendo un attore militare tatticamente credibile. In secondo luogo, Damasco ha insistito sulla violenza praticata da questi jihadisti, sul loro desiderio di far dominare la Sharia in diversi distretti di Aleppo controllati dall’opposizione, diffondendo ampiamente esecuzioni sistematiche di prigionieri, decapitazioni di Alawites o Cristiani, e facendo circolare questi video su Internet. Bashar al-Assad non ha nascosto la sua soddisfazione nel vedere le Nazioni Unite mettere questi jihadisti nella lista dei “terroristi”.

Accettando la propaganda jihadista e diffondendola ampiamente sulle reti, Bashar al-Assad ha cercato di apparire come un male minore. Infine, il regime di Assad ha lavorato per riguadagnare la legittimità politica, non solo “organizzando” le elezioni, ma garantendo che siano ampiamente conquistate. Pertanto, con l’estrema violenza della repressione, Bashar al-Assad associò un certo “machiavellismo politico”, così come suo padre Hafez. In futuro, la Siria sarebbe in grado di sopravvivere al caos generato dal regime di Assad? Oggi non esiste un’alternativa credibile ad Assad, che non lo rende una soluzione duratura e desiderabile. Le sue frange più vulnerabili rispondono alla violenza con violenza e morte.

Pertanto, la dittatura del regime di Assad risponderebbe al nichilismo di Daeshe islamisti estremisti. Dopo anni di violenza e una serie di tentativi di mediazione diplomatica, dopo essere impantanato in sovrapposizioni di scontri militari e aver esaurito ogni ricorso per una soluzione politica, la Siria, come il resto il Medio Oriente, si rassegna a un futuro religioso fondamentalista? – Allo stesso modo, gli scontri diretti tra sciiti (regime alawita), sunniti e curdi, in un contesto in cui interessi e posizioni sono mescolati, lasceranno profonde e durature conseguenze di fratture sociali e politiche. – I tentativi del regime di Assad di “vittimizzare” la minoranza alawita nel conflitto interno e la sua militarizzazione che potrebbe solo essere accompagnata da una maggiore confessionalizzazione, porteranno i loro frutti velenosi, come l’Iraq, dalla Libia o dallo Yemen. La crisi siriana ebbe la particolarità di non essere stata inizialmente di natura religiosa, ma che alla fine sarebbe finita lì.

Un pedaggio molto pesante

Né l’Iran, né gli altri due sostenitori di Damasco, la Russia e, in misura minore, la Cina, né il mondo sunnita schierato dietro l’Arabia Saudita e alcuni paesi del Golfo saranno in grado di assumerlo a lungo, senza senza fiato. Tuttavia, il bilancio della guerra civile asimmetrica è uno dei più pesanti che la regione abbia conosciuto nella sua storia contemporanea, dal numero di morti e feriti civili, dalla distruzione di infrastrutture economiche e dal volo degli abitanti. preso in ostaggio dalle forze in presenza e spinto a trovare rifugio, in massa, nei paesi vicini e fino in Europa. La soluzione di una divisione geografica della Siria tra comunità religiose ed etniche (aree alawite / cristiane / curde / sciite / sunnite …) con un governo composito e debole a Damasco, come quello stabilito in un Iraq instabile, proprio come in una sfilacciata Libia o in un Libano in tensione, sarebbe la peggiore prospettiva offerta. Una spartizione militare del paese potrebbe derivare di fatto da una “guerra totale” senza fine, tra un lato una “utile Siria” in Occidente, che va da Aleppo a Damasco, attraverso la fascia costiera di Latakia. nella città centrale di Homs, controllata dal regime di Assad e dai suoi alleati; e dall’altro controllato dal regime di Assad e dai suoi alleati; e dall’altro controllato dal regime di Assad e dai suoi alleati; e dall’altroIl “Daechstan”, detenuto da jihadisti di ogni genere, si fondeva in popolazioni-tribù, clan, milizie, famiglie convertite. I curdi avrebbero poi formato il loro sogno “Kurdistan”, a cavallo tra Siria e Iraq.

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Quali sarebbero in definitiva le condizioni utopiche per la normalizzazione, chiede Gérard Fellous? Lo scenario perfetto per porre fine alla crisi in Siria consisterebbe nello sradicare il jihadismo e soprattutto Daesh dal paese, rimuovendo Bashar al-Assad e il suo clan dal potere, neutralizzando le molte fazioni armate che stanno dividendo e saccheggiando il paese, e promuovere l’emergere di una vera opposizione politica legata in una certa misura a un sistema democratico. Ma questo progetto incontrerebbe molte difficoltà che sembrano insormontabili a breve termine. Al fine di ripristinare l’autorità di uno stato siriano stabile su tutto il suo territorio, il primo passo sarebbe la distruzione di Daesh, non solo dopo che lo Stato islamico fosse stato cacciato dalle sue due “capitali”, Rakka (Siria) e Mosul (Iraq), e i suoi “contatori” circostanti, ma anche le aree rurali o desertiche in cui si era ritirato evitando di combattere. Le scelte dell’Arabia Saudita di acquisire una posizione dominante nello scontro sunnita-sciita, mantenendo indefinitamente le tensioni nell’Umma, anche nei suoi interventi contro gli hutisti nello Yemen L’incerta polarizzazione di una Turchia ossessionata dalla sua lotta contro la Curdi, ostacolando il loro progetto per un territorio transfrontaliero autonomo. Internamente in Siria, la pace civile potrebbe essere ripristinata solo su due presupposti: * Le centinaia di milizie, piccole o potenti, legate al regime di Assad o all’opposizione o soprattutto indipendenti, dovranno essere disarmate e dissolte. Alcuni potrebbero essere integrati in un nuovo esercito nazionale regolare. Una pace negoziata sarebbe il prerequisito per un processo di transizione politica come indicato da diciassette paesi nel novembre 2015 a Vienna, sotto l’egida delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea. Ma la probabilità di successo di questa uscita dalla crisi sembra molto ridotta nel prossimo futuro. La logica bellicosa della sottomissione tribale predomina sempre e ovunque. Il regime di Assad non sarà mai pronto a rinunciare alla zavorra per la pace né a prendere in considerazione la minima concessione di condividere il proprio potere, a condizione che il suo potere militare sia assicurato dalla combinazione delle forze russe e iraniane. Bashar al-Assad ha preso in ostaggio Mosca e Teheran. Ma la probabilità di successo di questa uscita dalla crisi sembra molto ridotta nel prossimo futuro. La logica bellicosa della sottomissione tribale predomina sempre e ovunque. Il regime di Assad non sarà mai pronto a rinunciare alla zavorra per la pace né a prendere in considerazione la minima concessione di condividere il proprio potere, purché il suo potere militare sia assicurato dalla coniugazione delle forze russe e iraniane. Bashar al-Assad ha preso in ostaggio Mosca e Teheran. Ma la probabilità di successo di questa uscita dalla crisi sembra molto ridotta nel prossimo futuro. La logica bellicosa della sottomissione tribale predomina sempre e ovunque. Il regime di Assad non sarà mai pronto a rinunciare alla zavorra per la pace né a prendere in considerazione la minima concessione di condividere il proprio potere, purché il suo potere militare sia assicurato dalla coniugazione delle forze russe e iraniane. Bashar al-Assad ha preso in ostaggio Mosca e Teheran. purché il suo potere militare sia assicurato dalla combinazione delle forze russe e iraniane. Bashar al-Assad ha preso in ostaggio Mosca e Teheran. purché il suo potere militare sia assicurato dalla combinazione delle forze russe e iraniane. Bashar al-Assad ha preso in ostaggio Mosca e Teheran.

Per quanto riguarda l’amministrazione americana di Donald Trump, avrà il suo biglietto d’ingresso per i negoziati di pace solo quando avrà conquistato la fiducia reciproca, rompendo tutta la logica isolazionista. La guerra civile siriana è continuata per più di sette anni e durerà per molti più anni principalmente a causa del regime di Assad, che non smetterà di combattere fino a quando non avrà riconquistato “l’utile Siria”, vale a dire. dire la spina dorsale del paese, ma anche per la prima volta da decenni, spera in tutto il paese, qualunque sia il costo. Continuerà la sua “riconquista” fintanto che beneficerà del sostegno di un solido asse Teheran-Mosca, dal quale rimarrà sempre più dipendente.

L’attore principale nel futuro di questo paese rimarrà la Russia, a condizione che quest’ultimo abbia interesse a rimanere lì e abbia i mezzi per farlo. Al fine di mantenere la sua esistenza, il regime di Assad, in termini demografici e geografici di minoranza, in cerca di protettori, si era lasciato “colonizzare” da Vladimir Poutine, a condizione di mantenere una parvenza di potere politico. Per quanto riguarda la Cina, che non ha interessi strategici nel paese, ha colto l’opportunità della crisi siriana per garantire un possibile accesso alle risorse energetiche della regione e, nell’immediato futuro, stabilire il suo “potere fastidioso” all’interno della comunità internazionale al fine di convincerlo che d’ora in poi dovrà essere preso in considerazione negli affari mondiali.

In Siria, ciò equivarrebbe principalmente a ottenere un disaccoppiamento del regime baathista dall’influenza della Russia e dell’Iran. L’obiettivo sarebbe un prosciugamento dell’aiuto militare fornito da Putin a Bashar Al-Assad da un lato, e dall’altro un arresto del sostegno militare alla ribellione alimentata dall’Arabia Saudita e da alcuni paesi del Golfo sunnita, e un prosciugamento delle forniture di armi dall’ovest. La tensione si ridurrebbe progressivamente di parecchie tacche nel contesto dell’emergere di un “governo siriano di transizione”, mettendo gradualmente a repentaglio Bashar Al-Assad e il suo clan. Un’ipotesi difficile.

https://www.revueconflits.com/livre-moyen-orient-syrie-guerre-bachar-al-assad-daech-eugene-berg/

Lo strano caso Italia, a cura di Teodoro Klitsche de la Grange

Luciano Barra Caracciolo, Lo strano caso Italia, Eclettica Edizioni, pp. 233, € 18,00

Escono da qualche anno sempre più libri che non “cantano in coro” e sottolineano, anzi, come la globalizzazione e l’euro siano stati, per l’Italia (soprattutto) un cattivo affare.

Questo saggio si distingue già dal titolo e dal sottotitolo. Quanto al primo l’aggettivo strano avrebbe dovuto essere scritto tra virgolette: perché – tanto strano il caso Italia non è (e il libro lo conferma), ma anzi era voluto e prevedibile.

Per il sottotitolo questo è “Breviario di politiche economiche nella crisi del globalismo istituzionale aggiornato all’emergenza coronavirus”; e il libro è – in gran parte – la dimostrazione che le politiche di austerità hanno provocato – o almeno aggravato decisamente – la crisi in atto (almeno) dal 2008, precipitata ulteriormente con la pandemia.  E così il breviario serve a riportare sulla “retta via”, ben nota agli economisti (non di regime), e a ritrovare le condizioni di compatibilità tra il modello economico-sociale delineato dalla Costituzione e quello emergente dai trattati europei.

L’autore rileva che a seguito dell’adesione all’euro “derivante da trattati e fonti di diritto internazionale (privatizzato) -, e avendo subito la conseguente ristrutturazione del proprio modello industriale e sociale derivante dalla correzione Monti (in poi), l’Italia registra una crescita zero”; questo perché “Le regole pattizie sovranazionali che impongono la globalizzazione, poi, sono regole di liberoscambio, cioè di affermazione del dominio del mercati sulle società umane, i cui bisogni, – l’occupazione, la dignità del lavoro, la solidarietà sociale espressa nella cura pubblica dell’istruzione, della previdenza e della sanità – divengono recessivi e subordinati alla scarsità di risorse… La globalizzazione è quindi un sistema di regolazione sovranazionale mirato a rafforzare le mire dei paesi (Stati nazionali) che la propugnano, da posizioni iniziali di forza politica ed economica, nel conquistare i mercati esteri”. E questo già lo scriveva Friedrich List quasi due secoli fa. E proprio per questo l’economista tedesco, che aveva assai presente funzione, carattere (e primato) del politico, sosteneva che la differenza essenziale tra quanto da lui sostenuto e il pensiero di Adam Smith era che la sua economia era politica cioè in vista dell’interesse, volontà e potenza delle comunità (organizzata – per lo più – in Stati), mentre quella dello scozzese era cosmopolitica (avendo come criterio-base l’interesse individuale).

Una delle conseguenze dell’economia cosmopolitica – nella versione contemporanea di Eurolandia – è di essere, per l’appunto, come sostiene l’autore in contrasto col modello delineato dalla Costituzione “più bella del mondo”.

Scrive Barra Caracciolo “a voler essere benevoli, a partire dal trattato di Maastricht, il modello costituzionale non sia stato rispettato; per espressa previsione delle norme inviolabili, e non soggette a revisione, della nostra Costituzione (artt, 1, 4, 36, 38, 32, 33… quantomeno), l’economia italiana segue il modello keynesiano… sicché esso non tollererebbe (cioè, non contemplerebbe come costituzionalmente legittime) politiche che, sempre per attenersi alle classificazioni e schematizzazioni di questi ultimi, implichino apertamente”, il di esso costante sacrificio. Accompagnato da salmi di giubilo alle regole europee degli eurodipendenti.

La venticinquennale stagnazione italiana è, in senso economico, determinata dalla crisi strutturale della globalizzazione da un lato, e dall’altro dall’impedimento di quelle politiche di sviluppo, dettate dalla nostra Costituzione, ma rifiutate dall’U.E.. Anche se, a quanto pare, dalle trattative sul recovery fund correzioni delle politiche d’austerità (sostanzialmente dannose per l’Italia), è in corso. Ma non si sa quanto efficaci, almeno nel medio periodo, per il nostro paese.

In questo saggio c’è molto, onde non è facile sintetizzarlo. I profili più evidenti ne sono: a) il contrasto tra quanto si sostiene – dagli euro dipendenti – che da un lato si atteggiano a numi tutelari della Costituzione “più bella del mondo”, dall’altra nelle politiche euroasservite ne tradiscono il modello economico sociale, nei suoi caratteri fondamentali, a cominciare dalla tutela del lavoro, che è, secondo l’art. 1 il fondamento (reale prima che normativo) della Repubblica.

Ma questo si comprende bene: élite in decadenza si affidano all’astuzia più che alla forza (Pareto). Come scriveva il segretario fiorentino, il principe deve badare a parere più che ad essere. E il metodo più seguito per farlo è predicare in modo opposto al praticare. La sconnessione tra detto e fatto, tra intenzioni esternate e risultati conseguiti è voluta e tutt’altro che casuale.

La seconda – connessa alla precedente – è la sostanziale assenza (od oscuramento) del dibattito su crisi, cause e responsabilità della stessa. Silenzio assordante fino a qualche anno orsono, un po’ meno dopo che i successi  elettorali dei partiti sovranpopulidentitari hanno certificato che la consapevolezza popolare di cause e responsabilità della crisi, malgrado tutto, determina crisi politiche di livello globale, con sempre più Stati retti e condizionati da maggioranze (o quasi-maggioranze) elettorali sovran-populiste. Economisti di regime, giuristi di palazzo, mass media asserviti l’hanno solo ritardata. Come scrive Barra Caracciolo “tutta la problematica (della crisi)… è completamente assente dalle dichiarazioni programmatiche e dal dibattito politico attuale… Si ha come l’impressione di essere in una realtà parallela, fatta di miopi polemiche di parte e di slogan ripetuti senza comprenderne appieno il significato… E l’Italia non può permettersi di essere raccontata e guidata ignorando la sua natura, la sua vocazione, ben collocata in questa terra, interconnessa con i problemi di una globalizzazione che è stata concepita dai progettisti di Elysium, da spietati Malthusiani, e che ora, nella sua fase discendente, rischia di trascinarsi nel suo “cupio dissolvi”… Parliamone: non lasciamo che discorsi “lunari”, ipostatizzati su un pensiero unico e irresponsabile verso il popolo sovrano, ci facciano suonare, come comprimari, nell’orchestra del Titanic…”. E questo libro è un’ottima occasione per cambiare musica (e orchestra).

Teodoro Klitsche de la Grange

TORNARE INDIETRO PER ANDARE AVANTI, di Pierluigi Fagan

TORNARE INDIETRO PER ANDARE AVANTI. Nel 1486, il filosofo autodidatta Pico della Mirandola, scrive l’Oratio de homini dignitate, ritenuto da molti il “manifesto” di quel Umanesimo fiorentino che prelude al Rinascimento. Nell’Oratio, Pico sostiene che mentre ogni altro ente di natura è stato creato da Dio in forma determinata, l’uomo è condensato di potenzialità di potersi liberamente dare definizione da sé: “Tu determinerai la tua natura secondo il tuo arbitrio al cui potere io ti ho consegnato. […] …affinché tu stesso quasi come un libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avevi prescelto”. L’Umanesimo faceva perno su questa nuova antropologia in cui lo scarto dalla precedente convinzione stava tutta in questa sottrazione dalla determinazione che dava all’uomo libertà e responsabilità. L’operazione intellettuale era quella di sottrarre l’Uomo dalle rigide determinazioni del Dio artefice di ogni cosa, sostenendo che proprio Dio aveva donato all’Uomo la libertà dalla determinazioni donandogli la sovranità su se stesso. Ma allora, cosa fare di questa libertà all’autodeterminazione?

In questo scorcio di seconda metà del XV secolo in Italia, si combatte la riforma del pensiero che vuole emanciparsi dal totalitarismo della Chiesa recuperando gli Antichi, testimoni di un “pensiero altro”e per altro, molto più esteso e sofisticato di quello tipicamente medioevale. Il XV col XVI e XVII secolo sono il periodo di lunga dissolvenza incrociata nel quale il Medioevo lentamente dissolve mentre assolve il Moderno, sia nel mondo dei fatti che in quello dei pensieri.

Nel mondo dei fatti, è questo il periodo in cui dissolve un certo tipo di società ed assolve un’altra. Questa seconda sarà poi quella che oggi sta finendo ponendo di nuovo la domanda: … cosa fare di questa libertà all’autodeterminazione? In breve, l’Uomo occidentale, si è liberato da una gabbia mentale riflessa poi in una precisa struttura del sociale in cui gli intermediari della credenza in Dio usavano tale diffusa e profondamente introiettata credenza per garantirsi il ruolo di primi tra pari. Nel farlo, ha liberato la sua potenza intenzionale e produttrice facendo del lavoro e del suo profitto, il senso del suo stare al mondo. La nuova struttura del potere sociale perdeva il concetto di “primi tra pari” in quanto eclissando Dio come vertice della piramide dell’Essere si perdeva la parità umana, si perdeva quindi il ruolo e la funzione di intermediario, si apriva ad una nuova credenza in cui il mondo umano era fatto dall’uomo stesso. Questo “uomo produttore di mondo” s’ingaggiava sempre più a “risolvere problemi”, che lo facesse col lavoro, col commercio, con la tecnica, con le prime esplorazioni scientifiche o nautiche. Prima di giudicare idealmente il senso di questa svolta, il giudicante dovrebbe esser ben consapevole dell’aspettativa di vita, del tasso di mortalità per fame o malattie, del tasso medio di ingiustizia di allora comparati a quelli di oggi.

Il grande studioso dell’economia antica Moses Finley, raccontava di un signore dell’antica Atene che finanziava diverse navi commerciali del Pireo che riempiva di merci e beni. Le navi, periodicamente, andavano sulle coste libiche e lasciavano merci e beni sulla spiaggia al limitare della foresta. Poi tornavano un po’ al largo, aspettavano ed infine riattraccavano. Il “popolo della foresta” aveva preso merci e beni ed aveva lasciato in controvalore schiavi secondo proprio giudizio di equivalenza. Gli schiavi venivano portati al signore di Atene finanziatore della spedizione. Il signore aveva così accumulato circa duecento schiavi che però non vendeva, affittava. Li affittava ai possessori miniere o di campi da coltivare fuori Atene, piuttosto che come servi casalinghi o addirittura affittandoli alla città come opliti. Il signore possedeva quindi i mezzi di produzione essendo questi, al tempo, lavoro umano ed aveva realizzato il ciclo marxiano del denaro (per finanziare la spedizione) che serviva a comprare merce (gli schiavi) che producevano più denaro (profitto) di quanto erano costati (investimento), il fatidico D-M-D1. Il signore era quindi un “capitalista”.

Se questa è la formula di un fare economico capitalista, sarà bene sapere che di questo fare economico, la storia ne è piena e da molti più secoli che non quelli che chiamiamo propriamente “capitalistici”. Ma con due differenze tra gli esempi reperibili nella storia lunga ed il sistema imperante nei secoli propriamente detti moderni o “capitalistici”. La prima differenza è che questi modi -in passato- erano frammisti a molti altri, non erano l’unico modo. La seconda è che nessuna società si ordinava esclusivamente col fare economico che a sua volta si ordinava con solo questo modo. L’epoca in cui inizia la transizione ad una “società capitalistica” è proprio il XV secolo dove precedenti modi economici già lungamente basati sul ciclo “investimento-trasformazione-profitto” sin dal XII secolo diventano sempre più diffusi e perfezionati, per poi dalla fine del XVII secolo, diventare l’unico modo del fare economico e con la Gloriosa rivoluzione inglese, il modo stesso in cui si ordina l’intera società nonché quello che esprime il potere politico riunito nel “parlamento dei produttori e dei dotati di capitale”.

Cosa intendiamo quindi con “capitalismo”? Un modo economico tra gli altri, passibile quindi di diversa forma o il sistema sociale in cui la società è ordinata dal fare economico e questo dall’unica versione basata sul ciclo “investimento-trasformazione-profitto”? Nel primo caso c’è chi ipotizzò che imponendo una diversa forma economica previa conquista del potere politico e giuridico (come?) si giungerà ad una nuova forma sociale. Nel secondo caso si nota che non è tanto la forma del ciclo “I-T-P” che è antica quanto l’uomo, ma la sua presunta unicità e soprattutto la sua pretesa di ordinare l’intera società ed il suo potere ultimo che è sempre politico-giuridico.

Eccovi quindi gli “accelerazionisti”. Costoro sono convinti che piuttosto che resistere alle dinamiche evolutive (o involutive) del capitalismo contemporaneo, tanto vale accelerarle fino alle estreme conseguenze di una società liberata dal mito del lavoro. Non del lavoro in quanto tale che sarà sempre necessario entro certi limiti, ma del suo mito come essenza della società umana e realizzazione stessa dell’uomo. La chiave di volta è il progresso tecnologico che tende a sostituire lavoro umano con lavoro macchina o algoritmo. Alle sue estreme conseguenze, se il lavoro non sarà più il perno del fare umano e sociale, la società si cercherà un nuovo ordinatore. E potrà liberamente farlo laddove s’imporrà (come?) il principio di dare sussistenza minima garantita a tutti, liberando tempo ed energie intellettuali e sociali, infine politiche, per discutere e decidere assieme quale altro ordinatore darsi. Tornare cioè alla domanda di Pico su cosa fare di questa libertà all’autodeterminazione e provare a dare un’altra risposta da quella che poi venne storicamente data. Non solo provare a dare un’altra risposta rispetto a quella data, ma anche rispetto alla contro-risposta data da coloro che volevano superare nel XIX secolo questo stato di cose e che poi, purtroppo, non sono riusciti ad alimentare un vero e sostanziale cambiamento.

E’ un argomento complesso da discutere quindi ve lo sottopongo a libera discussione.

nb tratto da facebook

Libro – Il Medio Oriente in fase di ristrutturazione (3/5), Di Eugène Berg

Libro – Il Medio Oriente in fase di ristrutturazione (3/5)

Volume 3: tre potenze straniere coinvolte, le impotenti Nazioni Unite

Sappiamo che il Medio Oriente, in uno spazio relativamente piccolo, concentra un massimo di domande di natura geopolitica, antagonismi multipli, nonché questioni politiche, religiose, economiche, sociali e culturali. Nessuno spazio al mondo come quello tra il Mediterraneo, il Mar Nero, il Mar Caspio, il Mar Rosso e il Mar Arabico ha così tante guerre, conflitti, scontri e sconvolgimenti. Da qui il grande interesse che si lega all’opera monumentale di Gérard Fellous dedicata alla regione del Medio Oriente, a differenza di qualsiasi altra.

A giudicare da cinque volumi, in più di 2.500 pagine ampie e ben documentate che coprono tutti i paesi, tutte le domande relative a questa vitale area geopolitica alla confluenza di tre continenti.

Gérard Fellous ha seguito nella sua carriera giornalistica le evoluzioni geopolitiche dei paesi del Medio e del Medio Oriente, alla guida di un’agenzia di stampa internazionale. Esperto per le Nazioni Unite, l’Unione europea, il Consiglio d’Europa per i diritti umani e l’Organizzazione internazionale della Francofonia, è stato consultato da numerosi paesi arabo-musulmani. Il segretario generale della Commissione consultiva nazionale per i diritti umani (CNCDH) a nove primi ministri francesi, tra il 1986 e il 2007, ha trattato, in simbiosi con la società civile, le questioni della società sottoposte alla Repubblica.

Senza essere in grado di darne una spiegazione nella sua totalità, prendiamo in considerazione gli elementi essenziali, esaminando i cinque volumi, che costituiscono altrettanti punti di riferimento essenziali.

Volume 3: tre potenze straniere coinvolte, le impotenti Nazioni Unite 

Per un decennio, tutti gli sforzi della comunità internazionale per trovare soluzioni politiche e diplomatiche alle crisi regionali si sono scontrati con ambizioni antagoniste e la complessità delle realtà sul campo. Tutti i piani di pace, come le molteplici mediazioni, vengono regolarmente infranti. L’equilibrio delle forze militari sul terreno ha moltiplicato le guerre asimmetriche. L’intransigenza dei protagonisti locali che privilegiano i guadagni della guerra e gli interessi contraddittori delle potenze regionali e internazionali sono rimasti vivi.

Leggi anche:  Fuori dal caos, le crisi nel Mediterraneo e in Medio Oriente, di Gilles Kepel

Il segretario generale delle Nazioni Unite, parlando al Consiglio di sicurezza il 10 gennaio 2017, ha osservato che, se le Nazioni Unite fossero state create per prevenire la guerra attraverso un ordine internazionale basato su regole vincolanti, ” oggi questo ordine è seriamente minacciato. Ha aggiunto: “Le popolazioni civili stanno pagando un prezzo troppo alto (…) Abbiamo bisogno di un nuovo approccio. Con l’avvicinarsi di ogni nuova generazione, era nel 1957, dopo lo sfortunato equipaggiamento di Suez, la “Newlook” di Eisenhower. Da allora così tanti approcci innovativi hanno affrontato le stesse difficoltà!

L’approccio diplomatico necessario per la Russia

Di fronte a questa dura realtà, tre poteri erano ancora impegnati. Russia, Stati Uniti e Unione Europea. Perché la Russia di Putin si è impegnata nel Mediterraneo in tale sostegno alla Siria e al regime di Bashar al-Assad? Allo stesso tempo, per ragioni di strategia militare, ragioni economiche (vendita di armi, stabilizzazione del mercato petrolifero) il desiderio di tornare in primo piano sulla scena diplomatica mondiale. La Russia ha cercato, sin dai primi anni 2000, di tornare nel Mare Nostrum. Putin adotta una strategia nel Mediterraneo che tiene conto di due importanti punti deboli della Russia contemporanea. Militarmente, ha poco peso contro l’armada americana, ma ne fa un uso molto efficace. In secondo luogo, nella diplomazia, la sua strategia non può essere eternamente ridotta al fastidio dell’uso sistematico del suo veto nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.. Mosca è in effetti sulla difensiva, il giudice Gérard Fellous, ma Putin deve far credere di avere la sua mano in questo gioco di poker che sta lanciando in Siria, anche se deve vincere alcune “vittorie piriche”. L’opzione militare gli è vietata e la vittoria diplomatica è fuori portata in un intenso calendario internazionale, di cui non ha l’iniziativa. Questa lettura della guerra siriana, che enfatizza le debolezze della Russia, copre a malapena quelle occidentali.

Da leggere anche: la  Russia, il suo “Estremo Oriente” e il suo “vicino all’estero”

L’imbarazzo della scelta per gli americani, una politica stabile per l’Europa

Naturalmente, come sotto la presidenza Obama, l’amministrazione Trump ha dovuto affrontare tre scelte sin dal suo inizio. Lascia che la Russia mantenga attivo il regime di Assad e non intervenga in questo “paniere di granchi”. Intervenire direttamente sul campo, come in Afghanistan o in Vietnam , in particolare per sradicare il jihadismo, con l’obiettivo di riconquistare Mosul e cercare di stabilire la democrazia nel paese. O infine per subappaltare la stabilizzazione del Paese da parte di una potenza regionale: l’Iran come aveva tentato l’amministrazione Obama, o la Turchia di Erdogan o persino i curdi.

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L’Unione europea, e in particolare la Francia, si distingue per le sue posizioni differenziate sulla Siria e sull’arma nucleare iraniana, allineandosi alla comunità internazionale per quanto riguarda la libera circolazione nel Golfo.

Il fallimento della comunità internazionale

Ciò che Gérard Fellous nota e deplora in particolare è il fallimento descritto come “sconcertante” dalla comunità internazionale. Ma come possiamo credere che questo, che è solo l’aggiunta degli interessi nazionali dei vari attori presenti sul campo, possa agire da miracoloso? Nonostante gli impegni delle tre maggiori potenze, i rischi di impunità per le massicce violazioni della pace e dei diritti umani da parte di regimi dittatoriali o autoritari o da organizzazioni terroristiche minacciano l’esistenza stessa della giustizia internazionale. Il concetto di ” crimine contro l’umanità“, È rimasto sostanzialmente teorico, mentre l’impunità per gravi violazioni è generalizzata. È ammesso all’unanimità che questo fenomeno di impunità costituisce un ostacolo alla democrazia, una sconfitta dello stato di diritto e un incoraggiamento a nuove violazioni. Nelle società che hanno cercato di emergere da lunghi periodi di regimi autoritari – come è stato brevemente il caso in Tunisia, Egitto, Libia, Bahrein, l’impunità ha provocato una crisi di fiducia pubblica.

Da leggere anche:  Diritto e dovere di interferire: esportare la democrazia in nome della legge?

Non aspettando che i protagonisti crollino senza sangue, spetta alla comunità internazionale imporre la pace, vale a dire soluzioni politiche, conclude. Nonostante la responsabilità dei belligeranti locali, regionali o internazionali, il dramma mediorientale che è rinato dalle sue ceneri, giorno dopo giorno per più di un decennio, dovrà incitare le Nazioni Unite a mettersi in discussione, ma sulla sua efficacia. In effetti, le Nazioni Unite devono oggi, urgentemente, ridisegnare la propria azione, come ha fatto più di settant’anni fa, dopo la seconda guerra mondiale, quando rinacque dalle ceneri. della Società delle Nazioni. Vorremmo seguirlo su questo punto, ma è improbabile che nelle condizioni attuali assisteremo a un vero salto nel multilateralismo.

https://www.revueconflits.com/livre-moyen-orient-russie-union-europeenne-etats-unis-communaute-internationale-eugene-berg/

Prove tecniche di sovranità tecnologica europea?_di Giuseppe Gagliano

Prove tecniche di sovranità tecnologica europea?

Il precedente articolo su Edward Snowden ha posto l’attenzione del lettore sulla pervasività del sistema di sorveglianza americano – nello specifico dell’NSA – ma soprattutto sull’egemonia americana nel campo della sovranità digitale. Proprio per questa ragione riteniamo opportuno, seppure in breve, sottolineare l’importanza geopolitica del progetto Gaia X nato anche con lo scopo di contrastare l’egemonia americana .

Il progetto Gaia X è stato avviato dalla Francia e dalla Germania con lo scopo di tutelare anche la sovranità dei dati. Questo progetto prende il nome di Gaia-X ed è supportato da 22 aziende franco-tedesche come ad esempio Orange, OVHcloud, Edf, Atos, Safram, Outscale, Deutsche Telekom, Siemens, Bosch e BMW. Per quanto riguarda i settori coinvolti nel progetto sono numerosi perché sono relativi all’industria 4.0/PME, alla sanità, alla finanza, al settore pubblico, a quello energetico, alla mobilità e all’agricoltura. La genesi di questo progetto è da individuarsi nel vertice di Dortmund che si tenne nell’ottobre del 2019 durante il quale Angela Merkel si pronunciò a favore della sovranità dei dati e di una soluzione europea per la costruzione di una infrastruttura digitale. Inoltre questo progetto fa parte di una più ampia strategia europea di governance dei dati già esplicitamente formalizzata dalla commissione europea il 19 febbraio del 2020. Il principio da cui parte questo progetto è molto semplice: l’Europa allo scopo di essere un player geopolitico rilevante deve essere in grado di garantire la propria sovranità tecnologica. Tutto ciò consentirebbe, per esempio, di evitare che i dati sanitari dei pazienti siano venduti, come successo con il National Health System britannico, ad aziende farmaceutiche americane come rivelato dalla periodico The Guardian nel dicembre 2019.

È evidente che questo progetto è volto anche a fornire un’alternativa europea ai leader mondiale del cloud Computing come Amazon, Microsoft, Google e Alibaba che allo stato attuale detengono oltre il 70% del mercato mondiale. Naturalmente questo progetto rientra in un contesto molto più ampio che consiste nel tentare di costruire un’infrastruttura europea dalla quale dovrebbe nascere un ‘ecosistema europeo di dati per consentire all’Europa di riconquistare la sua sovranità digitale. Sia la Francia che la Germania ritengono opportuno incoraggiare anche altri paesi europei – come Italia e Spagna ad esempio- che dovrebbero partecipare a questo progetto di sovranità ed autodeterminazione. La rilevanza di questo progetto a livello globale è tale che l’amministrazione americana interpreta i piani di Bruxelles sulla sovranità digitale come una minaccia alla libertà economica e all’espansione delle sue industrie tecnologiche. Per quanto riguarda la Francia è significativo il fatto che tutte le principali scuole di pensiero relative all’intelligence economica – e fra queste certamente la Scuola di Guerra economica parigina di Christian Harbulot – abbiano nel corso di questi ultimi anni posto l’enfasi sulla necessità di conseguire in tempi relativamente brevi la sovranità e l’autodeterminazione digitale in un’ottica di patriottismo economico allo scopo di emanciparsi dalla egemonia americana. Come abbiamo già avuto modo di osservare in un articolo su Vision-Gt l’Europa non ha scelta: se infatti vuole proteggere i suoi cittadini, deve cambiare la sua strategia geoeconomica. Deve, per esempio, investire nella ricerca più ampia e trasversale possibile al fine di comprendere la natura della guerra economica. Insomma Bruxelles dovrebbe formulare una vera dottrina di difesa economica per affrontare sia gli Usa che la Cina.

http://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/prove-tecniche-di-sovranita-tecnologica-europea/?fbclid=IwAR1wp5ZZ9a3H_8SOejmjS5Iu-dHmTGHh_QzYNlCUVdbBBsk4veXgreKTz7c

Il bene riflesso, di Giuseppe Masala

Riflettevo un po’ sull’Euro. Dico, indipendentemente da come andrà a finire questa epopea destinata ad entrare nella Storia. Il mio è stato un ragionamento utilitaristico che è partito dalla constatazione empirica che nulla a questo mondo viene nella vita senza lasciare qualcosa. Qualunque cosa, prende un po’ di noi e lascia qualcos’altro. L’Euro dal punto di vista italiano è stato senza dubbio una catastrofe economica, politica e sociale (certo, non abbiamo la controprova di cosa sarebbe accaduto se non fossimo entrati). Ma cosa ci lascia questa esperienza che non esito a definire tragica?

L’Euro ci lascia due cose fondamentali. Ci lascia innanzitutto un enorme patrimonio culturale. Quanto abbiamo studiato – ciascuno a modo suo – per comprendere i meccanismi economici, politici, sociali, culturali, storici che ci hanno portato come popoli europei a questa scelta. Pagine e pagine sulla storia tedesca; dalla loro unificazione, alle guerre, alle dispute politiche, giuridiche e filosofiche. Non parliamo poi del loro carattere nazionale, magari appreso nelle pagine di Mann, di Dostoevskij (che li descrive benissimo pur non essendo tedesco), di Junger e qualche temerario anche attraverso le letture di Oswald Spengler. Il loro spirito di Ribellione, la tensione perenne tra Kultur e Zivilisation; nel mio caso personale anche l’intima convinzione che questa tensione si risolve sempre con la vittoria della Kultur; anche quando apparentemente scelgono la Zivilisation. Abbiamo imparato che la Grandeur francese porta gli ottimi governanti di quel popolo ad essere stupidi. Avete notato? Nella trattativa del Recovery Fund si sono comportati come non li riguardasse. Loro son signori, mica s’abbassano. Poi la perfidia britannica, ma anche la loro tenacia ferrea. E poi il cinismo, l’arrivismo, la stupidità delle nostre classi dirigenti. Ci hanno mandato a combattere con le scarpe di cartone. Come i fanti dell’Armir spediti in Unione Sovietica.

Abbiamo in definitiva imparato – e questa è la seconda grande lezione – che la Storia non è lo studio del passato. La Storia è lo studio del Presente e del Futuro. Tutto si ripete in una incredibile coazione.

Ecco, l’Euro ci lascia un enorme patrimonio di esperienza e di cultura. Probabilmente inutile. Se tra venti anni provassimo a spiegare alle nuove generazioni, fatalmente saremmo presi per vecchi rincoglioniti. Già, la Storia insegna ma non ha scolari. O meglio, la si impara solo sulla propria pelle.

L’ALTRO POLO

Arriva dalla Gran Bretagna, attraverso il Financial Times, la notizia che fa capire quanto sia vitale la battaglia sull’Euro. Secondo il quotidiano londinese la Bank of England starebbe pensando di istituire una Banca d’Investimenti di sua proprietà. Si, avete capito bene, la banca centrale inglese sta pensando di istituire una banca d’investimento per intervenire direttamente nell’economia reale. Facile capire come andrebbe a funzionare: la banca d’investimento emanazione della BoE emetterebbe obbligazioni per finanziare opere pubbliche che verrebbero acquistate integralmente dalla banca centrale tramite emissione di nuova moneta. In realtà si tratterebbe di una mera partita di giro considerando poi che il 100% dell’azionariato sarebbe di proprietà della banca centrale stessa. In sostanza sarebbe un altro step nel Quantitative Easing con l’intervento diretto della banca centrale negli investimenti sull’economia reale.

Tenete anche conto che la Banca d’Inghilterra ha posto in essere un quantitative easing infinitamente più forte di quello della Bce, pari a ben 750 mld di sterline per una nazione di 65 milioni di abitanti mentre a Francoforte ci si è fermati a 1350 mld di euro ma per 350 milioni di persone (tanti sono gli abitanti della Eurozone). E ora questo nuovo strumento della banca d’investimento che qualsiasi neokeynesiano o postkeynesiano europeo non oserebbe neanche immaginare.

Ecco, mentre in Uk, ma anche in Usa e in Giappone, ci si lancia in operazioni temerarie ma adatte alla situazione drammatica che stiamo vivendo, in Europa si insiste sul Teorema di Haavelmo e sulla sbagliatissima teoria della neutralità della moneta. Rifletteteci un po’ e valutate da soli quanto sia importante o cambiare totalmente la mentalità della Bce oppure separarsi dai tedeschi e dalla Lega Anseatica.

Modelli di vita, di Roberto Buffagni

Domanda: c’è un rapporto tra la riforma della scuola e i carabinieri di Piacenza che diventano criminali?
Risposta: sì.
La riforma di Giovanni Gentile, che sta per compiere cent’anni, ha certo limiti e difetti (come tutto) ma sotto un aspetto essenziale coglie il punto: è intesa a insegnare alla futura classe dirigente a pensare criticamente l’ordine dei fini, in parole povere e chiare il perché si fanno o non si fanno le cose. Ecco perché è costruita intorno all’asse della filosofia, ed ecco perché nella scuola di vertice, il liceo classico, si insegnano il latino e il greco, senza i quali è impossibile accedere direttamente ai testi fondativi della civiltà europea. Le odierne proposte di aggiornamento alle “esigenze della modernità”, in soldoni di incentrare l’asse della scuola sull’apprendimento di materie scientifiche e lingue straniere per allinearsi ai “paesi più avanzati” omettono di rilevare il fatterello che la scienza non ha NIENTE da dire in merito all’ordine del fini, al “perché si fanno e non si fanno le cose”, e che il benchmark di apprendimento delle lingue straniere è la lingua materna (nessun italiano imparerà mai l’inglese meglio dell’italiano, anche se lo studia per tutta la vita).
E i carabinieri criminali? Cosa c’entrano?
I carabinieri non diventano criminali per difetti operativi, per esempio per un criterio di reclutamento inadeguato o procedure di controllo interno insufficienti. i carabinieri diventano criminali perché, fatta esperienza di ingiustizie, ipocrisie, abusi, corruzione nell’Arma, nello Stato, nel mondo in generale, prima pensano “chi me lo fa fare”, poi pensano “sono tutti corrotti, perché non approfittare delle occasioni?” poi commettono le prime irregolarità, poi constatano la propria impunità, poi diventano criminali veri e propri, e fino a quando non li beccano sentono di essere nel giusto, perché il giusto non esiste.
E attenzione, ragazzi: il giusto non esiste sul serio, se non esiste dentro l’anima, o se si preferisce nella mente, delle persone.

LA CARICA DEI MONATTI, di Teodoro Klitsche de la Grange

LA CARICA DEI MONATTI

Sarà, ma non riesco a vedere del tutto negativo che i quattrini dell’U.E. arrivino, come dicono, nei prossimi anni.

Non sono un economista, e molti mi rimprovereranno di non tener conto dell’effetto shock che un’iniezione massiccia di liquidità ha su un’economia in recessione; ma credo di avere qualche esperienza della politica, di quella nazionale in particolare e questo mi induce a bilanciare, almeno parzialmente gli effetti positivi e quelli negativi del ritardo.

Molti pensano che il governo Conte sia prossimo al capolinea, probabilmente sostituito, entro l’anno, da un nuovo esecutivo, sorretto da una “scissione” di Forza Italia; altri (meno) pensano che si vada ad elezioni anticipate nel prossimo inverno (con altre probabilità di alternativa). Se è vero ciò, il vantaggio del ritardo è evidente: non sarà questo governo a spendere la massa di moneta – oltre 200 miliardi di euro – in arrivo dall’U.E.. Vantaggio che sarebbe modesto, ove il governo fosse comunque espressione del PD (e appendici), superiore se lo escludesse e fosse formato dall’attuale opposizione.

Il perché è semplice: il PD (nelle varie trasformazioni) è il maggiore (anche se non l’unico) responsabile della venticinquennale stagnazione economica italiana, che ne ha fatto l’economia più ferma sia dell’U.E. che dell’area euro (dopo essere stata, prima del 1993, una delle più dinamiche).Non c’è passaggio economico decisivo della “seconda repubblica” che non porti la firma di un boiardo di centrosinistra: dall’entrata nell’euro alle privatizzazioni, spesso farlocche e altrettanto spesso profittevoli per i privati, ma non per il pubblico (tra le tante – Autostrade); dal rigore a senso unico (quello sbagliato) alla tassazione a gogò. I protagonisti di questo quarto di secolo (abbondante) sono stati i vari Prodi, Ciampi, Amato, Padoa Schioppa, Monti, nessuno dei quali ha governato senza la fiducia del centrosinistra.

Con i risultati che abbiamo visto prima della pandemia. Per cui chiedersi perché gli italiani abbiano ridotto il PD (e connessi) da quasi la metà dei voti a poco più di un quinto dell’elettorato è sorprendente: a sorprendere – di fronte a tanto sfascio – sarebbe il contrario. Che poi a spendere i quattrini che l’U.E., (bisogna riconoscere, stavolta meno rigorosa del solito), mette a disposizione, debbano essere sempre coloro i quali da decenni ci hanno messo in questa situazione realizzando politiche “rigorose” (si fa per dire) è circostanza assai poco rassicurante. Da risultati passati così negativi non c’è da attendersi un futuro radioso.

E lo si vede già nelle normative per il rilancio: mentre tra le misure per il rilancio dell’economia post-Covid la “cattivissima” Merkel in Germania ha abbassato l’IVA di 3 punti (dal 19 al 16 per l’aliquota ordinaria), seguita dalla piccola Cipro, il governo PD-M5S ha inventato bonus, alcuni giustificati, altri surreali – quelli per bici elettriche e monopattini – , ma – a parte qualche breve rinvio di pagamento – nessuna riduzione d’imposta, tanto meno per quelle generali, gravanti su tutta la popolazione (come, tra l’altro, IRPEF, IVA, IMU). In realtà come al solito emerge la differenza sostanziale tra l’Italia e la maggior parte dell’Europa: che non è tanto il “rigore” ma il modo di governare (e governarlo).

Lì si prendono misure emergenziali che incidono per lo più a danno o a favore di tutti: hanno la stessa caratteristica positiva della legge di Rousseau: che viene da tutti e si applica a tutti.

In Italia viene da un governo di minoranza nella Nazione, nato per impedire alla maggioranza (Salvini e connessi) d’andare al governo e serve, in larga parte a fare favori a pochi, se non pochissimi. Quelli che stanno a cuore ai governanti minoritari. I quali hanno un consenso radicato tra i tax-consommers, ossia tra coloro che, sul bilancio dello Stato, ci campano, E non è solo la burocrazia; come scriveva un secolo fa circa Giustino Fortunato, il bilancio dello Stato è “la lista civile della borghesia parassitaria”. Quella che prospera grazie alle imposte, alle tasse, alle tariffe pagate da tutti. E che nutre grandi attese dalle conseguenze della pandemia. Ridurre le imposte (a tutti), profittando dei fondi europei significa ridurre i favori (a qualcuno); cosa improponibile a un governo che si “regge” sul consenso di quelli.

Tempo fa notavo che Manzoni narra come l’esclamazione dei monatti nella Milano appestata era “viva la moria”, perché i lutti di tutti erano occasione per i monatti di vivere (neppure tanto onestamente): e c’erano segnali in Italia che la situazione (e l’augurio) si stesse ripetendo con i monatti post-moderni.

Ne abbiamo avuto la conferma pochi giorni fa; il brindisi (completo) dei monatti nei Promessi sposi in effetti era: “Viva la moria. Moia la marmaglia”; un ministro l’ha completato dicendo che se i ristoratori non riescono ad adeguarsi, meglio che cambino mestiere. Il che vuol dire la morte economica di non poche imprese. Delle quali non molte (forse) propendevano per il partito del ministro e quindi lo “meritavano”. Ma chi spiegherà al ministro che se cessano di produrre le imprese, pochi pagheranno le tasse? E che se non pagano le tasse non solo i suoi elettori, ma persino lui sarà costretto a lavorare?

Teodoro Klitsche de la Grange

La malattia del mondo, a cura di Teodoro Klitsche de la Grange

Francesco Borgonovo, La malattia del mondo, Milano 2020, pp. 207, € 15,00

Questo libro è una riflessione sulla pandemia da coronavirus, che dall’evento risale alle condizioni ideali e materiali da cui è stato incentivato, in un’epoca in cui eventi del genere, che hanno funestato l’umanità per millenni, sembravano chiusi nell’archivio della storia. Archivio che a dispetto dei progressisti – e purtroppo non solo loro – si è riaperto.

La pandemia è stata frutto di due fattori fondamentali, ambo ideali: il primo è la ybris, il secondo è (la pretesa/aspirata) assenza di limiti (non solo fisici) che caratterizzano il pensiero della globalizzazione (e dei globalizzatori). Quanto alla prima scrive l’autore, la ybris è “prima di tutto superamento del limite, del confine. E se ci pensate, l’intera storia dell’epidemia di Covid-19 (esattamente come la storia della globalizzazione) è una faccenda di confini varcati e limiti infranti”. Il limite infranto è quello della natura “Della natura noi uomini siamo, al massimo, i custodi, come rivela il libro della Genesi. Quando veniamo meno al nostro ruolo, o quando tentiamo di farci creatori sostituendoci al Creatore, allora scateniamo l’epidemia, la pestilenza biblica”. Secondo gli scienziati il Coronavirus è nato – come altri agenti patogeni – da uno spillover da un “salto” tra specie (da animali selvatici all’uomo). Varcato il limite della specie è stato assai più agevole, dato il progresso tecnico e la permeabilità delle frontiere, diffondersi nel pianeta a velocità impressionante “Prigionieri come siamo dell’ideologia della dismisura, non abbiamo saputo chiudere tempestivamente i confini, non abbiamo voluto fermare il vortice della circolazione globale: la malattia, dalla Cina, è approdata in Germania, e da lì è giunta in Italia. Poi, il disastro. Quando il Covid-19 è calato nella nostra nazione, tutti i nostri limiti sono tornati prepotentemente a galla: quelli delle nostre strutture sanitarie, della nostra potenza industriale, della nostra indipendenza economica… Il confine, il limite, le barriere salvifiche che avrebbero potuto arginare l’avanzata del nemico occulto sono stati sbriciolati dal capitalismo selvaggio e dall’ideologia che impone: nessuna frontiera”.

Ricordando quanto scriveva Schmitt della contrapposizione tra terra e mare e le conseguenze che comporta sull’ordine, sul diritto e sull’economia, Borgonovo sostiene che non erra Zigmunt Bauman quando definisce la società post-moderna “società liquida” contrapposta alla solida terra che fonda società basate sul limite (confine delle proprietà, dei territori delle sintesi politiche, almeno di quelle stanziali, ossia, nella modernità, tutte). Per espandersi la “società liquida” necessita di superare se non di abolire i limiti.

Hegel lo aveva notato per l’industria nel paragrafo 247 dei Lineamenti di filosofia del diritto: “come per il principio della vita familiare è condizione la terra, cioè il fondo e il terreno stabile, così per l’industria l’elemento naturale che la anima verso l’esterno è il mare.

Nella brama di guadagno, esponendo al pericolo il guadagno stesso, l’industria si eleva a un tempo al di sopra di esso, e soppianta il radicarsi nella zolla e nella cerchia limitata della vita civile, i suoi godimenti e desideri, con l’elemento della fluidità, del pericolo e del naufragio…”; il mare pertanto era l’ “ambiente” più favorevole al commercio e all’industria. Ancor più quando, venuta meno la scoperta di nuove terre (e mercati) l’espansione deve basarsi sull’abolizione dei residui confini.

Il libro è colmo di idee. Per restare nei limiti di una recensione, la sintesi – purtroppo limitata come tutte le sintesi – è che la post-modernità si fonda sulla ybris, ossia la superbia di superare i limiti della natura. Borgonovo ricorda come i greci notassero ciò: Erodoto ed Omero, cui occorre aggiungere Sofocle, in particolare nell’Antigone e nell’Edipo re. Come condanna della ybris come distruttrice dell’ordine terreno e divino è particolarmente significativo il canto del coro nell’Edipo rePossa io avere destino di serbare santa purezza di parole e di azioni, a cui sono preposte leggi sublimi, procreate nell’etere celeste, e l’Olimpo solo è loro padre; non natura mortale di uomini le generò, né mai l’oblio le sopirà: un dio potente è in esse, e non invecchia. La dismisura genera tiranni”. O nella profezia di Tiresia a Creonte nell’Antigone, nella quale l’indovino prevede la rovina del re per aver violato le leggi di natura “questo non è un potere tuo, né degli dei supremi, anzi essi soffrono questa violenza da te”. Indubbiamente una civiltà come quella greco-romana che Spengler riteneva basarsi sul senso del finito, cioè del limite è particolarmente utile per capire la degenerazione faustiana della post-modernità.

La quale trova la propria caratteristica fondamentale nel ritenere superabili realtà e leggi naturali. Lo stesso comunismo reale, rapidamente espanso e conclusosi, si fondava sull’illusione del giovane Marx di cambiare la natura umana, mutando i rapporti di produzione; alla fine della dittatura si sarebbe costruita la società comunista, senza comando né obbedienza, pubblico e privato, amico e nemico. Cioè senza i presupposti del politico – le costanti che connotano ogni comunità politica umana. Risultato smentito dalla breve storia del comunismo. Il quale si è retto solo perché ha mantenuto anzi potenziato le costanti del politico nella dittatura sovrana del partito. Cessata la fede nella quale è imploso. Nella post-modernità questa ybris ha preso altre forme, immaginato altri idola: tutti accomunati dalla credenza di poter oltrepassare leggi e limiti naturali. Illusione sempre smentita e fondante, come cantava Sofocle, nuove tirannie.

Teodoro Klitsche de la Grange

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