Trump, Biden_Due discorsi a confronto, di Giuseppe Germinario

Il buio e la luce, il male e il bene. Al netto della retorica e dei convenevoli in stile americano i discorsi di investitura dei due candidati sono esemplari. Hanno poco a che fare con il chiacchiericcio da cicisbei ormai imperante e impotente in Italia. Quello di Biden dal sapore millenaristico, quello di Trump molto più pragmatico ed incisivo, rivelano entrambi l’anima che muove le due opzioni e di fatto i contenuti della loro piattaforma. In quello di Trump non mancano certo alcuni “svarioni” fuori dal tempo; in primo luogo il richiamo dozzinale all’anticomunismo e l’assimilazione al comunismo del bacino democratico, in particolare quello più radicale. Non si sa se sia prevalentemente un calcolo elettorale teso ad acquisire il consenso della componente più conservatrice ed integralista e di quella avversa ad un ruolo più impositivo dello Stato o uno scivolamento verso una versione particolare dello “scontro di civiltà”. La storia e le caratteristiche del personaggio Trump indurrebbero alla prima ipotesi, la dinamica e l’inerzia dello scontro politico, il ritorno di personaggi come Bannon dall’altra, figura per altro, è bene sottolinearlo qui in Italia, esterna alla cerchia del presidente spingerebbero verso la seconda ipotesi. Di certo è una forzatura che mette in ombra il fatto che il messianismo e l’integralismo che pervade l’area del Partito Democratico è costitutiva ormai del liberalismo e del radicalismo progressista. E non è un caso che ad essi si è naturalmente affiancata la componente neocon del Partito Repubblicano. Questo impedisce a Trump di affondare con più decisione il cuneo sulla contraddizione insolubile tra il globalismo e il multipolarismo che informa l’azione politica dei suoi avversari e la loro intenzione dichiarata di tutelare i diritti sociali, l’occupazione, lo sviluppo economico e la coesione sociale. Lo fa sorvolare sul fatto che la componente più navigata di quell’area progressista, impersonata da Sanders, nei fatti è un supporto ed è colpevolmente silente se non allineata alle scelte interventiste di politica estera portate avanti dai Clinton e dagli Obama. Non è un caso che l’unica rappresentante coerente di quell’area, Tulsi Gabbard, sia stata così pesantemente avversata e discriminata dai suoi compagni. Nel discorso di Trump non mancano certo accenni felici ed anche gustosi sui limiti e sul vicolo cieco verso il quale porta la linea politica degli avversari. Sull’ambientalismo, quando stuzzica Biden sulla sua incapacità di garantire “la luce” in California a causa dei black-out legati al prematuro sovrautilizzo delle energie intermittenti; sul multilateralismo ormai improponibile in una fase multipolaristica; sull’antirazzismo e l’antidisciminazionismo che si stanno rivelando in realtà una nuova forma di razzismo e di discriminazione di gruppi sociali e razziali tra di essi ostili. Con una novità dirompente: un partito istituzionale e di governo, quale quello democratico, che si sta rivelando in realtà a-istituzionale e pronto a giustificare e glissare sulle pesanti degenerazioni e strumentalizzazioni interne a quei movimenti. Il vuoto programmatico nascosto dietro la “compassione” che pervade il discorso di Biden ne è la diretta conseguenza. Il segno che Biden è in realtà e ormai una controfigura dal peso soggettivo inconsistente. In questa dinamica Trump ha gioco facile nel presentarsi come difensore dell’ordine e paladino delle istituzioni; nell’evidenziare il pragmatismo della sua geopolitica economica tesa a riequilibrare l’economia americana e ripristinare un minimo di coesione sociale e della geografia interna. Un gioco che potrebbe però farlo scivolare verso posizioni di conservatorismo classico. Conciliare del resto la retorica de “America First” con la delimitazione di una area di influenza più ridotta ma più coesa è una impresa ardua tanto più che nelle dinamiche internazionali gli Stati Uniti detengono sempre meno il pallino esclusivo delle scelte di fondo, anche se per la verità devono ancora emergere con tutta evidenza le debolezze, piuttosto che la forza crescente, dei suoi avversari geopolitici. Soprattutto non è ancora chiara la dimensione e la natura dei compromessi che lo zoccolo duro di sostegno a Trump ha dovuto e dovrà porre in atto in questi anni per sopravvivere e in futuro, se vittorioso, per perseguire le proprie scelte. La debolezza dei centri di potere e decisionali vicini al Presidente, sia pure ormai radicati negli apparati in questi quattro anni, lascia presagire ancora quattro anni di resa dei conti ancora più feroce piuttosto che una accettazione della linea prevalente da parte degli avversari sconfitti. Una polarizzazione viscerale e faziosa, ormai corrispondente sempre più ad una polarizzazione sociale e geografica che rischia di spingere quel paese ancor di più verso un punto di non ritorno più volte da tempo adombrato nei nostri articoli.
Punto di non ritorno verso il quale con perseveranza ci sta portando di riflesso la nostra classe dirigente in perenne attesa del sostegno e di indicazioni di amici che non ci sono, se mai sono esistiti. Buona lettura_Giuseppe Germinario
IL DISCORSO DI JOE BIDEN.
“Buona sera.
Ella Baker, un gigante del movimento dei diritti civili, ci ha lasciato questa perla di saggezza: fornisci luce alla gente e loro troveranno la strada.
Fornire luce alla gente.
Queste sono le parole del nostro tempo.
L’attuale presidente ha ammantato l’America nell’oscurità per troppo tempo. Troppa rabbia. Troppa paura. Troppa divisione.
Qui ed ora, io vi darò la mia parola: se vi fidate di me e mi eleggerete presidente, io mi affiderò a ciò che di meglio c’è in noi, non a ciò che vi è di peggio. Io sarà un alleato della luce, non dell’oscurità.
E’ arrivato il momento per noi, per “We the People”, di unirci.
Non facciamo errori. Uniti possiamo, e di sicuro lo faremo, superare questa stagione di oscurità in America. Scegliere la speranza sulla paura, i fatti sulla finzione, l’equità sul privilegio.
Io sono un fiero esponente democratico e sarò onorato di portare avanti la bandiera del nostro Partito nelle elezioni generali. Quindi, è con grande onore ed umiltà che accetto la nomination a presidente degli Stati Uniti d’America.
Ma visto che io sarò il candidato democratico, devo iniziare a pensare che tipo di presidente potrei essere. Intendo lavorare duramente per coloro che non mi supportano, allo stesso modo di coloro che lo fanno.
Questo è il ruolo di un presidente. Rappresentare tutti, non solo la nostra base elettorale o il nostro partito. Questo non è il momento di essere di parte. E’ il momento di essere americani.
E’ il momento in cui vi è bisogno di speranza, luce ed amore. Speranza per il nostro futuro, luce per andare avanti, ed amore per il prossimo. L’America non è solo una collezione di interessi che si scontrano tra loro o di Stati blu democratici e rosso repubblicani.
Siamo più grandi di tutto questo. Siamo più grandi di tutto questo.
Quasi un secolo fa, Franklin Roosevelt ha forgiato un New Deal in un momento di alta disoccupazione, incertezza e paura.
Colpito da una malattia, devastato da un virus, FDR ha insistito sul fatto che lui si sarebbe ripreso ed avrebbe prevalso, e credeva che anche l’America avrebbe potuto farcela.
E lui ce l’ha fatta.
E così possiamo farcela anche noi.
Questa campagna non riguarda solo ottenere voti.
Riguarda vincere il cuore, e si, anche l’anima dell’America.
Vincere per i più generosi tra di noi, non gli egoisti. Vincere per i lavoratori che mandano avanti questo Paese, non per i pochi privilegiati che sono al comando. Vincere per quelle comunità che hanno conosciuto ingiustizie come il “ginocchio sul collo”. Per tutti quei giovani che hanno conosciuto solo un’America di crescente ineguaglianza e di sempre minori opportunità.
Loro meritano di conoscere l’America a pieno.
Nessuna generazione conoscerà in anticipo quello che la storia le chiede. Tutto quello che sappiamo è che dobbiamo essere pronti quando arriverà il nostro momento.
Ed ora la storia ci ha messo dinanzi al momento più difficile che l’America ha mai dovuto affrontare.
Quattro crisi storiche. Tutte alle stesso tempo. Una tempesta perfetta.
La peggior pandemia da 100 anni a questa parte. La peggiore crisi economica dai tempi della Grande Depressione. La più forte richiesta di giustizia razziale dagli Anni Sessanta. E l’innegabile realtà e le minacce sempre più forti provenienti dal cambiamento climatico.
Quindi la questione per noi è semplice: siamo pronti ad affrontare tutto questo?
Io credo di si.
Dobbiamo esserlo.
Tutte le elezioni sono importanti. Ma sappiamo dentro di noi che questa avrà delle conseguenze enormi.
L’America è ad un momento chiave della sua storia. Un momento di grande pericolo, ma allo stesso tempo di straordinarie possibilità.
Possiamo scegliere la strada di diventare più arrabbiati, perdere la speranza, ed essere sempre più divisi.
Una strada di ombre e sospetti.
O possiamo scegliere una strada differente, e tutti assieme, approfittare di questa chance per curare la nostra nazione, rinascere ed unirci. Una strada fatta di speranza e di luce.
Questa è una elezione che cambierà la nostra vita e determinerà il futuro dell’America per un periodo molto lungo.
Il carattere stesso dell’America è sulla scheda elettorale. La compassione è sulla scheda elettorale. La decenza, la scienza, la democrazia.
E’ tutto sulla scheda elettorale.
E la scelta non potrebbe essere più chiara di questa.
Non vi è bisogno di retorica.
Basta giudicare questo presidente sui fatti.
5 milioni di americani contagiati dal COVID-19.
Più di 170 mila deceduti.
Di gran lunga il dato peggiore tra tutte le nazioni sulla Terra.
Più di 50 milioni di americani hanno fatto richiesta di sussidio di disoccupazione in questo anno.
Più di 10 milioni di persone rischiano di perdere la propria assicurazione sanitaria in questo anno.
Quasi 1 piccola azienda su 6 ha chiuso in questo anno.
Se questo presidente sarà rieletto, sappiamo tutti quello che succederà.
I casi di contagio ed i decessi rimarranno troppo elevati.
Sempre più aziende chiuderanno in via definitiva.
Le famiglie dei lavoratori americani avranno difficoltà ad andare avanti, e nonostante questo, l’1% più ricco continuerà a guadagnare decine di miliardi di dollari grazie a nuovi tagli alle tasse.
E l’assalto contro l’Affordable Care Act [ObamaCare, ndt] continuerà fino alla sua distruzione, togliendo l’assicurazione sanitaria a più di 20 milioni di persone — inclusi più di 15 milioni coperti da Medicaid — e fino a porre fine alle protezioni che io ed il presidente Obama abbiamo approvato per coloro che soffrivano di condizioni mediche pre-esistenti.
E parlando del presidente Obama, un uomo che sono stato onorato di servire per 8 anni come vicepresidente, permettetemi di usare questo momento per affermare qualcosa che non abbiamo detto abbastanza volte.
Grazie, presidente. Sei stato un grande presidente. Un presidente a cui i nostri figli dovrebbero — e lo hanno fatto — guardare come un esempio.
Nessuno può dire queste cose dell’attuale occupante della Casa Bianca.
Quello che sappiamo di questo presidente è che se otterrà altri quattro anni, continuerà la politica già vista negli ultimi quattro anni.
Un presidente che non intende assumersi alcuna responsabilità, rifiuta di guidare questa nazione, attacca gli altri, fa comunella con i dittatori e soffia sulle fiamme dell’odio e della divisione.
Lui si sveglia ogni giorno pensando che l’unica cosa che conta è se stesso, non gli altri. Non tu.
E’ questa l’America che vuoi, che vuole la tua famiglia e che vogliono i tuoi figli?
Io vedo una America differente.
Una generosa e forte.
Una altruista e umile.
Si tratta di una America che possiamo ricostruire assieme.
Come presidente, il primo passo che intraprenderò è quello di mettere sotto controllo il virus che ha rovinato così tante vite.
Perché io ho compreso qualcosa che questo presidente non ha compreso.
Non rimetteremo mai in piedi la nostra economia, non rimanderemo mai i nostri figli in sicurezza a scuola e non riavremo mai indietro le nostre vite, finché non batteremo questo virus.
La nostra tragedia attuale è che non avremmo dovuto arrivare a questo.
Basta guardarci attorno.
La situazione non è così drammatica in Canada, in Europa, in Giappone. O praticamente da qualsiasi altra parte del mondo.
Il presidente continua a dirci che il virus scomparirà nel nulla. Continua a sperare in un miracolo. Beh, io ho una notizia da dargli, non sta arrivando nessun miracolo.
Siamo al primo posto nel mondo per casi confermati di contagio e per decessi.
La nostra economia è a pezzi, con le comunità nere, latino americane, asiatico americane e nativo americane che soffrono più di qualunque altra.
E dopo tutto questo tempo, il presidente ancora non ha un piano per rispondere a questa situazione.
Beh, io si.
Se io sarò eletto presidente, a partire dal primo giorno implementerò la strategia nazionale che ho esposto a partire da marzo.
Farò sviluppare e metterò a disposizione test rapidi per tutti con risultati immediati.
Farò in modo di avere le medicine ed i DPI di cui il nostro Paese ha bisogno, facendoli produrre qui in America, Per non essere più alla mercé della Cina o di qualsiasi altro Paese straniero nel momento in cui c’è bisogno di proteggere i nostri cittadini.
Faremo in modo che le nostre scuole abbiano le risorse di cui hanno bisogno per essere aperte, in maniera sicura ed efficace.
Metteremo da parte la politica e prenderemo ispirazione dai nostri esperti in modo tale che l’opinione pubblica abbia tutte le informazioni di cui ha bisogno e che merita di avere. La verità, onesta e senza veli. Siamo in grado di accettarla.
Ci sarà l’obbligo nazionale di indossare le mascherine non come un imposizione, ma per proteggerci gli uni con gli altri.
E’ un dovere patriottico.
In sintesi, faremo ciò che avrebbe dovuto essere fatto sin dall’inizio.
Il nostro attuale presidente ha fallito nel suo dovere più elementare di fronte a questa nazione.
Non è stato in grado di proteggerci.
Non è stato in grado di proteggere l’America.
E, miei cari americani, questo è imperdonabile.
Come presidente, vi farò questa promessa: proteggerò l’America. La proteggerò da qualsiasi attacco. Visibile, invisibile. Sempre e comunque. Senza eccezioni. In qualsiasi momento.
Guardate, comprendo che sia difficile avere speranza in questo momento.
In questa notte d’estate, lasciatemi prendere un momento per parlare a coloro di voi che hanno perso ciò che hanno di più caro.
Io so bene cosa significa perdere qualcuno che amate. Conosco quel profondo buco nero che si apre nel vostro petto. Quella sensazione di essere risucchiati al suo interno. Io so quanto possa essere cattiva e crudele la vita alle volte.
Ma io ho imparato due grandi insegnamenti.
Prima di tutto, i tuoi cari possono aver lasciato questa Terra ma non lasceranno mai il tuo cuore. Saranno sempre con te.
E secondo, io ho trovato che il modo migliore di superare il dolore e la perdita sia quello di trovare uno scopo.
E come figli di Dio, tutti noi abbiamo uno scopo nelle nostre vite.
Ed abbiamo un grande scopo anche come nazione: quello di aprire le porte dell’opportunità a tutti gli americani. Salvare la nostra democrazia. Tornare ad essere un faro di luce per tutto il mondo.
Quello di rispettare e rendere vere le parole scritte nei documenti sacri che hanno fondato questa nazione, ovvero che tutti gli uomini e le donne sono creati uguali. Ed hanno ottenuto dal proprio Creatore alcuni diritti fondamentali. Tra questi, il diritto alla vita, alla libertà ed alla ricerca della felicità.
Lo sapete, mio padre è stato un uomo onorevole e decente.
La vita lo ha colpito alcune volte in maniera forte, ma lui si è sempre rimesso in piedi.
Ha lavorato in maniera dura ed costruito una grande vita da classe media per la nostra famiglia.
Ricordo che mi ha detto, “Joey, io non speravo che il governo fosse in grado di risolvere i miei problemi, ma almeno che fosse in grado di comprenderli”.
E poi ha continuato: “Joey, un lavoro è più di un salario. E’ dignità, rispetto. E’ il tuo posto all’interno della comunità. E’ la capacità di guardare i tuoi figli negli occhi e dirgli, caro, andrà tutto bene”.
Non ho mai dimenticato queste lezioni.
E questo è il motivo per cui il mio piano economico parla di lavoro, dignità, rispetto e comunità. Assieme possiamo, e lo faremo, ricostruire la nostra economia. E quando lo faremo, non solo la ricostruiremo, ma ne costruiremo una migliore.
Con strade, ponti, autostrade moderne, banda larga e nuovi aeroporti come fondazione di una nuova crescita economica. Con tubi che trasportano acqua pulita a tutte le comunità americane. Con 5 milioni di nuovi posti di lavoro nei settori manifatturieri e tecnologici in modo da creare il futuro qui in America.
Con un sistema sanitario con premi assicurativi e prezzi dei farmaci più bassi costruito a partire dall’Affordable Care Act, che questo presidente sta cercando in tutti i modi di distruggere.
Con un sistema educativo che addestra le nostre persone a trovare i migliori lavori del ventunesimo secolo, dove i costi non vietano ai giovani di andare al college ed il debito degli studenti non distrugge la loro vita una volta laureati.
Dove sarà possibile per i genitori andare al lavoro senza preoccupazione per la salute dei propri figli e per gli anziani restare a casa con dignità.
Con un sistema dell’immigrazione che da potere alla nostra economia e riflette i nostri valori. Con sindacati che assumeranno un ruolo sempre maggiore. Con salari uguali per le donne.
Con salari in aumento con cui sarà possibile crescere una famiglia. Si, faremo di più che suonare le lodi per i nostri essenziali lavoratori. Intendiamo iniziare sul serio a pagarli di più.
Noi possiamo, e lo faremo, rispondere al cambiamento climatico. Non è solo una crisi, è una enorme opportunità. Una opportunità per l’America di guidare il mondo nella battaglia per l’energia pulita e creare milioni di nuovi posti di lavoro ben pagati in questo processo.
E possiamo pagare per tutto questo, ponendo fine alle scappatoie fiscali ed ai 1,3 mila miliardi di regali fiscali che questo presidente ha dato all’1% più ricco ed alle corporation più grandi e ricche, molte delle quali ad oggi non pagano proprio tasse.
Perché non abbiamo bisogno di un sistema fiscale che premia di più coloro che sono ricchi, di coloro che lavorano. Io non intendo punire nessuno. Lungi da me. Ma è passato da tempo il momento in cui i più ricchi e le grandi corporation debbono tornare a pagare il giusto.
Per i nostri anziani, la Social Security [il sistema pensionistico, ndt] è un obbligo sacro, una sacra promessa. L’attuale presidente sta minacciando la sua sopravvivenza.
Sta proponendo di eliminare la tassa che finanzia quasi metà delle spese della Social Security senza però allo stesso tempo trovare altre entrate.
Io non permetterò che questo accada. Se io sarò il vostro presidente, intendo difendere Social Security e Medicare. Avete la mia parola.
Una delle voci più forti che sentiamo oggi nel nostro Paese è quella dei giovani. Loro parlano dell’ineguaglianza e dell’ingiustizia che sono tornati a crescere in America. Ingiustizia economica, razziale, ambientale.
Io sento la loro voce, e se ascoltate bene, potete sentirla anche voi. E che si tratti della minaccia esistenziale posta dal cambiamento climatico, dalla paura giornaliera di essere uccisi dalle armi da fuoco in una scuola, o dell’incapacità di trovare il primo lavoro – deve essere compito del prossimo presidente quello di restaurare per tutti le promesse dell’America.
Io non dovrò farlo da solo. Perché avrò un grande vicepresidente al mio fianco. La senatrice Kamala Harris. Lei è una voce potente per questa nazione. La sua storia è la storia americana. Lei conosce tutti gli ostacoli che questo Paese può mettere davanti a troppe persone. Donne, donne di colore, americani di colore, americani di origine sud-asiatica, migranti, tutti coloro che sono lasciati ai margini.
Ma lei ha superato qualsiasi ostacolo che ha avuto di fronte. Nessuno più di lei è stato duro con le grandi banche o la lobby delle armi. Nessuno più di lei è stato duro nell’attaccare l’estremismo di questa Amministrazione, la sua incapacità di seguire la legge o anche solo di dire la verità.
Sia Kamala che io, raccogliamo la nostra forza dalle nostre famiglie. Per Kamala, si tratta di Doug e delle rispettive famiglie.
Per me, è Jill e la nostra.
Nessun uomo merita un così grande amore nella sua vita. Ma io ne ho conosciuto due. Dopo aver perso la mia prima moglie in un incidente automobilistico, Jill è entrata nella mia vita ed ha unito di nuovo la nostra famiglia.
Lei è una insegnante. Una madre. Una madre militare. E non si ferma mai. Se lei ha deciso di fare qualcosa, la ottiene sempre. Perché è una donna che si da sempre da fare. E’ stata una grande Second Lady e sono sicuro che sarà una grande First Lady per questa nazione, che lei ama così tanto.
Ed io avrò il coraggio di cui ho bisogno grazie alla mia famiglia. Hunter, Ashley, e tutti i nostri nipoti, sorelle e fratelli. Tutti mi hanno dato coraggio e mi hanno tirato su quando ne ho avuto bisogno.
Ed anche se non è più con noi, Beau continua ad ispirarmi ogni giorno.
Beau ha servito la nostra nazione in uniforme da soldato. Era un veterano decorato della guerra in Iraq.
Quindi io prenderò in maniera molto personale la responsabilità di servire come Comandante in Capo.
Sarò un presidente che difenderà i nostri alleati ed amici e renderà chiaro ai nostri avversari che il giorno delle comunelle con i dittatori di tutto il mondo è finito.
Con Biden come presidente, l’America non farà finta di nulla di fronte alle taglie russe sulle teste dei soldati americani. E neppure farà finta di nulla di fronte all’interferenza straniera nel momento dell’esercizio più sacro della nostra democrazia — il voto.
Io sarò sempre dalla parte dei nostri valori, quelli dei diritti umani e della dignità. E lavorerò per raggiungere lo scopo comune di un un mondo più sicuro, pacifico e prospero.
La storia ci ha assegnato un obiettivo ancora più urgente. Saremo in grado di essere la generazione che finalmente cancellerà la vergogna del razzismo dal nostro carattere nazionale?
Io credo che saremo grado.
Io credo che siamo pronti.
Solo una settimana fa, era il terzo anniversario degli eventi di Charlottesville.
Ricordate quei neo nazisti e bianchi suprematisti che camminavano per le strade con le torce illuminate? Con le vene pulsanti? Urlando la stessa bile antisemita che circolava in Europa negli Anni Trenta?
Ricordate gli scontri violenti che sono seguiti tra coloro che predicavano l’odio e coloro che avevano avuto il coraggio di ribellarsi contro di esso?
Ricordate le parole del nostro presidente?
C’erano, cito testualmente, “brave persone da entrambi i lati”.
In quel momento è suonato l’allarme per noi come Paese.
E per me, è arrivato il momento di scendere in campo. In quel momento, ho deciso di correre per la presidenza. Mio padre mi aveva insegnato che essere silenti significava essere complici. Ed io non potevo essere in silenzio o complice di tutto questo.
In quel momento, ho detto che eravamo in una battaglia per l’anima di questa nazione.
E lo siamo ancora.
Una delle conversazioni più importanti che ho avuto nel corso di questa intera campagna elettorale è stata con qualcuno che è troppo giovane per votare.
Mi sono incontrato con Gianna Floyd, una bambina di sei anni, il giorno prima che suo padre George Floyd venisse seppellito.
E’ stata incredibilmente coraggiosa. Non lo dimenticherò mai.
Quando mi sono avvicinato a lei parlare, mi ha guardato negli occhi e mi ha detto, “papà ha cambiato il mondo”.
Le sue parole mi sono entrate nel cuore.
Forse l’assassinio di George Floyd è stato il punto di rottura di questa nazione.
Forse la morte di John Lewis è stata l’ispirazione.
Qualsiasi cosa accada, l’America ora è pronta, come affermava John, a porre fine “una volta e per tutte al grande fardello dell’odio” ed al razzismo sistemico.
La storia americana ci insegna che è stato nei momenti più difficili che abbiamo fatto i nostri più grandi progressi. Abbiamo trovato la luce. Ed in questo momento oscuro, io credo che siamo pronti di nuovo a fare grandi passi avanti. Che siamo in grado di trovare di nuovo la luce.
Io ho sempre creduto che si possa definire l’America con una sola parola: possibilità.
Che in America, chiunque, e dico davvero chiunque, dovrebbe avere la possibilità di inseguire i propri sogni fino a dove le abilità fornite da Dio siano in grado di portarci.
Non possiamo mai perdere questo carattere. In tempi così difficili come questi, io credo che ci sia una sola strada da seguire. Una America unita. Unita nel cercare una Unione sempre più perfetta. Unita nei nostri sogni per un futuro migliore per noi ed i nostri figli. Unita nella nostra determinazione di rendere migliori gli anni a venire.
Siamo pronti?
Io credo che lo siamo.
Questa è una grande nazione.
E noi siamo un popolo buono e decente.
Questi sono gli Stati Uniti d’America.
E non c’è mai stato nulla che non siamo stati in grado di ottenere quando siamo stati uniti.
Il poeta irlandese Seamus Heaney in passato ha scritto:
“La storia afferma,
Non c’è speranza su questo lato della tomba,
Ma allora, una volta nel corso della vita,
L’onda lunga che si attendeva da tempo
Della Giustizia si è mossa,
E la speranza e la storia si sono uniti in una rima”.
Questo è il nostro momento di fare in modo che la speranza e la storia si uniscano assieme.
Con passione e giusti propositi, iniziamo — tu ed io, assieme, come una unica nazione, guidata da Dio — ad unirci nel nostro amore per l’America e nel nostro amore per il prossimo.
Perché l’amore è più forte dell’odio.
Perché la speranza è più forte della paura.
Perché la luce è più forte dell’oscurità.
Questo è il nostro momento.
Questa è la nostra missione.
Possa la storia affermare in futuro che la fine di questo capitolo oscuro della storia americana è iniziata oggi, mentre l’amore, la speranza e la luce si sono uniti assieme in questa battaglia per l’anima della nostra nazione.
E che questa sia una battaglia che tutti noi, assieme, vinceremo.
Ve lo prometto.
Grazie a tutti.
E che Dio vi protegga.
E che Dio possa proteggere le nostre truppe”.
il discorso di DONALD TRUMP
“Amici, delegati e ospiti illustri: stasera sono davanti a voi onorato dal vostro sostegno; orgoglioso degli straordinari progressi che abbiamo fatto insieme negli ultimi quattro anni e pieno di fiducia per il brillante futuro che costruiremo per l’America nei prossimi quattro anni!
All’inizio di questa sera, i nostri pensieri sono con le meravigliose persone che sono appena uscite dall’ira dell’uragano Laura. Stiamo lavorando a stretto contatto con funzionari statali e locali in Texas, Louisiana, Arkansas e Mississippi, senza risparmiare nulla pur di per salvare vite umane. Nonostante l’uragano abbia colpito duramente, uno dei più forti degli ultimi 150 anni, le vittime e i danni sono stati molto inferiori a quanto si poteva pensare solo 24 ore fa. Ciò è dovuto al grande lavoro della FEMA, delle forze dell’ordine e dei singoli Stati. Andrò lì questo fine settimana. Siamo un’unica famiglia nazionale e ci proteggeremo, ci ameremo e ci prenderemo sempre cura l’uno dell’altro.
Qui stasera ci sono le persone che hanno reso possibile il mio viaggio e hanno riempito la mia vita di tanta gioia.
Per il suo incredibile servizio alla nostra nazione e ai suoi figli, voglio ringraziare la nostra magnifica First Lady. Voglio anche ringraziare la mia fantastica figlia Ivanka per la sua presentazione e tutti i miei figli e nipoti: vi amo più di quanto le parole possano esprimere. So che mio fratello Robert ci sta guardando dall’alto in basso in questo momento dal Cielo. Era un grande fratello ed era molto orgoglioso del lavoro che stiamo facendo. Dedichiamo anche un momento per mostrare il nostro profondo apprezzamento per un uomo che ha sempre combattuto al nostro fianco e ha difeso i nostri valori – un uomo di profonda fede e ferma convinzione: il vicepresidente Mike Pence. Mike è stato raggiunto dalla sua amata moglie, insegnante e madre militare, Karen Pence.
Miei concittadini americani, questa sera, con il cuore pieno di gratitudine e di sconfinato ottimismo, accetto con orgoglio la nomination a Presidente degli Stati Uniti.
Il Partito Repubblicano, il partito di Abraham Lincoln, va avanti unito, determinato e pronto ad accogliere milioni di Democratici, Indipendenti e chiunque creda nella grandezza dell’America e nel cuore retto del popolo americano.
Nel secondo mandato presidenziale, costruiremo di nuovo la più grande economia della storia, tornando rapidamente alla piena occupazione, ai redditi in aumento e alla prosperità record! Difenderemo l’America da tutte le minacce e proteggeremo l’America da tutti i pericoli. Guideremo l’America verso nuove frontiere di ambizione e scoperta e raggiungeremo nuove vette nazionali. Riaccenderemo la fede nei nostri valori, un nuovo orgoglio per la nostra storia e un nuovo spirito di unità che può essere realizzato solo attraverso l’amore per il nostro paese. Poiché comprendiamo che l’America non è una terra avvolta dall’oscurità, ma invece l’America è la torcia che illumina il mondo intero.
Riuniti qui nella nostra bella e maestosa Casa Bianca – conosciuta in tutto il mondo come la Casa del Popolo – non possiamo fare a meno di meravigliarci di fronte al miracolo che è la nostra grande storia americana. Questa è stata la casa di personaggi straordinari come Teddy Roosevelt ed Andrew Jackson, che hanno condotto gli americani verso visioni audaci di un futuro più grande e luminoso. Tra queste mura vivevano generali tenaci come i presidenti Grant ed Eisenhower, che hanno guidato i nostri soldati nella causa della libertà. Da questi terreni, Thomas Jefferson ha inviato Lewis e Clark in un’audace spedizione per attraversare un continente selvaggio e inesplorato. Nelle profondità di una sanguinosa guerra civile, il presidente Abraham Lincoln guardò da queste stesse finestre un monumento a Washington mezzo completato e chiese a Dio, nella sua Provvidenza, di salvare la nostra unione. Due settimane dopo Pearl Harbor, Franklin Delano Roosevelt ha dato il benvenuto a Winston Churchill e, subito dopo, hanno dato il via a quella alleanza che ci ha fatto vincere la Seconda Guerra Mondiale.
Negli ultimi mesi, la nostra nazione, e l’intero pianeta, è stata colpita da un nuovo e potente nemico invisibile. Come quei coraggiosi americani prima di noi, stiamo affrontando questa sfida. Stiamo fornendo terapie salvavita e produrremo un vaccino entro la fine dell’anno, o forse anche prima! Sconfiggeremo il virus, porremo fine alla pandemia e ne usciremo più forti che mai.
Ciò che ha unito le generazioni passate è stata una fiducia incrollabile nel destino dell’America e una fede incrollabile nel popolo americano. Sapevano che il nostro paese è benedetto da Dio e ha uno scopo speciale in questo mondo. È questa convinzione che ha ispirato la formazione della nostra unione, la nostra espansione verso ovest, l’abolizione della schiavitù, il passaggio dei diritti civili, il programma spaziale e il rovesciamento del fascismo, della tirannia e del comunismo.
Questo spirito americano ha prevalso su ogni sfida e ci ha portati al vertice dello sforzo umano.
Eppure, nonostante tutta la nostra grandezza come nazione, tutto ciò che abbiamo ottenuto è ora in pericolo. Questa è l’elezione più importante nella storia del nostro Paese. Mai prima d’ora gli elettori hanno affrontato una scelta più chiara tra due partiti, due visioni, due filosofie o due ordini del giorno.
Queste elezioni decideranno se salvare il sogno americano o se piuttosto permetteremo ad un’agenda socialista di demolire il nostro amato destino. Decideranno se creare rapidamente milioni di posti di lavoro ben retribuiti o se distruggere le nostre industrie e trasferire milioni di questi posti di lavoro all’estero, come è stato stupidamente fatto per molti decenni.
Il vostro voto deciderà se proteggere gli americani rispettosi della legge o se dare libero sfogo a violenti anarchici, agitatori e criminali che minacciano i nostri cittadini.
E queste elezioni decideranno se difenderemo lo stile di vita americano o se permetteremo a un movimento radicale di smantellarlo e distruggerlo completamente.
Alla Convenzione Nazionale Democratica, Joe Biden e il suo partito hanno ripetutamente presentato l’America come una terra di ingiustizie razziali, economiche e sociali. Quindi stasera, vi faccio una domanda molto semplice: come può il Partito Democratico chiedere di guidare il nostro paese quando passa così tanto tempo a demolirlo?
Nella visione del passato della sinistra, non vedono l’America come la nazione più libera, giusta ed eccezionale della terra. Invece, la vedono una nazione malvagia che deve essere punita per i suoi peccati.
I nostri avversari dicono che la redenzione può venire solo se loro hanno il potere. Questo è la solita cosa detta da ogni movimento repressivo nel corso della storia.
Ma in questo Paese non guardiamo ai politici in carriera per la salvezza. In America, non ci rivolgiamo al governo per restaurare le nostre anime, ma riponiamo invece la nostra fede solo in Dio Onnipotente.
Joe Biden non è il salvatore dell’anima dell’America: è il distruttore dell’America. Il lavoro di Biden, se gli verrà data la possibilità, sarà quello di essere il distruttore della grandezza americana.
Per 47 anni, Joe Biden ha preso le donazioni dei colletti blu, gli ha dato abbracci e persino baci e gli ha detto che sentiva il loro dolore – e poi è tornato a Washington e ha votato per traferire i loro lavori in Cina e in molti altri paesi lontani. Joe Biden ha trascorso tutta la sua carriera esternalizzando i sogni dei lavoratori americani, trasferendo all’estero i loro posti di lavoro, aprendo i confini e inviando i loro figli e le loro figlie a combattere in infinite guerre in Paesi stranieri.
Quattro anni fa mi sono candidato alla presidenza perché non potevo più assistere a questo tradimento del nostro Paese. Non potevo stare a guardare mentre politici in carriera lasciavano che altri Paesi si approfittassero di noi sul commercio, sui confini, sulla politica estera e sulla difesa nazionale. I nostri partner della NATO, ad esempio, erano molto indietro nei pagamenti per la difesa. Ma dietro una mia forte sollecitazione hanno deciso di pagare 130 miliardi di dollari in più all’anno. Questa cifra alla fine salirà a $400 miliardi. Il Segretario Generale Stoltenberg, a capo della NATO, è rimasto sbalordito e ha affermato che il presidente Trump ha fatto ciò che nessun altro era in grado di fare.
Dal momento in cui mi sono lasciato la mia vita precedente alle spalle, ed è stata una bella vita, non ho fatto altro che combattere per voi.
Ho fatto ciò che il nostro sistema politico non si sarebbe mai aspettato e non avrebbe mai potuto perdonare, infrangendo l’idea cardinale della politica di Washington. Ho mantenuto le mie promesse.
Insieme, abbiamo posto fine al dominio della precedente classe politica fallimentare e loro vogliono riavere il potere con ogni mezzo necessario. Sono arrabbiati con me perché invece di metterli al primo posto, metto l’America al primo posto.
Alcuni giorni dopo l’insediamento, abbiamo messo sotto shock l’establishment di Washington e ci siamo ritirati dall’accordo commerciale del trans-Pacifico dell’ultima Amministrazione. Ho quindi approvato i gasdotti Keystone XL e Dakota Access, ho posto fine all’ingiusto e costoso accordo sul clima di Parigi e mi sono assicurato, per la prima volta, di raggiungere l’indipendenza energetica americana. Abbiamo approvato tagli da record alle tasse ed alle regolamentazioni, a un ritmo che nessuno aveva mai visto prima. In tre brevi anni abbiamo costruito l’economia più forte nella storia del mondo.
Gli addetti ai lavori di Washington mi hanno chiesto di non oppormi alla Cina – mi hanno implorato di lasciare che la Cina continuasse a rubare i nostri posti di lavoro, a derubarci e a defraudare il nostro paese. Ma ho mantenuto la parola data al popolo americano. Abbiamo intrapreso l’azione più dura, più audace, più forte e più importante contro la Cina nella storia americana.
Dissero che sarebbe stato impossibile porre fine e sostituire il NAFTA, ma ancora una volta si sbagliavano. All’inizio di quest’anno, ho posto fine all’incubo del NAFTA e ho firmato il nuovissimo U.S. Mexico Canada Agreement trasformandolo in legge. Ora le aziende automobilistiche e altri stanno costruendo i loro stabilimenti e fabbriche in America, senza licenziare i loro dipendenti ed abbandonarci.
Forse in nessun settore gli interessi speciali di Washington si sono sforzati di fermarci di più che nella mia politica di immigrazione filoamericana. Ma mi sono rifiutato di fare marcia indietro – e oggi i confini dell’America sono più sicuri di MAI. Abbiamo messo fine alla politica del ‘catch and release’, fermato le frodi in materia di asilo, fermato i trafficanti di esseri umani che depredavano donne e bambini e abbiamo rimpatriato 20.000 membri delle gang e 500.000 criminali stranieri. Abbiamo già costruito 300 miglia del muro al confine e aggiungiamo 10 nuove miglia ogni settimana. Il muro sarà presto completato e sta funzionando oltre le nostre più rosee aspettative.
Questa sera siamo stati raggiunti dai membri del sindacato della Border Patrol, che rappresentano i coraggiosi agenti di frontiera del nostro paese. Grazie a tutti.
Quando ho saputo che la Tennessee Valley Authority ha licenziato centinaia di lavoratori americani e li ha costretti a formare i loro sostituti stranieri meno pagati, ho prontamente rimosso il presidente del consiglio. E ora, quei talentuosi lavoratori americani sono stati riassunti e sono tornati a fornire energia a Georgia, Alabama, Tennessee, Kentucky, Mississippi, North Carolina e Virginia. Hanno riavuto i loro vecchi lavori e alcuni sono qui con noi questa sera. Per favore alzatevi.
Il mese scorso, ho sfidato Big Pharma e ho firmato degli ordini esecutivi che ridurranno enormemente il costo dei farmaci da prescrizione e che daranno ai pazienti in condizioni critiche l’accesso a cure salvavita. Abbiamo anche approvato due programmi per l’assistenza sanitaria ai veterani, chiamati VA Accountability e VA Choice.
Entro la fine del mio primo mandato, avremo approvato le nomine di più di 300 giudici federali, inclusi due nuovi grandi giudici della Corte Suprema. Per portare prosperità alle nostre città interne dimenticate, abbiamo lavorato duramente per approvare la storica riforma della giustizia penale, la riforma carceraria, le zone di opportunità, il finanziamento a lungo termine di college e università storicamente neri e, prima dell’arrivo del China Virus, abbiamo portato alla migliore disoccupazione mai registrati tra gli afroamericani, latino-americani ed asiatico-americani. Ho fatto di più per la comunità afroamericana di qualsiasi presidente da Abraham Lincoln in poi, il nostro primo presidente Repubblicano. Ho fatto di più in tre anni per la comunità nera di quanto non abbia fatto Joe Biden in 47 anni, e quando sarò rieletto, il meglio dovrà ancora venire!
Quando sono entrato in carica, il Medio Oriente era nel caos totale. L’ISIS imperversava, l’influenza dell’Iran era in crescita e non si vedeva la fine della guerra in Afghanistan. Sono uscito dal terribile accordo unilaterale sul nucleare iraniano. A differenza di molti presidenti prima di me, ho mantenuto la mia promessa, ho riconosciuto la vera capitale di Israele e ho trasferito la nostra ambasciata a Gerusalemme. Non solo ne abbiamo parlato come un sito futuro, ma l’abbiamo fatta davvero costruire. Piuttosto che spendere $1 miliardo per un nuovo edificio come previsto, abbiamo preso un edificio esistente già di nostra proprietà in una posizione migliore e lo abbiamo aperto a un costo inferiore a $500.000. Abbiamo anche riconosciuto la sovranità israeliana sulle alture del Golan e questo mese abbiamo raggiunto il primo accordo di pace in Medio Oriente in 25 anni. Inoltre, abbiamo eliminato il 100% del califfato dell’ISIS e ucciso il suo fondatore e leader Abu Bakr al-Baghdadi. Quindi, in un’operazione separata, abbiamo eliminato anche il terrorista n. 1 al mondo, il generale iraniano Qasem Soleimani.
A differenza delle precedenti Amministrazioni, ho tenuto l’America fuori da nuove guerre e le nostre truppe stanno tornando a casa. Abbiamo speso quasi 2,5 mila miliardi di dollari per ricostruire completamente il nostro esercito, che era molto improverito quando sono entrato in carica. Ciò ha incluso tre aumenti di stipendio per i nostri soldati. Abbiamo anche lanciato la Space Force, il primo nuovo ramo dell’esercito degli Stati Uniti da quando l’Air Force è stata creata quasi 75 anni fa.
Abbiamo trascorso gli ultimi quattro anni a rimediare ai danni inflitti da Joe Biden negli ultimi 47 anni.
Il passato di Biden è un vergognoso ricordo dei tradimenti e degli errori più catastrofici della nostra vita. Ha trascorso tutta la sua carriera dalla parte sbagliata della storia. Biden ha votato per il disastro del NAFTA, il peggior accordo commerciale mai concluso, ha sostenuto l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, uno dei più grandi disastri economici di tutti i tempi. Dopo quelle calamità di Biden, gli Stati Uniti hanno perso un posto di lavoro nel settore manifatturiero su quattro. I lavoratori licenziati in Michigan, Ohio, New Hampshire, Pennsylvania e molti altri Stati non vogliono le vuote parole di empatia di Joe Biden, vogliono riavere il loro posto di lavoro!
In qualità di Vicepresidente, ha sostenuto la Trans-Pacific Partnership, che sarebbe stata una condanna a morte per l’industria automobilistica statunitense, ha appoggiato l’orrendo accordo commerciale con la Corea del Sud, che ha portato via molti posti di lavoro dal nostro Paese. Ha ripetutamente sostenuto l’amnistia di massa per gli immigrati illegali. Ha votato per la guerra in Iraq, si è opposto alla missione per eliminare Osama bin Laden, si opponeva all’uccisione di Soleimani, ha guardato senza fare nulla l’ascesa dell’ISIS e ha sostenuto il rafforzamento della Cina come “uno sviluppo positivo” per l’America e il mondo. Ecco perché la Cina sostiene Joe Biden e vuole disperatamente che vinca.
La Cina diventerebbe proprietaria del nostro Paese se Joe Biden fosse eletto presidente. A differenza di Biden, li riterrò pienamente responsabili della tragedia che hanno causato.
Negli ultimi mesi, la nostra nazione, ed il resto del mondo, sono stati colpiti da una pandemia che accade una sola volta in un secolo e che la Cina ha permesso che si diffondesse in tutto il mondo. Sono grato che questa sera siano presenti molti dei nostri incredibili infermieri e primi soccorritori – per favore alzatevi e accettate i nostri profondi ringraziamenti. Molti americani hanno tristemente perso amici e cari a causa di questa orribile malattia. Come una sola nazione, piangiamo, soffriamo e conserviamo per sempre nei nostri cuori i ricordi di tutte quelle vite così tragicamente prese. In loro onore, ci uniremo. Nella loro memoria, andremo avanti.
Quando il virus cinese ci ha colpito, abbiamo lanciato la più grande mobilitazione nazionale dalla Seconda Guerra Mondiale. Invocando il Defence Production Act, abbiamo prodotto la più grande fornitura mondiale di ventilatori polmonari. A nessun americano che abbia avuto bisogno di un ventilatore ne è stato negato uno. Abbiamo spedito centinaia di milioni di mascherine, guanti e camici ai nostri operatori sanitari in prima linea. Per proteggere gli anziani della nostra nazione, abbiamo spedito forniture, kit di test e personale alle case di cura e alle strutture di assistenza a lungo termine. Il Corpo degli Ingegneri dell’Esercito ha costruito ospedali da campo e la Marina ha schierato le nostre grandi navi ospedaliere.
Abbiamo sviluppato, da zero, il più grande e avanzato sistema di test al mondo. L’America ha effettuato tamponi più di ogni paese d’Europa messo insieme e più di ogni nazione dell’emisfero occidentale messi assieme. Abbiamo condotto 40 milioni di tamponi in più rispetto alla seconda nazione con il maggior numero di tamponi, ovvero l’India.
Abbiamo sviluppato una vasta gamma di trattamenti efficaci, incluso un potente trattamento anticorpale noto come plasma convalescente che salverà migliaia di vite. Grazie ai progressi di cui siamo stati pionieri, il tasso di letalità è stato ridotto dell’80% da aprile ad oggi.
Gli Stati Uniti hanno tassi di letalità tra i più bassi di tutti i principali paesi del mondo. Il tasso di letalità dei casi dell’Unione Europea è quasi tre volte superiore al nostro. Complessivamente, le nazioni europee hanno registrato un aumento del 30% maggiore della mortalità in eccesso rispetto agli Stati Uniti.
Abbiamo promulgato il più grande pacchetto di aiuti finanziari nella storia americana. Grazie al nostro Paycheck Protection Program, abbiamo salvato o sostenuto più di 50 milioni di posti di lavoro americani. Di conseguenza, abbiamo assistito alla più piccola contrazione economica di qualsiasi grande nazione occidentale ed ora ci stiamo riprendendo molto più velocemente. Negli ultimi tre mesi abbiamo creato oltre 9 milioni di posti di lavoro, un nuovo record.
Sfortunatamente, sin dall’inizio, i nostri rivali si sono dimostrati incapaci di fare altro che criticare in maniera assolutamente di parte. Quando ho preso azioni coraggiose per stabilire un divieto di viaggio da e verso la Cina, Joe Biden lo ha definito un atto isterico e xenofobo. Se avessimo ascoltato Joe, centinaia di migliaia di altri americani sarebbero morti.
Invece di seguire la scienza, Joe Biden vuole infliggere un lockdown doloroso all’intero Paese. Il suo lockdown infliggerebbe danni impensabili ai bambini, famiglie, e cittadini di tutto il Paese.
Il costo del lockdown di Biden sarebbe misurato in aumenti delle overdosi da droga, depressioni, dipendenze da alcool, suicidi, attacchi di cuore, devastazione economica e molto altro. Il piano di Joe Biden non è una soluzione per il virus, ma piuttosto una resa.
La mia Amministrazione ha preso un approccio differente. Per salvare più vite possibili, ci stiamo focalizzando sulla scienza, i fatti ed i dati. Stiamo difendendo coloro che sono a maggior rischio – in particolare gli anziani – permettendo allo stesso tempo agli americani a minor rischio di tornare al lavoro ed a scuola in sicurezza.
Ancora più importante, stiamo chiedendo al genio scientifico americano di unirsi per produrre un vaccino in tempo record. Grazie all’Operazione Warp Speed, abbiamo ora già tre vaccini nella fase finale di test, anni prima di quanto mai raggiunto in precedenza. Li stiamo producendo in anticipo in modo tale che centinaia di milioni di dosi siano velocemente disponibili.
Avremo un vaccino sicuro ed efficace già quest’anno, ed assieme sconfiggeremo il virus.
Alla Convention Democratica, avete sentito ben poco parlare della loro agenda politica. Ma questo non perché non ne hanno una. Ma perché la loro agenda è la più estrema mai portata avanti da un candidato di grandi partiti politici. Joe Biden può affermare di essere un ‘alleato della luce’, ma quando si tratta della sua agenda, Biden vuole tenervi completamente all’oscuro.
Ha promesso di aumentare le tasse di 4 mila miliardi di dollari sulle famiglie americane, cosa che farà collassare una volta e per tutte la nostra economia in ripresa e la nostra Borsa tornata a livelli record. Dall’altra parte, come ho fatto nel mio primo mandato, invece io intendo tagliare ancora di più le tasse per le nostre madri ed i padri lavoratori, non aumentarle. Inoltre, intendo fornire crediti fiscali per riportare a casa i posti di lavoro dalla Cina – ed imporre dazi su qualsiasi compagnia che intende trasferire all’estero posti di lavoro americani. Faremo in modo che le nostre compagnie ed i nostri posti di lavoro restino nel nostro Paese, come ho già fatto sinora. L’agenda di Joe Biden è ‘Made in China’. La mia è ‘Made in USA’.
Biden ha promesso di abolire la produzione di petrolio, carbone, gas naturale americano – mettendo a rischio le economie di Pennsylvania, Ohio, Texas, North Dakota, Oklahoma, Colorado, e New Mexico. In questo modo milioni di posti di lavoro saranno persi, ed i prezzi dell’energia aumenteranno. Le stesse politiche hanno condotto solo la settimana scorsa a diversi blackout in California. Come può Joe Biden definirsi un “alleato della luce” quando il suo partito non è neppure in grado di tenere la luce accesa letteralmente parlando?
La campagna di Joe Biden ha anche pubblicato una piattaforma politica di 110 pagine scritta assieme al senatore di estrema sinistra, Crazy Bernie Sanders. Il manifesto Biden-Bernie chiede di sospendere tutte le deportazioni di immigrati irregolari, implementare regole nazionali di ‘catch and release’ e fornire l’assistenza di legali pagati dai soldi dei contribuenti agli immigrati irregolari. Joe Biden ha di recente alzato la sua mano durante un dibattito presidenziale e promesso di fornire assistenza sanitaria pagata dai vostri soldi agli immigrati irregolari. Lui supporta anche le Città Santuario che proteggono gli immigrati criminali. Ha promesso di porre fine al travel ban per i Paesi jihadisti e di aumentare l’ammissione dei rifugiati del 700%. Il piano Biden finirà insomma per abolire i confini americani nel mezzo di una pandemia.
Biden ha anche promesso di opporsi alla scelta tra scuola privata e pubblica e chiudere le Charter Schools, togliendo così ai bambini neri ed ispanici una ulteriore possibilità di salire nella scala sociale.
Nel corso del mio secondo mandato, intendo espandere le charter schools e fornire la libertà di scelta tra scuole pubbliche e private a tutte le famiglie americane. E tratteremo i nostri insegnanti sempre con il rispetto che meritano.
Joe Biden afferma di mostrare empatia nei confronti dei più vulnerabili – ma il Partito che guida supporta le leggi più estreme per l’aborto a fine gravidanza di bambini senza difese fino al momento stesso della nascita. I leader democratici parlano di decenza morale, ma non hanno alcun problema a porre fine al battito di un bambino nel nono mese di gravidanza.
I politici democratici non intendono difendere la vita innocente, ma allo stesso tempo ci vogliono dare lezioni sulla moralità e su come salvare l’anima dell’America? Oggi, assieme dichiariamo con forza che tuti i bambini, nati ed ancora non nati, hanno il diritto alla vita concesso da Dio.
Nel corso della Convention Democratica, le parole ‘Under God’ sono state rimosse dalla Pledge of Allegiance – non una, ma due volte. Il fatto è che proprio Dio è la loro fonte.
Se la sinistra assumerà il potere, demoliranno i sobborghi, confischeranno le vostre armi, e nomineranno giudici che cancelleranno il vostro Secondo Emendamento e le vostre libertà costituzionali.
Biden è un cavallo di Troia per il socialismo. Se Joe Biden non ha avuto il coraggio di opporsi a marxisti come Bernie Sanders ed i suoi seguaci radicali, come potrà difendere i vostri diritti?
L’aspetto più pericoloso della piattaforma di Biden è l’attacco alla sicurezza pubblica. Il manifesto Biden-Bernie chiede l’abolizione delle cauzioni a pagamento, e questo significherebbe rilasciare immediatamente 400 mila criminali nelle vostre strade e nei vostri quartieri.
Alla domanda su se fosse d’accordo a tagliare i finanziamenti alla polizia, Joe Biden ha risposto, “Si assolutamente”. Quando la deputata Ilhan Omar ha definito il Dipartimento di Polizia un tumore “corrotto alla radice”, Biden non ha rinunciato al suo supporto o rigettato il suo endorsement – invece lo mostra ancora oggi fieramente sul suo sito web.
Non facciamoci sbagli, se si darà il potere a Joe Biden, la sinistra radicale potrà togliere i finanziamenti a tutti i Dipartimenti di Polizia americani. Passeranno leggi federali per ridurre le forze dell’ordine. Renderanno tutti gli Stati Uniti come la città di Portland, in Oregon, da loro guidata. Nessuno sarà più sicuro nell’America di Biden.
La mia Amministrazione sarà sempre dalla parte degli uomini e delle donne in divisa. Ogni giorno, ufficiali di polizia rischiano la loro vita per tenerci al sicuro, ed ogni anno, molti di loro perdono la vita, mentre fanno il proprio dovere.
Uno di questi americani incredibili era il detective Miosotis Familia. Lei era parte di un gruppo di eroi americani definito New York Police Department, o il meglio di New York. Tre anni fa, nel corso del fine settimana del 4 luglio, il detective Familia si trovava al lavoro nella sua auto quando è stata attaccata ed uccisa da un mostro che la odiava solo per la divisa che indossava.
Il detective Familia era una madre single – lei di recente aveva chiesto di essere spostata al turno notturno per stare più tempo con i suoi figli. Due anni fa, io sono stato di fronte al Campidoglio americano assieme ai suoi figli ed ho tenuto la mano della loro nonna che soffriva fortemente per questa terribile perdita, e tutti assieme abbiamo onorato la straordinaria vita del detective Familia.
I tre figli del detective Familia sono qui con noi oggi. Genesis, Peter, e Delilah, siamo onorati di avervi qui con noi oggi. VI prometto che porteremo sempre vostra madre nelle nostre memorie.
Dobbiamo ricordare che la stragrande maggioranza di ufficiali di polizia del nostro Paese sono nobili, coraggiosi ed onorevoli. Dobbiamo ridare alle nostre forze dell’ordine, alla nostra polizia, il suo potere. Hanno paura di agire ora. Hanno paura di perdere la loro pensione, i loro posti di lavoro e di non essere in grado di svolgere i propri compiti. E coloro che soffrono di più sono le grandi persone che hanno disperatamente bisogno di essere protette.
Quando un poliziotto sbaglia, il sistema penale deve agire contro i colpevoli in maniera completa e piena, ed è quello che farà. Ma non possiamo mai avere in America – e non lo permetteremo mai – il controllo da parte dei delinquenti. Nel modo più forte possibile, il Partito Repubblicano condanna le rivolte, i saccheggi, gli incendi e le violenze viste in città guidate dai democratici come Kenosha, Minneapolis, Portland, Chicago, e New York.
C’è troppa violenza e pericolo per le strade di molte città guidate dai democratici in America. Questo problema può essere facilmente corretto se solo lo volessimo. Dobbiamo sempre perseguire legge ed ordine. Tutti i crimini federali saranno investigati, perseguiti e puniti fino alla fine rispettando la legge.
Quando gli anarchici hanno iniziato a distruggere le nostre statue e monumenti, io ho firmato un ordine esecutivo, dieci anni di carcere, e tutto si è fermato.
Durante la loro Convention, Joe Biden ed i suoi supporter non hanno detto nulla contro i violenti e criminali che stanno distruggendo le città guidate dai democratici. Di fronte all’anarchia di estrema sinistra e le devastazioni a Minneapolis, Chicago, ed in altre città, la campagna di Joe Biden non le ha condannate – invece ha donato loro dei soldi. Almeno 13 membri dello staff elettorale di Joe Biden hanno donato soldi ad un fondo per concedere la libertà su cauzione a vandali, piromani, saccheggiatori e violenti.
Qui questa notte c’è la famiglia in lutto dell’ex capitano di polizia David Dorn, un 38enne veterano del Dipartimento di Polizia di St. Louis. A giugno, il capitano Dorn è stato colpito ed ucciso mentre tentava di proteggere un negozio dai saccheggiatori e violenti. Siamo onorati di essere qui assieme a sua moglie ed ai membri della sua amata famiglia: Brian e Kielen. A tutti voi prometto: non dimenticheremo mai l’eredità eroica del capitano David Dorn.
Fino a quando sarò presidente, difenderò l’assoluto diritto di ogni cittadino americano di vivere in sicurezza, dignità e pace.
Se il Partito Democratico vuole stare dalla parte degli anarchici, degli agitatori, violenti, saccheggiatori e bruciatori della bandiera americana, è una loro scelta, ma io, come vostro presidente, non sarò parte di tutto questo. Il Partito Repubblicano resterà la voce degli eroi patriottici che vogliono mantenere sicura l’America.
Lo scorso anno più di 1.000 afroamericani sono stati uccisi come risultato del crimine violento in sole 4 città guidate dai democratici. Le 10 principali città più pericolose degli Stati Uniti sono guidate dai democratici e lo sono state da decenni. Migliaia di altri afroamericani sono vittime di reati violenti in queste comunità che Joe Biden ed il resto della sinistra ignorano. Io non lo farò mai.
Se la sinistra radicale prenderà il potere, loro applicheranno queste politiche disastrose a tutte le città, cittadine e sobborghi americani.
Immaginate cosa accadrebbe se i cosiddetti manifestanti pacifici nelle strade fossero al comando a qualsiasi livello del governo americano.
I politici liberal affermano di essere preoccupati della forza delle istituzioni americane. Ma chi, esattamente, le sta attaccando? Chi sta assumendo professori, giudici e pubblici ministeri radicali? Chi sta tentando di abolire le forze dell’ordine al confine e stabilire regole per impedire il dissenso? In tutti i casi, gli attacchi contro le istituzioni americane provengono dall’estrema sinistra.
Ricordate sempre: loro attaccano me perché io combatto per voi.
Dobbiamo reclamare la nostra indipendenza dai mandati repressivi della sinistra. Gli americani sono esausti di dover rispettare l’ultima lista di parole e frasi approvate e decreti sempre più restrittivi delle libertà politiche. Molte cose oggi hanno un nome diverso, e le regole cambiano sempre. L’obiettivo della ‘cancel culture’ è quello di fare in modo che gli americani vivano in terrore di essere licenziati, espulsi, svergognati, umiliati e cacciati dalla società che conosciamo. L’estrema sinistra vuole obbligarvi a dire quello che sapete essere falso e farvi terrorizzare dal dire ciò che è vero.
Ma il 3 novembre, possiamo mandare loro un forte messaggio che non dimenticheranno mai!
Joe Biden è debole. Prende ordini da ipocriti liberal che stanno facendo sprofondare le loro città mentre scappano lontano dalla scena del naufragio. Questi stessi liberal vogliono eliminare la possibilità di scegliere tra scuola pubblica e privata, mentre iscrivono i loro figli nelle migliori scuole private del paese. Vogliono aprire i nostri confini mentre vivono in complessi e comunità recintate. Vogliono distruggere la polizia mentre hanno guardie armate per difendere loro stessi.
Questo novembre, dobbiamo voltare pagina per sempre contro questa classe politica fallimentare. Il fatto è che io sono qui e loro non ci sono – e questo grazie a voi. Insieme, scriveremo il prossimo capitolo della grande storia americana.
Nei prossimi quattro anni, renderemo l’America la superpotenza produttiva del mondo. Espanderemo le zone di opportunità, porteremo a casa le catene di approvvigionamento medico e porremo fine alla nostra dipendenza dalla Cina una volta per tutte.
Continueremo a ridurre le tasse e le regolamentazioni a livelli mai visti prima.
Creeremo 10 milioni di posti di lavoro nei prossimi 10 mesi.
Assumeremo più poliziotti, aumenteremo le sanzioni per chi aggredisce le forze dell’ordine e sposteremo i pubblici ministeri federali in comunità ad alto tasso di criminalità.
Vieteremo le mortali ‘città santuario’ e assicureremo che l’assistenza sanitaria federale sia garantita per i cittadini americani, non per gli immigrati irregolari.
Avremo confini solidi, abbatteremo i terroristi che minacciano il nostro popolo e terremo l’America fuori da infinite e costose guerre straniere.
Nomineremo pubblici ministeri, giudici e giudici che credono nell’applicazione della legge, non nella loro agenda politica.
Garantiremo uguale giustizia per i cittadini di ogni razza, religione, colore e credo religioso.
Sosterremo la libertà religiosa e difenderemo il diritto garantito dal Secondo Emendamento di tenere e portare armi.
Proteggeremo Medicare e la Social Security.
Proteggeremo sempre, e con forza, i pazienti con condizioni preesistenti, e questo è un impegno dell’intero Partito Repubblicano.
Porremo fine alle fatture mediche a sorpresa, richiederemo trasparenza nei prezzi e ridurremo ulteriormente il costo dei farmaci da prescrizione e dei premi dell’assicurazione sanitaria.
Amplieremo notevolmente lo sviluppo energetico, continuando a essere i numeri uno al mondo e manterremo l’America energeticamente indipendente.
Vinceremo la corsa al 5G e costruiremo la migliore difesa informatica e missilistica del mondo.
Ridaremo totalmente vita all’educazione patriottica nelle nostre scuole e proteggeremo sempre la libertà di parola nei campus universitari.
Lanceremo una nuova era dell’ambizione americana nello spazio. L’America farà atterrare la prima donna sulla Luna e gli Stati Uniti saranno la prima nazione a piantare la propria bandiera su Marte.
Questa è l’agenda nazionale che porterà il nostro paese ad essere nuovamente unito.
Quindi stasera lo ripeto a tutti gli americani: questa è l’elezione più importante nella storia del nostro Paese. Non c’è mai stata una tale differenza tra due partiti, o due individui, in ideologia, filosofia o visione politica, di quanta ce ne sia oggi.
I nostri avversari credono che l’America sia una nazione depravata.
Noi vogliamo invece che i nostri figli e le nostre figlie conoscano la verità: l’America è la nazione più grande ed eccezionale nella storia del mondo!
Il nostro Paese non è stato costruito cancellando la cultura, i vocaboli o sulla conformità che schiaccia l’anima. Non siamo una nazione di spiriti timidi. Siamo una nazione di patrioti americani fieri, orgogliosi e indipendenti.
Siamo una nazione di pellegrini, pionieri, avventurieri, esploratori che hanno rifiutato di essere legati, trattenuti o tenuti a freno. Gli americani hanno l’acciaio nelle loro spine dorsali, la grinta nelle loro anime e il fuoco nei loro cuori. Non c’è nessuno come noi sulla Terra.
Voglio che ogni bambino in America sappia che faccia parte dell’avventura più emozionante e incredibile della storia umana. Non importa da dove viene la tua famiglia, non importa il tuo retroterra, in America, chiunque può aver successo. Con il duro lavoro, la devozione e l’impulso, è possibile raggiungere qualsiasi obiettivo ed ogni ambizione.
I nostri antenati hanno navigato attraverso il pericoloso Oceano per costruirsi una nuova vita in un nuovo continente. Hanno sfidato inverni gelidi, attraversato fiumi impetuosi, scalato picchi rocciosi, camminato in foreste pericolose e lavorato dall’alba al tramonto. Questi pionieri non avevano soldi, non avevano fama, ma potevano contare gli uni sugli altri. Amavano le loro famiglie, amavano il loro Paese e amavano il loro Dio!
Quando se ne è presentata l’opportunità, hanno raccolto la Bibbia, impacchettato le loro cose, sono saliti su carri coperti e partiti verso Ovest per la prossima avventura. Allevatori e minatori, cowboy e sceriffi, agricoltori e coloni – hanno proseguito oltre il Mississippi per andare nella Wild Frontier.
Sono nate così delle leggende: Wyatt Earp, Annie Oakley, Davy Crockett e Buffalo Bill.
Gli americani hanno costruito le loro belle fattorie sull’Open Range. Ben presto ebbero chiese e comunità, poi città e, con il tempo, grandi centri industriali e commerciali. Ecco chi erano. Gli americani costruiscono il futuro, non abbattono il passato!
Siamo la nazione che ha vinto una Rivoluzione, ha rovesciato la tirannia e il fascismo ed ha liberato milioni di persone. Abbiamo costruito le ferrovie e le grandi navi, innalzato i grattacieli, rivoluzionato l’industria e avviato una nuova era di scoperte scientifiche. Abbiamo stabilito le tendenze nell’arte e nella musica, nella radio e nel cinema, nello sport e nella letteratura, e abbiamo fatto tutto con stile, sicurezza e talento. Perché questo è ciò che siamo.
Ogni volta che il nostro modo di vivere è stato minacciato, i nostri eroi hanno sempre risposto alla chiamata al dovere.
Da Yorktown a Gettysburg, dalla Normandia a Iwo Jima, i patrioti americani hanno corso sotto i colpi di cannone, proiettili e baionette per salvare la libertà americana.
Ma l’America non si è fermata qui. Abbiamo guardato verso il cielo e continuiamo ad andare avanti. Abbiamo costruito un razzo da sei milioni di libbre e lo abbiamo lanciato a migliaia di miglia nello spazio. Lo abbiamo fatto in modo che due coraggiosi patrioti potessero alzarsi in piedi e fare il saluto alla nostra meravigliosa bandiera americana piantata sulla Luna.
Per l’America, niente è impossibile.
Nei prossimi quattro anni ci dimostreremo degni di questa magnifica eredità. Raggiungeremo incredibili nuove vette. E mostreremo al mondo che, per l’America, nessun sogno è al di là della nostra portata.
Insieme, siamo inarrestabili. Insieme, siamo imbattibili. Perché insieme siamo orgogliosi cittadini degli Stati Uniti d’America. E il 3 novembre renderemo l’America più sicura, renderemo l’America più forte, renderemo l’America più orgogliosa e renderemo l’America più grande che mai! Grazie, Dio ti benedica. Che Dio benedica l’America, buonanotte!”.

 

La migrazione prosegue da ieri ad oggi: il caso dell’Europa, di Olivier Hanne

La migrazione prosegue da ieri ad oggi: il caso dell’Europa

La crisi dei rifugiati, subsahariana o siriana, che ha segnato gli spiriti nel 2015, tende a farci dimenticare i lenti cambiamenti dei flussi contemporanei. Tuttavia, la questione della migrazione può essere compresa serenamente solo attraverso queste tendenze durature …

Nel secondo dopoguerra, i principali movimenti migratori hanno interessato minoranze etniche minacciate nei nuovi confini a seguito della divisione del continente tra i due blocchi. Di fronte all’URSS, 3 milioni di tedeschi provenienti da Polonia, Romania e Cecoslovacchia hanno cercato di trovare rifugio in Occidente, soprattutto nella RFT. In trent’anni, più di 10,7 milioni di europei dell’Est hanno compiuto questo spostamento verso l’Occidente.

Allo stesso tempo e durante i Trent’anni gloriosi (1945-1973), la necessità della ricostruzione dell’Europa e poi le esigenze di lavoro dovute allo sviluppo industriale hanno spinto Stati e imprese a fare appello all’immigrazione di lavoro che era ancora stagionale. Quasi 10 milioni di persone sono state colpite da questi movimenti migratori all’epoca: turchi e jugoslavi per la Germania, algerini, italiani, portoghesi e spagnoli per la Francia. Il numero dei profughi per motivi politici è ancora insignificante, ridotto a esuli in fuga dal comunismo. Era anche il tempo del rimpatrio delle popolazioni europee dalle colonie ormai indipendenti, movimento che coinvolse, nel caso della Francia, più di un milione di “Pied-Noirs”.

L’immigrazione sta cambiando

Con la recessione che ha prolungato lo shock petrolifero del 1973 fino all’inizio degli anni ’90, la maggior parte dei paesi europei limita l’ingresso dei migranti, forza lavoro troppo competitiva per i cittadini. Anche se gli stranieri sono incoraggiati a tornare nel loro paese di origine, la legislazione autorizza comunque il ricongiungimento familiare (1974 in Francia), trasformando così l’immigrazione per lavoro stagionale in immigrazione di insediamento familiare permanente. Appare quindi una doppia tensione: tensione alle frontiere per rallentare il flusso continuo di candidati al miraggio economico europeo; tensione interna per determinare se assimilare culturalmente gli stranieri stanziali o semplicemente integrarli economicamente.

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Gli anni 1970-1980 sono anche quelli di un boom di richieste di asilo politico dovuto alla cronica instabilità dei giovani paesi indipendenti del Terzo Mondo. Di fronte alla violenza nell’Africa subsahariana, l’Europa è vista come una zona privilegiata di rifugio, più degli Stati Uniti. Le richieste di asilo ricevute in Europa occidentale sono passate da 180.000 nel 1987 a 437.000 nel 1990. Carestie e siccità ripetute nel Sahel hanno lanciato i primi migranti climatici sulle strade del nord.

La continua attrazione dell’Europa per i paesi poveri arriva in un momento in cui la demografia del vecchio continente sta collassando e l’invecchiamento è in aumento, ma questo inverno demografico europeo sta portando a una presa d’aria migratoria.

Crescono i flussi intraeuropei

Per molto tempo c’erano stati flussi intraeuropei, italiani, portoghesi o spagnoli in Francia, italiani in Svizzera o Germania, jugoslavi o turchi in Germania. Ma tendono a diminuire (tranne gli ultimi) con lo sviluppo dei paesi di partenza.

La fine dell’URSS nel 1991 provocò nuove inflessioni. L’Unione Europea tende quindi a valorizzare i migranti del continente a scapito degli altri. La Germania riunificata diventa l’El Dorado per i migranti dei Balcani e dell’Europa centrale, in particolare per gli 1,3 milioni di Aussiedler , questi di lingua tedesca che risiedono nell’Europa orientale e che possono pretendere di tornare nella “madrepatria” .

 

Con l’egemonia americana, il nuovo clima geopolitico sembra suggerire che sia arrivato un tempo di pace duraturo, così che il numero dei richiedenti asilo nell’Europa occidentale è crollato della metà a 270.000 in 1997. I rifugiati accolti sono ora meno di origine africana e asiatica che di origine europea e, più precisamente, jugoslava. I conflitti nell’ex Jugoslavia tra il 1990 e il 1995 hanno costretto 4,6 milioni di persone a lasciare il loro paese e 700.000 hanno trovato rifugio nell’Europa occidentale. Allo stesso tempo, Grecia e Italia accolgono gli albanesi in fuga dalla dittatura e dalla violenza sociale.

L’Unione Europea, che si è poi costruita come un tutto politico con gli accordi di Maastricht (1992), poi con l’entrata in vigore degli accordi di Schengen (1995), accetta la libertà di circolazione al suo interno mentre pretende di porre un freno ingressi dall’esterno. Negli anni ’90 la Francia ha concesso in media 80.000 permessi di soggiorno di lunga durata. Il principio della globalizzazione accetta il liberalismo commerciale e la libertà di movimento, ma lo limita per quanto riguarda gli immigrati non europei. C’è qui una fragilità dottrinale dell’UE, le cui conseguenze erano evidenti dopo il 2011: poiché avevamo accettato l’anima della globalizzazione, perché rifiutarne i benefici ai migranti africani e asiatici?

Il miraggio della “fortezza Europa”

La realtà delle condizioni economiche, il rallentamento della crescita, la riluttanza dell’opinione pubblica verso l’immigrazione facilitano l’attuazione di restrizioni più severe, tanto che l’Ue viene quindi qualificata come “fortezza Europa”. Ma a causa dell’umanesimo delle istituzioni europee e della necessità di manodopera, il controllo delle frontiere non ha un aspetto rigido e impermeabile. Quindi, l’immigrazione illegale dal Ghana, Il Benin o la Nigeria non transitano via terra, ma attraversano gli aeroporti di Cotonou e Lagos. I candidati alla partenza volano a Parigi, Bruxelles e Londra più legalmente del mondo, con visti turistici, rapidamente obsoleti e non rinnovati. Molti presentano una richiesta di asilo e rimangono nel territorio dopo un rifiuto da parte dell’amministrazione. C’è quindi una grande tentazione per i respinti dall’asilo di provare altri metodi: matrimonio bianco, malattia, nascita di un bambino in terra francese …

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Gli anni ’90 sono stati caratterizzati da una forte tensione tra i crescenti flussi di immigrati clandestini dai paesi del sud e dai tentativi di chiudere le frontiere da parte dell’UE, in particolare con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht nel novembre 1993. .

 

Vengono quindi visualizzati i punti di attraversamento e di transito in cui accorrono i migranti, alle prese con dogane, forze di polizia e barriere elettroniche. Lo Stretto di Gibilterra, l’enclave spagnola di Ceuta, l’isola italiana di Lampedusa, il tunnel sotto la Manica e il Calaisis diventano luoghi sintomatici di massiccia immigrazione, con il suo corteo di ingiustizie e brutalità. Tra il 1990 e il 1996, l’Italia ha visto raddoppiare il numero di immigrati illegali, passando da 570.000 a quasi 1,1 milioni.

Poi il fenomeno non fa che peggiorare. Nel 2005, su 191 milioni di immigrati nel mondo, 41 milioni risiedevano nell’Unione Europea, nonostante la pretesa delle istituzioni al controllo migratorio. Gli immigrati illegali sono circa 2 milioni di persone. La migrazione netta – la differenza complessiva tra il numero di immigrati e quello degli emigranti (vedi articolo a pagina 53) – rappresenta quindi l’80% dell’aumento demografico dell’Unione. La proporzione di immigrati nella popolazione della Francia metropolitana è passata dal 5% nel 1946 al 9% nel 2017, di cui il 41% ha acquisito la nazionalità francese (dati: INSEE e OCSE). Queste statistiche indicano che il dinamismo demografico europeo viene prima di tutto dall’immigrazione.

 

Gli ingressi dei migranti non sono più di natura temporanea, ma sono durevoli e mirano a stabilirsi. Il ricongiungimento familiare – garantito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo – è diventato il primo motivo per una soluzione duratura, molto prima del lavoro o dell’asilo politico. Gli immigrati interessati non sono ammessi nel territorio per le loro capacità o per la volontà di integrarsi, ma perché rispondono a criteri coniugali o familiari oggettivi. I 45.000 matrimoni misti  (1) celebrati ogni anno sul territorio francese (17% del totale dei matrimoni), sommati ai 45.000 matrimoni celebrati all’estero, costituiscono la normale via di accesso al diritto di soggiorno. Pertanto, l’85% delle ammissioni permanenti in Francia sono di diritto, e quindi sfuggire all’interpretazione del potere esecutivo.

Questa immigrazione è essenzialmente extraeuropea. Nel 2014, il 44% dei sei milioni di immigrati che vivono nella Francia continentale proveniva dall’Africa, il 36% dall’Europa (Insee). Nel 2003, 215.000 persone sono immigrate in Francia, rispetto alle 156.000 del 1998. Tutte queste cifre vanno contro le idee ricevute su un’Europa chiusa ai flussi migratori.

Come comportarsi?

I governi che pretendono di lottare contro il fenomeno in realtà hanno poco controllo su tali movimenti. La politica europea di controllo è però regolarmente ridefinita e rivalutata, anche dal Trattato di Amsterdam (ottobre 1997) e dai vari vertici, fino alla creazione nell’ottobre 2004 dell’agenzia Frontex . La sua vocazione era quella di coordinare la sorveglianza delle coste e dei confini dell’UE, ma è stata subito criticata per la sua incapacità di impedire gli ingressi illegali e per le sue libertà assunte nei confronti dei diritti dei migranti. Di fronte all’aumento dei flussi clandestini che era difficile interrompere a causa della legislazione e della mancanza di mezzi, dal 2005 si è reso necessario decidere di distribuire le persone per quote nazionali.

Secondo la cosiddetta procedura Dublino II (2003), qualsiasi domanda di asilo deve essere esaminata nel primo paese dell’Unione europea in cui la persona è entrata. Tuttavia, di fronte all’impossibilità di applicare questo quadro, nel 2010 è stato istituito un Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, che trascende le politiche nazionali. Una simile riorganizzazione amministrativa ha avuto la conseguenza di liberare la gestione della migrazione dalle autorità nazionali e di affidarla a funzionari europei, irresponsabili nei confronti dell’opinione pubblica e dell’elettorato.

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Di fronte al rischio di surriscaldamento, soprattutto nell’opinione pubblica, i governi francesi, conservatori o progressisti, hanno utilizzato la procedura delle fughe alla frontiera, il cui numero è salito da 9.000 nel 2001 a 24.000 nel 2007, quindi 36 800 nel 2012. Tra il 2002 e il 2005, molti paesi europei hanno proceduto a regolarizzazioni massicce: 220.000 in Francia, 720.000 in Grecia. Italia e Spagna hanno regolarizzato 700.000 persone ciascuna, una nel 2002 e l’altra nel 2005. Da 25 anni sono stati regolarizzati 3 milioni di clandestini in Europa. L’attrazione europea, nonostante la crisi economica, non è mai stata così forte. I tassi di partenza dal Marocco verso l’Europa raggiungono il 15% degli uomini normodotati.

Gli anni 2000 confermano quindi la tendenza ereditata dal decennio precedente, ovvero che le masse migratorie che arrivano in Europa generalmente rispondono alle richieste dei paesi dell’UE, a prescindere dalla retorica anti-immigrazione dei politici.

La crisi del 2005

La crisi recente fa parte di tendenze di lunga durata, aggravate dalla destabilizzazione del Sahel e del mondo arabo-musulmano a seguito della primavera araba del 2011-2012. Infatti, il numero di rifugiati e migranti illegali che arrivano in Europa via mare è esploso in pochi anni:

 

2011: 70.000

2012: 22.500

2013: 60.000

2014: 219.000

2015: 1.005.500

(Fonte: IOM, International Migration Office)

 

Questo boom è eccezionale, perché contrasta con la vecchia tendenza dell’immigrazione clandestina, che utilizzava rotte terrestri e aeree spesso legali, consentendo il superamento dei visti di soggiorno.

Nei media, la crisi migratoria è iniziata il 19 aprile 2015, quando una nave di migranti è naufragata al largo dell’isola italiana di Lampedusa, uccidendo 700 persone. Quasi 10.000 persone sfortunate sarebbero state salvate dalla marina italiana solo nel fine settimana dell’11-12 aprile. Dal 2000, 22.000 persone sono morte in circostanze simili, fuggendo dalla guerra e dalla miseria nel continente africano. Al di là del dramma umano, la crisi dei rifugiati è un evento importante che può sconvolgere la geopolitica del Medio Oriente e ricostruire le società europee.

La copertura mediatica della crisi migratoria iniziata nell’autunno del 2015 è stata impressionante quanto la portata del fenomeno. I dati ufficiali – necessariamente incompleti – mostrano 350mila migranti irregolari che entrano nell’Unione nei primi mesi dell’anno. Il numero di domande di asilo ricevute tra aprile e giugno 2015 è stato di 213.200, con un aumento dell’85% rispetto allo stesso periodo del 2014.

Il numero di migranti in arrivo via mare è passato da 219.000 nel 2014 a 239.200 nel 2015, di cui il 56% sbarcato in Grecia, il 42% in Italia e il 2% in Spagna. La Germania ha ricevuto una media di 30.000 richieste di asilo al mese da gennaio ad agosto 2015. I migranti hanno preferito i Paesi Bassi, la Lettonia, l’Austria e la Germania piuttosto che la Francia (30.000 richieste in soli 6 mesi). ). Ma le richieste alla Germania sono improvvisamente raddoppiate a settembre, ora ammontano a 63.000, a causa della dichiarazione del 19 agosto 2015 del cancelliere Angela Merkel che annunciava che il paese dovrebbe eventualmente accettare 800.000 candidati. asilo. Forse fraintesa, questa frase ha avuto l’effetto di un richiamo aereo tra i siriani ancora in Turchia, che la vedevano come un invito a entrare nell’Unione Europea.

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Arrivati ​​in colonne di diverse centinaia di persone, guidati dai loro smartphone e nutriti durante il viaggio da trafficanti e operatori umanitari europei, i migranti siriani hanno lasciato i loro campi in Turchia per attraversare il Mar Egeo. Arrivati ​​in Grecia, hanno rapidamente travolto le capacità di accoglienza del Paese, già in crisi economica e politica. Poi Monaco divenne in poche settimane il fulcro della migrazione siriana verso l’Europa. Il 14 settembre, di fronte all’impossibilità di accogliere questo flusso regolare, Berlino ha annunciato il ripristino dei controlli alle frontiere, appena un mese dopo che Angela Merkel aveva causato l’accelerazione delle partenze dalla Turchia e dalla Grecia.

Una … battuta d’arresto temporanea?

La crisi migratoria del 2015 non è solo una crisi dei rifugiati, perché è la logica continuazione dei cambiamenti migratori iniziati 20 anni fa. Solo che molti candidati all’ingresso nell’UE si sono uniti al movimento dei siriani per mimetizzarsi e approfittare delle promesse di benvenuto della Germania. L’impossibilità di controllare l’afflusso improvviso è stata una porta aperta per chi, dai Balcani, ad esempio, attendeva il momento propizio per tentare l’avventura dell’emigrazione.

La portata del fenomeno ha appena superato l’anno 2015, dal momento che il numero di ingressi è diminuito dal 2016, sotto l’effetto di politiche più restrittive, un migliore coordinamento del controllo delle frontiere con la Turchia, le vittorie militari di Bashar el -Assad in Siria e l’operazione francese Barkhane nel Sahel:

 

2016: 390.400

2017: 186.700

2018: 144.100

(Fonte: IOM)

 

Occorre quindi qualificare l’espressione stessa di “crisi dei rifugiati”, perché implica un maremoto involontario, brutale e duraturo, mentre gli eventi del 2015 – certamente eccezionali nella loro portata – sono stati portati dalla Legislazione europea e 30 anni di politica migratoria. La crisi del 2015 è l’albero che nasconde la foresta da flussi migratori regolari e potenti.

Si tratta di matrimoni tra un individuo francese e uno straniero; possono però essere della stessa origine, come i giovani maghrebini che cercano un coniuge “nel sangue”. Non sono quindi sempre la prova dell’integrazione nella società ospitante.

 

La confusione dei termini porta alla confusione delle analisi. Uno è l’uso della parola “rifugiato” insieme a “migrante”, “immigrato” o “immigrato”. Tuttavia, il termine rifugiato si riferisce proprio a uno status riconosciuto dalla Convenzione di Ginevra (28 luglio 1951), e designa ”  qualsiasi persona che teme a ragione di essere perseguitata a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenere a un certo gruppo sociale o delle sue opinioni politiche, che è al di fuori del Paese di cui è cittadino e che non può o, per questo timore, non vuole rivendicare la protezione di questo Paese  ”. Il rifugiato è, de facto, legalmente tutelato e può beneficiare di una carta di soggiorno valida dieci anni, a condizione che l’amministrazione del paese ospitante gli conceda lo status in questione. I rifugiati riguardano il 7% dei migranti internazionali (15 milioni di persone, secondo l’Alto Commissariato per i Rifugiati).

D’altra parte, un migrante – sia che si chiami immigrato o immigrato – è molto concretamente qualcuno che cambia paese per un periodo indefinito e per un motivo tutto suo. Il termine può designare sia un immigrato legale che un immigrato illegale, e quindi non comporta alcuno status o altra protezione se non quella che il Paese ospitante è disposto a fornire, secondo le sue regole particolari.

Tuttavia, la confusione tra migrante e rifugiato nella recente crisi tende a cancellare tutte le sfumature migratorie ea suggerire che la massa umana che si è trasferita tra febbraio e ottobre 2015 doveva necessariamente ottenere lo status di rifugiato. Ancor di più, la fusione si è diffusa sui media a tutti i migranti giunti in Europa nello stesso periodo, mentre molti obbediscono ai vecchi flussi, che gli stati hanno sempre cercato di controllare.

Questi risultati sono confermati dai dati sull’origine dei richiedenti asilo nell’Unione Europea nel 2017 (Frontex): su 649.000 richiedenti, il 23% proveniva da zone di guerra (Siria, Iraq), il 16,3% da paesi segnata da violenze localizzate (Afghanistan, Eritrea, Nigeria), e tutte le altre nei Paesi poco sviluppati (Pakistan, Albania, Bangladesh…), che non esclude specifiche forme di oppressione politica o religiosa. Le vittime di guerra sono quindi rare … Ma i media hanno reso popolare il termine “rifugiati politici” che mantiene la confusione.

E su scala globale?

Dagli anni ’90 e per un effetto della globalizzazione, tutte le regioni del globo sono state colpite dalla migrazione internazionale. Ogni anno il 3% della popolazione mondiale, ovvero 240 milioni di persone, diventa migranti, vale a dire lascia il proprio paese per un altro. La maggior parte delle migrazioni rimane nazionale, tuttavia, con 740 milioni di migranti interni secondo l’UNDP (Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo). Ci sono tanti cinesi che migrano in Cina quanti sono i migranti internazionali.

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L’Europa rimane ancora la prima regione di accoglienza con più di un terzo dei migranti, seguita da Asia (28%) e Nord America (23%). Nonostante i dibattiti sull’aumento dei rifugiati climatici e politici, il motivo della partenza è principalmente economico: in tre quarti dei casi si va in un Paese più sviluppato. Poiché le regioni ospitanti sono rinomate anche per il loro sistema sociale e politico, l’attrazione economica è accompagnata da altre motivazioni (fuga dall’autoritarismo, vittime della segregazione etnica, problemi ambientali, ecc.). Tuttavia, l’estrema povertà non è più l’unico motivo dei flussi e la percentuale di laureati tende ad aumentare: 60 milioni di migranti partecipano alla fuga dei cervelli, la fuga di cervelli, soprattutto in Nord America; Il 31% dei laureati dell’Africa subsahariana emigra …

A differenza degli anni 1960-1980, il Paese ospitante non è necessariamente situato nell’emisfero settentrionale, perché i flussi da Sud a Sud sono notevolmente aumentati e diversificati, con il 63% dei migranti oggi. I divari di sviluppo tra i paesi del Sud giustificano questa evoluzione: gli afgani trovano in Iran stabilità e lavoro, i porti della Costa d’Avorio e il petrolio della Nigeria attirano i sub-sahariani. Le persone generalmente migrano all’interno della loro regione o del loro continente: egiziani in Arabia Saudita, lavoratori dall’Asia centrale alla Russia. Ciò significa che il miraggio occidentale, se esiste ancora, tende ad evaporare. Alcuni paesi attraggono persino migranti da paesi più ricchi, come i pensionati francesi in Marocco o gli ingegneri cinesi in Africa, accompagnato da coorti di lavoratori sfollati per alcuni mesi in siti tropicali. Si sono quindi verificati fenomeni complessi, e vediamo persino agricoltori brasiliani migrare in Paraguay mentre i coloni paraguaiani si stabiliscono nell’Amazzonia brasiliana …

Sebbene incompleta, la chiusura dei confini dei paesi del Nord porta alla formazione di regioni di transito dove la questione migratoria è subappaltata a Stati forti, come la Turchia, il Maghreb o il Messico. I migranti sono di stanza lì in attesa di raggiungere un giorno l’El Dorado, rimanendo senza diritti o futuro garantito.

https://www.revueconflits.com/immigration-analyse-theorie-europe-etude-olivier-hanne/

Eisenhower e il maccartismo, di George Friedman

A proposito di guerre intestine americane_Giuseppe Germinario

https://geopoliticalfutures.com/what-were-reading-eisenhower-and-mccarthyism/?tpa=NzAzZmU4M2NlZDBkMzIxYTFkY2YyYTE1OTkyMzM2NzYzYjBkNWQ&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=https%3A%2F%2Fgeopoliticalfutures.com%2Fwhat-were-reading-eisenhower-and-mccarthyism%2F%3Ftpa%3DNzAzZmU4M2NlZDBkMzIxYTFkY2YyYTE1OTkyMzM2NzYzYjBkNWQ&utm_content&utm_campaign=PAID+-+Everything+as+it%27s+published

Cosa stiamo leggendo: Eisenhower e il maccartismo

La vera pace non arriverà in Medio Oriente finché i pacificatori trascureranno questo problema.

Di: George Friedman

Ike: un eroe americano
Di Michael Korda

Il libro di Michael Korda è un eccellente studio di Dwight D. Eisenhower, sia come persona che come comandante supremo alleato della guerra contro la Germania, nonché del processo attraverso il quale divenne presidente. Avendo letto molto su Eisenhower, normalmente avrei poche novità da dire. Ma qualcosa mi ha veramente colpito in questo libro: l’affermazione che questo particolare eroe di guerra e forza politica fosse un devoto comunista.

L’accusa proveniva dalla fazione maccartista dei repubblicani che ha sostenuto Robert Taft per la nomina del loro partito. Volevano distruggere la reputazione di Ike. Nel 1952, Joseph McCarthy era una figura significativa nella politica e nella società americana. Ha terrorizzato tutte le aree della vita americana, distruggendo le vite dei cittadini e dei nemici politici allo stesso modo per migliorare la posizione politica della sua fazione. Era guidato dalla creazione di un sistema in base al quale chiunque poteva essere identificato come comunista. La paura di McCarthy significava la disponibilità a sottomettersi alla sua fazione.

Essere comunista nel 1952 era problematico, ovviamente. Un membro del Partito Comunista per definizione ha sostenuto il movimento comunista internazionale guidato dall’Unione Sovietica. Il capo dell’Unione Sovietica era un assassino di massa. Proprio come qualcuno guarderebbe un nazista americano con disgusto, guarderebbe un comunista allo stesso modo.

Ma McCarthy e i suoi seguaci non si sono concentrati sui membri dei partiti comunisti. Si sono concentrati sui comunisti chiaramente troppo intelligenti per essere membri. Eisenhower stava correndo contro Taft, e McCarthy non lo voleva. Credeva che dimostrare che Eisenhower era comunista lo avrebbe fermato. La prova, ovviamente, era sempre indiretta. In questo caso, era un’immagine di Ike che stringeva la mano al maresciallo sovietico Georgy Zhukov in una riunione tenuta poco dopo la resa tedesca. La cordiale stretta di mano indicava chiaramente amicizia. E poiché George Marshall, capo di stato maggiore dell’esercito, ha autorizzato l’incontro, chiaramente era lui stesso un comunista, ed entrambi erano conniventi per consegnare Berlino a Stalin.

Non ha funzionato contro Ike, ma ha funzionato contro tanti altri, ponendo fine alle carriere di persone così varie come gli scienziati e l’élite di Hollywood. (Oggi li chiameremmo “cancellati”.) C’erano, in effetti, agenti comunisti negli Stati Uniti, ma l’equipaggio di McCarthy non se ne preoccupava. McCarthy si preoccupava di spaventare i deboli e i potenti con la capacità di accusare, e quindi di condannare i cittadini per una parola pronunciata in un modo che fosse in sintonia con il comunismo. Sono stati accusati di qualcosa di cui pochi erano colpevoli e l’accusa è stata sufficiente per distruggerli. Ci è voluto un idiota per credere che Eisenhower fosse un comunista, ma ci sono voluti leader spietati e spietati per usare quegli idioti.

C’è una tradizione di evitamento che fa parte della storia americana. Diverse sette religiose evitavano o punivano coloro che avevano violato le loro regole. Nathaniel Hawthorne ne ha scritto magnificamente. È un passatempo americano, condiviso da tutte le convinzioni politiche e religiose, praticato anche da chi scenderà dal palco.

I tre momenti del populismo, di Pascal Gauchon

I tre momenti del populismo

Non c’è bisogno di tornare ai Gracchi o all’antica Roma: si rischierebbe l’anacronismo. Affinché il termine “populismo” emerga, dobbiamo aspettare la rivoluzione francese, il popolo deve diventare sovrano. Pertanto, la definizione di populismo sta interamente nella radice della parola: si tratta di difendere gli interessi del Popolo, ancor più di assicurarsi che sia davvero il sovrano, che detenga effettivamente il potere e che ‘nessuna forza può sostituirlo.

 

Immediatamente si fecero le domande: contro chi difendere il Popolo? E come dovrebbe essere definito? I greci distinguevano il Laos , la massa di soldati nell’Iliade, ethnos , uomini discendenti dalla stessa origine e che condividono costumi comuni, e demos , un gruppo di uomini soggetti alle stesse leggi. Il secondo termine si riferisce all’idea di nazione che, in una Michelet, è associata a quella di Popolo. Ci riporta alla Rivoluzione francese . Da allora il populismo si è svolto in tre fasi.

 

Il momento russo e americano

 

Gli esperti concordano sul fatto che le culle del populismo sono i grandi spazi della Russia zarista e dell’Occidente americano. In Russia, i narodnik (da narod , persone); negli Stati Uniti, il People’s Party, fondato nel 1891 (vedi pagina 44). Qui i populisti mettono radici nel mondo contadino. Questo ha fatto guadagnare loro la reputazione di retroguardia, persino movimento reazionario. In Russia, i marxisti dell’RSDLP (1) rifiutano l’idea che i moujikspossono formare una classe rivoluzionaria, hanno occhi solo per il proletariato. Negli Stati Uniti, il fallimento elettorale di Bryan associato ai populisti portò all’emergere di una corrente qualificata come progressista, di cui lo storico Richard Hofstadter fece l’esatto opposto del populismo; accusa quest’ultimo di essere provinciale, complottista, nativista, anti-intellettuale. Una rivolta reazionaria.

Tuttavia Lenin trattenne dai socialisti rivoluzionari, eredi dei populisti , l’idea che, per vincere, fosse necessario mobilitare i contadini poveri. Per quanto riguarda gli Stati Uniti , altri analisti (2) vedono nel populismo l’erede di Jefferson, difensore dei “diritti umani” contro il progresso capitalista e incarnazione della sfiducia di Washington e del potere centrale. Possiamo vedere cosa conteneva questo “vecchio” populismo nella modernità e persino nella preveggenza.

 

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Il momento del periodo tra le due guerre

 

Dopo il 1919 il populismo assume un nuovo volto. Dovremmo qualificare i fascismi europei come “populisti”? Dopo aver lasciato il Partito socialista, Mussolini aveva lanciato il Popolo d’Italia e si potevano trovare nel “Movimento fascista (3)  ”, il fascismo prima della presa del potere, punti in comune con il populismo. Ma la marcia su Roma (1922) fu possibile solo grazie a un compromesso con le élite in atto che portò al mantenimento della monarchia. Non appena è al posto di guida, il fascismo ha poco a che fare con il populismo, comunque tu lo definisca.

È il latinoamericano che è diventato il suo terreno preferito. Nel periodo tra le due guerre, ha assunto forme di sinistra (Messico di Cardenas) o di destra (Brasile di Vargas, ispirato all’Italia di Mussolini). In Argentina, la giornalista Eva Duarte mobilita la folla dei “sans-shirts” ( descamisados ) a favore del generale Peron, eletto presidente nel 1945 e diventato suo marito alla fine dell’anno. Peron chiede una terza via tra comunismo e capitalismo liberale, il giustizialismo; adottò molte misure sociali, praticò il patriottismo economico e mantenne rapporti burrascosi con gli yankee . In preda a crescenti difficoltà economiche, fu rovesciato da un colpo di stato nel 1955.

Cosa ci insegna l’America Latina sul populismo? Innanzitutto è necessario, come tutti i populismi, contro le élite ritenute incapaci, qui i grandi proprietari di terre e miniere. In particolare, questi proprietari e i politici che portano al potere sono accusati di servire interessi stranieri. Il simbolo era l’ambasciatore degli Stati Uniti in Argentina, Spruille Braden, preso la mano nella borsa finanziando gli avversari di Peron che appare costantemente a Hitler. Tanto che la campagna elettorale del 1945 è stata effettuata al suono dello slogan Braden no, Per n SI .

Il populismo assume quindi l’aspetto di un nazionalismo che combatte le élite acquisite all’estero, egli ritiene. Allo stesso tempo ha portato al potere nuove élite, classi medie urbane, sindacalisti, funzionari pubblici e, naturalmente, i militari che hanno svolto un ruolo essenziale in tutti i movimenti del tempo. Il subcontinente dimostra la complessa relazione tra le nozioni di populismo e di élite.

La Guerra Fredda mette fine al movimento populista. Castro poteva essere assimilato ai populisti quando salì al potere, ma si mosse verso il comunismo e si pose sotto la protezione sovietica, come se si potesse sfuggire alla tutela americana solo ponendosi sotto un’altra tutela. Con l’anticomunismo, i soldati latinoamericani che avevano costituito la spina dorsale dei regimi populisti istituirono dittature filoamericane, spesso si unirono al liberalismo economico (Cile), che non si poteva qualificare come populista.

 

Il ritorno del populismo

 

Populismo negli anni dal 1960 al 1990 non c’è quasi più dubbio, almeno nei paesi sviluppati che si arricchiscono, anche dopo la crisi del 1973, dove le disuguaglianze regrediscono, almeno fino alla fine degli anni 1960, dove le élite sono difficilmente contestate. In Francia, “l’elitarismo repubblicano” consente l’ascesa di tecnocrati che sono visti come efficienti e disinteressati. Nel mondo dominano le ideologie comuniste o capitalista-liberali, che non lasciano spazio a una “terza via”.

Il movimento ha ripreso vigore negli anni 90. Lo spiegano tre fenomeni, peraltro collegati: la globalizzazione, l’aumento delle disuguaglianze e la scomparsa dell’URSS. La minaccia comunista aveva portato la classe dominante a sviluppare lo stato sociale per evitare la rivoluzione. La paura è scomparsa e le élite non sono più pronte a fare le stesse concessioni. Ancora una volta sono in cattedra, accusati di formare “una iperclasse mondiale” e di monopolizzare gran parte della crescita a scapito dei più poveri. La crisi finanziaria del 2008 ne completa il discredito. Conosciamo il resto, dalla Brexit alle elezioni americane.

Da questa breve storia si possono trarre alcune conclusioni.

Innanzitutto dimostra l’estrema diversità del populismo, di sinistra o di destra, tradizionalista o rivoluzionario, che mobilita i contadini, gli operai o le classi medie, arriva al potere con la forza o con le urne ed è cacciato dalle urne. o con la forza. Questa varietà potrebbe aver messo in dubbio l’esistenza del populismo: ciò che è rimasto alla fine, un termine vago, quasi nulla, un insulto …

Tuttavia, ci sono punti in comune tra tutti i movimenti populisti: la presenza di un leader carismatico; la contestazione delle élite accusate di non preoccuparsi più del popolo-nazione; la capacità di fare affidamento sugli ambienti più svantaggiati mentre attrae ampie porzioni della classe media e persino nuove élite, in una logica transclassista estranea al marxismo; la critica del capitalismo liberale; dubbi sul funzionamento della democrazia che si sospetta sia stata confiscata da funzionari eletti.

Il rapporto con la democrazia è uno degli aspetti più originali del populismo. Potrebbe anche essere definito come estremismo democratico, pretende di essere una democrazia ideale contro la democrazia reale che è generalmente rappresentativa (vedi pagine 44-45). Ecco perché ci sono momenti populisti: si verificano quando la democrazia è in crisi, quando le disuguaglianze sociali peggiorano, quando le élite preferiscono i loro beni al bene comune e ostentano la loro ricchezza e il loro senso di superiorità. Tale era il caso nell’ultimo terzo del XIX °  secolo, nel periodo tra le due guerre e di oggi.

Per tre volte il populismo ha coinciso con tre grandi depressioni che il mondo occidentale ha attraversato dal 1873, e reflusso accompagna ripresa economica della fine del XIX °  secolo e dopo la seconda guerra mondiale. Finché la crescita economica, il progresso sociale e la solidarietà nazionale non riprenderanno, il populismo avrà un futuro luminoso nonostante i fallimenti subiti nel 2017.

 

  1. Partito Socialdemocratico dei Lavoratori della Russia fondato nel 1898 e diviso tra bolscevichi e menscevichi.
  2. Gene Clanton, Charles Postel.
  3. Secondo la formula di Renzo De Felice.

Le guerre segrete della Repubblica di Venezia e dello Stato Pontificio, di Giuseppe Gagliano

Partendo dal saggio di Eric Frattini di taglio storico-giornalistico “L’Entitá” e da quello storico di Paolo Preto “I servizi segreti di Venezia emerge con chiarezza che, al di là delle scelte ideologiche e/ o religiose, le istituzioni politiche hanno fatto ricorso a tutti gli strumenti a loro disposizione per salvaguardare il loro potere o per incrementarlo. In questo contesto i servizi di sicurezza hanno giocato – e giocano come ampiamente dimostrato anche dagli studi storici di Aldo Giannuli un ruolo fondamentale. Infatti l’uso di omicidi politici mirati, la realizzazione o il finanziamento di movimenti volti a destabilizzare politicamente i propri avversari, l’uso della tortura e l‘uso della guerra chimica sono stati strumenti usualmente posti in essere dalle istituzioni politiche e religiose come illustrano ampiamente sia Frattini che Preto. I confini tra cioè che è moralmente lecito o meno saltano in nome degli arcana imperii e della ragion di stato. Ieri come oggi.

Anche se i personaggi e i contesti storici sono necessariamente cangianti e mutevoli numerose sono le continuità e le costanti: l’uso degli omicidi mirati non può che farci pensare anche al Mossad, alla Cia o al KGB; l’uso della tortura ai regimi totalitari ma anche alla Guerra del Vietnam, all’Egitto e all’Iran attuali; l’uso della guerra chimica all’uso dei gas nella Grande Guerra. Infine la realizzazione di movimenti destabilizzanti, come la Fronda, come non può, per analogia, farci pensare ad Otpor o a Solidarnosc?

L’intelligence della Santa Sede

Fra i numerosi nemici della Chiesa di Roma nel 1600 vi era certamente la Francia del cardinale Mazzarino nei confronti della quale il servizio di informazioni Vaticano pose in essere diverse operazioni coordinate della cognata del pontefice Innocenzo X e cioè Olimpia Maidalchini. Il cardinale francese era riuscito a infiltrare nella Santa Sede alcune sue spie che lo informavano dettagliatamente sulle decisioni del Papa contro la Francia. Allo scopo di prevenire e di contrastare queste iniziative Olimpia Maidalchini realizzò un vero e proprio servizio di controspionaggio denominato Ordine Nero il cui compito era individuare gli agenti francesi al soldo di Mazzarino e ucciderli. Il simbolo di questa sezione della Intelligence era una donna vestita con una toga che reggeva la croce in un mana e nell’altra una spada. Tale operazione di grande successo portate avanti dalla intelligence della Santa Sede fu il sostegno al movimento della fronda nato per mettere fuori gioco il cardinale francese; un ‘altra operazione di grande successo fu la eliminazione del genovese Alberto Mercati che era al soldo del cardinale francese e che fu impiccato ad una trave nella sua casa a Roma,omicidio questo che fu attuato dall’Ordine Nero.

Per quanto riguarda l’Ottocento uno dei nemici temibili del Vaticano era certamente la Carboneria. L’Intelligence del Vaticano conosceva perfettamente l’organigramma delle sette segrete come la carboneria e proprio il responsabile dell’intelligence Vaticana Bartolomeo Pacca attuò contromisure efficaci. Nel novembre del 1825 i due principali responsabili della Carboneria, e cioè Targhini e Montanari, furono catturati, processati e decapitati. Un’altra operazione assolutamente spregiudicata fu quella di individuare le persone sospettate di appartenere o appoggiare la Carboneria che vennero sequestrate, interrogate e torturate e nella maggior parte dei casi furono giustiziate in modo sommario. Complessivamente un migliaio di persone sarà costretta all’esilio o sarà rinchiusa nella prigioni papali.

I servizi segreti a Venezia

Passiamo adesso a Venezia. Il 27 ottobre del 1511 il Consiglio dei dieci pattuisce un compenso a Niccolò Catellani per uccidere il re francese Luigi XII con la complicità del suo medico personale.

Allo scopo di sconfiggere il nemico austriaco Venezia decide di porre in essere diversi incendi dolosi nel 1512 in varie località austriache fatte da agenti veneziani e, tra maggio e luglio dello stesso anno, verranno bruciati in Austria circa 200 città. Questa tecnica si rivelò talmente efficace che nell’agosto del 1518 gli storici danno notizia dell’esistenza di una vera e propria organizzazione segreta veneziana specializzata negli incendi dolosi in territorio austriaco. L’artefice di questa operazione fu un nobile veneziano che d’accordo con il Consiglio dei dieci faceva agire gli agenti veneziani incendiari divisi in quattro gruppi vestiti da frati mendicanti.

Un altro temibile nemico di Venezia erano i turchi. Il Consiglio dei dieci progettò l’eliminazione del sultano per ben 12 volte. Più esattamente tra il 1456 e il 1647 furono numerosi i tentativi o i progetti veneziani di attentati alla vita del sultano. Ad esempio nel 1643, i Dieci accettano ben due offerte per assassinare il sultano la prima da parte di un rinnegato di nome Giorgio di Traù mentre la seconda da parte di un frate. Ma sono certamente altrettanto importanti due episodi per comprendere chiaramente l’uso della guerra segreta da parte di Venezia. Il primo episodio risale al luglio del 1652 quando fu avvelenato il turco Cassan Capigì in casa di una prostituta da parte di un certo Francesco Colletti che altro non era che un delinquente; il secondo episodio si colloca nel 1663 quando il nuovo direttore dei servizi segreti in Dalmazia, Nicolò Bollizza, fornisce al turco Ezzestabec veleni per minestra e condimenti destinati a uccidere il padrone Beico Bey .

Anche nei confronti dei prigionieri turchi Venezia mostrò sempre una cinica efficienza: nel luglio del 1505 il conte di Traù è invitato dal Consiglio a uccidere in gran segreto un turco divenuto cristiano; per quanto riguarda i prigionieri delle fuste corsare catturati il Consiglio ordinò al capitano di tagliare a pezzi tutti e di affondare le barche facendo bene attenzione che nessuno di loro rimanesse vivo perché se ciò fosse accaduto avrebbe certamente nuociuto all’immagine di Venezia. Nel 1556 il Duca di Spalato dal Consiglio ricevette l’ordine di uccidere in prigione in modo segreto un turco assassino di frati francescani.

Per quanto riguarda l’uso della guerra chimica, durante la guerra di Cipro, sarà usato il veleno che verrà messo nelle acque e più esattamente il 15 marzo del 1570 l’ingegnere Maggi offre al Consiglio numerosi consigli per la difesa della città di Famagosta fra i quali il lancio contro i nemici di vasi contenenti calce viva mescolata ai veleni e consiglia altresì di avvelenare con sublimato in polvere orzo e biade dei cavalli.E infatti il 18 agosto 1570 lo speziale Dalla Pigna fornisce la materia prima per i veleni e cioè un misto di sublimato, verderame, allume di rocca per avvelenare le acque bevute dai ciprioti.

Agli inizi del 1571 la guerra chimica si intensificherà e infatti il 5 febbraio il Provveditore Generale in Dalmazia riceverà l’ordine segreto di usare senza indugio il veleno.

Uno dei maggiori fautori della guerra chimica fu certamente il Provveditore generale in Dalmazia e Albania Lunardi Foscolo che nel 1646 studierà un piano per mettere fuori uso i turchi chiedendo agli Inquisitori di Stato abbondante veleno capace di operare in poche ore per distruggere il nemico. Sotto il profilo storico insomma l’avvelenamento dei pozzi in Dalmazia fu uno dei mezzi normali della campagna militare dell’estate del 1647.

http://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/venezia-vaticano-intelligence/

Sui rischi sociali della pandemia da Covid-19, di Andrea Zhok

Mentre continua la battaglia senza esclusione di colpi tra titolisti in cerca di scoop, nella stasi agostana e complottisti in cerca di congiure, per dare un po’ di pepe al vuoto pneumatico di idee, è opportuno cercare di fare chiarezza su alcuni punti relativi alla crisi da Covid-19.

Al netto degli argomenti capziosi e raffazzonati, il problema di fondo dell’estesa area ‘complottista’ che si è manifestata in questo periodo sta nel fatto di prodursi in un (doveroso) esercizio del dubbio omettendo però comodamente qualsivoglia articolata tesi positiva. In sostanza legioni di persone che si esprimono con saccenza e irrisione verso “le verità ufficiali”, concedono a sé stessi un supersconto quando si tratta di proporre “verità alternative”.

Tutto quello che si riesce ad ottenere sono gesti, suggestioni oracolari o insinuazioni che vorrebbero lasciar a intendere chissà quale chiarezza di visione, ma dietro a cui non c’è nient’altro che un sentimento a metà strada tra il disagio personale e la cultura del sospetto. Finché qualcuno non si farà carico di spiegare quale sarebbe (per lui) la “verità alternativa” alle screditate “verità ufficiali” siamo al livello zero della ragione. Questa è la comodissima posizione di chi saltabecca tra contraddizioni e discordanze (vere o immaginarie), senza mai proporre apertis verbis un modo migliore di unire i puntini.

Ora, detto questo, proviamo per un momento a fare un abbozzo del lavoro che i ‘complottisti’, troppo occupati ad applaudirsi a vicenda, si rifiutano di fare, cioè andare a vedere quali sono i rischi effettivi di manipolazione, impliciti nella presente crisi pandemica.

L’opzione più popolare e meno sostenibile la citiamo qui all’inizio, solo per lasciarcela rapidamente alle spalle: l’idea di un complotto mondiale che avrebbe utilizzato un virus prodotto in laboratorio per produrre effetti specifici pro domo sua. Premesso che, per quel che ne sappiamo, può ben darsi che un genio del male abbia creato e diffuso un virus per ragioni sue, è insostenibile che questa operazione possa coinvolgere una pluralità globale di interessi politici ed economici in contraddizione. Stati potenti e settori economici enormi sono stati messi in grave difficoltà dal Covid, che ha messo in moto processi fuori controllo. Che, nonostante la divergenza degli interessi, vi sia una discreta concordia globale nelle modalità di riconoscere e affrontare la pandemia toglie di mezzo ogni teoria del complotto ‘ex ante’, come progetto a tavolino.

Se ci rivolgiamo invece alle tendenze che si possono sviluppare in forma non pianificata, ma opportunistica, data l’occorrenza casuale del Covid, qui troviamo questioni molto più interessanti e plausibili.

1) Una prima possibilità è data dalla tentazione degli stati di usare il Covid e l’emergenza sanitaria come occasione di tipo securitario e repressivo, come modo per stabilizzare il potere e tacitare le proteste.

Non c’è nessun dubbio che i ceti politici di molti paesi possono di volta in volta giocare la carta della sicurezza pubblica per far passare strategie di controllo. In Italia ne abbiamo buona memoria con la “strategia della tensione”. Interventi come il lockdown di due settimane imposto dal governo libanese in questi giorni è, abbastanza trasparentemente, un tentativo di quietare le folle in tumulto, evitando pericolose proteste. E’ parimenti evidente che la crisi sanitaria francese ha messo momentaneamente fine alle proteste dei gilet jaunes, e questo è sicuramente di conforto per Macron, che ne può trarre vantaggio.

Il rischio di questi utilizzi opportunistici da parte del potere politico c’è senza dubbio, tuttavia bisogna collocarlo nella dimensione che gli compete. Le stesse operazioni che congelano le proteste congelano anche l’economia, e nessun paese può permettersi di esagerare con il rallentamento economico, perché è ovvio che ad un certo punto il rischio sanitario diviene per troppa gente secondario rispetto al rischio economico personale, e dunque anche il rispetto per norme securitarie giustificate dal Covid finirebbe per dissolversi, creando una situazione sociale esplosiva.

Dunque, quanto a questo primo punto, un rischio c’è, ma nessuno stato può abusarne e dunque si tratta di un rischio moderato e temporaneo.

2) Un secondo orizzonte di possibilità realistiche è dato dalla tentazione di accelerare processi economici favorevoli al grande capitale. Questo orizzonte può essere scomposto in almeno tre sottocasi, di plausibilità (e gravità) crescente.

2.1) Esistono da tempo (in verità dalle origini della civiltà industriale) tendenze alla sostituzione della forza lavoro con forza meccanica. I processi di sostituzione sono in corso sin dalla ‘spinning Jenny’ e dai ludditi, ma hanno subito una potente accelerazione negli ultimi trent’anni. Ben prima del Covid questo problema era pressante, e naturalmente, visto che gli uomini si ammalano e le macchine no, il Covid potrebbe fungere da ulteriore accelerante.

E tuttavia anche questa opzione va collocata nello spazio di possibilità storiche che le compete. Se fosse possibile per i singoli produttori procedere senz’altro nella direzione desiderata, l’automazione sarebbe molto più avanzata di quanto già non sia. A frenare questo processo tuttavia, oggi come in passato, c’è un problema di fondo: le macchine sono pessimi acquirenti. Anche se per la singola azienda poter sostituire forza lavoro con macchine può rappresentare un vantaggio competitivo, tuttavia questo processo deve avvenire con un passo che consenta alla produzione complessiva di essere acquistata e consumata. E per quanto la produzione di Yacht e haute couture possa contare su fasce stabili di acquirenti facoltosi, la stragrande parte dell’economia non produce per questi soggetti.

Questo significa che tale tendenza non ha nessun bisogno per imporsi di un’occasione come il Covid. E’ già una tendenza dominante, ed è rallentata solo dalla catastrofica disfunzionalità (per il capitale) di una società dove le masse sono sottratte al loro ruolo di consumatori.

2.2) Un discorso parzialmente diverso può essere fatto per i meccanismi di ‘digitalizzazione’. Anche qui ci troviamo davanti a processi che si stanno dispiegando da lungo tempo. Dalla ‘dematerializzazione’ delle pratiche burocratiche alla scomparsa degli uffici fisici, delle filiali bancarie, allo smart working, ecc. questo processo si sta imponendo ovunque e non da oggi. Il Covid (o una qualunque altra pandemia) rappresenta una significativa pressione alla digitalizzazione, perché riduce la necessità di contatti fisici.

Ma qual è il problema rappresentato dalla digitalizzazione?

Qui la questione è più sfumata. Da un lato un sistema con livelli di digitalizzazione efficiente presenta alcuni vantaggi generalizzati. Poter ricevere una ricetta medica a domicilio, o poter consultare un catalogo bibliotecario in remoto, o poter svolgere attività burocratiche che riducano gli spostamenti fisici sono tutte opzioni che presentano indubbi vantaggi collettivi. D’altro canto non tutte le attività possono svolgersi con pari qualità in forma digitale, e la tentazione di ridurre le sedi fisiche per comprimere i costi è un’evidente tentazione, sia per l’impresa privata che per l’erario pubblico. Mentre poter consultare un catalogo bibliotecario online (e magari ricevere un volume a domicilio) possono contare senz’altro come progressi, svolgere lezioni online rappresenta una (a seconda delle età, più o meno grande) perdita rispetto a svolgere lezioni in presenza. Mentre svolgere pratiche burocratiche online può essere un bel vantaggio rispetto a fare la fila in un ufficio, svolgere attività lavorativa domiciliare senza una chiara regolamentazione può essere una fonte di grande sfruttamento.

Anche qui, dobbiamo renderci conto che la tendenza è presente da tempo e che finora ha visto scarsissima resistenza, dunque non è ben chiaro in che senso la pandemia possa essere considerata un momento decisivo: in Italia (e non solo) abbiamo accreditato università online dieci anni fa, nel silenzio generale, e interi settori, dalle filiali bancarie ai call center sono stati smantellati e/o delocalizzati. Abbiamo mugugnato davanti a un sistema in cui non avevamo più nessun referente fisico con cui interagire, abbiamo mugugnato davanti al call-center pakistano o albanese che aveva imparato quattro risposte meccaniche in un italiano claudicante, lasciandoci con gli stessi dubbi di prima. Abbiamo mugugnato, ma abbiamo lasciato fare.

Ecco, forse oggi, lungi dal pensare che è stata la pandemia a crearli, potremmo cogliere l’occasione della pandemia per porre davvero una buona volta questi problemi, presenti e taciuti da tempo. Una discussione su ciò che viene perduto in questi processi di digitalizzazione, su come sia folle che essi non siano attentamente regolamentati considerando le tecnologie disponibili (la normativa italiana a proposito è del 1973), su come essi si incardinino nella consueta tendenza a ridurre i costi di produzione e aumentare lo sfruttamento.

2.3) Un terzo orizzonte di rischio è quello che personalmente vedo come il più immediatamente insidioso. Per comprendere bene di cosa si tratta, bisogna partire da una considerazione di fondo: la presente pandemia ha posto rilevanti ostacoli a due sole delle tre matrici della globalizzazione economica. I movimenti di persone e quelli di merci ne sono usciti ridotti e affaticati. Ma assolutamente nulla è accaduto ai movimenti di capitale, che sono già compiutamente digitalizzati e possono spaziare senza ostacoli sull’intero pianeta.

Ciò significa che la pandemia 2019-2020 si configura come un’impennata nella divergenza di potere tra ‘economia reale’ ed ‘economia finanziaria’. Sappiamo tutti che da tempo il potere contrattuale dell’economia finanziaria, proprio grazie alla sua perfetta mobilità internazionale, è aumentato rispetto al potere della produzione reale e dei suoi protagonisti (imprenditori e, a maggior ragione, lavoratori). Lo slittamento verso una ‘finanziarizzazione dell’economia’ è già in corso da tempo e ha già prodotto danni gravissimi (a partire dalla crisi del 2007-2008). Ma ora siamo di fronte ad una divergenza travolgente: il potere del capitale finanziario non è mai stato più grande nella storia, neanche alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Siccome la forza economica è sempre una questione relazionale, ciò che va ben inteso è che la potenza del capitale finanziario è proporzionale all’indebolimento delle sue controparti, ovvero agli indebitamenti privati e pubblici in crescita.

Sentivo proprio l’altro giorno, tra le pubblicità radiofoniche, una pubblicità da parte di un fondo privato che invitava alla vendita di ‘nude proprietà’. La prospettiva è chiarissima: fondi finanziari con capitali infiniti non hanno bisogno di realizzare rapidamente, né tanto meno di ‘abitare’. In una situazione in cui moltissime famiglie, soprattutto in Italia, hanno come unico vero e proprio asset la casa di proprietà, l’ultimo orizzonte di dispossessamento è quello di ‘mangiarsi la casa da vivi’, non lasciando più nulla alle generazioni successive. Non c’è dubbio che per molti questa finirà per essere una inesorabile necessità, in assenza di interventi statali.

Più in generale, a fronte di un sistema di debiti pubblici e privati cresciuti enormemente, il gioco del grande capitale privato diviene sempre più scoperto: si tratta di una grande occasione per acquistare a prezzi di saldo immobili, terreni e strutture produttive.

È un momento decisivo da questo punto di vista. Se di fronte a un sistema di capitali privati che ha ogni libertà, ogni tutela, e accesso ad ogni livello di potere, non si staglia con decisione un sistema di capitalizzazione pubblica, fondato sul controllo della moneta e con un’agenda propria, assisteremo al più grande saccheggio della storia, rispetto a cui la spoliazione degli asset pubblici alla caduta dell’URSS sarà un pallido precedente.

Questa è, a mio avviso, la battaglia decisiva che si giocherà nei prossimi mesi e anni. Gli stati che difenderanno la logica della remunerazione del capitale privato, cioè la logica che concepisce come unica fonte pienamente legittima di capitale il capitale privato prestato a interesse, quegli stati prepareranno il collasso del sistema pubblico e dunque la definitiva subordinazione civile della popolazione non facoltosa.

In questa cornice, va detto, poter contare su una Banca Centrale dotata della potenza di fuoco della BCE potrebbe essere risolutivo. Potrebbe, tecnicamente, esserlo perché il sistema produttivo europeo che sta dietro alla BCE è ancora il più solido al mondo e i margini di movimento di una BCE ispirata da un iorientamento keynesiano sarebbero enormi.

Ma è inutile dire che questo ‘potrebbe’ è una possibilità teorica contro cui rema l’intero apparato dei trattati europei, oltre alle intenzioni politiche esplicite dei maggiori azionisti. Dunque, sarebbe davvero bello poter contare su questa prospettiva (che peraltro verrebbe incontro a tutto quanto gli europeisti hanno gabellato come ovvio per decenni). Sarebbe bello, e per questo mi sentivo in obbligo di menzionarlo, ma qui l’ottimismo della volontà ha esaurito le riserve da tempo.

tratto da http://antropologiafilosofica.altervista.org/sui-rischi-sociali-della-pandemia-di-covid-19/

GIOCHI AGOSTANI

La dinamica di questo periodo tra media e social è spassosissima.

Ciò cui si sta assistendo è una guerra d’opinione tra soggetti che negano la gravità, o addirittura la realtà, del virus (chiamiamoli ‘minimizzatori’, perché ‘negazionisti’ è una reductio ad hitlerum) e soggetti che amplificano gli allarmi per la potenziale gravità e pericolosità del virus (chiamiamoli ‘allarmisti’).

Come criceti in corsa frenetica su ruote parallele, minimizzatori e allarmisti danno il meglio di sé in una competizione senza esclusione di colpi. Senza vedere minimamente la gabbia in cui si affaticano.

I ‘minimizzatori’ temono le conseguenze economiche (spesso per ottime ragioni personali) e tirano la coperta da una parte, cogliendo ogni occasione, ogni frase, filmato, battuta, o titolo di giornale per dire che ‘è tutta una finta’, un costrutto, una bufala, una rappresentazione drammatica strumentale.

Gli ‘allarmisti’ temono che i minimizzatori abbiano la meglio nell’opinione pubblica, incentivando comportamenti irresponsabili, e perciò enfatizzano gli elementi d’allarme per tenere alta la guardia.

Davanti all’accresciuto allarmismo i ‘minimizzatori’ vedono una conferma della loro idea che si tratti di una finzione, e perciò insistono, rincarando la dose ed attaccandosi ad ogni tassello fuori posto, ad ogni contraddizione vera o presunta.

Ciò naturalmente innesca una reazione accresciuta degli allarmisti, che vedono nei minimizzatori un’avanguardia di untori prossimi venturi.

E così avanti sulle loro ruote, in un crescendo esponenziale di incomunicabilità e disprezzo.

E’ un gioco divertentissimo con cui riempire l’usuale carenza di eventi del mese di agosto.

E in autunno, quando i nodi (economici, politici, forse anche sanitari) verranno al pettine, avremo una cittadinanza spappolata e convinta che la colpa di ‘tutto’ sia della controparte, dunque assai maldisposta a fare qualsivoglia sacrificio per ‘gli altri’, visto che tra gli ‘altri’ ci sono i responsabili del male che ci sta capitando.

In attesa della prossima versione dell’esercito di Carlo V con i suoi lanzichenecchi, invocati come liberatori.

Davvero, un gioco bellissimo.

 

Tutte le cose turche del Qatar in Libia, di Giuseppe Gagliano

Riprendiamo qui sotto integralmente un articolo di Giuseppe Gagliano. Il professore fa il punto della presenza turco-qatariota in Libia. Il confronto militare e geopolitico in Libia ormai si sta polarizzando tra questi due paesi e l’Egitto. Un fattore in più che rivela impietosamente il vuoto entro il quale si sta dibattendo la politica estera italiana_Giuseppe Germinario

Tutte le cose turche del Qatar in Libia

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Il ruolo del Qatar in Libia in simbiosi con la Turchia nello scenario che si apre dopo l’accordo tra le fazioni libiche. L’approfondimento di Giuseppe Gagliano

È certamente difficile negare che l’accordo tra le fazioni libiche sia sorto all’interno dell’amministrazione americana sia allo scopo di limitare o contenere la proiezione di potenza russa in Cirenaica sia in vista delle imminenti elezioni americane.

Nello specifico tale accordo sarebbe il risultato sia dei colloqui tra il Segretario di Stato Mike Pompeo e il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry – con la supervisione del generale Corea responsabile per il Medioriente della Nation Security Council americano – sia dei colloqui tra Richard Norland, ambasciatore americano presso Tripoli, e Aguila Saleh, presidente del Parlamento di Tobruk.

Ebbene, alla luce della situazione di elevatissima instabilità politica che si è chiaramente manifestata gli ultimi due anni in Libia ,tale accordo si dimostra scarsamente credibile ma soprattutto assolutamente fragile.

Al di là delle promesse che tale accordo formula e indipendentemente dalle divergenze fra i due contendenti ben sottolineate da Agenzia Nova rimane il fatto che il GNA ha concesso – come avevamo previsto – alla Turchia sia l’infrastruttura portuale di Misurata -come base navale per legittimare de facto la proiezione di potenza turca nel Mediterraneo Orientale – sia l’infrastruttura dell’aeroporto militare di al-Watya sito nella Tripolitania Occidentale.

Al di là del fatto che tale accordo sia stato siglato il 17 agosto a Tripoli, il dato geopolitico di grande rilievo è la presenza di un terzo soggetto – accanto alla Libia e ad Ankara- e cioè il Qatar.

Per quanto concerne i rapporti bilaterali tra Turchia e Qatar occorre ricordare che la Turchia ha sempre supportato sul piano militare il Qatar ricevendone in cambio un ampio sostegno finanziario.

Basti rammentare che, ad esempio, il vicecomandante delle forze di Ankara, Ahmed bin Muhammad, è anche a capo dell’Accademia militare qatarina. Ciò significa che la formazione dei quadri militari è selezionata sulla base di scelte politiche e religiose filo-turche.

Inoltre la presenza delle forze di sicurezza turche in Qatar rappresenta in modo tangibile la rilevanza della influenza politico-militare turca.Si pensi all’infrastruttura militare turca Tariq ibn Ziyad, nella quale è presente il comando della “Qatar-Turkey combined joint Force”.

Le esportazioni di armi del Qatar verso la Turchia sono aumentate in modo vistoso consentendo ad Ankara di arrivare a delle entrate pari a 335 milioni di dollari, mentre l‘operazione militare turca Fonte di pace, posta in essere nel nord-est della Siria, è stata apertamente sostenuta proprio da Doha, anche per ampliare l’influenza della Fratellanza musulmana.

Per quanto concerne gli investimenti, il Qatar ha erogato fin dal 2018 15 miliardi di dollari e ha acquistato una quota del 50% in BMC, un produttore turco di veicoli corazzati, i cui partner turchi sono noti amici di Erdoaan per produrre l’Altay, il principale carro armato di battaglia di nuova generazione.Ma vi è anche il caso di una società di software militare controllata dallo stato ad Ankara, che ha firmato un accordo di partnership con al-Mesned Holdings in Qatar per una joint venture specializzata in soluzioni di cyber-sicurezza.

Tuttavia uno degli accordi certamente più rilevanti per sanare la grave situazione economica presente in Turchia è quello del 20 maggio grazie al quale la Banca centrale turca ha annunciato di aver triplicato il suo accordo di scambio di valuta con il Qatar.

Per quanto concerne i rapporti tra Libia e il Qatar, Doha ha saputo approfittare delle debolezze politiche sia dell’Unione europea che dell’Onu. Inoltre il relativo disimpegno americano dal teatro medio orientale – visto che le priorità della amministrazione trumpiana sono per la Cina, l’Indo-Pacifico e per la Russia-hanno di fatto arrecato un indubbio vantaggio strategico a Doha.

Ora, proprio approfittando di questa situazione di instabilità, il Qatar ha cercato di sfruttare questa propizia occasione per una politica di maggiore peso e significato a livello geopolitico in Libia. Proprio per questa ragione la presenza militare del Qatar nel conflitto del 2011, a fianco della Nato, fu certamente rilevante non solo grazie all’uso del potere aereo ma anche attraverso l’addestramento dei ribelli libici sia sul territorio libico sia a Doha, senza dimenticare naturalmente il ruolo rilevante che le proprie forze speciali ebbero nell’assalto finale contro Gheddafi.

Caduto il regime di Gheddafi, il Qatar riconobbe come legittima istituzione politica il consiglio nazionale di transizione e contribuì in modo determinante, non solo a livello economico, a rifornire i ribelli delle necessarie risorse energetiche.

Un altro strumento di influenza, e insieme di penetrazione in Libia, furono certamente i fratelli Alī e Ismā‘īl al-Šalabī perseguitati dal regime di Gheddafi. In particolare Alī al-Šalabī è certamente uno dei più importanti uomini di religione legato alla fratellanza musulmana.

Un altro uomo chiave per il Qatar è stato certamente Abd al-Ḥakīm Bilḥāğ, considerato sia dalla Cia che dal Dipartimento di Stato americano un pericoloso terrorista in quanto leader del Libyan Islamic Fighting Group. Il suo ruolo politico è stato molto importante sia perché ha coordinato il consiglio militare di Tripoli sia perché è stato uno dei principali responsabili del partito al-Waṯan raggruppamento politico di estremo peso all’interno del congresso nazionale generale.

Ritornando all’accordo siglato il 17 agosto il Qatar investirà in modo rilevante per la ricostruzione delle infrastrutture militari di Tripoli. E infatti non è stata casuale la presenza nella delegazione del Qatar di consiglieri e istruttori militari che hanno tenuto incontri con i loro omologhi libici e turchi.

Altrettanto significativo, sotto il profilo politico, l’incontro tra Haftar e il direttore della Intelligence militare egiziana e cioè il generale Khaled Megawer presso la base di Rajma, sita a Bengasi. Un incontro volto a pianificare un ‘eventuale intervento militate egiziano ?È certamente una eventualità da considerare .

A tale proposito il sostegno da parte dell’Egitto di alcune tribù libiche potrebbe svolgere un ruolo significativo. Secondo il capo del consiglio supremo delle tribù in Libia Saleh al-Fendi, come secondo Abdel Salam Bou Harraga Al-Jarari, membro dei clan Al-Ashraf e Al-Murabitin a Tarhuna,a sud di Tripoli, il sostegno egiziano si rileverebbe indispensabile. Proprio Al-Jarari ha sottolineato come il sostegno egiziano sia l’unico modo per porre fine a una straziante guerra civile.Non a caso il maggiore generale Ahmed Al-Mesmari, portavoce dell’Esercito nazionale libico, ha dichiarato che la Turchia si sta mobilitando proprio come dimostra l’incontro del 17 agosto tra i funzionari turchi e e quello del Qatar ,incontro che ,secondo, Al-Mesmari suggellerà la presenza permanente della Fratellanza mussulmana in Libia.

Anche secondo Abdelsalam Bohraqa al-Jarrari, un membro anziano di una tribù di Tarhuna, a Sud di Tripoli, diventa necessario da parte dell’Egitto un intervento militare a tutto campo. Per quanto concerne proprio la presenza di Doha in Libia, secondo lo sceicco Adel Al-Faidi, membro del Consiglio Supremo delle Tribù Libiche, l’incontro del 17 agosto coincide con il controllo turco-qatariota sul porto di Al-Khums e la sua trasformazione in una infrastruttura militare per le operazioni militari congiunte di Ankara e Doha in Libia.

D’altronde proprio la presenza di due fregate turche giunte al porto di Khums ,a 135 km ad Est di Tripoli, legittima il sospetto che Ankara voglia prendere possesso delle infrastrutture portuali dell’area per trasformarle in infrastrutture militari consentendogli in questo modo di rafforzare la sua proiezione di potenza economica e militare sia nel Mediterraneo orientale che in Nordafrica.

https://www.startmag.it/mondo/tutte-le-cose-turche-del-qatar-in-libia/

L’uomo di paglia! Joe Biden, il candidato fantoccio- conversazione con Gianfranco Campa

La convenzione democratica ha designato Joe Biden come sfidante di Donald Trump alle prossime elezioni presidenziali americane. Una convenzione che ha rivelato come fattore determinante di coesione del Partito Democratico l’avversione viscerale a Trump. In nome di questa crociata ha raccolto intorno a sé tutto e il contrario di tutto, a cominciare dai neocon repubblicani; ha rivelato la forte presenza di una componente radicale, ma anche che la gestione del partito è ancora saldamente in mano alla sua vecchia componente liberal. Ne è venuta fuori una passerella di vecchie volpi, poco intenzionate a lasciare il passo, ma prive di ogni respiro programmatico e suggestione politica. La conclusione non poteva che essere un vuoto di idee e di programmi, l’esorcizzazione dell’avversario politico e il ripescaggio di personaggi ampiamente ridimensionati durante le primarie e mantenuti in vita grazie all’omertà mediatica di cui hanno goduto. Ne ha fatto le spese Tulsi Gabbard, l’unico personaggio in carne e ossa, nello scenario democratico, capace di gridare al Re Nudo https://www.youtube.com/watch?v=Cfp_IIdVnXs&fbclid=IwAR1bdDKBqAwgZtyZ4oG4zQAKZ7OtHC7MAed23awH8jRBQz94Q2Xs-R9RVto. Più le idee saranno confuse, più lo scontro politico futuro assumerà le sembianze di una guerra per bande. In Italia ne sappiamo già qualcosa. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

Mali: un colpo di stato che potrebbe innescare un processo di pace, di Bernard Lugan

Contrariamente alle analisi superficiali della sottocultura mediatica-africanista, il colpo di stato appena compiuto in Mali potrebbe infatti, se fosse “gestito” bene, avere effetti positivi sulla situazione regionale. In un certo senso, segna il ritorno alla situazione che era all’origine dell’intervento Serval nel gennaio 2013 quando le forze del leader tuareg Iyad ag Ghali hanno marciato su Bamako dove erano attese dai sostenitori dell’imam Fulani. Mahmoud Dicko.
La questione che allora si poneva per François Hollande era semplice: era possibile consentire a una rivendicazione nazionalista Tuareg basata su una corrente islamista di fiorire oltre ai centri regionali di destabilizzazione situati nel nord della Nigeria con Boko Haram, nel regione del Sahara settentrionale occidentale con AQIM e nell’area del confine algerino-marocchino-mauritano con il Polisario ?
L’errore francese fu quindi quello di non condizionare la riconquista di Gao, Timbuktu e del Mali settentrionale da parte di Serval, al riconoscimento da parte di Bamako di una nuova organizzazione costituzionale e territoriale in modo che i Tuareg e i Peul non fossero più automaticamente esclusi dal gioco politico attraverso la democrazia che è diventato una semplice etno-matematica elettorale. La ferita etnica alla base del problema [1] e che era stata superinfettata dagli islamisti di Aqmi-Al-Qaeda non essendo stata curata, la guerra si è poi estesa a tutta la regione, dilagando nel Burkina Faso e il Niger.
Quindi, dal 2018-2019, l’intrusione di DAECH attraverso l’EIGS (Stato islamico nel Grande Sahara) ha portato a un conflitto aperto tra l’EIGS ei gruppi etno-islamisti che affermano di far parte del movimento di Al-Qaeda, gli EIGS li accusano di privilegiare l’etnia a spese del califfato.
Infatti, i due principali leader etno-regionali della nebulosa di Al-Qaeda, vale a dire il Touareg ifora Iyad Ag Ghali e il Peul Ahmadou Koufa, leader della Katiba Macina, più etno-islamista che islamista, avevano deciso di negoziare un uscita dalla crisi. Non volendo una simile politica, Abdelmalek Droukdal, leader di Al-Qaeda per tutto il Nord Africa e per la banda saheliana, ha poi deciso di riprendere il controllo e imporre la sua autorità, entrambi su Ahmadou. Koufa e Iyad ag Ghali. È stato poi “neutralizzato” dalle forze francesi informate dai servizi di Algeri preoccupati nel vedere che lo Stato Islamico si stava avvicinando al confine algerino.
L’Algeria, che considera il nord-ovest del BSS come il suo cortile, ha sempre “sponsorizzato” gli accordi di pace lì. Il suo uomo locale è Iyad ag Ghali, la cui famiglia vive nella regione di Ouargla. Questo ifora tuareg ha una base di popolarità a Bamako con l’Imam Mahmoud Dicko e soprattutto è contro la disgregazione del Mali, una priorità per l’Algeria che non vuole un Azawad indipendente che sia un faro per il suo possedere Tuareg.
Se fosse ben negoziato, il colpo di stato appena avvenuto in Mali potrebbe quindi, contrariamente a quanto scrive la maggior parte degli analisti, segnare l’accelerazione di un processo negoziale volto a sia il conflitto Soum-Macina-Liptako portato avanti dai Fulani, da qui l’importanza di Ahmadou Koufa, sia quello del nord del Mali, che è l’aggiornamento della tradizionale disputa Tuareg, da qui l’importanza di Iyad ag Ghali.
Il ritorno al gioco politico dei Tuareg radunato alla guida di Iyad ag Ghali, e quelli dei Peul al seguito di Ahmadou Koufa, permetterebbero quindi di concentrare tutti i mezzi sull’EIGS, e quindi di prevedere nel medio termine una riduzione di Barkhane, poi il suo slittamento verso la regione peri-ciadica dove gli elementi di futura destabilizzazione in atto eserciteranno pesanti minacce su Ciad e Camerun, il tutto alimentato dall’intrusione turca in Libia.
[1] A questo proposito, fare riferimento al mio libro Les Guerres du Sahel , des origines à nos jours.
Maggiori informazioni sul blog di Bernard Lugan .

Predatori, sciacalli e saltimbanchi. Tre ritratti di famiglia, di Giuseppe Germinario

L’incalzante accelerazione delle dinamiche politiche sta scompaginando gli equilibri esterni tra le formazioni statuali e la coesione e il dinamismo stessi delle formazioni sociali; a prescindere dal loro esito metterà sempre più a nudo profilo e peculiarità delle classi dirigenti e delle élites. Viste le diverse loro dinamiche quelli positivi si potranno apprezzare ed individuare soprattutto nel tempo. I negativi, specie i più spregevoli, non richiedono l’attesa paziente; emergono in tempo reale, spontaneamente. Bolle d’aria tanto leggere ed effimere nell’aspetto, tanto leste a spargere la flatulenza a contatto con l’atmosfera. Nel presente immediato e fuggevole del nostro paese tornano in auge le figure delle iene ovvero, nello scalino inferiore della gerarchia, dello sciacallo e quella del funambolo. Tra i primi si vedono al momento primeggiare addirittura due famiglie storiche del paesaggio politico-economico della nazione, anche se il gruppo sarà sciaguratamente destinato ad infoltirsi appena emergerà la spessa coltre di polvere nascosta sotto i tappeti dei vari comitati di esperti e d’emergenza da covid. Dei primi si fatica, purtroppo, ad individuare la pressoché unica loro funzione positiva nel ciclo vitale: la detersione dell’ambiente dalle carogne e dai resti putrefatti. Del secondo si resta abbagliati dalla capacità di sopravvivenza alle giravolte le più disinvolte ed improbabili; circonvoluzioni la cui abilità risulta tanto difficile da valutare vista la nostra scarsa conoscenza dei suoi effettivi strumenti di lavoro e del suo ambiente operativo, non si sa se dotato quest’ultimo di forza di gravità naturalmente significativa o di vuoto cosmico, quanto indispensabile da soppesare per qualificare il nostro un funambolo o un saltimbanco.

Si sta parlando, pare ovvio, delle famiglie Agnelli e Benetton da una parte e di Giuseppi Conte dall’altra.

Ora una breve disamina delle due tipologie:

PREDATORI PARASSITI

la similarità della funzione attualmente svolta dalle due famiglie imprenditoriali non deve indurre ad una eccessiva omologazione di giudizio.

Intanto rimane la diversità di lignaggio. Degli Agnelli il retaggio delle generazioni non si perde certo nei millenni, ma ha raggiunto comunque una consistenza secolare sufficiente a far appannare il ricordo e le tracce del peccato originale dal quale spesso e volentieri nascono le fortune degli aristocratici. Quello dei Benetton risale appena agli anni ‘60.

I primi, ormai alla quarta generazione, grazie a sapienti combinazioni matrimoniali, riescono ad intravedere l’olimpo della finanza internazionale e ad occupare qualche posticino d’ascolto nei salotti buoni europei e newyorchesi; i secondi hanno gestito le proprie senza allargare significativamente gli orizzonti e i connubi se non per gustare il piacere un po’ grezzo del possidente nei grandi spazi della Pampa in particolare.

I primi hanno coltivato le proprie virtù imprenditoriali nella meccanica, un settore maturo ma di tutto rispetto, pur con qualche addentellato, per lo più con licenza per conto terzi, in alcuni settori strategici; cosa che ha loro consentito, grazie alla fedeltà atlantica in tempi non sospetti, qualche impertinenza come la produzione dei G91 con motori inglesi, non ostante la contrarietà americana e qualche balzo oltre la cortina di ferro.

I secondi hanno fondato la propria fortuna sul tessile, un settore non proprio di punta nel XX secolo.

I primi, grazie anche alle discrete benemerenze acquisite durante l’ultima guerra, hanno saputo mettere bene a frutto le connessioni d’oltreoceano e coltivare l’arte delle connivenze e delle influenze nei più diversi apparati dello Stato, compresi quelli militari e dell’ordine pubblico; i secondi hanno coltivato la stessa ambizione, ma a quanto pare non sono riusciti ad andare molto oltre le collusioni con i settori amministrativi e di controllo strettamente inerenti le loro attività.

Gli Agnelli_Elkann hanno mantenuto con pervicacia il loro core-businness manifatturiero e ormai prevalentemente finanziario, a partire dalla scellerata gestione Romiti, relativamente autonomo dalle concessioni pubbliche. Si sono altresì rivelati diabolicamente abili nel calibrare quantità e qualità delle ricorrenti richieste di interventi pubblici: con gli attori politici di prima grandezza, nella fattispecie lo stato federale statunitente, hanno venduto la propria sopravvivenza con un ingente prestito pubblico restituito perfettamente nei tempi previsti in cambio della fusione con la Chrysler, un azienda ancora più agonizzante della FIAT, al prezzo della generosa cessione della propria tecnologia motoristica e di automazione industriale a quell’epoca ancora valide e del pagamento di lauti interessi sulle relative obbligazioni, talmente alti da compromettere le future possibilità di investimento in ricerca del gruppo. Il prezzo, evidentemente, per poter essere accolti anche formalmente al di là dell’Atlantico. Con gli attori politici di terza fila, in particolare lo Stato della natìa Italia, hanno saputo sfruttare la cieca prodigalità dei contribuenti e la benevolenza delle politiche infrastrutturali e normative, si badi bene, non per sviluppare l’Azienda e mantenerne il cuore e il cervello in Italia, ma per dilazionare tra gli osanna i tempi del drammatico ridimensionamento produttivo. Un miracolo di prestidigitazione assecondato dalla arrendevole suggestionabilità degli astanti. Una cecità cronica ed inguaribile di questi ultimi che ha impedito di cogliere i numerosi segnali legati al trasferimento dei centri decisionali e delle tecnologie, alla cessione, in esatta concomitanza delle mirabilie sul futuro dell’auto a trazione elettrica, della Magneti Marelli e probabilmente di COMAU sino al capolavoro odierno della concessione della garanzia pubblica sui prestiti appena una settimana prima della cancellazione di tutti gli ordini di componentistica dalle aziende italiane. Il segnale che l’accordo con il gruppo PSA non è altro che la cessione di un fardello in cambio del salvataggio della componentistica francese ai danni di quella italiana, attualmente più sviluppata ma meno tutelata politicamente. Almeno nel settore auto la famiglia pare destinata, a meno di sussulti, ad assumere il ruolo di controfigura buona ad introitare i finanziamenti a scatola chiusa degli stati più “distratti”. È la loro particolare visione e funzione della difesa degli interessi nazionali.

I Benetton non dispongono di una visuale così ampia e articolata. Nel giro di pochi mesi si sono visti offrire, senza competitori reali, la gestione della rete autostradale approfittando del disastro gestionale dell’ANAS, delle condizioni capestro a carico del cedente del contratto di concessione e dello smantellamento e della colpevole inefficienza dell’apparato di controllo per succhiare rendite da capogiro da ripartire tra alleati potenti a spese della corretta gestione e della sicurezza della rete. Il tessile e abbigliamento, a queste condizioni passano in secondo piano e con essi gran parte della rete di produttori e lavoratori nazionali sui quali avevano costruito credito, rispetto e prestigio in terra veneta.

Anche nel campo politico-culturale le due lasciano una impronta diversa, anche se ormai sempre più sbiadita. I primi hanno saputo promuovere ed alimentare alla bisogna gli orientamenti più diversi ed antitetici, spaziando da destra a sinistra. Hanno saputo accattivarsi e pugnalare i sindacati; hanno alimentato e fruito delle ideologie e delle correnti culturali più libertarie, come di quelle conservatrici e di quelle più retrive. Ne hanno curato in maniera certosina anche i risvolti editoriali. I Benetton no, sono rimasti molto più legati ad un particolare canovaccio fatto di un cosmopolitismo multicolore di una varietà pari a quella delle tonalità dei loro tessuti, ma tanto inconsistente culturalmente, quanto protervo nei fatti e nelle persone portatrici del loro messaggio; esaurito il quale non possono che mostrare nuda e cruda la loro protervia ed insensibilità. Lo si è visto anche nella mancata minimale di accortezza, quando hanno dovuto affidarsi a nuovi consulenti specializzati per riuscire a porre decentemente, anche se con colpevole ritardo, le opportune ed appropriate condoglianze alle vittime del crollo del ponte di Genova. Hanno dimenticato l’umanità dell’antica civiltà contadina, ma ne hanno conservato la rozzezza e la grettezza.

Le “sardine” potrebbero essere considerate il loro prodotto culturale conclusivo, sempre che riescano a durare più di un loro manifesto pubblicitario.

In un aspetto cruciale i primi si sono rivelati meno adeguati e più disarmati dei secondi: nella regolazione riservata delle proprie controversie familiari e in almeno un caso delle proprie tragedie personali. Segno dell’allentamento inesorabile del legame patriarcale.

Due famiglie che hanno avuto una iniziale funzione propulsiva, pur se accuratamente incanalata, ma che hanno inibito e poi apertamente contrastato il salto necessario al paese a partire dagli anni ‘70. La crescita delle dimensioni aziendali assimila sempre più l’attività imprenditoriale ad un gioco di strategia politica. La loro mutazione è stato lo specchio dell’involuzione del nostro paese.

Non sono gli unici responsabili di questa situazione e, probabilmente, nemmeno ormai i più determinanti. Fanno parte però a pieno e diverso titolo di quella classe dirigente e di quei centri di potere.

IL FUNAMBOLO

Occorre a questo punto qualche chiarimento su questa insolita associazione tra predatori_parassiti e giocolieri. L’evoluzione subita dalle due famiglie imprenditoriali rappresenta il classico esempio di come l’impoverimento progressivo e traumatico di una classe dirigente e di un ceto politico sufficientemente ambizioso, capace e sagace riesca a trasformare la natura e l’indole degli attori geoeconomici e politici. Le condizioni oggettive sono state certamente sfavorevoli, a cominciare dalla disastrosa gestione delle partecipazioni statali e dal contesto geopolitico sconvolto dall’implosione del blocco sovietico. A questo purtroppo ha corrisposto un ceto politico tanto furbo, quanto malaccorto e inadeguato da cadere senza resistenza ai richiami delle magnifiche sorti e progressive del globalismo senza stati e da darsi prontamente una giustificazione morale sufficiente ad accogliere i benefici personali connessi a quelle modalità di apertura.

Giuseppe Conte è un epigono di questa progenie con alcune peculiarità destinate a garantirgli probabilmente una sopravvivenza, non necessariamente sullo stesso scranno, più longeva rispetto alle tante meteore che si sono avvicendate negli ultimissimi anni.

Ha rivelato doti di furbizia e circospezione inediti tra le fila degli ultimi arrivati sul proscenio politico, merito senza dubbio delle sue frequentazioni curiali d’oltretevere; uno dei pochissimi ad evitare l’ostensione compiaciuta dei suoi pellegrinaggi negli Stati Uniti. Sarà per le mancate risposte che deve ancora sulle complicità italiane nella costruzione del Russiagate; sarà per l’incertezza sull’esito di uno scontro politico così cruento in quel di Washington; sarà soprattutto perché in quanto pupillo della Segreteria Vaticana, piuttosto che dei Boyscouts, non sente il bisogno e la necessità di investiture pubbliche, sta di fatto che è riuscito a costruirsi una immagine propria.

Ha rivelato doti di equilibrio e di adattamento miracolose. Più che di Giuseppe, tanti Giuseppi capaci ognuno di cogliere l’attimo per apparire e proferire secondo l’esigenza del momento, glissando sulle posizioni dei Giuseppi precedenti; tutti concordi però sullo speranzoso “andrà tutto bene”. Ha certo potuto contare sulla smemoratezza e accondiscendenza del sistema mediatico; ha potuto fondare la propria autonomia apparente e la propria funzione di contrappeso sul precario equilibrio di partiti ancora poco predisposti ad una alleanza e a schieramenti più definiti. Ha messo a frutto la posizione di commis di seconda fila; il serbatoio da cui di solito attingono forze politiche emergenti prive di personale all’altezza degli incarichi da occupare. Riesce a rosicchiare brillantemente e ricorrentemente nuovo tempo contrabbandando l’opportunità e l’utilità immediata di scelte strategiche disastrose per l’Italia. Non ha ancora superato due limiti comportamentali che gli impediscono di raggiungere definitivamente la postura se non la sostanza dell’uomo di stato; manchevolezze che potrebbero farlo scivolare sulla classica buccia di banana: la sua insopprimibile indole levantina e curiale a confortare ostentatamente con una pacca sulle spalle la vittima designata e ad affettare eccessivamente le proprie giustificazioni e coerenze di comportamento. L’antitesi di un ex-emergente ormai in ombra:Matteo Renzi.

Occorre scavare un po’ più a fondo per cogliere qualche tratto più netto della condotta di Giuseppe Conte e intravedere un possibile punto di arrivo. Una cartina di tornasole potrebbero essere i suoi legami con Angela Merkel e soprattutto Emmanuel Macron.

http://italiaeilmondo.com/2020/06/02/attenti-a-quei-due-di-giuseppe-germinario/

https://italiaeilmondo.com/2017/01/22/203/

Sulla Unione Europea Conte può giocarsi probabilmente le carte migliori. Le risorse del MES e soprattutto del Recovery Fund sono per il paese una trappola a medio termine in cambio di ossigeno nell’immediato, sempre che queste siano disponibili in tempi e nella consistenza ragionevoli. Sono una trappola perché condizioneranno e costringeranno il paese in una logica di degrado, squilibrio e dipendenza irreversibile per tre ordini di motivi: per la logica interna alle modalità di utilizzo dei fondi strutturali, per la dipendenza dai circuiti finanziari interni e l’isolamento politico dell’Italia in Europa, per la mancanza di risorse finanziarie aggiuntive, di una classe dirigente sufficientemente ambiziosa e di un apparato tecnico-amministrativo in grado di contrastare queste dinamiche in ambito comunitario e di condurre una politica di potenza e di forte coesione interna in senso lato in grado di ribaltare gli equilibri almeno europei. È probabile che quest’ultimo fattore spinga per inerzia il Governo nel tradizionale utilizzo delle risorse scivolando in una logica consolidata di spesa assistenziale e di investimenti dispersivi e casuali incapaci di modificare positivamente la struttura socio-economica del paese; renderebbero così superfluo e libererebbero dalla seccatura di una imposizione esplicita di un intervento autoritativo dei paesi egemoni per il tramite della UE. Le prime indicazioni confermano questa dinamica consolidata fatta di interventi neutri sulle infrastrutture, di incentivi generici alle aziende e di investimenti sulla ricerca sganciati dal consolidamento e dalla creazione di piattaforme industriali autoctone. La retorica sulla istruzione e sulla ricerca come volano autoreferenziale, sulla messa in sicurezza di un territorio in realtà ingestibile a costi ragionevoli se non ripopolato di gente e di attività, sull’economia verde e sulla stessa digitalizzazione priva del controllo dei dati e dei processi di comando diventano così il cappello ideologico e la cortina fumogena di un declino assolutamente infelice e malinconico che consentiranno comunque la sopravvivenza di una élite così miserabile. Nel Mediterraneo la posizione dell’Italia rischia invece di precipitare in tempi drammaticamente ravvicinati. La politica elusiva di Conte soprattutto in Libia ha rafforzato altri interlocutori ben più determinati a cogliere gli spazi offerti dal multipolarismo e dalla rinuncia e dalla delega offerta dagli Stati Uniti di Trump. L’Italia ha già perso con l’affossamento del South-Stream, grazie anche all’atlantismo peloso della Germania la quale in nome delle sanzioni contro la Russia e della fedeltà alle direttive americane sta rischiando di acquisire il controllo della rete dei metanodotti europei. L’estromissione dal TAP e dai giacimenti del Mediterraneo rischiano di stringere definitivamente il cerchio e con questo compromettere l’esistenza stessa dell’ENI e un minimo di autonomia delle forniture energetiche e di presenza geopolitica nel Mediterraneo. Nella stessa logistica interna, legata all’intermodalità dei porti e della rete stradale e ferroviaria, tutta la retorica progressista dell’Italia come hub europeo rischia di liquefarsi di fronte all’asse tedesco e sino-turco teso ad occupare i nodi nevralgici della rete italiana. La combinazione dell’eventuale assenza delle risorse europee e della precipitazione della crisi nel Mediterraneo sono i fattori che rischiano di far naufragare la proficua tattica dilatoria di Conte & Company fondata sull’emergenza sanitaria e sulla fratellanza europea. Un emergenzialismo sfruttato più per garantire la sopravvivenza di una élite e di un ceto arroccato che a perseguire un disegno totalitario ed autoritario fuori dalla portata di questi centri di potere. Nel qual caso Giuseppi da funambolo si rivelerebbe saltimbanco ed andrebbe ad infoltire la ormai fitta schiera di leader politici italiani improvvisati emersi e naufragati nel breve volger di un mattino. Già la gestione del cosiddetto “esproprio” dei soddisfatti Benetton ha offuscato, anche se non irrimediabilmente, la sua abilità di giocoliere. Le dinamiche politico-economiche di questi ultimi anni hanno messo in chiaro come l’assenza di strategie politiche autonome abbiano pregiudicato l’esistenza e la funzione della grande industria strategica; adesso sta arrivando il momento della piccola e media industria della componentistica. Quando arriverà il momento della media industria più intraprendente, le cosiddette multinazionali tascabili, allora forse sarà chiaro a tutto il paese e alla opposizione sovranista-liberista, un vero ossimoro politico e fors’anche al ceto politico e alla classe dirigente in pernne dipendenza dalla benevolenza europea il motivo dello scivolamento drammatico di questo paese e delle sue cause. Sarà troppo tardi e molto più doloroso un eventuale recupero.

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