Come la grande strategia degli Stati Uniti è cambiata dall’Ucraina, a cura di Stefan Theil

Una panoramica della corte di analisti americani a supporto delle attuali scelte della amministrazione statunitense. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Come la grande strategia degli Stati Uniti è cambiata dall’Ucraina

A sei mesi dall’inizio della guerra in Russia, sette pensatori ne delineano l’impatto sulla politica estera.

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SÉBASTIEN THIBAULT PER LA POLITICA ESTERA

Poco dopo che la Russia aveva invaso l’Ucraina a febbraio, Foreign Policy ha chiesto a un gruppo di eminenti pensatori in che modo la prima grande guerra europea dal 1945 avrebbe plasmato la grande strategia statunitense in futuro. Sebbene le loro prospettive fossero diverse, la maggior parte era d’accordo su una cosa: la guerra segna la fine dell’era successiva alla Guerra Fredda e il ritorno di una accresciuta competizione tra superpotenze sia in Europa che nel Pacifico.

Ora che la guerra ha superato la soglia del semestre, abbiamo posto di nuovo la domanda e abbiamo trovato diverse sorprese, insieme a temi già visibili la prima volta. L’Occidente liberale ha tenuto insieme sorprendentemente bene, con la NATO rinvigorita dall’aggiunta di due nuovi membri e l’Unione Europea che ha scoperto un nuovo ruolo nella guerra economica. Le lezioni del conflitto vanno ben oltre l’Europa, influendo anche sulla concorrenza strategica con la Cina.

La guerra indica anche alcuni problemi per gli strateghi di Washington. Innanzitutto: la maggior parte dei paesi al di fuori dell’Occidente si è rifiutata di schierarsi. Il conflitto ha anche accelerato un doloroso processo di disaccoppiamento tra le superpotenze, specialmente nella tecnologia, che probabilmente mette gli ultimi chiodi nelle bare della globalizzazione senza restrizioni e dei mercati aperti, assi chiave dell’ordine del dopo Guerra Fredda. Anche questo richiederà un nuovo modo di pensare su molti fronti politici.

Di seguito, sette esperti valutano queste e altre lezioni per la futura strategia statunitense. — Stefan Theil, vicedirettore


È Ritorno al futuro per la grande strategia statunitense

Di Angela Stent, autrice di Putin’s World: Russia Against the West and With the Rest e senior fellow presso la Brookings Institution

Missili anticarro Javelin accanto alle bandiere degli Stati Uniti.Missili anticarro Javelin accanto alle bandiere degli Stati Uniti.

I missili anticarro Javelin fanno da sfondo al discorso del presidente degli Stati Uniti Joe Biden presso uno stabilimento di produzione della Lockheed Martin a Troy, in Alabama, il 3 maggio. JULIE BENNETT/GETTY IMAGES

L’invasione non provocata dell’Ucraina da parte della Russia pose fine alla prima fase dell’era successiva alla Guerra Fredda. Ora sembra che la grande strategia degli Stati Uniti sia diretta al futuro. La guerra ha sottolineato l’indispensabile ruolo di leadership di Washington come garante della sicurezza dell’Europa e ha portato a casa la realtà per i suoi alleati della NATO che possono proteggersi solo sotto l’ombrello degli Stati Uniti. L’Unione europea, nonostante tutti i suoi piani e le sue ambizioni, non è riuscita a raggiungere la propria autonomia strategica. Anche altre istituzioni, le Nazioni Unite e l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, non hanno risposto adeguatamente all’invasione russa e alla minaccia alla sicurezza che Mosca rappresenta per l’Europa. Mentre gli Stati Uniti hanno fornito la parte del leone delle armi all’Ucraina e le hanno consentito di respingere l’avanzata russa,

Dopo la difficile uscita della NATO dall’Afghanistan, il blocco ha ritrovato la sua missione originaria: contenere una Russia espansionista. Una differenza fondamentale questa volta è che la NATO si coordinerà più strettamente con i partner asiatici in seguito alla designazione della Cina come avversario da parte del blocco. Gli Stati Uniti, attraverso il dialogo quadrilaterale sulla sicurezza, la partnership AUKUS e le alleanze bilaterali in Asia, guideranno un Occidente collettivo — Nord America, Europa, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Corea del Sud e Singapore — nel tentativo di contenere sia la Russia. e Cina contemporaneamente.

Tuttavia, diventerà sempre più difficile mantenere l’unità occidentale di fronte alle crescenti difficoltà causate dalle ricadute economiche della guerra, comprese le sanzioni occidentali e l’armamento russo di energia e forniture alimentari. Washington dovrà guidare nell’aiutare i suoi alleati a trovare alternative al petrolio e al gas russi mentre persegue un’agenda interna di eliminazione graduale dei combustibili fossili.

La grande sfida strategica di Washington è garantire che un mondo post-Guerra Fredda abbia ancora regole, specialmente quelle progettate per evitare conflitti armati su larga scala.

Ma anche gli Stati Uniti dovranno confrontarsi con una nuova realtà. Mentre l’Occidente collettivo ha condannato e sanzionato la Russia e sostenuto l’Ucraina, quasi l’intero sud del mondo si è rifiutato di scegliere da che parte stare. L’India è un partner statunitense nel Quad, ma non ha né criticato né sanzionato la Russia e ha aumentato le sue importazioni di petrolio russo dall’inizio della guerra. La Cina non ha né appoggiato né condannato l’invasione russa, ma ha sostenuto le affermazioni della Russia secondo cui il suo attacco è stato provocato da minacce alla sua sicurezza da parte della NATO. Molti altri paesi del sud del mondo vedono la Russia come un grande paese autoritario con cui possono fare affari e accusano gli Stati Uniti di ipocrisia, date le guerre passate di Washington in Vietnam, Iraq e Afghanistan. Gli Stati Uniti dovranno navigare in questo grande gruppo di paesi non allineati, proprio come hanno fatto durante la Guerra Fredda:

Russia e Cina hanno entrambe chiesto un nuovo ordine post-occidentale in cui gli Stati Uniti non possono più stabilire l’agenda. Pechino cerca un ordine globale in cui la Cina possa stabilire le regole con gli Stati Uniti, ma dove ci saranno ancora delle regole. La Russia, a giudicare dalle sue azioni in Ucraina e dai suoi bombardamenti notturni di propaganda televisiva, sta promuovendo qualcosa di completamente diverso: un disordine mondiale senza regole. La grande sfida strategica degli Stati Uniti è garantire che un mondo post-guerra fredda manterrà effettivamente le regole, comprese, soprattutto, quelle progettate per evitare conflitti armati su larga scala.

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Finalmente Svezza l’Europa al largo di Washington

Di Stephen M. Walt, editorialista di Foreign Policy e professore di relazioni internazionali all’Università di Harvard

Il primo ministro finlandese Sanna Marin (a sinistra) e il presidente finlandese Sauli Niinistö tengono una conferenza stampa per annunciare che la Finlandia farà domanda per l'adesione alla NATO presso il Palazzo Presidenziale di Helsinki, in Finlandia, il 15 maggio.Il primo ministro finlandese Sanna Marin (a sinistra) e il presidente finlandese Sauli Niinistö tengono una conferenza stampa per annunciare che la Finlandia farà domanda per l’adesione alla NATO presso il Palazzo Presidenziale di Helsinki, in Finlandia, il 15 maggio.

Il 15 maggio il primo ministro finlandese Sanna Marin e il presidente Sauli Niinistö tengono una conferenza stampa per annunciare la domanda di adesione del loro paese alla NATO presso il Palazzo Presidenziale di Helsinki, in Finlandia. ALESSANDRO RAMPAZZO/AFP VIA GETTY IMAGES

Quando la politica estera ha chiesto per la prima volta l’impatto della guerra in Ucraina sulla strategia degli Stati Uniti cinque mesi fa, ho sostenuto che l’invasione illegale dell’Ucraina da parte della Russia era un’opportunità ideale per avviare il processo di svezzamento degli alleati europei degli Stati Uniti dalla loro eccessiva dipendenza dalla protezione degli Stati Uniti. Semmai, da allora la tesi per una nuova divisione del lavoro si è rafforzata.

La guerra ha dimostrato che l’hard power conta ancora nel 21° secolo, ha messo in luce le carenze militari dell’Europa, ha sottolineato sottilmente i limiti dell’impegno degli Stati Uniti e ha rivelato i limiti militari duraturi della Russia. Ricostruire le difese dell’Europa richiederà tempo e denaro, ma fare in modo che l’Europa si assuma maggiori responsabilità per la propria difesa consentirà agli Stati Uniti di spostare maggiori sforzi e attenzione sull’Asia per affrontare le numerose sfide poste da una Cina più potente e assertiva.

Sfortunatamente, l’amministrazione Biden sta ignorando queste implicazioni e sta rafforzando la dipendenza europea dallo Zio Sam. Se questo corso continua, gli Stati Uniti rimarranno sovraccarichi e la loro capacità di bilanciare efficacemente la Cina ne risentirà.

Cosa è successo negli ultimi cinque mesi per sostenere la tesi dello svezzamento dell’Europa da Washington?

La tesi per una nuova divisione del lavoro tra Stati Uniti ed Europa si è rafforzata solo dall’inizio della guerra.

In primo luogo, le prestazioni militari della Russia non sono migliorate in modo significativo e le sue forze armate continuano a subire perdite sostanziali. Anche se il maggiore potere latente di Mosca le consentirà di ottenere una sorta di vittoria di Pirro in Ucraina, la sua capacità di minacciare il resto dell’Europa in futuro sarà minima. La Russia ha perso una parte considerevole delle sue armi più sofisticate e della sua forza lavoro militare meglio addestrata. Le sanzioni occidentali hanno danneggiato in modo significativo la sua economia. Le restrizioni alle esportazioni renderanno molto più difficile l’acquisizione da parte dell’industria della difesa russai semiconduttori avanzati e altre tecnologie che richiedono armi all’avanguardia. Nel tempo, gli sforzi europei per ridurre la dipendenza dal petrolio e dal gas russi priveranno Mosca delle entrate e ostacoleranno ulteriormente la sua capacità di ricostruire le sue forze militari una volta che i combattimenti in Ucraina saranno finiti.

In secondo luogo, Svezia e Finlandia sono state accolte nella NATO. A differenza di altri nuovi membri del blocco, entrambi i paesi hanno potenti forze militari e il loro ingresso complica enormemente la pianificazione della difesa russa, trasformando il Mar Baltico in un lago virtuale della NATO. Questo inclina gli equilibri di potere in Europa in modo ancora più decisivo a favore della NATO.

Terzo, gli eventi in Asia, come le vaste esercitazioni militari cinesi seguite alla recente visita della presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi a Taiwan, hanno sottolineato il ruolo centrale del potere statunitense nel preservare un favorevole equilibrio di potere in Asia. Se impedire l’emergere di un egemone rivale in una regione strategica vitale rimane un principio cardine della grande strategia statunitense, allora è essenziale orientarsi verso l’Asia, indipendentemente da ciò che accade in Ucraina.

Sfortunatamente, l’amministrazione Biden potrebbe ora ripetere gli stessi errori che in passato hanno incoraggiato i partner europei di Washington a trascurare le proprie capacità di difesa. Gli Stati Uniti si sono assunti la responsabilità primaria di armare, addestrare, sovvenzionare e consigliare l’Ucraina. A febbraio, l’amministrazione ha annunciato il dispiegamento a tempo indeterminato di 20.000 truppe americane aggiuntive in Europa, con l’aggiunta di altre nuove forze a giugno. Non sorprende che la determinazione europea a fare di più stia svanendo e le abitudini radicate nel free-riding stiano riemergendo. L’imminente recessione europea non farà che esacerbare queste tendenze, mettendo in dubbio le audaci promesse che la Germania e altri stati europei hanno fatto alcuni mesi fa.

Se questa tendenza non viene invertita, Washington si ritroverà a fare più del necessario in Europa ma non abbastanza in Asia. Per la grande strategia statunitense, sarebbe un errore fondamentale.

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Il pivot di Biden per l’Asia era giusto

Di C. Raja Mohan, editorialista di Foreign Policy e senior fellow presso l’Asia Society Policy Institute

La gente visita il porto dove sono ancorate le navi da guerra della marina taiwanese a Keelung, Taiwan, il 7 agosto. Taiwan è rimasta tesa dopo la visita della presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi nell'ambito di un tour in Asia volto a rassicurare gli alleati nella regione. In risposta, la Cina ha iniziato a condurre esercitazioni a fuoco vivo in acque vicine a quelle rivendicate da Taiwan.La gente visita il porto dove sono ancorate le navi da guerra della marina taiwanese a Keelung, Taiwan, il 7 agosto. Taiwan è rimasta tesa dopo la visita della presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi nell’ambito di un tour in Asia volto a rassicurare gli alleati nella regione. In risposta, la Cina ha iniziato a condurre esercitazioni a fuoco vivo in acque vicine a quelle rivendicate da Taiwan.

Le navi da guerra della Marina taiwanese sono ancorate a Keelung, Taiwan, il 7 agosto. NNABELLE CHIH/GETTY IMAGES

Sei mesi dopo l’invasione russa dell’Ucraina, l’attenzione prebellica del presidente degli Stati Uniti Joe Biden sulla sfida cinese si è rivelata la scommessa giusta. Nonostante la crisi militare senza precedenti in Europa, l’amministrazione Biden si è rifiutata di distogliere lo sguardo dall’Asia. Sebbene l’invasione russa dell’Ucraina abbia messo in luce i pericoli delle ambizioni russe in Europa, Biden non ha mai scartato la sua convinzione che l’espansionismo cinese in Asia rappresenti la maggiore minaccia per gli Stati Uniti.

La scarsa prestazione delle forze armate di Mosca in Ucraina ha dimostrato i limiti della potenza militare russa. L’incapacità di Mosca di rompere la coerenza interna dell’Ucraina, l’unità europea o la solidarietà transatlantica sottolinea le principali debolezze strategiche del Cremlino nel suo confronto con l’Occidente.

Se il conflitto in Ucraina si protrae, è certamente possibile che alcuni o tutti questi fattori possano cambiare e produrre qualche vantaggio per la Russia. Ma un lungo stallo in Ucraina creerebbe anche nuove sfide interne per il presidente russo Vladimir Putin. Qualunque sia il risultato, la Russia può uscirne solo con una potenza ridotta. Se il compito di affrontare contemporaneamente Russia e Cina fosse considerato impossibile, le vulnerabilità russe dovrebbero renderlo meno scoraggiante.

Questo ci porta al collegamento tra i teatri europei e asiatici e al “partnership senza limiti” tra Mosca e Pechino, annunciato dalle due potenze revisioniste all’inizio di febbraio. La Cina non è stata di grande aiuto alla Russia nel contrastare l’Occidente. Ma una Russia che inevitabilmente esce più debole dalla guerra in Ucraina potrebbe essere ancora più dipendente dalla Cina . La Russia sarà anche più spinta a sostenere l’avventurismo cinese in Asia. Questo, a sua volta, renderà più difficile contrastare il potere della Cina in Asia.

La stabilità a lungo termine in Europa e in Asia dipenderà dalla capacità di Washington di costruire equilibri di potere locali e promuovere ordini regionali.

Le crescenti tensioni su Taiwan sulla scia della visita della presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi a Taipei all’inizio di agosto sono semplicemente un promemoria del fatto che le prospettive di un confronto USA-Cina stanno crescendo in Asia. A differenza dell’Ucraina, dove l’Occidente si è astenuto da qualsiasi intervento diretto, gli Stati Uniti saranno probabilmente coinvolti in un conflitto diretto con la Cina per Taiwan. Qualsiasi senso asiatico della riluttanza degli Stati Uniti a resistere all’egemonia cinese spingerà più paesi della regione a mettersi in marcia con Pechino. Fortunatamente, l’amministrazione Biden continua ad alzare il tiro in Asia.

Consentire ad amici e alleati in Europa e in Asia di assumersi maggiori responsabilità per la sicurezza delle proprie regioni è stato uno dei temi principali della politica di Biden. In Europa, resta da vedere se tutti gli alleati degli Stati Uniti, in particolare Germania e Francia, sono davvero impegnati a tradurre i loro impegni in azioni. In Asia, gli alleati ei partner dell’America come Giappone, Corea del Sud, Australia e India sembrano molto più disposti ad assumere un ruolo più importante nella propria sicurezza e nell’equilibrio di potere nell’Indo-Pacifico. L’amministrazione Biden ha dedicato notevoli energie diplomatiche per prevenire la crescita del neutralismo nel resto dell’Asia. Ma è un lavoro in corso.

Non sorprende che ci siano profonde divisioni sia in Europa che in Asia su come trattare con Russia e Cina. Impedire a Mosca e Pechino di sfruttare queste divisioni rimarrà una grande sfida politica per gli Stati Uniti mentre cercano di stabilizzare le due regioni. Gli Stati Uniti restano indispensabili per bilanciare la Russia in Europa e la Cina in Asia. Ma la stabilità a lungo termine in Europa e in Asia dipenderà dalla capacità di Washington di costruire equilibri di potere locali e promuovere ordini regionali.

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Un nuovo grande affare con l’Europa

Di Liana Fix, direttrice del programma per gli affari internazionali della Fondazione Körber

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (a destra) e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen hanno rilasciato dichiarazioni dopo i colloqui a Kiev l'11 giugno.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (a destra) e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen hanno rilasciato dichiarazioni dopo i colloqui a Kiev l’11 giugno.

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky rilasciano dichiarazioni dopo i colloqui a Kiev l’11 giugno . SERGEI SUPINSKY/AFP VIA GETTY IMAGES

Sei mesi dopo la brutale invasione russa dell’Ucraina, si possono trarre due lezioni preliminari su come la guerra influenzerà la prospettiva strategica degli Stati Uniti sull’Europa.

Il primo ed evidente è il ritorno della NATO da quella che il presidente francese Emmanuel Macron ha definito “ morte cerebrale ” alla più importante organizzazione del continente europeo. La guerra ha riaffermato la centralità del blocco – così come il primato degli Stati Uniti – per la sicurezza europea.

Ciò non sorprende: una guerra lanciata da un avversario nel suo vicinato offre a un’alleanza di difesa tutte le ragioni per riaffermare la sua ragion d’essere. Ciò che è stato sorprendente è stata la portata del risveglio della NATO, inclusi due nuovi membri invitati entro pochi mesi dall’inizio della guerra russa. Il sostegno alla NATO è cresciuto tra i cittadini europei, così come gli atteggiamenti positivi nei confronti del ruolo degli Stati Uniti in Europa.

Più notevole della rinascita della NATO, tuttavia, è che l’Unione Europea è stata all’altezza dell’occasione. Invece di essere emarginata in tempo di guerra, l’UE è diventata la potente cugina della NATO nel regno economico. Pochi giorni dopo l’invasione, l’UE si è trasformata da un’organizzazione dedita alla cooperazione economica in tempo di pace a un’organizzazione disposta e in grado di condurre una guerra economica.

In parte, ciò riflette la natura di questa particolare guerra: poiché la NATO ei suoi partner non stanno combattendo direttamente, i loro strumenti si limitano al sostegno militare all’Ucraina e alle misure economiche. La guerra economica dell’Occidente è quindi importante quasi quanto le sue consegne di armi e il supporto dell’intelligence. E le misure economiche sono saldamente il terreno dell’UE.

Questo indica un grande affare strategico che unisce la potenza economica dell’UE con la potenza militare degli Stati Uniti.

Detto questo, la guerra economica è una nuova attività per l’UE, che ha più esperienza nella negoziazione di accordi di libero scambio che nell’organizzazione del disaccoppiamento dell’intero blocco da un importante partner commerciale. Invece di avvicinare le economie, il suo ruolo abituale, Bruxelles ha dovuto invertire il processo e tagliare i legami tra la Russia e l’UE in molte aree.

L’Europa dovrebbe, ovviamente, fare di più. Il suo embargo sul petrolio russo, molto più facile da fare che sostituire il gas del Cremlino, entrerà in vigore solo a dicembre. Nel frattempo, i paesi dell’UE continuano a trasferire enormi quantità di denaro per l’energia russa. Ma a medio termine, il regime delle sanzioni occidentali renderà impossibile per la Russia sostenere un’economia moderna e probabilmente limiterà la sua capacità di condurre la guerra.

Cosa significa questo per la grande strategia statunitense? Gli Stati Uniti dovrebbero guardare oltre la NATO nel valutare l’importanza strategica dell’Europa.

Fino a quando gli europei non potranno assumersi maggiori responsabilità per la propria sicurezza, cosa che è ancora un po’ lontana, ammesso che accada, il regno economico è dove possono essere molto potenti. Washington avrà bisogno di partner nei conflitti incombenti del futuro, dove la Cina rappresenterà una sfida tanto economica quanto per la sicurezza. Da febbraio, l’UE ha dimostrato di poter essere un partner affidabile anche a caro prezzo per la propria economia. Questo indica un grande affare strategico che unisce la potenza economica dell’UE con la potenza militare degli Stati Uniti e richiederà a Washington di rimanere più impegnato in Europa di quanto avesse pianificato.

Naturalmente, la Cina è in un’altra lega economica rispetto alla Russia e gli europei avranno bisogno di ragioni convincenti per mettere a repentaglio i loro legami economici con la Cina. Tuttavia, nessuno si sarebbe aspettato una risposta europea così forte alla Russia, e questa risposta è stata molto probabilmente notata dalla leadership cinese. La guerra di Mosca ci ha insegnato che nella guerra economica valgono le stesse regole che in quella militare: nessun piano operativo può fornire alcuna certezza al di là del primo incontro.

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Un’emergente partnership Atlantico-Pacifico

Da Robin Niblett, un illustre collega di Chatham House

I caccia prendono posizione al largo del Mar Cinese Meridionale.I caccia prendono posizione al largo del Mar Cinese Meridionale.

Combattenti filippini prendono posizione accanto ai marines statunitensi durante un’esercitazione militare congiunta con le truppe giapponesi a San Antonio, nelle Filippine, il 6 ottobre 2018. TED ALJIBE/AFP VIA GETTY IMAGES

Di fronte all’eroica resistenza ucraina e all’essenziale sostegno internazionale a Kiev, la brutale invasione dell’Ucraina da parte del leader russo Vladimir Putin sta finendo. Al contrario, l’amministrazione Biden ha colto questa opportunità per riconquistare la posizione strategica degli Stati Uniti come fulcro delle democrazie liberali mondiali.

Aiutata dalla decisione di Pechino di allinearsi con Mosca, Washington ha messo insieme una nuova partnership Atlantico-Pacifico. Questa partnership collega gli impegni degli Stati Uniti per la sicurezza europea contro la persistente aggressione russa con i loro impegni nei confronti dei loro alleati asiatici contro la crescente assertività militare della Cina.

La presenza di Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud al vertice NATO di Madrid di giugno ha mostrato che questi paesi comprendono che l’impegno degli Stati Uniti per la loro sicurezza richiede anche il loro sostegno per gli interessi degli Stati Uniti in Europa. E il primo riferimento in assoluto alla Cina come un’esplicita sfida alla sicurezza nel comunicato del vertice dell’alleanza, nonostante la guerra in corso in Europa, è stato un segnale che gli europei sanno che devono prendere sul serio le future minacce dalla Cina se vogliono che gli Stati Uniti rimangano un paese affidabile alleato in Europa.

Il team di Biden ora deve rendere reale e non un fugace miraggio questa nuova partnership transemisferica. Dovrebbe sfidare gli alleati europei, alcuni dei quali hanno emesso ambiziose strategie indopacifiche, a partecipare a regolari operazioni di libertà di navigazione ed esercitazioni militari nel Mar Cinese Meridionale e nelle sue vicinanze. Gli alleati ora devono anche collaborare per preservare la libertà di navigazione nello Stretto di Taiwan, in seguito all’uso opportunistico da parte di Pechino della visita a Taiwan della presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi all’inizio di agosto per cambiare lo status quo militare intorno all’isola.

Gli europei sanno che devono prendere sul serio le future minacce dalla Cina se vogliono che gli Stati Uniti rimangano un alleato affidabile in Europa.

Inoltre, il G-7 dovrebbe invitare i suoi stretti partner del Pacifico al di fuori del Giappone a partecipare regolarmente ai dialoghi strategici del gruppo, sia sulla politica delle sanzioni, sugli investimenti tecnologici o sulle catene di approvvigionamento critiche. Insieme, avrebbero la massa critica economica per concordare standard commerciali e di investimento in linea con i loro valori. In caso di successo, altre democrazie potrebbero essere invitate a unirsi a questa comunità.

Tuttavia, gli Stati Uniti devono fare in modo che questo momento non faccia presagire un ritorno al mondo diviso del XX secolo. Sebbene la priorità sia coltivare una nuova partnership Atlantico-Pacifico, l’altro elemento della grande strategia degli Stati Uniti dovrebbe essere quella di attirare paesi in Africa, America Latina, Sud-est asiatico e altrove in un livello successivo di relazioni economiche e strategiche che controbilanciano gli sforzi cinesi e russi fare lo stesso.

Nella competizione tra Russia e Cina da un lato e nella partnership Atlantico-Pacifico dall’altro, i circa 140 paesi che ora compongono una ripresa della comunità non allineata dell’era della Guerra Fredda hanno un’agenzia che non hanno mai posseduto durante la Guerra Fredda. Questa volta, un approccio “con noi o contro di noi” da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati sarebbe controproducente. Invece, i benefici materiali che altri paesi ottengono dall’interazione con i membri della nuova partnership Atlantico-Pacifico dovrebbero essere calibrati sul loro impegno nel perseguire interessi condivisi e sugli sforzi che intraprendono per migliorare la governance interna e la protezione dei diritti dei loro cittadini.

Questa strategia richiederà all’amministrazione Biden di sviluppare un approccio più inclusivo alla leadership globale rispetto ai suoi predecessori. Da parte loro, gli alleati degli Stati Uniti devono incrociare le dita e sperare che le prossime elezioni presidenziali americane non annullino i risultati degli ultimi sei mesi.

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Il futuro successo degli Stati Uniti richiede una vittoria ucraina

Di Anders Fogh Rasmussen, presidente di Rasmussen Global, ex segretario generale della NATO ed ex primo ministro danese

I veicoli militari ucraini passano davanti a Piazza dell'Indipendenza nel centro di Kiev, in Ucraina, il 24 febbraio.I veicoli militari ucraini passano davanti a Piazza dell’Indipendenza nel centro di Kiev, in Ucraina, il 24 febbraio.

Veicoli militari ucraini passano davanti a Piazza Indipendenza a Kiev il 24 febbraio. DANIEL LEAL/AFP VIA GETTY IMAGES

La guerra della Russia in Ucraina ha riportato la difesa territoriale in Europa in cima all’agenda. Guardare uno stato dotato di armi nucleari lanciare un’invasione su vasta scala di un paese vicino sembra finalmente aver concentrato le menti nelle capitali europee. I budget militari vengono aumentati, Finlandia e Svezia stanno per entrare a far parte della NATO e nazioni di tutto il mondo libero stanno venendo in aiuto dell’Ucraina. Ciò ha importanti ramificazioni per le ambizioni strategiche degli Stati Uniti. Mentre il divario tra le democrazie e le autocrazie del mondo si inasprisce, il mondo sta entrando in un nuovo periodo di competizione e confronto. La guerra ha dimostrato che Washington rimane l’ultimo garante della sicurezza in Europa. Ha anche dimostrato la necessità che il mondo democratico si unisca di fronte ad autocrazie sempre più aggressive.

La guerra ha dimostrato la necessità che il mondo democratico si unisca di fronte ad autocrazie sempre più aggressive.

Il principale fulcro strategico degli Stati Uniti rimane il perno verso l’Asia e l’accresciuta concorrenza con la Cina. Tuttavia, sarà molto più difficile se Washington sarà coinvolta in un conflitto di lunga data in Europa. Il modo migliore per evitare questa trappola è dare agli ucraini tutto ciò di cui hanno bisogno per vincere questa guerra. L’Occidente deve quindi assicurarsi che la Russia non lo attacchi mai più. Questo è l’obiettivo del gruppo di lavoro che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, insieme al suo capo di gabinetto, Andriy Yermak, mi ha chiesto di co-presiedere, sulle garanzie di sicurezza per l’Ucraina. Il lavoro del gruppo è ancora in corso, ma un punto è già chiaro: il miglior deterrente contro un’ulteriore aggressione russa è un’Ucraina militarmente forte. Gli Stati Uniti ei loro alleati devono quindi fornire all’Ucraina tutto ciò di cui ha bisogno per difendere la sua indipendenza a lungo termine.

I dittatori di tutto il mondo stanno osservando da vicino il conflitto. Finora, gli Stati Uniti hanno risposto con forza e guidato una risposta potente e unitaria da parte del mondo occidentale. Con l’avvicinarsi di un doloroso inverno, questa unità sarà messa alla prova. L’Occidente deve raddoppiare i suoi sforzi per garantire che l’Ucraina vinca sia la guerra che la successiva pace. Se fallisce in questo, gli autocrati di tutto il mondo saranno quelli che esultano.

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La guerra economica deve essere temperata per conquistare alleati

Di Edward Alden, editorialista di Foreign Policy , visiting professor presso la Western Washington University e senior fellow presso il Council on Foreign Relations

I manifestanti manifestano contro l'aumento dei prezzi dell'energia fuori dalla sede di Ofgem a Canary Wharf il 26 agosto a Londra, Inghilterra.I manifestanti manifestano contro l’aumento dei prezzi dell’energia fuori dalla sede di Ofgem a Canary Wharf il 26 agosto a Londra, Inghilterra.

I manifestanti manifestano contro l’aumento dei prezzi dell’energia a Londra il 26 agosto. ROB PINNEY/GETTY IMAGES

Per molti decenni, l’influenza economica è stata al centro della grande strategia degli Stati Uniti, ma solo come margine morbido del potere statunitense. Le amministrazioni successive seguirono in gran parte l’ortodossia economica del libero scambio, degli investimenti esteri e dei mercati aperti, credendo che un sistema globale governato da tali regole avrebbe servito gli interessi nazionali degli Stati Uniti arricchendo gran parte del mondo.

Ma con l’invasione russa dell’Ucraina, gli Stati Uniti hanno buttato fuori dalla finestra questo regolamento. Guidato dall’amministrazione Biden, l’Occidente ha imposto dure sanzioni economiche contro la Russia che probabilmente rimarranno in vigore per anni. Con un occhio alla sicurezza nazionale, il Congresso ha abbracciato una politica industriale in piena regola, approvando il CHIPS and Science Act per rafforzare le capacità manifatturiere del paese nei semiconduttori e in altri settori critici. L’obiettivo esplicito della politica è ridurre la dipendenza dalle importazioni dalla Cina e da altre potenze potenzialmente ostili. Pechino, a sua volta, ha raddoppiato i propri sforzi per raggiungere una maggiore autosufficienza, non ultimo per scongiurare eventuali future sanzioni in caso, ad esempio, di una guerra su Taiwan. Anche la Russia si è unita alla lotta economica:

Queste azioni suggerirebbero un futuro di conflitto economico tra le grandi potenze, con gli Stati Uniti e i loro alleati che sperano che la loro leadership tecnologica fornisca il vantaggio decisivo. Ma c’è un problema con questa strategia: il resto del mondo non vuole prendere parte alla guerra economica. La maggior parte dei paesi al di fuori del blocco occidentale ha già rifiutato di schierarsi rispetto all’Ucraina o di aderire al regime delle sanzioni. L’India potrebbe avvicinarsi all’allineamento con l’Occidente nell’Indo-Pacifico, ma si è rimpinzata di petrolio russo scontato. L’Arabia Saudita ha continuato ad abbracciare la Russia come parte del cartello dei produttori di petrolio OPEC+, rifiutando le richieste degli Stati Uniti di espellere Mosca dal club. Il sud-est asiatico, l’Africa e l’America Latina sono in gran parte concentrati sulle proprie aspirazioni economiche e sulla gestione della carenza di cibo e dell’inflazione esacerbata dalla guerra. L’Indonesia ha rifiutato le richieste occidentali di espellere la Russia dal vertice del G-20 che ospiterà a novembre, e sia il presidente russo Vladimir Putin che il presidente cinese Xi Jinping affermano che parteciperanno. “La rivalità dei grandi paesi è davvero preoccupante”, ha detto il presidente indonesiano Joko Widodoha detto a Bloomberg News . “Quello che vogliamo… che questa regione sia stabile, pacifica, in modo da poter costruire una crescita economica”.

Affinché la strategia statunitense abbia successo, Washington dovrà moderare le sue azioni economiche contro le grandi potenze rivali per ingraziarsi i meno impegnati.

Affinché la strategia statunitense abbia successo, quindi, Washington dovrà moderare le sue azioni economiche contro le grandi potenze rivali per ingraziarsi i meno impegnati. La visita personale del presidente degli Stati Uniti Joe Biden in luglio in Arabia Saudita per invocare una maggiore produzione di petrolio e la riluttanza della sua amministrazione a criticare l’India per i suoi acquisti di petrolio dalla Russia sono solo due esempi di questo delicato equilibrio. Biden, inoltre, non ha mostrato segni di voler boicottare il vertice del G-20 per protestare contro la presenza di Putin, anche se i funzionari del Tesoro degli Stati Uniti hanno abbandonato una riunione preparatoria all’inizio di quest’anno.

A differenza della Guerra Fredda, quando solo l’Occidente aveva la ricchezza e le istituzioni per offrire importanti carote economiche, gli Stati Uniti ora devono affrontare una forte concorrenza. La Cina e persino la Russia hanno molto da offrire. La Cina ha l’intera suite di un grande mercato affamato di materie prime e altri input, ampia liquidità per investimenti e prestiti esteri ed esportazioni di manufatti a basso costo. La Russia dispone principalmente di risorse a basso costo, ma alcune, come petrolio e fertilizzanti, sono vitali per molti paesi in via di sviluppo. Gli Stati Uniti e i loro alleati dovranno dimostrare di poter applicare la loro nuova attenzione alla politica economica alle sfide immediate che questi paesi devono affrontare, ad esempio offrendo aiuti alimentari e remissione del debito secondo necessità e mantenendo i mercati occidentali aperti al commercio. Il pilastro economico di un nuovo USA

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Anders Fogh Rasmussen è l’amministratore delegato di Rasmussen Global, il fondatore della Alliance of Democracies Foundation ed ex segretario generale della NATO. Twitter:  @AndersFoghR

Angela Stent è una senior fellow non residente presso la Brookings Institution e autrice di Putin’s World: Russia Against the West e With the Rest.  Twitter:  @AngelaStent

Stephen M. Walt è editorialista di Foreign Policy e Robert e Renée Belfer professore di relazioni internazionali all’Università di Harvard.

C. Raja Mohan è editorialista di Foreign Policy , senior fellow presso l’Asia Society Policy Institute ed ex membro del National Security Advisory Board dell’India. Twitter:  @MohanCRaja

Robin Niblett è un illustre collega ed ex direttore e amministratore delegato di Chatham House. Twitter:  @RobinNiblett

Liana Fix è direttrice del programma per la sicurezza europea presso la Fondazione Körber ed ex borsista presso il Fondo Marshall tedesco. Twitter:  @LianaFix

Edward Alden è un editorialista di Foreign Policy , l’illustre professore in visita Ross presso la Western Washington University, un ricercatore senior presso il Council on Foreign Relations e l’autore di Failure to Adjust: How Americans Got Left Behind in the Global Economy.  Twitter:  @edwardalden

https://foreignpolicy.com/2022/09/02/us-grand-strategy-ukraine-russia-china-geopolitics-superpower-conflict/

Europa ad oriente! Cambiamenti e persistenze_con Francesco Dall’Aglio

I paesi dell’Europa Orientale sono il perno attraverso il quale gli Stati Uniti intendono trascinare l’intero subcontinente nelle loro avventure ed assogettarlo ulteriormente alle proprie strategie conflittuali nei confronti della Russia e della Cina. Il prezzo da pagare per i paesi europei è enorme, probabilmente insostenibile. La compromissione nella costruzione di dinamiche geopolitiche autonome più cooperative con la Russia ampiamente pregiudicata. In questo quadro il ruolo della Unione Europea assunto sino ad ora viene ampiamente ridimensionato nell’ambito dell’alleanza occidentale. L’istituzione rischia di diventare superflua e di ridursi ad un simulacro paralizzante. Con essa la stessa Germania è destinata a subire un ridimensionamento politico ed economico drammatico sino ad azzerare la rendita consentitale dalla passata centralità di affidataria. La partita, però, non è ancora chiusa. Dipenderà dall’esito del conflitto ucraino e dalle contraddizioni che una strategia così aggressiva sta aprendo all’interno del fronte occidentale. Ha iniziato l’Ungheria; la Bulgaria potrebbe seguire la stessa strada, come pure la Moldova; in Francia Macron mostra segni crescenti di difficoltà di tenuta; in Svezia il cammino si fa più incerto. In questo quadro grandi cambiamenti sono in corso in Europa Orientale, come pure emergono persistenze sedimentate in secoli di storia. Sono le tracce di cui discutiamo e che ci consentono di ponderare gli eventi e le possibili vie di uscita. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v1kpqdl-europa-ad-oriente-cambiamenti-e-persistenze-con-francesco-dall-aglio.html

VOTARE DA GRANDI, di Teodoro Klitsche de la Grange

VOTARE DA GRANDI

Tutti dicono di aver indovinato l’esito delle elezioni politiche: ed in effetti è altamente probabile che saranno vinte (taluno sostiene stravinte) dal centrodestra. Di per sé nulla di strano: dopo il decennio (abbondante) passato, avrebbe sorpreso il contrario.

Interessa notare come, in particolare nella comunicazione dei messaggi il duo Meloni-Salvini (un po’ distanziato Berlusconi) abbiano per così dire innovato i parametri, non solo i contenuti.

Spieghiamo un po’: tutti i partiti si differenziano per “contenuti”; chi vuole più libertà, chi più uguaglianza; chi più Europa, chi meno; chi più assistenza, chi meno spesa.

Tuttavia nel messaggio dei due leaders del centrodestra (la Meloni è ancor più esplicita) cambia, in ispecie rispetto al centrosinistra il parametro delle scelte proposte e, più in generale, dell’azione futura di governo: per i primi è l’interesse degli italiani, per gli altri (cosa consueta) la bontà delle scelte. Intendendo come “bontà” la corrispondenza a norme etiche e, in certa misura, anche giuridiche.

L’interesse nazionale e la “bontà” appartengono entrambi all’idea di Stato – e più in generale – di sintesi politica. Come non c’è Stato che non abbia l’idea Sdirettiva e la finalità di proteggere la comunità, così ha anche quello di realizzare certi valori etici e anche giuridici.

Da sempre, ma ancor più negli ultimi trent’anni, ha prevalso decisamente il richiamo a messaggi di elevato contenuto morale, a cui corrispondeva (e ad hoc) l’evidenziazione della deteriore caratura morale dell’avversario politico. La demonizzazione di Berlusconi (ma non solo) è stata emblematica. Come aver ha contribuito molto alla detronizzazione del Cavaliere ed alla intronizzazione di governi che degli interessi degli italiani se ne sono poco curati. Come è provato dai risultati.

Invece nella comunicazione del centro-destra l’accento non è tanto sull’appetibilità del programma (ovvio), quanto sul conseguimento di risultati positivi per l’interesse nazionale. Di per se questo è un ribaltamento, ma anche un segnale (se, come probabile, condiviso dalla maggioranza degli elettori) di maturazione politica; mentre l’inverso è sintomo d’ingenuità e, dato il contesto, di decadenza politica e culturale.

Il primo valuta in base a fatti e risultati: da Machiavelli (il XV capitolo del Principe) il realismo ha contrapposto alle “immaginazioni” la realtà dell’analisi dei fatti valutati razionalmente e in base ai risultati ottenuti. Mentre per il non-realista il problema è come conformare la realtà alla propria immaginazione. Hegel scriveva che tale metodo fa la testa gonfia di vento (cioè, diremmo oggi, di aria fritta).

E che non si tratti solo di vento, cioè di dabbenaggine ma di astuzia è dubbio costante: come scrive Machiavelli, prendendo ad esempio Alessandro IV, che il Principe non deve mantenere le promesse “quando tale observazione gli torni contro e che sono spente le coazioni che le fecero permettere” anche perché non mancano mai le giustificazioni per farlo: lo vuole l’Europa, c’è uno spread in arrivo, dobbiamo aiutare l’Ucraina, ecc. ecc. E dati i precedenti in tal senso, aspettatevi che i piddini lo ripetano.

La conseguenza di ciò è che nel pensiero politico realista chi si conforma all’ “immaginario” è un ingenuo; come Pier Soderini che nell’epigramma di Machiavelli  Minosse manda al “limbo con gli altri bambini”.

O Messer Nicia che collaborando, tutto contento, alla propria cornificazione “Quanto felice sia esser vede, chi è sciocco ed ogni cosa crede”. E Max Weber che considerava chi lo fa un bambino.

Per cui cambiare il parametro o almeno dar più valore ai fatti che alle aspirazioni, ai risultati più che alle intenzioni, significa maturare politicamente da bambino ad adulto. E se tale criterio si consoliderà, farà bene anche al centrosinistra stimolato a conseguire risultati e non a elaborare fantasie.

Perché in politica chi non fa l’interesse della comunità non è che fa del bene. Realizza un altro interesse: quello degli altri.

Teodoro Klitsche de la Grange

 

La geopolitica delle riparazioni russo/sovietiche alla Polonia, Di Andrew Korybko

La questione delle riparazioni russo/sovietiche alla Polonia è guidata molto più dai grandi progetti strategici di Varsavia per far rivivere il suo ruolo a lungo perduto di Grande Potenza che dalla giustizia storica che sostiene ci sia dietro questa causa. È un mezzo intelligente per quell’aspirante leader regionale per espandere la sua influenza prevista a spese di Russia e Germania, che a loro volta creerebbero spazio per farlo salire al loro posto e quindi riempire il vuoto risultante.

Il parlamento polacco (Sejm) ha appena approvato una risoluzione che chiede alla Germania riparazioni per la distruzione del loro paese da parte dei nazisti durante la seconda guerra mondiale, la cui geopolitica l’autore ha precedentemente analizzato in un pezzo che può essere letto qui . Il presente si concentrerà sulla richiesta complementare di riparazioni russe per l’intervento militare dell’URSS nella Seconda Repubblica Polacca. Cominciò il 17 settembre 1939, due settimane e mezzo dopo l’invasione nazista, e portò all’incorporazione delle contese Eastern Borderlands (” Kresy “) nelle Repubbliche sovietiche di Bielorussia, Lituania e Ucraina.

La questione delle riparazioni relative a tali sviluppi è nata da un emendamento dell’ultimo minuto alla risoluzione menzionata nell’introduzione in cui si affermava che “la Polonia non ha ancora ricevuto un’adeguata compensazione finanziaria ed espiazione per le perdite subite dallo Stato polacco durante la seconda guerra mondiale come risultato dell’aggressione dell’Unione Sovietica. Il presidente polacco Andrezj Duda ha detto poco dopo che “la Germania ha iniziato la seconda guerra mondiale e ha attaccato la Polonia. Naturalmente, la Russia si è unita a questa guerra in seguito e quindi, a mio avviso, dovremmo chiedere riparazioni anche alla Russia”.

La proposta di Duda ha spinto il presidente della Duma russa Vyacheslav Volodin ad accusarlo di aver violato le leggi del suo paese riabilitando il nazismo poiché è illegale paragonare l’URSS al suo nemico esistenziale. Ha aggiunto su Telegram che “è giusto che le autorità di vigilanza studino il commento di Andrzej Duda e prendano le misure appropriate per portarlo alla responsabilità penale”. Volodin ha anche ricordato a tutti che “Oggi la Polonia esiste come stato solo grazie al nostro Paese”. Dopo aver spiegato lo sfondo immediato di questa controversia, verranno ora condivise alcune brevi parole sulla sua storia più profonda.

La Polonia considera l’intervento militare sovietico come un’invasione non provocata che è stata pianificata in anticipo in collusione con i nazisti e quindi rende l’URSS ugualmente responsabile dell’inizio della seconda guerra mondiale. Il capo della spia straniera russa Sergey Naryshkin, tuttavia, ha affermato nel suo articolo dettagliato per RT sull’80 ° anniversario del patto Molotov-Ribbentrop che ” Non c’era altro modo “. Il presidente Vladimir Putin ha anche dedicato molta attenzione alla questione delle relazioni polacco-sovietiche in quel momento nel suo pezzo sulla ” Responsabilità condivisa verso la storia e il nostro futuro ” pubblicato nel 75 ° anniversario della Grande Vittoria.

Dopo la seconda guerra mondiale, il “Kresy” rimase parte dell’Unione Sovietica, ma la Polonia ricevette in cambio territorio dall’ex Germania nazista, che Varsavia aveva storicamente affermato essere parte del suo primo stato un millennio fa, ma da allora aveva controllato solo brevemente . Inoltre, questi “Territori recuperati” furono etnicamente ripuliti dai milioni di tedeschi che vi abitavano da secoli. L’URSS ha anche ricostruito la Polonia del dopoguerra, che era ormai diventata il suo “partner minore”. I sovietici lo consideravano un atto caritatevole di solidarietà socialista mentre molti polacchi lo consideravano un’occupazione.

Gli ultimi due paragrafi precedenti sono stati inclusi in questa analisi al fine di indirizzare i lettori intrepidi nella direzione di saperne di più sulle interpretazioni opposte degli eventi di ciascuna parte. È un loro diritto indipendente sostenere qualunque scuola di pensiero storico vogliano, anche se la loro scelta non fa differenza quando si tratta di analizzare oggettivamente la geopolitica delle riparazioni russo/sovietiche alla Polonia. Questo perché Varsavia non vuole solo ciò che sostiene essere giustizia storica, ma vuole portare avanti i suoi interessi strategici nell’attuale contesto della Nuova Guerra Fredda .

Per spiegare, la Polonia sta pianificando di accelerare l’ espansione della sua influenza regionale nell’Europa centrale e orientale (CEE) su questa base di soft power facendo appello alle percezioni popolari di molte persone in questa parte del continente che nutrono simili rancori contro l’ex URSS . Spera di catalizzare una reazione a catena di richieste imitative che creerà una base emotiva per avvicinare le loro società nel presente, sia in termini di legame su ciò che considerano il loro trauma storico condiviso, sia sugli scenari isterici che i loro leader li hanno convinti ad aspettarsi dai piani futuri della Russia.

Non solo l’influenza polacca potrebbe invadere gli stati della ” Iniziativa dei tre mari ” (3SI) e quindi accelerare i piani di Varsavia per costruire un blocco regionale orientato alle riforme all’interno dell’UE dominata dalla Germania, che intende impiegare per impedire a Berlino di completare il suo secolo -un lungo complotto per conquistare il controllo del continente, ma potrebbe anche creare una formidabile barriera a qualsiasi futuro riavvicinamento Russia-UE. Questo perché i membri della CEE/3SI di quel blocco potrebbero subordinare un tale scenario al fatto che Mosca rispetti le loro richieste di riparazione, cosa che non si aspetterebbero realisticamente che la Russia faccia comunque.

Con questi due ulteriori motivi geopolitici in mente, la questione delle riparazioni russo/sovietiche alla Polonia si rivela essere guidata molto più dai grandi progetti strategici di Varsavia per far rivivere il suo ruolo a lungo perduto di Grande Potenza che dalla giustizia storica che sostiene ci sia dietro questa causa. È un mezzo intelligente per quell’aspirante leader regionale per espandere la sua influenza prevista a spese di Russia e Germania , che a loro volta creerebbero spazio per farlo salire al loro posto e quindi riempire il vuoto risultante. Manipolando magistralmente il “ nazionalismo negativo ”, i piani della Polonia otterranno probabilmente un successo impressionante.

INVECCHIARE MALE, di Pierluigi Fagan

INVECCHIARE MALE. La chart mostra lo sviluppo progressivo della Shanghai Cooperation Organization, nata nel 2001, l’anno dell’entrata nel WTO della Cina e del 11/9. Originariamente fondata da Cina, Russia ed i quattro “-stan” centroasiatici, ha poi aggiunto India e Pakistan tra i membri, più una periferia a gironi. Ci sono Stati in procedura di cooptazione (Iran e Bielorussia), osservatori (Mongolia, Afghanistan) e partner di dialogo (oggi ben 14 tra cui Turchia, Egitto, quasi tutto il Medio Oriente). Al momento, rimane fuori il vivace sud est asiatico (ASEAN), ma non cedo rimarrà tale a lungo per ragioni di logica materiale.
L’Asia, complessivamente, conta oggi il 60% della popolazione mondiale, quasi il 50% del Pil mondiale, per circa 50 Stati. Sono, in media, Stati grandi e massivi, tant’è che in numero sono praticamente pari a quelli europei (49 a 45), con la differenza che l’Asia conta 4,5 miliardi di persone mentre l’Europa ne conta solo 750 milioni, ma ci sono vari modi contare (ad esempio in queste cifre la Russia è contata come europea perché fino ad oggi in geografia così s’è ritenuto di fare, ma si può dubitare così si continuerà a fare).
Questa la statica. La dinamica mostra un futuro incremento di popolazione per l’Asia ed un ancor più pronunciato incremento della percentuale di Pil mondiale, consenso unanime di tutti gli analisti. Eccetto il Giappone, tutti gli stati asiatici hanno adottato le forme dell’economia moderna (tecnoscienza-mercato-capitale), solo dal dopoguerra e progressivamente rispetto anche allo sviluppo del lento processo di de-colonizzazione. La Cina, ad esempio, s’incammina lungo i percorsi di economia moderna solo da fine anni ’70, l’India anche dopo.
Quest’ultimo punto va meglio spiegato. Lo sviluppo portato dall’utilizzo dei principi di economia moderna è una curva. Poiché è fatto storico relativamente recente (XIX secolo, in Europa e Stati Uniti), nessuno ha mai chiarito se tale curva che indubbiamente mostra una linea ascensionale più o meno pronunciata, arriva poi ad un tetto, lì rimane un po’ e poi tende a calare o come i più implicitamente pensano, scambiando la logica della fisica con quella metafisica, cresce all’infinito. Purtroppo, questo argomento è viziato dalle ideologie e l’economia è oggi il campo preferito delle ideologie che si sono dichiarate morte in politica, per altro assai prematuramente. Nei fatti, i fatti si misurano in dati (numero-peso-misura), la crescita delle principali economie moderne (o capitalistiche o OCSE o peggio ancora G7), negli ultimi cinquanta anni, tende a flettere in intensità, a volte in assoluto. Sembrerebbe quindi che, come logica delle curve logistiche impone, quello dell’economia moderna sia un ciclo che per lunga fase iniziale sviluppa, poi si ferma, poi tende a sgonfiarsi. Si può discutere se si possa allungare come e quanto il raggiunto livello del momento ottimale, ma pare che l’idea di una crescita e sviluppo infinito è inconsistente, come ben sanno i fisici che quando trovano “infiniti” nelle equazioni, sanno che stanno sbagliando qualcosa.
Tutto ciò non ha solo direttamente a che fare con le obiezioni sulla crescita infinita fatte già negli anni ’50 da un economista della complessità (Kenneth Boulding) e ripetute poi da decrescisti armati di Secondo principio della termodinamica. Ha a che fare col “sottostante” dell’economia, del ciò che compone il fare economico. L’economia produce beni e servizi, ma la quantità di beni e servizi utili o quasi utili o superflui ma piacevoli, fino ai superflui insensati come la televisione 3D o i monopattini elettrici, è comunque tendente alla saturazione, ad un limite. Si dirà: ma il desiderio umano è un motore infinito, già, ma forse la sua conversione in prodotti e servizi che promettono di soddisfarlo (in realtà non soddisfacendolo mai altrimenti il sistema collassa), no. A dire che se prendete in storia sociale dell’economia l’Europa dell’inizio del XIX secolo, scorrete fast-forward il film, vedrete spuntare edifici, palazzi, strade, fogne, ferrovie, porti, aeroporti, macchine, moto, televisioni, radio, computer, ogni altro ben di dio materiale e molti servizi connessi poi -ad un certo punto- vi accorgerete che c’è già più di tutto e non si vede cos’altro manchi per trainare la curva in su. Non che non ci sia più nulla da inventare o produrre, certamente si può fare ancora molto ad esempio in termini di economia pubblica piuttosto che privata, ma quando andrete a fare i conti, non troverete più le vivaci condizioni di possibilità che c’erano nella fase ascensionale della curva. Tutto ciò lo stiamo scoprendo, a fatica, ora, poiché è la prima volta nella storia che si presenta il fenomeno dell’economia moderna. Quasi tutti, liberali non meno che keynesiani ovvero teorici interni il campo “economia moderna”, danno per scontata l’infinità della curva prodotta dall’utilizzo dei principi e delle forme di economia moderna. Ne consegue la loro difficoltà esistenziale ad ammettere che la curva non è infinta e quando comincia a flettere occorrerebbe ripensare non solo le forme dell’economia in generale, ma il suo ruolo nell’ordinamento delle nostre società.
Quest’ultimo punto però porterebbe a dover la lasciar il campo ai teorici socio-politici e questo per un economista non si dà. O quantomeno ad un fertile dialogo multidisciplinare per capire “quanto” si deve lavorare (lavoriamo più o meno secondo gli standard fissato nella convenzione internazionale del 1919, pensate un po’ quanto è assurdo il mondo), chi e come, con quale reddito, con quali servizi pubblici, dedicando a cosa il restante tempo etc. La questione non è solo tecnica ovvio, è l’ordine complessivo della società e dei poteri che finirebbe con l’essere trasformato, da cui una certa resistenza ad accettare la realtà.
Tutta questa lunga digressione, per sottolineare come l’Asia sia complessivamente nella fase iniziale della curva di sviluppo, noi nella fase terminale. Loro con sotto 4,5 miliardi di produttori-consumatori giovani che hanno spesso ancora bisogno dei fondamentali, noi con 0,7 miliardi di tendenzialmente anziani, sempre meno produttivi, annegati nel superfluo ma anche meno consumanti visto che le aspettative passano dalla spider ai pannoloni.
Tutto ciò in novelle condizioni perigliose quanto ad ambiente, ecologie e clima ovvero stato del tavolo di gioco.
Tutto ciò è un problema? Non lo so, so che è un fatto ed a ogni fatto dello stato del mondo in cui viviamo, ci si dovrebbe adattare. Come ci adattiamo? Revochiamo la globalizzazione per impedire che la loro crescita ci superi, li trattiamo come paria perché non sono bianchi, profumati e democratici, eleviamo sanzioni per correggere la loro endemica tendenza al dispotismo asiatico, aumentiamo la spesa in armi, espandiamo le nostre alleanze militari e riempiamo le nostre popolazioni di cazzate emesse a banda larga 24/7. Così, a naso, non mi pare una grande strategia.
A poker, non so se l’espressione è valida in tutta Italia, si dice “piatto ricco mi ci ficco” a dire che quando il piatto promette vincite consistenti, varrebbe la pena di rischiare e stare al gioco. Noi che siamo nella curva flettente, sia dell’esistenza che dello sviluppo economico che, forse, della nostra stessa civiltà, invece di partecipare allo sviluppo asiatico, alziamo muti, barriere, emaniamo fatwe, ostracizziamo, ci armiamo. Invecchiamo male, acidi, rancorosi, ottusi.
Di solito, in Storia, va sempre così e nonostante ciò -credo di non spoilerare nulla di inaspettato-, di solito finisce molto male. Regoliamoci.
PEACE WITHOUT LOVE. [Post lungo]. Come esseri umani siamo un amalgama di razionalità e sentimento. E’ culturale la divisione che facciamo tra i due modi di essere che condividiamo come umani. Significa che facciamo questa divisione in descrizione, più o meno accentuata e problematica, ma tale distinzione in natura non c’è affatto.
Nulla più che la politica e di conseguenza la geopolitica (ed altri casi tribali come il calcio), eccita entrambi i modi umani. Tuttavia, ci sono buone ragioni per suggerirci di tenere a bada questa commistione o meglio, la sua parte emotiva.
In effetti, se la politica è il trovare il modo di convivenza entro un popolo, la geopolitica potrebbe essere il trovare il modo di convivenza tra i popoli. A livello epistemologico non è esattamente così, geopolitica va sovrapposta ad un’altra disciplina, le Relazioni Internazionali e forse anche altre più normative, per ampliare il suo statuto da descrittivo a prescrittivo. Tuttavia, regge l’idea che come la politica cerca di trasformare conflitti e caos potenziale in un regolamento per le relazioni interne, “geopolitica” -nel senso più ampio datole- dovrebbe cercare di trovare il modo di gestire conflitto e caos potenziale nelle relazioni esterne.
Messa così, che sia politica interna o politica estera, le discipline che studiano le relazioni interne esterne delle poleis (gli Stati), dovrebbero essere razionali e governare l’emotività intrinseca che ci connota e che viene eccitata quando abbiamo a che fare con “l’Altro”.
Da quando siamo finiti a vivere assieme agli estranei, agli albori della civiltà cinque-seimila anni fa circa, s’è posto questo problema del trovare ordine interno ed esterno, problema che prima non c’era. Prima non c’era questo problema quanto agli ordini interni perché i gruppi umani, la vita associata, era basata su longeve interrelazioni tra persone che si conoscevano bene, figli e figlie di altri che si conoscevano bene. Questo “conoscersi” significava -di minima- sapere cosa aspettarsi dall’altro, se non avere un congruo set di comuni valori, mentalità, tradizioni unificanti. Ordine, insomma, in senso ampio. Non così nell’andare a vivere con “estranei” quindi “diversi” come accadde quando sorsero le prime città con decine di migliaia di reciproci estranei.
Quanto alle relazioni esterne, prima della civiltà e per lo più, c’era abbastanza spazio che divideva i gruppi umani, non troppo e quindi favorevole all’interrelazione e scambio (idee, persone, cose), non troppo poco da farli urtare l’un con l’altro. In più, il rapporto tra dotazioni di sussistenza dei territori ed esigenze dei gruppi umani e soprattutto loro dimensione, era ben bilanciato e quindi non c’era il conflitto per lo “spazio vitale”.
L’avvento della “civiltà” che non fu una condizione piovuta da non si sa dove, ma il compimento di una serie di traiettorie soprattutto demografiche ed ecologiche (che nulla avevano a che fare con l’invenzione dell’agricoltura che risale a millenni prima dell’avvento della civiltà), ci mise però in altra condizione. Appunto, trovare regolamenti di convivenza interni ai gruppi umani ed esterni tra gruppi umani. I gruppi non si auto-organizzavano più per eccesso di complessità. Per cinquemila anni, questi due regolamenti dell’interno e dell’esterno, prevalentemente, sono stati forme interne di stretta gerarchia, con un piccolo gruppo di maschi anziani di potere a capo e per lo più la guerra tra gruppi umani, intervallata da periodi di relazioni pacifiche a base di scambi di idee, persone e cose per l’esterno.
La guerra, nonostante gli sforzi di certi “scienziati” bio-sociali anglosassoni che dominano la formazione della nostra immagine di mondo, gente capace di scriverti un libro sul “gene delle guerra” o tirar fuori improbabili teorie sull’aggressività primate trasferita a noi, non è un istinto umano, anche perché mette a rischio la vita e tutta la nostra complessione raffinata in più di tre milioni di evoluzione e cambiamenti, è fatta per evitare la morte il più a lungo possibile. E’ fatta anche di continuo affinamento della capacità di gestire gli istinti, per altro. Da cui la razionalità.
Non solo siamo emotivamente avversi a correre rischi di morte, ma dotati di razionalità, dovremmo esserlo anche sul piano della consapevolezza cosciente. L’aggressività animale a livello inter-individuale, che senz’altro c’è, non porta di per sé all’aggressività di gruppo se non sollecitata intenzionalmente. Tant’è che il registro etno-antropologico è pieno di casi di conflitto tra gruppi simulato, non veramente agito, senza vero spargimento di sangue. Se non mediazioni a base di scambi fino all’andare a vivere da un’altra parte. Negli studi storici, poi, si può apprezzare la sofisticata fantasia narrativa con cui i vari gruppi di potere hanno convinto o costretto i propri giovani ad andar a morire per motivi spesso assai bizzarri.
Tuttavia, l’estrema primitività del nostro grado di civiltà (si ricordi che il genere homo ha tre milioni di anni, il sapiens trecentomila, la “civiltà” solo cinquemila, lo 0,16% del tempo totale) è ancora basata sul fatto che le oligarchie che dominano l’ordine delle nostre società, tali sono per via di sistemi di ordine interno che richiede spesso il dominio esterno, il che porta a conflitto. Il fenomeno non si forma per libera decisione razionale a livello di popolazioni, è formato per via emotiva, l’odio per l’Altro diretto dall’alto.
Molti storici della mentalità hanno osservato sbigottiti la repentina trasformazione di pacifici idraulici e ragionieri europei in quel dei primi del Novecento, in esagitati e schiumanti belve pronte all’assalto con la baionetta. Ancora ci si domanda come sia potuto avvenire nel cuore della “civiltà europea”, Francia, Germania ed altri.
Alcuni che non hanno le idee molto chiare, i “pacifisti” in genere, sono per principio contro la guerra e quindi il conflitto esterno, ma ne deducono improvvidamente la necessità di amare l’Altro. In genere, solo gli stessi che dicono di amare l’Altro che viene occasionalmente a vivere con loro, lo “straniero” o il “migrante”. Meglio senz’altro delle élite conflittuali, non c’è dubbio, ma temo che tali atteggiamenti non aiutino a risolvere il problema della “convivenza con gli estranei”.
In Svezia hanno “amato” democraticamente l’Altro migrato da loro, fino a che questi non hanno raggiunto una massa critica, si sono determinati in enclave culturalmente diversa, creando attriti e potenzialità di conflitto interno. Capita così che la media della popolazione cominci a soffrire di mille piccoli attriti di convivenza con estranei, arriva un partito post-fascista che dice loro “avete ragione! Ora mettiamo ordine, con le buone o con le cattive!” e dopo decenni di serena social-democrazia, vince le elezioni. Che poi, ironia della sorte storica, questo evento di politica interna, è sincronico ad uno di politica estera ovvero la rinuncia allo stato di neutralità che la Svezia ha coltivato per ben due secoli, a partire dalle guerre napoleoniche. Paura, politica della paura, usata da politici diversi, per intenti diversi.
Fare politica o geopolitica coi sentimenti non è buona guida. Con la razionalità, invece, si possono ottenere risultati molto migliori come quelli che ottenne Kissinger che portò il suo presidente, un ultra conservatore americano, a Beijing a stringere la mano a Mao Zedong, pur di dividere la comunista Cina dalla comunista Unione Sovietica che preoccupava gli americani ben di più, impensabile oggi.
Così anche nei problemi di convivenza interna non c’è da amare o da odiare l’Altro, c’è solo da provare e riprovare a trovare una forma di utile convivenza gestita, gestita come lo scopriremo provando e riprovando formule varie. Formule non semplici e naturali, c’è da saperlo senza scandalizzarsi ed accendere l’emotività, farla facile o farsi prender dalla scoramento. Quanti stranieri, di che tipo, in quale congiuntura economica, studiando spesso questioni culturali che i più ignorano, come ad esempio non far finanziare le moschee da sauditi e qatarioti (centri di reclutamento al Qaida e Isis nel primo caso, Fratelli musulmani nel secondo). Se si decidesse di ospitare musulmani sarebbe meglio finanziarle noi le moschee, magari a prestito pluridecennale, il 98% dell’islam non è affatto salafita, basta andare in Oriente per notarlo. Con-vivenza non è né assimilazione, né ostracismo, è lenta e paziente mediazione razionale.
Tutto ciò a seguito della lettura di alcuni commenti sul mio ultimo post a sua volta ripostato da alcuni di Voi sulla propria pagina. Ho letto di gente che pensava esser l’autore del post un amico di Putin o Lukashenka o Xi Jinping o Bin Laden o forse il diavolo in persona, probabilmente anche un po’ razzista e xenofobo con venature orbaniane e criptofasciste, il che per un democratico radicale è ben curiosa misinterpretazione.
La misinterpretazione non credo sia colpa di ciò che scrivo, ma di ciò che molti si sono fatti ficcare in testa. C’è una crescita di sentimenti di odio, interni alla comunità e sincronicamente esterni. Sulla stampa di oggi si trova: a Samarcanda si riunisce il club dei dittatori che vogliono distruggere l’Occidente, il Sauron di Mosca è avido del nostro sangue, Il subdolo cinese ci vuole irretire coi suoi involtini primavera ma poi tirerà fuori la scimitarra per far volar le nostre teste democratiche (dopo aver invaso Taiwan), ci sono addirittura gli iraniani! Se non li odi allora vuol dire che li ami! Principio di non contraddizione applicato a vanvera.
Ricordate, la storia mostra che ogni volta un ordine interno sta per crollare, si irrigidisce internamente (l’Inquisizione non è un fenomeno del pieno Medioevo, solo della sua lunga fine) ed esternamente, il che porta alla guerra.
Per i livelli tecnologici applicati alle armi che abbiamo raggiunto, questa volta la guerra sarebbe da evitare in ogni modo. C’è da trovare il come, non facile. Ma impossibile se non stiamo attenti a sospendere i sentimenti di odio e di amore per l’Altro e non trattiamo la faccenda in modo razionale.
[Non sono sicuro esista davvero in Senegal questo proverbio, ma dovevo mettere una immagine ed è trovato questa che mi sembrava ben precisa rispetto al post]

La cultura filosofico-politica della sinistra e la necessità di voltare pagina, di Vincenzo Costa

La cultura filosofico-politica della sinistra e la necessità di voltare pagina
Inimichiamoci gli ultimi amici
Oramai è necessario, secondo me, andare alla radice. Non per fare polemica per la polemica, ma perché il disastro storico (politico e intellettuale) è così enorme da non permettere che, per amore di pace e per evitare il conflitto (teorico e politico), si taccia.
Io credo che sia la cultura politica di cui si nutre la sinistra nella sua totalità (o nella sua pluralità per usare il linguaggio amato a sinistra, uno dei cliché che bisogna sempre usare nelle discussioni sconclusionate a sinistra) ad impedire ormai che si possa fare politica da sinistra e che possa esserci una visione politica che nasca da sinistra.
La cultura politica di cui si nutre è vecchia, post sessantottina. Cose che 50 anni fa forse avevano un senso, che forse esprimevano esigenze di liberazione, ma ora continuano ad essere ripetute a macchinetta, incuranti del fatto che l’esperienza della vita, il mondo, i rapporti sociali, il tessuto sociale e le motivazioni ideologiche hanno subito trasformazioni gigantesche e sono irriducibili a quella concettialita’.
La cultura politica della sinistra è diventata una lente deformante. Non si ha proprio più il senso della realtà. Lo fa perdere. È solo una nicchia di significato fatta di stereotipi, di espressioni da usare per essere riconosciuti nei vari gruppetti, che sono ormai solo sette.
Questa cultura raccoglie tutto il cascame peggiore degli ultimi 50 anni (dalla butler a Zizek, da Foucault a deleuze, dalla società totalmente amministrata alla società della sorveglianza, alla società dello spettacolo). E lo so che dire questo urta, in maniera diversa, ognuno dei miei amici.
Per carità, si tratta di prospettive che raccoglievano scampoli di realtà, ma erano e sono esasperazioni. Potevano essere interpretazioni, spesso azzardate, spesso espressione di sensibilità soggettiva. Invece sono diventati miti, la MITOLOGiA degli intellettuali, entro cui questa strana forma di vita prospera. E per essere un intellettuale devi usare quella terminologia. È una sorta di segno distintivo.
Questa cultura politica, questo cascami all’origine erano tentativi di pensare qualcosa che emergeva e che per esempio il marxismo non captava. Ma col tempo si sono ridotti a chiacchiera. rimasticati sino alla nausea sono diventati la cultura dalla sinistra: unisce TUTTA la sinistra, da quella liberale a quella antagonista a quella complottista e sovranista.
È una rete concettuale rigida, moralistica, che esclude, che traccia i confini tra “i desti e i dormienti”, per chi ricorda ancora un po’ di filosofia antica. Ovviamente il popolo è la massa dei dormienti, dei cerebrolesi, degli amministrati.
Le conseguenze di questa impostazione sono illimitate. Bisognerà sviluppare e decostruire tutta questa articolazione teorica, spezzarne la rigidità. il diamat in confronto era flessibile e articolato, una concezione aperta. La domanda “allora così proponi?” la capisco, ma retorica. Questo è un post non un libro!!!
Si tratta di una cultura fatta di Miti, i miti della sinistra intellettuale. Miti buoni per farci una tesi di laurea, per spararla grossa, per far colpo o fare il ribelle e la rivoluzione in salotto. Ma inutili o dannosi per fare politica, per capire la realtà, per scoprire in essa il possibile, per coglierne il dinamismo. Miti che estraneano dalla vita reale, dalla quotidianità.
Una cultura politica che invece di dare voce al reale vuole imporre la sua, e si arrabbia perché la realtà va da un’altra parte, una cultura che si sente incompresa, troppo alta troppp vera per i dormienti.
Di qui un divorzio tra cultura politica e intellettuali di sinistra e il resto del paese.
Ecco, credo di essermi inimicato tutti. Ma così è chiaro come la penso e faccio sempre a meno di compagni e amici.
Una sola cosa per chiudere: il solito guardiano della legge, ne appare sempre uno ad ogni post, dirà: ecco, allora stai aprendo la strada alla destra, dillo che sei di destra.
Al guardiano della legge rispondo; sto solo cercando di trovare una strada per uscire dal vicolo cieco e dalla morte storica in cui voi e la vostra cultura avete portato il paese.
Perché se siamo dove siamo è perché quella cultura ci ha portati qui. È essa ad essere distruttiva, non chi la critica
Concordo, la parte più vera ed utile dello scritto è quella nella quale Costa ci invita a riconoscere, duramente, che il medesimo è all’opera nella totalità dell’ecomondo connesso con la cultura della sinistra. E quindi, attenzione, anche con chi di sinistra magari non si è mai sentito, ma l’ha assorbita dalle moltissime strade e vicoletti che ha attraversato – i film, la musica, i romanzi, la pubblicità. Soprattutto musica e pubblicità, le cose che meno si vedono come costrutti ideologici e che sono, al contrario, i più forti.
Ovvero che quella nicchia di significati, come dice Costa, è presente ed inaggirata nella sinistra liberale, in quella ‘antagonista’, in quella ‘sovranista’ (anche se si sente di destra, o ‘oltre la destra e la sinistra’) nella radice stessa del ‘complottismo’ (antico fenomeno, praticamente senza tempo, contemporaneamente sentiero di montagna per i dispersi e labirinto del minotauro, ma senza sassolini).
La presenza nei circoli, ancora più elitari, gergali, infarciti di miti che ‘devono’ essere veri, altrimenti si è fuori, si è ‘dormiente’, che abbiamo (ho) frequentato per anni è ciò che mi ha allontanato. O meglio, il motivo (non l’unico, ma quello rilevante) per cui ho lasciato la carovana andare e mi sono seduto sul ciglio del sentiero, su una pietra.
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Bene, Vincenzo Costa accusa il sessantotto, con ottime ragioni, e nomina autori che hanno grandi colpe (soprattutto i contemporanei), perché hanno esasperato alcuni concetti per stare nel loro tempo, autori che voleva finalmente seppellire Marx e il “moderno”, per liberare l’energia del tempo (di anni nei quali, io ricordo perché avevo venti anni quando quello spirito è calato a terra e si è fatto mondo, una sorta di sottile euforia per la tecnica, mista a paura e senso di soffocamento per il ‘vecchio’ che la ingabbiava, pervadeva tutto). La loro filosofia raccoglieva uno ‘scampolo’ e lo faceva tutto, ma era certo una esasperazione. Passati quaranta anni, o cinquanta, è il mito intorno a cui ci si raccoglie, il totem di danza.
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Ma, io temo, è il totem sia della destra, sia della sinistra, sia dei clan ‘oltre la destra e la sinistra’. Almeno ne è la parte essenziale, poi qualche animale scolpito è diverso, qualche colore è diverso, ma la struttura è quella. Temo si debba andare molto in fondo, molto sotto. E’ qualcosa che condivide tutto l’occidente collettivo (come ci chiamano i cinesi).

Stati Uniti! Primarie ultimo atto, inchieste ultimi atti_con Gianfranco Campa

Siamo all’ultimo atto delle primarie repubblicane. Con esso la componente neocon del partito è praticamente scomparsa e destinata ad un ruolo irrilevante. Rimane l’arma dei finanziamenti, necessaria a catturare i favori del voto di opinione attraverso i canali mediatici. Ridefiniti i rapporti di forza interni al partito, il confronto e lo scontro politico si manifesterà sempre più all’interno della componente trumpiana. Non tarderanno ad emergere, tanto più che parallelamente prosegue inesorabile il duello giudiziario in grado di alterare pesantemente i possibili equilibri e di compromettere sempre più la credibilità delle istituzioni americane, in primo luogo quelle preposte alla sicurezza e all’ordine pubblico. Nel frattempo almeno una parte del gap tecnologico statunitense in alcuni settori del complesso militare sembra colmato. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v1kfl17-stati-uniti-primarie-ultimo-atto-inchieste-ultimi-atti-con-gianfranco-campa.html

Di quale NATO abbiamo bisogno?_ di Stephen M. Walt

Dal punto di vista statunitense la 4a sarebbe la più conveniente e sostenibile, ma anche la più rischiosa. Tutto dipenderebbe dalle garanzie di fedeltà tedesche. Giuseppe Germinario

Quattro possibili assetti futuri per l’alleanza transatlantica.

In un mondo in costante cambiamento, spicca la resistenza della partnership transatlantica. La NATO è più vecchia di me e non sono un giovane. È in circolazione da più tempo di quanto la regina Elisabetta II abbia regnato in Gran Bretagna. La sua logica originale – ” tenere fuori l’Unione Sovietica, dentro gli americani e giù i tedeschi” – è meno rilevante di quanto non lo fosse un tempo (nonostante la guerra della Russia in Ucraina), ma suscita ancora riverenza riflessiva su entrambe le sponde dell’Atlantico . Se sei un aspirante politico che spera di lasciare il segno a Washington, Berlino, Parigi, Londra, ecc., imparare a lodare le virtù durature della NATO è ancora la mossa intelligente per la carriera.

Questa longevità è particolarmente notevole se si considera quanto è cambiato da quando è stata costituita la NATO e l’idea di una “comunità transatlantica” ha cominciato a prendere forma. Il Patto di Varsavia è finito e l’Unione Sovietica è crollata. Gli Stati Uniti hanno trascorso più di 20 anni combattendo guerre costose e senza successo nel grande Medio Oriente . La Cina è passata da una nazione impoverita con poco peso globale al secondo paese più potente del mondo, ei suoi leader aspirano a un ruolo globale ancora più grande in futuro. Anche la stessa Europa ha subito profondi cambiamenti: cambiamenti demografici, ripetute crisi economiche, guerre civili nei Balcani e, nel 2022, una guerra distruttiva che sembra destinata a continuare per qualche tempo.

A dire il vero, la “partenariato transatlantico” non è stata del tutto statica. La NATO ha aggiunto nuovi membri nel corso della sua storia, a cominciare dalla Grecia e dalla Turchia nel 1952, seguite dalla Spagna nel 1982, poi da una raffica di ex alleati sovietici a partire dal 1999 e, più recentemente, dalla Svezia e dalla Finlandia. Anche la distribuzione degli oneri all’interno dell’alleanza ha oscillato, con la maggior parte dell’Europa che ha ridotto drasticamente i propri contributi alla difesa dopo la fine della Guerra Fredda. La NATO ha anche subito vari cambiamenti dottrinali, alcuni dei quali più consequenziali di altri.

Vale quindi la pena chiedersi quale forma dovrebbe assumere in futuro il partenariato transatlantico. Come dovrebbe definire la sua missione e distribuire le sue responsabilità? Come con un fondo comune di investimento, il successo passato non è garanzia di prestazioni future, motivo per cui i gestori di portafoglio intelligenti che cercano i migliori rendimenti regoleranno le attività di un fondo al variare delle condizioni. Dati i cambiamenti passati, gli eventi attuali e le probabili circostanze future, quale visione ampia dovrebbe plasmare la partnership transatlantica in futuro, supponendo che continui ad esistere?

Mi vengono in mente almeno quattro modelli distinti per il futuro.

Modello 1: Business as usual

Un approccio ovvio – e data la rigidità burocratica e la cautela politica, forse il più probabile – è quello di mantenere più o meno intatte le attuali disposizioni e cambiare il meno possibile. In questo modello, la NATO rimarrebbe principalmente focalizzata sulla sicurezza europea (come suggerisce l’espressione “Nord Atlantico” nel suo nome). Gli Stati Uniti rimarrebbero il “primo soccorritore” dell’Europa e il leader incontrastato dell’alleanza, come lo è stato durante la crisi ucraina. La condivisione degli oneri sarebbe ancora distorta: le capacità militari americane continuerebbero a sminuire le forze militari europee e l’ombrello nucleare statunitense coprirebbe ancora gli altri membri dell’alleanza. La missione “fuori area” sarebbe sminuita a favore di una rinnovata attenzione all’Europa stessa, una decisione che ha senso alla luce dei risultati deludenti delle passate avventure della NATO in Afghanistan, Libia e i Balcani.

Ad essere onesti, questo modello ha alcune ovvie virtù. È familiare e mantiene il “ciuccio americano” d’Europaa posto. Gli stati europei non dovranno preoccuparsi dei conflitti che insorgono tra di loro finché lo zio Sam sarà ancora lì per fischiare e sciogliere le liti. I governi europei che non vogliono tagliare i loro generosi welfare state per pagare i costi del riarmo saranno felici di lasciare che lo zio Sam si occupi di una quota sproporzionata dell’onere, e i paesi più vicini alla Russia saranno particolarmente desiderosi di una forte garanzia di sicurezza degli Stati Uniti. Avere un chiaro leader dell’alleanza con capacità sproporzionate faciliterà un processo decisionale più rapido e coerente all’interno di quella che altrimenti potrebbe essere una coalizione ingombrante. Quindi, ci sono buone ragioni per cui gli atlantisti irriducibili lanciano l’allarme ogni volta che qualcuno propone di manomettere questa formula.

Tuttavia, il modello business-as-usual presenta anche alcuni seri svantaggi. Il più ovvio è il costo opportunità: mantenere gli Stati Uniti come primo interlocutore dell’Europa rende difficile per Washington dedicare tempo, attenzione e risorse sufficienti all’Asia, dove le minacce agli equilibri di potere sono significativamente maggiori e l’ambiente diplomatico è particolarmente complicato . Un forte impegno degli Stati Uniti nei confronti dell’Europa può smorzare alcune potenziali cause di conflitto lì, ma non ha impedito le guerre nei Balcani negli anni ’90 e lo sforzo guidato dagli Stati Uniti per portare l’Ucraina nell’orbita di sicurezza occidentale ha contribuito a provocare la guerra in corso. Questo non è ciò che qualcuno in Occidente intendeva, ovviamente, ma i risultati sono ciò che conta. I recenti successi dell’Ucraina sul campo di battaglia sono estremamente gratificanti e spero che continuino, ma sarebbe stato molto meglio per tutti gli interessati se la guerra non si fosse verificata affatto.

Inoltre, il modello business-as-usual incoraggia l’Europa a rimanere dipendente dalla protezione europea e contribuisce a un generale compiacimento e mancanza di realismo nella conduzione della politica estera europea. Se sei sicuro che la potenza più potente del mondo salterà dalla tua parte non appena inizieranno i problemi, è più facile ignorare i rischi di essere eccessivamente dipendenti dalle forniture energetiche straniere e eccessivamente tolleranti verso l’autoritarismo strisciante più vicino a casa. E sebbene quasi nessuno voglia ammetterlo, questo modello ha il potenziale per trascinare gli Stati Uniti in conflitti periferici che potrebbero non essere sempre vitali per la sicurezza o la prosperità degli stessi Stati Uniti. Per lo meno, il business as usual non è più un approccio che dovremmo approvare acriticamente.

Modello 2: Democrazia Internazionale

Un secondo modello per la cooperazione transatlantica in materia di sicurezza mette in evidenza il carattere democratico condiviso di (la maggior parte) dei membri della NATO e il crescente divario tra democrazie e autocrazie (e soprattutto Russia e Cina). Questa visione è alla base degli sforzi dell’amministrazione Biden di enfatizzare i valori democratici condivisi e il suo desiderio apertamente dichiarato di dimostrare che la democrazia può ancora superare l’autocrazia sulla scena globale. La Fondazione Alliance of Democracies dell’ex segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen riflette una concezione simile.

A differenza del modello business-as-usual, incentrato principalmente sulla sicurezza europea, questa concezione del partenariato transatlantico abbraccia un’agenda globale più ampia. Concepisce la politica mondiale contemporanea come una contesa ideologica tra democrazia e autocrazia e crede che questa lotta debba essere condotta su scala globale. Se gli Stati Uniti sono “perno” verso l’Asia, allora anche i suoi partner europei devono farlo, ma allo scopo più ampio di difendere e promuovere i sistemi democratici. Coerentemente con questa visione, la nuova strategia indo-pacifica della Germania richiede di rafforzare i legami con le democrazie di quella regione e il ministro della Difesa tedesco ha recentemente annunciato una presenza navale ampliata anche lì nel 2024.

Questa visione ha il merito della semplicità – democrazia buona, autocrazia cattiva – ma i suoi difetti superano di gran lunga le sue virtù. Tanto per cominciare, un tale quadro complicherà inevitabilmente le relazioni con le autocrazie che gli Stati Uniti e/o l’Europa hanno scelto di sostenere (come l’Arabia Saudita o le altre monarchie del Golfo, o potenziali partner asiatici come il Vietnam), ed esporrà il convivenza con l’accusa di dilagante ipocrisia. In secondo luogo, dividere il mondo in democrazie amichevoli e dittature ostili è destinato a rafforzare i legami tra queste ultime e a scoraggiare le prime dal giocare divide et impera. Da questo punto di vista, dovremmo essere lieti che l’allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon e il suo consigliere Henry Kissinger non abbiano adottato questa struttura nel 1971, quando il loro riavvicinamento con la Cina maoista diede al Cremlino un nuovo mal di testa di cui preoccuparsi.

Infine, mettere i valori democratici in primo piano e al centro rischia di trasformare la partnership transatlantica in un’organizzazione crociata che cerca di impiantare la democrazia ovunque sia possibile. Per quanto desiderabile tale obiettivo possa essere in astratto, gli ultimi 30 anni dovrebbero dimostrare che nessun membro dell’alleanza sa come farlo in modo efficace. Esportare la democrazia è estremamente difficile da fare e di solito fallisce, specialmente quando gli estranei cercano di imporla con la forza. E dato il precario stato di democrazia in alcuni degli attuali membri della NATO, adottare questa come la principale ragion d’essere dell’alleanza sembra estremamente donchisciottesco.

Modello 3: Globalizzazione contro la Cina

Il Modello 3 è un cugino stretto del Modello 2, ma invece di organizzare le relazioni transatlantiche attorno alla democrazia e ad altri valori liberali, cerca di coinvolgere l’Europa nel più ampio sforzo degli Stati Uniti per contenere una Cina in ascesa. In effetti, cerca di unire i partner europei multilaterali dell’America con gli accordi bilaterali hub-and-spoke che già esistono in Asia e portare il potenziale di potere dell’Europa contro l’unico serio concorrente che gli Stati Uniti probabilmente dovranno affrontare per molti anni venire.

A prima vista, questa è una visione allettante e si potrebbe indicare l’accordo AUKUS tra Stati Uniti, Regno Unito e Australia come una sua prima manifestazione. Come ha osservato di recente Michael Mazarr della Rand Corp. , ci sono prove crescenti che l’Europa non vede più la Cina semplicemente come un mercato redditizio e un partner di investimento prezioso, e sta iniziando a “bilanciare dolcemente” contro di essa. Da una prospettiva puramente americana, sarebbe altamente auspicabile che il potenziale economico e militare dell’Europa si schierasse contro il suo principale sfidante.

Ma ci sono due problemi evidenti con questo modello. In primo luogo, gli stati si bilanciano non solo con il potere, ma con le minacce e la geografia gioca un ruolo fondamentale in tali valutazioni. La Cina può essere sempre più potente e ambiziosa, ma il suo esercito non marcerà attraverso l’Asia e colpirà l’Europa, e la sua marina non navigherà per il mondo e bloccherà i porti europei. La Russia è molto più debole della Cina ma molto più vicina, e il suo comportamento recente è preoccupante anche se le sue azioni hanno inconsapevolmente rivelato i suoi limiti militari. Ci si dovrebbe quindi aspettare il più morbido bilanciamento morbido dall’Europa e non uno sforzo serio per contrastare le capacità della Cina.

I membri europei della NATO non hanno la capacità militare di influenzare in modo significativo l’equilibrio di potere nella regione indo-pacifica ed è improbabile che la acquisiscano presto. La guerra in Ucraina potrebbe portare gli stati europei a prendere sul serio la ricostruzione delle loro forze militari, finalmente, ma la maggior parte dei loro sforzi andrà ad acquisire capacità di terra, aria e sorveglianza progettate per difendere e scoraggiare la Russia. Ciò ha senso dal punto di vista dell’Europa, ma la maggior parte di queste forze sarebbe irrilevante per qualsiasi conflitto che coinvolga la Cina. L’invio di alcune fregate tedesche nella regione indo-pacifica può essere un bel modo per segnalare l’interesse dichiarato della Germania per l’ambiente di sicurezza in evoluzione lì, ma non altererà l’equilibrio di potere regionale o farà molta differenza nei calcoli della Cina.

L’Europa può aiutare a bilanciare la Cina in altri modi, ovviamente, aiutando ad addestrare forze militari straniere, vendendo armi, partecipando a forum di sicurezza regionali, ecc., e gli Stati Uniti dovrebbero accogliere favorevolmente tali sforzi. Ma nessuno dovrebbe contare sull’Europa per fare molto duro bilanciamento nel teatro indo-pacifico. Cercare di mettere in atto questo modello è una ricetta per la delusione e un aumento del rancore transatlantico.

Modello 4: una nuova divisione del lavoro

Sapevi che sarebbe arrivato: il modello secondo me è quello giusto. Come ho affermato in precedenza (incluso più recentemente qui in Foreign Policy ), il modello futuro ottimale per la partnership transatlantica è una nuova divisione del lavoro, con l’Europa che si assume la responsabilità primaria della propria sicurezza e gli Stati Uniti che dedicano molta più attenzione nella regione indo-pacifica. Gli Stati Uniti rimarrebbero un membro formale della NATO, ma invece di essere il primo soccorritore dell’Europa, diventerebbero il loro alleato di ultima istanza. D’ora in poi, gli Stati Uniti avrebbero pianificato di tornare a terra in Europa solo se l’equilibrio di potere regionale si fosse eroso in modo drammatico, ma non altrimenti.

Questo modello non può essere implementato dall’oggi al domani e dovrebbe essere negoziato in uno spirito di cooperazione, con gli Stati Uniti che aiutano i loro partner europei a progettare e acquisire le capacità di cui hanno bisogno. Poiché molti di questi stati faranno tutto ciò che è in loro potere per convincere lo zio Sam a restare, tuttavia, Washington dovrà chiarire che questo è l’unico modello che sosterrà in futuro. A meno che e fino a quando i membri europei della NATO non crederanno davvero che staranno per lo più da soli, la loro determinazione a intraprendere le misure necessarie rimarrà fragile e ci si può aspettare che si ritiri nei loro impegni.

A differenza di Donald Trump, la cui spavalderia e magniloquenza durante il suo periodo come presidente degli Stati Uniti ha infastidito gli alleati inutilmente, il suo successore Joe Biden è in una posizione ideale per avviare questo processo. Ha una meritata reputazione di atlantista devoto, quindi spingere per una nuova divisione del lavoro non sarebbe visto come un segno di risentimento o irritazione. Lui e il suo team sono in una posizione unica per dire ai nostri partner europei che questo passo è nell’interesse a lungo termine di tutti. Intendiamoci, non mi aspetto davvero che Biden & Co. faccia questo passo , per ragioni che ho spiegato altrove , ma dovrebbero.

Finalmente Svezza l’Europa al largo di Washington

Di Stephen M. Walt

Quando la politica estera ha chiesto per la prima volta l’impatto della guerra in Ucraina sulla strategia degli Stati Uniti cinque mesi fa, ho sostenuto che l’invasione illegale dell’Ucraina da parte della Russia era un’opportunità ideale per avviare il processo di svezzamento degli alleati europei degli Stati Uniti dalla loro eccessiva dipendenza dalla protezione degli Stati Uniti. Semmai, da allora la tesi per una nuova divisione del lavoro si è rafforzata.

La guerra ha dimostrato che l’hard power conta ancora nel 21° secolo, ha messo in luce le carenze militari dell’Europa, ha sottolineato sottilmente i limiti dell’impegno degli Stati Uniti e ha rivelato i limiti militari duraturi della Russia. Ricostruire le difese dell’Europa richiederà tempo e denaro, ma fare in modo che l’Europa si assuma maggiori responsabilità per la propria difesa consentirà agli Stati Uniti di spostare maggiori sforzi e attenzione sull’Asia per affrontare le numerose sfide poste da una Cina più potente e assertiva.

Sfortunatamente, l’amministrazione Biden sta ignorando queste implicazioni e sta rafforzando la dipendenza europea dallo Zio Sam. Se questo corso continua, gli Stati Uniti rimarranno sovraccarichi e la loro capacità di bilanciare efficacemente la Cina ne risentirà.

Cosa è successo negli ultimi cinque mesi per sostenere la tesi dello svezzamento dell’Europa da Washington?

La tesi per una nuova divisione del lavoro tra Stati Uniti ed Europa si è rafforzata solo dall’inizio della guerra.

In primo luogo, le prestazioni militari della Russia non sono migliorate in modo significativo e le sue forze armate continuano a subire perdite sostanziali. Anche se il maggiore potere latente di Mosca le consentirà di ottenere una sorta di vittoria di Pirro in Ucraina, la sua capacità di minacciare il resto dell’Europa in futuro sarà minima. La Russia ha perso una parte considerevole delle sue armi più sofisticate e della sua forza lavoro militare meglio addestrata. Le sanzioni occidentali hanno danneggiato in modo significativo la sua economia. Le restrizioni alle esportazioni renderanno molto più difficile l’acquisizione da parte dell’industria della difesa russa dei semiconduttori avanzati e altre tecnologie che richiedono armi all’avanguardia. Nel tempo, gli sforzi europei per ridurre la dipendenza dal petrolio e dal gas russi priveranno Mosca delle entrate e ostacoleranno ulteriormente la sua capacità di ricostruire le sue forze militari una volta che i combattimenti in Ucraina saranno finiti.

In secondo luogo, Svezia e Finlandia sono state accolte nella NATO. A differenza di altri nuovi membri del blocco, entrambi i paesi hanno potenti forze militari e il loro ingresso complica enormemente la pianificazione della difesa russa, trasformando il Mar Baltico in un lago virtuale della NATO. Questo inclina gli equilibri di potere in Europa in modo ancora più decisivo a favore della NATO.

Terzo, gli eventi in Asia, come le vaste esercitazioni militari cinesi seguite alla recente visita della presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi a Taiwan, hanno sottolineato il ruolo centrale del potere statunitense nel preservare un favorevole equilibrio di potere in Asia. Se impedire l’emergere di un egemone rivale in una regione strategica vitale rimane un principio cardine della grande strategia statunitense, allora è essenziale orientarsi verso l’Asia, indipendentemente da ciò che accade in Ucraina.

Sfortunatamente, l’amministrazione Biden potrebbe ora ripetere gli stessi errori che in passato hanno incoraggiato i partner europei di Washington a trascurare le proprie capacità di difesa. Gli Stati Uniti si sono assunti la responsabilità primaria di armare, addestrare, sovvenzionare e consigliare l’Ucraina. A febbraio, l’amministrazione ha annunciato il dispiegamento a tempo indeterminato di 20.000 truppe americane aggiuntive in Europa, con l’aggiunta di altre nuove forze a giugno. Non sorprende che la determinazione europea a fare di più stia svanendo e le abitudini radicate nel free-riding stiano riemergendo. L’imminente recessione europea non farà che esacerbare queste tendenze, mettendo in dubbio le audaci promesse che la Germania e altri stati europei hanno fatto alcuni mesi fa.

Se questa tendenza non viene invertita, Washington si ritroverà a fare più del necessario in Europa ma non abbastanza in Asia. Per la grande strategia statunitense, sarebbe un errore fondamentale.

Stephen M. Walt è editorialista di Foreign Policy e Robert e Renée Belfer professore di relazioni internazionali all’Università di Harvard.

https://foreignpolicy.com/2022/09/14/nato-future-europe-united-states/

https://foreignpolicy.com/2022/09/02/us-grand-strategy-ukraine-russia-china-geopolitics-superpower-conflict/

Elezioni_Draghi e dopodraghi, un decreto sibillino_con Augusto Sinagra

Il Governo Draghi volge al tramonto; forse ad un possibile, anche se improbabile ritorno, quantomeno nelle attuali spoglie. L’importanza degli atti di questo governo dimissionario, in piedi per le sole funzioni ordinarie, è analoga, se non addirittura più dirompente, rispetto alla fase di pieno esercizio. Il merito delle azioni politiche si discosta sempre più dal rispetto delle forme giuridiche. E’ un segno tipico della crisi e della decadenza di una forma istituzionale e dell’ingresso definitivo in una condizione di emergenza tanto strisciante ed inquietante, quanto surrettizia e non dibattuta. Il recente decreto del 9 settembre sui poteri straordinari del capo di governo è il frutto più avvelenato di questo contesto. Non sarà l’ultimo; è semplicemente propedeutico. Un ceto politico e una classe dirigente di inetti, succubi e vili pronti a trascinare un intero paese verso il disastro senza colpo ferire e ad annichilire ogni capacità di reazione e di consapevolezza. Una èlite che per garantire la propria sopravvivenza non esita a fare il vuoto intorno a sé. Non riesce a far altro che proporre le ennesime false alternative e bruciarle in tempi sempre più ristretti, inquadrandoli in un percorso già segnato nel quale i neofiti del prossimo governo non vedono l’ora di incanalarsi beatamente. All’esterno del cerchio magico, un quadro altrettanto sconfortante con qualche barlume di lucidità, subito piegato, però, dalla logica delle rivalse e della ghettizzazione politica. Un appello alla nazione che paradossalmente si rivolge ad una fazione. Ne parleremo dopo le elezioni. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v1k7n8b-elezioni-draghi-e-dopodraghi-un-decreto-sibillino-con-augusto-sinagra.html

La guerra, di George Friedman

Giudizi dall’altro campo, ma che in buona parte coincidono con quelli dei dirimpettai. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Durante la seconda guerra mondiale, bisognava dire solo “la guerra” perché gli altri sapessero di cosa si stava discutendo. Siamo arrivati ​​allo stesso punto con la guerra russo-ucraina. Questo non è ciò che i russi si aspettavano che accadesse. Si aspettavano che la guerra finisse rapidamente perché consideravano i loro militari evidentemente superiori a ciò che gli ucraini avrebbero messo in campo. Poche nazioni iniziano una guerra presumendo che perderanno. Iniziano guerre con la stessa aspettativa: colpisci duro e torna a casa per Natale. Ma la storia del mondo è piena di storie di grandi eserciti e guerrieri che combattono battaglie lunghe e disperate. E la storia della guerra è piena di esempi di fiducia che incontrano la realtà.

Non è affatto chiaro quale sarà il risultato finale. L’offensiva russa iniziale si concluse con un fallimento, non tanto a causa delle forze ucraine, per quanto coraggiose potessero essere state, quanto a causa di una strategia russa poco sviluppata, che portò a carenze di rifornimenti e fallimenti di comando. I russi si raggrupparono, concentrandosi su avanzamenti più modesti nell’aspettativa che nel tempo avrebbero spezzato le forze ucraine e occupato, se non tutta l’Ucraina, almeno una parte sostanziale di essa.

Controllo territoriale russo dell'Ucraina, 9/11/22
(clicca per ingrandire)

Gli ucraini non si sono spezzati. Le guerre sono combattute dai soldati, ma sono anche combattute con armi e intelligenza. Anche i soldati coraggiosi fallirebbero senza questo e altro materiale. È qui che i russi hanno sperimentato il proprio fallimento dell’intelligence. Sapevano che gli Stati Uniti avevano la capacità di schierare armi di livello mondiale, ma credevano che il dispiegamento avrebbe richiesto tempo. Quindi doveva essere una guerra breve, e quando non riuscirono a ottenere una rapida vittoria, gli ucraini furono armati con una straordinaria gamma di armi all’avanguardia, consegnate in numero e tipo in espansione, con perdite sostituite.

Gli Stati Uniti hanno guadagnato tempo affinché l’esercito ucraino si evolvesse dalla forza di fanteria leggera che iniziò la guerra in un esercito che assomigliava, per molti versi, a una grande potenza. I sistemi antiaerei costrinsero i russi a prestare attenzione, i sistemi anti-corazza li indussero a concentrarsi sul movimento di fanteria e l’artiglieria americana significava che gli ucraini potevano vincere duelli di artiglieria. Il presidente russo Vladimir Putin in diverse occasioni ha affermato che la guerra non era contro l’Ucraina ma contro gli Stati Uniti. In un certo senso aveva ragione, anche se lo intendeva solo come propaganda.

Tutto ciò è vero e fuorviante. La guerra non è finita e l’Ucraina non ha vinto, sebbene i recenti progressi siano significativi. Nessuno avrebbe creduto che l’Ucraina potesse sopravvivere all’assalto russo nei primi mesi. Ma lo ha fatto. I russi riorganizzarono la loro struttura di comando, introdussero armature superiori e imposero una dura disciplina alle loro truppe. Hanno pagato un prezzo sbalorditivo, ma col tempo hanno ridefinito la guerra.

Ora devono ritrovare il loro equilibrio. Da un lato, sono in condizioni di gran lunga migliori rispetto al 1941. La sconfitta definitiva è molto improbabile e possono scegliere il momento e il luogo per attaccare da un ampio menu. D’altra parte, sono in condizioni molto peggiori. Non sono in una lotta per la vita o la morte contro un nemico mostruoso. Le truppe non stanno difendendo le loro mogli e i loro genitori da destini indicibili. I soldati non sono consegnati alla propria morte. Ma a volte può distruggere un esercito per combattere per fini che non sono personali per i soldati. Buttare via i loro fucili non è un affronto alle loro famiglie.

I russi stanno comunque combattendo con tutto questo in mente. Non stanno semplicemente combattendo per posticipare l’inevitabile perché più a lungo dura una guerra, maggiore è il prezzo che pagano i leader. Putin non può permettersi di perdere questa guerra, né i tanti altri che hanno contribuito a pianificarla. Quindi, prima di festeggiare, ucraini e americani devono calcolare la loro prossima mossa, partendo dal presupposto che la prossima mossa della Russia sia il collasso o la capitolazione, entrambi improbabili.

Una cosa su cui i russi potrebbero contare è un inverno molto freddo in Europa, che potrebbe portare alla capitolazione europea. Ma in questa fase della guerra non importa molto. Il sostegno dell’Europa è incoraggiante ma ha un significato militare minimo. Gli Stati Uniti e l’Ucraina non smetteranno di combattere per mantenere l’Europa in guerra.

Un’altra strategia che i russi potrebbero tentare è chiedere aiuto alla Cina. Ma sono già alleati con la Cina e la Cina non si è mossa per aiutare. La Cina potrebbe supportare solo un piccolo contingente in Ucraina, che dovrebbe rifornire a causa dei limiti russi. La Cina è anche consapevole della guerra economica che gli Stati Uniti stanno conducendo contro la Russia e, data la propria condizione economica, la Cina non vuole affrontarla.

Una terza strategia potrebbe essere quella di negoziare la pace. Ma i russi non possono tornare al confine russo con nient’altro che soldati morti a dimostrarlo. Gli ucraini non cederanno parte del loro paese, considerando qualsiasi insediamento come temporaneo. Un negoziato da entrambe le parti sarebbe ora una capitolazione.

La quarta strategia è l’unica che sembra una reale possibilità. Una parte deve sconfiggere l’altra. Nessuna delle parti può permettersi il costo del fallimento di un simile attacco. Il vantaggio russo è la manodopera. Ci sono rapporti da più fonti, comprese quelle americane, di un gran numero di truppe russe che si addestrano nell’Estremo Oriente russo. I russi hanno bisogno di più truppe, quindi questi rapporti sono credibili. La Russia non ha intenzione di sconfiggere un esercito armato di armi americane con il numero di forze che ha schierato finora. I russi devono scegliere se attaccare con una forza schiacciante o perdere la guerra. Sceglieranno il primo.

I russi sono protetti da una realtà politica e militare. Gli Stati Uniti non sono interessati a colpire direttamente la Russia, né con armi convenzionali né con armi nucleari. La Russia può rispondere. Nessuna delle parti vuole una guerra russo-americana diretta. I rinforzi possono essere colpiti all’attraversamento dell’Ucraina, ma i russi invieranno un gran numero di tirocinanti perché sono inevitabili pesanti perdite in ogni fase.

Finché Putin sarà presidente, sarà fatto ogni sforzo per vincere, perché non può permettersi niente di meno della vittoria. E non vedo altre possibili strategie se non quella della manodopera, che presumo accadrà molto presto o dopo l’inverno. Non mi sembra che le attuali forze schierate dalla Russia possano fare di più che mantenere alcune aree. Ci deve essere un rinforzo. Putin potrebbe avere altre strategie, ma sono difficili da immaginare.

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