Circa il discorso di Angela Merkel al Bundestag, di Alessandro Visalli

Circa il discorso di Angela Merkel al Bundestag. Coronavirus e cronache del crollo.

In fondo al testo c’è il link e il testo con la trascrizione integrale in italiano del discorso. Basta una semplice comparazione con l’analogo del nostro PdC per farsi già una prima idea della diversa qualità di approccio e di comportamento_Giuseppe Germinario

Il 22 aprile il Cancelliere tedesco, Angela Merkel, in vista del Consiglio Europeo del 23, ha pronunciato un lungo discorso al suo Parlamento, nel quale ha riassunto la strategia tedesca di contrasto al coronavirus, basata su un lock down flessibile e differenziato, potenziamento dei servizi territoriali e dei tamponi, espansione della capacità di cura, quindi ha descritto le misure per la fase di allentamento che parte da loro come da noi, con tracciabilità digitale e regole di distanziamento, infine i suoi timori per le pressioni che il sistema produttivo, in Germania come in Italia ed in Inghilterra, vuole riaprire senza se e senza ma. Nella parte finale illustra le misure di sostegno e chiarisce in modo inequivocabile che oltre al Mes ed al potenziamento del Bilancio Europeo (al prezzo di ulteriori, decise, cessioni di sovranità asimmetriche[1]) non c’è altro. Eventuali “eurobond” (comunque si chiamino) dovranno passare per la modifica dei Trattati.

Il confronto delle strategie è interessante, ma ancora di più lo è quello delle procedure. In Germania le misure sono passate per progetti di legge licenziati con la necessaria velocità, in Italia con un basso trucco in linea con la costante umiliazione del Parlamento di questi ultimi anni. La differenza è enorme, sia nella qualità del prodotto, sia nelle conseguenze. Se si sceglie la scorciatoia di licenziare Dpcm, che sono atti monocratici, senza l’obbligo di discuterli ed approvarli ottenendo il relativo consenso, e senza sapere neppure che il Dl (si scegliesse questa strada intermedia) comunque dopo 60 gg. Sarebbe da convertire, l’atto ne risentirà (come peraltro si vede bene). Inoltre, il precedente di ulteriore accelerazione governista ed allontanamento dalla sostanza discorsiva della democrazia scaverà ai piedi della legittimazione percepita delle scelte. Quindi della coesione sociale del paese, che, invece, dovrebbe essere convinto e quindi unito. Alla fine è una strada che tende a rafforzarsi, al cui termine lampeggiano nubi temporalesche.

Ma veniamo alla lettura del testo.

L’avvio è enfatico, come accade praticamente a tutti i governi in questo contesto, siamo in tempi “del tutto straordinari e gravi … sottoposti ad una prova come non c’è mai stata dalla Seconda guerra mondiale”. Il motivo è presto detto, “in gioco non c’è niente di meno che la vita e la salute delle persone”, ma, precisazione importante, “ne va della coesione e della solidarietà della nostra società e in Europa”. La posta è individuata: vita individuale e vita collettiva. Le persone e la società. Entrambe a rischio di morte.

Sulla stella linea Boris Johnson, che nel suo primo discorso dopo essere tornato al lavoro ha citato, in latino, Cicerone: “salus populi suprema lex esto”, ovvero “la legge suprema sia il benessere della popolazione”, allo scopo di resistere alle pressioni, anche economiche, degli industriali per riaprire subito. Avendo personalmente scampato la morte è nella posizione psicologica migliore per farlo. Per questo sottolinea il rischio di ricadere immediatamente.

Leggeremo il testo del discorso confrontando somiglianze e differenze con quel che il governo italiano sta contemporaneamente facendo.

Come abbiamo scritto, proprio all’avvio la differenza più evidente, e più importante:

  • Mentre il governo italiano riserva a Parlamento il ruolo secondario di tribuna, e prende le sue decisioni con lo strumento incongruo del Dpcm[2], un atto amministrativo che non può promuovere norme, invece del più solido Decreto Legge, che in questo caso sarebbe giustificato, o lo strumento del progetto di legge con procedura di urgenza, che sarebbe quello più solido ed opportuno,
  • Il governo tedesco ha inviato dei progetti di legge al suo parlamento e chiesto l’approvazione dei relativi mezzi finanziari. Leggiamo: “Io sto dinnanzi a voi come la cancelliera di un governo che nelle scorse settimane ha deciso insieme ai Laender federali delle misure per le quali non c’è alcun precedente storico sul quale sia possibile orientarsi. Noi abbiamo inviato a voi, il Parlamento, dei progetti di legge e vi abbiamo chiesto l’approvazione di mezzi finanziari di una dimensione che prima della pandemia del coronavirus era semplicemente inimmaginabile. Ringrazio di tutto cuore per il fatto che il Bundestag, come del resto anche il Bundesrat, in queste difficili circostanze abbiamo discusso e deciso i provvedimenti legislativi con estrema rapidità”.

La differenza essenziale tra questi due comportamenti, che ricorrerà anche altrove, è che il governo italiano è estremamente debole. Si regge su una maggioranza altamente litigiosa e divisa praticamente in tutto, ha una legittimazione elettorale minima (essendo formato da due forze che si erano presentate le une contro le altre, ed una delle quali aveva anche perso), emerge da anni di umiliazione costante del Parlamento e di abitudine a non prendere alcuna decisione sostanziale per effetto del cosiddetto “vincolo esterno”.

La Cancelliera tedesca ha scelto un’altra via, e ci tornerà a più riprese, ma è cosciente che la pandemia sia “una grave imposizione democratica”, e che, per questo, sia accettabile solo “se le motivazioni delle limitazioni sono trasparenti e comprensibili, se la critica e il contraddittorio sono non solo permessi, ma anzi stimolati e che vengano ascoltati: da tutte le parti. In questo è di aiuto anche la libera stampa”.

La verità, è che in Italia manca, e abbastanza radicalmente, un presupposto perché questo corretto principio democratico sia rispettato: la fiducia. Manca nel Parlamento e nel paese (ma naturalmente si potrebbe anche dire che la fiducia va guadagnata, e non può essere pretesa). Leggiamo ancora la Merkel: “In questo ci aiuta il nostro ordinamento federale. In questo ci aiuta anche la reciproca fiducia alla quale si è potuto assistere in queste ultime settimane qui in Parlamento e dappertutto nel Paese. E’ ammirevole con quanta naturalezza le cittadine e i cittadini si siano impegnati l’uno per l’altro e si sono limitati come cittadine e cittadini a favore degli altri.

Nel seguito la Cancelliera richiama le misure di lock down che, anche se in misura meno uniforme, sono state praticate anche in Germania e i necessari, dolorosi, adattamenti che ciascuno ha dovuto subire. E con abilità mostra di comprendere il sentimento di stanchezza che, in Germania come in Italia e ovunque, emerge dopo due mesi di blocchi[3]. Ma immediatamente, come del resto ha fatto anche Conte (e Johnson) nel suo discorso, chiarisce che le spinte a riaprire tutto e subito, che in tutti paesi le forze dell’industria portano avanti con brutale energia, devono segnare il passo. Non è piacevole ma “non siamo alla fase finale dell’epidemia, ma siamo ancora al suo inizio”. Nel dire agli spiriti animali dell’economia che devono restare in attesa segna quello che, in Germania come in Italia e in Inghilterra, ed ovunque, è sempre stato il punto: “La domanda di come possiamo impedire che il virus ad un certo punto possa travolgere il nostro sistema sanitario e che di conseguenza possa costare la vita a un numero immenso di persone rimarrà ancora a lungo la questione centrale per la politica, in Germania e in Europa.[4]

A questo fine usa una immagine che nella nordica Germania deve avere una particolare presa nella memoria collettiva: “Ci muoviamo su ghiaccio sottile. Si può anche dire: su ghiaccio sottilissimo.

Dunque, la Germania sta avendo successo, l’epidemia rallenta (come in Italia, anzi un poco di più), e in questo “guadagna tempo”. Tempo che va usato per rafforzare il sistema sanitario. Qui interviene una spiegazione tecnica che prende un bel pezzo del discorso:

“Il punto angolare, intorno al quale girano tutti gli sforzi in campo medico, sono i reparti di terapia intensiva. Lì si decide il destino di coloro che sono più colpiti dal coronavirus. Conosciamo tutti i terribili racconti dagli ospedali di alcuni Paesi che per alcune settimane sono stati semplicemente travolti dal virus. Che non si arrivi a questo è il semplice e al tempo stesso ambizioso obiettivo del governo federale. Io ringrazio il nostro ministro alla Sanità, Jens Spahn, ma anche i ministri alla Salute dei Laender, che lavorano instancabilmente a questo obiettivo: e con successi che sono evidenti.

Abbiamo esteso in maniera significativa il numero degli apparecchi per la respirazione. Con l’apposita legge ci siamo accertati che gli ospedali potessero realizzare ulteriori capacità di ricovero intensivo. Così oggi possiamo verificarlo: il nostro sistema sanitario ha retto a questa prova. Ogni paziente di coronavirus ottiene anche nei casi più gravi il miglior trattamento possibile, rispettoso della dignità umana.

Questo lo dobbiamo, più che a tutti provvedimenti statali, al lavoro e al sacrificio di medici, di personali sanitario e del soccorso, delle tante persone che con la loro fatica e la loro capacità d’azione realizzano proprio quello che noi chiamiamo semplicemente ‘il nostro sistema sanitario’. Li ringraziamo con questo applauso, e questo ringraziamento lo voglio estendere anche alle soldatesse e ai soldati della Bundeswehr, che danno il loro contributo in molti luoghi.

Un ruolo forse meno visibile in pubblico ma altrettanto decisivo nella lotta contro la pandemia è quello dell’amministrazione pubblica sanitaria. Si tratta di quasi 400 uffici sanitari locali. Se vogliamo riuscire a controllare e rallentare lo sviluppo dell’infezione, abbiamo bisogno che questi uffici siano in piena forza. Ed io aggiungo: in una condizione più forte di quanto non fossero prima della pandemia.

Per questo abbiamo deciso tra governo e Laender di dare a questi uffici più collaboratrici e collaboratori, in modo che possano effettivamente essere messi in grado di perseguire anche il compito di tracciare i contatti di una persona infetta. Il Robert Koch Institut istituirà 105 team mobili con studenti, i cosiddetti ‘containment scouts’, che possono essere utilizzati là dove vi sia particolare necessità.”

Il punto cruciale sono i reparti di terapia intensiva, che garantiscono a tutti le cure rispettose della dignità di ciascuno, ma anche gli uffici sanitari territoriali distribuiti, il vero punto debole della nostra organizzazione sanitaria, in grado di fornire assistenza distribuita e di identificare tempestivamente i focolai.

Quindi sarà trattata la questione dei dispositivi ed equipaggiamenti di protezione individuale, per i quali il governo ha predisposto l’approvvigionamento centralizzato, sottraendolo al mercato[5], ma, al contempo per i quali si sta organizzando per restringere le catene di fornitura: “la pandemia ci insegna: non è bene se gli equipaggiamenti di protezione vengano acquisiti solo da Paesi lontani. Maschere che constano solo pochi centesimi nella pandemia possono diventare un fattore strategico. La Repubblica federale e l’Unione europea lavorano affinché si torni ad essere più indipendenti da Paesi terzi in questo ambito. Per questo siamo aumentando le capacità produttive per questi ben in Germania e in Europa con grande pressione”.

Terzo elemento, la capacità di testing: “Se ci chiediamo in cosa abbiamo beneficiato in questa prima fase della diffusione del virus, allora sono – oltre ai tanti posti letto nelle terapie intensive – le alte capacità di test e la fitta rete di laboratori. Gli esperti ci dicono: testare, testare, testare. Così traiamo un quadro più preciso dell’epidemia in Germania e abbiamo una maggiore chiarezza sui numeri reali dell’infezione, così possiamo effettuare più frequentemente test sul personale di cura, in modo da far calare il rischio di infezione negli ospedali e nelle case di cura. Per questo abbiamo esteso le capacità per test ad ampio raggio e le estenderemo ancora”.

Ovviamente, conclude, la soluzione definitiva è affidata alla ricerca, del vaccino e delle cure. Per questo la Germania si è impegnata in cooperazione con il resto del mondo.

La questione è che in una epidemia, nella quale un agente biologico si propaga attraverso i contatti tra le persone, rilassarsi è pericolosissimo. Come dice:

“più riusciamo a sostenere proprio all’inizio di questa pandemia la massima perseveranza e disciplina, tanto più saremo in grado di sviluppare nuovamente la vita economica, sociale e pubblica, e lo potremo fare in modo duraturo, più che non cullandoci, proprio all’inizio, troppo presto in una falsa sicurezza a causa dei numeri incoraggianti sui contagi.

Dunque se all’inizio siamo disciplinati ce la faremo più velocemente a creare le condizioni per vivere allo stesso modo la salute e l’economia, la salute e la vita sociale. Anche allora il virus ci sarà ancora: ma con la concentrazione e la perseveranza – proprio all’inizio – possiamo evitare di saltare da un lockdown al prossimo, o di dover isolare per mesi certi gruppi di persone da altri, e di doverci confrontare con condizioni terribili nei nostri ospedali, come purtroppo è stato il caso in alcuni altri Paesi.

Con più perseveranza e coerenza sopportiamo all’inizio di questa pandemia le limitazioni riuscendo a spingere verso il basso lo sviluppo delle infezioni, più serviremo non solo la salute dei cittadini, ma anche la vita scientifica e la vita sociale, perché saremo in grado di intercettare ogni catena d’infezioni e con ciò di controllare il virus. Questa convinzione guida le mie azioni”.

Per questo invita alla prudenza (in Germania come in Italia si sta tentando di riavviare precocemente molte attività).

Ci sono altri temi che ricorrono nel discorso e assomigliano a quelli che si stanno trattando in Italia: la tracciatura dei contatti (digitale, lì come qui, con polemiche non dissimili), le riaperture e le regole di distanziamento attività per attività[6]. Cose che modificheranno la quotidianità.

Infine, il sostegno all’economia. E ciò in Germania ed in Europa.

Dato che il discorso cadeva il giorno prima del Consiglio Europeo nel quale la Germania ha conseguito il solito successo, descrive al suo Parlamento quel che proporrà:

“Insieme abbiamo agito per contrastare il massiccio crollo dell’economia europea. Lo facciamo con un pacchetto di misure d’aiuto per imprese e lavoratori della dimensione di 500 miliardi di euro, sui quali il nostro ministro alle Finanze Olaf Scholz e gli altri ministri alle Finanze dell’eurogruppo si sono intesi due settimane fa. Ora si tratti di rendere veramente disponibili questi 500 miliardi di euro: per questo anche il Bundestag dovrà ancora prendere ulteriori decisioni.

Ora alcuni dei nostri partner europei chiedono – ma anche all’interno della discussione politica in Germania questo è un tema – che di fronte alla grave crisi si accolgano debiti comuni dalle garanzie condivise. Questa questione avrà un ruolo anche nella videoconferenza del Consiglio europeo. Ipotizziamo che effettivamente ci siano il tempo e la volontà politica per un indebitamento comune: allora tutti i parlamenti nazionali dell’Unione europea e anche il Bundestag dovrebbero decidere di cambiare di conseguenza i Trattati Ue, in modo che una parte della normativa sui bilanci venga trasferita a livello europee e sia là controllata democraticamente. Si tratterebbe di un processo lungo e molto difficile, e non un processo che nell’attuale fase sia in grado di garantire aiuto diretto. Perché ora si tratta di aiutare rapidamente e di avere nelle mani rapidamente degli strumenti in grado di alleviare le conseguenze della crisi.

Direi piuttosto chiaro, ed onesto: c’è il Mes e non c’è altro. Quel che chiedono Italia, Spagna e Francia, una emissione di debito garantito in solido, richiede il cambiamento dei Trattati e quindi l’approvazione di ogni Parlamento europeo. Un processo che con un notevole eufemismo la Merkel chiama “lungo e difficile”, e che, ovviamente, per ora non serve a portare soccorso.

Binario morto.

Continua:

“Al consiglio europeo odierno si discuterà anche su come procedere insieme in Europa nel tempo che seguirà le restrizioni più severe. Vogliamo agire rapidamente in Europa, perché abbiamo bisogno naturalmente di strumenti per superare le conseguenze della crisi in tutti gli Stati membri.

In questo contesto ritengo che intanto sia molto importante che la Commissione europea verifichi adesso e anche nelle prossime settimane come i diversi campi dell’economia siano stati colpiti dalla crisi e quali campi d’azione ne derivino. Questo riguarda anche gli aiuti immediati per l’economia europea. Un programma congiunturale europeo potrebbe sostenere nei prossimi due anni la necessaria ripresa. Noi lavoreremo anche per questo.

Nelle discussioni di oggi non si tratterà di fissare già i dettagli o di decidere addirittura delle dimensioni delle misure. Ma una cosa è già chiara: dobbiamo essere pronti, nello spirito della solidarietà, di realizzare contributi di ben altra natura, ossia molto più alti, al bilancio europeo. Perché noi vogliamo che tutti gli Stati membri dell’Unione europea possano riprendersi economicamente. Un tale programma congiunturale dovrebbe tuttavia sin dall’inizio essere pensato insieme al bilancio europeo, perché il comune bilancio europeo è da decenni il collaudato strumento del finanziamento solidale di iniziative comuni nell’Unione europea.

Oltre a questo io insisterò affinché il consiglio europeo affronti rapidamente alcune domande di fondo. Dove dobbiamo collaborare in maniera ancora più stretta a livello europeo? Dov’è che l’Unione europea ha bisogno di ulteriori competenze? Quali capacità strategiche dovremo avere o mantenere nel futuro? Possiamo approfondire l’unione non solo nella politica finanziaria o nella politica digitale o nel mercato interno; la solidarietà europea è richiesta anche nella politica migratoria, nello stato di diritto, nella politica di sicurezza e di difesa oppure nella difesa del clima”.

Insomma, ogni occasione è buona per cercare di potenziare il meccanismo di ordine europeo.

Ma questo è un altro discorso.

[1] – Asimmetriche in quanto in Germania la Corte Costituzionale ha chiarito in numerose sentenze che le norme europee sono subalterne a quelle nazionali, da noi è il contrario.

[2] – Questo strumento, che non è soggetto ad alcun controllo ex ante e soprattutto non è soggetto alla ratifica parlamentare trascorsi 60 gg., è stato legittimato da un DL. Il numero 6/20 all’art 3. Ottenendo un castelletto di più che dubbia legittimazione costituzionale ed in fatti da più parti contestato. La Costituzione, all’art 77, indica nel Decreti Legge quegli strumenti “straordinari” che possono avere valore di legge ordinaria, peraltro con l’obbligo di presentarli subito alle camere e di convertirli entro 60 gg. Qui si è usato, appunto, un Dl per istituire l’uso del Dpcm, fornendo una copertura altamente incerta, per atti che al minimo svolgono un delicato lavoro di bilanciamento tra principi costituzionali (la libertà di circolazione, ex art 16, e il diritto alla salute.

[3] – “Ormai viviamo da settimane nella pandemia. Ognuno di noi ha dovuto adattare se stesso e la sua vita alle nuovi condizioni, privatamente e professionalmente. Ognuno di noi può testimoniare cosa in particolare gli manca e cosa gli risulta più pesante. E io capisco che questa vita condizionata dal coronavirus ci appaia a tutti quanti già molto, molto lunga.”

[4] – Secondo una recente ricerca fino ad oggi, in tre mesi, l’epidemia ha portato ad un raddoppio dei morti in Europa, rispetto alla media dei primi tre mesi dell’anno degli anni passati. Probabilmente molti di questi derivano dalle difficoltà che in alcune regioni (in primis la regione di Padova e Milano e quella di Madrid) hanno investito il sistema sanitario. Se l’infrastruttura sanitaria collassa si muore anche di altro, probabilmente soprattutto di altro.

[5] – “La situazione sui mercati mondiali per questo tipo di materiale è molto tesa. Le pratiche commerciali delle prime settimane della pandemia erano, diciamolo, piuttosto ruvide. Per questo il governo federale ha deciso – nonostante non sia nostra competenza secondo la legge per la protezione dalle infezioni – di coordinare in modo centralizzato l’approvvigionamento degli equipaggiamenti di protezione personale e di trasferire poi tali beni ai Laender. Io ringrazio anche le imprese che ci hanno aiutato con la loro esperienza.”

[6] – “Quel che è chiaro che non potremo tornare alla quotidianità come l’abbiamo conosciuta prima del coronavirus. La quotidianità per certi aspetti sarà diversa, anche quando i modelli di tracciamento digitale che attualmente vengono discussi entreranno in funzione. Anche le severe regole di distanziamento e le norme igieniche, così come le limitazioni dei contatti, faranno parte di tutto ciò. Questo riguarda per esempio anche la riapertura di scuole e di asili. I Laender stanno per organizzare e preparare anche dal punto di vista pratico le aperture progressive delle scuole. Lì ci vorrà una capacità d’azione anche piena di fantasia. “

https://tempofertile.blogspot.com/2020/04/circa-il-discorso-di-angela-merkel-al.html?fbclid=IwAR2GcxUwk20ph-OxR0nK4BTVbx9J7kgMEJMnFTikb13rjMFc5OVfgZzOnvQ

https://www.agi.it/estero/news/2020-04-23/discorso-merkel-bundestag-integrale-8422274/

Traduzione di Roberto Brunelli

Egregio signor Presidente, care colleghe e cari colleghi, signore e signori. Stiamo vivendo tempi del tutto straordinari e gravi. E tutti noi, governo e parlamento, tutto il nostro Paese, siamo sottoposti ad una prova come non c’è mai stata dalla Seconda guerra mondiale, dagli anni fondativi della Repubblica federale. In gioco c’è niente di meno che la vita e la salute delle persone. E ne va della coesione e della solidarietà della nostra società e in Europa.

Io sto dinnanzi a voi come la cancelliera di un governo che nelle scorse settimane ha deciso insieme ai Laender federali delle misure per le quali non c’è alcun precedente storico sul quale sia possibile orientarsi. Noi abbiamo inviato a voi, il Parlamento, dei progetti di legge e vi abbiamo chiesto l’approvazione di mezzi finanziari di una dimensione che prima della pandemia del coronavirus era semplicemente inimmaginabile. Ringrazio di tutto cuore per il fatto che il Bundestag, come del resto anche il Bundesrat, in queste difficili circostanze abbiamo discusso e deciso i provvedimenti legislativi con estrema rapidità.

Ormai viviamo da settimane nella pandemia. Ognuno di noi ha dovuto adattare se stesso e la sua vita alle nuovi condizioni, privatamente e professionalmente. Ognuno di noi può testimoniare cosa in particolare gli manca e cosa gli risulta più pesante. E io capisco che questa vita condizionata dal coronavirus ci appaia a tutti quanti già molto, molto lunga.

Nessuno lo sente dire volentieri, ma è la verità: non stiamo vivendo la fase finale della pandemia, ma siamo ancora al suo inizio. Dovremo vivere ancora a lungo con questo virus. La domanda di come possiamo impedire che il virus ad un certo punto possa travolgere il nostro sistema sanitario e che di conseguenza possa costare la vita a un numero immenso di persone rimarrà ancora a lungo la questione centrale per la politica, in Germania e in Europa.

Sono consapevole quanto le misure restrittive pesino su tutti noi, individualmente e come società. Questa pandemia è una grave imposizione democratica: perché limita proprio quelli che sono i nostri diritti esistenziali ed i nostri bisogni, quelli degli adulti nella stessa misura di quelli dei bambini. Una tale situazione è accettabile e sopportabile solo se le motivazioni delle limitazioni sono trasparenti e comprensibili, se la critica e il contraddittorio sono non solo permessi, ma anzi stimolati e che vengano ascoltati: da tutte le parti. In questo è di aiuto anche la libera stampa.

In questo ci aiuta il nostro ordinamento federale. In questo ci aiuta anche la reciproca fiducia alla quale si è potuto assistere in queste ultime settimane qui in Parlamento e dappertutto nel Paese. E’ ammirevole con quanta naturalezza le cittadine e i cittadini si siano impegnati l’uno per l’altro e si sono limitati come cittadine e cittadini a favore degli altri.

Vi assicuro: quasi nessuna decisione nella mia attività da cancelliera mi è pesata quanto le limitazioni dei diritti di libertà personale. Anche a me pesa vedere i bambini che in questo momento non possono incontrare le proprie amiche e i propri amici, cosa che a loro manca moltissimo. E anche a me pesa se le persone possono andare a passeggiare fondamentalmente solo con una sola persona all’eccezione di coloro che convivono nella stessa abitazione, e che debbano rispettare distanze minime così importante.

Anche a me pesa, in particolare, quel che devono sopportare le persone che vivono nelle istituzioni di cura, quelle per gli anziani o quelle per disabili. Là dove la solitudine può comunque già essere un problema la vita diventa ancora più solitaria in tempi di pandemia e del tutto senza visitatori. E’ crudele, se oltre al personale di assistenza, che danno assolutamente il massimo, non ci può essere nessun altro, se le forze svaniscono e una vita va verso la fine. Non dimentichiamo mai queste persone ed il temporaneo isolamento nel quale sono costrette a vivere. Questi ottantenni e novantenni hanno costruito il nostro Paese. Il benessere nel quale viviamo l’hanno fondato loro.

Sono la Germania proprio come lo siamo noi, i loro figli e i loro nipoti. E noi conduciamo la battaglia contro il virus anche per loro. Per questo sono convinta che queste limitazioni siano così necessarie per affrontare come comunità questa crisi drammatica e di difendere ciò che la nostra Costituzione mette al centro della nostra azione: la vita e la dignità di ogni singola persona.

Attraverso la severità verso noi stessi, la disciplina e la pazienza delle scorse settimane abbiamo rallentato la diffusione del virus. Il che suona come qualcosa di piccolo, ma è invece qualcosa di immensamente prezioso. Abbiamo guadagnato tempo e questo tempo guadagnato in modo così prezioso l’abbiamo usato bene, per rafforzare ancora il nostro sistema sanitario.

Il punto angolare, intorno al quale girano tutti gli sforzi in campo medico, sono i reparti di terapia intensiva. Lì si decide il destino di coloro che sono più colpiti dal coronavirus. Conosciamo tutti i terribili racconti dagli ospedali di alcuni Paesi che per alcune settimane sono stati semplicemente travolti dal virus. Che non si arrivi a questo è il semplice e al tempo stesso ambizioso obiettivo del governo federale. Io ringrazio il nostro ministro alla Sanità, Jens Spahn, ma anche i ministri alla Salute dei Laender, che lavorano instancabilmente a questo obiettivo: e con successi che sono evidenti.

Abbiamo esteso in maniera significativa il numero degli apparecchi per la respirazione. Con l’apposita legge ci siamo accertati che gli ospedali potessero realizzare ulteriori capacità di ricovero intensivo. Così oggi possiamo verificarlo: il nostro sistema sanitario ha retto a questa prova. Ogni paziente di coronavirus ottiene anche nei casi più gravi il miglior trattamento possibile, rispettoso della dignità umana.

Questo lo dobbiamo, più che a tutti provvedimenti statali, al lavoro e al sacrificio di medici, di personali sanitario e del soccorso, delle tante persone che con la loro fatica e la loro capacità d’azione realizzano proprio quello che noi chiamiamo semplicemente “il nostro sistema sanitario”. Li ringraziamo con questo applauso, e questo ringraziamento lo voglio estendere anche alle soldatesse e ai soldati della Bundeswehr, che danno il loro contributo in molti luoghi.

Un ruolo forse meno visibile in pubblico ma altrettanto decisivo nella lotta contro la pandemia è quello dell’amministrazione pubblica sanitaria. Si tratta di quasi 400 uffici sanitari locali. Se vogliamo riuscire a controllare e rallentare lo sviluppo dell’infezione, abbiamo bisogno che questi uffici siano in piena forza. Ed io aggiungo: in una condizione più forte di quanto non fossero prima della pandemia.

Per questo abbiamo deciso tra governo e Laender di dare a questi uffici più collaboratrici e collaboratori, in modo che possano effettivamente essere messi in grado di perseguire anche il compito di tracciare i contatti di una persona infetta. Il Robert Koch Institut istituirà 105 team mobili con studenti, i cosiddetti ‘containment scouts’, che possono essere utilizzati là dove vi sia particolare necessità.

Sin dall’inizio il governo si è dedicato anche al tema degli equipaggiamenti di protezione personale. La fornitura di questi beni, in particolare delle mascherine, è diventato rapidamente uno dei nostri compiti centrali, non solo per noi ma per tutto il mondo. Perché senza medici e infermieri sani non servono neanche i posti letti in terapia intensiva e i respiratori a disposizione.

La situazione sui mercati mondiali per questo tipo di materiale è molto tesa. Le pratiche commerciali delle prime settimane della pandemia erano, diciamolo, piuttosto ruvide. Per questo il governo federale ha deciso – nonostante non sia nostra competenza secondo la legge per la protezione dalle infezioni – di coordinare in modo centralizzato l’approvvigionamento degli equipaggiamenti di protezione personale e di trasferire poi tali beni ai Laender. Io ringrazio anche le imprese che ci hanno aiutato con la loro esperienza.

La pandemia ci insegna: non è bene se gli equipaggiamenti di protezione vengano acquisiti solo da Paesi lontani. Maschere che constano solo pochi centesimi nella pandemia possono diventare un fattore strategico. La Repubblica federale e l’Unione europea lavorano affinché si torni ad essere più indipendenti da Paesi terzi in questo ambito. Per questo siamo aumentando le capacità produttive per questi ben in Germania e in Europa con grande pressione.

Se ci chiediamo in cosa abbiamo beneficiato in questa prima fase della diffusione del virus, allora sono – oltre ai tanti posti letto nelle terapie intensive – le alte capacità di test e la fitta rete di laboratori. Gli esperti ci dicono: testare, testare, testare. Così traiamo un quadro più preciso dell’epidemia in Germania e abbiamo una maggiore chiarezza sui numeri reali dell’infezione, così possiamo effettuare più frequentemente test sul personale di cura, in modo da far calare il rischio di infezione negli ospedali e nelle case di cura. Per questo abbiamo esteso le capacità per test ad ampio raggio e le estenderemo ancora.

Tuttavia: potremo far finire la pandemia da coronavirus solo con un vaccino, almeno stando a tutto quello che sappiamo fino ad oggi su questo virus. In molti Paesi di tutto il mondo gli scienziati sono al lavoro. Il governo contribuisce con un sostegno finanziario, in modo che anche la Germania abbia il suo ruolo come sede di ricerca. Allo stesso modo stiamo finanziariamente dietro iniziative internazionali come la CEPI.

Anche per lo sviluppo di altri medicamenti e per una nuova rete nazionale per la ricerca relativa a Covid-19 il governo ha messo a disposizione in tempi brevi notevoli mezzi. Questo aiuto ricercatori e medici in tutte le cliniche universitarie tedesche, per affrontare questo compito insieme, mano nella mano. Avremo bisogno di molti altri sudi, in futuro anche studi sugli anticorpi. Per questo siamo ben attrezzati.

Tuttavia la scienza non è mai nazionale. La scienza serve l’umanità. Per cui è ovvio che, anche se vengono trovati, testati e messi in grado di essere utilizzati nuovi medicinali o un vaccino, questi siano messi a disposizione a tutto il mondo e che siano anche pagabili da tutto il mondo. Un virus che si diffonde in quasi tutti i Paesi può essere spinto indietro e contenuto solo nella cooperazione di tutti i Paesi. Per il governo federale la collaborazione internazionale contro il virus è straordinariamente importante. Nella cerchia dell’Unione europea ci coordiniamo in questo senso, proprio come nell’ambito del G7 e del G20.

Con la decisione di rinviare i pagamenti degli interessi e dei rimborsi dei 77 Stati più poveri del mondo per quest’anno siamo riusciti a togliere un po’ di pressione a questo gruppo di Paesi duramente messi alla prova. Ma si tratta di un tipo di sostegno che non potrà essere mantenuto. Per il governo federale la collaborazione con gli Stati dell’Africa è sempre una priorità e nella crisi da coronavirus la dovremo rafforzare ancora di più.

Non solo in Africa, ma lì in particolare, molto dipende dal lavoro dell’Oms, l’organizzazione mondiale della Sanità. A nome del governo federale sottolineo: l’Oms è un partner irrinunciabile, e lo sosteniamo pienamente nel suo mandato.

Signore e signori, se ci guardiamo oggi in Germania i nuovi dati del Robert Koch Institut, gli indicatori mostrano che si sviluppano nella giusta direzione, per esempio in una rallentata velocità infettiva: attualmente abbiamo ogni giorno più guariti che nuovi malati. Si tratta di un successo intermedio. Ma proprio perché le cifre scatenano speranze, mi vedo impegnata a dire: questo successo temporaneo è fragile. Ci muoviamo su ghiaccio sottile. Si può anche dire: su ghiaccio sottilissimo.

La situazione è ingannevole e assolutamente non abbiamo ancora scollinato. Perché nella lotta contro il virus dobbiamo continuare a tenere a mente che i numeri di oggi rispecchiano l’evoluzione dell’infezione di 10 o 12 giorni fa. Il numero odierno dei nuovi contagi non ci dice, insomma, quel che vedremo tra una o due settimane, se nel frattempo abbiamo dato il via libera ad un notevole numero di più contatti.

Care colleghe e cari colleghi, voglio cogliere l’occasione per enunciare ancora una volta e con maggiori dettagli cosa mi preoccupa. Ovviamente le decisioni politiche fanno sempre parte di un processo continuo di valutazione secondo le proprie conoscenze e la propria coscienza. E questo vale anche per le decisioni per la lotta contro la pandemia, che è della più grande portata per la buona salute ed il benessere delle persone nel nostro Paese.

In queste così importanti valutazioni, che nessuno prende alla leggera né al governo federale né nei Laender – questo lo so – mi sono convinta: più riusciamo a sostenere proprio all’inizio di questa pandemia la massima perseveranza e disciplina, tanto più saremo in grado di sviluppare nuovamente la vita economica, sociale e pubblica, e lo potremo fare in modo duraturo, più che non cullandoci, proprio all’inizio, troppo presto in una falsa sicurezza a causa dei numeri incoraggianti sui contagi.

Dunque se all’inizio siamo disciplinati ce la faremo più velocemente a creare le condizioni per vivere allo stesso modo la salute e l’economia, la salute e la vita sociale. Anche allora il virus ci sarà ancora: ma con la concentrazione e la perseveranza – proprio all’inizio – possiamo evitare di saltare da un lockdown al prossimo, o di dover isolare per mesi certi gruppi di persone da altri, e di doverci confrontare con condizioni terribili nei nostri ospedali, come purtroppo è stato il caso in alcuni altri Paesi.

Con più perseveranza e coerenza sopportiamo all’inizio di questa pandemia le limitazioni riuscendo a spingere verso il basso lo sviluppo delle infezioni, più serviremo non solo la salute dei cittadini, ma anche la vita scientifica e la vita sociale, perché saremo in grado di intercettare ogni catena d’infezioni e con ciò di controllare il virus. Questa convinzione guida le mie azioni.

Per questo vi dico molto chiaramente: le decisioni che abbiamo preso mercoledì scorso tra governo e Laender le sostengo in piena convinzione. Ma la loro messa in pratica comunque mi preoccupa. Eppure sono decisioni che mi appaiono in certe parti molto audace, per non dire: troppo audace. Se dico questo, ovviamente non cambia una virgola che rispetto la sovranità dei Laender, che è iscritta nel nostro ordinamento federale fissato dalla Costituzione. Il nostro ordinamento federale è forte. Affinché qui non nasca alcun equivoco, lo volevo dire ancora una volta in piena chiarezza. Al tempo stesso vedo come mio dovere esprimere il monito di non affidarsi al principio della speranza se non sono convinta. Per cui esprimo il monito anche in questo senso nei miei colloqui con le ministre-presidenti e i ministri-presidenti dei Laender e anche in questa solenne aula: non giochiamoci quel che abbiamo raggiunto e non rischiamo un contraccolpo. Sarebbe tristissimo se alla fine dovessimo essere puniti da una speranza precipitosa. Rimaniamo saggi e prudenti sulla via verso la prossima fase della pandemia. Non siamo in un lungo percorso nel quale possiamo permetterci di perdere troppo presto la forza e il respiro.

Quel che è chiaro che non potremo tornare alla quotidianità come l’abbiamo conosciuta prima del coronavirus. La quotidianità per certi aspetti sarà diversa, anche quando i modelli di tracciamento digitale che attualmente vengono discussi entreranno in funzione. Anche le severe regole di distanziamento e le norme igieniche, così come le limitazioni dei contatti, faranno parte di tutto ciò. Questo riguarda per esempio anche la riapertura di scuole e di asili. I Laender stanno per organizzare e preparare anche dal punto di vista pratico le aperture progressive delle scuole. Lì ci vorrà una capacità d’azione anche piena di fantasia. Già oggi ringrazio tutti coloro che si impegnano in questo. Io so che sono molti, moltissimi.

All’inizio ho parlato della più grande prova della Repubblica federale dai suoi anni fondativi. Questo vale purtroppo anche per l’economia. Quanto profonde saranno le perdite alla fine dell’anno e quanto perdureranno, oppure quando inizierà la ripresa, questo oggi sul serio non lo possiamo ancora dire: perché ovviamente anche questo dipende dal successo del nostro confronto con il virus.

La pandemia ci ha colpiti in un momento di bilanci sani e riserve forti. Anni di politica solida che oggi ci sono d’aiuto. Si tratta di sostenere la nostra economia e di aprire uno scudo protettivo per le nostre lavoratrici e i nostri lavoratori. Sono state presentate milioni di richieste per i diversi programmi d’aiuto; milioni di persone e molte imprese hanno già ricevuto soldi. Siamo stati in grado di decidere queste misure legislative rapidamente e con una maggioranza travolgente. La nostra democrazia parlamentare è forte, è efficiente, e in tempi di crisi anche estremamente rapida.

Anche ieri sera nel vertice di coalizione abbiamo deciso ancora una volta ulteriori provvedimenti. Siete informati in proposito. Tuttavia tutti i nostri sforzi a livello nazionale potranno alla fine avere successo se avremo successo insieme anche in Europa. In questa aula spesso mi avete sentito dire: sul lungo periodo la Germania starà bene solo se starà bene anche l’Europa. Per me questa frase anche oggi è molto, molto importante.

Come si esprime ciò dal punto di vista pratico? Abbiamo per esempio curato oltre 200 pazienti dall’Italia, dalla Francia e dai Paesi Bassi nelle nostre terapie intensive. Abbiamo fornito materiale medico per esempio all’Italia o alla Spagna, e oltre ai nostri cittadini abbiamo riportato da tutto il mondo a casa migliaia di altre europee e di altri europei, rimasti bloccati: a proposito, per questo ringrazio di cuore tutte le collaboratrici e i collaboratori del nostro ministero degli Esteri. Quasi non si crede quanti tedeschi si trovino fuori dai confini nazionali: ma siamo riusciti ad aiutare anche tanti altri europei. Grazie per questo.

Insieme abbiamo agito per contrastare il massiccio crollo dell’economia europea. Lo facciamo con un pacchetto di misure d’aiuto per imprese e lavoratori della dimensione di 500 miliardi di euro, sui quali il nostro ministro alle Finanze Olaf Scholz e gli altri ministri alle Finanze dell’eurogruppo si sono intesi due settimane fa. Ora si tratti di rendere veramente disponibili questi 500 miliardi di euro: per questo anche il Bundestag dovrà ancora prendere ulteriori decisioni.

Sarei felice se potessimo dire: per il primo giugno questi denari saranno veramente disponibili. Perché anche qui si tratta di aiuti anche verso piccole e medie imprese. Si tratta anche di linee di credito precauzionali, si tratta di sostegni per impieghi a orari ridotti per i quali alcuni Stati membri forse non hanno le necessarie risorse finanziarie, ma che può essere di grande aiuto alle lavoratrici e ai lavoratori di quei Paesi.

Ora alcuni dei nostri partner europei chiedono – ma anche all’interno della discussione politica in Germania questo è un tema – che di fronte alla grave crisi si accolgano debiti comuni dalle garanzie condivise. Questa questione avrà un ruolo anche nella videoconferenza del Consiglio europeo. Ipotizziamo che effettivamente ci siano il tempo e la volontà politica per un indebitamento comune: allora tutti i parlamenti nazionali dell’Unione europea e anche il Bundestag dovrebbero decidere di cambiare di conseguenza i Trattati Ue, in modo che una parte della normativa sui bilanci venga trasferita a livello europee e sia là controllata democraticamente. Si tratterebbe di un processo lungo e molto difficile, e non un processo che nell’attuale fase sia in grado di garantire aiuto diretto. Perché ora si tratta di aiutare rapidamente e di avere nelle mani rapidamente degli strumenti in grado di alleviare le conseguenze della crisi.

Al consiglio europeo odierno si discuterà anche su come procedere insieme in Europa nel tempo che seguirà le restrizioni più severe. Vogliamo agire rapidamente in Europa, perché abbiamo bisogno naturalmente di strumenti per superare le conseguenze della crisi in tutti gli Stati membri.

In questo contesto ritengo che intanto sia molto importante che la Commissione europea verifichi adesso e anche nelle prossime settimane come i diversi campi dell’economia siano stati colpiti dalla crisi e quali campi d’azione ne derivino. Questo riguarda anche gli aiuti immediati per l’economia europea. Un programma congiunturale europeo potrebbe sostenere nei prossimi due anni la necessaria ripresa. Noi lavoreremo anche per questo.

Nelle discussioni di oggi non si tratterà di fissare già i dettagli o di decidere addirittura delle dimensioni delle misure. Ma una cosa è già chiara: dobbiamo essere pronti, nello spirito della solidarietà, di realizzare contributi di ben altra natura, ossia molto più alti, al bilancio europeo. Perché noi vogliamo che tutti gli Stati membri dell’Unione europea possano riprendersi economicamente. Un tale programma congiunturale dovrebbe tuttavia sin dall’inizio essere pensato insieme al bilancio europeo, perché il comune bilancio europeo è da decenni il collaudato strumento del finanziamento solidale di iniziative comuni nell’Unione europea.

Oltre a questo io insisterò affinché il consiglio europeo affronti rapidamente alcune domande di fondo. Dove dobbiamo collaborare in maniera ancora più stretta a livello europeo? Dov’è che l’Unione europea ha bisogno di ulteriori competenze? Quali capacità strategiche dovremo avere o mantenere nel futuro? Possiamo approfondire l’unione non solo nella politica finanziaria o nella politica digitale o nel mercato interno; la solidarietà europea è richiesta anche nella politica migratoria, nello stato di diritto, nella politica di sicurezza e di difesa oppure nella difesa del clima.

Signor presidente, care colleghe e cari collegi, per noi in Germania riconoscerci nell’Europa unita fa parte della ragione di Stato. Non è materia per i discorsi della domenica, ma è un fatto del tutto pratico: siamo una comunità del destino. E l’Europa ora lo deve dimostrare di fronte a questa inattesa sfida della pandemia.

Questa pandemia colpisce tutti, ma non tutti nello stesso modo. Se non faremo attenzione, servirà come pretesto a tutti coloro che portano avanti la spaccatura della società. L’Europa non è l’Europa, se non si intende come Europa.

L’Europa non è Europa se ognuno non sta dalla parte dell’altro in tempi di emergenza di cui nessuno ha la colpa. In questa crisi abbiamo anche il compito di mostrare chi vogliamo essere come Europa. E così alla fine del mio discorso sono di nuovo giunta al pensiero della coesione. Quel che vale in Europa è la cosa più importante anche per noi in Germania.

Per quanto possa suonare paradossale, nelle settimane nelle quali le regole di comportamento ci hanno obbligato a stare lontani l’uno dall’altro e nelle quali è necessaria la distanza invece della vicinanza, noi siamo stati insieme e attraverso la coesione siamo riusciti insieme a far sì che il virus abbia rallentato il suo percorso attraverso la Germania e l’Europa. Questo non lo può decidere nessun governo, una cosa del genere un governo lo può solo sperare. E questo è possibile solo se le cittadine e i cittadini fanno con il cuore e la ragione qualcosa per il prossimo, per il Paese, oppure diciamo: per la visione d’insieme.

Questo mi rende infinitamente grata, e spero che potremo continuare ad attraversare così il tempo che viene. Un tempo che rimarrà lungo e molto grave. Ma insieme – di questo sono convinta dopo queste prime settimane di pandemia – riusciremo a superare questa sfida gigantesca. Insieme come società, insieme in Europa.

E’ MEGLIO NON SAPERE?, di Pierluigi Fagan

E’ MEGLIO NON SAPERE? Financial Times lancia il sasso: secondo una brutale comparazione tra la mortalità media 2015-2019 dei mesi di marzo ed aprile e quella 2020, ci sarebbero circa il 50% di morti in più in Europa occidentale. Speriamo i dati siano giusti.

A livello di fatto forse alcuni sono morti a casa di altre patologie su cui si è scelto di non intervenire per paura di andare negli ospedali infetti o forse gli stessi servizi sanitari alle prese con l’emergenza non hanno fornito la dovuta attenzione di cura. Di contro, ci dovrebbero anche esser in teoria meno morti per altri tipi di cause che la reclusione a casa ha evitato. Poco importa la precisione del dato, se sia del 40% o del 60%, la cosa va vista a gran grossa. Peggio sta andando fuori dell’Europa, viepiù si procede verso paesi meno organizzati o organizzati al punto da negare i dati. Sappiamo per certo che UK ha scelto di non contare i morti delle case per anziani e private (pare che l’unico paese al mondo che conta i morti in senso ampio sia il Belgio ed infatti ha la mortalità più alta del mondo), seguito da USA, Canada e probabilmente Olanda. Ai paesi anglosassoni questa cosa della morte e dei vecchi non piace.

Ma questa è solo la metà della metà dell’informazione mancante. In tanti in questi giorni si sono lanciati in comparazione dati strapazzando l’ISTAT per falsificare o validare l’entità dell’epidemia come se per misurarla si dovessero contare solo i morti. Certo i morti sono fatti clamorosi, sono l’antimateria per la nostra mente che si è evoluta per farci vivere il più a lungo ed al meglio possibile. Ma l’epidemia non si conta solo con i morti. Pur non avendo ancora dati affidabili a largo spettro e soprattutto essendo ancora a + due mesi dall’inizio del fenomeno che durerà forse un anno o poco più anche se a ritmi diversi, probabilmente la mortalità del Sars-CoV2 è relativamente bassa. Magari un po’ più alta nei paesi con molti vecchi e con strutture sanitarie approssimate o dove dinamiche che i più fanno fatica a comprendere per eccesso di variabili (metropoli, densità abitativa, stile di socialità, ritardo nell’individuazione dell’epidemia, presenza di più uno o più focolai di contagio) hanno creato situazioni sfortunate. Vedo insospettabili nei social che ancora pubblicano tabelle su paesi più bravi e meno bravi redatte prendendo appunto solo i morti e deducendo da questo totale la semplicità dell’equazione pregressa che invece non è semplice per nulla. Sono secoli che tribù africane vengono colpite da qualche patogeno proveniente dalla foresta, arriva, stermina uno o due villaggi, poi scompare. Se invece prende l’aereo e sbarca a New York, la cosa si fa più vistosa. Se correggessimo quella connessione mentale semplificata per la quale ogni volta che qualcuno convoca la demografia appare il fantasma del reverendo Malthus e coro greco che brontola giudizi censori con annessa recensione critica di Marx, e contassimo invece la dimensione relativa, assoluta, dinamica e di composizione dei gruppi umani, forse capiremmo qualcosa di più del mondo e delle nostre società, ma comprendo che per mentalità forgiate nel XIX secolo, la cosa sia difficile. Collegare poi demografia a sociologia è utopia, verificare le fonti dei dati per carità, metterci l’asse del tempo per capire se il dato di chi sta in epidemia da due mesi sia comparabile con quello di chi ci sta da un mese non se ne parla.

Comunque, l’altra metà della fotografia degli effetti dell’epidemia è socio-strutturale. Addirittura il sito dei debunkers è dovuto scendere in campo per correggere la bufala del primato europeo dei tamponi dei tedeschi. Anche se ci stanno antipatici, credere ai tedeschi fa parte della religione condivisa. Il primato europeo dei tamponi, tolti i paesi con poca popolazione, è italiano i tedeschi sono solo terzi dopo anche la Spagna. Ma qui sarebbe anche interessante notare l’incredibile inefficienza di francesi, britannici e svedesi. Poi ci sarebbe da verificare a posteriori lo stress test sulle strutture sanitarie e la differenza tra quelle centrali e diffusamente territoriali. Se la mortalità del Sars-CoV2 come tutti sanno è relativamente bassa anche dopo tutte le correzioni statistiche ex-post, la percentuale dei richiedenti cure di vario tipo (dai medicinali all’ossigeno all’intubazione) è invece molto alta. Molto più alta della capacità di gestire il fenomeno di quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale. That’s the point! Ma essendo un dato più complicato non piace, meglio i morti.

Ne sortirebbero infatti domande imbarazzanti sulle nostre credenze di economia politica, disciplina scotomizzata dalla confusa materia politica per distillare numeri che fanno dell’economia una “scienza”, non perché lo sia o possa esserlo ma perché è ideologicamente utile che si creda lo sia e possa esserlo. Poi ci sarebbe a verificare lo stress test sulla gestione degli anziani. Gli anziani sono problematici, abbondano sempre più in Europa, vivono sempre più a lungo, non servono a niente e costano un sacco di soldi. Meno male che quello che li si dà in pensione rientra nella spesa farmaceutica e sanitaria, altrimenti sarebbe da promuovere una eutanasia generalizzata come fanno i pragmatici olandesi. Pudicamente lo stesso FT tratta i dati di tredici paesi europei occidentali ma evita la Germania. Cosa sia davvero successo in Germania con l’epidemia è un mistero statistico, nessuno dotato di minimo comprendonio sa spiegarsi i dati tedeschi ovvero nessuno tra questi crede ai dati tedeschi. Ci sono tutti gli elementi per creder vero che efficienza, prontezza, posti letto, materiali e quant’altro hanno contenuto il fenomeno meglio che altrove, tuttavia il dato della mortalità tedesca non sembra credibile dal punto di vista della logica geo-demo-statistica.

Quindi, è meglio non sapere. La gente è turbata e vuole normalità e noi gliela diamo occultando dati, fatti e considerazioni critiche, anzi meglio si sfoghino criticamente aiutando la macchina della difesa psico-sociale arrivando a negare ci sia una epidemia o prendendosela col governo tiranno che non li fa uscire di casa o ipotizzando la macchinazione dei paladini del New World Disorder a trazione circo mediatico-farmaceutica-digitale-finanziaria panoptica post-biopolitica anche un po’ neo-liberale. Le auto-prodotte armi di distrazione di massa, vere e proprie valvole di sfogo dall’ansia della impotente pressa d’atto, spuntano tutti i giorni come i funghi su i social. Storici fieri avversari dello status quo si stanno riposizionando come inconsapevoli truppe speciali di complemento violando ogni principio di non contraddizione. Domandarsi perché nessuno ha fatto niente in previsione di cose stranote e strapreviste, no? Immagino il godimento delle élite nel vedere masse inferocite di persone che invocano il “torniamo a lavorare, a consumare, ad esibirci, a drogarci, a scopare” insomma il “pacchetto libertà” accluso al nostro sempre più sbilenco contratto sociale.

Dei tanti funerali che non si sono potuti celebrare di questi tempi, quello della nostra convinzione si viva in un mondo di liberi dati, informazioni, diritto di critica , numero-peso-misura a base del realismo scientifico, democrazia, comunità degli europei, rispetto delle persona, non si deve celebrare né ora, né mai. Ogni epoca ha la sua credenza centrale sulla cui fede si basa il gioco sociale. Nel medioevo era la provvidenza benevola di dio, nella modernità è la provvidenza benevola della libertà di produrre e comprare. Che quel re sia nudo è meglio non sapere, anche al punto da far finta di non sapere.

[Ai non credenti dell’esistenza di un “naturale” problema pandemia suggerisco di invalidare il post ipotizzando che della lobby “circo mediatico-farmaceutica-digitale-finanziaria panoptica post-biopolitica anche un po’ neo-liberale”, il Financial Times sia l’organo ufficiale ed è per questo che si è preso la briga di esagerarne le dimensioni. La fede ne sa sempre una più del diavolo, no? :-)]

https://www.ft.com/content/6bd88b7d-3386-4543-b2e9-0d5c6fac846c?fbclid=IwAR1k3DqvuRP4FlQOVKACfA8GNG1D697oE8fQMSZtdmiB4PQecMl1WGvvuDg

https://www.facebook.com/pierluigi.fagan/posts/10220899916703267

uomini piccoli in momenti tragici. Una conversazione con il professor Augusto Sinagra

I momenti drammatici mettono in luce inevitabilmente i pregi e i difetti di un paese. La crisi epidemica e la paralisi economica hanno evidenziato l’abnegazione di tanti cittadini, ma soprattutto la mediocrità del ceto politico e di gran parte della classe dirigente, la precarietà degli assetti istituzionali. L’emergere di alcune figure politiche e di un buon numero di validi professionisti non riesce a compensare la sensazione di inadeguatezza. Il fatto di essere in buona compagnia in altre parti del mondo non è motivo di consolazione. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

Peculiarità, di Antonio de Martini

m’aggio accattat’ a jurnata

Ieri ho liquidato in maniera scortese un lettore che mi chiedeva di spiegare perché a Napoli il Coronavirus è stato contenuto e nella meglio attrezzata Milano, no.

Succede quando devi rispondere a due/trecento notifiche e messaggi personali in un giorno e sei arrivato a sera.

Ora che é mattina, cerco di spiegare questa differenza tra Milano e Napoli che negli ultimi quattro giorni ha registrato un numero di decessi uguale a zero.

1) i partiti. A Milano le differenze politiche tra sindaco, regione e governo hanno occupato politici e giornalisti che hanno trascurato le esigenze reali.facevano interviste.

A Napoli, un sindaco ( e anche un presidente di regione) battitore libero hanno prestato immediatamente orecchio ai medici, tra i quali lo “ scopritore del vibrione” di cui ora non ricordo il nome.
Gli ordini non sono stati contestati da oppositori preconcetti. La quarantena qui é una tradizione.

2) l’intelligenza critica e vivace dei napoletani abituati ad arrangiarsi e a vedere con garbato scetticismo le “ linee guida” di enti distanti, ha fatto si che ci si industriasse a trovare una cura e non a sperare in un vaccino. La Magna Grecia ha reagito come la Grecia: immediatamente.

3) Napoli e la zona vesuviana hanno la densità di popolazione di Hong Kong o quasi. Il distanziamento e stato attuato semplicemente accentuando di poco le distanze e alcune profilassi erano gia in voga. Mentre la Confindustria ha visto nella Pandemia una occasione per bussare a cassa, la Camorra ha collaborato con le forze dell’ordine perché non poteva sperare in indennizzi.

4)il primo segnale nazionale di lotta contro il virus è venuto dall’ospedale Cutugno con l’uso di farmaci antiartrite. In contrasto con le direttive nazionali e internazionali che bandivano gli antinfiammatori.
Il medico napoletano come curatore del malato e non della malattia.

5) lo spirito ironico e tollerante e la naturale empatia partenopea, il fatalismo esistenziale, hanno certo contribuito più di altre caratteristiche a mantenere forte l’animo e predisporlo psicologicamente a reagire al male. Sia i malati che gli operatori.

6) l’essere resilienti a espellere nonni e genitori dal nucleo familiare ha limitato il numero dei focolai che hanno falcidiato il nord.
E ogni mediocre intelligenza medica ha capito che i malati « infettivi » non andavano mischiati con gli altri.

7) Sole e Mare hanno certamente aiutato a sintetizzare la vitamina D di cui tutti i morenti sono risultati carenti.

8.) Nel Napoletano famiglia e amici precedono il lavoro nelle priorità dell’individuo.
Il motto partenopeo é « m’aggio accattato a jurnata » : ho di che sfamare la famiglia per oggi; smetto e mi dedico ai miei affetti e hobbies o al riposo. Fiducia nella provvidenza e sistema immunitario al meglio.

Per capire appieno quel che vorrei esprimere, ma sento di non riuscirvi appieno, consiglio di leggere le pagine dedicate a Napoli da Goethe nel suo viaggio in Italia.

Lui scriveva meglio di me e non era intontito da 36 notti di galera.

Insomma, i napoletani sopravvivono, perché hanno capito i valori veri dell’esistenza e per definire il lavoro hanno un termine spettacolare: a fatica.

Ditemi voi perché dovrebbero morire anzitempo. Non é questione di razza superiore caro Giacomo Crasti , ma di sapere mettere al posto giusto affetti, lavoro, amori e ambizione, perché la vita ama chi la ama.

CORONAVIRUS ED ECCEZIONE III, di Teodoro Klitsche de la Grange

CORONAVIRUS ED ECCEZIONE III

Continuano le perplessità su effetti e conseguenze istituzionali del Coronavirus. Specie in relazione, (dato che grazie – al cielo – il contagio sta calando) alla cosiddetta “fase due”.

Avevo già scritto che mai Carl Schmitt era stato così citato dai media come dall’inizio della pandemia. Anche, per lo più, da intellos che conoscono il giurista per sentito dire o, al massimo, per letture sommarie. E quindi lo intendono male.

Il “nocciolo” del ragionamento schmittiano, condiviso da gran parte dei maestri del diritto pubblico, è che quando è in gioco l’esistenza comunitaria (e la vita), si devono tollerare le compressioni necessarie ai diritti, anche a quelli garantiti dalla Costituzione. Ma vale anche l’inverso: allorché la situazione emergenziale viene meno, devono cessare anche quelle limitazioni; così come queste vanno valutate in relazione non (o meno) alle restrizioni dei diritti (e dei valori) garantiti dalla Costituzione che all’effettiva attitudine (e risultato) a conseguire lo scopo prefissosi: l’eliminazione (o almeno il contenimento) dell’emergenza che le ha rese opportune. Ma non sempre il giudizio è positivo.

Come esempio (negativo) di un’emergenza strumentalizzata ad altri fini, abbiamo la crisi italiana del 2011. Il governo Monti osannato dai media come idoneo al compito di ridurre il debito italiano, proprio su questo conseguì il peggior risultato: in poco più di un anno e mezzo, a prezzo di sacrifici notevoli, riuscì a far aumentare il debito italiano dal 116,50% al 129,00% del P.I.L.

Oltretutto coniugando tale pessimo risultato a un aumento  delle imposte che ha ridotto il tenore di vita degli italiani. Peggio di così…..

Non pensiamo che il governo Conte bis otterrà un risultato simile al governo “tecnico”, non foss’altro perché le epidemie arrivano, crescono e cessano. I proclami di vittoria, soprattutto quelli confezionati dal governo  hanno quindi il limite dell’ovvietà, Più interessante è sapere il quando, il quanto e il come se ne uscirà. Ricorda Manzoni che durante la peste di Milano le autorità presero le prime misure di emergenza circa un mese dopo che le avevano deliberate cioè dopo che “la peste era già entrata in Milano”. Colla loro inerzia accrebbero i danni. Come scriveva Schmitt “conseguire un obiettivo concreto significa intervenire nella concatenazione causale degli accadimenti con mezzi la cui giustezza va misurata sulla loro adeguatezza o meno allo scopo e dipende esclusivamente dai nessi fattuali di questa concatenazione causale… significa infatti il dominio di un modo di procedere interessato unicamente a conseguire un risultato concreto”. E il bilancio – anche dell’adeguatezza dell’azione di governo – sarà possibile solo quando raggiunto il “contagio zero”.

Nello stato d’eccezione la sovranità mostra la propria superiorità rispetto alla norma: è stato Bodin il primo a definirla come summa in cives legibusque soluta potestas: quindi agli albori dell’elaborazione del concetto i connotati qualificanti già ne erano: la preminenza rispetto agli altri poteri (summa) e d’esser svincolata dalla normativa (legibusque soluta). Almeno dalle leggi, cioè dalla normativa posta dal potere e per volontà del medesimo, secondo il noto frammento di Ulpiano. La sfida affrontata dal sovrano nello stato di eccezione non è negare il diritto – e tanto meno l’ordinamento – ma di ri-creare una situazione normale in cui la norma possa tornare a poter essere applicata.

É nell’eccezione (e in modo in certo modo simile nel gouvernment de fait di Hauriou) che l’istituzione politica – cioè lo Stato (moderno) – mostra sia la propria essenza che la superiorità dell’istituzione rispetto alla norma. Dall’impossibilità o anche dall’inutilità di applicare norme in una situazione eccezionale, quindi a-normale, dimostra la necessità e la precedenza istituzionale della “creazione”, da parte dell’autorità, di una situazione in cui la norma possa avere vigore ed efficacia. Come scrive Schmitt  “Il caso di eccezione rende palese nel modo più chiaro l’essenza dell’autorità statale. Qui la decisione si distingue dalla norma giuridica, e l’autorità dimostra di non aver bisogno di diritto per creare diritto”.

E tale “creazione” non ha nulla a che fare con le garanzie dell’ordinamento – nel senso dei diritti individuali – affidate (per lo più) ai Tribunali, e in particolare al livello più alto, alle Corti costituzionali. La riparazione di un diritto trova proprio nel potere giudiziario il più adatto ad assicurarlo.

Ma nella situazione eccezionale il problema è garantire “la situazione come un tutto nella sua totalità”. A esser garantito non è l’interesse e la correlativa pretesa del singolo, ma la concreta applicazione di tutto il diritto attraverso il ripristino della situazione normale.

Ne consegue che è la situazione (eccezionale o normale) a determinare l’opportunità di promulgare, mantenere, far cessare le misure per fronteggiare l’emergenza. Così come è il risultato a determinare se, finita l’emergenza, l’azione delle autorità di governo sia stata congrua, e in che misura. Ora è troppo presto per formulare una valutazione definitiva.

Quanto alla fase due, ancora è da venire, e il giudizio sulla stessa anche.

Capisco la diffidenza di tanti italiani data l’esperienza che altre situazioni emergenziali (o, meglio presunte tali) sono state utilizzate dai governi per l’unico fine di sfruttare i cittadini, senza altro risultato (v. da ultimo quello “tecnico” citato) che realizzare il contrario dello scopo esternato. Ma ora è troppo presto per dare un giudizio: non lo è per avere fondati sospetti.

Teodoro Klitsche de la Grange

aprire o non aprire? questo è il dilemma, del dr Giuseppe Imbalzano

Giuseppe Imbalzano, medico, specialista in Igiene e Medicina preventiva. Direttore sanitario di ASL lombarde per 17 anni (Ussl Melegnano, Asl Milano 2, Ao Legnano, Asl Lodi, Ao Lodi, Asl Bergamo, Asl Milano 1). Direttore scientifico progetti UE (Servizi al cliente, Informatizzazione della Medicina Generale). Si è occupato di organizzazione sanitaria, prevenzione, informatica medica, etica, edilizia, umanizzazione ospedaliera e psicanalisi. Oggi consulente della Federazione Russa per la gestione dell’epidemia di Covid19

In tempo di Covid 19, per riaprire l’Italia, qual è la strada più breve, la più sicura, la meno rischiosa, la più veloce?

 

La situazione economica è l’elemento più critico che si sta rivelando connesso con
l’infezione da Covid 19 e che sta creando, se possibile, più danni della infezione stessa.
La modalità con cui è stata affrontata questa epidemia non sempre ha seguito la linea di
ridurre le fonti di infezione e di preservare il personale di assistenza da eventuali contagi, ma ha diffuso il virus negli ospedali e infettato un numero incredibile di operatori. Che sono certamente la causa di ulteriori infezioni tra i familiari e i pazienti. Così come la scelta di affidare ai medici di famiglia l’assistenza dei pazienti potenzialmente infetti ha costretto i primi ad affrontare, spesso senza gli strumenti di protezione necessari, situazioni del tutto critiche che dovevano esigere ben altra organizzazione. E la numerosità dei medici infetti ha creato ulteriori focolai territoriali.

In questi giorni sono fiorite proposte di riapertura delle attività lavorative che hanno posto come riferimento, tra le tante cose, le proiezioni di danno delle categorie secondo le età. Una scelta che cerca di dimostrare il basso rischio dei soggetti che devono partecipare al ciclo lavorativo in base a valutazioni che, nei fatti, appaiono assai discutibili, sia perché prive di certezza statistica, sia perché non tengono conto che non vi è una fungibilità di tutto il personale, di un possibile utilizzo di personale qualificato in tutti i settori senza la specifica competenza di chi debba gestire l’attività e il settore specifico. Dimenticando poi che i lavoratori hanno interazione anche con parenti e amici che potremmo inserire nelle categorie a rischio. E che accettare il rischio in se stesso (con quale garanzia per chi rischia?) non fa parte di una corretta valutazione e modello di attività. Sarebbe ancora più pesante che le imprese aggiungessero al peso dell’inattività il peso degli eventuali contagi correlati e dei danni immateriali e previsti dal decreto Lvo 81/08. E non credo, considerata la macchinosità del sistema, che verrebbe apprezzata dai lavoratori e quindi approvata per poter essere attivata e gestita come regola su tutto il territorio nazionale.

L’obiettivo è quindi quella di ridurre il rischio ai minimi termini, al livello più basso possibile.

Che è differente tra le diverse condizioni di rischio per differenti attività.

Tutta la nostra vita è un rischio, ma è necessario superare le condizioni di difficoltà, prevenendo, per quanto possibile, il rischio e il danno che ne possa derivare.

Se scalare una montagna è comunque rischioso, avere una attrezzatura appropriata, una condizione fisica ottimale ed una esperienza adeguata non è sufficiente se non teniamo conto delle condizioni climatiche e dei compagni di cordata. Se queste condizioni non sono garantite il rischio aumenta in modo importante.

Per arrivare in cima, comunque, ci sono mezzi alternativi, come l’elicottero o lanciarsi con il paracadute.

Possiamo immaginare lo stesso con una malattia infettiva che non ha terapie certe e non ha vaccini disponibili, che ha una mortalità significativa e necessità di servizi sanitari importanti, una infettività ragguardevole e una impossibilità ad essere identificato immediatamente e con certezza?

Arrivare in cima senza vaccino non è possibile. Essere certi di non infettarsi, senza vaccino non è possibile. Anche chi risulta positivo ad eventuali test biologici non è garantito.

Allora, in attesa di non avere neanche un caso in Italia, cosa possiamo fare?

Il primo e fondamentale punto è attivare un sistema di identificazione dei nuovi casi, molto puntuale e ben definito, come modalità e sede, la causa di esposizione e le modalità di contagio.

In carenza di un sistema di rilevazione puntuale dei nuovi casi noi rischiamo di rincorrere il virus al buio, con scarse possibilità di interrompere la catena di infezione.

Oggi la nostra attenzione prevale verso chi viene infettato e inseguiamo i casi che si moltiplicano.

I sistemi di “mitigazione” odierni non sono garantiti dalle azioni che vengono messe in atto per monitorare come il processo infettivo viene diffuso, se vi sono ambienti particolari o condizioni di rischio elevate che vengono trascurate. Se non si chiude il rubinetto, l’acqua continuerà a traboccare dal lavandino pieno.

Altra soluzione che è stata proposta è la identificazione dei “positivi”. La “mappatura” degli infetti non è necessaria con la descrizione soggettiva del proprio stato di salute poiché tutti i casi identificati di malati di covid 19 sono noti alle autorità sanitarie.

La richiesta di dare informazioni sul proprio stato di salute, che viene sollecitato da qualche sistema di monitoraggio, non solo è inutile ma rischia di far confondere una banale infezione ILI (Influenza Like Illness- malattia simile all’influenza) con la infezione da coronavirus che, quantomeno nelle fasi iniziali, ha la stessa sintomatologia e pertanto può creare maggiore (e inutile) ansia e preoccupazione nell’interessato e nella comunità.

Un monitoraggio serio è certamente un elemento di maggiore sicurezza e i luoghi di maggiore rischio sono quelli dove la presenza e la concentrazione dei malati è maggiore, e in particolare, nel nostro caso, gli ospedali e le case di cura, oltre ai domicili dei pazienti assistiti a domicilio.

È importante evitare le infezioni ed in particolare quelle prevedibili come le infezioni familiari.

La gestione dei positivi che non necessitano di assistenza ospedaliera è pericolosa perché le persone ammalate non possono vivere da sole e neanche badare a se stesse per tutte le esigenze quotidiane e le problematiche di salute che presentano.

Lasciare l’assistenza ai soli familiari ed in ambienti civili non garantisce nessuna sicurezza e ancora di meno la certezza che non ci potrà essere una trasmissione della infezione a chi accudisce queste persone. La protezione necessaria in ospedale è altrettanto indispensabile al domicilio e la preparazione del personale sanitario non è certo comparabile con la preparazione per evitare le infezioni in ambito familiare. Gli ambienti non sono adeguati e la sicurezza di protezione infettiva del tutto assente. E trascurare questi principi favorisce certamente la possibile diffusione virale domiciliare e comunitaria per l’attività sociale che comunque i familiari del malato svolgono normalmente (spesa, farmacia etc.).

Trattare questa infezione alla stregua delle altre è fortemente criticabile perché il rischio di diffusione è sicuramente molto elevato e l’assenza di strumenti terapeutici e di prevenzione non può rassicurare la comunità.

La gestione domiciliare dovrebbe consentire la separazione dei malati dal resto della comunità e lo stesso per i dimessi dagli ospedali ancora positivi.

Certamente non vanno inseriti in ambienti fortemente a rischio come le residenze per anziani ma in ambienti unicamente dedicati a malati di covid 19.

Il personale, naturalmente, deve essere adeguatamente formato e protetto.

Una attenzione particolare, più che alla vestizione, deve essere garantita per la svestizione, che diventa molto complicata in un ambiente domestico.

La separazione, nettamente definita e mantenuta sino alla eliminazione delle possibili criticità, deve essere mantenuta per i malati nei confronti dei non affetti dalla infezione.

Quando e dove aprire le attività.

Ovunque non ci siano casi di infetti può essere attivata l’intera organizzazione e possono essere garantiti tutti i servizi per la comunità.

Le aperture devono tenere conto della realtà territoriale e dell’impegno per garantire una totale assenza di infezioni e di nuovi infetti da almeno 20 giorni.

Noi già abbiamo, in Italia, con gli obblighi di confinamento attuali, comuni in cui le infezioni sono assenti e che possono, in piena tranquillità, riaprire tutte le proprie attività senza nessuna preoccupazione. Naturalmente con i residenti dei comuni stessi.

E questo potrà consentire di avviare due elementi fondamentali, l’attività lavorativa e l’interesse comunitario per ridurre le criticità che oggi non consentono una gestione adeguata della infezione. I sindaci in particolare avranno tutto l’interesse a mantenere o a favorire che il proprio comune diventi area virus free per riprendere le attività professionali, industriali e commerciali nella propria realtà, creando un circolo virtuoso per l’eliminazione dei fattori che favoriscono la diffusione del virus.

Solo una partecipazione attiva dell’autorità sanitaria locale, il Sindaco, e non una banale indicazione a non andare in giro o a non permettere di svolgere attività fisica possono determinare una riduzione del contagio. Una assistenza adeguata e coerente con le esigenze dei singoli malati può permettere di ridurre i contagi intra familiari e ambientali. E naturalmente una adeguata gestione della assistenza ospedaliera, con la separazione netta di ospedali per i malati infettivi e per malati non infettivi potrà, con la adeguata protezione del personale, ridurre le infezioni che sono possibili in un ambiente misto. E così per i trasporti dei malati infettivi, con una separazione dei sistemi di emergenza.

Con questo modello, con la assoluta attenzione ad evitare infezioni con alta probabilità di sopravvenire, possiamo immaginare di ampliare rapidamente le aree virus free e riprendere, in modo composto e sicuro, le attività in tutti i nostri comuni e poi i distretti che man mano si libereranno dall’infezione.

La domiciliazione senza la revisione dei comportamenti e delle azioni che oggi determinano nuovi casi è poco funzionale e creano forti tensioni tra i bisogni economici e quelli di salute.

Con questo modello il 30% abbondante dei nostri territori è in condizione di riprendere l’attività senza limitazioni e successivamente, nella espressione di questi comportamenti sicuri, le aree virus free si amplieranno rapidamente, senza dover decidere che cosa sia possibile fare.

La scelta di testare milioni di soggetti per verificare se gli stessi sono stati infettati porterà, oltre a costi non indifferenti, alla considerazione che la maggior parte della comunità ancora non lo è, ed in particolare non è certa l’immunità da una eventuale nuova infezione. Oltretutto questo modello, di copresenza dell’infezione endemica, mantiene in circolazione il virus e può, senza difficoltà, creare ulteriori focolai difficili da contrastare.

Una scelta “scorciatoia” non da garanzia di nulla e certamente non è possibile favorire il turismo e la mobilità comunitaria in sicurezza nelle nostre realtà.

Sino ad oggi è regnata molta confusione ma è indispensabile agire con grande rigore e modificare le linee di intervento sulle linee grigie che sono l’assistenza in ospedale e al domicilio di pazienti positivi o in attesa di valutazione in caso di contatto.

È indispensabile ridurre la semplificazione che si è fatta sino ad oggi per l’assistenza ed attivare tutti i servizi necessari per favorire una certificazione di area virus free sia nei singoli comuni che per tutta la comunità.

In questo modo, dal giorno di avvio della nuova organizzazione, saranno sufficienti poche settimane per giungere all’azzeramento dei nuovi casi e l’attività sociale potrà riprendere in modo completo e totale.

Giuseppe Imbalzano

http://CVBreveImbalzano

 

le nuove strade aperte dal coronavirus, con Antonio de Martini

La conversazione è lunga; la segregazione in casa aiuterà certamente all’ascolto. Il titolo è un po’ paradossale. Il resto lo farà la pacatezza delle argomentazioni offerte da Antonio de Martini. E’ tempo di scelte. Dall’esterno le pressioni, le sollecitazioni a compierle si intensificano. Ad un quadro sempre più dinamico si contrappone una classe dirigente tremebonda ed arruffona, abbarbicata all’attesa e alla conferma di vecchi schemi e sistemi di relazione ormai deleteri. La crisi epidemica in corso si sta rivelando un vero e proprio acceleratore delle dinamiche in corso della geopolitica, quindi anche della geoeconomia. Una posizione di attesa o, nel peggiore dei casi, abbarbicata agli schemi classici della diplomazia e delle relazioni internazionali è il modo migliore per un paese di diventare oggetto piuttosto che protagonista. Rimane, purtroppo, la cieca propensione della nostra classe dirigente. Ne discutiamo con Antonio de Martini. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

 

Chi se ne sta andando!?, di Fulvio Marcellitti

Se ne vanno.
Mesti, silenziosi, come magari è stata umile e silenziosa la loro vita, fatta di lavoro, di sacrifici. Se ne va una generazione, quella che ha visto la guerra, ne ha sentito l’odore e le privazioni, tra la fuga in un rifugio antiaereo e la bramosa ricerca di qualcosa per sfamarsi. Se ne vanno mani indurite dai calli, visi segnati da rughe profonde, memorie di giornate passate sotto il sole cocente o il freddo pungente. Mani che hanno spostato macerie, impastato cemento, piegato ferro, in canottiera e cappello di carta di giornale. Se ne vanno quelli della Lambretta, della Fiat 500 o 600, dei primi frigoriferi, della televisione in bianco e nero. Ci lasciano, avvolti in un lenzuolo, come Cristo nel sudario, quelli del boom economico che con il sudore hanno ricostruito questa nostra nazione, regalandoci quel benessere di cui abbiamo impunemente approfittato. Se ne va l’esperienza, la comprensione, la pazienza, la resilienza, il rispetto, pregi oramai dimenticati. Se ne vanno senza una carezza, senza che nessuno gli stringesse la mano, senza neanche un ultimo bacio. Se ne vanno i nonni, memoria storica del nostro Paese, patrimonio della intera umanità. L’Italia intera deve dirvi GRAZIE e accompagnarvi in quest’ultimo viaggio con 60 milioni di carezze

Due,tre cose che so sul coronavirus, di Max Bonelli

Due,tre cose che so sul coronavirus

 

Nell’ambiente dei patrioti sovranisti sono conosciuto per il mio impegno per la causa dei russi dell’est Ucraina,su cui ho scritto il libro Antimaidan , e per  vari articoli su quel mostro imperialista denominato Nato ma non sono uno scrittore di professione ne tanto meno un giornalista, vivo (per fortuna) di altro.

Ho alle spalle 30 anni di attività nel campo farmaceutico con svariati incarichi in diverse multinazionali del settore  in vari paesi europei (attualmente faccio consulenze in Scandinavia) e prima ancora quando ero ancora laureando in Farmacia ho prestato servizio come ufficiale nel 1 battaglione NBC Etruria come istruttore di difesa chimica e biologica. Fui mandato li perché avevo tanti esami in chimica, l’esercito cercava un laureato ma in mancanza si accontentarono di un laureando, il sottoscritto.

Mi diedero una settimana per prepararmi ed una serie di sinossi da digerire che divorai con facilità, niente di difficile per chi aveva superato chimica biologica, fisiologia etc.

Passai gli 11 mesi di servizio istruendo sottufficiali su come difendersi dagli attacchi chimici e biologici, come indossare le tute di difesa chimica e biologica, l’uso di autoclavi e l’immancabile maschera antigas.

 

Quando si seppe dei primi casi in Cina a Wuhan il germoglio della curiosità crebbe velocemente in me grazie ai miei trascorsi militari e professionali e trovai subito l’ottima pagina della università di Johns Hopkins che in tempo quasi reale aggiornava l’evoluzione del COVID-19.

https://coronavirus.jhu.edu/map.html

 

Capii subito già nella seconda metà di gennaio che il virus per le sue caratteristiche era inarrestabile nella diffusione e che l’unica forma di strategia di difesa era provare a limitare i danni ma seguendo questo invisibile parassita ho avuto delle interessanti ed istruttive lezioni di vita.

 

Primo:            Non farsi prendere dalla sindrome di Gesù

 

Seguendo l’evoluzione dell’invisibile nemico, incominciai  ben presto ad elaborare un piano di difesa biologica, ci pensavo continuamente me lo ripetevo nelle varie fasi mentre lavoravo, ne affinavo i particolari, poi mi feci coraggio e lo condivisi con persone che stimavo del partito sovranista in cui milito Vox Italia. Pensavo che me lo avrebbero buttato giù ed invece riscontrai entusiasmo ed incoraggiamento. Un ingegnere economico ed un medico collaborarono a strutturare un progetto articolato ed a sviluppare un calcolo degli oneri economici. Il risultato fu sorprendente con il mio piano che verteva sul principio di mettere gli anziani in strutture tenute asettiche od in alternativa di obbligarli ad una prolungata quarantena a casa supportati da personale che fornisse loro la logistica necessaria ad affrontare l’isolamento, si sarebbe continuato a tenere aperta l’azienda Italia, anche se con il freno a mano tirato in tanti settori. Il raffronto rispetto all’attuale sistema era di un risparmio di 170 miliardi di euro su un periodo di 3 mesi. Forte di tutto questo bussai alla protezione civile, alla sanità della regione Lazio. Risposte ? Nessuna, e nello stesso tempo giorno dopo giorno i morti aumentavano e  il paese era additato a “lebbrosario di Europa”. La cosa mi lasciava basito ancor più che gli unici due paesi che hanno adottato strategie simili alla mia proposta ottenevano dei risultati di letalità di molto migliori dell’Italia e mi riferisco a Russia ed Israele. La prima ha imposto agli anziani di rimanere in casa fino alla fine dell’emergenza insieme ad un moderata chiusura delle attività e la seconda ha scelto la via di focalizzare la protezione biologica sulle strutture che si prendono cura degli anziani più esposti. I risultati li lascio alla curiosità del lettore che può essere soddisfatta sul sito già messo in evidenza.

Avevo la conferma che il mio progetto stava in piedi ma non interessava a nessuno in Italia; parlai con un giornalista di Sputnik news ed ebbi da lui un intervista, articolo pubblicato fatto girare sui social; tanti like ma di concreto niente ed intanto il mio paese affondava.

Ad onor del vero anche nel Nord Europa  ho provato a proporre in ambiti delle grandi catene di distribuzione farmaceutiche micro progetti per salvaguardare dal contagio le “case per gli anziani” come le chiamano li. In teoria avevo il compito facilitato in quanto il virologo di riferimento locale, Anders Tegnall, aveva indicato che la priorità delle risorse e  delle attenzioni dovevano andare alla protezione biologica di queste strutture e nello stesso tempo si doveva evitare di fermare completamente l’economia. Tutto giusto solo che il governo svedese non ha avuto la forza di dare chiare direttive in tal senso, quindi trasformare la teoria in pratica. Risultato, tutto il mondo sanitario che gravitava intorno agli anziani si preoccupava più di perseguire il guadagno che di mettere in pratica costose ed onerose misure di prevenzione con il risultato che ai primi di aprile si contava 1 ospizio su 3 sotto contagio. In questo caso ho avuto la soddisfazione personale di vedermi scodinzolare intorno le stesse persone che 2 mesi prima mi avevano riso in faccia quando ai primi di febbraio dissi loro che il coronavirus si sarebbe diffuso anche in Svezia. All’epoca erano cosi fieri di avere solo casi isolati, perché stare a sentire un consulente italiano?

In sintesi puoi avere il piano migliore del mondo, la buona volontà ma di fronte all’inerzia dei comportamenti di gregge anche Gesù ebbe i suoi problemi ed io cosa pensavo di fare? Salvare il mondo?

 

Secondo:       Le persone molto intelligenti in situazione di stress perdono la loro qualità migliore

 

Basterebbe che i nostri governanti ma non solo loro, anche gran parte della classe politica mondiale si soffermasse ad osservare la cartina mondiale di diffusione del COVID-19.

Balzerebbe agli occhi che il nostro virus odia le alte temperature. Si diffonde con una velocità irrefrenabile nei climi temperati ma fatica nei climi equatoriali. Nei primi 13 posti per numero di contagiati ci sono 12 paesi con climi temperati ed 1 solo l’Iran con un clima parzialmente caldo. In realtà è stato colpito nella stagione “invernale” quando le temperature medie sono di 10-15 gradi; man mano che si riscaldava  il clima è stato superato in numero di contagi da paesi con sistemi sanitari migliori ma con un clima più

adatto al virus. L’OMS scrisse che la capacità di sopravvivenza su oggetti inanimati poteva essere intorno ai 3 giorni, una enormità di tempo se questo lasso scema notevolmente con il rialzo delle temperature ecco spiegato perché Malaysia, Filippine ed Indonesia sono sotto i 5 000 contagiati a testa in data 12 aprile o vogliamo pensare che il loro sistema sanitario sia migliore di quello dei paesi più avanzati?

Per finire vi invito a dare un’occhiata all’Australia: 6315 contagiati il 12 aprile del 2020, stesso sistema sanitario, stesse misure, quasi tutti i contagiati vivono nella parte temperata che guarda l’antartico, praticamente assenti nel nord caldo e secco.

 

In sintesi :il mondo è in mano a gente che non può essere stupida se ha fatto una carriera cosi brillante nella società ma non sono stati selezionati per fare analisi sotto stress e prendere decisioni coraggiose; la mancanza di questa dote, il coraggio sta diventando il maggior responsabile di una delle più grandi catastrofi economiche della storia dell’umanità.

 

 

Terzo: Il megafono di una stampa asservita al potere in crisi isterica

seppellisce definitivamente il senso critico del popolo sotto il

peso della paura.

 

La paura annebbia le menti ed il nostro virus è riuscito a risvegliare dei comportamenti seppelliti nel nostro DNA. La maggior parte di noi discende da chi è sopravvissuto alla peste del 1300. Pur con una letalità ufficiale intorno al 3,6% con punte nel bel paese che arrivano al 12% il coronavirus è ben lontano dalle letalità dei suoi parenti stretti SARS o MERS. Ha un’alta ospedalizzazione che mette in ginocchio i sistemi sanitari e che incide sul numero di morti ma siamo lontani dal 50% ed oltre della peste nera che colpì i nostri antenati per altro privi di un sistema sanitario in loro soccorso. I nostri media hanno fomentato con piacere l’asservimento delle menti impaurite, sentivano che con gli anni lo scetticismo della gente aumentava di giorno in giorno e non poteva che essere altrimenti di fronte a chi propugnava e propugna l”’accoglienza infinita in un mondo finito”. Questa pestilenza benigna gli ha ridato il potere che avevano perso; quello di poter ottenebrare le menti. Da qui una riflessione:

Solo il pensiero chiaro e limpido aiuta il raggiungimento della verità ed il valore degli uomini è dato da quanta verità riescono a tollerare

 

 

Max Bonelli

 

 

 

 

 

 

ANCORA SUL COLPO DI EXTRASTATO (DALLA PIATTAFORMA ROUSSEAU AL CORONAVIRUS A COLAO AL BEHEMOTH NAZISTA) Di Massimo Morigi

 

ANCORA SUL COLPO DI EXTRASTATO (DALLA PIATTAFORMA ROUSSEAU AL CORONAVIRUS A COLAO AL BEHEMOTH NAZISTA)

Di Massimo Morigi

 

Molto acutamente osserva Vincenzo Cucinotta in Emergenza e Regime (https://italiaeilmondo.com/2020/04/11/emergenza-e-regime-di-vincenzo-cucinotta/#disqus_thread, Wayback Machine : https://web.archive.org/web/20200412091927/https://italiaeilmondo.com/2020/04/11/emergenza-e-regime-di-vincenzo-cucinotta/): «Cosa non va in questa questione della task force? Non certo che il governo acquisisca pareri tecnici da competenti, potremmo perfino tollerare che si tratti di un organismo  collegiale che pure già modifica il senso della sua funzione, ma la cosa ben più grave, è costituita dal fatto che venga pubblicizzato, svolgendo così una funzione indipendente. Conte avrebbe potuto benissimo dotarsi di un comitato di persone che godono della sua personale fiducia, sarebbe stata cosa saggia, ma se dichiara urbi et orbi la sua costituzione, allora conferisce a questo organismo una sua autonomia. Non si tratterà quindi di un comitato interno che comunica soltanto in via più o meno riservata con il governo, ma diventa una specie di secondo governo. In questo senso, si viene ad alterare il delicato equilibrio istituzionale previsto dalla carta costituzionale, e come in queste settimane vediamo Borrelli andare in TV a tenere la quotidiana conferenza stampa, ci dovremo domani aspettare di vedere il sig. Colao al quale nessuno di noi ha delegato alcun potere colloquiare con noi, ovvero prendere decisioni su di noi. Purtroppo, abbiamo evidenze dello scarso spirito democratico esistente nel nostro paese come osservato ampiamente nel caso del governo Monti che ha ricevuto un’amplissima fiducia perfino dallo stesso Berlusconi all’uopo defenestrato, e il cammino irresistibile della modifica costituzionale con l’obbligo di pareggio di bilancio che è stata approvata in pieno clima bulgaro, e i Bulgari non se l’abbiano a male. Stavolta, stiamo messi ancora peggio, non c’è alcuna procedura costituzionale che presieda alla costituzione di questa task force che ci dovrà dettare i nuovi termini di convivenza sociale, determinare quindi la nostra vita senza che si capisca in che senso siamo ancora in democrazia. Il secondo aspetto è quello che vado dicendo da parecchie settimane, e cioè che le misure anti-coronavirus sono in linea di principio permanenti (e li stabilisce un Colao qualsiasi). Riassumendo, noi stiamo cambiando la natura stessa del sistema politico della nostra patria e i connessi diritti individuali garantiti senza porre scadenze e conferendo poteri non meglio definiti a organismi improvvisati che Conte ha deciso di costituire con un meccanismo di composizione del tutto opaco, così che siamo autorizzati a credere che questi novelli sacerdoti gli siano stati segnalati per telefono da suoi sodali.» A settembre, a proposito delle (purtroppo giustificate) aspettative in merito ai pronunciamenti della piattaforma Rousseau in merito alle alleanze che i Pentastellati avrebbero dovuto cercare di stringere per formare il nuovo governo, avevo scritto sull’ “Italia e il Mondo” alcune considerazioni imperniate sul concetto di “colpo di estrastato”, con ciò denunciando che nel nostro paese era in atto sia un progressivo degrado e svuotamento sia delle istituzioni politiche c.d. democratiche sia un degrado del diritto tout court. Qualche ben intenzionato dall’alto di un’altissima scienza  trasmessa ovviamente dalla presente italica Accademia fortissima notoriamente nelle scienze giuridiche e in quelle sociali (altissima Accademia il cui culmine scientifico può essere riassunto nel concetto che la nostra “è la Costituzione più bella del mondo”) tacciò il concetto di “colpo di extrastato” di vuotaggine ed insensatezza. Ed è talmente vuoto ed insensato che oggi, supermanager Colao a parte, si può venire fermati per strada non tanto perché si è violata la legge sulla quarantena, ma perché il povero tutore dell’ordine di turno ha fatto una sua esegesi personale di una legge sulla quarantena assolutamente iincomprensibile e contraddittoria. E non bisogna essere certo dei finissimi giuristi per comprendere che quello che stiamo attualmente vivendo è sì uno stato d’eccezione ma uno stato d’eccezione che per la maniera sregolata ed anarchica del suo concepimento non è foriero ad un successivo ritorno ad una normalità giuridica ma è pronubo ad un ulteriore degrado e svuotamento delle istituzioni politiche e del diritto nel suo complesso. Insomma quella che l’attuale presidente del Consiglio sta de facto instaurando (de facto sottolineo e non per volontà sua perché attribuire un qualsiasi proposito politico, tranne la sua permanenza nella carica, al personaggio è come accusare una fiera di malvagità perché si nutre di altri animali) non è, schmittianamente esprimendoci, una dittatura commissaria volta a ristabilire l’ordine minacciato ma una sorta di dittatura sovrana ma il cui principio basilare non è tanto costruire un nuovo ordine migliore rispetto a quello messo in crisi ma bensì una totale anarchia giuridica e politica. Colpo di extrastato ed anarchia totalitaria di cui la storia del Novecento non è certo avara di esempi, e con questo lascio il campo ma anche la traccia alle altrui riflessioni:  solo chi abbia studiato un po’ più a fondo i fenomeni totalitari ed in particolare il nazismo avrà sentito parlare di Franz Neumann e del suo Behemoth. Struttura e pratica del nazionalsocialismo

Massimo Morigi – Pasqua di Risurrezione del Signore 2020

 

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